L’inferno dietro le sbarre di Massimo Giannini La Repubblica, 18 gennaio 2024 I suicidi di Matteo Concetti e Stefano Voltolina ci ricordano cosa sono le nostre prigioni: un inferno. E cosa è diventato il nostro Paese: il regno dell’inciviltà. Adriano Sofri - che lo ha abitato e lo ha studiato - sostiene che il carcere non è ancora la morte, benché non sia più la vita. Ed è verissimo, se lo guardi dal punto di vista di chi in qualunque modo gli sopravvive. Non ho l’esperienza e la conoscenza di Adriano, ma qualche patria galera l’ho visitata e l’ho frequentata. Rebibbia, a Roma. San Vittore, a Milano. Da direttore della Stampa, per un anno, ho affidato una splendida rubrica mensile ai detenuti di Costituzione Viva. Le ho viste, quelle anime sospese tra il “non ancora” e il “non più” di cui parla Sofri. I condannati a più di tre anni, ammassati in sei nelle celle da cinque metri quadrati. Oppure i cosiddetti “critici” reduci dalle torture dei lager libici, rinchiusi in isolamento dietro le sbarre in cubi vuoti da tre metri quadrati dove c’è solo una branda di cemento e nient’altro, guardati a vista dalle guardie ventiquattrore su ventiquattro perché possono procurarsi “autolesioni”. È un viaggio agli Inferi che consiglio a chiunque. Soprattutto ai politicanti d’accatto che cinguettano sui social “chiudiamoli dentro e buttiamo la chiave”. La tragedia è che per molti il carcere è morte a tutti gli effetti. Morte fisica, morte biologica. Non solo affettiva, sociale. I suicidi in galera, ormai, sono come gli incidenti d’auto: accadono, e basta. Nel 2023 sono stati 66. In questo inizio di 2024 già altri due. Sono storie minori, trascurate, dimenticate, che ti spezzano il cuore. La storia di Matteo Concetti l’ha raccontata sua madre. Era recluso a Montacuto, ad Ancona. Aveva un disturbo bipolare, non poteva e non doveva stare in prigione. Eppure lo tenevano in isolamento. All’ultimo colloquio con i genitori, il 5 gennaio, ha urlato “non mi lasciate solo, non ce la faccio, così io mi ammazzo”. I suoi hanno implorato le guardie: fate qualcosa. Gli hanno risposto “oggi non c’è nessuno, non vi possiamo aiutare”. Quattro giorni dopo Matteo, all’alba, si è impiccato al tubo del bagno: ha rispettato la sua promessa, di fronte a uno Stato che non l’ha fatto. La storia di Stefano Voltolina, invece, ce l’ha sbattuta in faccia la sua insegnante, volontaria alla biblioteca del carcere Due Palazzi di Padova, dove il ragazzo doveva scontare una condanna fino al giugno del 2028. Stesso “copione”: una psiche contorta e un “sistema” che non la capisce. Stesso epilogo: il lenzuolo stretto intorno al collo, la caduta, e la vita-non-più-vita diventa morte. Non importa niente spiegare per cosa erano stati condannati, questi poveri cristi. Il punto è che nell’inferno delle carceri pietà l’è morta da un pezzo e nessuno se ne preoccupa, a parte Ilaria Cucchi. Il punto è che la funzione rieducativa della pena scritta in Costituzione non è più neanche una chiacchiera da bar. Nel ‘700 Voltaire scriveva che la civiltà di un Paese si misura dalle condizioni delle sue carceri. Era il Secolo dei Lumi. L’Italia di oggi è un monumento all’inciviltà. Sulle carceri il governo è ancora all’anno zero di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 18 gennaio 2024 Il ministro della giustizia Nordio, di fronte al parlamento, ha dichiarato che il sovraffollamento delle carceri è un problema che coinvolge non solo l’Italia, ma tutti i Paesi. Ha sottolineato che il nostro Paese si trova tra i primi posti per quanto riguarda il trattamento umanitario dei detenuti. Non solo. I suicidi del 2023 sono risultati leggermente inferiori rispetto a quelli dell’anno precedente, indicandolo come se fosse uno progresso, quasi come se fosse una sorta di magra consolazione. Ma ha anche aggiunto che i suicidi in carcere sono difficili da evitare. Ha ammesso che la costruzione di nuove carceri è difficile a causa di vincoli paesaggistici e ambientali, ma contemporaneamente ha riproposto la vecchia ricetta della ristrutturazione delle caserme dismesse. Le risposte del ministro Nordio alle interrogazioni dei deputati sulla situazione delle carceri in Italia sono state in generale evasive e poco convincenti. Il ministro ha ripetuto più volte che la situazione è critica, ma che il governo sta lavorando per migliorarla. Tuttavia, come hanno notato soprattutto i deputati del Pd, non ha fornito alcuna proposta concreta per affrontare i problemi più urgenti, come il sovraffollamento, la carenza di personale e le condizioni di vita inadeguate. Le affermazioni del ministro della Giustizia sono state contestate dai deputati del Partito Democratico, i quali hanno sottolineato diversi aspetti. In particolare, hanno evidenziato che il sovraffollamento delle carceri in Italia è molto grave, con un tasso di affollamento che va oltre il 120%. Le condizioni di vita in carcere sono spesso inumane, con episodi di violenza, degrado e mancanza di servizi essenziali. La riqualificazione delle caserme dismesse richiederebbe tempi e risorse notevoli. Il lavoro e lo sport indicati dal guardasigilli sono certamente fondamentali per la rieducazione dei detenuti, ma non sono sufficienti a risolvere i problemi del sistema carcerario. Le repliche sono state dure e incisive. La deputata dem Michela Di Biase ha accusato il governo di ignorare i problemi delle carceri e di perseguire una politica “panpenalista” e alla riduzione di quelle alternative. Nel suo intervento, Nordio ha affermato che “la pena ha senso se porta con sé un cambiamento e una rieducazione reale”, sottolineando l’importanza del lavoro e dello sport come elementi chiave in questo processo. Tuttavia, questa affermazione sembra cadere nel vuoto considerando le condizioni attuali delle carceri italiane, in cui le risorse insufficienti rendono difficile la realizzazione di programmi efficaci utili alle opere trattamentali dei detenuti. La proposta (tra l’altro non nuova) del ministro di utilizzare caserme dismesse come alternative alla costruzione di nuove carceri ha sollevato dubbi sulla praticità e sulla reale efficacia di questa soluzione. Le dichiarazioni del guardasigilli riguardo ai suicidi in carcere hanno sollevato ulteriori preoccupazioni. La riduzione del 15% dei suicidi rispetto al 2022 è stata citata come se fosse un progresso, senza comprendere quali azioni siano state intraprese per risolvere una questione così grave, tanto da allarmare anche l’uscente garante nazionale delle persone private della libertà. “La sua relazione sulle carceri è deludente e irritante”, ha replicato il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, riferendosi soprattutto a come il guardasigilli ha trattato il discorso dei suicidi in carcere. E sul sovraffollamento, sempre Giachetti ha lanciato duramente un auspicio: “Sono da tirar fuori tutti quei detenuti che non ci devono stare: quelli con patologie psichiche, i tossicodipendenti, quelli in custodia cautelare”, e ha concluso: “Sono piene anche a causa del panpenalismo. Dove sta il giudice Nordio, quello garantista, nel ministro che assiste ogni giorno alla creazione di un nuovo reato?”. Le risposte del ministro sono state duramente criticate anche dal senatore Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo Pd al Senato e componente della Commissione Giustizia. “Le dichiarazioni di oggi del ministro Nordio sulla situazione delle carceri nel nostro Paese sono imbarazzanti e dimostrano la totale mancanza di una strategia per combattere il sovraffollamento e migliorare le condizioni di detenzione”, ha scritto Mirabelli. “Non c’è nessuna politica e dal vocabolario del ministro sono sparite parole decisive: il carcere come extrema ratio, le pene alternative, il lavoro e formazione per i detenuti”, ha osservato il senatore dem. A seguito di questo dibattito in Parlamento, la Presidente di Nessuno tocchi Caino, Rita Bernardini, ha annunciato il lancio del Satyagraha, iniziativa che prenderà il via il 22 gennaio a mezzanotte. Questa azione coinvolgerà un digiuno di dialogo condotto dalla stessa Bernardini e Roberto Giachetti, mirato a sensibilizzare sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni che il ministro della Giustizia. Bernardini sottolinea la grave situazione delle carceri italiane, evidenziando il rischio per lo stato di diritto dovuto al sovraffollamento e al deficit strutturale del personale penitenziario. “Non posso credere che il ministro Nordio e la presidente Meloni non ne siano consapevoli”, aggiunge amaramente. Suicidi in carcere? Nordio: “Inevitabili” di Angela Stella L’Unità, 18 gennaio 2024 Intervenendo in Aula sullo stato della giustizia il ministro rivendica: “L’Italia ai primi posti per trattamento umanitario dei detenuti”. Le intercettazioni? “Rischiamo di piombare nel medioevo”. E difende la cancellazione dell’abuso d’ufficio. Arrendevolezza sui suicidi in carcere, attacco alle opposizioni e ad alcuni magistrati per presunte “fake news” su alcune riforme in cantiere, dito puntato contro lo strapotere senza responsabilità dei pubblici ministeri, certezza che la separazione delle carriere si farà ma dopo la riforma del premierato. Questa la sintesi dell’intervento di ieri del Ministro della Giustizia Carlo Nordio alla Camera dove ha condiviso la sua relazione sullo stato della giustizia. Andiamo per ordine. Carceri - “Qui il tema centrale è stato e sarà la sicurezza nelle carceri, tanto nell’interesse degli operatori, quanto dei detenuti. In questa ottica, l’azione è rivolta costantemente ad ampliare gli spazi delle carceri. Costruire nuove carceri è difficilissimo. L’unica possibilità che abbiamo è quella di valersi di strutture che già siano esistenti e siano compatibili con la struttura di un carcere e io ho pensato subito alle tantissime caserme dismesse che abbiamo”. Sul sovraffollamento: “Se teniamo conto che la maggioranza dei detenuti nelle nostre carceri è di origine straniera, se solo noi riuscissimo a far eseguire questa pena al 10 o al 20 per cento dei detenuti, avremmo risolto il problema del sovraffollamento carcerario, che attualmente, numericamente parlando, eccede di 10.000 unità”. Sui suicidi una sorta di resa: “l’Italia sta tra i primi posti per trattamento umanitario dei detenuti. Questo non toglie, per l’amor del cielo, nulla al fatto che siamo perfettamente consapevoli della situazione critica: ogni giorno assistiamo a episodi di autolesionismo, o addirittura di suicidio, o a episodi di violenza. Non possiamo pensare di eliminare questi fenomeni. Il carcere, purtroppo, come la stupidità, il cancro, le guerre e le altre cose” non può essere eliminato. Sul tema, nel pomeriggio, il Guardasigilli è stato interrogato anche da Italia Viva che ha ricordato che Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino, ha annunciato che il 23 gennaio 2024 inizierà uno sciopero della fame per la drammatica situazione negli istituti di pena. Nordio ha replicato dicendo che “lui da pm ha assistito a suicidi non solo in carcere ma anche di persone ai domiciliari o semplicemente indagate. In teoria il problema dovrebbe essere affrontato privilegiando la presunzione di innocenza, in pratica quello che si può fare per allentare la tensione è allargare gli spazi fisici e psicologici nelle carceri”. Per il deputato Giachetti queste soluzioni non servono a nulla perché “siamo a quasi 65.000 detenuti, rischiamo una nuova condanna, e occorre una soluzione immediata come quella della liberazione anticipata speciale”. I pubblici ministeri - “Adesso arriviamo a un altro punto: quello delle intercettazioni e dei sequestri dei sistemi informatici. La procura della Repubblica è l’unico organo in Italia - e penso al mondo - che ha una spesa incontrollata, che non ha un tetto, né un budget, ma poi alla fine i conti non tornano perché l’Europa ci ha messo sotto procedura di infrazione perché siamo in ritardo con i pagamenti”. “Ora però - ha proseguito Nordio - vi è molto di più, perché noi rischiamo veramente di cadere in un nuovo barbaro Medioevo, reso addirittura più sinistro o più duraturo dai limiti della tecnologia o dalle risorse della tecnologia, perché noi, sino ad oggi, abbiamo parlato e abbiamo ragionato di intercettazioni, per quanto sofisticate come quelle del trojan, ma oggi c’è molto di più. Per fortuna, è intervenuta una sentenza della Corte costituzionale, che ha definito il cellulare non un semplice documento, ma un qualcosa di ben più importante, perché chi sequestra un cellulare sequestra una vita”. Separazione delle carriere - “Se vogliamo farla seriamente, occorre una riforma costituzionale. La riforma costituzionale - lo sapete meglio di me - ha dei tempi; se, prima di quella, bisogna fare un’altra riforma costituzionale, questi tempi slittano, però vi posso dire che la riforma è nel programma di Governo e non andremo alle calende greche”. Si dice che “la separazione delle carriere vulnererebbe la cosiddetta cultura della giurisdizione: ora, questo principio, tanto invocato, della cultura della giurisdizione diventa una banalità enfatica”; per Nordio “il sodo è che c’è un giudice, che è terzo e imparziale, c’è un avvocato della difesa e c’è un avvocato dell’accusa, questa è la vera cultura della giurisdizione”. La separazione delle carriere viene associata a un inevitabile assoggettamento del pm al potere esecutivo. “Ho detto e ho ripetuto milioni di volte che questa soluzione per me non sarebbe mai negoziabile, mai, mai” tuttavia “quello che invece deve intervenire è un controllo sui poteri del pubblico ministero che, in base al principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, che in realtà è diventata arbitraria, indaga quando, come e dove vuole e senza rispondere a nessuno”. Poi un pesante affondo a tutti i detrattori dell’abrogazione dell’abuso di ufficio appena passata in Commissione Giustizia del Senato. Per alcuni “l’abrogazione contrasterebbe con la risoluzione di Merida, in generale, e con i vincoli imposti dall’Europa, in particolare. Anche questa è una balla colossale. Partiamo dal testo di Merida: il testo di Merida non impone affatto l’introduzione del reato di abuso di ufficio” perché si legge che “ogni Stato ‘considererà l’opportunità di adottarlo’”, quindi nessun obbligo. Per quanto concerne la risoluzione dell’Unione europea, essa “consiste in una semplice proposta di direttiva, di cui non conosciamo né il quando, né il se, né il cosa, né il come: è semplicemente una scopiazzatura malfatta di quella che è la mala interpretazione dell’obbligo vincolante di Merida”. Per altri sarebbe un reato spia: “Questa stravaganza giuridica non meriterebbe nemmeno di essere presa in considerazione perché il reato spia è un’astrazione concettuale ingannevole e pericolosa. Un reato concepito in modo strumentale, che serva ad accertarne altri, confligge con la dogmatica più elementare, ma soprattutto confligge con il buon senso, proprio perché il reato c’è o non c’è, non può esistere un reato in funzione di un altro”. Inoltre “dire che, se non è possibile contestare l’abuso di ufficio, si contesta il reato di corruzione, significa non partire dal reato per trovare il reo, ma significa partire dal reo che si ha in mente per cercare un reato e questa è una bestemmia dal punto di vista giuridico che, avendo indossato - spero con dignità - la toga per 40 anni, mi rifiuto di credere che possa essere un domani strumentalizzata da un magistrato”. Ma in Alta Sicurezza ci si può “liberamente” togliere la vita? di Luigi Miceli* Il Dubbio, 18 gennaio 2024 A proposito del detenuto che il 13 gennaio si è suicidato ad Agrigento. Sul fronte carcere il nuovo anno è iniziato come si era concluso il precedente: il 13 gennaio, nel penitenziario di Agrigento, si è suicidato un detenuto recluso in regime di “alta sicurezza”. All’ovest niente di nuovo, si potrebbe dire, continuando a risultare vani i richiami ai diritti umani, alla presunzione di non colpevolezza, al rispetto della dignità del condannato e alla funzione rieducativa della pena, ad ogni piè sospinto invocati dalle Camere Penali, tanto che al tema del carcere viene dedicato il titolo dell’imminente inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani. Questo caso risulta, però, ancor più beffardo proprio in “ragione” del regime detentivo applicato al povero detenuto suicida: “Alta Sicurezza”! Come è possibile che un detenuto, sorvegliato speciale anche in carcere, possa “liberamente” togliersi la vita all’interno della propria cella? Questo è ovviamente inaccettabile, ma non indigna a sufficienza l’opinione pubblica dominante, che continua a considerare il carcere come una discarica sociale, istigando il legislatore di turno a prevedere sempre nuove figure di reato, ad aumentare le pene e a restringere l’accesso alle misure alternative, nella falsa convinzione di migliorare le condizioni di “sicurezza” di tutti… “Sicurezza”? Ma quando mai. Spinte “securitarie”, pacchetti “sicurezza”, reati ostativi, regimi detentivi speciali di “alta sicurezza” e … suicidi proprio nel reparto di “alta sicurezza”. È ovvio, almeno per chi ragiona con la testa e non con la pancia, che questo sistema non funziona, proprio perché non rassicura nessuno, né i cittadini e neppure i detenuti, istituzionalmente presi incarico dalla Stato che, purtroppo, non riesce a garantire la sicurezza all’interno delle proprie strutture. Questo è il dato più allarmante per chi ha il senso dello Stato e crede nella Giustizia, sia dal punto di vista del rispetto delle garanzie individuali e sia come un diritto di comunità. Non ci resta che auspicare, ancora una volta, che questa tragedia infinita (sono già quattro i suicidi avvenuti nei primi quindici giorni dell’anno) possa servire almeno a stimolare una riflessione seria e concreta su carcere e sicurezza, tenendo finalmente in considerazione il dato statistico indicativo del rapporto inversamente proporzionale tra carcere e recidiva, nel senso che la percentuale di recidiva scende notevolmente quando i detenuti finiscono di scontare la pena con una misura alternativa. Un uomo, insomma, non deve essere mai privato della speranza, lo cantava Lucio Dalla, addirittura nel 1971, con la sua “La casa in riva al mare”, ma “almeno” quel detenuto, sognando l’amore, se ne andava per cause naturali. *Componente Giunta Ucpi Il sovraffollamento delle carceri si risolve con meno stranieri di Angela Barbieri Il Tempo, 18 gennaio 2024 Nordio: “L’obiettivo è che almeno il 20% sconti la pena nel suo Paese. Rispetto ai posti disponibili ci sono circa 10mila unità in più”. Se teniamo conto che la maggioranza dei detenuti nelle nostre carceri è di origine straniera, se solo noi riuscissimo a far eseguire questa pena al 10 o al 20 per cento dei detenuti”, nel loro Paese, “avremmo risolto il problema del sovraffollamento carcerario, che attualmente, numericamente parlando, eccede di 10.000 unità, circa 50.000 posti disponibili e circa 60.000 detenuti”. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio affronta uno dei problemi principali che riguarda le carceri italiane, ossia il sovraffollamento, e spiega chiaramente quanto sia legato alla presenza di detenuti stranieri. Va da sé che molti di queste persone, probabilmente la maggior parte, non è entrata nel nostro Paese in modo regolare, ma attraverso l’immigrazione clandestina. Secondo i report che il ministero della Giustizia aggiorna periodicamente più della metà dei carcerati stranieri proviene dall’Africa. Il Guardasigilli ha fornito questi dati nel corso del question time che si è svolto ieri nell’aula della Camera. Nordio, nel corso della sua informativa, ha ribadito il concetto: “Se risolvessimo con un 20 per cento in meno di detenuti stranieri che potessero scontare la pena nel loro Paese, il problema del sovraffollamento carcerario sarebbe eliminato”. Poi ha ricordato “tutto il numero di estradizioni attive e passive che abbiamo fatto, le procedure aperte in relazione agli strumenti di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in ambito Ue e lo sforzo che stiamo facendo per l’espiazione della pena nei Paesi di origine da parte di chi ha commesso dei reati in Italia; tutte cose che hanno, ripeto, un impatto, anche in questo caso, economicamente molto importante”. Riguardo al sovraffollamento, i detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare dei penitenziari sono, appunto, circa diecimila, come ha detto Nordio. Un numero che secondo il Guardasigilli non deve allarmare: “Fatte le statistiche con gli altri Paesi, anche qui ci siamo autoflagellati perché il coefficiente di sovraffollamento delle carceri, che purtroppo è un fardello di dolore che grava su tutti i Paesi, non vede affatto l’Italia nei posti peggiori. Al contrario, non voglio fare qui polemiche ovviamente con altri Stati, ma vi posso assicurare che, anche in questo caso, l’Italia, semmai, sta tra i primi posti per trattamento umanitario dei detenuti”. Nordio sa bene che “ogni giorno assistiamo a episodi di autolesionismo, o addirittura di suicidio, o a episodi di violenza. Ho fatto il pubblico ministero per quarant’anni e da quando sono entrato in magistratura queste cose le ho viste. Le ho viste in Italia e le ho viste negli altri Paesi. Non possiamo pensare di eliminare questi fenomeni”. Tornando alla componente straniera nelle carceri, è innegabile che il fenomeno sia correlato anche a quello delle migrazioni, con un numero ragguardevole di questi stranieri che, una volta entrato in Italia, sceglie di delinquere non trovando altre prospettive legali di sostentamento. Su questo fronte, l’inizio di quest’anno va nella stessa direzione della conclusione del 2023, ossia in senso positivo. Si registra, infatti, una riduzione degli sbarchi: 786 migranti arrivati sulle coste italiane dal primo al 17 gennaio. Nello stesso periodo del 2023 erano 4.963, e 3.035 nel 2022. Populismo penale di Carlo Bonini La Repubblica, 18 gennaio 2024 Con la foga dell’angelo vendicatore e una narrazione intrisa di risentimento ideologico, il ministro della Giustizia Nordio, a nome del governo e della sua maggioranza, annuncia al Parlamento il progetto di definitivo scasso di uno dei principi cardine della nostra giurisdizione (la sua unicità) e la resa del sistema penale al veleno della nostra democrazia: la corruzione e gli altri reati contro la pubblica amministrazione. Per farlo, tratteggia un quadro della nostra amministrazione della giustizia deformato da un’idea paranoide. In cui i pubblici ministeri sono monadi feroci che frugano nella vita degli individui e delle loro comunicazioni, privando presunti innocenti della loro dignità, privacy e libertà, “senza rispondere a nessuno” e in forza di “poteri incompatibili con la struttura costituzionale”. Per giunta, attentando alle prerogative della politica, e dunque della sovranità popolare, in un contesto che non lo giustificherebbe. Perché - sentite un po’ - l’indice di corruzione delle Nazioni Unite che vede il nostro Paese tra i più aggrediti “è basato su parametri errati”, confondendo “la corruzione reale con quella percepita”. Un’enormità di cui si potrebbe sorridere se non fosse stata pronunciata in Parlamento da un ministro della Giustizia, ma da un simpatico buontempone in un bar dopo aver alzato un po’ troppo il gomito. Al diavolo, dunque, gli strumenti di indagine più invasivi sulla corruzione. Al diavolo una disciplina della prescrizione che non si risolva in garanzia di impunità. Al diavolo l’abuso di ufficio, con buona pace di quel che dicono le Nazioni Unite, l’Unione Europea e la nostra Autorità nazionale anticorruzione. E al diavolo, complessivamente, i reati contro la pubblica amministrazione, perché “obsoleti” (sic). Soprattutto, “avanti spediti con la separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero”. Con una promessa che ha il suono della minaccia. Poiché, perché la riforma sia tale, il governo - avvisa il ministro - dovrà modificare la Costituzione. Si potrebbe pensare di essere di fronte a una lisa riedizione delle parole d’ordine del ventennio berlusconiano. Ma, in realtà, poiché la storia non si ripete mai uguale a se stessa, c’è qualcosa di più e di diverso in questo assalto alla giustizia penale. Camuffato goffamente da Nordio con un richiamo strabico al garantismo dei sistemi accusatori di common law (Stati Uniti e Regno Unito) e - addirittura - a Voltaire e Beccaria, c’è infatti un nuovo populismo penale che, muovendo da premesse classiste, immagina un Paese diviso a metà. Quello della “gente per bene”, dei colletti bianchi, della borghesia delle professioni, della politica e del mondo dell’impresa, cui deve essere assicurata un’azione penale disarmata. E quello che la destra di governo ha invece deciso di perseguire moltiplicando le figure di reato, sfregiando la giustizia minorile, abbandonando a se stesse carceri che oggi scoppiano di detenuti per reati contro la persona, contro il patrimonio, o per stupefacenti. E dove ogni cinque giorni si conta un suicidio. Insomma, un’idea odiosa della società e del principio di uguaglianza di fronte alla legge che si fa politica criminale riportando l’orologio della giustizia penale del nostro Paese agli anni 50. Un Paese dove i signori Verdini, padre e figlio, meritano di poter trafficare con gli appalti dell’Anas senza che quale sciocco pubblico ministero ne violenti la privacy con intercettazioni telefoniche, ma dove è bene che si intercetti e vada in galera chi minaccia la quiete pubblica e la proprietà altrui organizzando rave party o blocchi stradali. Dove un sottosegretario alla Giustizia come Delmastro, rinviato a giudizio per violazione del segreto di ufficio e ospite d’onore di una festa di Capodanno con pistola che spara, è ancora al suo posto. E dove alla stampa viene messo il bavaglio con norme liberticide che reintroducono il divieto di pubblicazione di atti giudiziari non più coperti dal segreto di indagine. È la conferma, ammesso ce ne fosse bisogno, della macroscopica eccezione che è oggi l’Italia governata da questa destra. Un’eccezione che ci allontana dall’Europa e che ci costerà diversi miliardi di Pnrr, perché proprio la riforma della giustizia - penale e civile - era stato uno dei banchi di prova su cui l’Europa ci aveva chiamato a misurarci. Un’eccezione - dice bene l’ex ministro della Giustizia Pd Andrea Orlando - dove “il problema non sono i ladri, ma le guardie” e il principio di legalità è a geometria variabile. Come dimostrano i 17 provvedimenti di sanatoria e condono varati in appena un anno di legislatura e una narrazione che vuole i reati contro la trasparenza e imparzialità della pubblica amministrazione una pietra al collo degli spiriti liberi dell’impresa e del mercato. Andranno fino in fondo. E non perché lo dica Nordio, che è semplice ventriloquo controllato da remoto dagli azionisti della maggioranza. Ma perché è su questo scempio della giustizia penale che chiamano riforma che le tre anime della maggioranza hanno trovato una delle loro stanze di compensazione. Con il volenteroso contributo di qualche spregiudicato cicisbeo nell’opposizione. Che poi tutto questo spettacolo si consumi nel giorno in cui l’ormai ex candidato di Salvini alle Regionali in Sardegna subisce un sequestro di beni perché indagato per corruzione è naturalmente un ironico inciampo del caso. Anzi no, pardon. Nell’Italia della corruzione percepita, è “giustizia a orologeria”. Abuso d’ufficio e carceri. Nordio a due facce di Giulio Baffetti Il Riformista, 18 gennaio 2024 Il Guardasigilli lancia bordate e rivendica il ddl che cancella il reato, ma balbetta sulle condizioni dei penitenziari e sulla piaga dei suicidi. Bordate sull’abuso d’ufficio e i reati contro la pubblica amministrazione. Fin troppa timidezza sulle carceri. È un Carlo Nordio a due facce quello che illustra in Parlamento la relazione sull’amministrazione della giustizia. Si parte alla Camera. Dove il Guardasigilli comincia pacioso e paludato. Poi arrivano le stoccate, soltanto alla fine del suo intervento. Quando Nordio rivendica l’abolizione dell’abuso d’ufficio, proprio mentre il ddl che cancella il reato passa in Commissione Giustizia al Senato. “Su questo reato ci sono state polemiche sterili e fondate su equivoci. È un reato evanescente, l’unica soluzione è abolirlo”, attacca il ministro della Giustizia. Nordio contesta anche le obiezioni di chi pensa che l’abolizione dell’abuso d’ufficio sia in contrasto con la convenzione di Merida sulla corruzione e contro la prossima direttiva che sarà emanata dalla Commissione Europea. Qui il Guardasigilli molla gli ormeggi e accantona i toni felpati: “È una balla colossale che il testo di Merida imponga il reato d’abuso, non c’è un obbligo, ma si parla di ‘pensare di adottare’”. Il centrodestra spezza il discorso di Nordio a Montecitorio con gli applausi. E ancora: “Quella della Ue è solo una proposta di direttiva, una scopiazzatura mal fatta su Merida, e su cui in Germania è già esplosa la contestazione”. Poi l’esponente di governo eletto in quota FdI ribadisce che il ddl sull’abuso d’ufficio non inficia la lotta alla corruzione: “Io ho già detto al commissario europeo Reynders che il nostro arsenale di reati sulla corruzione è ampio”. Nordio attacca i magistrati, che avevano sostenuto che l’abuso d’ufficio fosse una sorta di “reato spia” per battezzare un’indagine e poi scovare altri reati. Per l’ex magistrato ora a Via Arenula tutto ciò “è una stravaganza giuridica, ingannevole e pericolosa, perché il reato ha in sé la sua giustificazione, e non può essere strumentale per cercarne altri, questo confligge con il buon senso, o il reato c’è o non c’è. Un docente di diritto penale mi ha detto che mi avrebbe bocciato se avessi parlato di reato spia”. Parole forti anche sul “barbaro Medioevo” delle intercettazioni e sui “pm che distruggono vite sequestrando i telefoni ingiustamente”. “Sull’abuso d’ufficio siamo al fianco del ministro anche con i voti. Mi stupisce piuttosto che altri partiti non lo siano, partiti che hanno avuto appelli accorati dai propri amministratori. Anche sulla prescrizione Italia Viva non ha timore a metterci il coraggio e i voti, se si tratta di evitare le degenerazioni della riforma Bonafede”, dice la coordinatrice nazionale di Italia Viva Raffaella Paita parlando al Senato. Intanto il Pd, continua a dividersi proprio sull’abuso d’ufficio. Nordio balbetta sulle condizioni dei penitenziari e sulla piaga dei suicidi in carcere. “Ho detto che è un fardello di dolore. Purtroppo nella vita ci sono delle questioni che sono irrisolvibili. I suicidi sono una questione irrisolvibile e accadono in tutte le carceri del mondo, non dobbiamo rassegnarci, dobbiamo ridurli”, tentenna il Guardasigilli alla Camera. Nordio pattina anche sul sovraffollamento degli istituti di pena: “Difficile costruire nuove carceri, si usino caserme dismesse”. A Montecitorio Roberto Giachetti, di Italia Viva, propone una soluzione: “Per affrontare la drammatica emergenza che colpisce le carceri italiane è necessario rivedere la normativa sulla liberazione anticipata speciale”. Ma il piatto forte è il duello tra Nordio e il deputato grillino Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia. “È desolante ciò che sta avvenendo nel mondo della giustizia - dice De Raho - Inorridisce lo sviluppo del piano strategico teso a indebolire la lotta alla corruzione, che è oggi lo strumento utilizzato dalle mafie per l’acquisizione degli appalti”. Poi l’ex pm attacca sulle intercettazioni: “Questo piano strategico vuole ridurre al massimo l’uso del più importante strumento investigativo, le intercettazioni”. Infine la stoccata che innesca la bagarre. Dice De Raho, rivolgendosi a Nordio e ai banchi del governo: “La vostra politica è un favore alle mafie, voi fate quello che le mafie nei loro territori impongono con l’intimidazione. Zittite la stampa e le persone: mai le mafie hanno avuto un trattamento così favorevole”. Giachetti chiede un intervento della presidenza: “Non si può sostenere in quest’aula che la norma che tutti chiamano ‘bavaglio’ abbia la funzione di silenziare la stampa e che sia la tecnica che usa la mafia”. Il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè censura il deputato del M5s e sottolinea: “Il sillogismo secondo il quale all’omertà corrisponde il silenzio e la categoria si applica a questo governo è inaccettabile”. Intanto da Iv attacca anche Davide Faraone: “Nordio è il fantasma di se stesso”. Il Pd, nonostante le divisioni interne e i musi lunghi sull’atteggiamento del Nazareno sull’abuso d’ufficio, sceglie ancora una volta di buttare la palla in tribuna. “Questa guerra tra politica e magistratura, figlia dell’eredità berlusconiana, ha delle vittime: i cittadini, che vedranno la giustizia funzionare sempre peggio”, dice la dem Anna Ascani, vicepresidente della Camera. Mentre il deputato del Pd Walter Verini si accoda ai Cinque Stelle: “Un conto è tutelare i Sindaci altra cosa cancellare reati che rischiano di aprire la strada alla criminalità organizzata, danneggiando i cittadini che subiscono abusi dalla Pa. La corruzione dilaga e il Governo allenta i presidi anti corruzione, colpisce la libertà di informazione”. Michela Di Biase parla di “delirio panpenalista” di Nordio. Alla Camera passano soltanto le risoluzioni presentate dalla maggioranza. A Palazzo Madama il governo invece dà parere favorevole anche alle risoluzioni del centrodestra ma anche a quella presentata da Iv e Azione. La maggioranza compatta difende la relazione di Nordio. Angelo Bonelli, dei Verdi, punta Andrea Delmastro: “Il ministro eviti di mandare un sottosegretario indagato in Aula, ci eviti una situazione imbarazzante”. Nordio: “Pm da frenare. La corruzione in Italia più percepita che reale” di Francesco Grignetti La Stampa, 18 gennaio 2024 Il Guardasigilli in Parlamento: “Carceri sovraffollate ma la situazione non è tragica. Oggi i poteri del pubblico ministero sono incompatibili con il dettato costituzionale”. Si dice Carlo Nordio, si intende il nuovo “toro scatenato”. In Parlamento ieri la Relazione del ministro sullo stato della giustizia è stato un continuo fuoco d’artificio. Impossibile anche solo elencare i campi dove il Guardasigilli sta operando o dove intende andare. Di sicuro non ha rinunciato alla riforma di rango costituzionale per la separazione delle carriere, anche se lui stesso ora non sa se ce la farà. “Non andremo alle calende greche, ma speriamo di avere il tempo”. Intende dopo il premierato. E poi: ridurre le intercettazioni, mettendo una specie di numero chiuso con il budget prefissato; ridimensionare i poteri dei pm, cresciuti a dismisura dopo la riforma Vassalli del 1988; farla finita con la “autoflagellazione” sulla corruzione, perché le statistiche sono sbagliate e prendono in esame le “percezioni” e non i dati oggettivi; introdurre severi paletti garantisti quando vengono sequestrati gli smartphone. Infine uno sfogo sulla abolizione del reato di abuso d’ufficio. “Una bufala che l’Europa ce lo chieda”. A Nordio, in fondo, piace il ruolo del castigamatti. Specie se può prendersela con i suoi ex colleghi. “La separazione delle carriere viene associata a un inevitabile assoggettamento - scusate il bisticcio di parole - al potere esecutivo... Però il problema esiste, perché i poteri del pubblico ministero oggi sono poteri incompatibili con la struttura costituzionale che è stata data loro. Quando è stata elaborata la Costituzione, quasi 80 anni fa, nessuno avrebbe pensato che avremmo avuto, 40 anni dopo, un codice accusatorio, elaborato dal professor Vassalli, che è stato modellato sul sistema anglosassone. Nel sistema anglosassone la separazione delle carriere è consustanziale alla struttura del processo”. La soluzione che il ministro ha in mente è una radicale riscrittura del codice, al termine del quale il pm avrà molti poteri in meno rispetto ad oggi. E comunque sulla separazione delle carriere in Parlamento si sta coagulando una maggioranza molto ampia, con il destra-centro e l’ex Terzo Polo. Al punto che il governo ha appoggiato, caso unico, una risoluzione di Azione, che preme in tal senso. Sulla corruzione, intende sfidare l’opinione corrente. “Ad Atlanta, a margine della Convenzione di Merida e della lotta all’anticorruzione, l’Italia ha proposto una risoluzione, che è stata accettata, in cui il criterio di percezione della corruzione è stato completamente mutato. Il nostro Paese figurava e figura agli ultimi posti come affidabilità per quanto riguarda la corruzione. Ma in base a un dato sbagliato”. Secondo il ministro, quando si cambieranno i sistemi di calcolo, e si prenderanno in esame solo i dati oggettivi, denunce e condanne, l’Italia farà un figurone. “Abbiamo spiegato che i criteri di corruzione percepita non corrispondono affatto a quelli della corruzione reale. E il nostro modo di autoflagellarci continuamente, come se fossimo un popolo di corrotti”. Quanto alla “autoflagellazione, Nordio amerebbe anche non sentire più troppe lagne sullo stato delle carceri. “Fatte le statistiche con gli altri Paesi, anche qui ci siamo autoflagellati perché il coefficiente di sovraffollamento delle carceri, che purtroppo è un fardello di dolore che grava su tutti i Paesi, non vede affatto l’Italia nei posti peggiori. L’Italia, semmai, sta tra i primi posti per trattamento umanitario dei detenuti. Questo non toglie, per l’amor del cielo, nulla al fatto che siamo perfettamente consapevoli della situazione critica”. In conclusione, il ministro difende anche convintamente l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. E a chi gli brandisce contro le Convenzioni internazionali oppure la Direttiva europea in itinere, sventola i testi della Convenzione, cita il passaggio dove ci si rimette alla valutazione degli Stati aderenti, e conclude trionfante: “Il fatto che la Convenzione di Merida dica che noi dobbiamo farlo è una sciocchezza colossale”. Sono però i suoi ex colleghi magistrati dell’Anm a temere di perdersi per strada un reato-spia. Apriti cielo. “Questa stravaganza giuridica non meriterebbe nemmeno di essere presa in considerazione, perché il “reato spia” è un’astrazione concettuale ingannevole e pericolosa”. Un altro ex magistrato passato con il M5S, la pensa in modo diametralmente opposto: “È inquietante - dice Federico Cafiero De Raho - il vostro progetto: indebolite le intercettazioni e la lotta alla corruzione; abolite l’abuso d’ufficio e così rendete leciti i favoritismi”. Ed è lapidaria Anna Rossomando, Pd: “La riforma Nordio della giustizia non esiste. Non capiamo perché questo governo ha approvato una serie di interventi che mettono sabbia negli ingranaggi”. Nordio: entro febbraio correttivi alla riforma penale, poi a quella civile di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 18 gennaio 2024 L’annuncio nel corso della Relazione annuale sullo stato dell’amministrazione della Giustizia in aula alla Camera. “Entro febbraio prevediamo di approvare definitivamente i decreti correttivi alla riforma penale. E a breve saranno presentati i correttivi alla riforma civile, per concludere auspicabilmente l’iter entro la primavera”. Lo ha annunciato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, illustrando questa mattina la Relazione sullo stato dell’amministrazione della Giustizia in aula alla Camera. Una Relazione in cui il Ministro ha rivendicato l’avvio delle riforme contenute nel programma di governo e al tempo stesso il rispetto dei tempi dettati dal Pnrr. Ci sono tutti i cavalli di battaglia del centro destra: dall’eliminazione dell’abuso d’ufficio (in discussione in questi giorni): “non è vero che l’Europa lo vieta”; alla separazione delle carriere: “andremo avanti”; passando per il giro di vite sulle intercettazioni: stretta sui costi ma anche più garanzie, per esempio, nel sequestro dei telefonini: “si sequestra una vita, e non solo quella dell’indagato ma tutti quelli che sono venuto in contatto con lui”. E poi c’è l’ennesima riforma della prescrizione a cui ieri la Camera ha dato un primo via libera, si tratta della quinta in 19 anni. “La nostra preoccupazione fondamentale - afferma il Ministro - è quella di rendere la giustizia rapida ed efficiente. Una giustizia rapida può essere una giustizia iniqua” ma “una giustizia lenta è sempre una non giustizia”. Per Nordio poi il ministero della Giustizia “è in pole position rispetto agli altri ministeri” per il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr. “La lunghezza media del processo penale è scesa sotto i 1.000 giorni, che sono tanti ma al di sotto della lentezza biblica che connotava la nostra giustizia in passato”. Mentre i valori al 30 giugno 2023, confrontati con quelli del 2019, anno di riferimento fissato nel Pnrr, segnalano una decisa accelerazione nella riduzione della durata dei processi calcolata in base al disposition time, l’indicatore di durata che misura il rapporto tra i processi pendenti e quelli definiti, con una diminuzione del 19,2% nel settore civile e del 29% in quello penale”. Tornando alla separazione delle carriere, il Guardasigilli ricorda che la riforma “non è negoziabile”. È un impegno che abbiamo preso con gli elettori”, e poi assicura “verrà realizzata e “non andremo alle calende greche”. Nel 1988, ha ricordato, “c’è stata una serie di osservazioni di giuristi e magistrati” secondo i quali “conferire questi poteri immensi al pubblico ministero come capo della polizia giudiziaria mantenendo i poteri che ha, senza essere controllato, è un pericolo. E infatti abbiamo visto dove siamo arrivati”. Per quanto riguarda invece le spese per le intercettazioni, Nordio è consapevole delle difficoltà: “so di camminare su un ghiaccio molto sottile. Non saranno mai toccate quelle che riguardano la criminalità organizzata, il terrorismo e i reati di allarme sociale. Ma è necessaria una razionalizzazione della spesa”. Il riferimento è al decreto che ha individuato le prestazioni funzionali alle operazioni di intercettazione con la determinazione delle relative tariffe, entrato in vigore nel 2023. A questo proposito il ministro ha parlato dell’adozione di un tariffario unico, valido per tutti gli uffici giudiziari che rende i compensi ivi stabiliti obbligatori e vincolanti. Inquietanti poi gli scenari aperti dall’informatica e da internet nel rapporto con la giustizia. “Rischiamo di cadere in un nuovo barbaro medioevo reso più sinistro e duraturo da limiti o risorse della tecnologia. Oggi c’è molto di più dei trojan. Per fortuna una sentenza della Corte costituzionale ha definito il cellulare qualcosa di molto più importante. Chi sequestra un cellulare, sequestra una vita. Sequestrando un cellulare sequestriamo le vite degli altri”. Infine la corruzione, la Relazione ricorda che alla convenzione delle Nazioni Unite “il nostro Paese figurava, in una classifica internazionale, tra gli ultimi posti in termini di affidabilità sulla corruzione. Ma la valutazione riguardava un criterio sbagliato. Abbiamo spiegato che i criteri di corruzione percepita non corrispondono affatto a quella reale, l’Italia risalirà nella graduatoria internazionale proprio perché abbiamo detto che i parametri sono sbagliati”. Tuttavia, prosegue, “l’intero sistema dei reati contro la pubblica amministrazione è obsoleto”. Per questo, nel caso dell’abuso di ufficio “si è ritenuto di eliminarlo”, dopo i tentativi di riforma del passato. L’abuso d’ufficio, ha aggiunto “è un reato evanescente, siamo decisi ad andare fino in fondo”; infine: “non c’è nessun contrasto con l’Europa né con la convenzione di Merida”. Nordio: “Un pericolo i poteri immensi dei pm. L’Anm lo attacca” di Virginia Piccolillo Corriere della Sera, 18 gennaio 2024 La relazione del ministro. La separazione delle carriere sarà attuata “non alle calende greche”, riflettendo su un principio: “Conferire poteri immensi al pm come capo della polizia giudiziaria mantenendo i poteri che ha, senza essere controllato, è un pericolo”. Carlo Nordio, nella relazione annuale al Parlamento, annuncia le linee di intervento che dovrebbero risolvere i problemi di una giustizia con un “buco di 1.400 magistrati” e del 40% di personale amministrativo. E si sofferma sulla riforma costituzionale chiesta con forza da FI con un’argomentazione che non piace all’Associazione nazionale magistrati: “Le parole del ministro tradiscono un’intenzione recondita: la voglia di ridimensionare i poteri del pm, che definisce “immensi” e invece sono sottoposti a continui controlli del procuratore e del giudice”, denuncia il segretario Anm, Salvatore Casciaro. E spiega: “Finora si era detto che la riforma intendeva rendere terzo il giudice. Ora invece si annuncia un controllo che, con l’introduzione della discrezionalità dell’azione penale già annunciata, non potrà che essere il controllo della politica”. Nordio promette una “giustizia più rapida ed efficiente” e, nel giorno in cui in commissione si chiude l’esame del suo ddl di riforma che ora passerà all’aula, annuncia vari provvedimenti. A partire da una revisione del “sistema obsoleto” dei reati della Pubblica amministrazione, come l’abuso d’ufficio già in via di abolizione al Senato: confida di far risalire l’Italia nella graduatoria sulla corruzione, convincendo i nostri partner che “i criteri di corruzione percepita non corrispondono a quelli reali”. Punta a fermare il “nuovo barbaro medioevo reso più sinistro e duraturo da limiti e risorse della tecnologia” con limiti al comparto delle intercettazioni, captazioni con il trojan e sequestro dei cellulari. Restrizioni iniziate già con la “legge bavaglio” che vieta di pubblicare anche stralci delle intercettazioni contenute nelle ordinanze e con il ddl atteso in aula al Senato che vieta di pubblicare colloqui e nomi di terzi non indagati. Nordio sottolinea i costi (“fuori controllo”) delle intercettazioni e torna a chiedere: “Credete che la mafia parli col telefonino se deve fare un attentato?”, anche se chi arrestò Matteo Messina Denaro sottolineò l’importanza delle intercettazioni anche di non indagati. Difende la nuova prescrizione, che ieri ha avuto il via libera del Csm con la richiesta di una norma transitoria. Punta sulla digitalizzazione del processo, avviata ma, secondo l’Anm, bloccata nelle procure e nei tribunali da un sistema informatico nato per il processo civile, riadattato male a quello penale. E annuncia per febbraio i decreti correttivi alla riforma penale e a breve quelli alla riforma civile. Più modifiche al codice di procedura penale per ridurre la popolazione carceraria: intervenendo sulla carcerazione preventiva e ribadendo l’impegno a utilizzare le caserme come penitenziari. La maggioranza vota, oltre alla propria risoluzione, anche quella formulata da Azione, Iv e + Europa. Il Guardasigilli lascia l’Aula, insieme a tutta la maggioranza tranne i leghisti Bongiorno e Romeo, dopo le accuse del senatore M5S Roberto Scarpinato (dà “impulso a una nuova politica criminale”). Nordio si attira l’opposizione del Pd e la dura protesta del M5S anche con l’ex capo della Dna Federico Cafiero De Raho: politica di “favore alle mafie”. Parole che costano all’ex pm la censura del vicepresidente FI della Camera Giorgio Mulè. Abuso d’ufficio, intercettazioni e pm: l’autodifesa di Nordio di Mario Di Vito Il Manifesto, 18 gennaio 2024 Alla Camera e al Senato. Il discorso sullo stato dell’amministrazione della giustizia fatto dal ministro. Uno spettacolo che si annuncia ogni volta senza repliche e che però si ripete sempre uguale. Il discorso, prima alla Camera e poi al Senato, del guardasigilli Carlo Nordio sullo “stato dell’amministrazione della giustizia” non è stato altro che il solito comizio durante il quale sono stati ribaditi i più o meno buoni propositi già noti alle cronache. Anche la rivendicazione di quanto fatto non ha impressionato, anzi. E quindi, per il loggione: Nordio considera l’abuso d’ufficio “un reato evanescente” per il quale “l’unica soluzione è abolirlo”. Fa niente per i rilievi europei - la commissione considera questo reato fondamentale e ritiene che debba stare nei codici di tutti i paesi membri -, perché “parlare di reato spia è una stravaganza giuridica, ingannevole e pericolosa”. Anzi di più: “È una bestemmia giuridica”. Parliamo, secondo Nordio, di uno strumento “obsoleto”. Sulle intercettazioni il ministro ribadisce che per mafia e terrorismo nulla cambia e nulla cambierà mai, ma per il resto si andrà verso una riduzione drastica del loro utilizzo, anche per risparmiare: “Sono sproporzionate sia nel numero sia nei costi, e le spese delle procure per farle sfuggono ai controlli”. Altra perla: “Rischiamo un barbaro medioevo con il sequestro dei cellulari”. Un passaggio anche sul tema del carcere, con Nordio che ha sottolineato la gravità del tema dei suicidi ma ha anche rilevato come nel 2023 siano diminuiti rispetto all’anno precedente: “Da 83, mi pare, sono passati a 65, comunque sono diminuiti, diciamo di un 20-15%”. Resta sospeso il punto dei punti, cioè la “non negoziabile” separazione delle carriere, cuore della riforma della giustizia che prima o poi forse prenderà corpo e che porterà qualche deciso cambiamento della Costituzione. “Il pm oggi indaga come e quando vuole perché mantiene le guarentigie previste dal codice Rocco. I controlli sono necessari”, sostiene Nordio. Bordate, si direbbe, ma in realtà non è niente che non abbiamo già sentito nell’ultimo anno e mezzo. Prima di tutto questo, Nordio ha fatto in tempo a complimentarsi con se stesso per i dati sui tempi della giustizia (relativi al quadriennio 2019-2023): diminuzione del 19.2% per il civile e addirittura del 29% per il penale. “La durata media dei processi è scesa sotto la soglia dei mille giorni - l’esultanza del ministro -, e nel civile c’è stata un’accelerazione nello smaltimento dell’arretrato”. Benissimo, peccato che giusto martedì l’Osservatorio dei laici (organismo informale nato a supporto della componente non togata del Csm) abbia illustrato alla Camera i dati del rapporto realizzato da Astraricerche a tema “gli italiani e la giustizia”. Ecco, malgrado la sbandierata diminuzione dei tempi processuali, viene fuori che meno di un terzo degli intervistati ha espresso un voto alto per l’operato dei giudici del processo civile e dei giudici di pace (32,9%), più o meno lo stesso per i giudici del processo penale e i pm (32%), e gli avvocati (29,9%). Questo per dire che forse i problemi della giustizia non stanno tanto (o non stanno solo) nei suoi tempi. La questione della durata dei processi è al centro dei rilievi fatti a Nordio nel pomeriggio dalla senatrice del Pd Anna Rossomando (che giudica Nordio come un alfiere del “populismo giudiziario autoritario”): “Chiediamo al ministro se è prigioniero, ostaggio in via Arenula, perché siamo pronti a organizzare un presidio democratico e liberarlo. Infatti non capiamo perché questo governo ha approvato una serie di interventi che mettono sabbia negli ingranaggi di quelle riforme che servirebbero proprio a migliorare i tempi della giustizia”. Battute e stoccate a parte, anche l’opposizione non ha offerto grandi spunti al dibattito. Forse la strategia della destra - cambiare il codice penale passetto dopo passetto - sta funzionando nella misura in cui gli attacchi sono sempre pochi e molto circostanziati, senza mai inquadrare la questione nella sua interezza. E così, quando Camera e Senato sono arrivato al voto sulle risoluzioni, nel tardo pomeriggio, non ci sono state sorprese: no a quelle delle opposizioni, sì a quella della maggioranza. E pure a quella del gruppo di Iv e Azione (anche se inizialmente Nordio aveva dato parere negativo e poi è dovuto intervenire il sottosegretario Delmastro a precisare). Nessuna novità neanche qui: i cosiddetti riformisti, sulla giustizia, sono ormai una costola della destra. Via Arenula: controlli su tutto, presunzione d’innocenza inclusa di Errico Novi Il Dubbio, 18 gennaio 2024 Al nervosismo suscitato dalla notizia, il ministero guidato da Carlo Nordio ha risposto ieri con una nota, in cui si precisa che le verifiche riguardano innanzitutto gli “atti motivati dei procuratori della Repubblica circa la sussistenza dell’interesse pubblico”. Il controllo ministeriale sul rispetto della presunzione d’innocenza rientra nell’ordinaria attività di monitoraggio sugli uffici giudiziari. A precisarlo, in una nota diffusa ieri pomeriggio, è il ministero della Giustizia. Si potrebbe aggiungere: abituatevi, cari magistrati, le norme a tutela della persona accusata vanno rispettate come tutte le altre leggi dello Stato. Ma via Arenula sceglie un tono misurato, né irridente né di sfida. Risponde, semplicemente, ai malumori suscitati martedì dalle parole del sottosegretario Andrea Delmastro, che era intervenuto alla Camera in seguito a un’interpellanza del deputato di Azione Enrico Costa, e aveva riferito appunto di un “monitoraggio” in corso presso 13 Procure sul rispetto delle norme relative alla presunzione d’innocenza. E giù l’elenco degli uffici inquirenti, da Avelino e Catanzaro fino a Vercelli. Non si sono fatte attendere, come segnalato sul Dubbio di ieri, le reazioni della magistratura. Alcune esplicite, come nel caso del segretario di Area Giovanni Zaccaro, secondo il quale “non è chiaro da chi e come siano stati scelti gli uffici monitorati”. In altri casi i malumori sono espressi in via riservata, ma pure evocano ombre di “atti intimidatori”. Ebbene, al nervosismo suscitato dalla notizia, il ministero guidato da Carlo Nordio ha risposto ieri con una nota, in cui si precisa che le verifiche riguardano innanzitutto gli “atti motivati dei procuratori della Repubblica circa la sussistenza dell’interesse pubblico” richiesto perché si possano convocare conferenze stampa sulle indagini. Un monitoraggio, avviato nel 2023, in cui si parte dalla direttiva europea sulla presunzione d’innocenza e dalla necessità di “bilanciare il diritto all’informazione, pilastro di ogni Stato di diritto, con la protezione dei dati personali degli indagati”. Le informazioni, prosegue la nota di via Arenula, “sono raccolte dall’Ispettorato generale, al pari di molte altre, nell’ambito delle ordinarie attività svolte presso gli Uffici giudiziari secondo un calendario annuale, prestabilito e pubblicato sul sito del ministero”. Non c’è stato, quindi, alcun procuratore “preso di mira”: semplicemente, nell’ambito delle verifiche quadriennali, ora si cerca di tenere acceso un faro anche sulla correttezza dei rapporti con la stampa, sulla loro coerenza con le norme che, nell’autunno del 2021, hanno recepito la direttiva eurounitaria. “Le 13 Procure citate nella risposta all’interrogazione parlamentare erano da tempo inserite” nel ricordato “calendario annuale”, come confermato, aggiunge il ministero, “anche dai vertici di alcune di esse”. E in effetti i capi dei pm di Avellino e Brescia, due delle sedi “osservate” nell’ultimo periodo, hanno confermato “l’assoluta ritualità della rilevazione in corso”. Il ministero ricorda d’altronde come il decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza abbia modificato la riforma ordinamentale del 2006 relativamente ai rapporti fra uffici di Procura e media, e come la riforma del Csm (la legge delega 71 del 2022) abbia chiarito, a propria volta, i riverberi prodotti, dalle nuove tutele, sul piano disciplinare. Adesso, tra le condotte dei magistrati passibili di sanzione (e catalogate dal decreto legislativo 109 del 2006) compare, dunque, anche la violazione degli obblighi imposti, nei rapporti fra pm e stampa, dalle norme sulla presunzione d’innocenza. Ecco perché, fa notare dal ministero, è necessario, “nell’ossequioso rispetto delle differenti competenze proprie del ministro della Giustizia e dell’autorità giudiziaria, presiedere, tramite le preposte articolazioni, al controllo del rispetto di queste nuove prescrizioni”. E così, spiegano ancora da via Arenula, “l’ispettorato generale, nell’ambito delle proprie ordinarie attività di verifica presso gli uffici giudiziari, ha iniziato ad acquisire, nella molteplicità dei dati che normalmente riceve da questi uffici in sede di ispezione ordinaria, secondo il regolare calendario quadriennale, anche quelli relativi al rispetto dei nuovi obblighi”. In altri termini, “nello svolgimento delle ispezioni ordinarie attualmente in corso, che seguono la dinamica dei fisiologici rapporti tra ministero e uffici, l’Ispettorato ha richiesto e acquisito, tra gli altri, anche i dati relativi a quei procedimenti penali in relazione ai quali apparisse necessario verificare il rispetto della nuova normativa in tema di comunicazioni con la stampa”. Si tratta, insomma, fa notare il ministero della Giustizia di “un monitoraggio esclusivamente formale che non attiene al controllo dell’attività giudiziaria o al merito dei procedimenti penali, rispetto ai quali le autorità requirenti e giudicanti sono il dominus assoluto. Un monitoraggio come tanti altri”, appunto, che consiste nella “mera acquisizione di dati obiettivi presso gli uffici giudiziari, procedura imposta dalla legge e che, come già avvenuto in passato, proseguirà placidamente in futuro”. Da una parte se vogliamo, le spiegazioni offerte dal ministero ridimensionano il caso che sembrava essersi aperto nella magistratura: non è in corso alcuna caccia ai “cattivi”. Semplicemente, nello screening generale che compete a via Arenula, ora si farà caso anche alla “pertinenza” dei comunicati e delle conferenze stampa in cui si dà notizia delle indagini. Così come verranno tenute sotto controllo le “etichette” eventualmente affibbiate alle inchieste per accrescerne l’appeal mediatico. Le norme sulla presunzione d’innocenza andranno rispettate, come tutte le altre. Anche se a qualche pm la cosa facesse storcere il naso. “Con la prescrizione ci giochiamo il Pnrr”. Il Csm ora invoca una norma transitoria di Giovanni M. Jacobazzi Il Dubbio, 18 gennaio 2024 Il Plenum approva, col solo voto contrario di Aimi, il parere sulla riforma del governo. “Si impiega più tempo a ricalcolare una prescrizione o a celebrare un processo?”. È quanto affermato ieri mattina in Plenum da Enrico Aimi, avvocato e componente laico del Consiglio superiore della magistratura in quota Forza Italia, durante il voto del parere sulla riforma della prescrizione, approvata il giorno prima dalla Camera. “Nella stragrande maggioranza dei casi, il calcolo sarà peraltro breve e, anche nelle questioni più complesse, il tempo necessario sarà ovviamente inferiore a quello per audire le parti processuali, gli imputati, i testimoni, periti e consulenti, senza voler parlare degli estenuanti rinvii, sempre in agguato”, ha proseguito Aimi, decidendo di non votare in splendida solitudine il parere della Sesta commissione che aveva espresso forti critiche sulla volontà del Parlamento di ripristinare la prescrizione “ex Cirielli” con i correttivi introdotti nel 2017 dall’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando. Per il Csm, invece, la nuova norma sulla prescrizione sarebbe “molto onerosa in quanto l’individuazione dei procedimenti da trattare con priorità richiederebbe la preventiva ricostruzione del regime di prescrizione e/ o improcedibilità applicabile ad ognuno di essi”. “Al fine di scongiurare tali possibili evenienze - proseguiva il parere poi approvato, a parte il voto contrario di Aimi, con la sola astensione del laico di Italia viva Ernesto Carbone - sarebbe opportuno completare l’intervento normativo con la previsione di un regime transitorio” . Una delle perplessità sollevate dal Csm riguardava il conteggio, ai fini della sospensione dei termini, del tempo intercorso fra la lettura del dispositivo e quello in cui sono depositate le motivazioni della sentenza. Il parere aveva fatto proprio l’appello dei presidenti delle Corti d’appello che avevano evidenziato la necessità di una completa riprogrammazione delle attività giurisdizionali negli uffici di secondo grado e di legittimità, con la riorganizzazione dei ruoli di udienza e con il conseguente rischio di non cogliere entro il 2026 gli obiettivi negoziati con la Commissione europea per i fondi del Pnrr. “La prescrizione è un istituto centrale nel nostro ordinamento giuridico, per questo desta interesse e discussione. Rappresenta, innanzitutto, una rinuncia alla potestà punitiva dello Stato, decorso un lasso di tempo ragionevole”, ha allora ricordato Aimi, sottolineando che la norma transitoria richiesta “rischierebbe di trasformarsi in un autentico boomerang giudiziario, sottoponendo la legge che lo recepirebbe a rischio di impugnazione davanti alla Corte costituzionale”. “Uno dei cardini del nostro sistema, al quale non possiamo mai derogare, è infatti quello dell’applicazione della legge più favorevole al reo. Per questo più che dare indicazioni sarebbe opportuno applicare la legge nei suoi più alti dettati”, ha poi concluso Aimi. La presidente della Cassazione Margherita Cassano, pur votando il parere, ha espresso soddisfazione per il superamento nella nuova prescrizione dell’improcedibilità che era stata prevista dalla riforma Cartabia e che aveva creato grandissima confusione interpretativa. È stato comunque ricordato che le diverse migliaia di professionalità che sono state assunte per l’Ufficio per il processo, e recentemente prorogate al 2026, potranno ben agevolare i giudici nei calcoli dei tempi della prescrizione. Nel quadro non proprio felice in cui versa la giustizia italiana, calcolare con il calendario alla mano quando un reato si prescrive non dovrebbe dunque essere un problema insormontabile. “Non mi stupisco del voto del Csm considerato che i capi degli uffici giudiziari si sono da tempo dichiarati contrari alla riforma. Semmai mi sorprende la dimensione del voto del Plenum che ha diviso la sua componente laica”, ha commentato il senatore Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia a Palazzo Madama. Riforma ritardata, riforma negata di Francesca Sabella Il Riformista, 18 gennaio 2024 Giustizia ritardata è giustizia negata, diceva Montesquieu. Potremmo apportare un piccolo cambio alla citazione del celebre filosofo e giurista francese: riforma ritardata, riforma negata. Perché della Riforma della Giustizia, nella quale liberali e garantisti, avevano finalmente intravisto uno spiraglio di speranza (quella di vivere in uno Stato di diritto e garantista!) pare essere quasi svanita nel nulla. Ogni tanto si riaffaccia, timida, dalle colonne di qualche giornale, dalle dichiarazioni del ministro Carlo Nordio. E così ieri mentre al Senato la commissione Giustizia terminava l’esame degli emendamenti che portano la firma di Nordio, il Ministro ha parlato alla Camera. Ha posto l’accento sulle intercettazioni: “Rischiamo di cadere in un nuovo barbaro medioevo reso più sinistro e duraturo da limiti o risorse della tecnologia. Oggi c’è molto di più dei trojan. Per fortuna una sentenza della Corte costituzionale ha definito il cellulare qualcosa di molto più importante. Chi sequestra un cellulare, sequestra una vita”. Vero, verissimo. Come intende quindi andare avanti? Non è stato chiarito. Per ora rimane una buona intenzione. Poi il cavallo di battaglia (che pare essersi però azzoppato) del Guardasigilli: la separazione delle carriere. “I poteri immensi del Pm sono un pericolo, la separazione delle carriere è nel programma del governo, è un impegno con gli elettori, intendiamo andare avanti e non andremo alle calende greche”. Mai cosa più giusta fu detta: quindi, quando si fa questa benedetta separazione? E basta con questa solfa che così il Pm finirebbe sotto il controllo dell’esecutivo: falso. Lo sa l’esecutivo e lo sanno i Pm. Nel frattempo, mentre si discute siamo al diciottesimo giorno del nuovo anno e in carcere ci sono già stati 14 suicidi: quasi uno al giorno. L’anno scorso quasi settanta detenuti che hanno scelto di togliersi la vita dietro le sbarre. Si potrebbe tornare quindi a parlare anche delle pene alternative al carcere? Di quelle questioni prima messe sul tavolo e poi sepolte da faldoni di carta, per lo più da provvedimenti populisti che solleticano la pancia dei cittadini con un tempismo quasi impressionante. Basti guardare i 15 nuovi reati inseriti nel codice penale, l’inasprimento del regime delle intercettazioni telefoniche, l’aumento delle pene per reati già esistenti, agli inasprimenti del regime penitenziario e quanto questo Governo sia affezionato al binomio: pena-carcere. Pare irrinunciabile, segno di una cultura che non vuole cambiare e che getta un po’ di fumo negli occhi, quel tanto che basta per far credere che in lontananza ci sia ancora quella rivoluzione liberale e garantista tanto promessa e tanto sperata. Pare non esserci. Marche. Allarme carceri: “Vecchie e sovraffollate” di Pierfrancesco Curzi Il Resto del Carlino, 18 gennaio 2024 Giulianelli, garante dei detenuti: serve nuova struttura tra Macerata e Fermo. Un detenuto su tre nelle Marche è in attesa della sentenza definitiva con la misura cautelare in carcere e a Montacuto la percentuale sale fino a sfiorare il 50%: sono 155 su 332. E nella casa circondariale del capoluogo, dei 177 detenuti con pene definitive una buona percentuale potrebbe vedere applicate delle misure alternative. Sono alcuni dei dati emersi nell’incontro di ieri con il garante dei detenuti delle Marche, Giancarlo Giulianelli (nella foto), finito nel mirino delle polemiche legate alla morte, il 5 gennaio, di un 25enne fermano, Matteo Concetti, che si è tolto la vita nel carcere di Montacuto. Nelle carceri marchigiane - il dato è aggiornato al 31 dicembre - sono presenti 916 detenuti, più di un terzo (311) sono stranieri, oltre a 24 donne nella sezione femminile di Villa Fastiggi, a Pesaro. Gli istituti di pena sono sei e la capienza regolamentare sarebbe di 837 detenuti. Le situazioni di sovraffollamento più delicate sono a Pesaro, con 255 detenuti a fronte di 153 posti, e a Montacuto. Qui la capienza regolamentare è di 256 unità, ma ci sono 332 detenuti (116 stranieri). A proposito di istituti anconetani, le cose vanno meglio nella struttura di Barcaglione, dove i detenuti sono addirittura meno della capienza prevista, 91 (37 stranieri) su cento posti. Le problematiche principali restano comunque legate alla casa circondariale di Montacuto e alla tragedia di Matteo Concetti. Era dal 2015 che nel carcere di Ancona non si verificava un suicidio. Giulianelli si difende. “Non ho mai ricevuto la pec dall’avvocato della famiglia di Matteo (Concetti, ndr) - dice -. Se l’avesse fatto, avremmo senza dubbio potuto fare qualcosa. Non nascondo che non avere saputo di Matteo, e dunque non avere potuto fare nulla per lui, resta un enorme rammarico”. Giulianelli dice la sua anche sulla manifestazione organizzata dai movimenti anarchici, dal circolo (e casa editrice) Malamente e da Altra Idea di Città davanti alla sede del palazzo delle Marche, in piazza Cavour. “Sono sempre aperto al dialogo, avrei volentieri incontrato una delegazione di manifestanti”. I limiti delle strutture carcerarie delle Marche, Montacuto in primis: dai problemi legati all’aspetto sanitario allo stato delle infrastrutture, passando per i casi di problemi psichiatrici che andrebbero seguiti nelle Rems, residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. “Nelle Marche c’è una sola Rems (a Macerata Feltria, ndr) con un modulo da venti posti e dentro 25 detenuti, ma con una lista d’attesa infinita - aggiunge Giulianelli -. Le strutture carcerarie, a parte il carcere di Fossombrone da poco rinnovato molto bene, cadono a pezzi. La struttura di Fermo va chiusa, visto che non è idonea a ospitare un carcere, e l’ideale sarebbe di realizzare una nuova struttura a cavallo tra le province di Macerata e Fermo, dopo la chiusura dell’istituto di Camerino”. Quanto al carcere di Marino del Tronto di Ascoli, i detenuti sono 104 su 103 posti e a Fermo 50 su 43. Napoli. Carcere di Poggioreale, inchiesta dei Pm sull’ultimo decesso La Notizia, 18 gennaio 2024 Tre morti in dieci giorni, due in 24 ore: il penitenziario è una polveriera. Due suicidi in poco più di 24 ore, che si aggiungono a un decesso sospetto, appena due settimane prima, su cui si indaga per omicidio. Il carcere napoletano di Poggioreale è di nuovo una polveriera. In un istituto che conta oltre duemila detenuti, circa ottocento in più della capienza effettive, all’emergenza sovraffollamento si aggiunge quella di un’assistenza non adeguata a detenuti con problemi psichici. Due dei quali sono coloro che si sono tolti la vita nei giorni scorsi, impiccandosi nelle rispettive celle. Martedì scorso a essere trovato privo di vita è stato Ghoulam Mohmoud, un uomo di 38anni di nazionalità marocchina, detenuto da un mese a Poggioreale. Un decesso sul quale la Procura di Napoli ha aperto un’inchiesta. Nella cella del padiglione Firenze, dove Mohmoud era detenuto, convivono altri otto cittadini stranieri, ma a quanto pare nessuno fino ad ora sarebbe stato in grado di aiutare gli inquirenti a ricostruire i momenti che hanno preceduto la morte dell’uomo. Sulla salma è stato disposto l’esame autoptico, così come per il corpo di Andrea Napolitano, 40enne di Nola, trovato impiccato nella sua cella del padiglione Torino, all’alba del giorno precedente. Napolitano scontava una condanna all’ergastolo per aver ucciso la sua compagna, Ylenia Lombardo. Diverso il caso del 33enne di Secondigliano, trovato senza il 5 gennaio, con segni di ecchimosi in alcune parti del corpo e per il quale si indaga sull’ipotesi di omicidio. Un solo elemento collega invece tra loro gli ultimi due detenuti morti, ed è un’enorme sofferenza psicologica. Un’emergenza nell’emergenza. Per il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello “bisognerebbe istituire nel carcere un’unità operativa di salute mentale”. Per il vicesegretario generale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp “il secondo suicidio a Poggioreale in 24 ore non può ridursi al solito rituale di commozione e rammarico. Chi rappresenta il Governo per la gestione del personale penitenziario abbia l’onestà morale di ammettere il fallimento e si faccia da parte”. “Sei i detenuti suicidatisi nei primi 15 giorni dell’anno, al ritmo di uno ogni 60 ore - dichiara Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria - sono la cartina di tornasole di un sistema penitenziario che continua ad apparire alla deriva”. Bologna. Tentativo di suicidio al Pratello, i Garanti: “Troppi detenuti, stress gestionale” di Noemi di Leonardo bolognatoday.it, 18 gennaio 2024 Tentativo di suicidio al carcere minorile di Bologna. Alcuni giorni fa, un ragazzo ha provato a togliersi la vita impiccandosi. È stato salvato da alcuni detenuti, anche loro minorenni: “La direzione del carcere ha attivato prontamente tutte le misure di sostegno, tanto che il ragazzo non è mai stato in pericolo di vita”, fanno sapere i Garanti regionali dei minori e dei detenuti, Claudia Giudici e Roberto Cavalieri, che hanno fatto visita al Pratello per verificare le condizioni detentive dei minorenni. Il carcere, affermano i garanti, “da oltre un anno registra un numero di presenze che supera in modo significativo la capienza della struttura, arrecando ulteriori disagi sia ai detenuti sia al personale”, come da diverse denunce arrivate dai sindacati. Ad oggi sono 44 le persone presenti al Pratello, di cui 26 minorenni, e di questi 12 sono minori non accompagnati. In totale, sono 31 i ragazzi al Pratello di origine straniera. “L’Istituto - spiegano i garanti - è gravato da un’elevata presenza di detenuti anche in ragione di una critica distribuzione degli Istituti minorili in Italia e del loro utilizzo, che fa sì che in Emilia-Romagna vengano dislocati numeri non trascurabili di minori privi di legami con il territorio regionale”, quindi si denota “uno stress gestionale che rischia di innescare meccanismi di compressione dei diritti dei minori - osservano Giudici e Cavalieri - in quanto si trovano a vivere in una dimensione di urgenza e precarietà che snatura il senso di offerta di opportunità che deve poter assicurare un Istituto per minorenni”. Di conseguenza, il Pratello “finisce per offrire una quotidianità e una progettualità troppo simili a quelle di un carcere per adulti”. Minori stranieri senza documenti - Nel corso della visita, i garanti hanno ascoltato tre minorenni stranieri tornati in carcere a Bologna con l’accusa di aver creato disordini in una Comunità per minori. “Al momento non abbiamo elementi per dare una lettura definitiva a quanto sta accadendo - riferiscono Giudici e Cavalieri - ma è vero che il sistema di accoglienza di questi ragazzi sembra accusare la necessità di un rilancio e una riflessione sulla propria organizzazione in vista di un’espansione dei processi di devianza di questi ragazzi, che, come purtroppo è noto, incontrano criticità radicali anche nella fase iniziale della loro presenza in Italia. Basti pensare ai bandi delle Prefetture per la loro accoglienza andati deserti”. I due garanti assicurano quindi il loro impegno per “far luce sulle segnalazioni di mancata accoglienza, da parte di Comunità per minorenni, di minori di origine straniera privi di documenti di riconoscimento, cosa che determina per questi ragazzi l’impossibilità di copertura sanitaria e, in caso di restrizione in Istituto penitenziario, il perdurare della detenzione”. Inoltre, affermano Giudici e Cavalieri, “effettueremo visite congiunte nei contesti di permanenza di minori per gli effetti di provvedimenti dell’Autorità giudiziaria che ha adottato provvedimenti di restrizione della libertà personale a seguito dei reati commessi o del comportamento non idoneo tenuto nel corso della presenza in Comunità per minorenni che hanno portato un aggravamento delle restrizioni da parte del giudice. Cosa fa il Garante dei detenuti - Il Garante per i detenuti si occupa di garantire la piena attuazione dei diritti e degli interessi delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale. Il Garante per i detenuti è una figura istituita dall’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna e opera sia all’interno che all’esterno del carcere. All’interno dei luoghi di detenzione, il Garante verifica le condizioni di vita di chi ne è ospite e promuove iniziative volte all’informazione e alla tutela. Fuori dalle istituzioni carcerarie, il Garante mira a valorizzare la collaborazione e il confronto con tutte le realtà, istituzionali e non, che si occupano di problemi legati alle carceri e ai luoghi di privazione della libertà personale. È possibile presentare istanze e rivolgere richieste al Garante regionale delle persone private della libertà personale. Alcuni Comuni sede di carcere hanno, inoltre, istituito un proprio Garante comunale. Roma: “Seconda chance”, formazione in edilizia per 14 detenute 9Colonne, 18 gennaio 2024 Offrire una prospettiva di ripartenza attraverso l’acquisizione di nuove competenze, incoraggiando il recupero dell’autostima e promuovendo un percorso di reinserimento sociale: è questo l’obiettivo dell’iniziativa di Ance Roma - Acer e CefmeCtp (Organismo paritetico per la formazione e la sicurezza in edilizia di Roma e provincia) con il sostegno dell’associazione del Terzo Settore “Seconda chance”, per la formazione professionale di 14 detenute del carcere romano di Rebibbia. Avvalendosi del CefmeCtp, l’associazione dei costruttori romani avvierà, all’interno dell’istituto penitenziario, tre corsi di formazione professionale: le detenute impareranno le basi dei mestieri di elettricista, idraulico e operatore edile. I corsi, in partenza già da questo mese, si protrarranno per tutto l’anno e avranno frequenza bisettimanale. “Il lavoro nell’edilizia è fatto di manualità: imparare qualcosa e poi farne mestiere costa fatica, ma la soddisfazione che se ne ricava è impagabile perché ha a che fare con la costruzione della propria identità. Ci auguriamo che questo progetto possa dare nuovi stimoli alle detenute e costituire un tassello importante nel loro percorso di vita” afferma Antonio Ciucci, Presidente di Ance Roma - Acer. “Siamo orgogliosi di poter dare il nostro contributo per quanto attiene la formazione dei profili richiesti, coscienti che l’attività lavorativa, di cui con questi corsi poniamo le basi, è fondamentale anche per una considerazione personale e sociale. Il CefmeCtp è l’ente che si occupa di formazione e sicurezza per imprese e lavoratori del settore edile e sempre più intende porsi come riferimento per questo tipo di progetti. Oggi vogliamo guardare al futuro con ottimismo, sperando che occasioni come questa si moltiplichino e diano i loro frutti”: così Gioia Gorgerino, Presidente del CefmeCtp. Per Flavia Filippi, fondatrice di “Seconda chance”, “con questa attività puntiamo non solo a formare le detenute, ma anche a chiedere alle imprese edili aderenti al sistema Ance di venire nelle carceri di Roma e del Lazio a valutare se tra i detenuti già formati ce n’è qualcuno adatto alla loro azienda. La soddisfazione che si prova nell’aiutare una persona a rialzarsi è indescrivibile. In carcere c’è un mondo da scoprire e un detenuto, salvo rari casi, non rimane tale per sempre”. Firenze. A Sollicciano scatta la “protesta del materasso” firenzetoday.it, 18 gennaio 2024 “Materassi finiti, corridoi invasi dall’acqua piovana, ambienti insalubri in cui vivono i figli di alcune detenute, bambine e bambini”. Così la senatrice di Sel Alessia Petraglia al termine del sopralluogo nel penitenziario. Alcuni “detenuti della sezione penale maschile hanno gettato in mezzo ai corridoi umidi i loro materassi, finiti rettangoli di gommapiuma, ormai inadatti al riposo, e hanno deciso di dormire senza a partire da questa sera”. Così all’interno del carcere di Sollicciano, come ha riferito la senatrice di SEL Alessia Petraglia al termine del sopralluogo di oggi nell’istituto penitenziario fiorentino. La senatrice ha raccontato di essere “stata testimone di un fatto drammatico e singolare”, ovvero l’inizio di questa sorta di sciopero del materasso. “Le condizioni del carcere di Sollicciano sono inumane e vergognose - commenta Petraglia -. Disperazione, disumanità, strutture fatiscenti e sovraffollate sono una costante del penitenziario fiorentino e sono la cifra di una vergogna per la nostra città e per il nostro Paese”. “I corridoi invasi dall’acqua piovana, gli ambienti insalubri in cui sono costretti a vivere anche i figli di alcune detenute, bambine e bambini di pochi anni di età, a Sollicciano sono un’inaccettabile normalità che si protrae da troppo tempo e che già in passato avevamo denunciato”. “Mi sono quindi ritrovata - prosegue la senatrice - a parlare con i detenuti riuniti in una sorta di assemblea, durante la quale ho avuto modo di ascoltare quanto sia difficile vivere in un carcere che anzichè contribuire alla riabilitazione di coloro che hanno sbagliato, è sempre più una sorta di discarica sociale di persone abbandonate a se stesse, alle quali sono negati i più elementari diritti. I problemi sono quelli della quotidianità, sono i materassi rotti, le celle piene, i pasti scadenti preparati in cucine inadeguate rispetto al numero di detenuti. Qualcuno può permettersi il lusso di acquistare il cibo e prepararselo per conto proprio, ma sono sempre in meno quelli che possono farlo, a causa di un prezzario altissimo rispetto alle reali possibilità economiche. A questo si aggiunge l’assenza di occasioni di lavoro offerte ai detenuti, un modo per guadagnare qualcosa, ma anche e soprattutto per prepararsi al reinserimento nella società”. Cassino (Fr). Infermeria del carcere senza acqua, corrente, riscaldamento e medicinali di Angela Nicoletti frosinonetoday.it, 18 gennaio 2024 A Cassino il penitenziario vive momenti di grande difficoltà. Oggi dal Gup si deciderà sulla vicenda di Mimmo D’Innocenzo trovato senza vita in una cella. Senza corrente elettrica, senza acqua, senza riscaldamento e con una carenza inspiegabile di medicinali: questa è la situazione che vivono i medici, gli infermieri e i detenuti del penitenziario di Cassino. Una situazione al limite del paradossale che è stata più volte e denunciata anche al Dipartimento ma che a tutt’oggi non trova soluzione. Il carcere di Cassino è considerato uno dei più obsoleti sia come struttura che come organizzazione del Lazio a da anni soffre di sovraffollamento e nello stesso tempo di una grave carenza di personale. La struttura di pena è finita più volte agli onori della cronaca per aggressioni e di vicissitudini giudiziarie come quella che stamattina vedrà nuovamente in aula i familiari di Mimmo D’Innocenzo, il trentunenne romano trovato senza vita nell’aprile del 2017 una cella del carcere e per la cui morte ancora oggi non c’è stata risposta. Il Giudice per l’Udienza Preliminari dovrà stabilire se accogliere o meno l’istanza d’opposizione all’archiviazione presentata dai familiari del giovane. La madre Alessandra da anni si batte affinché venga fatta piena luce sulle cause del decesso dell’amato figliolo. Firenze. Oggi si tiene il convegno “Porto Azzurro, un carcere illuminato” firenzetoday.it, 18 gennaio 2024 Il convegno, patrocinato dalla Regione Toscana e dall’Ordine degli Avvocati, affronterà il tema della detenzione e della possibilità di una gestione virtuosa degli istituti penitenziari, partendo dall’esperienza del carcere di Porto Azzurro e dalle testimonianze dirette delle personalità presenti. L’obiettivo è quello di approfondire quanto appreso dall’esperimento detentivo non convenzionale di Porto Azzurro, ripercorrendone le tappe prima e dopo la rivolta del 1987 insieme ai protagonisti della sua storia, per condividere le prospettive di miglioramento della qualità della vita all’interno delle carceri, con alcuni degli attori della realtà carceraria passati e presenti. Interverranno: Cosimo Giordano Direttore del Carcere di Porto Azzurro nel 1987 Antonella Tuoni Direttrice del Carcere di Sollicciano a Firenze Antonietta Fiorillo Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze ai tempi del sequestro di Porto Azzurro Silvio De Luca Procuratore presso la Corte d’appello di Bologna Saluti istituzionali: Stefania Saccardi Vicepresidente della Regione Toscana Amelia Vetrone Presidente dell’Associazione Il Gomitolo Perduto Moderatrice: Mimma Dardano politiche sociali, sanità e servizi sociali del Comune di Firenze Pur essendo ricordato per l’episodio del sequestro, il Carcere di Porto Azzurro - diretto in quegli anni da Cosimo Giordano - emerge ancora oggi come esempio di “carcere virtuoso”: la struttura si è distinta per le iniziative innovative volte a promuovere la riabilitazione e il reinserimento sociale dei detenuti, proponendo addirittura programmi straordinari quali concerti, tavole rotonde e grandi eventi aperti al pubblico. A Porto Azzurro, l’attenzione non era concentrata esclusivamente sulla detenzione, ma anche sulla formazione e sulla riqualificazione; venivano offerti progetti educativi che fornivano opportunità di apprendimento, consentendo ai detenuti di acquisire nuove competenze e certificazioni, preparandoli per una transizione più agevole nel mondo del lavoro al momento del rilascio. Inoltre, la promozione dell’arte e della cultura all’interno del carcere contribuivano a stimolare la creatività e a favorire un ambiente più positivo, così come la collaborazione con realtà esterne e il coinvolgimento della comunità circostante, scongiuravano l’isolamento sociale dei detenuti. Questo approccio aperto ha favorito la responsabilizzazione dei detenuti, la maggior parte dei quali ha poi preso le distanze dalla rivolta, chiudendosi autonomamente nelle proprie celle per tutta la durata del sequestro. Il carcere di Porto Azzurro ha dimostrato che una visione progressista e umanitaria può trasformare il sistema penitenziario, creando un ambiente che aspira a riformare e reintegrare i detenuti anziché limitarsi a punire. Questo modello di carcere virtuoso offre una speranza di cambiamento e ispira a riconsiderare le pratiche carcerarie in tutto il paese. “L’esperienza gestionale dell’istituto di Porto Azzurro torna alla ribalta dopo 36 anni”. Sono le parole di Cosimo Giordano, ex direttore del carcere di Porto Azzurro. “Provoca in me un sentimento di soddisfazione e insieme di rammarico per il modo in cui si concluse. Tengo a ribadire che il carcere illuminato fu possibile solo grazie all’apporto di persone eccezionali come il Presidente Margara, il Procuratore Generale Gratteri, l’assessore alle Politiche Sociali Benigni e il Senatore Gozzini, con l’apporto determinante del Magistrato di Sorveglianza dott.ssa Fiorillo, senza la quale molte iniziative non sarebbero state possibili. Un ringraziamento particolare rivolgo a tutto il personale civile ed allora militare che abbracciò con entusiasmo il modo nuovo di vivere il carcere”. “Questo convegno, si inserisce perfettamente tra i temi e le attività che stanno più a cuore alla nostra Associazione, che ha come finalità e scopo la pratica, la valorizzazione, e la diffusione dei valori della legalità, della giustizia e della sicurezza.” ha commentato Amelia Vetrone, Presidente del Gomitolo Perduto “La cronaca ci riporta continuamente episodi collegati alla vita delle carceri nel nostro paese che spesso rischiano di diventare stalli inerti in attesa del completamento della pena. Poiché l’attenzione del Gomitolo Perduto è soprattutto rivolta verso di chi, all’interno della nostra comunità nazionale, è maltrattato e marginalizzato, accendere la luce e aprire una riflessione profonda partendo dalle buone pratiche di un carcere illuminato come fu quello di Porto Azzurro sotto la guida di Cosimo Giordano, risulta una missione che riteniamo particolarmente significativa. Non posso che ringraziare a nome mio e di tutta l’associazione gli eccezionali ospiti che hanno deciso di unirsi a noi per collaborare in questo intento e condividere la propria esperienza.” “La situazione delle carceri in Italia è tristemente nota a tutti” dichiara Mimma Dardano, consigliera per le politiche sociali, sanità e servizi sociali del Comune di Firenze “Per esempio, i dati ci rivelano che nel 2022 i suicidi negli istituti di pena sono stati ben 85, in netto aumento rispetto al 2021, che la sofferenza psicologica dei detenuti è molto forte e spesso gestita con abbondante uso di psicofarmaci, per la maggior parte dei casi dovuta ai problemi di sovraffollamento, di mancanza di prospettive, di isolamento sociale, di limitato Accesso ai servizi sanitari mentali. Davanti a questo panorama, emerge lampante quanto il ruolo dei direttori delle carceri possa essere cruciale nel determinare le sorti e il benessere dei carcerati. Porto Azzurro è un esempio di carcere illuminato proprio come scritto nel titolo del Convegno, perché malgrado le circostanze per le quali oggi è più comunemente ricordato, rimane uno degli esempi di gestione virtuosa di un Istituto di pena, in un’ottica di reintegro sociale, di crescita personale e di nutrimento intellettivo per tutti i detenuti. Un luogo dove il confine tra dentro e fuori era stato eliminato per coinvolgere la comunità circostante all’interno della vita del carcere, in virtù di una visione lungimirante del suo direttore. Io credo fermamente che questo approccio possa essere una guida per tutti dalla quale partire, anche alla luce della cronaca della rivolta del 1987, che avrebbe potuto avere esiti molto differenti, se non fosse scaturita all’interno di un ambiente di benessere complessivo e di tranquillità che hanno caratterizzato la vita a Porto Azzurro in quel periodo.” Giovedì 18 gennaio - dalle 17.30 Palazzo Strozzi Sacrati, sala delle Esposizioni, Piazza Duomo n. 10 a Firenze Foggia. Presentazione del libro “Al di là delle sbarre” e testimonianze di ex detenuti statoquotidiano.it, 18 gennaio 2024 “Questa testimonianza - scrive nell’introduzione Talienti - arriva da chi per sedici anni ha vissuto il carcere con intenso impegno”. Dal carcere di Foggia all’impegno per il sociale. Saranno testimonianze forti quelle che alcuni ragazzi, affidati alla cooperativa sociale “Cultura, Salute e Società”, terranno venerdì 19 gennaio 2024 al Liceo scientifico “A. Volta” di Foggia. L’incontro, promosso nell’ambito del Progetto “Studenti FuoriClasse”, si terrà alle ore 9.30. Durante la conversazione sarà presentato il libro “Al di là delle sbarre”, scritto dal Dirigente scolastico dell’I.P.E.O.A. “Michele Lecce”, Luigi Talienti, noto operatore sociale che, per sedici anni, è stato insegnante carcerario presso la Casa Circondariale di Foggia. “Al di là delle sbarre” è un libro che fa conoscere dall’interno il mondo delle carceri, partendo dall’esperienza: “Questa testimonianza - scrive nell’introduzione Talienti - arriva da chi per sedici anni ha vissuto il carcere con intenso impegno ed ha avuto modo di osservare ed ascoltare storie personali dolorose che, certo, non costituiscono una scriminante dell’errore, ma vogliono rappresentare uno stimolo alla riflessione”. All’incontro parteciperanno, inoltre, il Presidente della cooperativa “Cultura, Salute e Società”, Antonio Vannella, che da oltre trent’anni opera nel settore delle dipendenze patologiche, e Mirella Malcangi, direttrice dell’Ufficio locale per l’Esecuzione Penale Esterna. Ad aprire il lavoro il Dirigente scolastico del Liceo “A. Volta”, Ida La Salandra, la moderazione è affidata a Damiano Bordasco, docente del Liceo “A. Volta”. Innocenti assoluti di Luigi Manconi e Marica Fantauzzi La Repubblica, 18 gennaio 2024 A Giugliano, in provincia di Napoli, sabato 13 gennaio è morta una bambina di sei anni. Si chiamava Michelle e viveva, insieme alla sua famiglia, nel campo rom di via Carrafiello. Da quanto riportano le cronache locali, Michelle stava percorrendo un tratto di strada all’interno del campo quando ha toccato un cavo elettrico scoperto e si è accasciata a terra, folgorata da una scossa. Abbiamo imparato a chiamare “innocenti assoluti” quei bambini, dai 0 ai 3 anni d’età, che vivono nelle carceri italiane insieme alle loro madri. Ecco, la stessa espressione - pur se applicata a contesti diversi - viene in mente oggi, se ci si sofferma sulle decine e decine di minori che vivono in condizioni terribilmente precarie all’interno dei campi. Innocente assoluta era Michelle che si preparava per andare a scuola e cercava dell’acqua potabile, innocenti erano i tanti bambini morti, vittime dei roghi in questi anni, all’interno di case pericolanti nei diversi campi che le grandi città hanno allestito per loro. Pochissime sono state le informazioni su questa morte, quasi che simili incidenti fossero né più né meno tristi fatalità, frutto di un contesto irreparabilmente degradato. Eppure, quel contesto è stato progettato per far vivere alcune persone, di cui quasi la metà minori, il più lontano possibile dai centri urbani e dai servizi essenziali. È stato progettato e abbandonato in quel degrado che genera, per forza di cose, fragilità e paura. “Le comunità rom di Giugliano - scrive Emma Ferulano su Napoli Monitor - sono presenti sul territorio da circa trenta anni, con almeno due generazioni di nati sul suolo italiano. Molti hanno ottenuto il permesso di soggiorno e la cittadinanza, ma lo status giuridico, sebbene in gran parte regolare, è nettamente in contraddizione con la totale precarietà abitativa, lavorativa, sociale in cui vivono centinaia di persone”. L’identità di un luogo, così come l’identità della persona, si costruisce nella relazione. Le comunità di origine serba di Giugliano, così come quelle bosniache e, più in generale, tutte quelle dell’ex Jugoslavia da anni in Italia hanno creato rapporti, costruito legami, immaginato futuri possibili per i loro figli nel territorio che ormai è diventato anche la loro casa. Quel capitale umano sta lentamente scomparendo a seguito di quella che viene chiamata una lenta “diaspora” verso altri luoghi. Fare memoria significa anche impedire che altre generazioni di tali comunità siano inghiottite da un’ennesima migrazione silenziosa, fare memoria significa impedire che qualcuno muoia come è morta Michelle, un livido sabato di gennaio Ma sul fine vita Zaia non è lo sconfitto di Barbara Stefanelli Corriere della Sera, 18 gennaio 2024 In Consiglio regionale la legge non è passata, ma la modernità delle destre passa proprio dalla capacità di rinnovare l’agenda guardando ai diritti delle persone. Il Veneto ha detto no alla legge sul fine vita. Ma siamo sicuri che il presidente della Regione abbia perso? Luca Zaia, che ha comunque portato con sé quelli che sono stati definiti i “leghisti progressisti”, è riuscito a far discutere l’Italia di un tema etico. Si è battuto per sottolineare come la proposta (di iniziativa popolare, 9.072 firme raccolte dall’associazione Luca Coscioni) puntasse a regolare modalità e tempi nel solco di una sentenza della Corte costituzionale ormai “vecchia” di anni. È la sentenza 242 del 2019 che ha disciplinato “la materia in tema di ricorso al suicidio medicalmente assistito”, stabilendone la possibilità. La possibilità di auto-somministrarsi un farmaco letale a determinate condizioni. L’obiettivo, in seguito a quel pronunciamento, era dunque pratico: portare le aziende sanitarie a garantire un iter che valutasse le richieste dei malati. Entro venti giorni il giudizio di una Commissione medica, entro altri cinque la valutazione da parte di un Comitato etico territoriale. Chi ha avversato l’iniziativa dall’interno dello stesso partito del governatore si è domandato “perché dovesse essere proprio il Veneto a chiedere per primo questo tipo di prestazione”. Nicola Finco, tra i contrari della Lega, ha sottolineato (a Martina Zambon sul “Corriere”) come la “regola d’ingaggio” sia sempre stata quella di “lasciare tutti i temi etici fuori dalla porta” e come sia piuttosto “la difesa della famiglia” la battaglia adatta al “movimento”. È vero che i temi etici spaccano i partiti, tutti. Il Pd veneto ad esempio ha votato compatto, tuttavia per l’esito finale è stata decisiva una sua consigliera: Anna Maria Bigon, astenuta. Ricapitolando. Una parte della Lega che abbandona il “suo” governatore in nome dell’opportunità politica e della Famiglia. Una consigliera del Partito democratico che si appella alla propria coscienza e allo Stato (perché, secondo un’interpretazione non univoca, la regolamentazione del fine vita non ricadrebbe tra le competenze regionali). Il Parlamento che sui temi etici lascia ovunque vuoti, “dimenticando” le indicazioni e i richiami dei giudici costituzionali. E, in mezzo, un presidente di Regione leghista che sceglie di intestarsi una sfida sinora appannaggio sicuro dei radicali e più incerto a sinistra. Sì, Zaia martedì sera ha perso in aula e ora rischia contraccolpi dal fronte salviniano. Ma la modernità delle destre passa proprio dalla capacità di rinnovare l’agenda tradizionale guardando ai diritti delle persone e delle famiglie. Così come le persone e le famiglie sono diventate. Ungheria. Il padre di Ilaria Salis: “Mia figlia tenuta in carcere in condizioni disumane. L’Italia ora deve aiutarla” di Federico Berni Corriere della Sera, 18 gennaio 2024 Il padre di Ilaria Salis in cella a Budapest: “Calpestati i suoi diritti”. È accusata di aver aggredito degli estremisti di destra. Lei si dice estranea alle accuse. Quello che più gli sta a cuore, oltre alle sorti di sua figlia, è sottolineare che in gioco “ci sono i diritti civili di una cittadina italiana”, che vengono “calpestati in Europa”, nel “silenzio delle nostre istituzioni”. Roberto Salis lotta perché la figlia Ilaria venga riportata in Italia. A febbraio 2023, la 39enne, maestra elementare a Milano, è stata arrestata a Budapest, dove, in quei giorni, si erano radunate formazioni neonaziste da tutta Europa, per una commemorazione storica (la “giornata dell’onore”). La donna partecipava, come antifascista, a una contromanifestazione. È accusata di aver aggredito fisicamente due estremisti di destra, assieme ad altri manifestanti. Da quasi un anno si trova in carcere in Ungheria, in condizioni che il padre definisce “disumane”. Per quanto faccia male ripeterlo, ci può raccontare cosa ha saputo della detenzione? “Quando è stata arrestata è stata messa in una cella in isolamento. Per 8 giorni è rimasta coi vestiti sporchi, senza niente per l’igiene personale. Per 35 giorni senza indumenti puliti e asciugamani. Fino a settembre non abbiamo potuto comunicare con lei. Il 29 gennaio ci sarà il processo: gli atti non sono tradotti, il materiale a disposizione degli avvocati è incompleto”. Quando ha visto Ilaria l’ultima volta? “Era il 26 novembre. L’ho vista provata. Pallida e dimagrita”. Cosa le ha detto? “Ci ha fatto forza, non vuole che ci preoccupiamo, soprattutto sua madre”. Rispetto alle accuse come si dichiara? “Si è detta estranea. Agli atti c’è un video nel quale non si riconosce nemmeno. Erano tutti a volto coperto. Non c’è un testimone. Le vittime hanno riportato lesioni lievi, guarite in pochi giorni, e nessuno ha presentato una denuncia. In un caso così, senza querela di parte, in Italia non sarebbe nemmeno indagata. E invece, in Ungheria rischia fino a 24 anni di carcere”. Così tanto? “Già. Per lesioni lievi, da 2 a 8 anni. Se ripetute, sale a 12. Quando è stata prelevata, era in un taxi con altri ragazzi, tra cui una già coinvolta in un altro processo per fatti simili, e questo ha fatto salire il conteggio a 24. A molti neonazisti che hanno messo a ferro e fuoco la città non è stato fatto nulla. Lei viene dipinta come una criminale. In Italia è stata definita anarchica, il “nuovo Cospito”. Certi titoli contro i quali valutiamo azioni legali. Ilaria è un’antifascista, che ha il coraggio di manifestarlo. Ma il punto non è solo quello”. E qual è? “Al di là del merito delle accuse, qui parliamo di una cittadina italiana che è stata privata dei suoi diritti fondamentali. Mi sarei aspettato una mobilitazione bipartisan”. Invece? “Da una certa parte politica si sono tirati fuori. Ho mandato pec alla presidenza del Consiglio, ai ministri degli Esteri e della Giustizia. Mai nulla, neanche un sms. Un sito di neonazisti ha pubblicato l’indirizzo di casa di mia figlia. Io stesso non concedo interviste in casa per tutelare la mia famiglia, nessuno si è fatto vivo”. C’è stata la mobilitazione della senatrice Ilaria Cucchi e di molti cittadini, anche personaggi in vista che hanno firmato una petizione on line. “Ma soprattutto quella degli amici nostri, e di Ilaria. Abbiamo scoperto che sono in tanti a volerci bene”.