Ettore Ziccone

 

S.E.A.C. Triveneto - Conferenza Regionale Volontariato Giustizia

Sportello Giustizia di Rovigo - Ristretti Orizzonti

 

Meno carcere, più impegno sociale

 

Seminario sul volontariato penitenziario

(Padova, 3 - 5 luglio 2003)

 

 

Ettore Ziccone (Provveditore alle carceri per il Triveneto)

 

Vi ringrazio per la ricerca che avete fatto, perché molte voci, nei dati ufficiali che abbiamo, non esistono. Quindi ne faremo uso al Provveditorato per avere un monitoraggio completo della regione Veneto, ma anche delle altre due regioni che fanno parte del Provveditorato di Padova.

La realtà che avete tratteggiato, purtroppo, è la realtà delle carceri del Veneto, ma possiamo dire anche di tutte le carceri italiane. Il lavoro è molto poco: diciamo che, nonostante un aumento sensibile, che si è avuto tra l’anno scorso e quest’anno, la percentuale dei detenuti lavoranti è sempre molto bassa. Forse, rispetto ad anni fa, a prima della riforma, la percentuale è più bassa. E questo è dovuto, essenzialmente, al blocco totale dei finanziamenti sul capitolo di spesa che afferisce al lavoro in carcere.

C’è una volontà politica precisa, di proiezione verso il futuro, all’esterno del carcere. Cioè le attività lavorative in carcere dovrebbero essere appaltate a ditte, che poi facciano lavorare i detenuti. Ma questo non è molto facile, abbiamo visto il risultato finora ottenuto con la legge Smuraglia, è un risultato molto effimero e non ci soddisfa per niente. Io, in alternativa, avrei continuato a finanziare di più le cosiddette lavorazioni interne, i cosiddetti lavori domestici, perché il non lavorare è il male peggiore che possiamo infliggere a una persona che è privata della libertà.

Perché lavorare significa uscire dalla cella, significa avere contatti con altre persone, significa anche guadagnare una certa somma, per il proprio mantenimento e, molto spesso, per il mantenimento della famiglia. Purtroppo gli ultimi dati che abbiamo non sono positivi, perché abbiamo saputo che, credo entro il mese di settembre, la remunerazione che viene data ai detenuti aumenterà, ma con un budget identico a quello che abbiamo avuto e, quindi, è molto probabile che diminuiranno ancora i detenuti lavoranti.

E, allora, a chi ci dobbiamo rivolgere? Io, da tanti anni, penso al volontariato. Non perché debba essere in grado di sostituire l’istituzione carceraria, l’amministrazione penitenziaria, nel trattamento del detenuto. Ma perché, come voi avete detto intitolando questo seminario, secondo me il volontariato deve lavorare meno in carcere e più fuori: in questo senso interpreto la parola "impegno sociale". Perché purtroppo, ancora, la realtà carceraria è quella che tutti sappiamo: c’è una società esterna e una società interna al carcere, la società esterna s’interessa molto poco dell’altra società, che purtroppo esiste e non può non esistere.

È bene che i nostri volontari - e, qui nel Veneto ne abbiamo, con l’articolo 78, mi pare 90 - si diano da fare, insieme a noi, all’esterno del carcere, perché si possa rendere sensibile quell’opinione pubblica che in tante circostanze è tanto forcaiola, ma in altre circostanze dimostra di avere una maggiore sensibilità nei confronti di chi soffre. Abbiamo visto gli aiuti sociali che vengono dati all’estero, dove la partecipazione degli italiani è stata sempre molto forte e molto sentita.

Questa stessa sensibilità dovrebbe essere rivolta all’interno delle nostre prigioni. Recentemente ho avuto un incontro, assieme al collega Signorelli, con un senatore della Lega e un senatore della sinistra, i quali tranquillamente negavano che in carcere si fa trattamento. In particolare il senatore della Lega diceva che in carcere non si fa nessun trattamento: mi ha provocato tanto che ho dovuto reagire, in maniera molto pacata e gentile, non come ha fatto ieri Berlusconi, dicendo che lui non conosceva il carcere nemmeno per averne letto sui giornali, perché non è vero che in carcere non si fa trattamento. Ma io non mi riferisco al trattamento che facciamo noi, istituzione, ma al trattamento che in realtà fate voi, volontari.

Se al questionario non hanno risposto tutti i detenuti, quello è un problema di cultura, che bisogna sviluppare in loro. Anche a me capita che vengo fermato per strada e mi chiedono se voglio mettere una firma, se voglio compilare un questionario, ed io dico sempre di no… perché c’è un problema di cultura.

Allora, bisogna lavorare perché i detenuti capiscano che questi dati, questi risultati, che voi in maniera così intelligente avete potuto ottenere, sono utili, sono indispensabili, perché la società esterna li conosca. Come? Qui tocchiamo un’altra dolente nota dell’amministrazione: noi, i soldi per pagare le attività dei nostri giornali, ne abbiamo ben pochi.

I soldi mancano sempre per lo stesso motivo, è un problema di cultura. I nostri politici, i nostri governanti, che noi abbiamo eletto – quindi la colpa, in definitiva, è bene che se l’addossino i cittadini – quando si parla di carcere fanno orecchio da mercante, perché il capitolo di bilancio del Ministero della Giustizia è un capitolo che molti non vogliono far funzionare nella maniera adeguata. Ci si lamenta subito dei processi che non finiscono mai, ci si lamenta subito che mancano i magistrati, che mancano i fondi per l’organizzazione degli uffici giudiziari, e poi ci si lamenta pure perché il carcere è scarso di finanziamenti.

Però, purtroppo, il carcere funziona ugualmente – come dipendente dello Stato dico con mia grande soddisfazione -, funziona perché tutti quelli che ci lavorano e non intendo solo gli operatori, intendo anche i detenuti, fanno di tutto perché il carcere funzioni, perché le condizioni di vita siano accettabili.

Sono stato, di recente, in Svezia, e parlando con il mio collega svedese ho potuto rilevare che le sofferenze che abbiamo noi, tutte, là le conoscono appena. Hanno pochissimi detenuti in carcere, però il trattamento, l’attività dei servizi sociali, è eccezionale. Là, su ogni caso, perlomeno c’è una persona che interviene. Non solo, ma a livello governativo c’è un ufficio che si occupa esclusivamente del trattamento dei detenuti ed ha i mezzi economici. La prima cosa che ho chiesto è se hanno i fondi… e mi hanno detto che i fondi non mancano. Purtroppo noi non siamo a quel livello.

Poi ho visitato la Scozia, dove la situazione è abbastanza diversa. Scozia e Inghilterra, si avvicinano molto a noi, diciamo, più in senso negativo che in senso positivo. Perché anche qui è un problema di cultura e non è un problema di cultura della destra o della sinistra, non faccio molta distinzione. In Italia abbiamo avuto governi di destra e di sinistra e non è che le cose siano cambiate tanto. Sì, ci sono stati momenti nei quali c’è stata maggiore sensibilità verso il carcere: si è fatto un nuovo Regolamento, si è cambiato il "sistema carcere" dal punto di vista legislativo, poi però è venuto a mancare quel sostegno economico che avrebbe dovuto trasformare le volontà del legislatore in atti e fatti.

Purtroppo la realtà è sempre questa e ci amareggia tanto. Ecco perché io mi rivolgo ai volontari, ma non perché facciano l’attività che si faceva anni addietro, del piccolo sostegno economico, o di un certo sostegno morale nei confronti dei detenuti. Quello, ormai, è stato superato e anche dai dati che abbiamo visto esiste relativamente. Il vero compito del volontariato è quello, che dicevo prima, di inserirsi nella società esterna e di trasformare tutta la società esterna in volontariato, perché solo così possiamo dare ai detenuti quelle poche speranze – non è che siano molte – che, usciti dal carcere, si trovino in una situazione famigliare, economica e sociale, diversa da quella dalla quale sono venuti fuori entrando in carcere.

Ieri, con in collega Signorelli, che è il direttore del Centro dei Servizi Sociali di Padova, ci siamo posti un problema, per noi formalmente superabile, ma umanamente pazzesco: un nostro ex detenuto, al quale abbiamo trovato lavoro – per conto di una ditta privata lavora da noi al Provveditorato – non ha dove dormire. Il buon Signorelli gli ha trovato una sistemazione provvisoria e gli ha detto che questa sistemazione non può durare più di 90 giorni. L’ex detenuto, giustamente, diceva: "Sto cercando, a pagamento, un posto dove poter abitare, ma quando, nel documento di riconoscimento, si legge che la mia residenza è al Due Palazzi, non trovo agenzie o privati a darmi alloggio".

Ho pregato Signorelli di mettere in moto tutto il suo ufficio, perché questo fatto, anche se magari è un episodio marginale, sta accadendo nella stupenda città di Padova, nella regione Veneto, una regione all’avanguardia in questi servizi. Eppure, ancora oggi, siamo costretti a dire, a una persona che ha scontato la sua pena, che si è riabilitato, che ha un lavoro: "Non siamo in grado di trovarti un’abitazione, dove tu possa vivere in maniera dignitosa".

Allora, chiedo aiuto, per questo come per tanti altri casi, a voi volontari, perché all’esterno del carcere si faccia capire che l’essere stato detenuto non è un male inguaribile ma, se vogliamo chiamarla malattia, è una malattia dalla quale si può guarire con risultati più che positivi. Cerchiamo di far capire che questo marchio, infamante – purtroppo, nella nostra realtà, ma anche in altre, lo è – di ex detenuto, ci spinge a non avere fiducia in queste persone che hanno commesso un reato, hanno avuto una colpa, l’hanno pagata, e quindi hanno tutto il diritto alla riabilitazione. E allora rinnovo a tutti voi il mio appello affinché lavoriate più sull’esterno che in carcere, perché la nostra società, cosiddetta civile, sia più sensibile a questo problema, che altrimenti ha dei notevoli costi.

Due giorni fa, chiedendo al presidente di una banca un finanziamento per l’istituendo polo universitario – qui a Padova stiamo lavorando con l’Università perché possano essere iscritti, in sette facoltà, i detenuti che hanno il titolo di studio necessario – poiché parlavo con una persona che amministra dei soldi, ho cercato di rappresentare il vantaggio economico che ci sarebbe stato dandoci un sostegno: ogni detenuto che può frequentare la scuola, che può frequentare l’Università, evidentemente, rientra nella società in una posizione di vantaggio, perché il titolo di studio è sempre un vantaggio, e quindi abbiamo moltissime probabilità che non delinqua. E il delinquere, alla società, all’economia, costa molto: non dimentichiamo che un detenuto costa circa 250.000 lire al giorno. Parlavo al presidente di questa banca in termini economici, perché erano quelli che accattava più facilmente, e che alla fine hanno dimostrato di ottenere un risultato, perché ci ha promesso un certo finanziamento.

Noi avremo la possibilità di iscrivere i nostri detenuti all’Università pagando le tasse universitarie solo relativamente ai contributi dello Stato e regionali. E poi non dimentichiamo che, più che le tasse universitarie, c’è il costo dei libri di testo, la cancelleria e tutte le altre cose perché una persona possa studiare in maniera sufficiente: anche un sussidio economico, in modo da potersi mantenere nel soddisfacimento di quei pochissimi bisogni. I detenuti non chiedono molto, dopo anni di esperienza ha capito che, i più viziosi, chiedono le sigarette… c’è qualcuno che è contrario al fumo, però, credetemi, se non fumano, i detenuti che cosa devono fare?

A voi volontari, dunque, grazie per tutto quello che fate, grazie per tutto quello che farete. Sono costretto ad andare via perché nel mio ufficio siamo soltanto due dirigenti e un direttore e amministriamo 18 carceri, 5 servizi sociali, 3.700 detenuti e 3.000 dipendenti.

 

Francesco Morelli (Redazione di Ristretti Orizzonti)

 

Volevo fare una breve replica all’intervento del Provveditore. Tra noi detenuti ci facciamo spesso una riflessione: visto che le risorse economiche sono così poche, è di massima importanza che vengano spese nel modo più utile a favorire effettivamente il reinserimento sociale. A me vengono in mente alcuni esempi che non mi sembra vadano in questo senso: un finanziamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per un corso, rivolto ai detenuti tossicodipendenti, denominato "arteterapia". Questo corso ha interessato due Istituti, Padova Casa di Reclusione e Viterbo, con un costo complessivo di un miliardo e duecento milioni di lire. È consistito in un ciclo di 5 incontri, durante i quali i detenuti tossicodipendenti, a gruppi, hanno lavorato della creta, dipinto cartoncini e cose del genere.

Recentemente, facendo una ricerca sui suicidi e sugli atti di autolesionismo, mi sono imbattuto in un articolo che titolava: "Con l’arteterapia, a Padova e a Viterbo, suicidi diminuiti del 50%". Ora, io mi chiedo, se questo corso ha interessato solo un numero limitato di detenuti e solo per un breve periodo, com’è possibile che ci sia questa ricaduta positiva sulla generalità dei detenuti? Forse, allora, questa notizia è stata diffusa apposta per giustificare la spesa esorbitante del progetto?

Riguardo ai finanziamenti regionali, abbiamo visto, facendo il nostro lavoro di ricerca, che quest’anno la regione ha assegnato all’ASL 16 di Padova la gestione dell’Osservatorio regionale sulla popolazione carceraria. Per il 2003, la spesa prevista è di 129.114, quindi circa 250 milioni di lire.

Per vostra curiosità, io ho portato il rapporto che fece l’Osservatorio l’anno scorso: cioè quello che, al termine dell’anno di attività, l’Osservatorio ha prodotto. Ci sono delle schede su ogni Istituto del Veneto, dove sono raccolti i numeri relativi al personale penitenziario, ai detenuti presenti, e alle attività scolastiche, culturali e lavorative svolte in ogni carcere. Alcuni di questi dati possono essere ricavati, tali e quali, dal sito internet del Ministero della Giustizia (io stesso lo ho scaricati da lì) e mi sembra che i 200 milioni spesi l’anno scorso e i 250 che saranno spesi quest’anno siano troppi per produrre questo rapporto.

Io credo che se questo compito fosse affidato, ad esempio, al volontariato, che è bene organizzato a livello regionale, si potrebbe produrre un rapporto migliore di questo con un decimo della cifra spesa oggi.

 

Ettore Ziccone (Provveditore alle carceri per il Triveneto)

 

Una contro-replica, che non è per fare polemica, ma solo un chiarimento. Quando io dico "i nostri governanti, i nostri parlamentari", mi riferivo proprio a questo. Perché, nella legge finanziaria, che viene votata sia alla Camera che al Senato, e quindi da tutti i parlamentari, queste spese sono previste e sono volute. Ma non solo, una volta inserite in un capitolo di spesa, non possono essere distolte per metterle in un altro capitolo. Allora, che cosa accade: che per certe forme di attività, sulle quali lei giustamente ha detto "non sappiamo quanto possano essere utili", vengono finanziate cospicue somme, mentre per altre attività le stesse somme non vengono inserite.

Purtroppo, quando vi dico che la colpa è veramente in alto, in chi decide come spendere i soldi dello Stato. Noi, come amministrazione, su questo non possiamo fare assolutamente niente. È il Governo (e il Parlamento) che decide come spendere i soldi dello Stato, alle volte in maniera accettabile, altre volte in maniera non accettabile.

 

 

 

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