Articolo Ferdinando Imposimato

 

Difendiamo le lotte sociali dal codice penale

di Ferdinando Imposimato (ex magistrato)

 

Liberazione, 21 maggio 2005

 

Con l’aggravarsi della crisi economica, la contestazione sociale si è inasprita dovunque. Migliaia di cittadini senza reddito o con redditi ai limiti della sopravvivenza hanno fatto ricorso a forme di protesta radicale per vedere riconosciute esigenze essenziali di vita. Sono scesi in campo gli sfrattati, i senza casa, i disoccupati, i precari, gli studenti, le vittime dell’inquinamento ambientale. Che hanno rotto il silenzio e l’indifferenza del sistema con azioni di massa. Nella speranza di vedere finalmente attuati quei diritti che la Costituzione definisce come inalienabili: il lavoro, la salute, la casa, una retribuzione adeguata, un ambiente sostenibile, una scuola gratuita, servizi efficienti nel trasporto e nella sanità.

Una massa di disperati che reclamano da tempo inutilmente "l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale" affermati dalla Costituzione. E che sperano di vedere finalmente rimossi "gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori" alla vita del paese. Diritti naturali irrinunciabili che una riforma eversiva vuole cancellare.

Questi cittadini, spinti da bisogni estremi, hanno attuato forme di lotta eclatante, rifiutando di abbandonare gli alloggi, bloccando strade e ferrovie, occupando edifici disabitati e stazioni ferroviarie e decidendo l’autoriduzione nei supermercati. In tal modo hanno violato il codice penale. Decine di processi sono stati avviati in tutta Italia per interruzione di pubblico servizio, invasione, danneggiamento, violenza, blocco stradale, rapina ed associazione per delinquere.

Per i promotori delle azioni di lotta sociale non vi è stata indulgenza. Per i reati loro attribuiti, il codice prevede pene molto severe, sproporzionate rispetto ai beni tutelati. Pene coerenti con gli interessi contingenti del momento storico in cui furono concepite: il fascismo.

Si tratta di reati che fanno parte di un codice penale figlio di quell’epoca, che da cinquanta anni è rimasto quello che era. Mentre occorreva ancorarlo ai principi solidaristico sociali sanciti dalla Costituzione. Adeguando le varie fattispecie alla nuova realtà e le sanzioni a nuove esigenze di risocializzazione e a nuove scriminanti. E seguendo quell’orientamento della giurisprudenza più avanzata secondo la quale il diritto penale, il carcere, la pena devono essere l’estrema ratio nel sanzionare nuove forme di agire sociale.

Il sistema penale vigente è in netto contrasto con i principi costituzionali. Esso va depurato da quei delitti di pura creazione politica che reprimono il dissenso e contrastano con il principio pluralistico. Evitando di lasciare le cose come stanno per le ricorrenti fasi dell’emergenza. Questo codice è addirittura criminogeno poiché spinge verso reazioni illegali a catena.

Per questo occorre escludere dall’area della rilevanza penale comportamenti che pur costituendo formalmente reati, presentano una carica di offensività così esigua da non giustificare il ricorso alla pena ed alla detenzione. Tanto più in un momento storico come quello attuale in cui pericolosi bancarottieri, falsari e truffatori , responsabili della "rapina" di miliardi di euro in danno di migliaia di piccoli risparmiatori, sono stati rinviati a giudizio in stato di libertà. Mentre i corrotti che li hanno protetti in cambio di danaro si sono salvati da ogni accusa. E leggi ad personam riducono le pene per impedire gli arresti e favorire la prescrizione dei loro crimini.

Una forma di amnistia anticipata che avvantaggia i più forti. Mentre qualunque provvedimento di clemenza viene negata ai responsabili di reati di modesto allarme sociale ed i più deboli sono costretti a pagare le loro devianze con il carcere preventivo e condanne ad anni di reclusione.

D’altra parte come non riconoscere che proprio grazie alla protesta sociale sono stati possibili risultati insperati e benefici per i cittadini più svantaggiati. Come quello di bloccare migliaia di sfratti grazie ad una coraggiosa ordinanza del prefetto Achille Serra che ha sospeso gli sfratti esecutivi salvando migliaia di famiglie dal lastrico e rischiando l’accusa di omissione di atti di ufficio. Mentre in molti luoghi la mobilitazione e la lotta dei cittadini e dei movimenti hanno prodotto la chiusura di decine di discariche abusive in cui la criminalità organizzata smaltiva tonnellate di rifiuti tossici e nocivi. Nell’inerzia e spesso con la complicità delle autorità che avevano il dovere di intervenire.

Per questo, a parte la loro regolarità formale, è apparsa eccessiva l’adozione di misure cautelari per reati commessi in un particolare momento di crisi, in presenza di una devastazione sociale senza precedenti. Tanto più che i promotori della "spesa sociale" , tecnicamente qualificata come rapina, possono godere dell’attenuante di avere agito "per motivi di particolare valore morale e sociale". Per avere commesso il fatto con lo scopo altruistico di procurare a famiglie senza reddito beni esenziali alla loro esistenza a prezzi accessibili. In ogni caso si poteva ritenere un illecito civile come la inadempienza contrattuale e la conseguente responsabilità per inadempimento.

Nelle fasi storiche di crisi, quale quella che viviamo, il ricorso al codice penale deve essere ispirato al favor libertatis, per superare drastiche contraddizioni tra legge scritta e nuove istanze di giustizia sociale. Attraverso una interpretazione evolutiva della legge secondo la nuova Costituzione e la nuova realtà sociale.

Grazie al contributo di magistrati illuminati e coraggiosi si sta facendo strada l’esigenza di una nuova ricostruzione dello Stato, fondata su nuove istanze sociali. E ciò per superare il principio per cui attraverso il rispetto della legalità formale possa continuare ad esistere un diritto penale del privilegio e della oppressione, quale è quello vigente, lasciato in vita colpevolmente per oltre un cinquantennio. Esso si pone in netto contrasto con i principi costituzionali.

In questa direzione di adeguamento ai nuovi valori, vanno recenti decisioni di tribunali di merito che, anticipando una riforma ormai ineludibile verso un diritto penale dei diritti umani e delle libertà, hanno assolto occupanti abusivi di case sfitte facendo ricorso allo stato di necessità ed alla legittima difesa economica. "Tale inquadramento - scrive il Tribunale - risponde a diritti fondamentali stabiliti dalla Costituzione, in cui è da ricomprendersi il diritto alla salute ed il diritto alla casa compromessi naturalmente in chi non riuscendo a procurarsi un reddito adeguato suo malgrado, non abbia i mezzi minimi per pagare l’affitto". "Necessitas non habet legem".

Oggi ci auguriamo che tutta la magistratura si renda interprete di queste nuove esigenze precorrendo una riforma del codice penale tesa a proteggere i diritti umani ed a punire il privilegio.

 

 

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