Sangiorgio

 

CONVEGNO

"Difesa di ufficio e gratuito patrocinio: una difesa effettiva?"

21 settembre 2001 ore 9.00 presso la Casa di Reclusione di Padova, via Due Palazzi, 35/A

 

Avv. Luigi Pasini

 

Ringrazio il Dott. Anastasia, come sempre una relazione piena di spunti e interesse. Ringrazio tutti i relatori, siamo perfettamente nei termini, io credo che Lauretta Sangiorgio può cominciare, dopodiché mangiamo e subito dopo possiamo fare un dibattito. Durante la pausa pranzo, approfittiamo anche per fare un elenco degli interventi, che io possa poi rispettare quando ricominceremo.

 

Avv. Lauretta Sangiorgio (Camera Penale del Piemonte e Valle d’Aosta)

 

Intanto, buongiorno. Sono molto grata alla Camera Penale di Padova che mi ha invitato e mi ha consentito di essere qui, più che per esporre quello che può essere il mio punto di vista, in ordine all’effettività della difesa, in relazione alle due nuove normative che sono entrate in vigore nella primavera scorsa, per avere un confronto.

Un confronto che, già ho visto, è pieno di spunti positivi; perché ho potuto prendere contatto, ad esempio, con la redazione del giornale Ristretti Orizzonti, perché ho parlato con alcuni colleghi, ho parlato con alcuni operatori.

Ho visto il lavoro che i colleghi di Padova, unitamente alla redazione della rivista, hanno preparato e condotto in ordine alla predisposizione di quel manuale cosiddetto di "sopravvivenza", per i primi ingressi in carcere. Un lavoro su cui anche la nostra Camera Penale (io appartengo a quella del Piemonte e Valle d’Aosta) sta lavorando: aveva già predisposto un libretto, una decina di anni fa, che poi è diventato obsoleto e adesso, sollecitata anche dall’entusiasmo dei colleghi padovani e del fermento che si svolge in questo carcere, ha ripreso questo tipo di attività.

Detto questo, devo anche dirvi che sono in estremo imbarazzo, non tanto perché il Presidente mi ha dato il ruolo di aperitivo, perché ha detto "Subito dopo… a mangiare", quanto per il fatto che non so se sono più capace di esporre, seppure a braccio, quello che avrebbe dovuto essere il contenuto della mia relazione, atteso i numerosissimi spunti di discussione e le sollecitazioni che mi sono pervenute, come credo a tutti voi, dagli interventi che mi hanno preceduta.

Devo dirvi che, pensando a queste due leggi e al titolo di quest’incontro nostro di oggi, mi è venuto subito in mente che la cosa più importante, che ho recepito da questo e che avrei voluto fosse un leit motiv del mio intervento e anche un obiettivo che dovremo porci come avvocatura, insieme agli altri operatori del diritto, è che queste due leggi, che hanno corredato quella che è stata la battaglia dell’avvocatura sociale rispetto al giusto processo, perché sono state un modo per rendere il giusto processo "uguale", per tutti e non solo per coloro che avevano le possibilità economiche di accedere agli strumenti che le nuove normative procedurali ci hanno consentito di attivare.

Ecco, vi dicevo, tutto questo pensato per dire che è ora d’aumentare il tasso di cultura e di sensibilità della legalità, quando "legalità" non vuole dire solo e semplicemente una applicazione piatta di quella che è la normativa procedurale che sempre utilizziamo nello svolgimento del nostro lavoro: il Codice di procedura, il Codice deontologico, la Costituzione, tutte le altre fonti del Diritto, che ci pervengono non tanto in quanto i contenuti, ma quanto al modo di porci.

Ma, crescita della cultura della legalità, per una crescita di sensibilità del ruolo dell’avvocato. Ha ragione il dottor Tamburino quando dice che, sicuramente, il ruolo dell’avvocato è un ruolo che va cambiando nel senso che, diventa ancor più responsabile.

Allora, è triste pensare che prima non lo fosse, ma sicuramente deve diventare, adesso, l’obiettivo quello di dire che l’avvocato, non inteso come persona fisica, ma l’avvocato come "ruolo" che rappresenta, l’avvocato come "funzione" che svolge, è una persona che deve avere, intanto e prima di tutto. il massimo rispetto di se stesso, del proprio ruolo, e pretenderlo dagli altri.

E dico questo perché mi sembra che la nuova normativa, "le nuove" (e parlo al plurale, perché sono due: la difesa d’ufficio e gratuito patrocinio) normative sono un buon strumento, perfettibile (ha ragione Anna, quando dice, poi lo vedremo insieme, in alcuni rapidissimi passaggi, che ad esempio nella fase dell’esecuzione vi è una carenza grande, soprattutto rispetto la difesa d’ufficio).

In ogni caso, impariamo ad usarle e impariamo a pretendere, però, che queste almeno vengano applicate. Impariamo a chiedere che i dieci giorni che il magistrato ha per decidere in ordine all’istanza, siano dieci giorni che rispetta, perché è vero (e lo sanno i colleghi, ma lo dico per chi, invece, collega non è) che il magistrato ha un termine di dieci giorni per ammettere la vostra domanda di patrocinio a spese dello Stato.

È un termine che, si dice, non è più "ordinatorio", perché se non lo rispetta si applica poi l’art. 179 del Codice di procedura penale, che è quello che prevede la nullità assoluta: abbiamo tutti pensato alla lettera C, perché viene a mancare il diritto di difesa. È vero, ma se passano sei mesi, prima che vengano compiuti, da parte dell’ufficio, atti, la norma non ha di fatto nessun tipo di rilevanza, per l’ufficio.

Ha rilevanza per l’assistito e per il difensore, che ancora non sa se sarà ammesso, e non sa se potrà quindi conseguentemente attivare, coinvolgendo nella sua attività, altre persone, attivare ad esempio indagini difensive, quindi chiedere all’investigatore, all’interprete, al sostituto, che si fidino e che sperino che le condizioni che lui riteneva consentissero l’ammissibilità, effettivamente lo ammettono. Questo è soltanto un esempio per dire che, deve aumentare il loro grado di cultura e di sensibilità alla legalità e una maggiore consapevolezza della pienezza dell’importanza del nostro ruolo, perché dobbiamo pretendere.

E, guardate (lo dico ai colleghi, espressamente, adesso), non dobbiamo neanche avere timore del fatto che, quando siamo insistenti nella pretesa che venga riconosciuto un diritto del nostro assistito e lo assistiamo attraverso il patrocinio a spese dello Stato, vedano in noi, a volte, non solo la funzione, ma anche la bottega… perché purtroppo accade anche questo.

Va detto, io porto un’esperienza che non è ovviamente quella padovana, perché vivo e lavoro altrove, ma l’esperienza mia e dei colleghi che operano in Torino (ma credo che sia un’esperienza diffusa), è quella di sentirsi a volte in difficoltà, perché dall’altra parte, il nostro interlocutore, (che poi è l’ausiliario del Giudice, al quale per la ventesima volta ti sei rivolto per chiedere se l’ammissione c’è stata, o per chiedere la copia degli atti e spiegare, prima della novella normativa, che il bollo e la marca non andava), lo vedi, leggi nella battuta, nel dire che non è ancora pronto il decreto, oppure quando si va a vedere se c’è stato una liquidazione e sentirsi dire che… insomma, ci sono cose più importanti da fare… non vedono in te una persona che ha svolto il lavoro del difensore ed è stato "la difesa", ed ha rappresentato un diritto costituzionalmente garantito nell’ambito di un rapporto cittadino - amministrazione della giustizia: vedono la bottega.

E, allora, un aumento della cultura della legalità, significa che tutti gli operatori, gli avvocati in primis, e poi i magistrati e poi gli imputati e poi tutti coloro che, comunque, con vesti e funzioni diverse operano perché il sistema giustizia, sia un sistema che si evolve verso quella che è l’attuazione del giusto processo, devono acquisire maggior consapevolezza dell’importanza del ruolo della difesa.

Perché (e diceva bene il dottor Anastasia), in effetti, è il ruolo della difesa quello che poi garantisce la pretesa giudiziale dell’attuazione del diritto, perché senza la difesa questo non è possibile; e soltanto attraverso la presenza di una difesa tecnica che, ripeto, l’attuazione del diritto soggettivo qualunque essa sia può avere una risposta di natura giurisdizionale.

Le leggi, sono leggi che sono state esposte dal collega che prima ha fatto una lunga disamina sul modo in cui sono state novellate, e sono leggi che sicuramente, come diceva la collega Alborghetti, anche se perfettibili, consentono delle cose in più, consentono di essere sostituiti entrambi, sia come difensore di gratuito patrocinio, sia come difensore d’ufficio, consentono il termine di difesa per il difensore d’ufficio, consentono di essere finalmente certi che quelle spese, che lo Stato ha sostenuto per la difesa (che è stata retribuita attraverso un patrocinio a spese dello Stato), non siano più ripetibili.

Questo è un punto importantissimo, credo voi sappiate (o forse no perché la vostra Corte d’Appello non ha mai agito in questo senso, ma quella torinese sì: si erano poi mosse Genova, Perugia e Roma, e anche più pronunce della Corte di Cassazione) che si era aperta una querelle, con esiti rovinosi, prima della novella legislativa, perché si era ritenuto con interpretazioni scandalose, dal mio punto di vista, di circolari ministeriali, che le spese anticipate dallo Stato e si sottolineava "anticipate", per il patrocinio appunto, fossero proprio soltanto "anticipate" e quindi che, alla fine all’esaurimento del processo, al condannato (e non della persona assolta e, quindi, si faceva anche qui una distinzione), venisse richiesto, da parte dello Stato, la ripetizione delle stesse per averle lo Stato semplicemente anticipate.

Questo è accaduto, addirittura, in casi di patteggiamento, ed è questa nuova legge che ha consentito di porre chiarezza. È stato un aspetto scandalistico, tanto che nell’ultima Commissione senatoriale, che ha poi dato il via a febbraio alla legge, la senatrice Scoppelliti, si è fatta carico di un impegno verso il Governo, perché ha ritenuto che non fosse sufficientemente chiaro che lo Stato non poteva comunque in nessun caso ripetere quelle spese, una volta ammesse, una volta ritenuto tra l’altro che permanesse uno stato d’incapacità a corrispondere da parte del condannato e, per conseguenza, la senatrice Scoppelliti ha chiesto che il Governo si impegnasse a fare in modo (unita poi al senatore Fassone) che la nuova normativa potesse essere chiara in tutti i suoi punti e che le circolari interpretative in questo senso venissero inviate al Ministero di Giustizia.

Il problema reale di questa legge, dal mio punto di vista, laddove ritengo non sia sufficientemente sensibile a quella cultura della legalità che vi ho detto, è duplice.

Da un lato c’è un problema di applicazione della legge sul gratuito patrocinio, alle persone che sono state imputate, io dico anche condannate (e, quindi, quando parlo di condannate, parlo poi di persone che hanno il regime di 41 bis) per reati previsti dall’art. 53 ter del Codice di procedura penale. È un sistema di doppio binario anche quando si parla di difesa, a questo punto perché, dice la legge, che quando si procede per reati particolarmente gravi, e si riferisce ai reati associativi, in particolare modo al sequestro di persona, in questi casi sarà possibile ammettere al beneficio solo e soltanto quando, acquisite relazioni a parte dalla D.I.A. o D.N.A. ci sarà tranquillità un ordine al fatto che non ci sono stati proventi di attività illecite.

Io dico questo: intanto, se non vi sono stati proventi da attività illecite, questi devono essere oggetto di sequestro, perché siamo nell’ambito di un procedimento penale. Se vi sono attività collaterali, deve essere possibile (e la normativa antimafia lo consente) arrivare al loro sequestro. Sono persone indagate (parliamo adesso di indagati e di imputati), sono persone che non sono ancora state ritenute responsabili, sono persone che si trovano a dover rispondere di reati particolarmente gravi, e succede quindi la cosa strana per cui, maggiore e più grave è il reato, minore a questo punto, anche rispetto all’istituto della difesa (perché il doppio binario esiste già proceduralmente per un sacco di altri istituti), viene diminuita la possibilità. Sono persone in genere sottoposte a processi costosissimi.

Voi sapete, credo, e se non lo sapete ve lo racconto io, perché appartengo al Foro in cui questo è accaduto, che proprio rispetto al gratuito patrocinio nell’ambito dei maxi processi, vi fu un processo che scosse molto l’opinione pubblica torinese in ordine al costo della difesa: un maxi processo, che durò la bellezza di tre anni e mezzo, con imputazioni elevate (si andava dal 416 bis, ad un articolo 74 della legge sugli stupefacenti, oltre agli omicidi), nell’ambito del quale almeno cinquanta imputati vennero ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

Ebbe un costo questo processo, elevato anche per la difesa, perché tre anni e mezzo in Corte d’Assise fecero sicuramente lievitare l’importo degli onorari richiesti e liquidati. E questo fu oggetto di articoli di cronaca scandalistica, fu oggetto di esamina da parte ispettori ministeriali.

Si dimentica di dire, però, ed è qui che torno a pensare alla cultura della legalità quando che anche la difesa è anche parte del processo, che se un giudice ha voluto un processo "maxi", quando il nostro codice, di fatto, non li prevedeva più, se ha rigettato la richiesta dei difensori di scorporo di alcune posizioni, ma ha voluto tenere tutto insieme perché i collaboratori di giustizia (lo sappiamo bene, noi che questo lavoro lo facciamo) meglio se vengono sentiti una volta sola, per evitare il logoramento della reiterazione delle risposte in ordine agli stessi temi.

C’era un problema di connessione di prova e il giudice ha deciso, il giudice lo ha voluto, la Procura l’ha impostato e l’altra parte di un processo qual è? La difesa? E la difesa c’è stata e la garanzia della difesa è stata attuata e la garanzia della difesa ha avuto un costo, esattamente come sono costate tre anni e mezzo di udienze in una maxi aula, con scorte che arrivano da ogni dove, con i collegamenti con carceri lontane, attraverso i video che un po’ funzionavano e un po’ no, con le registrazioni, con una Corte d’Assise doppia, con tutto quello che è stato.

Ma perché scandalizzarsi per il costo della difesa? E, allora, questo secondo me è sintomatico. E torno a dov’ero prima: la cultura della legalità che è cultura anche della presenza necessaria della difesa.

E di qui arrivo a quello che Anna ha già anticipato rispetto invece a mandato dell’esecuzione della pena che è, secondo me, l’altro neo della legge, unitamente a quello cui ho brevemente fatto cenno. Il momento dell’esecuzione è, lo hanno detto tutti, un momento delicatissimo, perché è il momento in cui si attua quella che è stata la finalità del processo laddove ha ritenuto la responsabilità di una persona e ha applicato una pena.

Dicevano illustri giuristi che gli articoli 3 e 24 della Costituzione non è che si applicano soltanto "nel" e "per" il processo e sono stati inventati "nel" e "per" il processo. La difesa è una difesa che deve accompagnare tutto il rapporto che il cittadino ha in quella che è stata la conseguenza del suo rapporto con la giustizia penale, che lo ha portato ad una condanna e, quindi, ad una espiazione di una pena.

I problemi sono molti, rispetto all’esecuzione della pena: ve li accennerò rapidissimamente, perché l’aperitivo comincia ad essere lungo e mi fanno dei cenni. Intanto, sul gratuito patrocinio, vorrei dire questo: ammesso che ci sia la possibilità di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato (scusate la ripetizione cacofonica), diventa drammatico il fatto che una persona condannata, con un fine pena a volte importante, deve reiterare ogni volta, non soltanto la nomina del difensore, ogni qualvolta che si rivolge al Magistrato di Sorveglianza, ma anche ovviamente la richiesta di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Un’idea, che avevo pensato con i colleghi torinesi, e che proveremo a proporre al Magistrato di Sorveglianza e agli Uffici matricola delle varie carceri che si trovano nell’ambito del Distretto, è che intanto l’Ufficio matricola trattenga nella cartella della persona detenuta (così come ha tutti gli elementi che gli consentano di individuare, ogni qual volta si chiede il colloquio, se sei davvero ancora il suo difensore, o se non ne ha nominato un altro) quello che è stato il primo provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e che nei rapporti successivi che il detenuto avrà con la Magistratura di Sorveglianza sia sufficiente al detenuto stesso, nel momento in cui reitera un’istanza, dire: "Sono già stato ammesso al patrocinio dello Stato, autocertifico che non si sono modificate le mie condizioni di reddito e, pertanto, fate riferimento a quel provvedimento".

Perché questo consentirebbe di snellire molto di più la procedura, non sarebbe necessario per il magistrato, ogni volta, tra l’altro, emettere un nuovo provvedimento. E il difensore che, a quel punto, ha chiaramente un rapporto di fiducia con i propri assistenti, è un difensore che sa che tutta l’attività che sta svolgendo, comunque sarà in qualche modo non solo considerata ma anche riconosciuta (nel momento in cui dovesse essergli riconosciuta) valida, utile, proficua e pertanto liquidabile in una parcella.

Io penso però, e qui faccio una proposta che dovrebbe essere oggetto, credo, di una novella normativa, esattamente come quelle che fa proposto la collega Alborghetti che, perché effettivamente il difensore nella fase dell’esecuzione (il difensore della persona ammessa a gratuito patrocinio a spese dello Stato) sia sovrapponibile a quella di fiducia, sia il giudice dell’esecuzione a doversene occupare.

Mentre Anna parlava, prima, io pensavo che non è vero il primo difensore di ufficio che viene nominato alla persona detenuta, al condannato, è il difensore che viene nominato dal Magistrato di Sorveglianza alla fissazione della prima Camera di Consiglio, perché è il difensore che obbligatoriamente viene indicato nel provvedimento di esecuzione della pena.

Allora, se è possibile applicare la sospensione della pena, perché è una pena che l’articolo 556 del Codice di procedura penale consente essere sospesa, ci sarà un rapporto fiduciario tra la persona libera e quel nome, oppure altri, che liberamente sceglierà.

Ma se invece questa persona si trova detenuta e riceve un cumulo o un altro provvedimento, allora "quello" è il suo difensore, perché l’ufficio "quello" ha indicato. E c’è anche un giudice, ce lo dice il Codice qual è questo giudice: è il giudice dell’esecuzione. Non è semplicissimo, però è chiaro che solo in questo modo effettivamente vi sarebbe la sovrapposizione tra quello che è il difensore di fiducia, che ha seguito la fase di merito, che viene comunque incaricato all’inizio dell’esecuzione, e il difensore che invece viene ammesso e assiste, attraverso il patrocinio a spese dello Stato, perché a quel punto, ammesso una volta, insomma, semel admissus semper, si può dire.

Così come per il difensore d’ufficio, che dovrebbe a questo punto essere sensibilizzato da tutto il lavoro che gli Ordini e le Camere Penali faranno, rispetto ad un ruolo nuovo, e dovrebbe quindi essere, non soltanto autorizzato ma in dovere di un primo colloquio con il proprio assistito, per verificare se vi sono le condizioni, quali sono le condizioni, come si svolge la difesa, se la sua presenza, non come persona fisica ma come difensore, ha un senso e una ragione di essere.

E torno all’ipotesi della sorveglianza (quindi torno all’ipotesi della necessità di essere sensibili rispetto al proprio ruolo) del difensore d’ufficio davanti al Tribunale di Sorveglianza. È vero che (lo diceva prima Anastasia), molto spesso, il condannato, davanti al Tribunale di Sorveglianza ha una posizione quasi prona. È drammatico, lo dico io e me ne assumo tutta la responsabilità, vedere che a volte anche il difensore d’ufficio ha una posizione co-prona, nel senso che il difensore d’ufficio, di fianco al proprio insistito, davanti al Tribunale di Sorveglianza, "insiste", "si rimette", "si dimentica…" e non fa altro.

Questo è dato da mille ragioni, non ultimo forse il fatto che, effettivamente, è talmente discrezionale potere che ha il Magistrato di Sorveglianza, ancorato a degli elementi così discutibili da un collegio all’altro addirittura dello stesso tribunale, che diventa difficile.

Ma, attenzione, pretendere l’applicazione della procedura, no, e allora, almeno, che questo difensore d’ufficio si preoccupi di verificare le notifiche, la corretta verbalizzazione, l’audizione dei testi, anche soltanto i collaboratori della Comunità che l’hanno accompagnato; si preoccupi di vedere se è un’udienza il rinvio, se il collegio precedente era entrato nel merito ed era lo stesso rinvio, perché la procedura invece non è mai discrezionale.

Vorrei dirvi mille cose ma taccio e mi fermo, perché ormai anche gli afrori arrivano mi impediscono di continuare, perché so che, aldilà della presunzione di poter essere stata interessante, ormai sarebbe una battaglia persa. Volevo solo ricordare questo, a chi ascolta: che l’Unione delle Camere Penali, attraverso poi ciascuna delle Camere Penali, è stata chiamata dalla stessa legge, questa volta, ad essere la responsabile di quella crescita professionale e di quella idoneità che il difensore d’ufficio deve avere e che in un programma, che è un programma che tutte le camere penali utilizzeranno, salvo poi poter apportare autonomamente modifiche, ma che è incentrato proprio sulla deontologia del difensore, sono inserite appositamente lezioni che si occuperanno di esecuzione e di deontologia del difensore d’ufficio.

Questo lo dico per il relatore che mi ha preceduta e lo dico perché credo che sia, come avvocatura associata, colto, attraverso l’ausilio dei Consigli dell’Ordine, questo segnale che ci arriva, non soltanto dal legislatore, ma del rapporto con i nostri assistiti, che la necessità che il tasso di legalità si alzi. Grazie.

 

Precedente Home Su Successiva