Donne Dentro

 

Essere sola in famiglia

Storia di Christine. Avrei voluto una educazione che non riguardasse soltanto le buone maniere, la scuola, una professione, ma che includesse anche una crescita dell’anima

 

a cura della Redazione della Giudecca

 

Christine è ora in sospensione pena, in attesa di andare in comunità. L’abbiamo conosciuta alla Giudecca, con lei siamo rimaste in contatto per quella voglia, che ci accomuna, di salvare le relazioni nate in carcere e trarne il meglio, e non lasciarle morire quando qualcuna, fortunatamente, se ne va. Lei è una capace di parlare di se stessa, e che da quello che le è successo nella vita riesce a trarre comunque sempre qualcosa di utile, per sé e per gli altri. I pezzi della sua storia, che ci ha raccontato, ci piace pubblicarli proprio per questo.

 

In famiglia eravamo sette fratelli, cinque femmine e due maschi, io sono quella di mezzo. Si vede che mia madre era una donna passionale e fertile. Io sono sempre stata del parere che è sbagliato mettere al mondo dei figli pensando che basti poi dargli solo da vestire, mandarli a scuola, avere una casa. A casa mia i nostri genitori li vedevamo di sera e la domenica; andavano a lavorare entrambi per poterci mantenere. Mio padre poi faceva pure il musicista, per cui tornava a casa a notte inoltrata. Mia madre era una che urlava sempre, ed era anche violenta, nel senso che te le suonava di santa ragione. Io le ho prese più di tutti, potrei dire che le botte erano il mio pane quotidiano. Le prendevo per me e le prendevo al posto delle altre, perché mi buttavano sempre in mezzo, a difenderle e così via. In famiglia tra noi fratelli ero io il punto di riferimento, io che davo consigli, che aiutavo per i compiti, che ascoltavo e trovavo sempre una soluzione per tutti i problemi, insomma ero la persona di fiducia.

Mia madre aveva un concetto del tutto sbagliato della fiducia, non le potevi dire un segreto perché altrimenti alla prima occasione ti rendeva ridicola davanti a tutti. Mentre a me, chi mi affida o confida una cosa, non lo tradisco neanche se vengo torturata. Però il fatto che tutti si fidavano di me suscitava la sua gelosia, la sua invidia, metteva in discussione il suo ruolo, per cui vi lascio immaginare. Io non volevo competere con lei, non vorrei mai competere con nessuno, cercavo semplicemente di riempire i vuoti, di esserci e di fare lì dove lei era carente. Fatto sta che le mie sorelle sono scappate di casa appena hanno potuto, e nessuna che avesse finito le scuole. Neppure io, nonostante fossi la più promettente. Io sono stata l’ultima a lasciare la scuola, anche se mi ci divertivo un sacco a scuola, problemi con lo studio non ne avevo, ho lasciato tutto poco prima della morte di mio padre, per aiutarlo. Cominciai a lavorare anch’io, lui però ben presto morì e un giorno, poco tempo dopo, mia madre mi riversò addosso tutto il suo astio, l’insoddisfazione, la frustrazione del loro rapporto rinfacciandomi che ero uguale a lui. Allora me ne sono andata ad abitare per conto mio, anche se ho continuato ad aiutarla e anche a darmi da fare per cercare di riportare a casa le mie sorelle, che erano finite nelle mani di persone poco raccomandabili.

 

Bisogna imparare a convivere anche con i ricordi che ti fanno del male

 

Io ho avuto problemi sempre con la droga e ho anche bevuto tanto in certi momenti del mio passato: sono finita due volte in carcere per questo motivo, che ero ubriaca e avevo perso il controllo e non riuscivo a fermarmi, cioè a tenere a freno la mia bocca, e il cervello, che aveva in quelle situazioni una specie di blackout. Bevevo anche quando smettevo di farmi; smettevo spesso da un giorno all’altro, senza farmaci, senza metadone, senza niente. Sono una estremista, che ci posso fare? Da adolescente, beh, ne avevo combinate di tutti i colori, prove di coraggio e di forza, ero l’unica ragazza accettata in un gruppo di amici di cui uno era mio fratello, ma questa accettazione era dovuta al fatto che riuscivo sempre a stare dietro ai loro passi, anzi, a volte gli facevo fare bella figura! Era una prova di forza, per esempio, bere quanto loro, e guai se ti veniva da vomitare, ma avevo imparato in fretta tutti i trucchi possibili e impossibili. Comunque in famiglia c’erano dei problemi di alcolismo, ne aveva mia sorella più grande e questa cosa mi fece molto soffrire. Beveva lei ad oltranza, beveva mio fratello, insomma un bel casino e tanti guai. Qualcosa non ha funzionato in famiglia.

Non so se questa cosa ha sempre origine in famiglia, ma nel mio caso sì, e credo nella maggior parte dei casi. La famiglia, l’infanzia è fondamentale. Io sono convinta che la famiglia sia la base di tutto, la famiglia funziona se hai abbastanza serenità, stabilità, calore, comprensione, presenza e dialogo. Una educazione che non riguardi soltanto le buone maniere, la scuola, una professione, ma che includa anche una crescita “dell’anima”. Invece, spesso dell’universo delle nostre emozioni, sensazioni, dei nostri sentimenti, di tutto ciò non ci si cura, non fa parte dei progetti educativi, non è considerato parte integrante del nostro essere.

Purtroppo nessuno può scegliersi la propria famiglia, io quando parlo con gli psicologi tendo tuttora a non volere raccontare della mia famiglia, non perché mi manca il coraggio, no, faccio fatica perché ci sono cose di cui mi vergogno, perché uno vorrebbe essere orgoglioso sempre almeno dei genitori e dei fratelli. Anche se ho sbagliato, e quello non costa fatica ammetterlo, almeno non costa a me, sono molto autocritica e sono spesso fin troppo severa con me stessa, però vorrei che mi si illuminassero gli occhi quando mi si chiede della mia famiglia, invece mi viene un groppo in gola e corro ai ripari, a proteggerli ancora.

I miei genitori sono morti, mio padre è morto quando avevo 17 anni. Lui era il mio primo grande amore, noi comunicavamo senza parole, ci capivamo al volo con sguardi e piccoli gesti. Mia madre è morta nel 1996 e io mi trovavo in carcere alla Giudecca, mi mancavano due mesi al fine pena. Piansi di rabbia, non di dolore. Per il dolore avevo smesso di piangere quando di anni ne avevo 12, e subii violenza proprio in casa, da mio fratello; di rabbia ho pianto perché mia madre se ne era andata via prima che potessimo chiarire un po’ di cose.

Mi sentivo fregata, ecco come mi sentivo. Poi mi consolavo: i morti vanno a riposare in pace, era così che ragionavo, si perdona e si dimentica. Ma oggi lo so meglio, si può perdonare ma per dimenticare non ti basta una vita intera che hai a disposizione. Non è possibile dimenticare, perché siamo il prodotto e il risultato di ciò che abbiamo vissuto nell’infanzia. E allora bisogna imparare a convivere con i ricordi che ti aiutano, ti fanno sorridere e ti scaldano il cuore, e poi bisogna convivere anche con i ricordi che ti fanno del male, ma fanno tutti parte del nostro bagaglio, del nostro vissuto. Bisogna cercare di comprendere che pure la sofferenza e il dolore aiutano, se non altro ti rendono più profonda, più sensibile, più attenta e forte. Anche se non per tutti è così.

 

 

Precedente Home Su Successiva