L'opinione dei detenuti

 

La Gozzini non è la legge che riguarda i "pentiti"...

A cura della Redazione di Ristretti Orizzonti

 

Mattino di Padova, rubrica "Lettere dal carcere", 21 luglio 2008

 

Qualche tempo fa a Pescara un detenuto, colpevole di vari omicidi, ma che godeva, come collaboratore di giustizia, di una serie di benefici tra cui quello di lavorare fuori dal carcere, ha ucciso il titolare di uno stabilimento balneare. Sul fatto si sono buttati giornali, televisioni, politici, per mettere sotto accusa il sistema che dà ai detenuti la possibilità, grazie alla legge Gozzini, dopo alcuni anni di carcerazione, di cominciare a uscire gradualmente con benefici come permessi premio e semilibertà. Un sistema che ha reso le carceri meno violente e più vivibili. Ci pare però che nessuno abbia avuto il coraggio di dire che quell’uomo era fuori dal carcere, nonostante i gravissimi reati commessi, non per la legge Gozzini, ma perché era un "pentito". La Gozzini è davvero un’altra cosa, come testimoniano i detenuti.

 

Serve più onestà nell’informare sul carcere

 

Cercare di dimostrare che molti di quegli episodi di detenuti, che tornano a commettere reati che destano particolare scalpore, non c’entrano nulla con la tanto bistrattata legge "Gozzini", non è cosa semplice, dato che si deve fare i conti con molta cattiva informazione, incoraggiata spesso dalla mancanza di chiarezza di politici ed organi della giustizia.

Sono un detenuto di vecchia data e ricordo che già dalla sua nascita questa legge ha destato non poche controversie, tanto che si sono alternate chiusure e riaperture. Ma in questi ultimi tempi, la Gozzini sta subendo un attacco fuori dal comune, perché le vengono attribuite tutte, o quasi, le colpe dell’insicurezza che attanaglia questo paese. Però spesso a sostegno di questo attacco vengono avanzate argomentazioni che non hanno niente a che vedere con la "Gozzini". Ad esempio si confonde la scadenza dei termini di custodia cautelare oppure la legge sui collaboratori di giustizia, con le misure alternative alla detenzione. In questo modo, giornalisti confusi e uomini politici distratti finiscono per far credere che tutti i reati commessi da detenuti ed ex-detenuti hanno a che fare con una legge, che invece non ha colpe, e anzi ha consentito a molti condannati di ricostruirsi una famiglia e trovare un lavoro, una volta finita la pena.

Un esempio concreto è stato una grossa operazione di polizia fatta nel Veneto in cui erano coinvolte più di 140 persone, tutte imputate di traffico e spaccio di stupefacenti. Io ero in carcere e ricordo bene l’arrivo degli arrestati, e ciò che mi colpiva era che chi ammetteva delle responsabilità e aggiungeva altri nomi alla lista degli accusati veniva rimesso in libertà in attesa del processo. Alla fine in carcere ne sono rimasti una trentina, tra chi non voleva e chi non poteva collaborare. Dopo parecchi anni il processo è finito, ma quelli che erano usciti come collaboratori non si sono fatti nemmeno un giorno di galera, e molti sono stati riarrestati perché sono tornati a spacciare. Mentre quelli che non avevano collaborato, a distanza di anni stanno ancora scontando le loro condanne, chi in carcere e chi con misure alternative, naturalmente dopo il percorso richiesto dalla legge "Gozzini".

Quando penso a quello che è successo a Pescara, dove un detenuto, collaboratore di giustizia, ha ucciso il titolare di uno stabilimento balneare, rimango con l’amaro in bocca per la mancanza di chiarezza da parte delle istituzioni su queste questioni, perché, se si ritiene giusto, per permettere alla giustizia di fare il suo corso, dare delle agevolazioni a chi ha collaborato, è anche giusto non alzare il dito contro una legge che ha portato solo bene alla nostra società. E quello che ancor più irrita è come gli organi di informazione giocano spesso su questa non chiarezza, privilegiando la strumentalizzazione della paura invece che limitarsi al racconto dei fatti di cronaca.

 

Sandro Calderoni

 

Ultimamente, guardando la tv, sento spesso dichiarare che in Italia non si dovrebbero applicare ai detenuti le misure alternative previste dalla riforma penitenziaria e dalla legge Gozzini. Anche l’opinione pubblica è sempre più orientata a schierarsi contro la loro concessione, e parecchi politici (specialmente prima delle elezioni) esprimono il parere che chi commette reati deve restare in carcere fino alla fine dell’espiazione della pena.

Ascoltando tutti questi discorsi sono un po’ confuso: ma è sbagliato dare ad un uomo la possibilità di rimettersi in piedi? Perché l’opinione pubblica è contraria alle misure alternative? Sono misure che servono per il reinserimento nella società, rappresentano una parte importante della rieducazione della persona detenuta e hanno uno scopo preciso: che un ex detenuto non continui a delinquere. E per quei politici che sono contro, qual è la soluzione? Chiudere la porta e buttare le chiavi fino all’ultimo giorno della pena?

Io penso sia importante che la persona esca dal carcere col fermo proposito di vivere onestamente. Insomma si deve chiarire una volta per tutte ciò che si vuole ottenere: la recidività quasi certa o la diminuzione della criminalità? Si vuole risolvere il problema o rimandarlo al fine pena delle persone creando una situazione peggiore di prima? Sarebbe importante che la gente fuori capisse che, se non si segue un percorso rieducativo, finita questa disgrazia della galera molti torneranno a rubare o spacciare perché non hanno alternative. Tante volte non si tratta di quello che un uomo vuole, ma se ti mettono in un angolo senza tante possibilità di scelta, facilmente cadi nella tentazione di fare la cosa sbagliata. A causa del passato spesso si è discriminati e trattati come diversi, e con ostacoli di quel tipo anche la voglia di tenersi lontani dai guai sparisce.

E poi bisogna capire che la carcerazione ha le sue conseguenze pesantissime, non solo il disastro economico che dopo tanti anni è inevitabile, ma anche gravi problemi familiari, e non dare la possibilità di reintegrarsi significa condannare a rimettersi prima o poi nel gioco delle azioni illecite.

Sono d’accordo che la legge deve essere severa e chi sbaglia deve pagare, però bisognerebbe chiedersi che cos’è la punizione senza la rieducazione. A mio parere una brutalità non necessaria, che finisce per incattivire le persone invece che renderle migliori.

È facile rovinare e distruggere, però quello che è difficile è recuperare, salvare e aiutare. Le carceri secondo me sono già il segnale di un fallimento della società, non permettiamo che rieducazione e reinserimento sociale vengano cancellati, questo sì che sarebbe il fallimento completo delle carceri.

 

Jovica Labus

 

Sono detenuto nelle carceri italiane dal 1983 con fine pena 9999 (cioè fine pena mai). Di galere ne ho girate parecchie, ma non ho mai usufruito dei benefici della legge Gozzini, eppure, nonostante tutto, rimane sempre in me, e in altri compagni con condanne alte, la speranza che quella legge prima o poi venga applicata anche a noi. Scrivo questo per far conoscere a chi non sa - o se ne è dimenticato - quello che succedeva nelle carceri negli anni precedenti l’introduzione della riforma penitenziaria e della legge Gozzini.

Nell’80 e nell’81 sono stato testimone di pestaggi e accoltellamenti a volte per motivi futili. Non solo omicidi tra detenuti, ma anche aggressioni contro il personale di custodia. Dunque la violenza era all’ordine del giorno e quasi tutti giravano con coltelli e punteruoli imboscati dove meglio si poteva e pronti all’uso. Bastava un tam-tam (messaggi che di solito arrivavano da San Vittore, Rebibbia, le Vallette) ed ecco che tutte le carceri erano in rivolta. Il messaggio era chiaro: bisognava ottenere trattamenti penitenziari più umani.

Quando finalmente è stata introdotta la legge Gozzini, noi detenuti con condanne alte non credevamo che fosse possibile uscire qualche giorno in permesso ed eravamo scettici. Ricordo che fu Luciano Violante a venire nel carcere di Saluzzo a spiegarci l’utilità di questa legge.

Iniziarono a uscire in permesso alcuni detenuti e cominciammo a crederci tutti. E la Speranza si radicò in noi. Avendo la prospettiva di un futuro da "permessante" (nel gergo carcerario, il detenuto che può accedere ai permessi premio) o semilibero, ci siamo abituati a non reagire più aggressivamente, ma a dialogare e a rispettare i compagni e gli agenti.

Oggi la stessa legge Gozzini viene usata per tenere le carceri tranquille, a minacciarci è sufficiente il famoso rapporto disciplinare, che esclude chi si comporta male da eventuali benefici.

Io e tanti altri come me formiamo un mare di persone che da anni sono in galera e non sono mai uscite dal carcere, se togliessero anche questa mite speranza, penso che non avremmo più nessun freno, che i conflitti sarebbero all’ordine del giorno e che difficilmente si potrebbe gestire un carcere senza usare continuamente la repressione violenta. Se togliete questa Gozzini vediamo cosa succederà nelle carceri italiane.

 

Mario Salvati

 

 

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