Graziella Carmeli

 

Società senza informazione

I media, i diritti e gli esclusi

Venerdì 21 giugno 2002 - Milano

Conclusioni di Graziella Carmeli, della Camera del Lavoro di Milano

 

Io credo di non aver ancora perso il senso dell’opportunità e quindi vedrò di esercitarlo evitando di cadere nella tentazione di fare un intervento, riprendendo molti spunti che qui sono stati dati, sia stamattina che oggi pomeriggio; quindi eviterò di fare un vero e proprio intervento conclusivo, come era previsto, perché non ci sono le condizioni.

Mi assumerò invece l’onere e il piacere prima di tutto nel ringraziare i redattori che hanno portato, credo, un importante contributo della discussione, sia quelli che sono andati via questa mattina, sia i presenti di oggi pomeriggio.

E poi credo proprio che l’importante sia quello di raccogliere gli spunti che qui sono venuti e vedere appunto come proseguire dopo questa iniziativa. Io credo che questa iniziativa sia nata proprio dalla consapevolezza, che poi è stata evidenziata dagli interventi, di chi è impegnato nel sociale e nei media, della separazione di questi due mondi e di come non ci sia la diffusione sul grande pubblico di queste tematiche.

Bisogna tenere presente che i giornali vengono letti da una minoranza della popolazione e quello che veramente condiziona e orienta le coscienze è la televisione. Però non stiamo parlando di questo; io credo che quello che fa davvero la differenza è che i giornali che si occupano del sociale, degli esclusi, degli ultimi, svolgono quel ruolo, non solo di dare voce a queste persone, a questi mondi, ma anche per sensibilizzare la gente, i cittadini, mentre i grandi giornali, mi pare che tendano più a parlare, a dare le notizie, e credo che la gerarchia delle notizie dipenda anche da questo, dal parlare di ciò di cui la gente vuole parlare.

Esempio eclatante è quello di questi giorni: le stragi, la bomba, lo sciopero dei magistrati, l’intervento di Cossiga al Parlamento etc.. Però si parlava, in prima pagina, dei mondiali: perché? Perché la gente voleva parlare di quello. Allora riorientare, fare un’opera diversa, credo sia davvero un’impresa molto difficile.

Però io ho colto anche quella punta d’ottimismo, cioè ho colto il fatto che c’è qualche possibilità di poter incidere, ed io credo che in quella in quella fessura, per quanto sottile, noi con le nostre iniziative ci dobbiamo infilare, per fare modo, appunto, che il nostro obiettivo venga raggiunto. Allora non aggiungo niente di nuovo quando dico che l’obiettivo di questa iniziativa è quello, in sostanza, di aprire una riflessione che dovrà continuare, non fosse altro perché non siamo riusciti a dare voce a tutti, invece in queste iniziative è importante farlo.

Credo che le proposte, bene o male, pur in modo disorganico, ci siano. Si tratta di lavorare su queste, perché andare su questa strada significa mettere in rete l’esperienza, costruire una rete, quindi mettersi assieme, non solamente nell’utilizzare le sinergie in modo più ampio, cosa che non è mai semplice.

Quindi io credo che, con le dovute cautele si tratti di utilizzare gli embrioni di proposta, importanti comunque, che qui sono venute per lavorarci, le modalità le vedremo, utilizzeremo le migliori possibili, per far in modo che si colgano quelle opportunità che ci sono.

In sostanza dare più potere a quelli che sono gli organi, i soggetti che operano in questo settore, quindi per dare maggiore visibilità a questo, ma l’obbiettivo ultimo deve essere proprio quello della maggiore diffusione possibile perché, l’avete detto anche voi, la platea che noi raggiungiamo rischia di essere sempre la stessa, per una strada o per l’altra: chi è sensibile compera questo giornale, ascolta Radio Popolare, viene al sindacato, etc.; l’obiettivo deve essere per forza più alto, sapendo che è un percorso che bisogna intraprendere e avere la pazienza di realizzare nel tempo.

 

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