Controinformazione

 

"Captivi" auspici storia di un giornale mai nato…
Creare un giornale in carcere? Più facile a dirsi che a farsi

 

Realtà come La Grande Promessa, Liberarsi, ora anche Ristretti Orizzonti riescono ad arrivare fino agli estremi confini dell’impero penale italiano. Vengono letti, commentati, a volte fungono da stimolo. Ma seguire il loro esempio non è così semplice. Anche quando la buona volontà e la determinazione riescono a sconfiggere le pastoie burocratiche e la diffidenza, alla fine è la natura stessa del sistema penitenziario ad aver l’ultima parola e a costituire un ostacolo, a volte insormontabile.

Un caso esemplare di quello che può accadere quando si cerca di dare vita a un giornale dietro le sbarre è costituito da un esperimento tentato negli scorsi anni all’interno delle casa Circondariale di Trieste.

L’idea di creare una redazione e di pubblicare un periodico con informazioni e testimonianze dal carcere aveva iniziato a circolare al "Coroneo" (così viene chiamato il carcere di Trieste N.d.R), fin dal 1997. Sebbene ancora "fumosa" e tutta da definire l’iniziativa nasceva sotto ottimi auspici. Oltre ai detenuti, infatti, a volerla fortemente erano sia la direzione sia l’ufficio educatori, da sempre molto aperti e solleciti nei confronti delle sperimentazioni. In quel momento, però, il problema maggiore era rappresentato dalla mancanza di spazi. Il carcere di Trieste è piccolo e sovraffollato, come tutti del resto, e allora era oltretutto parzialmente chiuso per lavori di ristrutturazione. In ogni modo nel 1998 l’idea iniziò a prendere corpo e venne steso un progetto con richiesta di finanziamenti da presentare al Ministero di Grazia e Giustizia e al Provveditorato.

Sorvolando sugli aspetti tecnici, quello che veniva rimarcato era soprattutto il valore rieducativo e per cosi dire "terapeutico" dell’iniziativa. Al di là dell’informazione sulla realtà carceraria e sulle sue problematiche e del relativo dibattito-dialogo con la società che si sperava di riuscire a suscitare, la mera attività dello scrivere veniva individuata come efficace strumento per stimolare e aiutare l’organizzazione del pensiero. Tra le altre cose era stato scelto anche il titolo della pubblicazione: Captivi, cioè il termine latino che in origine indicava solo coloro che erano stati privati della libertà, prigionieri di guerra, senza le connotazioni morali negative che si sono aggiunte e sovrapposte in seguito.

Nel 1999, in attesa di spazi e finanziamenti, si decise di "guadagnare tempo", iniziando ad addestrare un primo nucleo della redazione. Sotto il coordinamento di Tiziana Virgulin, insegnante presso la casa circondariale, venne messo insieme un gruppetto di sette, otto detenuti, metà italiani e metà extracomunitari, che iniziarono a riunirsi tre volte alla settimana. Si cominciò con l’affrontare il problema degli argomenti da trattare, del linguaggio da usare, della scrittura. Approfittando dei computer dei corsi di informatica, vennero stesi i primi articoli. I temi affrontati riguardavano soprattutto le problematiche degli stranieri e la questione, allora "di moda" (a parole), dell’affettività.

Tra le altre cose, "rovistando" tra le celle, fu scovato anche un bravissimo vignettista - disegnatore. Il tutto andò avanti per un paio di mesi, finché un improvviso sfollamento del carcere non smembrò quasi completamente la redazione bloccando di fatto ogni attività.

All’inizio del 2000 il progetto del giornale venne approvato e furono stanziati i finanziamenti. In breve tempo la direzione acquistò computer, scanner, stampanti e software per l’impaginazione. Altri computer, anzianotti ma più che sufficienti per la videoscrittura, furono messi a disposizione da una scuola di formazione professionale. La questione degli spazi si risolse nell’estate dello stesso anno, con la conclusione dei lavori di ristrutturazione di un’ala del Coroneo. Questa volta si era pronti a partire "alla grande".

Venne sistemata la sala redazione. Furono installate e collegate le macchine. Si cercarono volontari e fu riunito un nuovo gruppo di detenuti interessati all’iniziativa. Si trovarono dei collaboratori esterni, tra i quali Pino Roveredo, uno scrittore, con alle spalle un’esperienza di carcere, molto noto a Trieste, e il germanista e romanziere Claudio Magris. Infine venne studiata una sorta di interazione con il quotidiano locale Il Piccolo.

Prima della partenza vera e propria, intorno al novembre 2000 i detenuti della redazione iniziarono a seguire il complesso corso propedeutico. Per più giorni alla settimana si alternavano lezioni di giornalismo, scrittura creativa, di videoscrittura, di impaginazione e di grafica computerizzata. Insomma, tutto stava procedendo nel migliore dei modi e l’obiettivo era di dare alla stampa il primo numero di Captivi intorno alla Pasqua del 2001. Ma facevamo i nostri conti senza "l’oste".

Il carcere è sempre il carcere. Ha le sue esigenze e non guarda in faccia nessuno. Non erano ancora terminate le festività di Natale, che una nuova e drastica ondata di sfollamenti si è abbattuta sulla Casa Circondariale di Trieste. Il primo a partire, il tre gennaio, è stato il sottoscritto, ma tempo solo un mese o poco più, l’intera redazione è stata dispersa ai quattro angoli d’Italia. E adesso?

Secondo le ultime notizie che ho avuto (ma spero vivamente che siano infondate), i computer e le altre macchine sono ferme, a raccogliere polvere, e "Captivi" è tornato a galleggiare nel limbo delle buone intenzioni, in attesa di una nuova congiuntura favorevole. Chissà.... magari un giorno di questi.

 

Graziano Scialpi

 

 

 

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