L'opinione dei detenuti

 

Informazione e sicurezza, attenzione ai luoghi comuni

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 28 gennaio 2008

 

Luciano Violante, presidente della Commissione affari costituzionali della Camera, ha convocato i direttori delle principali testate giornalistiche televisive per discutere di come i mezzi di informazione affrontano i temi della sicurezza. Questa è una questione di cui si parla molto anche in carcere, perché le politiche sulla sicurezza finiscono spesso per colpire non tanto gli autori di reati gravi, quanto i soggetti più deboli, quelli che hanno cambiato completamente la composizione della popolazione detenuta: tossicodipendenti, immigrati, persone con disagio mentale. Il carcere oggi è un concentrato di emarginazione e disagio sociale più che di cattiveria. A chi dell’informazione è un professionista, anche dalla galera si chiede qualcosa: si chiede un po’ più di pazienza nel cammino per farsi un’opinione sui detenuti e un po’ di prudenza, perché è facile passare da un luogo comune a un altro e continuare a capirci poco. Gli stereotipi presi acriticamente sono delle gabbie pericolose per chi è fuori come per chi è dentro il carcere. 

 

Quei reati sono figli del disagio sociale?

 

Stando in carcere, si fa fatica a capire se, fuori, esiste davvero una emergenza criminalità.

Dopo il brutale omicidio a Roma di Giovanna Reggiani, si è scatenata nel nostro paese una caccia a rom e rumeni, e il governo ha subito emanato un pacchetto sicurezza, rendendo più dura l’applicazione delle espulsioni. Ma qualche giorno fa il Presidente della Commissione affari costituzionali della Camera, Luciano Violante, ha convocato i direttori dei TG e ha dichiarato che i dati parlano chiaro: il numero dei reati commessi è stabile se non addirittura in diminuzione.

Una cosa per me è chiara: di tempo ne ho, considerato che sono in carcere, e spesso guardo i vari telegiornali, notando che quasi tutti sono pieni di notizie di cronaca nera, che danno la sensazione che chi sta nel mondo libero viva in una condizione di grande pericolo, vittima della criminalità dilagante. Le morti sul lavoro non sono probabilmente meno degli omicidi della criminalità, ma la differenza è che si chiamano "disgrazie".

Io però vedo qui dentro che la criminalità è cambiata, rispetto a vent’anni fa, e se da un lato c’è stata una diminuzione di sequestri di persona, omicidi o altri reati gravi, dall’altra sono aumentati quei reati fatti sulla strada, furti e scippi, che toccano molto di più una larga fetta di popolazione, per cui è plausibile da parte sua la percezione di un aumento indiscriminato dei reati e quindi il disagio di vivere la quotidianità. Ma possiamo davvero collocare questi reati in un contesto criminale, o piuttosto dobbiamo collocarli in un contesto di disagio sociale?

Allora forse quella sensazione di insicurezza che la gente comune vive tutti i giorni non è dettata da emergenze particolari, ma da difficoltà quotidiane, quelle che le nostre famiglie quando vengono a colloquio ci raccontano, quelle per cui tutti i giorni vai al lavoro ma non sai se lo stipendio che prendi ti permetterà di arrivare a fine mese. E magari temi che ci sia in giro qualche disgraziato che ti entra in casa a rubare quel poco che hai.

Se questa è la percezione di cui parla il senatore Violante sono d’accordo con lui, ma mi piacerebbe che mi spiegasse come mai tanti suoi colleghi politici sono corsi dietro a questa percezione facendo i loro "pacchetti" sulla sicurezza. Non è che qualcuno preferisce spostare l’attenzione dai veri problemi, che forse non sono le emergenze criminalità ma le fasce sempre più consistenti di popolazione che stanno male e rischiano di finire nell’illegalità?

 

Maurizio Bertani

 

È un clima che preoccupa i più deboli e i più poveri

 

Ultimamente faccio fatica a comprendere le notizie, che mi arrivano da tv, giornali, radio. Essendo in carcere e facendo parte della redazione del giornale "Ristretti Orizzonti" mi sforzo di avere un confronto quotidiano con l’informazione: per noi infatti è importante cercare di non restare tagliati fuori dalle notizie e sviluppare un dibattito indirizzato alla conoscenza della realtà. Come detenuto poi sento forte l’impulso di esplorare, in senso critico, tutto quello che si scrive o si sente sul carcere e sui reati, e su questi temi le notizie sono talmente divergenti da creare una totale confusione, sia per me, che questa realtà la conosco sulla mia pelle, che per chi le sente o le legge fuori da queste mura.

Esiste un disagio facilmente intuibile nella società, la gente pare che viva in un perenne stato di ansia, la sicurezza viene considerata una priorità. Ma se da un lato abbiamo cittadini sempre più spaventati, dall’altro salta fuori che il numero dei reati non è aumentato.

Contribuisce certamente, a questo clima generale di insofferenza e insicurezza, l’incessante martellamento mediatico di tv, giornali e radio, ma anche il fatto che la criminalità è cambiata con l’arrivo degli immigrati, che i reati legati alla droga creano preoccupazione all’interno delle famiglie, che la povertà aumenta di anno in anno. Mi sembra però di avvertire anche una mancanza di solidarietà, pare che la gente abbia paura di socializzare e che il piacere di confrontarsi con il prossimo non esista più.

E allora forse, fuori, tanti finiscono per accettare che tutto sia come si vede per televisione, che nessuno faccia niente per cambiare le cose, che lo straniero sia portatore assoluto del male, che i detenuti debbano stare in carcere a vita, che lo Stato non punisca abbastanza, che ci vogliano più carceri. E questo è un clima che preoccupa i più poveri e più disagiati, compresi anche tanti di noi detenuti, ma non porta a risolvere i problemi e soprattutto non fa stare realmente meglio. Io oggi sono fuori dalla società, devo ripagare lo Stato e i cittadini per averne violato la legge, mi è stata comminata una pena e con essa la privazione della libertà, ma mi chiedo: sarà libertà vera la mia, se una volta pagato il mio debito dovrò confrontarmi con persone che di me e della loro libertà hanno paura?

 

Franco Garaffoni

 

Per capire la complessità dei problemi basterebbe un po’ più di cultura

 

Sono anni che problemi come la tossicodipendenza e la prostituzione vengono presentati dai mezzi di informazione come emergenze e conseguentemente vengono affrontati dai governi con misure sempre più repressive. Il risultato disastroso che questo produce lo subiamo sulla pelle anche noi detenuti, che dobbiamo fare i conti prima con condizioni di vita sempre più inumane, e poi con una società sempre più incattivita.

Sembra così difficile far capire alle persone quanto questi fenomeni allarmanti in realtà siano anche dei problemi che coinvolgono esseri umani con tutta la loro complessità, mentre basterebbe, per saperne di più, un po’ più di cultura, semplicemente leggere della buona letteratura o guardare qualche film di quelli che non avranno al centro donne splendide e scene d’azione, ma che insegnano tanto.

In questi giorni ho letto di un film che racconta una storia che secondo me offre una chiave per leggere con più umanità quei fenomeni chiamati "emergenze". Al centro c’è una donna di mezza età che ha un nipotino che rischia di morire se non viene sottoposto a un’operazione in Australia, ma i suoi genitori non hanno il denaro necessario. Lei decide allora di andare a Londra a cercare lavoro, si presenta a un colloquio, ma scopre che il lavoro richiesto è quello di stare dietro una parete, in un locale porno, e masturbare i clienti che però non possono vederla.

Io credo che questa storia insegnerebbe molto a tutti, detenuti compresi, perché mi sembra che non sia solo ricca di umanità, ma in un modo del tutto originale apra una finestra sul mondo complesso delle prostitute. Cioè, in questo film vedi come anche una donna con un lavoro che appare così degradato, ha in realtà una storia pesante, ed è portatrice di una straordinaria capacità di amore per il proprio nipote: la sua è una vita-simbolo, dove si intrecciano due grandi temi, la malattia e la prostituzione.

Sarei curioso di sapere che cosa ne pensa la gente fuori, cosa ne pensano quelli che ritengono che una società civile non debba accettare l’utilizzo della donna come oggetto di piacere a pagamento, ma che però non si scandalizzano se qualcuno ha la libertà di rendere la gente più povera e più sfruttata; mi interessa sentire anche la gente comune, che sicuramente non sopporta di vedere tante prostitute straniere in giro per le città, e però non pensa che a volte tra di loro ci sono donne che hanno famigliari malati, che vivono magari in paesi come l’Albania, dove il liberismo sfrenato ha causato l’abbandono di chi ha bisogno di cure mediche per sopravvivere.

Ecco, mi piacerebbe che questo film così inusuale potesse far un po’ riflettere su quelle realtà di degrado e di povertà, che chi sta in carcere ha spesso conosciuto da vicino.

 

Elton Kalica

 

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