L'Opinione dei detenuti

 

Alcune riflessioni a proposito del caso Izzo

 

L’alto rischio che dopo tantissimi anni escano dal carcere persone pericolose dipende soprattutto dall’incapacità del sistema penale di osservare e di curare i detenuti, e non dalla lunghezza e dalla durezza delle pene

 

Stefano Bentivogli, Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Cosa c’entra il duplice omicidio addebitato ad Angelo Izzo con il dibattito sull’amnistia, l’istituto della semilibertà ed i benefici per i detenuti forse va spiegato meglio. Abbiamo leggi che sono veramente complicate da spiegare a chi con la giustizia non ha mai avuto niente a che fare, oltre a spiegarle andrebbero raccontate da chi le vive sulla sua pelle. Invece, in parecchi hanno colto l’occasione al volo per attaccare chi in favore dell’amnistia nei giorni scorsi - molto fugacemente - si era espresso. Angelo Izzo, condannato all’ergastolo per l’omicidio del Circeo, non ha mai beneficiato di amnistie perché questi provvedimenti non includono il suo tipo di reato. L’ultimo provvedimento di clemenza di questo genere, che risale al ‘90, interveniva su reati non gravi e con pene che non superavano i quattro anni di reclusione, quindi, come non ne ha usufruito allora, di certo non ne avrebbe usufruito con le proposte di legge fatte di recente. Per le pene già inflitte poi si dovrebbe parlare piuttosto di indulto, ossia di condono di parte della pena, ed anche qui, ammesso che il suo reato venisse incluso nell’eventuale atto di clemenza – eventualità abbastanza remota - occorre spiegare bene come tale condono agisca su una condanna all’ergastolo, il tristemente noto "fine pena mai". Nel ’90 il parlamento varò anche un indulto di due anni quindi: "fine pena mai" meno due anni. L’ergastolo ha altre vie d’uscita che non sono né l’indulto né l’amnistia, le due vie si chiamano grazia e liberazione condizionale, la prima può essere concessa teoricamente anche il giorno dopo la condanna; la seconda invece, nel caso di un ergastolo, dopo almeno ventisei anni di carcere e dopo aver verificato che il comportamento del detenuto sia stato tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento. La liberazione condizionale non è un automatismo, bensì discrezione del Tribunale di Sorveglianza.

Angelo Izzo ha ottenuto la semilibertà, cosa ben diversa dalla grazia e dalla liberazione condizionale, dopo circa trenta anni di carcere, anche se la possibilità di ottenerla c’era già dopo i primi venti anni scontati. L’unico del quale ho avuto la possibilità di leggere un commento, dove c’era il tentativo di mostrare più chiaramente la questione, è stato il criminologo Francesco Bruno che ha riportato l’attenzione sui problemi psichiatrici di Izzo e sull’incapacità del nostro sistema giudiziario e penitenziario di intervenire.

I trent’anni passati in carcere da questa persona sono pieni di tante cose: un tentativo di evasione, un’evasione, ripetuti tentativi di "collaborazione con la giustizia" rivelatisi poi strumentali alla concessione di benefici che pare non sia mai riuscito ad ottenere: una galera ordinaria nella quale non si è mai distinto né come buon "pentito per legge" né come detenuto modello.

Eppure le ricostruzioni fatte del delitto del Circeo sono inquietanti: il tipo di sevizie, i tempi nei quali sono state praticate, le modalità dell’omicidio, l’essere stati scoperti mentre "si facevano una pizza" perché una delle due ragazze – miracolosamente sopravvissuta – è riuscita a richiamare l’attenzione da dentro il portabagagli della macchina parcheggiata fuori dal locale. Un quadro che delinea forse delle personalità malate, e che invece sono state trattate nella fase giudiziaria solo come dei criminali comuni. E di questi casi ce sono tanti, Bruno ha ragione, se ne stanno nelle nostre disastrate galere dove è difficile garantire l’assistenza sanitaria ordinaria, l’osservazione scientifica della personalità, figuriamoci i trattamenti e l’assistenza psichiatrica.

 

Occorre cominciare a farsi carico in maniera diversa della sanità mentale in carcere ed anche fuori

 

Sono purtroppo ricorrenti i casi di omicidi particolarmente efferati che in sede processuale vengono esentati da perizie psichiatriche attente, perché si vuole a tutti i costi evitare l’ammissione di attenuanti che vadano a diminuire l’entità della pena. Il risultato è il fioccare di ergastoli, o comunque di pene molto alte, che sembrano solo rispondere all’emozione che questi delitti provocano nel "comune sentire". Spesso poi, quando invece le perizie vengono eseguite, l’esito è la dichiarazione di "personalità gravemente disturbata" che è un buon sistema per riconoscere comunque la piena capacità di intendere e di volere e quindi la punibilità "ordinaria", quella del carcere normale.

Il risultato è che la pena, breve o lunga che sia, viene scontata in maniera uguale a chi è in galera per rapina o furto, senza quindi che sia prevista una particolare attenzione alla condizione psichica.

Da un lato quindi il bisogno perverso di rifilare ergastoli per far contenta la folla, dall’altro la psichiatria che, con la sua necessità di catalogare scientificamente, finisce per far perdere il buon senso della realtà. Troppi delitti assurdi diventano normali azioni dettate dalla malvagità umana, lucide scelte di uomini cattivi, solo perché il livello delirante del reo non ha quei connotati tecnici per i quali si può parlare di follia pericolosa, di malattia mentale, di una cosa che non basta punire spietatamente ma che occorre studiare e curare.

Quindi non capiamo veramente il senso delle dichiarazioni di chi si scaglia contro i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, perché la semilibertà, l’affidamento e in generale le misure di attenuazione del regime detentivo puro, sono i capisaldi di una riforma – purtroppo in gran parte non applicata – che contiene elementi di civiltà riconosciuti ed apprezzati a livello internazionale.

Occorre invece cominciare a farsi carico in maniera diversa della sanità mentale in carcere ed anche fuori, sono troppi gli omicidi e gli atti di violenza efferati, compiuti anche a danno di familiari, con moventi incomprensibili, nei confronti dei quali si continua a porsi in maniera solo emotiva oppure col secondo fine di far regredire il sistema penale. L’alto rischio che dopo tantissimi anni escano dal carcere persone pericolose dipende soprattutto dall’incapacità del sistema penale di osservare e di curare i detenuti e non dalla lunghezza e dalla durezza delle pene. È una questione di buon senso che alla fine deve comunque prevalere sulle emozioni del momento.

 

 

Precedente Home Su Successiva