Indultino, sì di Forza Italia: “Non possiamo essere contrari”. Ira della Lega di Giacomo Puletti Il Dubbio, 1 maggio 2025 Gli azzurri Zanettin e Calderone d’accordo ma il Carroccio non ci sta: “Rispetto per le vittime”. “Non possiamo dirci contrari”. Quattro semplici parole che testimoniano la volontà di Forza Italia, almeno negli annunci, di non lasciar cadere la proposta lanciata da Nessuno Tocchi Caino per un “mini- indulto” di un anno che permetterebbe di far uscire dalle carceri i detenuti con ancora 12 mesi di condanna da scontare. A parlare per gli azzurri sono i due capigruppo in commissione Giustizia: Tommaso Calderone alla Camera e Pierantonio Zanettin in Senato. “Non possiamo dirci contrari, anche se sottolineo che a noi interessa di più il discorso legato all’abuso della custodia cautelare in carcere che colpisce ogni anno migliaia di presunti innocenti spiega al Dubbio Calderone Più che interessarsi dei condannati, tema che va comunque considerato perché il sovraffollamento è un problema serio che l’indulto di un anno potrebbe almeno parzialmente risolvere, la stella cometa di FI sono i presunti innocenti”. Questo perché, aggiunge l’esponente azzurro, un quarto o un quinto della popolazione carceraria è in custodia cautelare e circa novemila persone in attesa di primo giudizio”. Una situazione che Calderone definisce “inaccettabile per uno stato di diritto”. Quindi limitare l’abuso della custodia cautelare in carcere sarebbe secondo gli azzurri la soluzione, perché “devono stare in custodia cautelare solo coloro che hanno commesso reati di massimo allarme sociale e in caso di pericolo di reiterazione codificato”. Per questo FI riproporrà un emendamento al decreto Sicurezza, ma al tempo stesso Calderone ammette che sull’indulto “non possiamo essere contrari”. E pazienza se gli alleati di maggioranza, cioè Lega e FdI, non ci staranno. “Vedremo - commenta laconico Calderone - Di certo il ministro della Giustizia Carlo Nordio da mesi parla di riformare la custodia cautelare e ha posto il tema come una priorità”. Sul “messaggio” di papa Francesco si focalizza invece Zanettin, il quale spiega di essere d’accordo con un “atto di clemenza” in qualsiasi forma perché “abbiamo visto tantissime espressioni di commozione e di partecipazione al funerale di papa Francesco” e di conseguenza “perché la politica sia un minimo coerente dovrebbe dare un segnale di adesione al magistero e alle idee di papa Francesco”. Dunque d’accordo con l’indultino di un anno e poco importa se gli alleati non saranno d’accordo. “Non ne faccio una questione politica ma di coerenza rispetto a certe dichiarazioni fatte a Pasqua e poi dopo la morte di Bergoglio glissa Zanettin - dopodiché ognuno risponde alla propria coscienze”. Ma la risposta arriva a stretto giro dal deputato Jacopo Morrone, delegato del Dipartimento Giustizia della Lega. “L’appello che ritengo utile lanciare a colleghi di maggioranza e minoranza è quello di ragionare con più lucidità e consapevolezza sulla questione carceri - ha scritto ieri Morrone in una nota - A chi pensa di “svuotare le carceri del nostro paese” sull’onda emotiva della scomparsa di Papa Francesco, nonostante siano noti i dati preoccupanti della criminalità e le ripercussioni su un’opinione pubblica sfiduciata sulla capacità di fronteggiarla, rispondo che le politiche carcerarie di uno Stato sovrano non possono avere come punto di riferimento l’opinione del Vaticano o forme clemenziali indiscriminate che esulano del concetto costituzionale di umanità della pena”. Una risposta durissima, e tuttavia l’esponente leghista si spinge oltre spiegando che “basta analizzare con realismo la situazione degli istituti di pena italiani per comprendere che la situazione non solo non può dirsi “insostenibile” ma è certamente in via di miglioramento grazie alle iniziative assunte dal Governo dopo anni di immobilismo o, addirittura, di scelte sbagliate”. Non solo. Morrone ribadisce l’attenzione di via Bellerio per “la fermezza della reazione e la certezza della pena” visto che le vittime vivono “un ergastolo perpetuo”. Per questo, conclude Morrone, “l’approccio più pragmatico e realistico di qualunque politica seria è quello di non perdere mai di vista la dimensione oggettiva del fenomeno, evitando risposte emergenziali che non solo non sarebbero comprese ma che non risolverebbero alcun problema”. Di amnistia, indulto o comunque una qualche forma di clemenza aveva già parlato l’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, ripreso ieri da Benedetto Della Vedova di Più Europa che, come gli altri partiti centristi, è favorevole. “Fa bene Casini, a ricordare un aspetto peculiare benché scomodo del magistero di Papa Francesco: l’attenzione alle carceri e alle condizioni di vita dei detenuti - ha detto ieri Della Vedova - Il Parlamento smetta di girarsi dall’altra parte e si metta al lavoro sulle possibili riforme di breve e di più lungo periodo necessarie per affrontare una situazione divenuta insostenibile sotto tutti i punti di vista, a partire dalla legge proposta da Giachetti sulla liberazione anticipata all’indulto e amnistia, sarebbe un modo coraggioso e non ipocrita per celebrare nei fatti, non solo a parole, l’opera di Francesco”. Indulto, si apre una crepa in Forza Italia di Angela Stella L’Unità, 1 maggio 2025 Due giorni fa sulle pagine del Corriere della Sera il senatore dem Pierferdinando Casini si era appellato alla premier Meloni: “occupiamoci di carceri e detenuti, anche attraverso provvedimenti di amnistia e indulto. È questa l’ultima lezione di Papa Francesco”. Ieri, dalle pagine del Dubbio, è arrivata anche l’adesione del vicepresidente della Camera, l’azzurro Giorgio Mulè, ad una proposta di legge per far sì che escano dalle carceri già sovraffollate tutti i detenuti con ancora soltanto un anno di pena rimasto da scontare: “Ho firmato, e sono stato l’unico di Fi a farlo, una proposta che prosegua nel solco tracciato da papa Francesco e che si concretizza in un indulto dell’ultimo anno di pena”, ha detto il deputato di Forza Italia. Insieme a lui dalla pagine del Foglio si è espresso anche il capogruppo forzista in commissione Giustizia del Senato, Pierantonio Zanettin: “ai miei colleghi di maggioranza e ai membri di Governo che sabato scorso si sono commossi sul sagrato di piazza San Pietro in occasione del funerale del Papa voglio fare un invito alla coerenza, per omaggiare Papa Francesco non solo attraverso il ricordo, ma seguendo i suoi insegnamenti: è ora di intervenire per svuotare le carceri del nostro Paese dove la situazione diventa ogni giorno più insostenibile”. Alla pdl sta lavorando l’associazione radicale Nessuno Tocchi Caino, insieme a parlamentari di tutti gli schieramenti parlamentari (Maurizio Lupi, Debora Serracchiani, Maria Elena Boschi Emanuele Pozzolo, Fabrizio Benzoni, Roberto Giachetti, etc) tranne Lega e M5S. Tanto è vero che proprio ieri l’ex sottosegretario alla giustizia del Carroccio, Iacopo Morrone, ha tenuto subito a prendere le distanze: “L’appello che ritengo utile lanciare a colleghi di maggioranza e minoranza è quello di ragionare con più lucidità e consapevolezza sulla questione carceri. A chi pensa di ‘svuotare le carceri del nostro Paese’ sull’onda emotiva della scomparsa di Papa Francesco, nonostante siano noti i dati preoccupanti della criminalità e le ripercussioni su un’opinione pubblica sfiduciata sulla capacità di fronteggiarla, rispondo che le politiche carcerarie di uno Stato sovrano non possono avere come punto di riferimento l’opinione del Vaticano o forme clemenziali indiscriminate che esulano del concetto costituzionale di umanità della pena”. E quindi che fare considerato che secondo i dati ufficiali del Ministero della Giustizia in carcere sono ospitati 62.281 detenuti, mentre la capienza regolamentare è pari a 51.283 posti? Ciò significa che il tasso di sovraffollamento è di circa il 122 per cento. Da aggiungere che dall’inizio del 2025 e fino all’8 aprile, secondo i dati del Garante nazionale detenuti, siamo arrivati già a 25 suicidi in carcere, senza contare quelli che tentano il suicidio in carcere ma muoiono in ospedale. Ritorna il partito trasversale dell’indulto: “Subito svuota-carceri, lo voleva il Papa” di Ilaria Proietti Il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2025 Da Forza Italia alla dem Serracchiani: fuori chi deve scontare meno di 12 mesi. Amnistia, indulto, liberazione anticipata. Sarà per il torpore della lunga siesta da plurimi ponti, per gli animi davvero scossi per le solenni esequie appena celebrate o per il gusto del diversivo, ma il cimento politico delle ultime ore è l’atto di clemenza nel nome di Papa Francesco. Che, inascoltato, all’apertura dell’Anno giubilare a Rebibbia aveva chiesto dignità per i detenuti e forme di condono della pena: tre giorni fa ha aperto le danze il sempre quirinabile Pier Ferdinando Casini rilanciando l’accorato appello, via Corriere della Sera, per interventi concreti sulle carceri: “È questa l’ultima lezione del Papa. Il suo è stato tutto un Pontificato rivolto agli ultimi”. Forse Casini metterà anche il suo sigillo alla proposta con cui i radicali di Nessuno Tocchi Caino chiedono la liberazione anticipata dei detenuti con ancora un anno di pena da scontare già sottoscritta da alcuni parlamentari, da Maria Elena Boschi di Italia Viva alla responsabile Giustizia dem Debora Serracchiani, passando dalla deputata Luana Zanella di Avs ma anche Maurizio Lupi di Noi Moderati: ieri si è fatta sentire anche Forza Italia. “Un minimo di coerenza vorrebbe che la politica, commossa ai funerali del Pontefice, dia un segnale anche piccolo per omaggiarlo, al di là della retorica” ha detto il capogruppo in commissione Giustizia del Senato Pierantonio Zanettin, facendo eco alle dichiarazioni dell’altro forzista, il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè. “Ho firmato, e sono stato l’unico di FI a farlo, la proposta che prosegua nel solco tracciato da Papa Francesco e che si concretizza in un indulto dell’ultimo anno di pena. Non serve il perdono indiscriminato ma certamente c’è bisogno di una misura straordinaria” ha spiegato al Dubbio sfidando i meloniani di Fratelli d’Italia e Lega. Il fatto è che poco più di un mese fa la discussione alla Camera sulla questione carceri sovraffollate si era conclusa con un nulla di fatto: zero concessioni dalla maggioranza, assente il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Ancora prima, nel luglio dello scorso anno l’apertura di Forza Italia rispetto alla proposta sulla liberazione anticipata presentata da Roberto Giachetti (Iv) era servita a mandare in fibrillazione gli alleati di centrodestra, ma poi c’era stata una rapida retromarcia. Questo mentre al Senato gli azzurri combattevano per far alzare da 6 mesi a 4 anni il residuo di pena per accedere alla semilibertà. Ora però sembrano pronti a un nuovo rialzo anche perché in via Arenula c’è un dossier che preme. Come ha spiegato il viceministro azzurro Francesco Paolo Sisto, che non più tardi di venti giorni fa, in un convegno organizzato da Renata Polverini (presente anche la radicale Rita Bernardini) sul sovraffollamento delle carceri aveva annunciato come imminente un provvedimento contro l’abuso della custodia cautelare. Deludendo invece su condoni e amnistie. “È giusto dire che si esce dal carcere perché non c’è posto? È ingiusto: lo sfratto non è incline alla funzione rieducativa della pena”. La supplica di Wojtyla e la clemenza postuma del Parlamento di Mauro Bazzucchi Il Dubbio, 1 maggio 2025 La supplica del Pontefice e la clemenza “postuma”: Così andò 20 anni fa. “Merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolare l’impegno di personale recupero in vista di un positivo reinserimento nella società”. Era il 14 novembre del 2002, quando Papa Giovanni Paolo II, già profondamente segnato dalla malattia, si spinse di fronte alle Camere riunite a Montecitorio a invocare esplicitamente l’amnistia, o quanto meno l’indulto, per i detenuti. Una richiesta accorata, avanzata in modalità inedite proprio nel luogo del legislatore, dopo che un eguale appello del Pontefice alla vigilia del Giubileo del 2000 andò completamente inascoltato dalla classe politica. Otto anni prima, infatti, l’ondata giustizialista che aveva accompagnato l’inchiesta Mani Pulite aveva determinato, oltre alla sensibile riduzione dell’immunità parlamentare, anche l’innalzamento del quorum necessario per l’approvazione di provvedimenti di clemenza ai due terzi del Parlamento. Il problema, però, era che al giro di vite legislativo non corrispose alcun miglioramento dal punto di vista dell’efficienza e della sostenibilità, del sistema penitenziario. Col risultato che nei momenti di sovraffollamento acuto (al netto di quello cronico) non era più a disposizione tale possibilità, visto che le forze politiche che dovevano la propria fortuna elettorale alla stagione giustizialista avevano gioco fin troppo facile a mettersi di traverso rendendo impossibile l’approvazione. E difatti, Lega, An e Italia del Valori furono irremovibili, tanto che nemmeno la deferente richiesta del Papa di fronte ad un emiciclo commosso ebbe alcun seguito. Dovette intervenire la morte del Sommo Pontefice, nel 2005, affinché il dossier amnistia venisse riaperto in maniera efficace, da una parte per il lavoro diplomatico del Vaticano, che seppe far convergere una parte del centrosinistra sulla necessità di un atto di clemenza, e soprattutto per il passo intrapreso dall’allora premier Silvio Berlusconi, il quale vinse il proprio iniziale scetticismo, dovuto a preoccupazioni di natura elettorale, e garantì l’appoggio di Forza Italia. Ne venne fuori, nel 2006, un indulto in versione ridotta, che prevedeva uno sconto di pena di tre anni, ad eccezione di una serie di reati ritenuti particolarmente gravi, come mafia, terrorismo e violenza sessuale. Inoltre, lo sconto sarebbe stato annullato nel caso di recidiva nei cinque anni successivi all’entrata in vigore della legge. Sebbene si fosse trattato non dell’amnistia inizialmente gradita a Papa Giovanni Paolo, il provvedimento fu utile a portare respiro agli istituti di pena, che però piombarono rapidamente nella situazione inumana e insostenibile nella quale versano attualmente. Nonostante la portata ridotta dell’indulto, la discussione parlamentare fu accompagnata da polemiche roventi, e alcune forze politiche che avevano fatto dell’ultragiustizialismo e della narrazione securitaria il proprio punto di forza non mancarono di cavalcare propagandisticamente anche l’iter del provvedimento. Dura fu l’opposizione della Lega e di Alleanza Nazionale, che tra l’altro facevano parte della maggioranza di governo, mentre dall’opposizione ci fu chi, come Idv, che arrivò a pubblicare sulla home page del proprio sito il nome e la foto dei parlamentari che avevano detto sì all’indulto. A giudicare da alcune dichiarazioni delle ultime ore, da quando cioè la dipartita di un altro Pontefice ha rimesso in campo l’ipotesi di un indulto (di portata ancora minore di quello del 2006), è lecito pensare che il canovaccio purtroppo non sarà differente. “Quella sfilata di ipocrisia vista dal carcere. E ora chi si ricorderà di Bergoglio?” di Gianni Alemanno* Il Dubbio, 1 maggio 2025 Riceviamo da Gianni Alemanno e pubblichiamo nel rispetto delle norme dell’Ordinamento. Tutti i potenti della Terra, 400mila persone in piazza, il mondo che guarda commosso la televisione, Trump e Zelensky che parlano, seduti da soli dentro la Basilica di San Pietro. Ormai fa parte della retorica comune dire che il mondo si è inginocchiato di fronte alla morte di Papa Francesco. Anche qui in carcere, per una volta, le televisioni non sono sintonizzate sui programmi di Maria De Filippi, ma in tutte le celle si guarda in silenzio Piazza San Pietro. Per le persone detenute Papa Bergoglio non era semplicemente un’autorità religiosa o un uomo giusto e famoso da apprezzare, era, ed è, un parente, un padre, un nonno, o uno zio (come qui vengono invariabilmente chiamati i detenuti più anziani), a cui si è affezionati perché lo si sente concretamente vicino nel proteggere e nell’aiutare. Quante volte in questi mesi sono stato fermato anche dai detenuti più semplici che mi chiedevano: “Che farà il Papa? Perché non lo ascoltano? Lui è l’unico che può smuovere la situazione”. E Papa Bergoglio, fino all’ultimo, non ha deluso le aspettative: ha aperto una Porta Santa a Rebibbia, la sua ultima uscita fuori dalle mura vaticane è stata al carcere di Regina Coeli, ha lasciato 200mila euro in eredità al Carcere minorile di Casal del Marmo. Tutto questo a coronamento di un Pontificato in cui non ha mai smesso di chiedere tre cose: fermare le guerre, salvare i migranti, aiutare le persone detenute. Cosa hanno fatto i potenti del Mondo per rispondere a queste tre pressanti richieste? Cosa faranno ora che si sono commossi per la morte di Bergoglio? E in Italia, culla del Cattolicesimo, cosa si farà per affrontare il più semplice di questi problemi, ovvero le condizioni di sovraffollamento e degrado in cui vivono gli oltre 60mila persone detenute nel nostro Paese? Il Ministro Nordio continuerà a dire che bisogna costruire nuove carceri, che nel caso migliore saranno pronte tra dieci anni? O a ipotizzare di mettere le persone detenute in prefabbricati e caserme abbandonate, come si fa per gli sfollati dai terremoti? Senza, per altro, avere le risorse per colmare tutti i paurosi vuoti d’organico che già oggi (senza le nuove carceri) mettono in difficoltà la Polizia penitenziaria, seconda vittima del sovraffollamento carcerario? Senza affrontare l’altrettanta paurosa carenza di psicologi, educatori e giudici dei Tribunali di Sorveglianza? È in queste condizioni di sovraffollamento e degrado che, anche se senza pensare al Papa scomparso, si pensa di offrire alle persone detenute la via della rieducazione imposta dall’art. 27 della Costituzione? I politici di centrodestra, nonostante tutte le polemiche sulle follie della giustizia italiana, continueranno a chiudere gli occhi di fronte a questa riedizione contemporanea de Il Processo di Kafka che si vive nelle carceri italiane? Carceri fatiscenti e sovraffollati, in cui si mescolano innocenti, persone condannate a decine di anni per reati banali o cervellotici, altri che aspettano invano l’applicazione delle leggi previste per la rieducazione e per l’avviamento al lavoro, ottantenni e malati? Quanto potrà durare la menzogna che in questo modo si tutela la sicurezza dei cittadini, la certezza della pena e l’autorità dello Stato? Provocando sistematicamente il 70% di recidiva, attraverso carceri che in queste condizioni sono solo Università del crimine? I politici di opposizione continueranno, per opportunismo, a far finta che non sia responsabilità anche della Magistratura se si vive in questa situazione, non cominciata certo oggi che governa la destra? Ai funerali di Papa Francesco sono stati invitati a partecipare anche cinque detenuti (alcuni provenienti dal nostro braccio) che hanno atteso il feretro all’ingresso di Santa Maria Maggiore per offrire ognuno di loro un fiore. Perché, come Trump e Zelensky si sono parlati dentro San Pietro, il Ministro Nordio non ha fatto il gesto di incontrare queste persone detenute sotto le volte della Basilica della Salus popoli romani? Non sarebbe stato il modo migliore per onorare Papa Francesco nella sua volontà di aiutare chi soffre dietro le sbarre? Papa Francesco, con la sua morte, offre a tutti una via d’uscita, una possibilità di ripensamento senza perdere la faccia. Anche di fronte al più feroce degli elettori, non si ha la potente giustificazione: ce l’ha chiesto Papa Francesco? Può avvenire, almeno una volta, che tutta la politica italiana si metta insieme per fare qualcosa di serio per cancellare, o ridimensionare, una vergogna, che tra qualche mese porterà la Repubblica Italiana di nuovo sul banco degli imputati della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo? Le strade per attenuare questa situazione possono essere tante, anche evitando un semplice “colpo di spugna”, basta volerle percorrere con la necessaria determinazione. Cari ex colleghi politici, Papa Francesco vi ha offerto l’opportunità di interrompere una grande ipocrisia. Non rispondete aggiungendo un’ipocrisia ancora più grave: piangere Papa Francesco continuando a ignorare quello che Papa Francesco ha chiesto. *Da Rebibbia La fatica per i detenuti di un mondo alternativo di Luigi Talienti L’Edicola del Sud, 1 maggio 2025 Per me, come per gran parte degli uomini, il carcere era un luogo da evitare, perché abitato da “delinquenti”, da gente poco raccomandabile, con cui era meglio non avere a che fare. M’intimoriva e mi sentivo inadeguato e impreparato a ricoprire quel ruolo da docente, in quel mondo a me sconosciuto. Subito mi misi alla ricerca di testi attinenti e funzionali all’insegnamento, che lessi con grande avidità. Trovai poco sulla docenza in carcere, quasi non fosse contemplata nell’ordinamento scolastico, ma trovai nelle persone care e in docenti sapienti e dediti il conforto e l’incoraggiamento, che mi spinsero ad intraprendere con serenità quella strada, in totale fiducia nella forza d’animo quale azione motrice di innovamento. Fin dal primo momento e, nonostante i dubbi e le perplessità, avvertivo dentro di me un’attrazione che mi portava verso una risposta positiva. Arrivò settembre e finalmente giunse il momento di cominciare questa meravigliosa avventura, perché la scuola è vita e prospettiva, anche in un luogo di pregiudizio e sofferenza. Per la prima volta feci il mio ingresso in carcere: il cuore mi batteva forte dall’emozione ed ero pervaso da sentimenti contrastanti, che albergavano dentro di me, perché andavo incontro all’ignoto. Per fortuna, l’Area Trattamentale, per il tramite di Funzionari pedagogici e giuridici, con garbo, mi accompagnò, gradualmente, nel viaggio iniziale alla scoperta della nuova realtà. A poco a poco, svanirono tutti quei preconcetti legati alle persone ristrette, che ora guardo come fratelli e sorelle, studenti e studentesse, uomini e donne, insomma persone che hanno dignità, e non come animali in gabbia. A tal proposito, mi ha sempre fatto riflettere un proverbio tibetano, che così recita: “Un giorno camminando in montagna ho visto da lontano una bestia avvicinandomi mi sono accorto che era un uomo. La solidarietà è il principio ispiratore delle mie giornate “dentro”, arricchendomi e abbattendo in me quel pregiudizio che mi portava in prigionia. In tanti accorrono a me, al mio consiglio, al mio conforto e al mio aiuto materiale, rendendomi punto di riferimento. Si passa dal becero ‘ io ‘ al più nobile ‘ noi’, per arrivare ad un concetto di comunità che, al di là della mera genesi etimologica, rende un territorio culla di relazioni positive e propositive, oltre lo stigma. E le carceri rimangono mute di Fabio Cavallari glistatigenerali.com, 1 maggio 2025 C’è un rumore sordo che si ripete. Cancelli di ferro che sbattono. Chiavi che graffiano l’aria. Dentro le carceri italiane l’odore è denso. Stanco. Dimenticato. Qui, dove la punizione ha preso il posto della giustizia, si consuma ogni giorno una pena che non ha volto. E che quasi nessuno vuole vedere. Mentre la politica discute di slogan e simboli, le celle continuano a riempirsi. Gli uomini e le donne rinchiusi non sono più storie da raccontare. Ma cifre da gestire. Non si parla più di umanizzazione. Non si parla più di dignità. Si parla di fermezza. Come se la fermezza potesse cancellare il bisogno di giustizia. Nel 1948, Piero Calamandrei scriveva: “Bisogna aver visto!” Non basta conoscere. Non basta indignarsi da lontano. Bisogna vedere. Toccare. Respirare l’odore dei corridoi chiusi. Ascoltare il silenzio pieno di urla soffocate. Calamandrei sapeva che l’abolizione della pena di morte era solo una metà di civiltà. L’altra metà, quella più difficile, era cambiare il modo in cui si punisce. A distanza di settantasette anni, la domanda rimane intatta: abbiamo davvero visto? O abbiamo solo cambiato forma alla stessa condanna? Marco Pannella lo disse senza girarci intorno: “In Italia non c’è la pena di morte. Ma la morte per pena”. Non era una provocazione. Era la fotografia di un sistema che, anziché educare, distrugge. Anziché riparare, spezza. E c’è un’altra verità che nessuno vuole guardare. Che chi lavora in carcere non è libero. Gli agenti penitenziari non escono davvero. Anche loro vivono chiusi tra le sbarre, sospesi tra un ordine da eseguire e una vita da proteggere. Anche loro pagano un prezzo invisibile, giorno dopo giorno. Perché custodire la libertà degli altri, mentre si limita la propria, è una forma estrema di solitudine. E nessuno li ascolta più. Oggi, dietro ogni slogan sulla sicurezza, c’è un carcere che si riempie di vite spente. Oggi, dietro ogni applauso alla fermezza, c’è una porta di ferro che si chiude. E le carceri rimangono mute. Come tombe senza fiori. Come domande senza risposta Detenuti e volontari assieme in azione per ripulire le città e costituire comunità più inclusive agronline.it, 1 maggio 2025 Plastic Free Onlus impegnata nel contrasto all’inquinamento da plastica e Seconda Chance, associazione del Terzo Settore per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, faranno scendere in campo centinaia di volontari e decine di detenuti in permesso premio per la pulizia dell’ambiente. Tredici città italiane saranno protagoniste sabato 3 maggio di una straordinaria mobilitazione all’insegna dell’ambiente e dell’inclusione. L’iniziativa, nata dalla consolidata collaborazione tra Plastic Free Onlus, l’organizzazione impegnata nel contrasto all’inquinamento da plastica, e Seconda Chance, associazione del Terzo Settore dedicata al reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, vedrà scendere in campo fianco a fianco centinaia di volontari e decine di detenuti in permesso premio provenienti da istituti penitenziari di tutta Italia. I partecipanti saranno impegnati nella raccolta di rifiuti in spiagge, parchi, fiumi e aree urbane nelle seguenti località: Bari, Cagliari, Civitavecchia (RM), Massa, Napoli, Osimo (AN), Palmi (RC), Padova, Avola (SR), Sabaudia (LT), Teramo, Vasto (CH) e Viterbo. Un’azione simbolica e concreta al tempo stesso, che unisce il rispetto per la natura alla possibilità di riscatto personale per chi ha commesso errori in passato. “Seconda Chance è sempre più un punto di riferimento per la popolazione carceraria che cerca una via per reinserirsi - dichiara Flavia Filippi, presidente e fondatrice dell’associazione - Non si tratta solo di uscire per un paio d’ore a pulire. Queste giornate sono vere e proprie esperienze di comunità: si lavora insieme, si pranza insieme, spesso con i familiari, si condivide un momento di libertà e di umanità prima di rientrare in carcere. È il primo anno in cui collaborano così tanti istituti penitenziari e questo ci rende orgogliosi: oggi abbiamo una rete attiva in tutta Italia e oltre 520 offerte di lavoro già attivate per i nostri beneficiari”. Un modello inclusivo che si sposa perfettamente con la missione di Plastic Free, come spiega il suo direttore generale Lorenzo Zitignani: “Abbiamo costruito questa sinergia, giunta al terzo anno di fila, su un principio semplice: l’associazionismo deve essere aperto a tutti, mai esclusivo. Le nostre giornate di raccolta ambientale vogliono sensibilizzare, sì, ma anche offrire opportunità di riscatto e di gratitudine. Perché per cambiare il mondo serve il contributo di tutti, nessuno escluso. E poi, a far del bene non si sbaglia mai. Quindi perché non farlo?”. L’iniziativa coinvolgerà detenuti provenienti da 16 istituti penitenziari: Ancona Montacuto e Ancona Barcaglione, Noto (SR), Bari, Cagliari, Civitavecchia (RM), Frosinone, Laureana di Borrello (RC), Locri (RC), Massa, Padova, Secondigliano (NA), Teramo, Vibo Valentia, Viterbo e Vasto (CH), grazie alla collaborazione della Magistratura di Sorveglianza, dei Comuni, delle associazioni locali e di numerosi partner. L’appuntamento è fissato per sabato in ciascuna città, con orari e punti di ritrovo indicati alla pagina Eventi sul sito ufficiale plasticfreeonlus.it. La forza di Francesco sulla giustizia penale di Vladimiro Zagrebelsky La Stampa, 1 maggio 2025 I detenuti, il rispetto e fratellanza verso di loro sono stati un tratto costante del pontificato di Papa Francesco. Non suo specifico naturalmente, dal momento che risale, come opera di misericordia, al Discorso della Montagna. Ma nelle indicazioni di questo Papa si trova una speciale forza, fino al suo paradossale “non so perché loro in carcere, invece che io”. Nel recinto dei potenti della politica mondiale, radunati al funerale, si è visto, serio e compunto, anche tutto quanto vi era di contrario a ciò che il Papa fino all’ultimo ha testimoniato: contrario e addirittura rivendicato, nel disprezzo e nell’insofferenza, espressi con tanta frequenza nella società e nel mondo politico. E oltre al carcere anche la pena di morte, che in ancora tanti Paesi del mondo è praticata. Dopo una sospensione, la sua ripresa è stata tra i primi “ordini esecutivi” del nuovo presidente degli Stati Uniti. Essa invece indica da tempo un tratto proprio della identità europea. Ed è dei giorni stessi della morte dei Papa l’ostentato programma politico di offesa alla dignità di detenuti deportati, incatenati, umiliati, fotografati in gabbia nel loro corpo e nella loro umanità. In Europa, in Ungheria, abbiamo visto recentemente qualcosa di simile, per fortuna in misura ridotta, con la presenza di Ilaria Salis in catene all’udienza penale. Ma la protesta non solo in Italia è stata forte, perché la inviolabilità della dignità di tutte le persone è scritta nel primo articolo della Carta dei diritti dell’Unione Europea. Il rispetto delle persone sottoposte alla forza dello Stato, come quelle in carcere, è condizione della rispettabilità del sistema penale e delle persone che lo mettono in opera. Da parte di Papa Francesco, in tema di giustizia penale, vi sono stati gesti di grande impatto pubblico, ma anche interventi meno vistosi, più argomentati, come quelli che ha dedicato alle associazioni degli studiosi del diritto penale. Si è trattato di posizioni sensibili, informate e moderne. Così il Papa ha condannato la frequente giustificazione della violenza o vendetta privata, che irresponsabilmente nascono dalle parole di esponenti politici; egli ha anche stigmatizzato la tendenza a ricorrere a leggi che sistematicamente stabiliscono pene carcerarie, credendo con questo di porre argine alla commissione di illeciti e senza occuparsi della loro origine. Nel linguaggio del Papa occorre cautela ad poenam, anche perché è tuttora indimostrata l’efficacia preventiva delle sanzioni: si corre il rischio di superare ogni limite di proporzione e ignorare la regola secondo la quale la pena (quella carceraria in special modo) si legittima solo come ultima ratio. In ogni caso le condizioni delle carceri ed altri luoghi di detenzione devono rispettare la dignità delle persone. L’ergastolo poi - sotto il pontificato di Francesco abolito dal codice penale del Vaticano - è stato condannato come “pena di morte nascosta”, in sintonia, tra l’altro e almeno, con le limitazioni che in varie forme sono state introdotte dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti umani. La carcerazione preventiva, che è spesso solo una pena anticipata, qualunque nome il legislatore le dia, va strettamente limitata. Occorre resistere alla “pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e dalle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società”. Queste ed altre indicazioni sono venute più di una volta rivolgendosi ai giuristi, sollecitandoli a svolgere un ruolo importante nel porre argine ai governanti e alla società nel suo complesso. È missione degli studiosi di mantenere fermi i principi e riconoscere sempre la fondamentale dignità delle persone. Le posizioni illustrate dal Papa Francesco riflettono e trovano base certa nei Vangeli, ma esse corrispondono anche, in Italia e generalmente in Europa, alle radici costituzionali di cui si nutre il dibattito pubblico, che legittimano le elaborazioni degli studiosi del diritto penale e del diritto penitenziario. Essi sono consapevoli della centralità della persona, tutte le persone, nella Costituzione, della presunzione di innocenza, della finalità rieducativa della pena e del divieto di pene contrarie al senso di umanità. “Colpo al Parlamento”: Magi ricorre in Consulta contro il Dl Sicurezza di Eleonora Martini Il Manifesto, 1 maggio 2025 “Uno strappo mai accaduto prima nella storia delle Repubblica”. Lo scippo istituzionale messo a segno con il decreto Sicurezza dal governo Meloni al solo scopo - dichiarato dallo stesso ministro dell’Interno Piantedosi - di evitare le “lungaggini” parlamentari sull’omonimo ddl giunto peraltro alle ultime battute dell’iter dopo un anno e mezzo di lavori alla Camera e al Senato, è un duro attacco alla democrazia. “Un colpo mortale al Parlamento”, perché “annienta le prerogative del singolo parlamentare e dell’intera istituzione”. Così il deputato Riccardo Magi, segretario di +Europa, in conferenza stampa a Montecitorio motiva il ricorso alla Corte costituzionale che ha preparato insieme all’avvocato penalista Fabio Lattanzi per sollevare un conflitto di attribuzione con l’esecutivo. Magi in questa sede non affronta la questione del contenuto, come fa l’appello dei 257 giuristi che ha raccolto finora più di 5 mila firme alle quali si sono aggiunte ieri quelle di Elly Shlein e dell’Unione delle camere penali. Il segretario di +Europa, nel ricorso, non affronta dunque la costituzionalità della ventina tra nuovi reati penali e aggravanti (“che non dovrebbero essere introdotti con decreto legge”, come sottolinea l’avvocato Lattanzi), e neppure della evidente mancanza di “straordinaria necessità e urgenza” che avrebbe giustificato il provvedimento. “Del resto - fa notare il deputato - durante la discussione mai il governo e gli esponenti della maggioranza hanno sollevato una questione di urgenza, su tutto il testo o su parti di esso”. E l’esecutivo non si è “nemmeno preoccupato di motivare le ragioni di necessità e urgenza, non ve n’è traccia nel preambolo del decreto legge che non offre ragguagli al proposito”. Il punto, qui, è il “conflitto tra poteri dello Stato”. Si tratta, spiega Magi, di un conflitto talmente evidente da aver costretto il Senato a rinunciare alla propria prerogativa legislativa ritirando il disegno di legge che era stato trasferito interamente nel decreto governativo varato in Consiglio dei ministri il 4 aprile scorso. In passato, ricorda il deputato che ha svolto il ruolo di relatore di minoranza durante la prima lettura del dl, erano state sollevate problematiche simili su singoli articoli di legge, oppure sulla compressione dei tempi di discussione nelle due camere, sull’ammissibilità di proposte emendative e così via. Ma mai si era arrivati a tanto. “Siamo davanti a un salto di qualità - afferma Magi - In questo caso l’unica urgenza e necessità per il governo era quella di superare un problema che si chiama Parlamento”. Una “lunga giurisprudenza della Consulta, a partire dalle ordinanze 17/2019 e 60/2020” supportano il ricorso che, spiegano Magi e Lattanzi, si fonda sullo “status costituzionale del singolo parlamentare” e sulla sua possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione. È ciò che ha fatto il deputato chiedendo “l’annullamento della delibera del 4 aprile del Cdm e conseguentemente del decreto” che deve essere convertito in legge entro il 10 giugno. Spetta ora alla Consulta decidere prima l’ammissibilità del ricorso e, in un secondo momento, l’eventuale annullamento del provvedimento. Intanto ieri nelle maglie del decreto sono finiti gli attivisti di Extinction Rebellion che protestavano pacificamente davanti al ministero di Giustizia proprio contro il colpo di mano governativo. Il sit-in è stato sgomberato dalla polizia con il pretesto della “mancanza di preavviso” e, secondo le testimonianze, “con modalità violente”. “67 persone sono state portate all’ufficio immigrazione di via Patini nonostante avessero fornito i propri documenti. Le violenze - sostengono i militanti- sono continuate anche durante il trasporto in autobus”. I fermati “riportano lividi sul corpo”. Dl Sicurezza, ricorso alla Corte Costituzionale di Magi: “Abolito il Parlamento” di Angela Stella L’Unità, 1 maggio 2025 Il segretario di +Europa solleva il conflitto di attribuzione tra poteri: “dal governo Meloni gravissima lesione delle prerogative costituzionali”. Crescono le adesioni all’appello dei giuristi contro il decreto. Il Segretario di +Europa, Riccardo Magi, deputato della I Commissione Affari Costituzionali, ha annunciato ieri, durante una conferenza stampa, la presentazione di un ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in cui ha denunciato “la gravissima lesione delle prerogative costituzionali spettanti al Parlamento e ai singoli parlamentari”, messa in atto dall’Esecutivo con l’adozione del Decreto-Legge “Sicurezza”. Come ha spiegato il parlamentare, fino ad aprile 2025, il Parlamento era stato impegnato nell’esame del ddl sicurezza, dal contenuto sostanzialmente identico al nuovo dl, nonché dal medesimo titolo, e “non si rinviene alcuna ragione per cui il Governo abbia ritenuto di interrompere l’esame del ddl e di sostituirlo con l’ennesimo dl”. Tantomeno, ha proseguito, “sussistevano condizioni di straordinaria necessità e urgenza, che, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, sono requisiti necessari affinché il Governo possa adottare decreti-legge”. Per Magi “il Governo ha deliberatamente scelto di fingere che il Parlamento - che, a differenza dell’Esecutivo, è votato e scelto direttamente dal popolo - non esista. Ha deciso di metterlo a tacere, forse per timore di affrontare probabili divisioni e fratture interne alla maggioranza. In materia di sicurezza, adottando questo decreto-legge, il Governo ha abolito il Parlamento e violentato le prerogative dei parlamentari, senza nemmeno preoccuparsi di motivare le ragioni di necessità e urgenza, non ve n’è traccia nel preambolo del decreto-legge, che non offre ragguagli al proposito”. Poi la critica al responsabile del Viminale: “al contrario, il Ministro Piantedosi ha motivato la scelta di adottare un nuovo decreto-legge con l’obiettivo di evitare le ‘lungaggini parlamentari’, dichiarandolo senza vergogna e ammettendo implicitamente di violare la costituzione”. Per queste ragioni “abbiamo deciso di rivolgerci alla Consulta, a cui chiediamo l’annullamento del decreto sicurezza, nonché il riconoscimento della sussistenza di una grave violazione, messa in atto dal Governo, delle attribuzioni spettanti al Parlamento e ai singoli parlamentari”. Per ora questa iniziativa è del solo deputato Magi che però ha dichiarato di voler chiedere anche ad altri suoi colleghi di aderire. Il deputato sarà assistito dall’avvocato Fabio Lattanzi che durante l’incontro con i giornalisti ha aggiunto: “Non è un ricorso che denuncia la costituzionalità di un provvedimento. Dov’è il conflitto? Entrambi i poteri dello Stato hanno i poteri legislativi, ma questa volta il governo lo ha esercitato senza avere, perché viene a mancare l’urgenza. Il governo ha espropriato il Parlamento della propria potestà legislativa senza nessuna ragione. Riproporre un’intera legge obbligando il Senato a sospenderne la trattazione è qualcosa che non può essere tollerato”. Le prossime tappe: il ricorso dovrà essere depositato formalmente in Corte costituzionale per il vaglio di ammissibilità. “Si auspica una cortesia preferenziale” ha detto Lattanzi. Qualora superasse questo scoglio, si andrebbe nella fase di merito. Intanto, dopo il M5S e +Europa, ieri anche Alleanza Verdi e Sinistra ha deciso di aderire all’appello che centinaia di giuristi italiani e migliaia di cittadini stanno sottoscrivendo in queste ore contro il dl sicurezza. “Ci sono momenti nei quali accadono forzature istituzionali di particolare gravità - hanno affermato Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni - di fronte alle quali non è più possibile tacere ed è anzi doveroso per i cittadini assumere insieme delle pubbliche posizioni. Il disegno di legge sulla sicurezza è stato trasformato dal governo in un ennesimo decreto-legge, senza che vi fosse alcuna straordinarietà, né alcun reale presupposto di necessità e di urgenza, come la Costituzione impone. Per altro si tratta di un disegno di repressione estremamente pericolosa di quelle forme di dissenso che è fondamentale riconoscere in una società democratica”. Giustizia veloce o giustizia rapida? In realtà non è sempre la stessa cosa di Renato Balduzzi Avvenire, 1 maggio 2025 Nei mesi scorsi, si è avviata un’interessante discussione sulla differenza tra velocità e rapidità, distinguendo tra la velocità fisica, misurabile e crescente (il treno corre, come un tempo il cavallo correva), e la velocità per dir così mentale, la rapidità appunto, caratterizzata da un coinvolgimento immediato e travolgente, capace tuttavia di lasciare spazio, se del caso, alla lentezza e alla ponderazione. Tale discussione, promossa lo scorso gennaio da un articolo di padre Antonio Spadaro su questo giornale (sulla base anche di una delle più note Lezioni americane di Italo Calvino, quella appunto sulla “rapidità”), è stata intelligentemente ripresa, tra l’altro, in un articolo su “L’Osservatore Romano” di qualche settimana fa. La suggestione della rapidità, che il gesuita suggeriva come orizzonte attuale di riferimento della teologia, viene applicata dal giurista Giovanni Maria Flick proprio alla giustizia umana, un campo nel quale alla diffusa e comprensibilmente pressante richiesta di superare le lentezze (giustizia tardiva è giustizia negata) si accompagna l’altrettanto evidente necessità di ponderazione e di equilibrio. E sovente la sola velocità non è in grado di bilanciare tutti i valori e gli interessi, di ordine costituzionale ed etico, che confluiscono nel momento giudiziario, e che hanno a che fare con il senso di umanità che ogni processo, civile penale o amministrativo, deve rispecchiare. Per contro, una giustizia “rapida” tiene insieme le due esigenze, il rispetto della tempistica e l’attenzione alla qualità del procedimento e del risultato processuale. Mi sembra un approccio assai fecondo, anche in altri campi. Pensiamo alla giornata di oggi, a questo nostro 1° maggio: tutti constatiamo i veloci cambiamenti del lavoro e della sua organizzazione, ma altresì confidiamo che non venga meno il significato del lavoro come fondamento della Repubblica, quale baluardo contro gli eccessi tecnocratici e i riduzionismi economicistici (e dunque vorremmo promuovere più rapidità, intesa come comprensione sintetica del nuovo e come slancio verso il futuro). Ma pensiamo anche ai compiti della politica: ciascuno di noi non coltiva forse il desiderio che essa sia capace di rapidità, piuttosto che di velocità, cioè che miri alla qualità profonda delle sue decisioni e alla loro idoneità a risolvere questioni complesse, in luogo di enfatizzare l’effetto annuncio e soltanto mediatico o consolatorio? Per stare a una discussione italiana di queste settimane, il così giustamente criticato decreto-legge sicurezza appare prigioniero del profilo della velocità, intesa come aumento inarrestabile di fattispecie di reato e come affastellamento di situazioni critiche cui offrire una risposta a ogni costo: anche a costo, purtroppo, di sacrificare plurimi beni costituzionali, dal principio di legalità e determinatezza dell’illecito penale al principio di eguaglianza, che impone di tenere in considerazione le differenti condizioni personali e sociali e di differenziare le condotte a seconda del contesto in cui sono poste in essere. Non sarebbe meglio, in questa materia, farsi piuttosto ispirare dal valore della rapidità, costruendo una politica penale che abbia uno sguardo diverso e, alla fine, produttivo di sicurezza vera? Infine, sconfinando in un territorio di non mia stretta competenza, un desiderio per il prossimo Conclave. Che esso sia, più che veloce, rapido: capace, dunque, di confermare e gridare al mondo la radicalità travolgente del Vangelo, come ha saputo fare papa Francesco. Uccise la sorella Alice Scagni, parla la madre: “Alberto è malato, tre anni in carcere senza cure” di Marco Lignana La Repubblica, 1 maggio 2025 Il primo maggio del 2022 il delitto nel quartiere genovese di Quinto. Antonella Zarri: “Scrive lettere sconcertanti, c’è scritto da tutte le parti che ha bisogno di farmaci”. “Mio figlio Alberto aveva dei seri problemi prima di uccidere la sorella Alice ed entrare in carcere. Da quando è in prigione non è mai stato curato. Mi chiedo come ne uscirà, se e quando uscirà da un istituto penitenziario. Adesso è a Ivrea, dopo l’ennesimo trasferimento, e di lui si sta occupando anche il garante dei detenuti. Manda solo lettere farneticanti, è sempre peggio”. Il primo maggio di tre anni fa, in via Fabrizi a Quinto, Alberto Scagni uccideva la sorella Alice. Dopo una telefonata minacciosa ai genitori, e una disperata chiamata del padre al 112, l’allora 42enne si appostava sotto casa e accoltellava la 34enne scesa per portare fuori il cane. Alle 10 di questa mattina, nella chiesa della Consolazione in via Venti Settembre, si terrà una messa in suffragio della vittima. Naturalmente ci sarà anche la mamma Antonella Zarri, insieme al marito Graziano Scagni. Una famiglia annichilita, che non riesce nemmeno a comunicare con il figlio assassino, condannato a 24 anni 6 mesi in via definitiva e giudicato semi-infermo di mente: “Alberto non vuole incontrare noi e neppure i suoi avvocati. È totalmente solo”. Antonella Zarri, quando è stato trasferito e perché Alberto dal carcere da Torino? “Non lo sappiamo, in realtà non sono stati avvisati neanche gli avvocati. Sono andati a Torino a gennaio e l’hanno scoperto lì, sul momento. Allora si sono spostati a Ivrea e sono riusciti a incontrarlo, anche se per pochissimo tempo perché, come ripeto, lui non vuole vedere nessuno”. Cosa scrive nelle sue lettere? “È ossessionato dalle manie di persecuzione. È convinto che tutti tramino sempre e costantemente contro di lui. Se uno si rompe una gamba e non viene curato, rimane storpio. In un cervello come il suo con tre anni di carcere senza neanche un farmaco i neuroni si spengono. C’è scritto da tutte le parti che ha bisogno di cure”. Vi siete mossi in quale modo? “Ho parlato a lungo con il garante delle persone private della libertà personale di Genova Doriano Saracino, che a sua volta ha scritto al suo collega di Ivrea. Ma io ormai come posso avere fiducia nelle istituzioni? In carcere l’hanno già pestato due volte (a Genova ma soprattutto a Sanremo, ndr) e non è finito su una sedia a rotelle per miracolo. Forse faceva comodo a qualcuno farlo uscire così, renderlo inoffensivo”. Per l’episodio di Sanremo sono stati perseguiti altri due detenuti, responsabili del massacro... “Sì, ma per quattro ore nessuno della penitenziaria ha mosso un dito. Mentre la pm titolare del fascicolo, che ha archiviato la posizione degli agenti della polizia penitenziaria, era la stessa pm intervenuta sul posto. Questi sono i fatti”. Lei avrebbe paura di incontrare suo figlio fuori da un contesto protetto? “Di certo non scapperei. Se mi prendo una coltellata, vorrà dire che raggiungerò Alice. Dopo quello che ho vissuto, cosa vuole che abbia paura. Questa storia ha distrutto ogni cosa, la vita di Alice prima di tutto, quella della sua famiglia, e anche il rapporto fra noi e i nostri parenti acquisiti, con un nipote di mezzo”. Dopo l’archiviazione del fascicolo nato dalla vostra denuncia nei confronti di 112 e Centro di salute mentale avete fatto ricorso alla Cedu. A che punto siete? “Il ricorso è stato ritenuto ammissibile diversi mesi fa, ma i tempi sono lunghissimi. Ne traggo la conclusione che, evidentemente, in tanti hanno problemi con la giustizia”. Dopo tre anni da quel giorno drammatico, resta sulle sue posizioni? “Io e mio marito abbiamo detto che per Alberto ci volesse una pena giusta, non che non dovesse pagare. Allo stesso tempo però abbiamo sempre detto che i principali responsabili per noi sono le istituzioni a cui ci eravamo rivolti, e che non ci hanno mai considerato. Continuo a chiedermi cosa avremmo potuto fare di più e sono giunta alla conclusione che l’unica cosa era prendere delle guardie del corpo per tutti coloro che in qualche modo potevano incrociare Alberto. Ma mi rendo conto che purtroppo non siamo gli unici a essere finiti in questa situazione”. A chi si riferisce? “L’ultimo caso? I due poveri fidanzati ammazzati a Torino (Chiara Spatola e Simone Sorrentino, uccisi da Andrea Longo, ndr). Il 118 intervenuto poche ore prima con il coltello sul tavolo, nessuno che ha fatto niente”. Oggi ricordate Alice... “Negli ultimi giorni prima del delitto avrebbe sacrificato qualsiasi cosa per proteggerci da Alberto. Ha lasciato un bambino speciale, che oggi ha quattro anni. Io e mio marito adesso dobbiamo stare vivi per lui”. “Valutare in mondo autonomo gli indizi”. La Cassazione contro il copia-incolla dei giudici di Antonio Alizzi Il Dubbio, 1 maggio 2025 Negli ultimi anni, il tema della motivazione autonoma nei provvedimenti giudiziari è stato al centro del dibattito politico- giuridico. A tal proposito, si è consolidato il principio che vieta il cosiddetto ‘copia e incolla’ acritico delle richieste della procura da parte dei giudici, sia nella fase cautelare che in quella di merito. Il decreto Omnibus - su iniziativa di Forza Italia - ha introdotto modifiche tese a bandirlo nei procedimenti relativi alle intercettazioni, imponendo al giudice di motivare in modo autonomo e specifico il proprio consenso. Ora, la Corte di Cassazione ribadisce con fermezza che le ordinanze cautelari devono contenere una valutazione autonoma degli indizi e delle esigenze cautelari. Inoltre, le sentenze, specialmente quelle giunte al giudizio di secondo grado, devono rispondere in modo concreto e argomentato ai motivi di impugnazione, non potendosi limitare a meri richiami o adesioni alla sentenza di primo grado. In Calabria, nell’ultimo periodo si sono verificati tre casi “gravi”. La prima decisione ha riguardato l’inchiesta su una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti tra Cosenza e comuni limitrofi. Nel caso di specie, la Corte ha annullato senza rinvio un’ordinanza cautelare di conferma del Riesame di Catanzaro, riconoscendo la mancanza di autonoma valutazione da parte del Gip e del Tdl del capoluogo di regione, nei confronti di un uomo rimasto in carcere per sette mesi. “Quanto ai gravi indizi di colpevolezza, emerge dall’ordinanza genetica” che la valutazione del Giudice per le indagini preliminari “è stata compiuta in sette righe, testualmente riproduttive della richiesta cautelare”. “Il Tribunale del Riesame”, si legge nel provvedimento, “si è limitato a richiamare principi giurisprudenziali, senza tuttavia spiegare quale sarebbe stata nella specie la valutazione autonoma del quadro indiziario da parte del Giudice per le indagini preliminari nei riguardi della posizione specifica dell’imputato. La valutazione - scrive la Suprema Corte - deve essere autonoma non in generale, ma rispetto al singolo destinatario della misura e ai singoli reati contestati”. E ancora: “Quanto alle esigenze cautelari, la valutazione per il ricorrente è stata compiuta in un unico breve tratto motivazionale insieme a decine di coindagati, senza nessuna distinzione, in un tutto indistinto che non consente di differenziare alcunché”. Relativamente al primo caso, la Cassazione ha evidenziato che la motivazione apparente viola l’art. 292 c. p. p., come riformato nel 2015, che richiede un vaglio critico individualizzato e impedisce ogni automatico recepimento delle richieste del pubblico ministero. Nella seconda vicenda giudiziaria, sempre inerente all’indagine antimafia della Dda di Catanzaro, la Cassazione, riprendendo in parte le motivazioni richiamate nel primo caso citato, aggiunge: “Il Tribunale del Riesame si è limitato ad affermare che la valutazione del primo Giudice sarebbe stata autonoma per avere in generale questi disposto in molti casi misure cautelari diverse rispetto a quelle richieste dal Pm. Una motivazione non calibrata rispetto alla singola posizione dell’indagato”. Anche qui, il soggetto era stato recluso per oltre sei mesi. Infine, il processo sul cosiddetto “Sistema Rende”, dove la Suprema Corte ha annullato con rinvio le assoluzioni, perché “la Corte d’appello di Catanzaro si è limitata a condividere la sentenza di primo grado senza confutare in alcun modo le ragioni esposte nell’atto di appello”. Gli ermellini, inoltre, hanno precisato che “si è, pertanto, in presenza di una motivazione del tutto mancante o comunque apparente, atteso che in tema di sentenza di appello, incorre in una motivazione apparente il giudice che si limiti a una mera rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo, senza tenere in adeguato conto le specifiche deduzioni difensive, omettendo, altresì, di fornire adeguata spiegazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il ricorso”. Infine, la Cassazione, che ha evidenziato come il ricorso del pm fosse “conforme all’onere di specificità dell’impugnazione”, ha ricordato che “l’assenza totale di motivazione è una violazione di legge per cui è ammesso il ricorso ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., trattandosi di inosservanza di un dovere presidiato a livello costituzionale”. Sebbene diverse tra loro, le sentenze della Cassazione mettono in chiaro alcuni principi inderogabili. Il giudice, innanzitutto, deve esercitare un controllo autonomo e critico sulle richieste del rappresentante della pubblica accusa, deve inoltre valutare nello specifico ogni posizione individuale e deve rispondere con puntualità alle deduzioni delle parti processuali, in modo particolare nei giudizi di impugnazione. Bologna. La Regione: “La Dozza non regge più” di Ludovica Addarii incronaca.unibo.it, 1 maggio 2025 L’assessora al welfare: “A Bologna una struttura vecchia, impossibile un lavoro di recupero”. “A Bologna, la Dozza ha una situazione strutturale ormai talmente complessa e vetusta da rendere impossibile un lavoro di recupero all’interno di questa struttura, ci sono tanti investimenti da fare”. L’assessora al welfare dell’Emilia-Romagna, Isabella Conti, denuncia le gravi criticità legate alla condizione delle carceri nella regione, focalizzando l’attenzione su uno degli istituti più problematici del territorio. “È un carcere che è stato realizzato nel 1982 con criteri vecchissimi, dove all’interno di una cella che era prevista per un detenuto ce ne stanno due di default. Alla Dozza ci sono 856 detenuti, quando la struttura potrebbe ospitarne solo 500”. Queste cifre, inevitabilmente, impattano negativamente tanto sulla vivibilità delle condizioni di detenzione quanto sulla sicurezza interna. Un problema collaterale, infatti, è anche la gestione del personale penitenziario: “Questa situazione comporta di conseguenza un pericolo continuo e costante di sommosse e di rivolte perché il personale è troppo sottodimensionato rispetto al numero di detenuti che ci sono. La pianta organica della polizia penitenziaria è tarata su 500 detenuti. Peraltro, si dividono su tre turni, quindi è evidente che se noi abbiamo un turno per 856 detenuti, il rischio che esploda una rivolta e che non ci siano le condizioni per sedarla è altissimo”. La criticità del carcere della Dozza non è però un caso isolato. Il quadro generale, infatti, non è più rassicurante se si allarga lo sguardo all’intero territorio regionale, dove sono presenti 10 strutture penitenziarie più una per i minorenni, quella del Pratello a Bologna. “Sono tutte piene, dal 120% al 170% rispetto alla loro capienza. Non abbiamo mai avuto le carceri con questo tasso di sovraffollamento”, spiega Conti. L’assessora solleva anche il problema di una generale scarsità delle risorse e degli insufficienti investimenti a livello nazionale. La Regione però, vuole sopperire a questa mancanza. Dopo la sua ultima visita alla Dozza lo scorso 25 marzo, è emersa la volontà di stanziare risorse utili al miglioramento del welfare negli istituti di pena: “Abbiamo portato una delibera di giunta in cui investiamo 4,2 milioni di euro che stiamo ottenendo dal piano di una giustizia inclusiva a livello governativo”. I fondi, spiega Isabella Conti, saranno indirizzati a nuove iniziative e attività per i detenuti che consentano loro di impiegare il proprio tempo in modo dignitoso e soprattutto di poter avere più opportunità una volta usciti. Ma non solo: “Noi stiamo lavorando anche per coordinare tutta una serie di attività mediche, sanitarie, a partire da dentisti fino a sostenere il supporto psicoterapeutico e psicologico sia ai detenuti che alla polizia penitenziaria”. Bologna. Una fabbrica dietro le sbarre di Federica Cecchi incronaca.unibo.it, 1 maggio 2025 Naldi: “Dal carcere alle aziende bolognesi, 30 ex detenuti ora metalmeccanici”. “La cosa più devastante in carcere è che il tempo non ha significato, non ha senso”, dice Gian Guido Naldi, uno dei fondatori di “Fare Impresa in Dozza”. Il progetto nato più di dieci anni fa che ha portato ad avere un’azienda nella Casa Circondariale di Bologna, dove attualmente 15 detenuti lavorano come operai metalmeccanici nel settore del packaging industriale. Di fronte alle drammatiche condizioni degli istituti penitenziari emiliano-romagnoli, quotidianamente riportate sulle testate nazionali e locali, tra emergenze psicologiche, igienico-sanitarie e sovraffollamento, dare un’opportunità contrattuale ai detenuti rappresenta una concreta soluzione per ridare loro dignità e offrire loro una possibilità reale di reinserimento nella società. Le carceri sono ambienti ormai “tossici”, per utilizzare un’espressione di Don Domenico, cappellano del Pratello, ostili e privi di prospettive. In questo contesto, dove il sovraffollamento ha raggiunto livelli indecenti, alla Dozza sono 853 i detenuti su una capienza totale di 500. “Fare Impresa in Dozza” continua a distinguersi come un’isola felice, offrendo ai detenuti l’opportunità di imparare un mestiere nel settore meccanico e costruire un futuro concreto e dignitoso al termine della pena. L’idea iniziale è stata del professor Italo Minguzzi, oggi presidente onorario di Fare Impresa in Dozza. L’azienda in carcere ha poi preso forma con il supporto di Gian Guido Naldi e di tre grandi realtà industriali del territorio: Gd, Ima e Marchesini Group. È dal 2012 che i tre big del packaging hanno creato una società che opera direttamente all’interno della Dozza e che permette ai detenuti di lavorare e acquisire competenze concrete. La selezione dei partecipanti avviene in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria. Per ogni corso professionale, vengono segnalati circa venti detenuti, tra cui ne vengono scelti dodici. “Sappiamo che servono almeno due o tre anni per formare adeguatamente un lavoratore prima di proporlo a un’azienda”, spiega Naldi. “Per questo motivo, selezioniamo chi ha ancora alcuni anni di pena da scontare, evitando chi ha pene troppo brevi o, al contrario, troppo lunghe. Ad esempio i condannati all’equivalente dell’ergastolo, ossia a trent’anni di reclusione”. I detenuti lavorano in azienda e vengono assunti con un regolare contratto di lavoro e imparano un mestiere nel settore del packaging industriale, un ambito complesso e altamente qualificato. “Si tratta di un lavoro artigianale organizzato con rigore industriale”, precisa Naldi. “Ogni pezzo è diverso, e l’esperienza si accumula nel tempo, come un tempo avveniva nei laboratori artigianali”. I risultati ottenuti da “Fare Impresa in Dozza” parlano chiaro: il tasso di recidiva tra i detenuti che hanno partecipato al programma è inferiore al 15%, a fronte di una media nazionale che oscilla tra il 65% e il 70%. “Il lavoro però non è solo pratico, infatti riteniamo fondamentale impegnarsi ad offrire ai detenuti una ragione che gli spiga ad evitare di ricadere negli stessi errori” afferma Naldi. “Dare un’occupazione lavorativa significa offrire una prospettiva, ma anche restituire dignità e autonomia a chi ha sbagliato”. Il finanziamento del progetto arriva principalmente dalle tre aziende fondatrici e dagli incarichi di lavoro ricevuti dall’azienda. “Non siamo solo un ente assistenziale, ma anche un’impresa vera e propria”, sottolinea Naldi. “Produciamo, fatturiamo e garantiamo ai nostri dipendenti uno stipendio regolare”. Ad oggi, oltre settanta detenuti hanno partecipato al programma e una trentina di ex detenuti hanno trovato un lavoro in aziende del territorio. Tuttavia, le difficoltà non si fermano all’ottenimento di un lavoro. “Abbiamo visto che non basta imparare un mestiere per essere accettati nella società”, dice Naldi. “Esiste ancora uno stigma sociale che rende difficile la reintegrazione, e spesso il problema più grande è la solitudine”. Per questo il supporto post-detenzione diventa essenziale, per accompagnare i detenuti nel ritorno alla vita quotidiana. Forlì. Garante dei detenuti, è caos. La maggioranza esce: così salta il voto in Comune di Matteo Bondi Il Resto del Carlino, 1 maggio 2025 Opposizione all’attacco. Ragni (FdI): “La sinistra non si è confrontata. Vogliono rimestare, ma siamo uniti”. Gallozzi (Civica): “Ne riparleremo”. Il consiglio comunale di lunedì, in serata, si è concluso per mancanza di numero legale: in aula erano presenti i consiglieri dell’opposizione e il solo Damiano Bartolini di Fratelli d’Italia, il resto della maggioranza non è rientrato dopo una sospensione dei lavori. A quel punto la seduta è stata chiusa. Si sarebbe dovuto votare la mozione, presentata dalla minoranza, riguardante l’istituzione del garante per i detenuti. “Chiedevamo all’Amministrazione di iniziare il percorso per l’istituzione di un garante dei detenuti a Forlì - spiegano i consiglieri di minoranza. Questa figura, già presente a livello nazionale, regionale e in quasi tutti i comuni capoluogo dell’Emilia-Romagna, ha il compito di collaborare con le istituzioni per tutelare i diritti dei detenuti e favorire processi rieducativi che, statistiche alla mano, quasi azzerano i casi di recidiva”. Prima è stata chiesta una sospensione dei lavori dell’aula, poi, dopo un tempo superiore a quanto concordato, la maggioranza non è rientrata in aula, facendo così decadere la seduta e la relativa votazione. Cos’è successo? “Non era possibile un confronto sul tema della mozione - spiega il capogruppo di Fratelli d’Italia, Fabrizio Ragni. L’hanno costruita come volevano loro, se avessero voluto veramente fare qualcosa di serio, avrebbero potuto prima parlarne con noi. Io non sono stato contattato da nessuno e ci siamo ritrovati con quel testo. Vogliono solo rimestare, ma la maggioranza è coesa, infatti siamo usciti tutti”. Contatti che invece erano avvenuti con la Civica. “Noi leggiamo tutto quello che viene proposto - spiega il capogruppo, Leonardo Gallozzi -, per poi portare le nostre considerazioni. Io sono dovuto andare via prima, ero convinto che si sarebbe arrivati al voto. Lo faremo il prossimo consiglio”. Non specificando però l’intenzione di voto di Forlì Cambia. “Siamo convinti che molti consiglieri di maggioranza avrebbero voluto votare questa mozione - attaccano i consiglieri di opposizione -, ma siamo amareggiati per la mancanza di coraggio nel discostarsi dalla linea imposta ancora una volta dall’estrema destra di Fratelli d’Italia, con il suo approccio incurante per i più deboli e i loro diritti”. E citano Papa Francesco, “fortemente impegnato proprio sul fronte dei diritti dei detenuti, al punto da aver visitato il carcere di Regina Coeli solo pochi giorni prima della sua morte”. Eppure, “in consiglio ci è stato impedito addirittura di unirci, con un breve intervento, alle parole pronunciate dal sindaco in apertura della seduta in memoria del Papa”. Si appellano quindi al sindaco perché prenda le distanze “dalle posizioni estremiste e radicali dei consiglieri FdI”. Pisa. Grazie al progetto di Unipi pubblicate indicazioni europee per la vaccinazione in carcere di Mario Alberto Ferrari La Nazione, 1 maggio 2025 Ampliamento dell’offerta e delle coperture vaccinali, equità e continuità assistenziale tra i principali benefici attesi: sono il risultato del progetto RISE-Vac coordinato dall’Università di Pisa. Pubblicate le prime indicazioni a livello europeo per potenziare i servizi vaccinali negli istituti penitenziari. Il documento, intitolato “Strengthening vaccination services in prison settings: Public health guidance” è il risultato del progetto europeo RISE-Vac (Reaching the hard-to-reach: increasing access and vaccine uptake among prison populations in Europe), finanziato dal 3° Programma Salute dell’Unione Europea e coordinato dall’Università di Pisa. A guidare l’iniziativa, Lara Tavoschi, professoressa di igiene e medicina preventiva, affiancata da Erica De Vita, ricercatrice e da un gruppo di assegniste e specializzande tutte del Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia. Il progetto ha coinvolto nove istituzioni partner in sei paesi europei (Italia, Regno Unito, Francia, Germania, Cipro e Moldova). L’annuncio arriva a ridosso European Immunization Week (EIW), promossa annualmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che per l’edizione 2025 pone proprio l’accento sull’urgenza di garantire una copertura vaccinale elevata ed equa in tutte le comunità, senza lasciare indietro nessuno. “Queste indicazioni - spiega Tavoschi - sono un passo avanti fondamentale per la promozione della salute pubblica in contesti caratterizzati da elevata vulnerabilità. I principali benefici attesi dalla loro adozione sono l’aumento della copertura vaccinale tra le persone detenute, il miglioramento dell’equità e dell’accesso alle cure, il rafforzamento della continuità assistenziale post-detenzione, nonché un coinvolgimento attivo di personale e detenuti tramite strumenti educativi mirati”. Le raccomandazioni sono già state presentate alle istituzioni sanitarie e penitenziarie dei paesi coinvolti, dove sono in corso le prime applicazioni pilota. Uno degli elementi distintivi del progetto RISE-Vac è stata infatti lo studio sul campo che ha coinvolto vari istituti penitenziari con un approccio fortemente partecipativo. Detenuti e personale penitenziario, ad esempio, sono stati attivamente coinvolti nella co-creazione di materiali educativi multilingue - tra cui video, opuscoli e percorsi formativi - disponibili gratuitamente sul sito del progetto. “Con la pubblicazione di queste indicazioni - conclude Tavoschi - l’Università di Pisa consolida il proprio ruolo guida nella ricerca europea per la salute pubblica e contribuisce concretamente alla definizione di strategie vaccinali più inclusive ed efficaci, anche nei contesti più complessi”. Vicenza. Sport e lavoro per dare nuova speranza di futuro ai detenuti di Andrea Alba vocedeiberici.it, 1 maggio 2025 Lavoro è libertà: tanto più per una persona che, scontata la pena, esce dal carcere. A Vicenza da ben 26 anni il CSI, Centro Sportivo Italiano, e una serie di cooperative sociali operano in stretta collaborazione con il penitenziario “Delpapa” (San Pio X), riuscendo a coinvolgere molti detenuti: “In Italia chi esce dal carcere in più della metà dei casi finisce per commettere un nuovo reato. Ma con le pene alternative il rischio di recidiva si abbassa moltissimo: fino al dieci, venti per cento”. A spiegarlo è Enrico Mastella, ex presidente della sezione vicentina dell’associazione CSI, che dal 1999 è responsabile del Progetto Carcere Sport Insieme. Il progetto è stato fra gli argomenti di una veglia di preghiera organizzata nei giorni scorsi dalla Pastorale sociale del Lavoro della diocesi in occasione del Primo Maggio. “Ventisei anni fa abbiamo iniziato portando delle attività sportive in carcere, e non ci siamo mai fermati - spiega Mastella -, si propongono ai detenuti tennistavolo, taichi, nordic walking, attività motoria e scacchi, con degli istruttori professionisti ad in segnare le attività. Siamo partiti con due ore a settimana, poi nel tempo sono state sviluppate delle attività aggiuntive: in primis delle uscite premio, incontri con la comunità esterna e le parrocchie. E poi dei corsi, sempre con docenza professionale: per arbitri di calcio, di preparazione atletica, di medicina sportiva”. Dal 2010 il CSI collabora con propri volontari a un progetto di accoglienza per favorire i colloqui dei detenuti con le famiglie. E poi c’è il progetto Carcere Scuola, partito nel 2003. “Ha tre step: l’ingresso degli studenti in carcere, assemblee sulla legalità e corsi sull’educazione alla legalità. Ragazzi e ragazze ascoltano interventi e testimonianze. Della polizia penitenziaria e dei detenuti, che raccontano il senso o non sensi del finire in prigione. Poi con l’accompagnamento della polizia si visitano una cella e la stanza perquisizioni”. Prima di una partita di calcio con la rappresentativa, la fase finale di questi incontri (che hanno portato 17mila studenti al Delpapa dal 2009) prevede una testimonianza con una delle associazioni e cooperative che a Vicenza si occupano del periodo finale della pena. “I detenuti che su disposizione del magistrato sono coinvolti in questi progetti vedono il rischio di recidiva ridursi moltissimo: all’esterno operano con Lembo del Mantello, Progetto Jonathan o Giovanni XXIII°, oppure con una delle cooperative, Erica o Insieme, che svolgono attività lavorative dentro al carcere” continua Mastella. Le attività lavorative all’interno e all’esterno sono spesso commesse affidate da altre aziende alle cooperative (prodotti dolciari, lavori di assemblaggio di par ti meccaniche, sfalcio) o attività in ricicleria. Anche le attività con il CSI contribuiscono: “Ai detenuti che hanno avuto un comportamento corretto all’interno del penitenziario e hanno svolto attività sportiva o lavorativa interna diamo un certificato che, con una relazione di sintesi, viene inviata al magistrato di sorveglianza. E poi la persona viene affidata alle comunità esterne, o esce dal carcere per lavorare” con ferma Mastella. La buona notizia è che, post Covid, il numero di detenuti coinvolti in attività lavorative è aumentato: “Molte più persone sono coinvolte nelle attività interne nel forno e nel capannone assemblaggi, da sette-otto sono passate a una trentina - conclude il volontario -. Frutto di un aumento delle aziende che hanno dato disponibilità ad appaltare la vori”. Un effetto degli sgravi fiscali: ma, forse, anche di un cambiamento in positivo della mentalità. Rimini. Giustizia e legalità in aula. Studenti incontrano i magistrati di Lorenzo Muccioli Il Resto del Carlino, 1 maggio 2025 Giustizia e sicurezza: due temi al centro della mattina di formazione vissuta ieri dagli studenti del liceo Serpieri. Nella cornice dell’auditorium scolastico, su iniziativa del referente per l’educazione civica Gianfranco Bonvicini, si è svolto un momento di confronto diretto con il sostituto procuratore della Repubblica di Rimini, Daniele Paci, affiancato da rappresentanti delle forze dell’ordine. All’apertura dell’evento, la dirigente scolastica Francesca Tornatore ha rivolto un sentito saluto ai presenti, ringraziando gli ospiti per la disponibilità e sottolineando l’importanza di creare occasioni concrete di dialogo tra istituzioni e nuove generazioni. Fulcro dell’incontro è stato l’intervento del pm Daniele Paci. Con un linguaggio chiaro e diretto, Paci ha illustrato agli studenti il ruolo del magistrato all’interno del sistema giudiziario, richiamando il valore delle leggi come strumento di giustizia e convivenza civile. Accanto al magistrato, hanno preso la parola anche il comandante della caserma dei carabinieri di Viserba, Adriano Sarti, il sostituto commissario della Polizia Ferroviaria Luciano Dimitri e l’ispettore Anna Nunzia Leo. I loro interventi hanno portato alla luce aspetti concreti del lavoro delle forze dell’ordine, con esempi tratti dalla quotidianità e un messaggio chiaro: la sicurezza è frutto della collaborazione tra cittadini, istituzioni e territorio. Obiettivo dell’iniziativa è stato quello di avvicinare i giovani al mondo della giustizia e della legalità attraverso il confronto diretto con chi ogni giorno è chiamato a far rispettare le regole e tutelare i diritti. Un’occasione, questa, per stimolare riflessioni e porre domande, come avvenuto nel momento conclusivo dell’incontro, dove numerosi studenti hanno dimostrato partecipazione e interesse. Napoli. Reinserimento dei giovani detenuti, incontro alla International School of Naples di Mauro Vignola cronachedi.it, 1 maggio 2025 Si è svolto oggi presso la sede dell’ISN - The International School of Naples, l’incontro dal titolo “Human Rights, Re-education and Prison in the National and European Scenario”, un momento di approfondimento e dialogo promosso nell’ambito del Progetto PESES, ideato da Carlo Cottarelli, con l’obiettivo di offrire agli studenti delle scuole secondarie un’opportunità di confronto con protagonisti ed esperti della recente scena politica economica italiana. L’evento ha visto come prima relatrice la professoressa Rossella Sabia, docente alla Luiss, che ha coinvolto attivamente gli studenti in una riflessione critica su concetti fondamentali come crimine, pena e rieducazione, analizzandone le interrelazioni in un contesto sia nazionale che europeo. Gli studenti hanno avuto l’opportunità di porre domande e confrontarsi apertamente su tematiche di grande rilevanza sociale e giuridica. A seguire è intervenuta la professoressa Paola Severino, già ministra della Giustizia, che ha presentato il progetto Legalità e Merito da lei coordinato, volto a favorire il reinserimento sociale e lavorativo dei giovani detenuti. La Professoressa ha sottolineato l’importanza di offrire ai giovani l’opportunità di parlare di legalità ai loro coetanei, costruendo un ponte tra chi ha avuto maggiori opportunità e chi vive situazioni di svantaggio. Un esempio concreto di solidarietà generazionale e partecipazione consapevole, pienamente in linea con i valori dell’ISN, The International School of Naples, che promuove la cittadinanza attiva e l’impegno civico. La scuola ha ospitato l’incontro, a cui hanno preso parte anche la Preside Debbie Kiley e il Professor Francesco Aiello, che ha coordinato l’iniziativa. L’evento ha rappresentato un’occasione preziosa di confronto diretto con il mondo accademico e istituzionale, rafforzando il legame tra scuola e società civile sui temi della legalità, dei diritti umani e della responsabilità sociale. Bergamo. La colletta per arginare la deriva di chi sta dietro le sbarre di Davide Ferrario Correrie della Sera, 1 maggio 2025 Chi è detenuto non pensa a scappare ma agli psicofarmaci in una deriva autodistruttiva. La raccolta di fondi dell’Ordine degli avvocati e una proiezione semideserta. In “Tutta colpa di Giuda”, il film che ho girato nel carcere di Torino nel 2009, c’è una scena in cui Kasia Smutniak bacia Fabio Troiano sulla soglia di una stanza. Il momento è sentimentale, ma se la macchina da presa si fosse spostata di pochi metri avrebbe descritto tutt’altra atmosfera. L’interno del locale era infatti pieno fino al soffitto di rotoli di carta igienica fallata, recuperati al macero dal direttore dell’istituto perché nelle galere italiane serve anche quello. La realtà è che della certezza della pena uno fa esperienza anche al cesso. Più che con alate speranze di libertà, il carcerato deve fare i conti con banalissime necessità quotidiane, la cui mancanza mina le stesse basi della sua dignità. Ecco perché è da segnalare l’iniziativa di raccolta fondi per i detenuti di via Gleno organizzata dall’Ordine degli Avvocati, che è anche stato il primo a donare 2.000 euro. Proprio l’Ordine ha organizzato un mese fa una proiezione di Tutta colpa di Giuda all’Auditorium, per sensibilizzare al tema addetti e non addetti ai lavori. La sala, con amara sorpresa degli organizzatori, era pressoché vuota. Io non me ne sono stupito più di tanto, invece: della galera, per esperienza decennale da volontario, non frega niente a nessuno. C’era però la sindaca Carnevali, e ne va preso atto. C’erano, soprattutto, la direttrice del carcere, Antonina D’Onofrio, e il cappellano, don Luciano Tengattini. Sono stato felice di conoscerli, anche se tra chi opera nel carcere si instaura sempre una sorta di fraterna rassegnazione. Da anni sento raccontare sempre le stesse storie, e non fanno che peggiorare. La cosa più impressionante è la deriva autodistruttiva a cui induce la detenzione in Italia, testimoniata dalla lunga catena di suicidi. Dimenticatevi i film su rocambolesche fughe da Alcatraz: chi sta in galera oggi non pensa a scappare, pensa principalmente a imbottirsi di psicofarmaci. Si può fare qualcosa? I grandi problemi li deve risolvere la politica, certo. Ma intanto gesti e iniziative come quella dell’Ordine degli Avvocati contano: certe volte poter disporre di uno spazzolino o di un rotolo di carta igienica fa più effetto di una predica. Non è un caso che proprio ai detenuti Papa Francesco abbia lasciato la sua eredità privata. Nella sterminata classe dei bisognosi loro occupavano nel suo cuore un posto speciale. Pisa. Successo per la mostra “Prigionieri” a Palazzo Toniolo pisatoday.it, 1 maggio 2025 Soddisfazione da parte della Fondazione Opera Giuseppe Toniolo per la risposta della città all’esposizione di 33 scatti in bianco e nero realizzati da Valerio Bispuri all’interno di alcune delle più grandi carceri italiane. È terminata martedì 29 aprile la mostra “Prigionieri” di Valerio Bispuri a Palazzo Toniolo, un’esposizione che, in soli dieci giorni di apertura, ha superato i 700 visitatori. Un risultato straordinario per uno spazio che, fino ad oggi, non aveva mai accolto esposizioni - tantomeno fotografiche - conferma quanto il tema del carcere sia attuale e fortemente sentito. Un racconto necessario quello di ‘Prigionieri’ che raccoglie 33 scatti in bianco e nero realizzati da Valerio Bispuri all’interno di alcune delle più grandi carceri italiane (Regina Coeli, Poggioreale, Ucciardone, San Vittore, Rebibbia femminile e altre). Le fotografie restituiscono con delicatezza e forza, la solitudine e la dignità di uomini e donne detenuti, invitando a riflettere su temi cruciali come la giustizia, il reinserimento sociale e la responsabilità collettiva. “Siamo molto contenti della risposta della città - sottolinea Andrea Maestrelli, presidente della Fondazione Opera Giuseppe Toniolo - oltre 700 i visitatori, ma ancora di più ci piace ricordare le 11 realtà associative e gli enti del terzo settore che hanno aderito al progetto della Fondazione Toniolo registrando il podcast Prigionieri di Speranza (ascoltabile su Spotify e nei locali della mostra) in cui hanno raccontato il loro impegno a supporto di detenuti e detenute della Casa Circondariale Don Bosco di Pisa. Un progetto corale - continua Maestrelli - che ha visto il sostegno di partner come Fondazione Pisa, ma anche Fondazione Cif, Radio Incontro e altri. E poi siamo molto contenti anche dell’ultimo segnale arrivato proprio a margine della conferenza inaugurale di Prigionieri: quando l’assessore Gabriella Porcaro ha comunicato la decisione del Comune di Pisa di finanziare una borsa lavoro da 6mila euro per una persona che sta scontando una pena. Sono segnali importanti: prova che, quando istituzioni, associazioni e cittadini camminano insieme, gli obiettivi comuni diventano azioni concrete e durature. Confidiamo che il gesto dell’amministrazione comunale trovi seguito anche in altre istituzioni e imprese, così da rendere l’inclusione un processo stabile e sempre più diffuso”. Palermo. “Attivamente”: un passo concreto verso l’inclusione sociale attraverso lo sport palermotoday.it, 1 maggio 2025 A Villa Niscemi la conferenza Inaugurale del progetto, inserito nel programma nazionale “Sport di Tutti-Carceri”. Si è svolta l’altro ieri, 29 aprile, nella suggestiva Sala delle Carrozze di Villa Niscemi, la Conferenza Inaugurale del progetto AttivaMente, inserito nel programma nazionale “Sport di Tutti - Carceri”, promosso dal Ministro per lo Sport e i Giovani e realizzato in collaborazione con Sport e Salute. L’iniziativa, promossa da Ceipes Ets, con il coinvolgimento di Palermo Sport&Dev e della Società Sportiva Roggero di Lauria, mira a favorire il reinserimento sociale dei giovani detenuti dell’Istituto Penale Minorile “Malaspina” di Palermo, utilizzando lo sport come strumento di sviluppo delle competenze personali, di educazione e di inclusione sociale. L’evento, moderato da Gaetano Piraino (Comitato Palermo Sport&Dev), ha visto la partecipazione di numerosi rappresentanti istituzionali, educatori, operatori sportivi e membri della società civile, tutti uniti da un obiettivo comune: costruire una rete solida a sostegno dell’inclusione sociale dei giovani fragili. Dopo i saluti iniziali di Musa Kirkar, Direttore di Ceipes Ets, e di Chiara Nicolini, Coordinatrice del progetto, sono intervenuti i seguenti rappresentanti istituzionali: Monica Miceli, Referente in Sicilia di Sport e Salute; Roberta Schillaci, Componente della Commissione Sport dell’ARS; Alessandro Anello, Assessore al Turismo, Sport, Impianti Sportivi e Rapporti con il Consiglio Comunale di Palermo; Caterina Guercio, Dirigente dell’Ufficio Sport del Comune di Palermo; Fabrizio Ferrandelli, Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Palermo; Marianna Bellafiore, Delegata alle Pari Opportunità, Politiche di Genere e Inclusione dell’Università di Palermo. Inoltre, sono stati particolarmente significativi gli interventi dei partner di progetto, che hanno contribuito con riflessioni preziose sul valore dello sport come strumento di cambiamento sociale: Giuseppe Piraino, Presidente di Palermo Sport&Dev, ha sottolineato l’importanza di abbattere le barriere attraverso esperienze sportive autenticamente inclusive; Andrea Vitale, Presidente del Club Roggero di Lauria, ha parlato dell’impegno nel far crescere i giovani attraverso la disciplina e la resilienza proprie della pratica remiera; Clara Pangaro, Direttrice dell’IPM “Malaspina”, ha espresso apprezzamento per un’iniziativa che unisce sport ed educazione in un contesto spesso trascurato; Giacomo Scattarreggia, referente per le attività sportive dell’IPM, ha illustrato come le attività sportive verranno integrate nella routine quotidiana dei ragazzi detenuti. La mattinata si è conclusa con un momento di dialogo e confronto tra esperti del mondo sportivo e del sociale, che ha generato riflessioni profonde sul ruolo dello sport come motore di rieducazione, cittadinanza attiva e nuove opportunità per i giovani. Un elemento centrale emerso durante l’incontro è stato il forte sostegno da parte delle autorità locali: la sinergia tra istituzioni pubbliche, terzo settore e mondo sportivo si conferma come una condizione fondamentale per realizzare progetti efficaci, duraturi e realmente trasformativi. Il lavoro di Ceipes Ets, Palermo Sport&Dev e la Società Sportiva Roggero di Lauria continuerà con l’impegno di portare avanti iniziative concrete di inclusione e reintegrazione per i giovani detenuti dell’IPM “Malaspina”, attraverso attività sportive, corsi di formazione e programmi di supporto. Sassari. Un libro racconta dopo 25 anni i “fatti San Sebastiano” di Luca Fiori La Nuova Sardegna, 1 maggio 2025 Il cronista Pier Luigi Piredda e l’educatore Giampaolo Cassitta hanno raccolto documenti e testimonianze. “Aria Mossa” edito da “Il Maestrale” sarà presentato il 9 maggio a Sassari. La protesta scoppiata nel vecchio carcere di “San Sebastiano” di Sassari a fine marzo del 2000, repressa con la mattanza del 3 aprile di 25 anni fa che portò - dopo la denuncia dei familiari dei detenuti - a un’indagine della Procura della Repubblica che avrebbe riguardato novantacinque tra agenti e personale dell’amministrazione penitenziaria, è stata ricostruita in un libro scritto a quattro mani dal giornalista Pier Luigi Piredda, cronista della Nuova Sardegna, ora in pensione, e Giampaolo Cassitta, nel 2000 educatore nel carcere di Alghero. Tutto parte da una lettera che arriva nelle mani di un penalista, di un giornalista e di una magistratura che decide di varcare quelle mura. E lì dentro si scopre un’atroce verità: una storia sbagliata, difficile da raccontare. Venticinque anni dopo, le voci di questa storia tornano a farsi sentire. C’è il giornalista che per primo ascoltò madri e mogli che urlavano domande e pretendevano risposte sui loro figli e mariti. C’è l’educatore del carcere di Alghero, che si trovò davanti, tra i carcerati, il provveditore dell’amministrazione penitenziaria e diversi poliziotti. Ci sono le testimonianze delle donne, dei detenuti, degli avvocati, tutti uniti dalla volontà di spezzare il silenzio. Di voce in voce, come in un romanzo, la verità riemerge. L’aria pesante si muove, disegna un nuovo quadro che aiuta a comprendere. Edito da Il Maestrale “Aria Mossa - Storia di una protesta e delle sue ombre nel carcere di Sassari, 3 aprile 2000” verrà presentato a Sassari venerdì 9 maggio alle 18.30 all’Ex Ma-ter in via Zanarino, alla presenza del sindaco di Sassari Giuseppe Mascia, del parlamentare Etttore Licheri, del direttore della Nuova Sardegna Giacomo Bedeschi, l’educatore penitenziario Paolo Bellotti con Mauro Cossiga e il collettivo Clip, coordina il giornalista Pierluigi Rubattu. L’occasione dei referendum: una proposta per rompere il silenzio di Luigi Ferrajoli Il Manifesto, 1 maggio 2025 Ogni volta che hanno occasione di parlare ai media, tutti gli esponenti politici dell’opposizione non dovrebbero fare altro che invitare i cittadini a votare l’8 e il 9 giugno. La destra ha deciso di sabotare i cinque referendum abrogativi dell’8 e del 9 giugno. Di questi referendum i giornali non parlano, su di essi le televisioni non informano, i dibattiti pubblici li ignorano. L’obiettivo delle destre è il loro fallimento. Il successo dei referendum dipende infatti dal raggiungimento del quorum, cioè dal fatto che vadano a votare almeno la metà degli elettori. La destra punta sull’astensionismo, sull’apatia, sull’egoismo, sull’indifferenza morale, sul disimpegno civile, sul disinteresse politico delle persone per problemi che direttamente non le riguardano. Eppure si tratta di cinque quesiti la cui condivisione è una scelta di civiltà. Sono tutti quesiti sull’uguaglianza, o meglio sulla riduzione delle disuguaglianze e delle discriminazioni. Il referendum sull’abbassamento da 10 a 5 anni del tempo di residenza legale in Italia necessario a ottenere la cittadinanza, vale a ridurre le disuguaglianze formali, di status, abbreviando i tempi nei quali i migranti sono non-persone, esclusi anziché inclusi nella nostra società. È un referendum contro il razzismo, contro l’esclusione, contro le paure, contro le diffidenze e le ossessioni identitarie, sulle quali le nostre destre hanno speculato, ottenendo consenso alle loro politiche disumane e così abbassando il senso morale dell’intera società. I referendum sul lavoro, per la cui promozione dobbiamo essere grati soprattutto alla Cgil, sono diretti a ridurre le disuguaglianze sostanziali tra i lavoratori generate dalla precarietà e dalla potestà di licenziare. Sono referendum contro l’arbitrio, per la sicurezza contro gli infortuni e a sostegno della dignità del lavoro. Sono contro leggi che hanno distrutto l’uguaglianza nei diritti dei lavoratori, e con essa la solidarietà sulla quale si basava la soggettività politica del movimento operaio. Privando i lavoratori dei loro diritti e mettendoli in concorrenza tra loro, queste leggi hanno ridotto i lavoratori a merci. Hanno ribaltato la direzione del conflitto sociale: non più verso l’alto, ma verso il basso, nei confronti dei migranti e dei devianti di strada; non più contro le disuguaglianze ma contro le differenze - di nazionalità, di religione, di sesso, di condizioni economiche e sociali. Sono tutti, questi referendum, altrettanti quesiti sul nostro grado di adesione e di condivisione della nostra Costituzione. Giacché tutti sono a sostegno dei fondamenti della Repubblica scritti nei primi articoli della nostra carta costituzionale: il lavoro, la dignità, l’uguaglianza di tutte le persone solo perché tali, siano esse migranti o lavoratori. Soprattutto, questi referendum abrogativi non equivalgono a una qualsiasi votazione. Con essi non ci si limita a votare su chi ci governerà. Il voto nei referendum non equivale a una delega, ma a una concreta decisione destinata a migliorare la vita di milioni di persone. Rispondendo “Sì” ai quesiti referendari, i cittadini decidono, direttamente e personalmente, su questioni di fondo. Operano una scelta per l’uguaglianza e contro il razzismo, le discriminazioni e lo sfruttamento. Fanno un passo nel senso dell’attuazione della nostra Costituzione. Difendono, con la dignità di migranti e lavoratori, la dignità di tutti noi. Per questo è necessaria una mobilitazione dell’intero elettorato democratico diretto a indurre la maggioranza della popolazione ad andare a votare. Per questo, al silenzio-stampa e alla disinformazione con cui le destre intendono far fallire i referendum, è giusto opporre una risposta civile e di sicuro impatto mediatico. Tutti gli esponenti dell’opposizione - dal partito democratico ai Cinque Stelle, da Alleanza Verdi e Sinistra ai centristi antifascisti - tutte le volte che, in occasione dei telegiornali, vengono interpellati sulle svariate questioni del giorno, dovrebbero utilizzare questi brevi spazi di comunicazione per invitare le persone ad andare a votare. Dovrebbero trasformare le battute rituali ed inutili, che sono loro richieste, in informazioni sui contenuti dei referendum e in inviti ad andare a votare. Dovrebbero farlo in maniera apertamente provocatoria, ostentando la totale incongruenza di questi inviti con la questione sulla quale, volta a volta, vengono interpellati. Proprio perché la destra controlla la Rai e gran parte della stampa, proprio perché punta sull’ignoranza e la disinformazione, è necessario che quanti vengono intervistati su qualunque problema mostrino di voler far uso dei brevi spazi di comunicazione loro concessi per dire: “L’8 e il 9 giugno andate a votare nei referendum”. Un successo di questi referendum abrogativi equivarrebbe a un risveglio della ragione e, soprattutto, della coscienza democratica del nostro paese. Varrebbe a bocciare non solo le pessime leggi sottoposte ai quesiti referendari, ma l’intera politica di questo governo, illiberale e antisociale, e la sua penosa istigazione all’astensione e al qualunquismo. Rifonderebbe la fiducia nella democrazia. Restituirebbe vigore e vitalità alle nostre malandate istituzioni. Suonerebbe come un appello all’unità delle forze di opposizione e a un atto radicale di sfiducia popolare, e virtualmente di sfratto, nei confronti di questa destra al governo. È un’occasione storica irripetibile: la possibilità di una svolta, di un’inversione di rotta della nostra politica. Spetta a tutti noi non perdere questa occasione. Educazione sessuale a scuola solo col sì dei genitori, Valditara: “Scelta di libertà” di Flavia Amabile La Stampa, 1 maggio 2025 Il titolare del dicastero: “Nelle scuole bisogna insegnare i valori dell’occidente. Non sarà il ministero a scegliere chi farà la formazione ma le scuole in autonomia”. L’opposizione è contraria al consenso dei genitori ai corsi di educazione sessuale nelle scuole? “Solo un intollerante può considerare negativamente una scelta di libertà”, risponde il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. L’opposizione sostiene che le sue misure siano dettate da fanatismo? E lui li accusa di non conoscere la Costituzione e di essere oscurantisti. Dei due provvedimenti approvati ieri mattina dal consiglio dei ministri quello sull’educazione sessuale nelle scuole è il più criticato dalle opposizioni. È inevitabile che sia così: l’educazione sessuale nelle scuole è da anni terreno di battaglia. Solo nei primi tre mesi del 2025 sono finiti nel mirino della destra corsi in mezza Italia. A gennaio l’attacco è stato lanciato contro il bando da 420mila euro del Comune di Roma per finanziare progetti del terzo settore per l’educazione affettiva nelle scuole medie della capitale. L’obiettivo è quello di prevenire la violenza e la discriminazione basate su genere e orientamento sessuale e per promuovere la parità di genere ma Fratelli d’Italia, Lega e ProVita e Famiglia si sono opposti. A febbraio sono finiti sotto accusa dei corsi organizzati in Veneto, durante i quali la castità sarebbe stata presentata come l’unico metodo valido di contraccezione. Come hanno denunciato in un’interrogazione parlamentare la deputata Rachele Scarpa e la consigliera regionale Francesca Zottis, entrambe del Pd. A marzo, invece, Fratelli d’Italia si è opposta alla decisione del comune di Empoli di prevedere la possibilità di lezioni di educazione sessuale all’interno dei plessi cittadini. Secondo FdI bisogna evitare il “diffondere concezioni capaci di incidere sulla formazione identitaria dei giovani” e sottolineato la necessità di un “approccio che rispetti l’anatomia biologica e il ruolo cardinale della famiglia nel percorso educativo dei più piccoli”. In questo clima già incandescente il ddl presentato dal ministro Valditara ha aumentato ancora la distanza tra maggioranza e opposizione. Il ministro ha sottolineato che i soggetti che potranno tenere i corsi di educazione sessuale dovranno soddisfare alcuni criteri. “Saranno scelti in base a criteri di professionalità. Ci vuole rigore, una formazione scientifico-accademica per trattare in modo consapevole e non demagogico questi temi. Non si può entrare nella scuola e fare attività di propaganda o strumentali senza alcuna serietà scientifica”. Argomenti che non hanno convinto affatto le opposizioni. Secondo il Pd il provvedimento limita l’autonomia scolastica. “Neanche per idea, il Pd impari la Costituzione. L’articolo 30 attribuisce ai genitori il diritto-dovere di educare. Istruire, formare i propri figli. La libertà educativa è un principio costituzionale sacrosanto. La nostra è una Costituzione personalista che mette lo Stato al servizio della persona e la persona dello studente al centro della scuola costituzionale. Non è il ministero a decidere ma la scuola nella propria autonomia a scegliere chi va nelle classi a fare lezioni riguardanti il tema della sessualità. Saranno il collegio dei docenti e il consiglio di istituto a scegliere i formatori nel pieno rispetto dell’autonomia scolastica. Ma i genitori hanno il diritto di essere informati su cosa si propone, chi saranno i professionisti coinvolti, su che tipo di materiale didattico sarà distribuito, sulle finalità educative che si vogliono raggiungere. In base a queste informazioni i genitori di figli minorenni sceglieranno liberamente. Spetta poi alle scuole attivare corsi alternativi per chi non parteciperà”. Anche a questa argomentazione l’opposizione risponde che, in realtà, i genitori sono già coinvolti attraverso il consenso del Consiglio di classe e di istituto rispetto alle scelte che fa una scuola. “Ogni genitore ha il diritto di esercitare le facoltà che gli sono attribuite direttamente dalla Costituzione su temi sensibili come quelli della sessualità. Se un genitore non vuole che il figlio frequenti questo tipo di corsi perché la scuola gli dovrebbe dare un’educazione che lui rifiuta? Questo è totalitarismo, è intolleranza, è oscurantismo. È il contrario della libertà educativa”. Chi non condivide la scelta della scuola quindi semplicemente evita che la figlia o il figlio frequentino quel corso, sostiene il ministro, perché “non stiamo parlando della storia, della geografia o della matematica ma di un tema particolarmente sensibile come quello della sessualità. La scuola è al servizio degli studenti e quindi deve essere plurale e rispettare le differenze. Semplicemente al genitore che non condivide un determinato tipo di educazione si dice che ha il diritto di far frequentare a suo figlio una lezione alternativa. Dov’è il problema? Lo dico facendo polemica. Solo un intollerante può considerare negativamente una scelta di libertà”. E a Elisabetta Piccolotti di Avs che gli ricorda che i genitori di Saman Abbas non avrebbero dato il consenso ai corsi vanificando la possibilità di salvarla il ministro risponde che “nelle linee guida sull’educazione civica abbiamo fissato come obiettivi di apprendimento obbligatori, che devono essere studiati e appresi da tutti, il rispetto verso le donne. Sono i valori della nostra cultura, dell’Occidente, che abbiamo ribadito anche nelle indicazioni nazionali per il primo ciclo. E con Indire formeremo i docenti per insegnare la cultura del rispetto verso le donne”. Educazione sessuo-affettiva in ostaggio, Valditara impone il consenso informato dei genitori di Simone Alliva Il Domani, 1 maggio 2025 Valditara lancia il ddl sul consenso genitoriale per l’educazione sessuale a scuola, accogliendo le pressioni delle lobby Pro Vita. Previsti controlli sul materiale didattico e attività alternative per chi rifiuta. Il PD: “Attacco all’autonomia scolastica”. Pasquino: “Sessuofobia travestita da tutela”. Nava (Genitori democratici): “Lasciamo che i nostri ragazzi si informino e formino su You Porn, sicuramente più efficace dell’educazione familiare”. Si festeggia nelle chat di Pro-Vita & Famiglia: “Per noi è una giornata storica”. A renderla tale, l’annuncio del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che nel corso della conferenza stampa al termine del Cdm ha presentato lo schema del disegno di legge per il “Consenso preventivo per iscritto dei genitori” su iniziative didattiche sulla sessualità. La realizzazione di un progetto da tempo coltivato dalla lobby anti-scelta. Un lavorio, partito i primi di marzo con una minaccia dai gruppi anti-scelta e una garanzia del Governo. La minaccia lanciata il 3 marzo dalla lobby anti-diritti: “Il governo si svegli e mantenga le promesse: sostenere un’azione anti-Lgbt nelle scuole”, nel giorno della presentazione della campagna “Mio figlio no” con cui l’associazione spingeva l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni a vietare, per legge, le “scorribande Lgbt che minano la libertà educativa”. E poi la garanzia dopo l’incontro, il 3 marzo tra il ministro Valditara e l’ex sottosegretario all’Istruzione leghista, Rossano Sasso per discutere “su alcuni temi molto cari alle famiglie e su alcune iniziative normative che a breve presenteremo”. Eccolo il ddl di competenza del Mim recante “disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”. “I genitori devono essere consapevoli delle iniziative didattiche in temi sensibili come quello della sessualità. Per le attività extracurricolari e per quelle legate all’ampliamento dell’offerta formativa in ambito di sessualità, si stabilisce che le scuole devono acquisire il consenso preventivo per iscritto”, ha dichiarato Valditara ma non solo: ai genitori andranno date “preventive informazioni esaurienti legate a soggetti esterni che partecipano, i soggetti esterni coinvolti, il materiale didattico che verrà utilizzato, le finalità e le modalità di svolgimento delle attività proposte”. La Lega cerca di mettere il cappello sul ddl che dovrà ancora approdare in Parlamento: “Sono state accolte le nostre proposte” ma il passaggio sembra riprendere alla lettera quella firmata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fratelli d’Italia, già raccontata da Domani, per dare la possibilità ai genitori la possibilità di consultare preventivamente il materiale didattico utilizzato. “Gravissimo”, dice a Domani Irene Manzi, deputata e capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Cultura e Scuola. “Ci sono già modalità di confronto tra genitori e docenti, nella scuola. Come il Piano triennale dell’offerta formativa. Vuol dire entrare a gamba testa nelle scelte didattiche degli insegnanti, restringere margini di scelta. Con una mano si sottoscrivono i protocolli con la Fondazione dedicata a Giulia Cecchetin e con l’altra si mettono in campo ostacoli per l’educazione al rispetto. Mi sembra una strategia: quella di distrarre mentre il governo toglie alla scuola risorse economiche importanti”. Lo schema del disegno di legge prevede in sintesi che alle superiori ci vorrà il consenso scritto dei genitori che potranno valutare il materiale informativo. Alla materna e alle elementari, ha specificato Valditara, ci si dovrà fermare a ciò che si insegna in biologia e dunque allo studio del corpo umano e della riproduzione. “L’ennesimo exploit sessuofobico di questo governo”, commenta invece Monica Pasquino, presidente di Educare alle differenze, una rete nazionale che raccoglie decine di associazioni impegnate sul tema dell’affettività nelle scuole. “E per preservare il bene di chi? Non certo delle persone studenti che chiedono a gran voce l’educazione sessuo-affettiva a scuola, non certo delle scuole, che dovrebbero promuovere il benessere di chi le frequenta senza autorizzazione, non certo delle famiglie, sempre più preoccupate per la crescita dei casi e contemporaneamente l’abbassamento dell’età di vittime e carnefici dei femminicidi”. “Una mossa che solo apparentemente pacificherà il dibattito che le associazioni filo Pro-Vita avevano sollevato con furore ideologico in Italia”, dice Angela Nava, presidente di Coordinamento genitori democratici, fondato nel 1976 da Marisa Musu e Gianni Rodari. “Il tema in discussione - prosegue - è molto più serio dall’essere ridotto a una disciplina rigorosamente extra-curricolare che le famiglie possono, con l’introduzione di un nuovo strumento rapinato al mondo della Sanità e cioè il “consenso informato”, accettare o meno. Disatteso il comma 16 della legge la “Buona scuola”, ignorati i sondaggi condotti tra gli studenti da varie agenzie, ignorato il dibattito culturale sul tema, da ultimo il Gruppo Crc che aveva prodotto documenti per l’introduzione dell’educazione all’affettività curriculare nella scuola. Un’introduzione che sarebbe urgente e ineludibile, dato che l’Italia è tra i pochissimi Paesi europei che non offrono l’educazione sessuo-affettiva ai loro studenti. Certo si sarebbe aperto un capitolo di seria riflessione sulla preparazione degli insegnanti, sulle agenzie legittimate all’erogazione di questa disciplina, sul piano orario nei curricoli scolastici. Lasciamo che i nostri ragazzi si informino e formino su You Porn, sicuramente più efficace dell’educazione familiare e che nelle neonate Indicazioni nazionali la violenza di genere venga definita una triste patologia”. Attività alternative - Il ministro ha anche aggiunto che: “Per le attività che devono svolgersi obbligatoriamente le scuole devono fornire agli studenti un’attività formativa alternativa laddove sia stato negato il consenso da parte dei genitori”. Proposta destinata a mettere un’ulteriore pressione su un sistema già in difficoltà sia in termini di personale che di materiali, in un contesto già caratterizzato da sovraffollamento delle classi e strutture scolastiche inadeguate. Secondo le stime, nell’anno scolastico 2024/2025 ci sono circa 250.000 docenti precari in Italia, con numerosi posti vacanti che non sono stati coperti. Inoltre, molte scuole si trovano in difficoltà a causa della carenza di personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario), con migliaia di posti vacanti e una gestione delle supplenze che spesso non riesce a garantire la continuità didattica Arresto obbligatorio - Ma non solo: dal Consiglio dei ministri si prevede anche l’arresto obbligatorio in flagranza per chi aggredisce fisicamente docenti o dirigenti scolastici, con pene aumentate da 2 a 5 anni di reclusione. Inoltre, la riforma del voto in condotta introduce la bocciatura automatica con il 5 e, con il 6, un debito formativo da colmare attraverso un elaborato su cittadinanza e comportamento. Le sospensioni tradizionali saranno sostituite da attività di cittadinanza attiva. Tasselli che si aggiungono al mosaico della scuola secondo Meloni con misure che privilegiano il controllo e la disciplina, a scapito del dialogo e dell’inclusione. Una scuola che sembra voler formare cittadini obbedienti più che pensanti, dove l’autorità prevale sulla comprensione. Così la pubblicità dell’azzardo ha fatto di me un giocatore di Luca Bottura La Stampa, 1 maggio 2025 L’altro ieri ho perso 35 euro puntando su Berrettini vincente al secondo turno del Madrid Open. Immagino il chissenefrega. Ma c’è un dato che rende l’episodio potenzialmente universale, ed è questo: non ho praticamente mai scommesso in vita mia. Giusto qualche spiccio qua e là sul Bologna, negli anni, le rare volte in cui ci siamo divertiti a inanellare bei risultati. Ho di recente riaperto un vecchio account e, siccome - in attesa di domenica e dell’obolo a Madama - le cose ci vanno benino, ho lentamente trasformato 100 euro in circa 300. Arrivato a quel tetto, mi ero fermato. Un po’ come quella volta che a Las Vegas tramutai 100 dollari in 450 nel giro di un paio d’ore. Non sono Emilio Fede, ecco. Eppure ho puntato su Berrettini, compulsivamente, di botto, senza senso. Come quei Ferrero Rocher che ti piazzano alla cassa dei supermercati: piccole gemme di gratificazione personale per ingentilire una spesa normale, o una giornata noiosa. E proprio come quei (deliziosi) cioccolatini, l’ho fatto solo ed esclusivamente perché li avevo davanti. Li ho davanti tutti i giorni: da quando il Governo ha riacceso la pubblicità diretta dei siti di scommesse, che peraltro aveva promesso di eliminare del tutto, è tutto un fiorire di testimonial noti e apparentemente già molto danarosi che invitano a giocare responsabilmente. Dove, ovviamente, la parte dominante sta nella prima delle due. Gli avverbi da noi non contano. Inconfutabilmente. Peraltro quelle pubblicità non se n’erano mai andate. Da quando furono vietate, ogni esecutivo - compresi quelli sportivi: spero ci sia un tornaconto - ha tollerato gli spot fraudolenti celati sotto improbabili siti di informazione, tipo - per parafrasare - www.eroina.info. Voglio dire: se davvero vuoi avere notizie di sport, anche per scommetterci su, ti fideresti di chi fissa le quote? “Buongiorno oste, com’è il vino?”. “Ottimo!”. E questo senza contare i finti redazionali che inondano i canali sportivi, a pagamento e non, comparando le quote. Alcuni hanno addirittura i loro siti di educazione all’azzardo. Ma a questa violenza sulle regole, persino quelle di sanità pubblica contro la ludopatia, che ha costi sociali altissimi, siamo abituati. Il punto, invece, è addirittura politico. Agevolo episodio. Tempo fa, diciamo all’inizio degli anni Novanta, all’alba delle mie dimenticabili imprese da giornalista sportivo, mi ritrovai per ragioni cestistiche in un paesotto tra Lisbona e Porto: Ovar. Laddove militava una squadra di pallacanestro poco più che amatoriale, in un contesto amatoriale, in un Paese amatoriale. Il Portogallo post-dittatura, post-coloniale, stava alla modernità come l’Italia di oggi sta… alla modernità. Gli Escudos valevano due spicci, e forse per questo in albergo tentarono di estorcerne assai a chi aveva osato utilizzare il telefono in camera. Non io: ero lì per l’Unità, il budget era in rubli. Pochi. Finì con la polizia e un accenno di rissa. Di quella trasferta ho un ricordo seppiato, grigiastro, quello di un Paese (allora) fermo. Come siamo noi da quando, quarant’anni fa, abbiamo cominciato a servire gli interessi di un singolo (Berlusconi) congelando tutto il resto. Persino, coi suoi eredi, i diritti civili. Ma c’è un suono nitido e squillante che in qualche modo spande colore: “Raspa y gana!”, “Raspa y gana!”. In quel contesto sottosviluppato, che pure mi piaceva e mi piace anche ora, persino se Lisbona ormai è più gentrificata del centro di Milano, ogni angolo, ogni uscita della metropolitana, ogni piazza, erano assordate dalla febbre del “qui e subito”. Gratta e vinci, foglietti per scommettere, varie ed eventuali. Ecco, noi siamo esattamente lì. Un Paese impegnato a mandarsi costantemente a fare in culo, spesso per motivi risibili, ideologie orecchiate, carenza di argomenti, che intanto sprofonda un po’ come gli Usa, cui regalò il format del tycoon che si fa Stato. Là, ormai, lo dice il Wall Street Journal, la gente fa le cambiali per andare a fare la spesa, per versare il proprio tributo di autostima a un sistema che intanto crolla sotto il peso dell’incompetenza di rito putiniano. Qui, abbiamo il gestito il PNRR, una cosetta che poteva farci recuperar almeno in parte il tempo lungamente perduto, come un gruppo di boyscout alla guida di un Boeing. Spesso corrotto. Certamente incapace: pensate a Salvini che gestisce un ponte a campata unica, o una centrale nucleare. Almeno però, accendendo la tv, possiamo decidere dove perder altri soldi sperando di svoltare: “Raspa y gana! Raspa y Gana!”. E boa noite.