Franco Corleone

 

Franco Corleone

 

Sono state dette molte cose, sono stati toccati molti argomenti e si rischia di ripetere. Prima di andare via vorrei lasciarvi un messaggio su questo problema delle misure alternative, delle alternative alla pena che non è un gioco di parole, sono anche concettualmente due cose diverse. Io vorrei che si riflettesse su questo punto: quando devono essere concesse queste misure alternative? Io credo che il meccanismo dell’attribuzione, esclusivamente alla Magistratura di Sorveglianza, nel momento dell’esecuzione della pena, comporti, specialmente per molte pene brevi, un tempo irreparabile. Penso che ragionare anche su una contestualità della pena al momento del giudizio, se non si vuole darlo al momento del cognitivo, ma quanto meno contestualmente e parallelamente, potrebbe essere una importante innovazione.

Le persone che si trovano qui oggi hanno la caratteristica di essere irriducibili. Siamo irriducibili alla nostra pretesa di vuotare il mare col secchiello. Noi siamo convinti, tutto sommato, con l’ottimismo della volontà, che si possano risolvere i problemi anche del mare con strumenti poco adatti, voglio dire che questo è un rischio, mentre l’altro rischio è quello della pura ideologia.

Noi dobbiamo scegliere una via diversa che è quella della concretezza e fa parte di questo anche rispondere alla domanda: il sovraffollamento che cos’è? Che fenomeno è? Io penso che il sovraffollamento non sia la mancanza di brande o di celle, ma il fatto che ci sono troppi detenuti e se non affrontiamo questo nodo tutto politico, tutto di leggi, noi rincorreremmo questo sogno di vuotare il mare col secchiello, come una volta ha scritto con una frase molto bella Adriano Sofri. Oggi abbiamo una situazione di numero altissimo di detenuti in tutta Italia in molti istituti, e se venisse approvata la minacciata nuova legge sulle tossicodipendenze, che cosa accadrebbe nelle carceri italiane? E come continueremmo a lavorare per le misure alternative? Come teniamo assieme questi due momenti, quello della concretezza dell’intervento per difendere i diritti, le speranze, l’umanità, la Costituzione e contemporaneamente la consapevolezza che i detenuti sono tanti? Sono troppi per leggi criminogene, per leggi sbagliate, per leggi che sono pericolose per la sicurezza. Io penso che il ragionamento che dobbiamo fare non può nascondersi questo aspetto terribile per il futuro, perché sono minacce continue per il carcere.

Aveva scritto qualche anno fa il Cardinal Martini nel suo saggio sulla giustizia, che occorreva lavorare per togliere centralità al carcere. Questa bussola non possiamo dimenticarla, certo il carcere noi vogliamo tutti utilizzarlo come laboratorio di sperimentazione sociale, in un sogno di concretezza, ma dobbiamo anche ricordare che il carcere va superato come orizzonte. E ancora il Cardinal Martini scriveva che “in carcere occorrono progetti di austera risocializzazione”. Io mi sono arrovellato un po’ su che cosa volesse dire. Austera risocializzazione vuol dire creare nel carcere la dignità, e quando parliamo di diritti di detenuti vuol dire dare parole e soggettività a queste persone.

Ricordo che un giornale sul carcere fatto da Emilio Vesce, si chiamava “La domandina”, e fu scelta questa testata per denunciare il fatto che nel carcere si è meno e c’è un processo di riduzione al diminutivo complessivamente utilizzato. Si è meno persone, si fa la domandina, non si rivendicano i diritti. Ecco, allora io penso che dobbiamo partire da queste riflessioni nel ragionamento di oggi, molto importante per capire qual è la misura della detenzione per una democrazia. Io penso che noi dovremmo dire che, oltre un certo livello di democrazia, è in gioco il livello di convivenza e quindi di relazioni umane e quindi di democrazia.

Ma c’è un numero “ottimale” di detenuti in una società? Sarebbe artificiale probabilmente stabilirlo, però dobbiamo sapere che noi fra persone in carcere e persone in misura alternativa in Italia stiamo superando il numero di guardia. E non ci sono programmi di autentica risocializzazione perché non c’è l’attenzione possibile per gli operatori nel carcere, tutti gli operatori, e complessivamente per il mondo che se ne  occupa come luogo duro e invece noi ci occupiamo del carcere, nel carcere, troppo spesso si sono delle persone che in carcere non dovrebbero starci, e per quelle che per mille ragioni, finché non si inventa altro dovrebbero starci, spesso la chiave viene buttata e non si fa nulla.

Ecco, se il carcere in Italia fosse di 10-14mila persone invece delle attuali 56mila, beh, sarebbe una bella sfida applicare l’articolo 27 della Costituzione a 15.000 detenuti con caratteristiche forti! Noi dobbiamo allora capire la sicurezza sociale dove la si gioca, se c’è un’idea politica che la sicurezza sociale non deve entrare dal carcere, e bisogna giocarla nelle città, questo è un nodo irrisolto ma credo che meriti un riflessione che noi dobbiamo assolutamente fare per decidere come rispondere. Come diceva l’assessore Monciatti, se continuiamo a mettere in carcere quelli che in carcere non dovrebbero esserci, siccome la situazione esploderà, c’è la soluzione, ed è sempre nel progetto di legge Fini sulla tossico dipendenza, cioè la privatizzazione di strutture per certe componenti che in carcere non ci potranno più stare per ragioni fisiche di spazio. Allora noi avremo un carcere sovraffollato, la privatizzazione e nuove strutture carcerarie, beh insomma, è un quadro assai inquietante, io penso quindi che affrontare il tema dei diritti per quanto mi riguarda, significhi anzitutto chiedere il rispetto delle leggi che ci sono, per regolamento, e quindi non affrontare in termini di equivoca cogestione, ma richiamare l’amministrazione penitenziaria o altre amministrazioni, o la stessa Magistratura di sorveglianza, a rispettare i diritti, le leggi ed i regolamenti.

 

 

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