Livio Ferrari

 

Livio Ferrari

 

È chiaro che non è possibile fermarsi a guardare il carcere attraverso il vecchio concetto del microcosmo, dobbiamo cambiare l’ottica e spostarla, ma non seguendo l’attuale ondata economico - politica, ma virando ancora di più verso "la persona". Evitare di cadere nel tranello architettato per portare le carceri in mano ai privati.

Il periodo storico nel quale si inserisce questa nostra riflessione è contrassegnato da involuzioni e ritorni al passato in tutti i settori della nostra vita sociale, con pericolose riprese degli atteggiamenti di razzismo e xenofobia nei confronti della popolazione straniera meno abbiente. Per ciò che concerne il carcere, le cose sono abbastanza evidenti: la popolazione straniera detenuta non ha futuro nel nostro paese, è destinata ad essere espulsa a prescindere da qualsiasi tipo di percorso maturato nel periodo ristretto e dalla entità della pena, nonché dal reato commesso. La presenza sempre più massiccia di stranieri nelle carceri italiane non è solo la conseguenza di un’azione delinquenziale, ma in troppi casi è dovuta alla mancanza di un’adeguata difesa legale e della ignoranza della lingua.

Gli stranieri si ritrovano in un carcere senza speranze, per un suo perpetuato e congenito fallimento, dove l’aspetto rieducativo già pesantemente inficiato per gli autoctoni per loro è assolutamente impercorribile. Per tutti è un carcere della vendetta e i presupposti costituzionali rimangono ideali illuministici e nient’altro. La fotografia attuale è la seguente: percentuale altissima di recidivi, suicidi sempre in numero costante (rispetto all’aumento dello scorso anno), popolazione detenuta che nel mese di giugno 2002 superava le 66.000 unità, a fronte di una capienza poco sopra i 41.000 posti, con oltre 17.000 stranieri, circa 16.000 tossicodipendenti e intorno a 21.300 le persone ancora in attesa di giudizio.

Allora che senso ha continuare a parlare di rieducazione, di recupero, di integrazione, a meno che non vogliamo anche noi metterci al soldo della demagogia e dell’improvvisazione ciarlatana che con spavalderia è cavalcata in questi ultimi anni dai politici di turno? Dobbiamo invece ripensare al carcere in una modalità diversa, perché il telaio per il quale è stato concepito, quando è stata pensata la legge penitenziaria, non poteva tenere conto del panorama attuale, sia dal punto di vista detentivo che dal punto di vista sociale. Questo carcere, che è ancora quello del ‘76, non è stato pensato anche per gli stranieri. i tossicodipendenti, i malati di Aids. Parafrasando, perciò, il titolo di questo convegno Droga: la ricerca e la proposta ritengo sia urgente riportare la questione carcere nella realtà e nel contesto sociale in cui oggi si inserisce. Dobbiamo, pertanto, essere anche fautori di nuove proposte volte a rimodulare socialmente l’esecuzione penale e riportarla in una logica di frequentazione esterna, per lo più nella restituzione del danno e nell’attenzione, non solo a parole, delle vittime. Possiamo saltare a piè pari le proposte dell’attuale esecutivo che, nella propria incapacità elaborativa e vuoto ideologico, sbandiera il 41 bis e la costruzione di nuovi edifici carcerari come l’uovo di Colombo per risolvere i problemi.

L’illegalità strisciante che percorre le nuove leggi e le proposte malsane di quelle future si ritorce poi anche contro noi volontari, perché non possiamo farci forti di metri e misure di democrazia e rispetto sociale. Infatti quando incontriamo le persone detenute che hanno commesso reati così risibili per giustificare una carcerazione, siamo in difficoltà a parlargli di ravvedimento, di giustizia, del senso della pena. Qualcuno di loro potrebbe farci notare che tra coloro che siedono in Parlamento c’è chi ha subìto condanne, anche per reati connessi alla criminalità organizzata, e chi è indagato. È evidentemente inverosimile parlare e chiedere lealtà a persone che stanno pagando duramente i loro errori, sapendo che in ogni caso non hanno gli stessi diritti di altre persone.

Questi ultimi sono da sempre una casta che non può essere toccata, che può restare impunita anche se commette dei reati. Come si può parlare di legalità in questo momento storico nel nostro Paese se ogni giorno i diritti vengono azzerati, le conquiste sociali spazzate via dal vento dell’arroganza e del potere, con qualsiasi tipo di legge che può essere discussa ed approvata perché c’è una maggioranza che lo può fare in barba alle conquiste democratiche e di uguaglianza sociale?

In tutto questo "disastro" politico-sociale il carcere mantiene il posto di fanalino di coda tra gli interessi della classe politica. Vuoi perché i detenuti non possono, se non in pochi casi, esprimere un consenso elettorale. Vuoi perché il tema carcere è "sdrucciolevole" ed evoca paure nella gente, timori che possono far spostare fette di voti a favore della coalizione avversaria. Sulla scorta di queste difficoltà le ultime compagini governative hanno cercato, infatti, di rincorrere altri modelli che lasciano presupporre meno incidenti di percorso da un punto di vista politico. Cioè si va via via sempre più delineando un avvicinamento al disegno di privatizzazione delle carceri, processo ripeto che non è iniziato adesso ma con il precedente Governo, e il modello a cui si guarda con maggiore interesse è quello americano. Il tutto condito da una logica che fuorvia ogni umano ragionamento in nome dell’economia, quasi che questa non debba essere al servizio dell’uomo ma il contrario.

Perché qui non si parla di persone e di problemi a loro legati, con un concetto primario che dovrebbe essere quello che ogni investimento ha ragion d’essere in quanto rivolto a noi stessi, al contrario si parla solo di far coincidere i numeri con i finanziamenti, sacrificando uomini, donne e ragazzi all’altare del dio denaro. Di fronte a tutto questo non possiamo continuare a turarci il naso. No, questo non è possibile. Come non si può contrabbandare l’indulto o l’amnistia per far sì che qualcuno continui a fare i propri interessi a scapito di altri. Bisogna decidersi: o siamo uno Stato di diritto fino in fondo o non lo siamo! Non possiamo far finta che vada bene tutto comunque. Non possiamo azzerare secoli di lotte sociali, sindacali e politiche per la difesa dei diritti dei più deboli solo perché in questo momento non siamo in grado politicamente di controbattere all’attuale Governo.

Ritornando al tema carcere, anche da noi, qui, adesso, nella nostra diversità di opinioni ed idee molto argomentate dai contributi e dai confronti, esce un quadro, a mio dire, non attuale perché confinato in un carcere-pensiero, forse a causa di troppi anni di frequentazione e progettualità spesi nelle logiche dell’ancora vigente ordinamento penitenziario. Sembra quasi che, pur nella comprensione di un fallimento generale della detenzione concepita così com’è, si abbia paura a pensare ad una società con meno carcere o peggio senza. La questione assume quasi una condizione psico-esistenziale, mentre è urgente ed indispensabile ripensarsi, sia nei ruoli che nei concetti. Siamo consapevoli dei cambiamenti delle logiche e modalità di controllo sociale, che non sono più solo quelle di polizia ma affondano le loro radici nel pensiero globale, concatenate a quelle del "mercato" internazionale. È chiaro che non è possibile fermarsi a guardare il carcere attraverso il vecchio concetto del microcosmo, dobbiamo cambiare l’ottica e spostarla, ma non seguendo l’attuale ondata economico-politica, ma virando ancora di più verso "la persona". Evitare di cadere nel tranello architettato per portare le carceri in mano ai privati.

Qual è perciò la prospettiva futura? La vecchia logica del bene contro il male, dove quest’ultimo si traveste con le ultime novità del mercato. detta le regole dei mezzi di informazione e della pubblicità, riesce a contrabbandare il moralismo attraverso la prostituzione e il business della droga, fa patti di sangue con la criminalità organizzata e si traveste ogni giorno di verginità e santità comprata, modificando i libri di storia e interpretando persino spudoratamente frasi del Vangelo. È evidente che in questo desolante quadro il carcere rischia pure di essere un luogo normale dove mettere i più brutti, sporchi e cattivi at traverso un’operazione che servirà a tacitare anche le coscienze più sensibili. Ma in tutto questo la storia dovrà fare i cosiddetti conti con l’oste. Infatti ciò che accadrà dipenderà non solo dal male ma anche e soprattutto dal bene, cioè da tutta quella voglia di vita che sapremo esprimere nelle idee e nelle scelte, nella coerenza e nella gioia, nell’attenzione alle persone in difficoltà ed emarginate, per affermare i valori della giustizia e della pace che per forza di cose sono gli unici che possono condire le giornate di ogni cittadino della Terra.

 

 

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