Antonio Mumolo

 

Antonio Mumolo

 

Il progetto “Avvocato di Strada” è nato a Bologna alla fine del 2000, all’interno di una associazione che si chiama “Amici di Piazza Grande”.

Piazza Grande è un giornale, uno dei primi giornali nati in Europa gestito direttamente da senza fissa dimora: è un giornale che è venduto per strada proprio da senza fissa dimora e quindi è anche un mezzo di sostentamento per loro. Proprio per sostenere questo giornale è nata questa associazione, con l’idea di creare un gruppo organizzato che potesse offrire tutela legale gratuita alle persone senza fissa dimora.

L’associazione nasce nel 1994, mentre il progetto viene presentato nel 2000; fino a quel momento con alcuni colleghi, volontari, soci di Piazza Grande, avevamo già provveduto ad offrire tutela legale gratuita, ma in maniera disorganizzata: non poteva continuare in questo modo, perché poi le cause diventavano tante e il lavoro eccessivo. Abbiamo pensato quindi di provarci con un vero gruppo di persone che si occupasse della tutela giuridica – e anche giudiziaria – delle persone senza fissa dimora; tra l’altro, in un momento particolare per Bologna e forse anche per l’Italia, cioè un momento in cui c’erano più denunce da parte delle persone senza fissa dimora rispetto ad abusi compiuti dalle forze dell’ordine o da singoli cittadini. Un momento in cui le persone senza fissa dimora vivevano la loro condizione in maniera particolare, si sentivano disprezzate, si sentivano come se si trattasse di una colpa e non di una condizione che potrebbe capitare a chiunque di noi.

Così abbiamo pensato di creare questo gruppo organizzato, ed è nato il progetto “Avvocato di strada”. Il gruppo “Avvocato di strada”, composto da una serie di legali e di volontari anche “cittadini comuni”, offre tutela giuridica gratuita a tutte le persone senza fissa dimora nel territorio di Bologna e anche fuori, perché spesso ci sono questioni che si svolgono  in altre città d’Italia; noi gestiamo la procedura e poi eventualmente chiediamo la collaborazione di un collega in altre città d’Italia. Prevalentemente, però, operiamo a Bologna.

Il progetto non è solamente questo: tra i nostri obiettivi c’è anche il tentativo di offrire una banca dati sulla povertà, di provare a scrivere e pubblicare dei libri che si occupino del problema delle persone senza fissa dimora, prevede anche lo studio e l’approfondimento del diritto della povertà. Noi abbiamo iniziato in due, è stata proprio una scommessa, un tentativo: eravamo io, che mi occupo di diritto civile, e una collega che si occupa di penale. Abbiamo iniziato in due, però dal momento in cui abbiamo presentato il progetto pubblicamente sono iniziati immediatamente ad arrivare dei volontari; questo per dire a coloro che intendono aprire uno sportello che appena si presenta pubblicamente il progetto i volontari arrivano, che siano avvocati oppure cittadini comuni interessati ad aiutare la nascita e la crescita di un progetto del genere.

Noi ci vedevamo all’inizio una sola volta alla settimana, con le prime forze era inevitabile; poi abbiamo cominciato a incontrarci due volte alla settimana perché man mano il gruppo si è ingrossato e c’era più disponibilità. Poi, visto che continuavano ad arrivare colleghi con la voglia di partecipare a questa esperienza, abbiamo iniziato a ricevere anche nei dormitori, perché ci sono persone che - per una serie di problemi - non si spostano dai dormitori per venire agli sportelli. Oggi riceviamo in due dormitori di Bologna oltre che al nostro sportello, un giorno alla settimana di civile e un giorno di penale.

Man mano che è passato il tempo ci siamo anche organizzati in maniera diversa; noi siamo organizzati come un vero e proprio studio legale: come si fa per ogni cliente che arriva in uno studio, c’è un modulo sulla privacy, c’è un archivio organizzato esattamente come in uno studio legale, c’è una segreteria che prende gli appuntamenti. Tra l’altro, abbiamo una segreteria che funziona 24 ore su 24: nel momento in cui non c’è la persona che si occupa della segreteria, c’è una segreteria telefonica che dà un numero di cellulare sempre attivo al quale noi rispondiamo; quindi praticamente lo sportello funziona sempre. Questo grazie al fatto che man mano abbiamo organizzato tutta una struttura interna, per arrivare ad oggi: siamo 25 volontari allo sportello, con un carico di lavoro che sinceramente non è eccessivo perché riusciamo a far ricevere ogni volontario una sola volta al mese; l’organizzazione è fatta in maniera tale che chi riceve gestisce anche le pratiche e continua ad occuparsene. Però abbiamo anche altri 30 colleghi a Bologna che non vengono allo sportello ma si sono offerti di fare per noi una o due cause l’anno gratuitamente; e questo è importante anche per chi si deve organizzare: non è importante solo che si trovino tanti colleghi che ricevono allo sportello, ma conta anche questo livello, trovare dei colleghi che non hanno il tempo, la voglia o la possibilità di partecipare ad un’attività del genere, però una causa gratis all’anno la possono fare. Di queste persone ne trovate tante e questo è importante; quindi, ci sono due livelli: il primo è la partecipazione diretta, l’altro la partecipazione indiretta al progetto che però serve.

Quindi, adesso siamo 25 e abbiamo aperto ad oggi circa 400 pratiche; tutte le pratiche sono archiviate, e sono archiviate non solamente con i dati principali degli utenti ma anche sulla base del tipo di causa o del tipo di attività che è stata svolta: civile, penale, amministrativa, più alcune altre indicazioni. Questo perché nel momento in cui si deve poi verificare l’attività svolta, quali sono le tipologie delle persone che sono arrivate, quali sono le questioni che si affrontano più di frequente, abbiamo la possibilità di farlo più facilmente grazie a questo archivio.      

Un’altra cosa che noi abbiamo fatto, e che consiglio di fare  nel momento in cui venga avviata un’esperienza del genere, è quella di creare una rete con i centri diritti che ci sono già sul territorio. Noi a Bologna, per esempio, per quanto riguarda gli immigrati abbiamo un centro stranieri che funziona benissimo, ci sono degli avvocati e dei volontari che si occupano di immigrazione. Non serve replicare esperienze del genere, è importante stringere degli accordi. Si deve quindi creare un rapporto con i centri diritti del territorio; noi per esempio ci siamo accordati anche con le associazioni di consumatori, o con la Cgil per quanto riguarda le cause relative al diritto del lavoro. Quindi, fare in modo di coinvolgere i centri del territorio che si occupano di determinate questioni, se esistono già: non serve fare noi una causa di diritto del lavoro se già c’è un sindacato che dice ‘lo faccio gratis e lo fa con una certa cognizione di causa, ha i suoi legali di riferimento. È più importante coinvolgerlo, sfruttare le possibilità che ci sono, e magari fare in prima persona le cause per degli utenti quando non ci sono altre possibilità.

Per quanto riguarda i casi di cui ci siamo occupati più di frequente, la prima questione è quella che deve essere affrontata in ogni città – e per la quale noi ovviamente diamo la massima disponibilità: la residenza. La prima persona che si è presentata allo sportello a Bologna viveva da due anni in un dormitorio e il Comune di Bologna non le concedeva la residenza, e senza la residenza una serie di diritti fondamentali sono negati. Rispetto a questo, noi abbiamo fatto una causa pilota contro il Comune di Bologna, e abbiamo vinto, il giudice ha ordinato al Comune di Bologna di concedere la residenza a questa persona. Ovviamente era una causa pilota, e questo significa che dopo la vittoria di questa causa il Comune ha dovuto concedere la residenza ad altre 400 persone senza fissa dimora, che è una cosa fondamentale.

La nostra esperienza quindi insegna che la prima battaglia da fare sul territorio è quella relativa alla residenza. Bisogna infatti tenere presente che la residenza è un diritto del cittadino, indipendentemente dal fatto che viva o meno in un dormitorio; in questo caso gliela abbiamo fatta prendere al dormitorio, gli abbiamo fatto prendere la residenza pure per strada, anche in macchina quando uno ce l’ha richiesto. Ogni città ha una via – a Bologna è “via Senza Tetto” – dove il Comune deve concedere la residenza alle persone che non hanno una casa. Perciò questa è stata la prima causa ma anche una delle cose più importanti. Tra l’altro l’interpretazione restrittiva in merito al diritto di residenza non è una cosa che nasce a Bologna, o che c’è solamente a Bologna; quindi questa è sicuramente una delle cose che bisogna fare.

L’altra questione di cui ci siamo occupati - ed è uno dei problemi che sono più duri e più difficili da affrontare - è quella relativa ai minori figli di persone che vivono per strada e magari hanno problemi di tossicodipendenza o di alcolismo. Che cosa c’è per questi bambini? Normalmente sono seguiti dai servizi sociali e poi il Tribunale invia una comunicazione  di adottabilità. Noi ci siamo battuti in due casi perché abbiamo pensato che certamente il minore non può vivere in una condizione del genere di quella di chi vive in strada, però i genitori spessissimo – anzi sempre – propongono che i minori vadano a vivere con qualcuno della famiglia, anche perché i genitori normalmente in questi casi intraprendono un percorso, spesso di comunità. E intraprendere un percorso sapendo che alla fine di questo percorso la persona riavrà i suoi figli forse rappresenta uno stimolo, mentre al contrario se i figli sono stati adottati questo diventa un altro elemento negativo che spesso impedisce di risolvere la loro situazione. In tutti e due i casi abbiamo dovuto supportare i genitori dal punto di vista della tutela giuridica, e in tutti e due i casi siamo riusciti a fare in modo che i figli venissero dati in un caso alla sorella della madre e nell’altro caso ai genitori. Questa è un’altra delle questioni che ognuno di noi dovrà affrontare sul suo territorio ed è una delle cose più difficili, bisogna entrare in contatto con gli assistenti sociali, e infatti quando parlavo della rete includevo anche i servizi sociali del Comune.

È importante in ogni caso rapportarsi ai servizi sociali del territorio: in maniera utilmente amichevole o altrimenti dialettica o conflittuale, ma comunque rapportarsi, perché poi sono quelli con i quali bisogna parlare per risolvere determinate situazioni. Quello che ci piacerebbe davvero molto è che si costruisse uno sportello analogo al nostro in ogni città, pensando poi un domani a creare un coordinamento nazionale, che desse modo a tutti di confrontarsi continuamente, di allargare le iniziative di questo tipo e di dar loro più forza.

 

 

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