L'opinione dei detenuti

 

In tanti scontano fino in fondo la pena in galera

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 6 ottobre 2008

 

Forse bisogna preoccuparsi di chi la pena la sconta fino in fondo in galera. Quali pene vuole la gente? L’idea dominante oggi è quella che le persone devono starsene fino all’ultimo giorno in galera, umiliate, isolate. Possibile che a nessuno venga in mente che è ben più pericolosa una persona che esce dal carcere abbrutita da anni di stessi discorsi, stesse miserie, stesse frustrazioni, piuttosto di una che invece ha voglia di impegnare tutte le sue energie per rientrare gradualmente nella società? E invece, tutto oggi concorre a tenere i detenuti italiani schiacciati sul proprio passato, anche i giornali, le televisioni, che spesso "massacrano" le loro famiglie tirando fuori periodicamente dagli archivi ogni dettaglio dei loro reati, anche a distanza di anni.

 

Ma anche per i detenuti c’è il diritto all’oblio

 

Qualche giorno fa i quotidiani locali hanno sparato un titolo che diceva "Libertà negata all’assassino di..." La notizia era che il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di una misura alternativa fatta da un detenuto condannato a 21 anni di carcere per omicidio, che molti ne ha già scontati in prigione, dove si impegna con forza per costruirsi un futuro che sia un vero reinserimento sociale.

Quel detenuto è venuto a sapere che la semilibertà gli è stata negata dai quotidiani, prima ancora di ricevere la notifica da parte del Tribunale di sorveglianza. Ora, a parte la voglia di capire chi ha dato quella notizia alla stampa, mi ha fatto star male vedere la sua storia "sbattuta" di nuovo sui giornali con tutti i particolari del caso. Allora mi chiedo: è cosi importante per questa società conoscere nei dettagli un reato di più di 13 anni fa? È cosi importante infliggere ulteriori umiliazioni alle persone che pagano per i loro reati?

Io però non voglio neppure preoccuparmi per quel detenuto, che ha le sue colpe, anche se non ha mai negato le sue responsabilità e in questi anni ha lottato per il suo riscatto sociale, consapevole che comunque non riuscirà mai a ripagare il male fatto e dovrà negli anni a venire convivere con questo dramma dentro di sé.

Ma questo ragazzo ha anche una famiglia, che già ha sofferto per quanto è accaduto tanti anni fa, e ora si vede rigettata sulle pagine dei giornali, dove l’unica cosa che hanno omesso è il numero di telefono di casa. E ancora, questi genitori e famigliari devono rivivere quel dolore mai dimenticato, e oltre al dispiacere di veder preclusa ad un figlio la possibilità di ricominciare finalmente una vita nuova e lasciarsi il passato alle spalle, devono ancora oggi sentirsi umiliati nel luogo in cui vivono. Ma veramente la società ha bisogno di questo?

Perché se così fosse, credo proprio che questa società di valori ne ha ben pochi, e i giornali di correttezza e rispetto ne hanno ancora meno. Chi fa informazione spesso sventola ai quattro venti l’idea che non esiste la certezza della pena, però forse è più onesto dire che la certezza della pena esiste eccome, perché la gente in carcere ci sta, e soprattutto resta inchiodata per una vita al suo reato. Ma pur nell’amarezza di tutto questo, so che lui ce la farà, con la sua caparbietà e volontà, a ricostruirsi il suo futuro e a non restare per sempre schiacciato sul suo passato.

 

Maurizio Bertani

 

Si cavalcano emergenze pure quando non ci sono

 

È stato recentemente arrestato un detenuto che ad agosto non era rientrato in carcere, come aveva regolarmente fatto tutte le sere - dopo 15 anni ininterrotti di prigione usciva ogni mattina per lavorare - per i tre anni precedenti. Le polemiche sono subito divampate: cosa ci faceva "in libertà" un uomo condannato per omicidio che avrebbe terminato la sua pena nel lontano 2017? "Ammazzano, e poi entrano ed escono dal carcere, magari per lavorare, come se fossero in un albergo a 4-5 stelle...", ha commentato il conduttore di una emittente nazionale.

Per "accontentare" l’opinione pubblica, la cui paura è continuamente fomentata dagli organi di informazione, qualche politico ha promesso di ridurre drasticamente i benefici penitenziari previsti dalla legge Gozzini. Naturalmente, anche stavolta si vorrebbe legiferare tralasciando i numeri assolutamente positivi di questa legge che, dalla sua emanazione a oggi, ha consentito un graduale reinserimento nella società di oltre mezzo milione di persone. Questo perché i benefici che prevede "obbligano" le persone detenute a seguire prima un percorso di recupero in carcere, e poi di reinserimento passo passo nella società.

Il prodotto finale della legge Gozzini, a dispetto di chi sostiene il contrario, consiste quindi in una maggior sicurezza per la collettività. I detenuti che fruiscono delle misure alternative alla detenzione, infatti, commettono nuovi reati in percentuale infinitesimale - meno dell’uno per cento - ma nonostante ciò si cerca di strumentalizzare un solo percorso finito malamente per togliere la speranza a tutti, anche a quelle migliaia di persone detenute che si sono trasformate da un pericolo per la società in una risorsa.

Ogni volta che si verifica un episodio negativo, che seppur a malincuore dovrebbe essere considerato "fisiologico", viene puntualmente strumentalizzato per avanzare proposte di restrizioni che colpirebbero tutti, anche quel 99 per cento di detenuti che i benefici li utilizza correttamente e con sacrificio, visto che le misure alternative prevedono una serie di requisiti per essere concesse, e una sfilza di limitazioni e di controlli durante la fruizione delle stesse. Sarebbe importante divulgare le statistiche positive dei benefici penitenziari.

Invece si continuano a cavalcare le infinite emergenze tutte italiane: emergenza prostituzione, alcol, morti sul lavoro, immigrati, sicurezza, e per ogni emergenza si propone una adeguata "cura": la creazione di qualche nuova fattispecie di reato o l’inasprimento delle norme già esistenti, anche quelle come la Gozzini che funziona nella quasi totalità dei casi. "Paura: datemi un incubo... e vi governerò il mondo", recita la locandina di un prossimo spettacolo del comico Antonio Albanese nei panni di un fantasioso ministro della paura... Ma è davvero solo uno scherzo?

 

Marino Occhipinti

 

Una vita ricostruita grazie alla Gozzini

 

Tutto è cominciato con una rissa tra me e un mio amico: quel giorno maledetto ho spezzato una vita, una tragedia che ha spento una esistenza, ma che ha dato inizio anche a un vero e proprio calvario per me. Oggi sto scontando una pena di 19 anni e 10 mesi per omicidio. Nei primi anni pensavo che ero già morto perché non mi importava più niente, avevo come l’impressione di non dover più appartenere alla faccia della terra.

Dopo circa tre anni ho cominciato a rendermi conto della mia vera situazione, perché mia moglie e i nostri tre figli mi pregavano di tenere duro almeno per loro, che hanno ancora bisogno di me, anche se viviamo ormai in due mondi completamente diversi: mia moglie è stata infatti costretta a portare il peso della famiglia, invece io mi porto il peso del carcere e delle mie responsabilità. Guardando così la vita da prospettive opposte rispetto a quella che eravamo abituati a condividere, abbiamo cominciato a parlare lingue diverse non solo nella comunicazione ma anche nel pensiero.

Questa situazione riflette la realtà di tutti coloro che devono scontare diversi anni lontani dalle loro famiglie. La galera tiene separato in modo terribile il detenuto dai propri cari, e anche le famiglie che trovano la forza di aspettare devono fare i conti con un sistema che ormai sempre più spesso impone di fare la galera fino all’ultimo giorno. Altro che "nessuno si fa la galera in Italia", come qualcuno sostiene!

Dopo anni di carcere, qui a Padova io per fortuna ho incontrato un giudice che nelle misure alternative crede davvero. Ma quando è arrivato il primo permesso premio, fuori dal carcere ho trovato una realtà totalmente lontana dalle mie prospettive. Da subito però la consapevolezza di voler rimettere insieme la mia famiglia si è rivelata fondamentale. Cosi da quel primo giorno di "assaggio" della libertà è iniziato il mio vero percorso di reinserimento, anche se continua ad essere un’esperienza mista di gioia e sofferenza: gioia per l’opportunità di ritornare a condividere le giornate con mia moglie e i miei figli, sofferenza perché vedo in modo chiaro le loro difficoltà di essere cresciuti senza di me.

Oggi sto cercando di riconquistare il loro affetto, e per merito dei permessi che ho spero di riuscirci. Perché grazie alla legge Gozzini e ai magistrati che la applicano sono in molti ad essersi ricostruiti una vita, e questa credo sia una misura efficace di prevenzione per ridurre il rischio di ricadere nelle situazioni che hanno portato a commettere reati. In realtà da una legge si pretende sempre la perfezione, ma così come nessuna persona può essere perfetta, nessuna legge può esserlo, e credo che ci vorrebbe uno sforzo personale da parte di tutti per capire quanto è difficile far funzionare le vite delle persone.

 

Prince Obayangbon

 

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