Franco Maisto

 

Associazione "Diritti umani - Sviluppo umano" di Padova e Associazione "Antigone"

Il difensore civico per le carceri

 

 

Franco Maisto

 

Pur nella frammentarietà del mio intervento vorrei svolgere un intervento di cerniera che in qualche modo riesca a raccogliere, a recepire quel che io ho capito; ma detto tra parentesi, ognuno recepisce quel che vuol recepire. Quel che ho recepito e che ritengo venga detto oggi pomeriggio da autorevoli personaggi del mondo penitenziario e della magistratura italiana, che però peraltro, non so se per buono o cattivo gusto sono tutti connotati come ex nel dépliant; perché è vero che il dott. Margara è ora l’attuale Direttore generale dell’amministrazione penitenziaria ma è un ex magistrato di sorveglianza; il dott. Zappa è ex Presidente del Tribunale di Sorveglianza e il dott. Merani è un ex Magistrato di Sorveglianza. Se dovessimo valutare l’attualità della figura del Magistrato di Sorveglianza sulla base di questo invito dovremmo dire che ormai è ampiamente defunta. Io spero che così non sia ma, trovata finalmente per ispirazione divina la battuta che poteva introdurmi al buon ascolto di questo uditorio che ammirevolmente ha ascoltato i pregevolissimi interventi dei nostri amici, io vorrei dire molto sinteticamente quel che mi è piaciuto capire di queste prime relazioni. Nell’ordine direi che mi è molto piaciuto quello che io noto essere il dato fondamentale che chiamerei la trasversalità e cioè non il carcerato, non la persona internata in un O.P.G., non la persona provvisoriamente ristretta nelle camere di sicurezza dei Carabinieri o della Questura ma una trasversalità che fa venire in primo piano il cittadino o meglio ancora la persona umana indipendentemente dalla qualificazione della cittadinanza, la persona umana comunque venga privata della libertà. Questo pone naturalmente il problema, più volte esaminato dal nostro amico portoghese, degli interlocutori, perché c’è una quantità di interlocutori che non sono soltanto gli utenti della giustizia e della Polizia ma anche la pluralità di amministrazioni che diventano interlocutrici di questa nuova figura, almeno per quanto ci riguarda, di difensori civici, e quindi questo pone il problema della pluralità delle Polizie nel nostro paese. Questo è un primo punto che va preso in considerazione per poter ragionare in un’ottica propositiva, positiva, costruttiva, di miglioramento dell’assetto attuale ed è un problema che non ci si può nascondere. C’è poi un secondo punto che mi è piaciuto recepire: voi sapete che lo stato attuale della nostra giustizia penale, al di là dei grossi conflitti che riguardano la separazione delle carriere, delle funzioni, il Consiglio Superiore della Magistratura porta sicuramente ad affermare la necessità di un rafforzamento e di un ampliamento delle indagini difensive; non è un caso che il Ministro Guardasigilli abbia presentato un apposito disegno di legge sul rafforzamento e l’ampliamento delle indagini difensive. Allora io mi chiedo se questo è un problema seriamente avvertito e sentito nel nostro paese, se non sia anche questa una stella polare verso cui orientarsi per collocare la figura del difensore civico, cioè un ampliamento e un rafforzamento delle indagini difensive. C’è poi un terzo punto: questo aspetto diciamo universalistico prima ancora della cittadinanza che connota lo spazio di operatività della figura del difensore civico. C’è uno spazio non solo a livello teorico ma anche uno spazio operativo prevalente del difensore e cioè le indagine o le indagini su quella che può costituire o che viene in genere ritenuta una zona grigia del diritto, cioè una di quelle zone in cui la violazione del diritto umano non si è ancora realizzata ma in cui certamente la situazione di rispetto completo del diritto umano non si è ancora verificato, vale a dire quelle situazioni di squilibrio, quelle situazioni in qualche modo prodromiche a qualcosa che probabilmente arriverà e allora mi chiedo, e sono convinto che si debba dare una risposta in senso positivo, se abbia un senso evitare che ci siano le bombe, evitare che venga distrutta una personalità, evitare che venga traumatizzata una personalità. Naturalmente il presupposto da cui partiamo è quello dei diritti umani, ma la premessa è quella che più volte ha anticipato con grande spessore teorico nei nostri consessi Stefano Rodotà quando ha detto, sembra in verità in un modo un po’ catalanesco: il presupposto è che i diritti vengano presi sul serio. Se partiamo da questo allora ragioniamo, infatti "Repertorio di fine secolo" di Stefano Rodotà è significativo in questo senso: il primo capitolo è "i diritti presi sul serio" e se partiamo da questo allora possiamo ragionare altrimenti è inutile discutere. Il problema dei diritti presi sul serio pone il problema dei controlli. Oggi si fa un gran parlare di controlli, necessità più o meno prevalenti di controlli giurisdizionali, di controlli giudiziari e non giurisdizionali, controlli amministrativi, il sistema interno dei controlli e così via. Nella problematica dei sistemi di controllo io vorrei cominciare a porre soprattutto agli amici ex che parleranno oggi pomeriggio due domande o, meglio, una prima domando più difficile e due domande più semplici. La prima domanda è: se la situazione è questa allora nelle nostre situazioni di detenzione non basta la figura del magistrato di sorveglianza: è sufficiente oppure non è più sufficiente posto che il P.M. interviene sempre dopo cioè quando ormai la frittata è fatta, quando ormai il diritto umano è violato, quando cioè il reato si è realizzato. E articolerei questa domanda in due ulteriori domande per chiedervi se è sufficiente il nostro sistema che prevede un magistrato di sorveglianza, se è sufficiente per il controllo che non vengano violati i diritti umani nelle situazioni di detenzione. Per articolare la prima domanda io parto da un’affermazione: dico che in questa fase costituente e in questa fase progettuale governativa, e mi riferisco in particolare al pacchetto del Ministro Flick, al pacchetto di disegni di legge di modificazione della legislazione penale, è prevedibile che ci sia un cambiamento del volto della giustizia penale in Italia. Alla stregua di questa affermazione allora mi chiedo: regge ancora, a fronte del mutato quadro penitenziario e cioè la collocazione degli istituti nel territorio che aumenta, la diversificazione istituzionale con un aumento di un’area penale esterna, regge ancora la costituzione degli uffici di sorveglianza nelle sedi di cui alla tabella A allegata alla legge 354/75, il riferimento è all’art. 68 della suddetta legge ? Regge ancora in questo mutato quadro o in questo prevedibile mutato quadro la collocazione attuale degli uffici di sorveglianza ? Il problema non è soltanto logistico naturalmente, è un problema di ridimensionamento o dimensionamento istituzionale. La seconda domanda rivolta sempre agli ex: la vigilanza generica del magistrato di sorveglianza, art. 69, 1° co. dell’ordinamento penitenziario e la vigilanza specifica, art. 69, 2° co. stessa legge, il ruolo del magistrato di sorveglianza come garante della legalità della detenzione è ancora proponibile in concreto da quando la magistratura di sorveglianza di fatto ha la funzione quasi esclusiva di giudice delle misure alternative e più in generale di giudice dei premi e delle punizioni, in altri termini cioè, da quando il magistrato di sorveglianza non è più il giudice "in e con" come fu pensato ma è diventato il giudice "terzo" sganciato cioè da quella realtà in relazione alla quale era nato ? Io credo che bisogna analizzare il problema del controllo della legalità nelle condizioni di detenzione secondo un’ottica sistemica; abbiamo avuto degli esempi molto concreti questa mattina: non è per procedure e metodi parziali, settoriali che si è proceduto. Si è proceduto in altri paesi secondo un’ottica sistemica. Con questo approccio sistemico io tento di dimostrare sinteticamente una tesi e cioè che c’è una fragilità ontologica della funzione di garante della legalità della detenzione del magistrato di sorveglianza e questo già nell’impostazione originaria della legge penitenziaria, soprattutto a causa di due punti: 1) una sua povertà di potere già alla sua origine e non a caso si parlò di presenza disarmata del Magistrato di Sorveglianza per la tutela dei diritti del detenuto; 2) un suo inserimento, sebbene sia strutturalmente indipendente, perché fa parte dell’ordine giudiziario, in un sistema amministrativo di controllo. In altri termini ci troviamo di fronte a una figura anfibia che di fatto è parte sia dell’amministrazione sia della giurisdizione, nonostante le declamatorie dichiarazioni di principio che ci sono nelle leggi. Esaminiamo partitamente i due punti: la povertà originaria di potere del magistrato di sorveglianza. Io credo che tutti abbiano avuto la capacità di dirlo e in particolare ricordo un convegno promosso dal Centro per la Riforma dello Stato nel 1982 a Firenze, ci fu allora un intervento estremamente significativo dell’allora consigliere del Consiglio Superiore, ora parlamentare, Salvatore Senese, che non indugiò a parlare, a proposito del Magistrato di Sorveglianza, di un esempio vistoso di supplenza giudiziaria, di una figura non del tutto inquadrabile in un rigoroso schema istituzionale, di una figura ambigua connotata da un equilibrio instabile e precario in consonanza con la tortuosa soluzione istituzionale incapace a reggere a una forte tensione. Erano parole che allora ebbero poca risonanza ma che io credo si siano rivelate profetiche; tutte le volte in cui nella storia penitenziaria italiana ci sono stati dei momenti di forte tensione si è realizzato un offuscamento di questa presenza, già disarmata, del Magistrato di Sorveglianza per vigilare, per garantire la legalità delle condizioni di detenzione. Ma io ho aggiunto un secondo motivo che riguarda una situazione paradossale: il magistrato di sorveglianza, sebbene appartenente alla giurisdizione e di fatto collocato nella amministrazione, molto più volgarmente nel nostro ordinamento è un controllore controllato. Perché dico che è un controllore controllato ? perché, lo dico soprattutto per i nostri amici stranieri, da noi avviene che il magistrato di sorveglianza in base all’art. 69 della legge penitenziaria ha un potere, senza strumenti azionabili, di vigilare sulle condizioni di detenzione di un luogo decentrato di restrizione della libertà e, laddove risultino delle violazioni di diritti che portano alla configurazione di reati, ne fa un rapporto al pubblico ministero. Laddove invece ci siano delle situazioni ancora in zona grigia ha un potere di prospettazione al Ministro di Grazia e Giustizia, fa una relazione al Ministro di Grazia e Giustizia. L’esito sfavorevole per il controllato si risolve in un giudizio negativo sull’operato dell’ente centrale, in quanto l’amministrazione, pur nel suo policentrismo, è una, del controllato dal quale il controllo dipende e quindi il giudizio negativo del magistrato di sorveglianza sulla specifica situazione periferica si risolve in un giudizio negativo sull’operato dell’amministrazione centrale. E qui io, approfittando anche della presenza del Presidente Margara, gli devo ricordare con affetto e benevolenza un documento che firmò il 27 giugno 1987 per dire di questo paradosso: si trattava di un magistrato di sorveglianza nei confronti del quale la prima commissione referente del Consiglio Superiore della Magistratura aveva avviato una procedura per il trasferimento d’ufficio ai sensi dell’art. 2 del R.D. 31/05/1946 n. 511; i 27 magistrati di sorveglianza e più che firmarono un documento di solidarietà che cosa avevano colto in questo atto di solidarietà e nel comportamento dell’ammistrazione penitenziaria di allora ? Si diceva che al magistrato veniva contestato il fatto di aver creato uno stato di tensione con il Direttore degli istituti di pena di Milano e di Monza, oltre a pretesi disservizi e omissioni e ritardi nel’espletamento delle sue funzioni e diceva, senza voler entrare in alcun modo nei fatti, è estremamente preoccupante per i sottoscritti constatare che i problemi suscitati dal doveroso controllo sulla gestione degli istituti penitenziari vengono addotti a carico del collega con notevole pregiudizio della sua indipendenza e di quella di tutti noi, indipendenza che non può essere pregiudicata quando si viene a colpire l’attività di un giudice di sorveglianza nel momento del suo rapporto anche conflittuale con l’istituzione, in altri termini non soltanto in questo caso ma anche in altri casi il controllore non soltanto viene controllato ma viene anche inquisito, salvo poi arrivare il proscioglimento a seguito di una defatigante attività difensiva proprio a dimostrare lo scopo intimidatorio dell’attività disciplinare. Bene questo è il paradosso che volevo illustrare, questo per dire come quel connotato che tutti qui hanno messo in evidenza e cioè l’indipendenza non basta che sia strutturalmente assegnato al giudice che, in quanto appartenente all’ordine giudiziario è indipendente, ma è necessaria una più forte connotazione di questa indipendenza in modo tale che questi ricatti disciplinari non possano più avvenire. Ecco allora detto questo mi avvio a fare una ulteriore osservazione sulla insufficienza del ruolo del magistrato di sorveglianza. Ho notato ormai un disincantato orientamento generalizzato di tutta la dottrina penitenziaria italiana, basta aprire una qualsiasi enciclopedia giuridica per trovare che i cultori di diritto penitenziario parlano di una crisi che ha messo in discussione il ruolo stesso del magistrato di sorveglianza, crisi che viene dalla constatata impossibilità di esercitare quella funzione di garanzia, parlano di disorientamento per la fragilità della loro azione garantistica nella istituzione carceraria e aggiungerei, alla stregua soprattutto poi della legge Gozzini, in realtà i magistrati di sorveglianza si arroccarono, si chiusero nella roccaforte delle misure alternative, come ultimo baluardo della proponibilità della loro azione. Sicché il diritto penitenziario non riguarda più la garanzia della legalità dei luoghi di pena ma riguarda il diritto delle misure alternative cioè il diritto penitenziario si è trasformato in un diritto delle misure alternative. Ed allora quello che fu configurato come un giudice tutelare, una carta per tutelare delle posizioni difficilmente già di per sé tutelabili, si è trasformato in un giudice terzo che per una certa percentuale decide se si debbano applicare o no delle misure alternative alla detenzione. E vengo alla conclusione: è noto che l’ordinamento penitenziario italiano appresta un insieme di varie competenze per i controlli perché non dobbiamo dimenticare i controlli e le visite alle quali sono abilitati personalità autorevoli dello Stato dal Presidente della Repubblica al membro del C.S.M. ai parlamentari: c’è quindi una funzione complessiva, globale di controllo all’interno dei luoghi di detenzione e non dobbiamo dimenticare che c’è una funzione tipica, oggi quando si parla della funzione del P.M. di fronte ad accuse che provengono da vari ambienti politici si dice sempre agli stessi ambienti politici vi volete sottrarre al controllo di legalità, l’ufficio del P.M. si afferma sempre di più come ufficio che è finalizzato al controllo della legalità. Posto che l’uno e l’altro sistema, e cioè quello di controllo di legalità del P.M. è un punto fermo e che le competenze per i controlli istituzionali di alto livello rappresentativo sono anche dei punti fermi e cioè sono costituzionalmente ineliminabili e sono anche necessari come si incide per la tutela dei detenuti, per le persone che sono ristrette e qui si pone il problema della nuova figura se abbia o meno un senso. Io personalmente pur non essendo strutturalmente scettico sono sempre convinto che si ha ben voglia di istituire nuove figure ma fin quando ci sono delle cicliche, storiche logiche repressive che sembrano inarrestabili si ha voglia di istituire nuove figura ma quando la società come cultura e come valori va alla deriva non c’è figura di garanzia che tenga parto sempre da questo presupposto, quindi come diceva il mio maestro concludendo il suo diario come magistrato di sorveglianza dal titolo "Gli avanzi della giustizia" diceva "dipende dalle linee generali di tendenza della società". Se le linee di tendenza di una società sono sul piano della valorizzazione dei criteri fondamentali della convivenza civile allora si può pensare a una complessa e combinata previsione di spazi istituzionali. Quali sono questi spazi istituzionali ? Sicuramente il ruolo del C.S.M. che deve essere il ruolo di chi tutela l’indipendenza dei magistrati di sorveglianza e non di chi li inquisisce e cioè il ruolo di chi vuole che esista la figura del magistrato di sorveglianza e cioè il ruolo di chi si occupa non soltanto di implementare l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati di sorveglianza. In secondo luogo il ruolo del Ministero di Grazia e Giustizia. Quindi una azione combinata di garanzia dell’indipendenza del magistrato di sorveglianza da parte del C.S.M. e da parte del Ministero di Grazia e Giustizia e, qui sia detto per incidens, pur nel rispetto delle fasi storiche, e sembra che vada fuori tema in questa prospettiva, bisogna sempre ben ripensare a quanto sia preziosa la collocazione dei magistrati all’interno del vertice dell’amministrazione penitenziaria. Proprio in questa logica di amministrativizzazione generalizzata mi chiedo quale fine farebbero i magistrati di sorveglianza se al vertice e nelle sfere più intorno ci fossero soltanto degli amministrativi, non in spregio lo dico ma è un problema di collocazione istituzionale. L’altro problema è quello della revisione degli uffici di sorveglianza. Se si vuole che il magistrato di sorveglianza stia nel carcere e con i carcerati allora non bisogna portarlo fuori dal carcere, bisogna dargli spazio e tempo per essere in carcere, restringere le aree di competenza del magistrato di sorveglianza, accettare che ci siano delle pene sostitutive almeno di medio termine che vengano assegnate al giudice di cognizione. Restringere queste aree significa allora che si valuti la presenza del magistrato di sorveglianza o meglio la sua figura non tanto sulla quantità dei provvedimenti ma sulla qualità della presenza, significa che si valuti la sua figura non tanto sull’efficienza quanto piuttosto nell’essere in modo maturo all’interno delle situazioni di restrizione, in un modo adulto come diceva qualcuno dei nostri amici, significa in altri termini che si valuti non la produttività cartolare, ma si valuti la maturità di intervento nel rapporto costruttivo con il mondo penitenziario che è fatto non soltanto di detenuti ma è fatto di rapporti, incontri, colloqui, costruzioni sistematiche con tutti gli operatori penitenziari a partire dalla Polizia Penitenziaria, gli educatori, gli assistenti sociali e così via, così si costruisce un magistrato di sorveglianza che stia nel carcere. Ora che si parla dell’istituzione del giudice monocratico di primo grado con revisione delle competenze territoriali non si può non rivedere il rapporto tra istituti penitenziari e uffici di sorveglianza. Insomma se tutto ciò si realizzasse e credo di non essere andato fuori tema, allora ritorno al mio punto interrogativo iniziale: se tutto ciò si realizzasse ci sarebbe ancora spazio per questa figura sulla quale noi stiamo discutendo, sulla quale stiamo riflettendo e che molti vogliono che si realizzi anche nel nostro ordinamento? Io sono sempre convinto del fatto che il policentrismo istituzionale di controllo è sempre un bene per la democrazia ed allora quale potrebbe o dovrebbe essere la linea di tendenza, lo spazio di costruzione? Dovrebbe essere quella di costruire degli strumenti istituzionali capaci di porsi come segmenti di un modo nuovo di governare le istituzioni di restrizione. È utopia? Io credo che insieme a tanto disincanto che ho seminato lungo queste riflessioni e provocazioni in fondo resti sempre un po’ di utopia perché senza utopia non si può vivere. Vi ringrazio.

 

Patrizio Gonnella

 

Ringraziamo il Prof. Franco Maisto. Chiudiamo qui e ci rivediamo nel pomeriggio.

 

 

 

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