La salute appesa a un filo

 

Atti della Giornata di Studi

“Carcere: La salute appesa a un filo”

Il disagio mentale in carcere e dopo la detenzione 

(Venerdì 20 maggio 2005 - Casa di reclusione di Padova)

 

Alessandro Margara

 

Io partirei cercando di percorrere rapidamente questo tratto di riflessione. L’altro giorno in televisione c’era una trasmissione che si intitolava: “È troppo facile uscire dal carcere”. Ovviamente si parlava dei casi più recenti e la domanda è molto difficile. Io non credo che sia molto facile tranne quando ci si accorge dei casi abbastanza difficili, in cui sembra appunto che sia troppo facile, quello che invece su cui bisogna rifletterci é che è facile entrarci. Allora parliamo di numeri: nel 1990 i detenuti erano 30.000 e le misure alternative erano 6.300; oggi i detenuti sono 57.000 e le misure 50.000 e soprattutto ci sono in attesa di decisioni circa 70.000 richieste di misure alternative. Allora l’area della penalità attuale, dalle 36.300 del 1990, in 15 anni è passata a circa 180.000 unità. Per il gruppo di 57.000 detenuti, la popolazione penitenziaria è rappresentata per i 2/3 da quella che possiamo chiamare detenzione sociale, ovvero detenzione che fa riferimento a fenomeni sociali trattati penalmente. Sapete che questo percorso è stato tracciato e seguito con molta determinazione dagli USA, è quello che viene sintetizzato dal sociale al penale, quindi il penale è usato come strumento di intervento sociale.

Dunque i 2/3 dei detenuti sono tossicodipendenti, immigrati e tutte le altre varie criticità: dalle persone con problemi psichiatrici, alle persone con problemi di abbandono sociale, che sostanzialmente interessa appunto i 2/3, 38.000 persone su 57.000. Perché insisto su questo? Perché effettivamente riguarda un pochino ciò che sinteticamente potremmo chiamare “l’esplosione del penale” che si è moltiplicato in 15 anni di 5 volte tanto. Questo accade in conseguenza di una certa politica, che è quella che vi ho detto, che è sintetizzata bene dall’espressione “dal sociale al penale”.

Ma che cosa comporta tutto questo? Comporta che abbiamo una popolazione penitenziaria in cui il grosso è rappresentato da persone che hanno problemi di adattamento sociale, difficoltà, disagi di carattere sociale che interessano appunto i tossicodipendenti, le altre aree di laicità e gli stessi emigrati. Quindi facciamo una riflessione: entrare in carcere, come è stato dimostrato nell’intervento precedente, è per la persona una fatica, una difficoltà.

Queste crescono, e questo è stato chiarito anche nell’intervento precedente, se le carceri sono congestionate, difficili da gestire perché sono molto più affollate di quanto possano accogliere. Inevitabilmente la gestione diventa più difficile, ogni servizio diventa più complicato ed è ancor più difficile quando per molte di queste persone si aggiungono problemi di carattere sociale e di disagio A questo punto arriviamo quindi a dire che per la collettività intera è un problema difficile da affrontare, quindi c’è una grossa fetta del carcere che soffre particolarmente e che non ha risposte adeguate. Durante questo periodo, nonostante che la clientela interna aumentasse, le risorse d’aiuto a queste persone sono diminuite.

Tutto l’intervento che riguarda l’aiuto sanitario alle persone, non solo è diminuito – le risorse sulla sanità sono diminuite di almeno il 30% in pochi anni – ma ciò è avvenuto mentre l’aumento della  popolazione è cresciuto, come già prima ho accennato. Alcune iniziative legislative in corso non solo rischiano, ma hanno certamente come prospettiva quella di rendere ancora più difficile la situazione. Il progetto Fini sulle dipendenze inevitabilmente aumenterà l’area delle penalità; il progetto di legge che riguarda l’inasprimento della recidiva idem. Dobbiamo renderci conto che al fondo di tutto c’è una direttrice di marcia che va verso un’ulteriore esplosione della penalità, anziché il contenimento e la marcia indietro rispetto alla stessa.

Bisogna comunque pensare a far fronte a questa situazione; l’impressione è che l’Amministrazione penitenziaria non colga tutte le possibilità che, tutto sommato, le sono offerte. In alcuni casi la regione sta assumendosi la spesa farmacologia, e quindi una parte considerevole della spesa sanitaria, che viene sostenuta, attraverso convenzioni dirette tra Amministrazione e regione. In Toscana attualmente sta partendo un’esperienza, già sostenuta in precedenza con fondi dell’Amministrazione, per l’aiuto al disagio psichico, quindi mettendo a disposizione personale apposito destinato alle situazioni di difficoltà delle persone. Questa esperienza è sostenuta dai  fondi regionali. Io ho l’impressione che, se volesse, l’Amministrazione potrebbe cogliere il momento per risolvere questo problema, che era stato tracciato dalla legge del 1988 e dal decreto legislativo del 1999, e che prevedeva il passaggio delle funzioni della sanità penitenziaria dal ministero di Giustizia, al sistema regionale. Esiste anche una legge della Regione Toscana che sostiene la competenza definita dalla regione in materia di sanità penitenziaria, e quindi una legge che regola direttamente il passaggio.

Non mi soffermo su queste cose, è un discorso leggermente complicato che comunque trova nella competenza sanitaria delle regioni, riconosciuta dall’articolo 117 della Costituzione. La possibilità di soluzione, quindi sarebbe ora di affrontare e di risolvere questo discorso che viene strascicato da anni senza effettivamente concludersi. Ne verrebbero dei vantaggi sicuri? Non lo so. Anche perché poi questo discorso del passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario pubblico è sempre stato considerato un passaggio a costo zero, il che è difficile da riconoscere e da accettare. Il problema in cui ci si imbatte non è solo quello del morire di carcere, ma sopratutto del non vivere in carcere. La non vita che il carcere dà in molte strutture in cui non ci sono risorse di lavoro, dove la vita si trascina in una cella tutt’altro che vuota, ma sovraffollata. Con poche ore d’aria, che sono l’unica risposta che viene data; con scarsi interventi di carattere generale e scarse possibilità.

Questa è la situazione che interessa una parte notevole della popolazione penitenziaria. Ecco questa non vita è il fondo su cui ci si muove, è la patologia di fondo che bisognerebbe curare. Assistere il disagio psichico, diciamo, aiutando coloro che non reggono una certa condizione, e assistere la patologia. Bisognerebbe che la patologia venisse meno, che ci si interessasse effettivamente di cambiare le cose, che ci fosse da lavorare, da muoversi, da vivere fuori dalla cella. Queste dovrebbero essere risposte fondamentali. Il disagio psichico ha purtroppo dei limiti e sono la possibilità che consiste solo nel parlarne, che è già qualcosa, nel prendere atto di un contatto con le persone.

Dopo di che cosa succede? È stato citato prima il servizio dei Nuovi giunti, è quello che più o meno si ispira a questo intervento per il disagio psichico di cui ho parlato e che attiva anche la Regione Toscana nell’ambito dei suoi istituti. Ma che cosa può fare se praticamente il resto rimane quello che è attualmente? Se gli operatori diagnosticano, danno delle indicazioni, ma quelle indicazioni poi non possono trovare le modalità di attuazione? Se si dice che una persona deve essere impegnata, deve fare qualcosa, avere delle prospettive e non si è in grado né di dargli delle prospettive né il lavoro? Gli impegni, il discorso rimarrà drammaticamente lo stesso.

Ecco, con qualche difficoltà io penso che si debba dire che si sta battendo contro un muro, che è tutto abbastanza difficile, ma voglio anche dire che bisognerebbe affrontare alcuni problemi cruciali che sono quelli del contenimento della penalità e del cambio della vita in carcere. Per quanto riguarda il contenimento della penalità, un’ultima considerazione. È chiaro che intervenire sul Codice penale è fondamentale, ma la risposta sul Codice penale riguarda la criminalità effettiva, la criminalità che tradizionalmente è considerata delinquenza. Qui noi abbiamo questo oggetto continuo di penalità che ci viene da leggi specifiche che riguardano settori specifici: la punizione della dipendenza, la punizione della immigrazione, tutte queste sono cose che richiedono o la riforma del Codice penale, si intende estesa anche a questa, oppure il nodo maggiore che determina l’esplosione della penalità resta irrisolto.

 

 

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