Leopoldo Grosso

 

Leopoldo Grosso

 

Concludo ritornando brevemente su alcuni punti fondamentali di cui si è trattato in queste giornate. Primo punto. Rispetto al documentato aumento dell’emarginazione, appare necessario incrementare la rete dei servizi a bassa soglia, a tutt’oggi insufficiente. 1I"a Torino e provincia, ad esempio, le unità di strada sono solo due, come due sono i drop in per l’intera città, uno dei quali oltretutto riconvertito, per necessità, sull’immigrazione; Genova ne ha aperto uno la scorsa primavera, 1ilano ne ha in cantiere due, ma con ogni probabilità a uno si dovrà rinunciare per la difficoltà di trovare i locali. "Bisogna guardare senza enfasi e senza ipocrisia al fatto che attualmente esistono delle vere e proprie "shooting galleries" naturali, non governate".

Occorre poi insistere sulla possibilità di analisi delle sostanze, soprattutto per quelle nuove, senza trascurare le vecchie: sapere bene che cosa circola, anche tra le sostanze "tradizionali", è fondamentale per attivare un sistema di allarme rapido, per evitare casi come la sconvolgente serie di morti di overdose di quest’estate a Torino.

Ma bisogna aggiungere altri servizi a bassa soglia che ancora oggi mancano, come ad esempio le sale da iniezione nelle grandi città. Bisogna avere il coraggio di farlo: non è necessario un alto investimento economico per la loro realizzazione, bisogna guardare senza enfasi e senza ipocrisia al fatto che attualmente esistono delle vere e proprie shooting galleries naturali, non governate, per lo più situate presso le aree calde dello spaccio... Alcune persone tossicodipendenti già vi operano amò di auto aiuto.

Si tratta di potenziare il loro intervento con qualche operatore pari. È stato ricordato come in Olanda, per esempio, le sale da iniezione non siano nate su iniziative dei servizi, ma in virtù di alcune persone tossicodipendenti che si sono rese conto di come possedere il Narcan - farmaco salvavita- in caso di overdose, e disporre di un posto dove ci si può "fare" mentre qualcuno ti controlla, eviti molte overdose infauste. Le sale d’iniezione sono dunque da costruire con gli utenti stessi, per ridurre mortalità e malattie e per "agganciarli" ai servizi.

Occorre poi aumentare le opportunità di offerta di servizi evolutivi: i servizi a bassa soglia non bastano, bisogna fare in modo che si raccordino con quelli di livello superiore: vale a dire servizi di accompagnamento, con disponibilità di abitazioni per offrire uno sbocco al dormitorio, e con possibilità di inserimenti lavorativi realistici. È uno sforzo che consentirebbe di aiutare a uscire dall’emarginazione coloro che vogliono farlo, ma non ne hanno l’opportunità.

 

Nell’aumento dell’emarginazione rientrano gli stranieri con problemi di tossicodipendenza

 

Circa il carcere, si è detto della battaglia non conclusa per il pieno apporto del sistema sanitario nazionale e per un "indultino" che diventi anche sperimentazione di un buon reinserimento; si tratta anche di favorire un maggiore utilizzo del metadone all’interno del carcere, anche con modalità a mantenimento soprattutto per le detenzioni brevi. E, in particolare, si è detto della necessità di un maggiore investimento sulle misure alternative. Se è vero che la legge Simeone - Saraceni, in qualche modo, ha finito per restringerne in parte l’opportunità, è anche vero che le misure alternative sono comunque ancora oggi sottoutilizzate. E se il settore pubblico non riesce a investire maggiori energie in questo campo, bisogna aprire un po’ di più al privato sociale e dunque eliminare una serie di "lacci e lacciuoli" che ancora ostacolano le collaborazioni.

Nell’aumento dell’emarginazione rientrano poi gli stranieri con problemi di tossicodipendenza. Qui ci sono diverse priorità: la battaglia per l’STP (Stranieri temporaneamente presenti) che dalla legge 40 non è stato abrogato, e quindi la possibilità di cura per gli stranieri senza permesso di soggiorno, di fatto disapplicata in mezza Italia. L’unica apertura nella "controriforma" sugli immigrati è sui minori: i diciottenni arrivati qui da più di tre anni, se hanno fatto un percorso che è in qualche modo certificato, possono stare in Italia con un permesso di soggiorno. Ma non è un processo automatico, bisogna metterci decisamente mano, tenendo anche conto dell’annunciata riforma della giustizia minorile. C’è poi la questione dell’Aids. Molti stranieri l’hanno contratto nel nostro Paese ed è giusto che qui siano curati e non rimpatriati a forza nei luoghi di provenienza, dove mancano strutture in grado di prendersi cura di loro.

 

Nel momento in cui la coca esce dalle tradizionali nicchie di consumo e impatta con il mondo giovanile, la "compatibilità " è più difficile e la necessità di un aiuto aumenta

 

Il secondo punto riguarda il fenomeno dei "nuovi consumi". Riprendo la battuta di Polidori: il Ser.T. per questi ragazzi è credibile solo come Servizio educativo ricreativo territoriale. C’è l’esigenza di cambiare volto, il che significa reinventare nuove articolazioni del servizio: può anche essere occasione per una nuova definizione nei rapporti tra pubblico e privato. Ci sono spazi da colmare. Bisogna intervenire sull’uso per diminuire l’abuso, e, possibilmente per contenere ed esaurire anche un’esperienza d’uso. Ci sono studi confortanti che arrivano dal nord Europa sull’hashish, ma anche sull’ecstasy, che indicano che la parabola del consumo segue fondamentalmente il disegno di una curva a campana: aumenta dopo i 16-17 anni, tende a diminuire dopo i 23-24. È una parabola imperfetta, alcuni consumatori non "azzerano".

È un ambito in cui è sempre più indispensabile intervenire. Torno allora a ribadire l’importanza dell’analisi delle sostanze, perché se non sappiamo cosa i ragazzi hanno assunto non possiamo curarli. È necessario un grosso sforzo per sbloccare la situazione. Anche perché non si devono dimenticare alcune novità. La cocaina anzitutto. I dati della Lombardia sono espliciti: dei nuovi ingressi nel 2001 ai servizi il 10,2% è rappresentato da cocainomani puri. Nel momento in cui la coca esce dalle tradizionali nicchie di consumo e impatta con il mondo giovanile, la "compatibilità" è più difficile e la necessità di un aiuto aumenta. Ci sono poi altre nuove dipendenze da tenere in conto: alimentari, da gioco, virtuali e sessuali. Sono molte le persone che cominciano a portarci queste problematiche. Per non parlare della vecchia dipendenza, continuamente negata, che è l’alcol. La nuova legge apposita non decolla e la rete integrata dei servizi deve diventare più efficace.

 

Dobbiamo continuare a insistere con gli Enti locali perché investano sul protagonismo giovanile

 

Il terzo punto concerne la questione della prevenzione primaria, l’investimento sui giovani. Dobbiamo continuare a insistere con gli Enti locali perché investano sul protagonismo giovanile, sulle offerte di opportunità, dai centri di aggregazione all’incremento delle proposte per le esperienze internazionali, promuovendo una sorta di Erasmus anche per le esperienze lavorativo - formative. Noi stessi dobbiamo renderci conto che bisogna dare spazio non solo alle nostre iniziative più o meno abituali, ma anche a quelle che ci permettono di entrare maggiormente in dialogo con gruppi di giovani, che sviluppano nei comportamenti, a volte prima ancora che nelle idee, azioni che meritano di essere sostenute, valorizzate, maggiormente diffuse. I gruppi sono tanti e sparsi, dai giovani "essenzialisti", che lottano contro il consumo, fino ai giovani che "sfidano" la città ogni giorno avendo scelto la bicicletta come mezzo di trasporto. Costituiscono un patrimonio di risorse che abbiamo il dovere di riconoscere anche nel loro antagonismo - penso ai centri sociali e sostenere nelle loro finalità costruttive. C’è una tendenza a criminalizzarli, mentre sappiamo, perché lo abbiamo ampiamente sperimentato, che costituiscono una risorsa: con loro dobbiamo cercare alleanze di lavoro. Non dimentichiamo, infine, che fare prevenzione primaria significa soprattutto lavorare con gli adulti.

Aiutarli a essere riferimento. Lavorare con gli adulti significa aiutarli a ridurre il tasso di ipocrisia dei loro comportamenti rispetto a ciò che chiedono, a ciò che pretendono, a ciò che anche concedono a volte senza molto costrutto, e ciò che invece mostrano, sono, fanno, e quindi come appaiono agli occhi dei ragazzi. Se non lavoriamo con gli adulti per sviluppare queste consapevolezze, non possono esserci comunicazione e dialogo.

 

I servizi del privato sociale non vanno concepiti semplicemente come fornitori di prestazioni ad acquirenti. Si rischia l’aziendalizzazione stretta dalle nostre organizzazioni e la perdita del "valore aggiunto" più tipico

 

Un punto particolare riguarda il nodo del rapporto tra pubblico e privato sociale. L’obiettivo è il sistema complementare dei servizi, dove non c’è un privato sociale che è il braccio esecutivo del pubblico e non c’è un pubblico che è di supporto al servizio privato. Si tratta di arrivare al più presto a definire un patto di reciprocità tra privato sociale e servizi pubblici e stringere l’alleanza per l’integrazione. Il che vuol dire aver risolto la questione della certificazione degli stati di tossicodipendenza, che deve restare funzione dei Ser.T. nell’ambito di un sistema in cui il libero accesso alle diverse organizzazioni della cura è un diritto e come tale va garantito. I servizi del privato sociale non vanno concepiti semplicemente come fornitori di prestazioni ad acquirenti. Si rischia l’aziendalizzazione stretta dalle nostre organizzazioni e la perdita del "valore aggiunto" più tipico. A fronte della crisi del welfare, ciò che deve essere garantita è la funzione pubblica dei servizi comunali, delle ASL e dello stesso privato sociale: efficacia, congruità ed equità degli interventi, in modo che non venga penalizzata l’utenza più debole.

Bisogna trovare un accordo soddisfacente che, attraverso un’intesa comune, faccia in modo che l’esperienza di questi anni non vada dispersa. Queste cose dobbiamo dircele, altrimenti si rischia di andare in ordine sparso e di essere meno efficaci, quando la partita che si è aperta è estremamente importante.

 

Ci sono almeno sette importanti leggi sociali sulle quali vige inadempienza

 

L’ultimo punto riguarda il contrasto alle inadempienze. Alle inadempienze sui diritti, soprattutto rispetto agli strumenti che consentono l’esigibilità dei diritti. Ci sono almeno sette importanti leggi sociali sulle quali vige inadempienza: l’accordo Stato-Regioni rispetto alla riorganizzazione dei servizi: l’atto di intesa Stato-Regioni per quanto riguarda il ruolo del privato sociale; la legge 25 sull’alcol, che è solo del 2001 ma i decreti attuativi mancano; la legge 230/99 sul superamento della medicina penitenziaria: la legge 40 sull’STP; la vecchia legge 1228 sulla possibilità per i senza fissa dimora di avere una residenza, perché sappiamo che senza residenza non c’è accesso ai servizi né sanitari, né sociali, e su questo molti Comuni ci "marciano". Queste sono tutte battaglie da fare, a cui va aggiunto il nuovo 444. Tutti questi aspetti vanno inseriti in ambiti più ampi: la 328 e i piani di zona: i LEA (Livelli essenziali di assistenza), la coniugazione tra spesa sociale e spesa sanitaria senza che prevalga una logica di scaricabarile: tentar di "tener dentro" il più possibile gli enti locali, di coinvolgerli, di motivarli, di formarli, non ultimo dovremo fare i conti, inevitabilmente, con l’ingresso del profit. Dovremo darci strumenti per contenerlo, regolamentarlo, renderlo utile: sostanzialmente renderlo un po’ meno profit.

 

 

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