L'opinione dei detenuti

 

In carcere gli affetti rimangono solo virtuali

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 2 gennaio 2007

 

 

Ventiquattrore per dormire accanto ai propri figli, per parlare con il proprio compagno/a, per cucinare insieme, magari anche per fare l’amore: succederà mai, nelle carceri italiane?

Questa volta vogliamo provare a parlare di sogni, di illusioni, di fantasie: perché i colloqui intimi in galera per ora nel nostro paese sono pura fantasia. Quello spazio che hanno già definito in tanti modi, da "stanze dell’affettività" a "celle a luce rossa", per ora non esiste. Oggi quel che è certo è che nelle carceri dopo l’indulto non sarebbe più un problema trovare luoghi adatti a diventare gli unici angoli di intimità dentro un posto, la galera, che è per eccellenza quello dove l’intimità viene violata, disprezzata, massacrata.

Birmania, Cile, Costarica, Equador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Giappone, Messico, Perù, Filippine, Unione Sovietica, Bolivia, Brasile, Canada, Colombia, India, Pakistan, Polonia, Portorico, Svezia, Venezuela: questa è una lista di stati citati in una ricerca del lontano 1969, perché avevano già introdotto i colloqui intimi, l’Italia non c’era, e a tutt’oggi nulla è cambiato.

Le testimonianze che seguono, di detenute e detenuti, dicono in fondo solo questo: se ci interessassero davvero tutte le famiglie, comprese quelle che sono ritenute un po’ "di serie B", quelle delle persone in carcere, forse questa cosa, del sesso e dell’intimità anche per loro, non scandalizzerebbe più nessuno.

 

Uno scampolo di intimità per stare con mia figlia

 

Credo che tutte noi in carcere saremmo favorevoli alle stanze per i colloqui intimi, o come vogliamo chiamarle, ma temo che, se anche le istituissero per legge, poi troverebbero il modo per non farle. Basta pensare al nuovo Regolamento penitenziario, che prevede le docce in cella e altre cose simili, che a distanza di anni ancora non sono state realizzate.

Certo secondo me degli spazi così sarebbero utili se fossero davvero senza controllo visivo, anche senza telecamere quindi, ma temo che il nostro sia un paese troppo cattolico per prendere una decisione simile, figuriamoci se lasciano fare del sesso dentro in carcere. Io poi non penso tanto a rapporti sessuali, forse c’avrei pensato all’inizio della mia carcerazione, quando ancora avevo un compagno, poi ti abitui, non è più quello il problema principale. Ma credo invece che, se avessi potuto stare ogni tanto ventiquattro ore con mia figlia, cucinare, parlare senza controlli, senza sentire nelle orecchie i discorsi di quelli che ti stanno accanto nella sala colloqui, il nostro rapporto avrebbe preso da subito un’altra piega, ricostruirlo sarebbe stato meno difficile, meno doloroso. Invece, mi ricordo che durante i primi incontri con lei, con un sacco di altra gente intorno, all’inizio ci studiavamo un po’, e poi quando cominciavamo a lasciarci andare era ora di chiudere. Solo adesso, che ho fatto già moltissimi permessi premio a casa, cominciamo ad avere un po’ di confidenza.

 

Paola

 

I rapporti famigliari al centro del reinserimento!

 

Io in questo momento penso soprattutto a quanto questi spazi di intimità aiuterebbero il rapporto con i figli. Sarebbe una cosa bella, in particolare per noi stranieri, per chi i figli ce li ha lontani e li incontra raramente. Perché bisogna dire che un colloquio intorno a un tavolino, anche se possono concedere tre o quattro ore di seguito per i parenti che arrivano dall’estero, non è la stessa cosa.

Quando penso a mia figlia, a quanto fatico a mantenere vivo il rapporto con lei solo attraverso il telefono, allora davvero mi rendo conto di quanto potrebbe aiutare passare insieme un fine settimana, mangiare insieme, ricostruire qualcosa di simile a un pezzo di vita famigliare. Invece di un uomo non me ne frega niente, non voglio neanche parlarne, ho visto quanto è durata la storia con il mio compagno quando sono stata arrestata, ho visto quanto poco ci ha messo ad allacciare una relazione con un’altra donna. Certo, quando una è in carcere può succedere anche che conosca un uomo per corrispondenza, e che abbia voglia poi di incontrarlo: ma se in molte carceri è già difficile fare i colloqui con qualcuno che non sia un parente stretto o un convivente, e ottenere l’autorizzazione a incontrare le cosiddette "terze persone" è un’impresa lunga e piena di difficoltà, immaginarsi se poi permetterebbero, a una detenuta che non ha famiglia o non ha un convivente, di fare i colloqui intimi con un uomo conosciuto per lettera!

In carcere manca sul tema degli affetti una prospettiva ampia, generosa, dove i rapporti famigliari siano davvero al centro del percorso di reinserimento delle persone detenute, e non la somma triste di dieci minuti di telefonata e, se ti va bene e non sei straniera, un’ora di colloquio a settimana.

 

Natasha

 

Mi sento fortunato, io riesco ancora a sognare

 

In carcere gli affetti rimangono solo virtuali. Io sono straniero e da due anni mi trovo in carcere: direi poco, a confronto del mio compagno di cella che se ne è fatti tredici. Questo per dire che intorno a me ci sono persone che dagli affetti si sono distaccate molti anni fa, e sono convinto che quando una persona passa molto tempo rinchiuso anche i ricordi più belli si annullano nella sua mente. Ad esempio io mi alzo di mattina e racconto al mio compagno di cella che la notte ho sognato di essere con la mia ragazza o nel mio quartiere in Albania assieme ai miei amici, invece il mio compagno non sogna più niente del genere.

Quanto alle difficoltà che una persona detenuta incontra nel gestire la propria sfera affettiva, il primo periodo di detenzione è forse il più difficile: non è per niente semplice infatti abituarsi alla solitudine quando per molti anni della tua vita hai dormito accanto ad una donna o in una casa piena di vita, con mamma, papa, fratelli, sorelle. Invece qui la mattina ti trovi l'agente che sbatte la porta blindata per farti ricordare che sei in galera.

La critica più profonda che farei al sistema carcerario italiano è quella di essere disumano e umiliante quando va contro la natura dell’uomo nell’impedirgli di vivere la sua sessualità. Se solo si dà uno sguardo a quasi tutti gli altri paesi europei e addirittura ad alcuni del terzo mondo, si scopre che il sesso in carcere è concesso e c’è una ragione fondamentale dietro a tale scelta: si riconosce che il rapporto di coppia in una famiglia è fondamentale per l’unione della famiglia stessa. Quando vieta di vivere il sesso ai detenuti, lo Stato dimostra di non rispettare i legami famigliari, in aperta contraddizione con mille discorsi sul ruolo fondamentale giocato proprio dalla famiglia nel reinserimento delle persone detenute. Io non credo di esagerare se dico che lo Stato è in parte complice della rovina di tante famiglie, perché non si limita a privare il detenuto del diritto a un rapporto fisico e spirituale con la sua compagna (comminandogli un’ulteriore pena, che per altro non risulta scritta da nessuna parte nella sentenza di condanna), ma priva anche la moglie o la fidanzata, colpevoli solo di essersi innamorate del proprio uomo, di un diritto da sempre considerato fondamentale.

 

Emiliano Behari

 

Poter toccare e abbracciare la persona che ami

 

Io di galera ne ho fatta tanta, ma penso che il destino non è stato poi così severo con me visto che la mia famiglia non mi ha mai abbandonato. In carcere, riuscire a mantenere vicine le persone amate è una questione di fortuna. Noi non possiamo fare niente, una volta finiti dentro non siamo più nelle condizioni di coltivare e mantenere salde le relazioni.

Quando sono entrato in galera mi sono accorto da subito di essere rimasto solo, e certo le persone, per quanto mi volessero bene, non potevano seguirmi in cella. Loro naturalmente dovevano continuare la loro vita, e purtroppo lo dovevano fare senza di me. Spesso avevano bisogno di me, bisogno che facessi sentire loro che esistevo e che potevo continuare ad essere utile, ma non era per niente facile. In quell’ora di colloquio che mi era concesso potevo fare poco. Per non litigare si era stabilito che una settimana veniva mia madre e l’altra veniva mia moglie. Ovviamente la voglia di vedermi era tanta per entrambe, ma io continuavo ad essere trasferito da un carcere all’altro e loro per venire da me dovevano perdere una intera giornata tra treni, attese fuori dal carcere e perquisizioni.

Un rapporto va nutrito e mantenuto in vita almeno attraverso tre elementi che sono fondamentali alla propria compagna: la presenza, un appoggio e un aiuto anche materiale, e naturalmente l’amore. È fuori luogo parlare della presenza, dato che il fatto di essere chiuso in una cella rende impossibile qualsiasi tipo di presenza fisica, ed è difficile anche dare un sostegno concreto, economico, perché in carcere di lavoro ce n’è poco. Ma l’amore sì che si può fare. Quella necessità fisica, che riguarda tutti gli esseri umani, di poter toccare, abbracciare e stringere forte la persona che ami, di poter addormentarsi con in bocca il sapore delle sua labbra e svegliarsi sentendo il profumo della sua pelle, quella necessità vitale si potrebbe soddisfare benissimo nonostante la separazione della galera. E non è fantascienza, ormai quasi ovunque è possibile per i detenuti passare periodicamente delle ore o una notte con la propria compagna in una stanza che ti fa dimenticare per qualche momento di essere in carcere. Questa cosa sarebbe fondamentale per continuare a dare un senso al rapporto di coppia che il carcere distrugge. E solo così, quando a fine pena uscirà dalla galera, il detenuto non rischierebbe di trovare una famiglia che lo odia, ma avrebbe delle persone che lo aspettano a braccia aperte.

 

Ernesto Doni

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