Cesare Picco

 

Cesare Picco

 

I modelli regionali, data la discrezionalità ed il potere recentemente acquisiti dalle Regioni in materia di sanità e assistenza, possono essere molto diversi e comportare, quindi, diversità di servizi, diversità di diritti dei cittadini, violando il principio di uguaglianza dettato dalla Costituzione. Cose che succedono sistematicamente, quando si passa ad un decentramento di poteri.

Ricordo che quando venne realizzata la riforma psichiatrica (1978-79) le competenze erano delle province, e in Piemonte, a metà di questa riforma, si decise per un passaggio di poteri alle ASL. Si verificò così una diversità nei servizi, che si svilupparono un po’ a "macchia di leopardo": alcuni forti, altri deboli, alcuni con risorse, altri no. La stessa cosa sicuramente succederà con questo decentramento del governo e della programmazione della sanità alle Regioni. Come ha ben spiegato Livio Pepino nel suo intervento, questo modello può portare a violare il dettato costituzionale.

È però anche possibile un’applicazione intelligente, in sede regionale, delle disposizioni nazionali d’indirizzo; una correzione di rotta che interpreti in modo soddisfacente (per il cittadino e per la qualità del servizio erogato) le norme centrali. Ne sono esempio la razionalizzazione della rete ospedaliera in Toscana, anche con chiusure di ospedali e riduzioni di posti letto: non si sono registrate proteste e polemiche (come in Puglia o in Piemonte) perché il servizio è stato riorganizzato sostituendo con altro ciò che si toglieva (il piccolo ospedale locale, ad esempio, con un efficiente servizio del 118).

Tuttavia resta l’ineguaglianza delle prestazioni sanitarie ottenibili. L’impostazione politico -ideologica di alcuni governanti regionali può acuire queste ineguaglianze, addirittura stravolgendo un’impostazione generale nazionale non condivisa.

L’applicazione diversa nelle varie Regioni dei Livelli essenziali di assistenza - su cui occorrerebbe riflettere per la scarsità di mezzi a disposizione degli Enti locali, e soprattutto per la mancata affermazione del principio secondo cui i diritti devono essere esigibili e non subordinati alle risorse (cosa di cui è responsabile il precedente governo di centrosinistra) è un chiaro esempio dei diversi effetti di un provvedimento centrale sui diritti dei cittadini.

I governi regionali possono, all’opposto, sfruttare correttamente il potere acquisito recentemente, opponendosi a disegni di legge nazionali che li esautorano. Sarebbe auspicabile che ciò avvenisse per il preoccupante progetto di legge sull’assistenza alle malattie mentali, in esame alla Commissione Affari Sociali della Camera, che vorrebbe cancellare l’attuale legislazione e reintrodurre i manicomi come cardine dell’assistenza psichiatrica. L’opposizione delle Regioni, che devono rivendicare il loro diritto a partecipare alle decisioni in merito, potrebbe impedire che tale sciagurato progetto venga realizzato. È la speranza delle più rappresentative associazioni interessate (cioè la DIAPSIGRA e soprattutto UNASAM, cui aderisce l’Associazione per la lotta contro le malattie mentali, che qui rappresento).

L’argomento, oltretutto, interessa direttamente an che altre categorie di persone, quali anziani, alcolisti, tossicodipendenti, in parte coinvolti dal PDL per la parte che riguarda i Trattamenti sanitari obbliga tori (T SO).

Il progetto di legge in esame segna un ritorno all’ideologia ed alle regole del vecchio manicomio, inteso come contenitore per varie categorie di emarginati (malati di mente, anziani, alcoolisti, tossicodipendenti) che in qualche modo "disturbano". Nulla esclude che in futuro a tali categorie se ne aggiunga no delle altre, e, oltre al concetto che il trattamento sanitario obbligatorio prolungato in regime di ricovero è eseguibile non solo per motivi sanitari, ma per motivi di ordine pubblico - cioè pericolosità a sé o ad altri, si torni anche ad invocare il pubblico scandalo come motivo di internamento. Mi chiedo come si possa chiamarlo "sanitario", se il ricovero avviene per motivi di ordine pubblico, come nella vecchia legge del 1904.

Farò alcuni esempi, tratti dal progetto di legge in questione. È orripilante che all’art. 6 si preveda, tra i compiti del reparto psichiatrico, quello di ricovero "per l’effettuazione di esami clinici dei malati che richiedano la degenza ospedaliera". Questo è razzismo, è discriminazione, ghettizzazione. Sono violati i diritti della persona: il matto va isolato, è un diverso, è pericoloso. Nella mia lunga esperienza di psichiatra, mai ricordo di essere stato costretto a ricoverare in un repartino psichiatrico un malato di mente solo per accertamenti o malattie di pertinenza medica o chirurgica! Nessuno va sottratto al suo medico naturale (e magari neppure al suo giudice!).

Un TSO dovrebbe essere sempre un’urgenza sanitaria, come dice l’attuale norma. La distinzione tra Trattamento sanitario obbligatorio urgente e Trattamento sanitario obbligatorio la dice lunga sulla rea le filosofia del progetto di legge: la finalità è ritornare a lungo-degenze coatte in strutture protette, a bollare come irrimediabilmente cronici i malati di mente. È scappato anche al ministro Sirchia a "Porta a Porta", che è riuscito ad attirarsi perfino le proteste del prof. Pancheri, docente di psichiatria a Roma e di formazione culturale tutt’altro che basagliana, il quale gli ha replicato dicendo che definire i malati di mente, sic et simpliciter, malati cronici è "una cretinata".

E ancora: ci si può servire del TSO per costringere chiunque a curarsi per patologie fisiche, cosa che viola la libertà di ogni persona a decidere se curarsi o meno, se sottoporsi ad accertamenti diagnostici, ad interventi chirurgici. Solo un interdetto non può decidere. Se il non curarsi è diretta conseguenza della patologia psichica e la necessità di cure è evidente, ci si può servire dell’attuale legge e delle attuali modalità per il TSO, richiedendo subito, eventualmente, anche l’interdizione. Ma ripeto: in oltre trent’anni di professione mai nessuno dei nostri pazienti ha rifiutato accertamenti, cure mediche o interventi chirurgici necessari, anche se demolitori, quali l’asportazione di mammella in donne ancora giovani o grossi interventi intestinali per patologie oncologiche. Ancora più aberrante è la possibilità di trattamento sanitario urgente per gli ultrasessantenni: solo per avere superato i sessant’anni, si può subire un trattamento sanitario obbligatorio ordinato dai servizi sociali da effettuarsi nei repartini psichiatrici.

La possibilità di un TSO per "i soggetti in stato di intossicazione da alcol e droghe", da effettuarsi nella divisione di psichiatria, rende esplicita ed inequivocabile la finalità di questo progetto di legge di ritornare al manicomio, inteso come contenitore di tutto ciò che disturba e si vuole nascondere. Ricordo bene quando al manicomio di Collegno, dove ho lavorato, venivano ricoverati tossicodipendenti, alcoolisti, ubriachi, anziani, barboni, disturbatori della pubblica quiete, malati di mente, tutti insieme, in quel contenitore pattumiera, tutti in ricovero coatto, per essere allontanati, separati e reclusi, in quanto rifiuti della società.

È inoltre previsto che il TSO possa essere effettuato anche fuori dell’ospedale generale, in strutture individuate dalla Regione, strutture ad assistenza prolungata e continuata, in moduli di 20 posti letto. moltiplicabili, situati anche nei vecchi ospedali psichiatrici.

L’attuale TSO è svuotato dalla sua caratteristica di eccezionalità, di misura temporanea d’urgenza. Diventerà, al di là delle buone intenzioni del legislatore, una misura di routine, che sancirà la cronicità, l’affermazione dell’impossibilità del recupero del malato mentale, contro ogni evidenza scientifica; si giustificherà così anche la pigrizia di molti operatori, si offriranno loro comode scappatoie. È un articolo pericolosissimo, che ripropone irrimediabilmente il ritorno all’istituzione totale. Conferma l’ideologia dello stigma, della diversità, dell’irrecuperabilità, della menomazione permanente anche l’inserimento dei malati di mente nelle liste del collocamento obbligatorio per handicap. L’unico lavoro possibile risulta quello "supportato" in cooperative appositamente istituite, o "protetto", e quindi svolto "all’interno delle strutture residenziali", con compensi solo "eventuali" per il lavoro svolto. È la fine del reinserimento sociale, il ritorno all’ergoterapia e allo sfruttamento del lavoro del manicomio.

Un ultimo esempio: l’art. 8 dice che i famigliari non possono essere obbligati alla convivenza con persone malate di mente maggiorenni. Si sancisce per legge la possibilità di abbandonare, di disconoscere, di rinnegare un proprio congiunto. Questo progetto di legge considera i malati di mente come animali domestici: non si devono abbandonare, piuttosto si devono rinchiudere. Concludo esprimendo dunque perplessità su un’eccessiva libertà di autonomia delle Regioni, causa di possibili - mi verrebbe da dire inevitabili - disparità nei diritti esigibili dei cittadini. L’autonomia mi pare utile per tutto ciò che concerne la realizzazione di un programma, ma questo deve essere universale ed avere un indirizzo valido e cogente per tutte le Regioni. L’autonomia può stimolare la sperimentazione, utile per trovare la strada migliore per ottenere buoni risultati e sfruttare al meglio le risorse disponibili.

Il nostro impegno deve dunque rivolgersi non tanto a contrastare modelli regionali diversi, quanto a combattere ideologie che producono provVedimenti, nazionali, che tendono ad escludere dai loro diritti larghe fette di cittadini, e che inevitabilmente colpiranno soprattutto i meno capaci a difendersi. Dobbiamo combattere tutti uniti, operatori, cittadini e utenti, e le associazioni che si occupano di psichiatria, di tossicodipendenze, di handicap, di anziani, l’attacco al diritto alla salute, all’art. 32 della Costituzione, e lo smantellamento in atto del Servizio sanitario nazionale (valutato, dall’Organizzazione mondiale della sanità, nel suo report per l’anno 2000, secondo al mondo). Dobbiamo combattere ideologie che propongono l’isolamento e la reclusione come soluzioni ai problemi di coloro che in qualche modo disturbano (tossicodipendenti, alcolisti, malati di mente), chiudendoli, anche a forza, in strutture che, con la scusa di recuperarli, in realtà li nascondono alla vista.

È inaccettabile che una miglior vivibilità delle città sia intesa come il risultato della "tolleranza zero" per ogni tipo di diversità o per chi, in qualche modo, disturba. È inaccettabile una società che ignora la solidarietà e il rispetto per l’altro, soprattutto se sofferente, che colpisce violentemente con lo stigma ogni tipo di diversità. È inaccettabile una società che rifiuta la ricerca, strada facendo, di soluzioni ai problemi sociali più gravi, e neghi l’utilità pratica della riduzione del danno, dell’uso del metadone, del diritto al malato di mente ad essere curato, decretando la fine di un approccio alla malattia mentale apprezzato dall’Organizzazione mondiale della sanità, scelto e sperimentato per essere adottato anche da altri Paesi.

 

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