Editoriale

 

Giustizia impacchettata

di Ornella Favero

 

È difficile star dietro a tutti i “pacchetti sicurezza” che i diversi governi in questi anni hanno messo a punto. Giusto in questi giorni, mentre è in discussione un disegno di legge molto articolato su questi temi, per non “perdere tempo” è stato approvato un decreto legge su stupri e minacce, che interviene pesantemente sulla custodia cautelare (da ora in poi solo il carcere per i presunti autori di stupro) e sui benefici penitenziari (negati a chi commette tali reati).

Verrebbe da dire che “ci arrendiamo” di fronte a queste ossessive parole d’ordine “In galera, in galera!”, ma siamo dei pazzi che ancora credono che prima o poi la ragione tornerà a prendere il sopravvento, o magari almeno sperano che l’informazione si scuota e torni a fare il suo mestiere, cioè informare. Basta però accendere la televisione o aprire tanti giornali per sentirsi scoraggiati: oggi, per esempio, su un importante quotidiano locale c’è una notizia sparata: “Arrestato tre volte in nove giorni”. Riguarda un tunisino spacciatore, ma le cose sono abbastanza diverse da come uno si immagina, perché in realtà certi aspetti della Giustizia, che si vuole a tutti i costi descrivere come insensati, nel nostro Paese hanno spesso più senso delle critiche che muovono loro gli onesti cittadini: in questo caso, il ragazzo la prima volta è stato fermato perché non aveva i documenti e probabilmente gli è stato dato un foglio di via, la seconda è stato trovato con cinque grammi di eroina, arrestato, processato per direttissima e condannato a un anno e quattro mesi, solo che era incensurato e gli hanno applicato la sospensione condizionale della pena. Allora cosa vogliamo? Prendiamo un ragazzo di vent’anni, figlio di una famiglia “perbene”, immaginiamo che lo trovino a cedere a un altro pochi grammi di eroina e immaginiamo anche che sia al primo reato: cosa vogliamo, che si faccia per forza la galera? o forse è sensato prevedere quella specie di messa alla prova che è la sospensione condizionale, nella speranza che la lezione gli sia servita e il problema dell’uso di sostanze possa essere affrontato in tutta la sua gravità in strutture più adatte di un carcere? Il quotidiano riporta anche, nel sottotitolo, la frase che avrebbe detto al terzo arresto lo spacciatore “Tanto fra pochi giorni esco”, mentre nell’articolo la frase se non altro è diventata una domanda “Tra qualche giorno esco?”. Ci si inventa perfino un tono arrogante e beffardo del giovane arrestato, che poi diventa però uno che forse, più semplicemente, pone la domanda che porrebbe chiunque oggi, magari ai nostri giornalisti che sempre più spingono su questa idea di impunità: è vero che nessuno finisce in carcere in Italia? E naturalmente gli risponderebbero che è vero, ma noi diciamo di no, noi diciamo che quel ragazzo ora dovrà pagare per il nuovo reato, e anche scontare la pena che gli è stata “sospesa”. Ecco perché ci candidiamo a fare prevenzione coi giovani e con gli immigrati: perché vogliamo metterli in guardia dalle facili illusioni sulle pene inconsistenti e la galera che non c’è.

Ma un’altra cosa nei media colpisce in questi giorni: questo insistere sul fatto che gli stupratori o altri criminali “in Romania non lo fanno perché sanno che lì verrebbero puniti con anni di galera dura”. Insomma, il paradosso è che un Paese civile come il nostro, con una storia di decenni di democrazia, per quanto “molto imperfetta”, adesso prenda a modello la mancanza di libertà e le pene esagerate di Paesi, prima sempre profondamente detestati e criticati dall’alto delle nostre conquiste democratiche.

É la democrazia, bellezza! verrebbe da dire, per ricordare ai nostri concittadini che vivere in un Paese democratico ha sempre dei costi in termini di sicurezza: o rinunciamo a fette consistenti della nostra libertà, o accettiamo i rischi di un sistema che non potrà mai garantire la sicurezza di un regime autoritario. Chiedere tanta galera e magari dura, senza misure alternative, è un primo passo verso un regime diverso dal nostro, perché poi alla fine nella “trappola” del carcere non ci finiscono solo quelli cresciuti a “pane e malavita” ma anche i ragazzi che usano sostanze, i giovani che guidano ubriachi, i padri di famiglia che con la crisi non riescono più a far fronte alle spese incalzanti della vita quotidiana: è questo che vogliamo?

 

 

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