Convegno "Carcere e territorio"

Percorsi di recupero e di reinserimento sociale delle persone detenute

Galliera Veneta (Pd) - 28 novembre 2003

 

Antonello Toffanin, Comandante P.P. nella C.R. di Padova

 

Un ringraziamento al Sindaco e a tutti i cittadini di Galliera Veneta che con lodevole spirito hanno accettato di aprire all'esperienza della realtà carceraria. In questa giornata in cui si ritrovano a confronto le diverse componenti operanti all'interno del carcere, la mia personale riflessione, verterà sulla azione della Polizia Penitenziaria così come la ho potuta osservare nella mia esperienza di Comandante nella Casa di Reclusione di Padova. Il ruolo degli agenti di custodia un tempo era conferito con funzioni prettamente custiodalistiche, con una rigida classificazione gerarchica del personale. Esso era una delle manifestazioni concrete dell'idea delle pene in chiave "retributiva". Lo scopo della sanzione penale era, infatti, quello di "reprimere" il condannato facendogli pesare il carattere punitivo di un trattamento inframurario i cui elementi essenziali, compreso il lavoro, tendevano all'afflizione e non già al recupero sociale del reo. Questo nostro lavoro rappresentava l'esplicazione della vendetta sociale: la società, tramite determinate strutture e l'azione degli agenti di custodia, si vendicava di chi aveva violato le leggi. Belle parole e ben architettate perifrasi non sono mai riuscite a rendere migliore un mestiere che agli occhi di molti è sempre rimasto disagiato, antipatico, talvolta persino odioso; che creava degli IRRITATI contro tutto e tutti, perché la vita di un agente di custodia, in fondo, era la vita di un detenuto e, come quest'ultimo, viveva in un ambiente di diffidenza, di sospetti, continuamente spiato, punito, angariato... mentre nell'animo cresceva sempre più l'esigenza di differenziarsi da chi si è reso colpevole. Questo può generare un astio laddove sarebbe necessario un giusto distacco professionale. Nel 1990 esce la Legge 395 del 15 dicembre, che costituisce un punto di approdo del PROGETTO RIFORMATORE del PERSONALE DI CUSTODIA. Finalmente è giunto il tempo di ripensarsi in termini nuovi. Si tratta di una svolta epocale in cui l'agente di custodia, divenuto Agente di Polizia Penitenziaria, finisce di essere il "carnefice di Stato" e viene chiamato a svolgere un ruolo cardine del percorso di rigenerazione del detenuto. Il personale di custodia non è più solo lo strumento attuativo della pena, ma partecipa direttamente alla funzione rieducativa: non più solo SICUREZZA ma anche TRATTAMENTO. Perché questa Legge è così rivoluzionaria? Perché mette in primo piano la dignità dell'uomo. Se da una parte conferisce dignità al detenuto, sicuramente, esalta anche la dignità del suo custode, rigenerando così la professionalità del Poliziotto Penitenziario. Ora, un Agente di Polizia Penitenziaria non è più solo colui che apre e chiude la cella ma un operatore di una nuova cultura penitenziaria. lo sono stato testimone, negli anni del mio mandato, proprio di questo passaggio, che non è stato automatico, che ancora non si può considerare completamente avvenuto, tra due tipi di cultura. Dal 1990 ad oggi nelle carceri italiane e sicuramente nel carcere di Padova si è inteso passare dalla cultura (o non cultura) del silenzio, dell'incomunicabilità, della forza che prevale sulla ragione; del conflitto incomponibile tra custodi e custoditi, alla cultura della razionalità e del progetto, della partecipazione, della ragione che prevale sulla forza e sa quando è necessario servirsene, di un rispetto se non di un dialogo tra custodi e custoditi. Questo passaggio conferisce dignità al nostro lavoro, ci fa sentire uomini e professionisti e non esecutori materiali, avviliti e tristi, di un compito che la società esige come indispensabile ma intimamente rifugge. Ogni padre deve punire un figlio, ma non potrebbe accettare che quello fosse il suo unico ruolo. Noi siamo coloro che in ogni ora del giorno, in ogni gesto d ella nostra carriera, realizziamo la punizione che la società commina a chi delinque. Pur nella sacralissima giustezza questo compito è difficilissimo per ogni persona. Questa riforma ci ha offerto una nuova visione di noi che, con tutte le difficoltà e le contraddizioni che un ambito come il nostro implica, ci lascia sperare nel raggiungimento, un giorno, di alcuni punti importantissimi affinché il carcere non sia più un contenitore di reietti custodi e custoditi, ma possa diventare sempre più nodo di raccordo con la società civile. Nella mia esperienza quotidiana ho visto attenuarsi gli ostacoli che creavano un clima di conflittualità tra Agenti e popolazione detenuta; diminuire la NON-COMUNICABILITA' tra ruoli apicali e ruoli subordinati; unire la conflittualità eterna fra le varie categorie di operatori; l'accettare la presenza di operatori esterni anche nei circuiti differenziali. Abbiamo ancora moltissima strada da fare, ma oggi, a Galliera Veneta, segniamo una tappa che ci appare comunque positiva.