Già 18 morti in cella nel 2024. Il Garante: “Ora misure urgenti” di Angela Stella L’Unità, 16 gennaio 2024 Nei primi 15 giorni dell’anno 4 suicidi e 14 decessi per malattia, proprio mentre la Cedu condanna l’Italia per aver negato cure adeguate a un ergastolano. Palma: “Puntare subito su misure alternative”. Nonostante un decreto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella del 21 dicembre 2023 che nominava per un quinquennio Felice Maurizio D’Ettore, Irma Conti e Mario Serio rispettivamente a Presidente e a Componenti del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, al momento non si sono ancora insediati e quindi il primo comunicato stampa del nuovo anno sulla situazione carceraria spetta alla vecchia terna, guidata da Mauro Palma che denuncia “18 decessi in carcere e un sovraffollamento del 127,54% nei primi 14 giorni del 2024”. Entrando nel dettaglio dei dati, “4 persone si sono suicidate nei primi 9 giorni dell’anno, tra il 5 e il 14 gennaio: la prima era entrata in carcere ad Ancona a settembre, per la revoca della detenzione domiciliare con cui stava scontando la pena, e ne sarebbe uscita ad agosto di quest’anno. La penultima, detenuta nella Casa circondariale di Cuneo, era in carcere da 13 giorni: entrata il 28 dicembre, si è tolta la vita il 10 gennaio. A queste morti vanno aggiunte le 14 catalogate come ‘morti per cause naturali’”. Il 6 gennaio è morto dopo un lungo sciopero della fame Stefano Bonomi, 65 anni, detenuto nel carcere di Rieti, in attesa di giudizio; se ne è andato nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo dove era stato ricoverato coattivamente e sottoposto ad alimentazione forzata, dopo aver intrapreso uno sciopero della fame. Il collegio del Garante lancia dunque l’allarme: “18 morti nei primi 14 giorni dell’anno sono il preannuncio di un andamento molto simile a quello del 2022, quando si sono contati 85 suicidi nel corso dell’anno: 8 nel mese di gennaio, esattamente 5 nei primi 14 giorni”. Tutto ciò avviene nelle stesse ore in cui è arrivata la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia per aver sottoposto un detenuto a maltrattamenti non garantendogli le cure mediche di cui necessitava, ma ha stabilito che la prigione è compatibile con il suo stato di salute. L’uomo, che ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo nell’ottobre 2020, condannato all’ergastolo per una serie di gravi reati, tra cui l’appartenenza a un’organizzazione criminale di stampo mafioso, soffre di diversi problemi di salute, tra cui una grave osteoporosi, ed è stato riconosciuto invalido al 100%. Nonostante il suo trasferimento dal carcere di Rebibbia a Roma prima a Milano e poi a Parma per assicurargli le cure necessarie, queste non sono state adeguate, osserva la Cedu nella sentenza. Per quanto concerne il sovraffollamento assistiamo, da quanto elaborato dal Garante, a “una progressione preoccupante rispetto agli anni precedenti: se alla fine del 2022 la popolazione detenuta era aumentata di circa 2000 unità rispetto a dicembre del 2021, l’aumento registrato al 30 dicembre 2023 è esattamente del doppio, con circa 4000 persone detenute in più. Negli ultimi tre mesi (dal 14 ottobre al 14 gennaio) l’aumento è stato di 1196 presenze, quindi, quasi 400 al mese. L’indice attuale dell’affollamento delle carceri italiane, alla data del 14 gennaio 2024, è del 127,54%: 60.328 persone detenute, 13.000 in più rispetto ai 47.300 posti disponibili, con punte di sovraffollamento del 232,10% nella Casa circondariale di San Vittore a Milano, del 204,95% nella Casa circondariale di Canton Mombello a Brescia, del 204,44% in quella di Lodi, 195,36 in quella di Foggia”. Pertanto il Garante nazionale “segnala a tutte le Autorità responsabili (ossia Nordio e sottosegretari, ndr), che lo stato di sovraffollamento degli Istituti penitenziari italiani non può attendere i tempi di progetti edilizi di diverso genere e non è colmato dalla realizzazione dei nuovi 8 padiglioni inseriti dal precedente Governo nel Pnrr, poiché essi potranno ospitare non più di 640 persone: una goccia rispetto all’eccedenza attuale di 13.000 detenuti rispetto ai posti disponibili”. La conclusione inevitabile e suggerita da tempo ma rimasta inascoltata? “Si assumano provvedimenti urgenti di deflazione della popolazione detenuta come quelli introdotti con il decreto-legge del 23 dicembre 2013 n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, ndr), sia pure di durata temporanea, e che si avvii in tempi rapidi la previsione normativa per consentire una modalità diversa di esecuzione penale per le persone condannate a pene brevi, inferiori ai due anni di reclusione, che oggi contano più di 4000 unità; una modalità di forte rapporto territoriale, da attuare anche recuperando strutture demaniali già esistenti”. Più detenuti nelle carceri, e non si fermano i suicidi di Fulvio Fulvi Avvenire, 16 gennaio 2024 Il garante: “L’incremento dei ristretti non corrisponde a un aumento dei reati”. Ieri, quinto suicidio del 2024. Il padre di un detenuto di San Vittore: Caloriferi spenti, c’è anche la pena del gelo? Morti a ritmi serrati dietro le sbarre e andamento in crescita della popolazione carceraria vanno di pari passo. Il bilancio dell’anno appena trascorso nelle carceri italiane tracciato dal Garante nazionale per le persone private della libertà personale, Mauro Palma, è desolante come all’inizio del 2024, nel quale si registrano già cinque suicidi (l’ultimo ieri a Napoli Poggioreale, dove un ergastolano di 40 anni si è impiccato in cella). E le altre cifre sui “ristretti” sono da brivido anche nell’incipt del nuovo anno: “Al 10 gennaio, le persone in misure alternative sono 85.388, i detenuti 60.323. Quindi se li sommiamo, arriviamo a 145.711, numero che delinea la misura dell’area penale oggi. Se io prendo lo stesso dato riferito al 2016, che è l’anno in cui ha avuto inizio il mio mandato, il numero è di 98mila. L’aumento è evidente. Un incremento che peraltro non corrisponde alla crescita del numero di reati”. Il mandato di Palma si è concluso ma in attesa che si insedi il suo successore vige il regime della “prorogatio”. “Ho ancora la responsabilità dell’incarico perché la funzione non può restare vacante”, spiega il Garante, che poi commenta gli ultimi drammatici dati: “La prima incongruenza è che se le misure alternative sono cresciute come le carcerazioni vuol dire che non ha funzionato il principio in base al quale, aumentando le misure alternative si diminuiva la pressione sul carcere”. E aggiunge altri numeri appena arrivati: “Le persone che sono in carcere perché scontano una pena inferiore a un anno, non un residuo di pena, ma proprio una pena, sono in questo momento 1.481, quelle con una pena tra uno e due anni sono 2.912. Secondo me rispetto all’entità della condanna sono numeri rilevanti. E anche su questi non hanno inciso le misure alternative, che tra l’altro dovrebbero incidere anche sui residui di pena. E invece quelli a cui manca meno di un anno per uscire sono 7.702”. E la stragrande maggioranza di chi si trova “dentro” perché condannato a pene minime è perché non aveva un buon avvocato, oppure non aveva un indirizzo perché senza dimora e poi ci sono gli stranieri (che nel totale dei detenuti raggiungono il 30%). Tutti problemi territoriali, sociali, che invece di essere risolti come tali finiscono per confluire all’interno del carcere. “Quindi possiamo pure aumentare le misure alternative - dice ancora Palma - ma se questo non determina una riduzione del carcere, non abbiamo risolto molto”. Se aumentano tanto le misure alternative alla detenzione in un istituto di pena, è il ragionamento del Garante, dovrebbero aumentare anche il personale, le strutture, le risorse da destinare agli uffici di esecuzione penale esterne, “altrimenti rischiamo che queste siano misure di controllo e non per la costruzione di una rieducazione”. E a preoccupare è anche il numero dei decessi complessivi nelle 189 strutture penitenziarie del Paese: “Diciotto morti nei primi 14 giorni sono l’avvisaglia di un trend molto simile a quello del 2022, quando se ne sono contati 85” sottolinea Palma che fa notare anche l’aumento esponenziale del tasso di sovraffollamento: “L’attuale indice è del 127,54%, con 13mila detenuti in più rispetto ai 47.300 posti disponibili”. Quali rimedi, dunque? Il Garante nazionale segnala “a tutte le Autorità responsabili, che lo stato di sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani non può attendere i tempi di progetti edilizi di diverso genere e non è colmato dalla realizzazione dei nuovi 8 padiglioni inseriti dal precedente governo nel Pnrr, poiché essi potranno ospitare non più di 640 persone: una goccia rispetto all’eccedenza attuale di 13.000 detenuti rispetto all’effettiiva capacità ricettiva delle attuali strutture”. Palma raccomanda inoltre “che si assumano provvedimenti urgenti di deflazione della popolazione detenuta come quelli introdotti con il decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 146, sia pure di durata temporanea, e che si avvii in tempi rapidi la previsione normativa per consentire una modalità diversa di esecuzione penale per le persone condannate a pene brevi, inferiori ai due anni di reclusione, che oggi contano più di 4000 unità; una modalità di forte rapporto territoriale, da attuare anche recuperando strutture demaniali già esistenti”. Tali misure, secondo il Garante, “potrebbero ricondurre il sistema al rispetto della dignità della vita delle persone detenute e della finalità risocializzante della pena, anche nella prospettiva di prevenire quel disagio che è molto spesso dietro gli atti di suicidio in carcere”. Tra le Case circondariali più affollate c’è San Vittore, a Milano, che ha raggiunto punte di “sovrannumero” del 204,44%. Qui, tra i quasi 900 reclusi c’è anche un giovane che da quasi quattro mesi sconta la custodia cautelare. Il padre, con un messaggio inviato sul profilo Facebook di “Avvenire” denuncia: “Nel reparto dove mio figlio è detenuto i caloriferi sono quasi sempre spenti, unendo alla pena preventiva anche quella del gelo... Si tratta di una grave mancanza che disumanizza ulteriormente un luogo già di per sé esageratamente traumatico”. Da parte sua, l’amministrazione del penitenziario fa sapere che in quel reparto e in altre sezioni si è provveduto ad effettuare un paio di interventi, che non avrebbero però risolto in modo decisivo il problema. Il dramma dei suicidi in carcere: la paura dentro e fuori di Roberta Barbi vaticannews.va, 16 gennaio 2024 Il 2023 si chiude come il secondo anno peggiore di sempre negli istituti di pena italiani, con ben 68 persone che si sono tolte la vita, ma il 2024, iniziato da pochi giorni, ha già cominciato a contare le sue vittime: quattro fino ad oggi. Il presidente nazionale dell’Ordine degli Psicologi Lazzari: più formazione specifica per chi opera in questi contesti. Era il 1992 l’anno in cui ci si cominciò a interessare maggiormente dell’universo carcere e dei fantasmi che lo abitavano: in quell’anno, ad esempio, per la prima volta si iniziò a tenere il conto del numero di detenuti che si suicidavano, una statistica tra le tante. Oggi, a 30 anni tondi di distanza, si è registrato un 2022 record con ben 84 casi, complice forse anche uno strascico di pandemia. Anche l’anno appena concluso non ha certo scherzato: 68 vittime e l’ultimo arrivato, il 2024, con i suoi 4 casi, sta già dimostrando di essere entrato in competizione. Un tema scomodo, complesso, difficile da affrontare come anche da raccontare, quello dei suicidi in carcere, ma contemporaneamente urgente, allarmante, perentorio. Si parte dal tentare di capire le cause, pur in universo in cui convivono problematiche, vissuti, provenienze diverse, accostate solo per il denominatore comune della privazione della libertà personale. “Un gesto così definitivo porta con sé almeno due fattori: un disagio che preesisteva prima del carcere, a cui si aggiunge il carcere stesso che è di per sé un fattore di rischio”, spiega a Vatican News il presidente dell’Ordine nazionale degli psicologi, prof. David Lazzari, che ci guida in questo viaggio. Vittime sempre più giovani - Uno studio promosso lo scorso anno dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ha messo in luce che nel 50% dei casi degli ultimi anni, le persone che si sono tolte la vita avevano pene residue inferiori ai tre anni; nel 62%, invece, si trattava di persone appena entrate nel circuito penale o all’inizio della vita detentiva. “Questo dato significa che a far paura in carcere è sia l’interno che l’esterno - osserva Lazzari- cioè sia il momento iniziale della pena, quando ci si arriva del tutto impreparati e la vita detentiva ha un enorme impatto soprattutto su persone che già presentano qualche fragilità; sia quando si sta per uscire e quel mondo fuori con cui spesso si è perso ogni contatto, non si riconosce più e se ne ha paura”. Ad evitare, dunque, almeno alcuni di questi gesti estremi, a volte per così dire ‘annunciati’, potrebbe servire una presenza maggiore di psicologi e psichiatri per esercitare una vigilanza più attenta sulle situazioni a rischio quali gli affetti da dipendenze e i detenuti con problematiche di natura psichiatrica, ma non solo. Le misure alternative: un’ipotesi percorribile? - Al centro del dibattito, oggi più che mai, c’è il tema ‘misure alternative al carcere’, che vengono invocate come soluzione al sovraffollamento ma anche come strumento di prevenzione dei suicidi: “All’estero sono sperimentate molto più che da noi - racconta il presidente degli psicologi- non vanno viste come percorsi premiali, ma funzionali all’obiettivo, ma qui da noi la discussione spesso si limita al confronto tra posizioni ideologiche. Bisogna chiedersi, invece: qual è l’interesse della società? La sicurezza: allora si deve punire per recuperare e non usare il carcere come una scuola in cui imparare a delinquere sempre di più e sempre meglio”. Al dramma dei suicidi tra i detenuti si aggiunge, poi, quello degli agenti di polizia penitenziaria, una delle professioni a maggiore rischio burn out: “Vivono quotidianamente in un contesto stressante da cui vengono contagiati - prosegue - e che peggiora con la problematica del sovraffollamento sempre presente e con il fatto che ormai il carcere è diventato una grande discarica sociale, piena di poveri e di persone con bisogni tra i più diversi”. Un tavolo per cambiare le cose - Nonostante la figura dello psicologo resti una delle più sottodimensionate nel mondo del carcere, dallo scorso anno l’Ordine nazionale degli psicologi ha aperto un tavolo congiunto con il Dap - Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - con l’obiettivo proprio di valorizzare la figura dello psicologo penitenziario: “Purtroppo non sempre si riesce a stare nei tempi, ma da parte nostra c’è la maggiore disponibilità e volontà di collaborare possibile”. Dal canto suo, in sede di congresso nazionale, la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria - Simspe - ha proposto l’istituzione di unità operative aziendali di sanità penitenziaria, appunto, autonome organizzativamente e gestionalmente, ma soprattutto multidisciplinari, in cui professionalità diverse possano lavorare in sinergia: “Il carcere necessita di competenze e conoscenze precise - ricorda in chiusura il presidente degli psicologi italiani - quindi anche gli specialisti in ogni campo è fondamentale che ricevano una formazione adeguata”. Trattamenti disumani a un ergastolano: la Cedu condanna l’Italia di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 16 gennaio 2024 I giudici di Strasburgo hanno ritenuto che ad Antonio Libri non siano state fornite cure sanitarie adeguate durante la sua detenzione, come indicato da tutti i rapporti medici fino ad agosto 2021. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che l’Italia ha violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti) nei confronti dell’ergastolano Antonio Libri, difeso dall’avvocato Luca Cianferoni e attualmente detenuto presso il carcere di Parma, affetto da gravi problemi di salute tra cui osteoporosi grave con collassi vertebrali multipli e fibromialgia. Ripercorriamo i fatti. Antonio Libri, condannato per vari crimini, inclusa l’appartenenza alla criminalità organizzata, è attualmente detenuto nel carcere di Parma. Soffre di diversi problemi di salute, è stato riconosciuto disabile al 100% e ha limitata mobilità agli arti inferiori. Nel gennaio 2017, mentre era detenuto a Rebibbia, ha iniziato a lamentare problemi di mobilità e gli è stato prescritto l’uso di bastoni, un corsetto ortopedico per la schiena, fisioterapia e ulteriori esami. Nello stesso periodo, ha presentato una richiesta di sostituzione della detenzione carceraria con quella domiciliare, da svolgersi presso una struttura sanitaria. Il tribunale di sorveglianza di Roma ha nominato un perito per la valutazione del suo stato di salute. In una relazione del 3 luglio 2017, il perito ha affermato che, sebbene potesse essere curato in prigione, il ricorrente aveva bisogno di fisioterapia e ha suggerito il suo trasferimento nel carcere di Milano per una migliore cura. Il 14 luglio 2017, basandosi sulla relazione dell’esperto, il tribunale ha respinto la richiesta di detenzione domiciliare e ha ordinato il suo trasferimento nel carcere di Milano, avvenuto il 26 ottobre 2017. In seguito, in ottobre e novembre dello stesso anno, i medici hanno prescritto fisioterapia, un deambulatore e una sedia a rotelle. Il 3 gennaio 2018, l’ortopedico ha notato che né gli esami né la fisioterapia erano stati effettuati e che al detenuto non era stato fornito un corsetto per la schiena. Da un carcere all’altro, senza soluzioni - Il 27 marzo 2018, il detenuto ha iniziato il primo ciclo di fisioterapia. Secondo rapporti successivi, non aveva ricevuto né il deambulatore né il corsetto. Gli esami prescritti si sono svolti tra il 7 e l’11 maggio 2018. A quel punto, Antonio Libri ha presentato un’altra richiesta di sostituzione della sua detenzione in prigione con quella domiciliare. Il 25 giugno 2018, il magistrato di sorveglianza di Milano ha respinto la richiesta, dichiarando che il detenuto aveva ricevuto un trattamento adeguato in prigione. Quindi ha presentato appello e, il 23 novembre 2018, il tribunale di Milano ha ordinato al servizio medico del carcere di effettuare ulteriori esami e fornire al ricorrente la fisioterapia e un corsetto per la schiena. Secondo i rapporti medici emessi nei mesi successivi, le condizioni del detenuto erano stabili, riceveva assistenza per l’igiene personale e altre attività quotidiane, e disponeva di stampelle e sedia a rotelle; per quanto riguarda il corsetto per la schiena, gli era stato autorizzato l’acquisto a sue spese. I rapporti indicavano anche che il detenuto era in attesa di ulteriori cicli di fisioterapia e suggerivano il suo trasferimento nel carcere di Parma per un trattamento migliore. Il 15 gennaio 2019, il tribunale di Milano ha ribadito l’ordine di fornire al detenuto un corsetto per la schiena a sue spese e la necessaria fisioterapia. Il 16 febbraio 2019, è stato trasferito nel carcere di Parma, dove è stato collocato nella sezione di assistenza intensiva (SAI). Inizialmente, è stato assegnato a una cella che non gli permetteva di accedere autonomamente alla doccia e veniva assistito da un’infermiera; il 9 maggio 2019, è stato trasferito in una cella senza barriere architettoniche. La cura impossibile - I rapporti medici emessi nel corso del 2019 indicavano che le condizioni di Libri erano stabili, che gli erano stati insegnati esercizi che poteva fare autonomamente e che, a giugno e luglio, aveva subito due cicli di riabilitazione funzionale con magnetoterapia. Tuttavia, secondo un rapporto del 17 giugno 2019, aveva anche bisogno di un trattamento di riabilitazione intensiva che doveva essere svolto presso strutture esterne. Il 13 dicembre 2019, il tribunale di Milano ha nominato un perito per esaminare il suo stato di salute e determinare il miglior percorso di trattamento. Con una relazione del 4 marzo 2020, l’esperto ha dichiarato che l’impedimento alla mobilità del detenuto era parzialmente compensato dalle misure adottate dal carcere e che le sue condizioni non potevano essere considerate incompatibili con la detenzione. Nel contempo, ha notato che aveva bisogno di un trattamento regolare di riabilitazione per prevenire un aggravamento dei suoi sintomi e ha segnalato alcuni ritardi sia nel fornire tale trattamento, che dei necessari esami e dispositivi ortopedici. In quel periodo, i rapporti del carcere hanno evidenziato la necessità di un busto e di esercizi di rinforzo, e sottolineavano che aveva svolto due cicli di magnetoterapia tra giugno e settembre 2020. Il 18 settembre 2020, il tribunale di Milano ha ritenuto che la salute del detenuto non era incompatibile con la detenzione e ha respinto la sua richiesta. Tuttavia, ha notato l’assenza di fisioterapia regolare, attribuendola alla lunga lista di attesa delle strutture sanitarie pubbliche, e ha insistito sul fatto che l’amministrazione carceraria dovesse garantire fisioterapia regolare e l’attrezzatura ortopedica necessaria. L’appello dell’ergastolano contro il rigetto della richiesta della detenzione domiciliare presso strutture sanitarie esterne è stato respinto dalla Cassazione il 28 maggio 2021. Il 5 luglio 2021, ha subito una visita ortopedica presso l’ospedale di Bologna, che ha indicato la necessità di passeggiate quotidiane, stretching e di un busto ortopedico. Secondo i rapporti carcerari del 18 giugno e del 6 luglio 2021, ha ricevuto il trattamento necessario in prigione, aveva un materasso ortopedico e stampelle, e le sue condizioni erano stabili, sebbene la lista d’attesa per nuovi cicli di fisioterapia fosse lunga. Un successivo rapporto del 30 agosto affermava che il detenuto non aveva bisogno di fisioterapia costante. Nel frattempo, aveva presentato altre due richieste di sostituzione della sua detenzione con l’arresto domiciliare, respinte dal tribunale di sorveglianza sulla base del fatto che riceveva le cure necessarie in prigione e non c’era rischio di un aggravamento del suo stato di salute. Violato l’Articolo 3 della Convenzione - La Cedu ha dichiarato l’ammissibilità del caso di Antonio Libri, confermando che la questione sollevata rispetta i criteri stabiliti dalla Convenzione Europea. La Corte ha esaminato l’asserita incompatibilità dello stato di salute del ricorrente con la detenzione, osservando che le sue condizioni erano stabili e che entrambi gli esperti designati dai tribunali avevano concordato sulla sua idoneità a rimanere in prigione, con la possibilità di accesso temporaneo a strutture esterne per il trattamento necessario. Nonostante la documentata necessità di fisioterapia regolare, inclusa la riabilitazione funzionale in prigione e il trattamento intensivo esterno, la Corte ha evidenziato che i cicli di fisioterapia erano irregolari e limitati. Inoltre, non c’era prova che il detenuto avesse mai beneficiato di un trattamento di riabilitazione intensiva, e nonostante la sua disponibilità a coprire i costi, non gli era stato fornito il busto ortopedico. Sulla base di tali constatazioni, la Cedu ha concluso che Antonio Libri non ha ricevuto cure adeguate in prigione, violando così l’Articolo 3 della Convenzione, che vieta trattamenti inumani o degradanti. L’emendamento Costa non è un bavaglio, ma è difficile che funzioni di Guido Salvini Il Foglio, 16 gennaio 2024 Qualche rischio in più e pochi vantaggi per i diritti che si vogliono tutelare. L’esperienza dell’ex magistrato Salvini. Non sarà una legge bavaglio né il funerale della libertà di stampa, come con troppa enfasi è stato scritto, ma l’emendamento dell’on. Enrico Costa in merito al divieto di pubblicazione delle ordinanze cautelari non mi convince. Ne condivido in pieno le finalità di garanzia del cittadino ma temo proprio che non funzioni. Nel 2017 con la modifica, solo nove parole, dell’art. 114 c. p. p., introdotta dal ministro Orlando, è stata consentita la legittima e piena conoscenza delle ordinanze che applicano misure cautelari. Vi era sino a quella data in tutti i Tribunali invece un sottobosco in cui i provvedimenti giravano, spesso non i provvedimenti del gip ma le richieste del pubblico ministero, atti quindi di parte i cui contenuti, certi passaggi, certe sfumature potevano essere ben diversi, soprattutto sul piano dell’effetto mediatico, dal provvedimento giurisdizionale. In questa situazione non regolamentata i provvedimenti arrivavano per vie sotterranee non a tutti i giornalisti, alle agenzie in primo luogo che dovrebbero essere la prima fonte neutra delle notizie, ma solo ad alcuni cronisti fidati che frequentano i palazzi. Con l’evidente pericolo, in questa zona nebbiosa dell’informazione, di pilotare la notizia e favorire giornalisti amici che non potevano parlare se non con entusiasmo e senza spirito critico dell’operato degli inquirenti. Scrivere quindi non per informare ma per compiacere, selezionando alcuni passaggi di quanto avevano di mano e questo a dispetto della libertà di informazione che deve essere, per quanto possibile, completa, diffusa e uguale per tutti. In più nell’informazione pilotata in modo conclamato per costruire un articolo fazioso, chi vuole lo sa fare benissimo, non c’era niente di meglio che enfatizzare una parte di un atto, minimizzarne un’altra, omettere del tutto le parti meno gradite. Se nessuno può vedere il documento che si commenta e formarsi un serio giudizio, l’operazione riusciva senza difficoltà ed era destinata a durare nel tempo. A seguito della possibilità di rendere pubbliche le ordinanze cautelari posso testimoniare quanto succede in concreto dal 2017 in un ufficio “strategico” come la sezione gip del Tribunale di Milano. Dopo l’emissione di una misura cautelare di interesse pubblico, che può riguardare un amministratore pubblico o un presunto boss della ‘ndrangheta, un noto musicista trapper o un gruppo di tifosi ultrà di San Siro, l’ordinanza può essere messa a disposizione, su richiesta e senza troppe formalità, dei giornalisti, tutti, non solo quelli di una certa tendenza e senza escludere nessuna testata, nemmeno quelle minori. Dopo tutti, Pubblici Ministeri e difensori, possono intervenire con i loro commenti ma almeno il lettore è posto in grado di comprendere di cosa si stia parlando. Molto semplice. Quindi, nel complesso, meno peggio di prima. Si è quindi molto ridotto il mercato degli atti passati furtivamente ai cronisti e nascosti sotto la giacca, con un vantaggio per una potenziale correttezza della cronaca giudiziaria. Tornare al regime precedente mi sembra sia percorrere una strada al contrario che è destinata a portare più danni che vantaggi proprio alle persone che si vogliono tutelare. È chiaro del resto che nel caso di misure cautelari nei confronti di persone con un ruolo pubblico o comunque all’interno di indagini per fatti clamorosi, la notizia della loro emissione non può che diventare nota, per infiniti canali, in pochissime ore. Ed è anche certo che nessuna descrizione di un evento giudiziario importante può essere di per sé totalmente obiettiva, esente da elementi di faziosità e della highlight su quella parte della notizia che appare più favorevole alla propria collocazione nel panorama politico-culturale. La descrizione dell’indagine che ha portato, solo per fare un esempio recente e senza entrare nel merito, all’incriminazione del figlio di Denis Verdini, per la vicenda degli appalti Anas, di certo non sarà mai rappresentata nella cronaca giudiziaria dei quotidiani di destra e dei quotidiani di sinistra allo stesso modo e, come si dice, con il medesimo “taglio”. Ma la disponibilità delle ordinanze cautelari, che oggi vengono anche pubblicate su molti siti, può limitare le distorsioni interessate e consente al lettore e a qualsiasi commentatore che voglia approfondire di controllare la rappresentazione di parte che gli può essere stata fornita dalle cronache. Altrimenti ci si troverebbe nella condizione di un appassionato di sport che potesse ascoltare o leggere il commento di un’importante partita di calcio ma cui non fosse consentito di vederla. Con in più il rischio, se l’emendamento fosse approvato così come è, che i cronisti ritornino ad abbeverarsi solo alle solite fonti, i Pubblici Ministeri e le annotazioni di Polizia giudiziaria “inquinate”, ed è comprensibile che sia così, da un pregiudizio favorevole alle indagini. Certamente la pubblicità dell’ordinanza di custodia ha posto e continuerà a porre i gip dinanzi ad una seria responsabilità, un obbligo di self restraint. Devono infatti rimanere esclusi dai loro provvedimenti quegli “scarti” di indagine che non servono a provare la gravità degli indizi di colpevolezza a carico degli effettivi indagati ma a trasformare, abbellendolo, il provvedimento stesso in una notizia accattivante, piena di allusioni e di evocazioni e quindi dirompente sul piano mediatico spesso perché sfruttabile all’interno degli antagonismi politici del momento. Mi riferisco ad esempio, tutti abbiamo avuto occasione di leggerlo nei provvedimenti, alla presenza di quelle intercettazioni tra due soggetti, magari indagati, in cui, come spiccava poi subito nei titoli dei quotidiani “Spunta il nome di…” e cioè di un terzo non indagato cui gli interlocutori fanno cenno per vicende del tutto estranee all’oggetto dell’indagine. Con l’effetto di trascinare per “simpatia” l’estraneo, spesso figura pubblica e conosciuta, nel fango di una vicenda processuale. È un fenomeno di malcostume giudiziario che negli ultimi anni si è per fortuna molto ridotto, soprattutto dopo gli interventi sulla selezione delle intercettazioni voluti dal ministro Orlando, ma che non è ancora del tutto scomparso. Sperando che non riemerga, contare sulla autodisciplina dei magistrati, nell’inevitabile assenza di qualsiasi controllo preventivo del contenuto di quanto scritto e poi depositato, è sempre sfidare una tentazione, quella di esondare. Un altro problema che si muove negli stessi spazi resta certamente la frequente notizia dell’iscrizione di un soggetto nel registro delle notizie di reato o dell’informazione di garanzia, atti totalmente iniziali e prodromici che dovrebbero appunto avere anche una funzione di garanzia ma che tuttavia una volta divenuti noti possono avere per l’interessato conseguenze devastanti. Non dovrebbero essere atti soggetti a pubblicità ma invece di norma lo diventano, in questo caso non c’è nemmeno bisogno di avere in mano carte, basta che il pubblico ministero o la Polizia giudiziaria lo facciano sapere a qualche giornalista amico. È un trucchetto che funziona anche con la proroga delle indagini preliminari, un atto di per sé non segreto. Basta inviare l’avviso e dare la notizia prima ancora che l’interessato lo riceva. Un aspetto sicuramente interessante del disegno di legge Nordio attualmente in discussione è la previsione che l’iscrizione nel registro delle notizie di reato non sia un atto burocratico e automatico ma contenga almeno la descrizione del fatto prospettata nei confronti dell’indagato e in sostanza possa avvenire solo quando si siano già condensati elementi significativi. A questo si accompagna la previsione del divieto di pubblicazione sino, termine forse eccessivo, alla chiusura delle indagini preliminari. Se si ritiene, come penso, che la chiusura delle indagini sia un momento troppo distante rispetto a situazioni che impongono qualche forma di pubblica discussione, la notizia dell’iscrizione dovrebbe comunque essere consentita solo dopo che vi sia stato almeno un interrogatorio dell’indagato o un atto equipollente, con la possibilità da parte di questi di fornire gli elementi a sua difesa e la propria versione dei fatti. Nessuno, come accaduto anche in casi anche molto noti, deve svegliarsi la mattina per apprendere della stampa di essere entrato nel girone degli indagati. All’emendamento Costa va riconosciuto il merito di aver riportato l’attenzione su questi problemi. Non è detto che non si possa migliorarlo per salvaguardare insieme il diritto di informazione e il diritto a non essere esposti alla gogna mediatica e a distorsioni accusatorie. Vedremo come si svilupperà la discussione in aula. Intanto azzarderei un’altra proposta, “fantasiosa” e un po’ provocatoria. Imporre ai mass-media l’obbligo di riferire delle sentenze di assoluzione, anche in appello, con gli stessi spazi e richiami di pagina con cui all’epoca, spesso molti anni prima, era stata data la notizia dell’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un cittadino. L’onore di una persona non è una merce di cui non occuparsi più perché, insieme al processo, è ormai passata di moda. Sarebbe un grande segno di civiltà. “Si voti per proibire le intercettazioni del difensore”, l’appello dei penalisti di Valentina Stella Il Dubbio, 16 gennaio 2024 L’Unione Camere penali scrive ai senatori per tutelare i colloqui tra avvocati e assistiti dagli “ascolti”. “L’unica via per ristabilire una effettiva e corretta tutela del precetto costituzionale che vuole l’inviolabilità del diritto di difesa e di ogni comunicazione intercorrente tra difensore e assistito”, avverte l’Unione Camere penali in una lettera ai senatori, è quella di prevedere, come da molti anni richiede l’intera avvocatura, “l’introduzione dell’obbligo da parte della polizia giudiziaria di interrompere immediatamente ogni captazione, anche occasionale, di tali comunicazioni. Siamo certi che saprete assumere la responsabilità politica di garantire finalmente il rispetto della volontà del Costituente troppo a lungo disattesa, proprio in relazione a uno dei principi basilari sui quali si fonda il nostro patto di convivenza sociale, al diritto che nasce al fine di garantire tutti gli altri: il diritto di difesa”. L’appello firmato dal presidente dell’Unione Camere penali Francesco Petrelli è il cuore della missiva indirizzata, in particolare, ai componenti della commissione Giustizia di Palazzo Madama, dove è in corso l’esame del disegno di legge contenente “modifiche alla disciplina delle intercettazioni tra l’indagato e il proprio difensore, nonché in materia di proroga delle operazioni”, di iniziativa del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin. Ma intanto già la scorsa settimana il governo, durante l’esame del ddl Nordio, ha dato parere favorevole a un emendamento che sarà votato in commissione oggi, e nel quale lo stesso Zanettin richiama di fatto l’obiettivo della sua più specifica proposta di legge (il ddl Nordio include numerose altre materie, a cominciare dall’abuso d’ufficio sul quale, com’è noto, la commissione ha già votato). Il parlamentare azzurro e via Arenula hanno raggiunto l’intesa su una norma riformulata, in cui rispetto alla versione iniziale sono stati accantonati due punti: la distruzione delle conversazioni - che potrebbe però essere oggetto di un ulteriore intervento - e l’albo contenente i numeri dei difensori. La proposta del responsabile Giustizia di FI prevede, nello specifico, il divieto del sequestro e del controllo delle comunicazioni tra l’indagato e il suo difensore, salvo nei casi in cui l’autorità giudiziaria ritenga, fondatamente, che si tratti di reato. Al netto di queste remote ipotesi, verificatesi in casi rarissimi, si prevede, sempre in base anche all’emendamento Zanettin, l’immediata interruzione delle operazioni di intercettazioni nei casi in cui le comunicazioni rientrano tra quelle espressamente vietate, che non possono in nessun caso essere trascritte nemmeno sommariamente, pena contestazione di illecito disciplinare. Come sottolineato nella lettera di Petrelli “la Costituzione tutela in via generale la segretezza delle comunicazioni definendola “inviolabile”, aggettivo che, non casualmente, il Costituente ha riconosciuto solo ai diritti fondamentali di libertà, sui quali poggiano i cardini della nostra democrazia liberale” tra cui appunto la “libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione (art. 15)” e il diritto di difesa ““inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (art. 24)”, come Petrelli ricorda. Sempre domani, ma nell’Aula della Camera, si vota pure sul ritorno alla prescrizione sostanziale, dopo un pit-stop di 3 mesi. 41-bis. Ammissibili i colloqui senza vetro divisorio tra il detenuto e il minore ultradodicenne ansa.it, 16 gennaio 2024 L’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), dell’ordinamento penitenziario indica unicamente l’obiettivo da perseguire, ossia impedire il passaggio di oggetti durante il colloquio con i detenuti in regime differenziato, ma le soluzioni per raggiungerlo devono essere necessariamente adeguate alla situazione concreta che l’amministrazione si trovi a fronteggiare. La sottolineatura porta la firma della Corte di Cassazione ed è contenuta all’interno della sentenza n. 196/2024. Il provvedimento è stato emesso dalla prima sezione penale ed è stato depositato lo scorso 3 gennaio. L’impiego del vetro divisorio, argomentano i giudici di piazza Cavour, non solo non è “imposto dal testo della disposizione primaria, che non ne fa alcuna menzione”, ma “al cospetto di altri interessi di rango costituzionale assai rilevanti, quali sono quelli coinvolti dalla disciplina dei colloqui del detenuto con minori d’età, (…) può apparire sproporzionato”. In un caso del genere, si impone l’utilizzo di “differenti soluzioni tecniche” che risultino “adeguate, sia a garantire la finalità indicata dalla disposizione censurata, sia, al contempo, a evitare che la restrizione assuma connotazioni puramente afflittive per il detenuto, sacrificando inoltre l’interesse preminente del minore”, come, ad esempio, l’impiego di telecamere di sorveglianza puntate costantemente sulle mani, la dislocazione del personale di vigilanza in posizioni strategiche. Sicilia. Genitori e figli, anche in carcere giocare per diritto di Chiara Daina Corriere della Sera, 16 gennaio 2024 In Sicilia il progetto scelto dalla Fondazione “Con i bambini” ha toccato 8 istituti. Spazi e sportelli ad hoc. Continuare - a volte persino imparare - a essere genitori dietro le sbarre. Grazie a sportelli settimanali di sostegno alla genitorialità in carcere e alla riqualificazione o realizzazione ex novo di parchi giochi all’interno degli istituti penitenziari dove i figli possono incontrare i padri detenuti e distrarsi nelle attese prima dei colloqui con il genitore, riducendo l’impatto traumatico di quel posto difficile. Il tutto è stato possibile con il progetto “Giocare per diritto” del comitato siciliano dell’associazione Unione italiana sport per tutti, selezionato dall’impresa sociale “Con i bambini” nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il progetto è durato poco più di due anni, fino a novembre 2023, con l’obiettivo di restituire il diritto a essere genitori durante la pena. Sono state coinvolte 8 case circondariali dell’isola: quella di Palermo, Enna, Trapani, Catania, Giarre, Messina, Agrigento e Ragusa. Oltre all’allestimento di spazi con tappeti di erba sintetica, altalene, scivoli, calcio balilla, casette in legno, libri, palloni e giochi di società e al supporto di psicologi per la genitorialità, sono stati organizzati: tornei sportivi, attività ludiche e laboratori creativi (per il riuso di materiali riciclabili per esempio) sia dentro il carcere, per i figli dei detenuti, sia fuori, anche nelle scuole, per bambini e adolescenti che vivono nei quartieri disagiati; gruppi psicoeducativi rivolti a familiari di questi ultimi; seminari online aperti a tutti sull’intelligenza emotiva, i maltrattamenti sui minori e la vita in carcere e altri riservati ai detenuti sempre sulla gestione delle emozioni. “È successo che alcuni bambini figli di padri detenuti per la prima volta varcassero la soglia del carcere per riabbracciare il genitore, perché il gioco unisce e attutisce l’angoscia. A marzo verranno presentate alla Regione le attività del progetto, che ci auguriamo possa proseguire con nuovi fondi e sia esteso ad altri istituti di pena italiani, magari in collaborazione con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria” dichiara Vincenzo Sapienza, direttore di “Giocare per diritto”. Le emozioni - L’educazione psicoaffettiva è uno strumento di crescita indispensabile. “Essere genitori significa fare i conti con le proprie emozioni e quelle dei figli, non reprimerle quindi ma affrontarle - spiega Antonella D’amico, docente di psicologia all’università di Palermo e responsabile scientifica dei seminari formativi - affinché non diventino distruttive per sé e gli altri, e raccontare sempre la verità ai bambini. Molto spesso i padri detenuti preferiscono tenere nascosto ai figli dove si trovano o non farli venire ai colloqui per evitare di peggiorare il loro stato d’animo. Ma è un atteggiamento protettivo sbagliato, perché nel bambino scaturisce un senso di abbandono e di colpa e vivrà quell’assenza con paura e ansia. Ammettere i propri errori e responsabilità è inoltre educativo nei suoi confronti. E se l’incontro avviene in un’area accogliente, con dei giochi, l’istituzione penitenziaria verrà vissuta come un’alleata e un luogo che si prende cura del genitore e del bambino”. Napoli. Ergastolano 40enne si impicca in carcere di Melina Chiapparino Il Mattino, 16 gennaio 2024 Era stato condannato all’ergastolo per il femminicidio della sua compagna: muore suicida nel carcere napoletano di Poggioreale a 40 anni. Secondo quanto si apprende, la vittima è Andrea Napolitano, un anno fa condannato al carcere a vita per aver ucciso Ylenia Lombardo, 33enne di San Paolo Belsito, in provincia di Napoli. La ragazza fu lasciata esanime a terra dal 40enne che non trovava una carta prepagata con 15mila euro. Subito dopo, Napolitano diede fuoco all’appartamento. All’epoca, Napolitano era già in cura presso il centro di igiene mentale. “Mi colpisce la grande determinazione con cui il detenuto 40enne di Poggioreale si è suicidato a metà mattinata oggi. Era a rischio suicidario da un anno, era seguito e monitorato. Chi cura i malati mentali liberi o persone con sofferenza psichica? Il Dipartimento di Salute Mentale. Bene! Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è formato da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica, educatori, oss. Dunque per curare la malattia mentale non occorre solo lo psichiatra, motivo per il quale anche in carcere, per curare i malati mentali occorrono queste figure professionali, dunque una U.O.S.D. (Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale). Così come esiste un SerD Area Penale, che è uguale ad un SerD esterno, deve esistere una Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale in carcere”. A dirlo è Samuele Ciambriello, Garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale dopo il suicidio a Poggioreale di un giovane detenuto. Il Garante Ciambriello conclude: “Sono tante le motivazioni per cui singoli detenuti scelgono di suicidarsi, è chiaro che il coinvolgimento in attività trattamentali interne, più rapporti con il mondo esterno, più personale specializzato, può ridurre sia le forme di autolesionismo sia i tentativi di suicidio che sono centinaia nella nostra Regione. Lo scorso anno non c’è stato appunto una strage per il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria, a cui va la mia gratitudine. Ma ripeto, Andrea pur ben seguito da un anno, visto che era nel protocollo di rischio suicidario, ci costringe a mettere in campo qualche proposta operativa in termini di personale specializzato, attività trattamentali e relazioni con il mondo esterno, perché i suicidi in carcere sono anche il prodotto di un clima culturale, per la maggioranza della politica e anche della società civile, per cui il carcere è un posto esterno alla società, da dimenticare, non da cambiare”. Napoli. Detenuto marocchino si impicca nel carcere di Poggioreale di Melina Chiapparino Il Mattino, 16 gennaio 2024 La tragedia all’interno della sua cella nel padiglione Firenze. Un 38enne originario del Marocco è stato trovato privo di vita all’interno della sua cella, nel padiglione Firenze del carcere di Poggioreale a Napoli. L’uomo, detenuto senza fissa dimora, si sarebbe impiccato alle prime luci dell’alba. La salma è stata trasferita nel reparto di Medicina Legale del Policlinico federiciano a disposizione dell’autorità giudiziaria, così come accaduto per un altro detenuto, un 40enne originario di Nola, morto ieri mattina, a quanto pare, con le stesse modalità suicida. Cuneo. Suicidio in carcere, i Radicali: “Situazione al collasso, servono interventi” cuneodice.it, 16 gennaio 2024 Si tratta di una persona che era in carcere da tredici giorni: entrata il 28 dicembre, si è tolta la vita il 10 gennaio. La nota di Alice Depetro e Filippo Blengino: “Un carcere sempre più fuori dall’alveo costituzionale”. “Apprendiamo di un ennesimo caso di suicidio avvenuto all’interno del carcere di Cuneo. Dopo due anni consecutivi con un numero record di persone recluse che si sono tolte la vita, il 2024 è iniziato con nuovi drammatici fatti che raccontano bene di un carcere sempre più fuori dall’alveo costituzionale”. Così in una nota Filippo Blengino, Segretario di Radicali Cuneo “G. Donadei”, e Alice Depetro, membro di Direzione. “Con un tasso di sovraffollamento da capogiro - proseguono i due -, carenze croniche di agenti di Polizia Penitenziaria, educatori, medici e iniziative rieducative, nel 2024 i detenuti arriveranno a sfiorare le 67mila unità a fronte di 47mila posti. Tanto per intenderci, l’ultimo indulto risale al 2006, quando le carceri ospitavano 62.000 persone. A tutto ciò si aggiunga un allarme salute mentale, che abbiamo appurato nelle nostre visite anche al carcere di Cuneo ma che riguarda tutto il Paese: carenze di psichiatri, psicofarmaci che scorrono come fiumi con un utilizzo, in media, di cinque volte superiore rispetto all’esterno, impossibilità di trattare e gestire persone che avrebbero necessità di altre strutture e personale. Servono interventi urgenti per una situazione al collasso; non bastano i proclami che finiscono solo con il peggiorare la situazione, o la creazione di nuovi reati. La proposta dell’on. Riccardo Magi sulle case di reinserimento sociale rappresenta un piccolo ma significativo passo in avanti, che deve portare ad una riforma strutturale e al progressivo smantellamento del sistema carcere per come lo intendiamo oggi. Altrimenti, inevitabilmente, nuove condanne da parte Corte Europea dei Diritti Umani non tarderanno ad arrivare”. Ancona. Polemiche dopo il suicidio di Matteo Concetti, il Garante dei detenuti nel mirino di Marina Verdenelli Il Resto del Carlino, 16 gennaio 2024 “Non ho potuto fare nulla per Matteo. Sono senza colpe, niente dimissioni”. L’avvocato Giancarlo Giulianelli replica così al corteo degli attivisti che sabato l’hanno contestato “Hanno fatto bene a manifestare ma non condivido le loro ragioni perché non ho nessuna responsabilità”. Avvocato Giancarlo Giulianelli, chiedono le sue dimissioni, lo farà? “No. Hanno fatto bene a manifestare ma non condivido le loro ragioni perché non c’è nessuna responsabilità da parte mia. La critica mi sta bene, la accetto, anche quando è sbagliata, ma sono più per il confronto costruttivo e chi mi conosce sa che persona sono”. Che persona è? “Sono una persona sempre aperta al dialogo, con tutti. In questa veste non mi metto a fare indagini, c’è già una Procura delegata a questo e non ho i poteri di un pubblico ministero. Il garante si attiva per le sue competenze solo su segnalazione e sul caso specifico non mi sono arrivate”. Nessuno le ha fatto presente la situazione di Matteo Concetti prima che venisse trovato deceduto? “No e mi dispiace di non aver avuto la possibilità di fare qualcosa per lui”. La segnalazione da chi sarebbe dovuta arrivare? “In genere sono i detenuti stessi a fare una segnalazione sul proprio caso, oppure le associazioni che entrano nel carcere e vengono a conoscenza di qualcosa, i familiari o anche gli avvocati. Quando questo arriva il garante prende contatti con il detenuto, ci va anche a colloquio, ascolta i suoi problemi, può far valere i suoi diritti ma ripeto qui non c’è stato questo passaggio”. Il detenuto come fa a contattarla? “Compila una domanda nel momento in cui entra in carcere. In pratica si segna nella lista del garante, viene a far parte di un elenco che poi mi girano. Spesso chiedono incontri per questioni sanitarie o chiamano per chiedere supporto nei trasferimenti”. Ma è il carcere che dice loro che esiste un garante? “No, alcuni lo sanno di loro, altri lo apprendono dagli avvocati. In carcere veniva dato ai detenuti, al momento del loro ingresso, un libretto con i diritti e i doveri. Era stato tradotto anche in più lingue. Non so se viene più dato e comunque questo aspetto è una delle questioni di cui mi sto occupando nel mio mandato. Di segnalazioni io ne ricevo tante, sia dai colleghi avvocati che dai volontari che vanno in carcere. Mi mandano messaggi whatsapp o mi telefonano direttamente. L’ultima segnalazione che ho avuto mi è arrivata dal garante nazionale”. Cosa le ha segnalato? “Il caso di un magrebino che chiedeva di trasferirsi di carcere a Rieti perché lì vive la sua famiglia ed era più vicino per i colloqui. Abbiamo sollecitato l’istanza di trasferimento, il detenuto aveva ingoiato delle lamette per protesta, era andata anche la senatrice Ilaria Cucchi a trovarlo, poco prima del caso di Matteo, e l’uomo ha ingerito delle pile davanti a lei”. Per Matteo lei cosa avrebbe potuto fare se fosse arrivata una segnalazione? “Dovevo capire bene di cosa si trattava. Oggi gli aspetti sanitari sono separati da quelli di polizia giudiziaria. Se corrisponde al vero che aveva una patologia psichiatrica non doveva stare in carcere ma poteva ottenere di tornare in una Rems. La revoca dei domiciliari che aveva avuto gli impediva di godere di altri benefici per i prossimi tre anni. Di sicuro chi ha problemi psichiatrici in carcere non può stare. Nelle Marche c’è solo una Rems con 20 posti ed è sempre piena. Poi c’è un solo carcere con una sezione psichiatrica ma è quello di Ascoli, non Montacuto che ha solo un presidio sanitario h24. Non sono favorevole alle sezioni psichiatriche in carcere, preferisco più Rems, ho già chiesto in commissione sanità di istituirne un’altra. Casi psichiatrici stanno aumentando anche tra i minori”. Catania. Influenza suina: muore un detenuto di Antonio Condorelli livesicilia.it, 16 gennaio 2024 Un detenuto ha perso la vita dopo il contagio del virus dell’influenza suina. I medici del reparto specializzato dell’ospedale Cannizzaro hanno fatto l’impossibile, ma il virus aveva gravemente danneggiato i polmoni dell’uomo. Il pronto soccorso della struttura, che si trova a pochi metri da Aci Castello, è stato letteralmente preso d’assalto nelle ultime settimane, perché “sono aumentate - dice a Live Sicilia Antonella Di Stefano, dirigente dell’unità operativa di pediatria del Cannizzaro - vertiginosamente tutte le forme di malattie respiratorie, stiamo avendo problemi con i virus sinciziali e l’influenza suina, per i più piccoli. Stiamo registrando numerose complicazioni con polmoniti e forme di miositi ed encefaliti”. Santa Maria Capua Vetere (Ce). 200 detenuti in più: ora sarà sciopero della fame di Biagio Salvati Il Mattino, 16 gennaio 2024 Uno sciopero della fame dal 23 gennaio prossimo per sensibilizzare l’opinione pubblica sul sovraffollamento delle carceri di cui ha parlato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo ha annunciato ieri, Rita Bernardini, presidente nazionale di “Nessuno tocchi Caino” all’esterno del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere il terzo in Campania per sovraffollamento a margine di una visita nell’istituto che l’esponente dell’associazione ha svolto insieme ad avvocati di Santa Maria e Napoli nord, Garante regionale dei detenuti e rappresentanti di Movimento forense e Osservatorio carcere delle camere penali italiane. “Dobbiamo ribadire ancora una volta che c’è un disinteresse incredibile da parte della politica nazionale sulle carceri ha esordito Bernardini a nessuno importa il problema del sovraffollamento sul quale si è anche pronunciato il Presidente Mattarella senza successo”. Bernardini ha preannunciato uno sciopero della fame a oltranza dal 23 gennaio prossimo, insieme al deputato Roberto Giachetti, affinché la politica cominci a occuparsi di carcere. Ma veniamo ai numeri: a ieri, nel carcere “Uccella” erano presenti 927 detenuti sui 717 posti disponibili con un surplus di 210 ospiti; stesso discorso per gli agenti penitenziari che sono sottodimensionati a 335 rispetto all’organico previsto di 470 unità. Per i 927 detenuti operano solo 6 educatori più un capo area ma dovrebbero essere 13, numero peraltro insufficiente. Si registrano ben 3 suicidi su un totale di 5 in tutta la Campania. La delegazione ha visitato anche il compagno di cella del detenuto Nicola Baldascino morto per un edema polmonare, riscontrando che il 118 è arrivato dopo due ore. “È una situazione esplosiva - dichiara Alessandro Gargiulo, coordinatore del dipartimento carceri del Movimento Forense - siamo appena usciti da un carcere che esprime difficoltà enormi, dobbiamo prendere una decisione forte per far capire le difficoltà che vivono i detenuti, di cui parlava tanto affettuosamente Marco Pannella. Quello che è accaduto la settimana scorsa qui è soltanto un piccolo granello di sabbia, una storia brutta dai colori molto tristi”. Il Garante dei detenuti, Samuele Ciambriello, ha parlato di “diritto alla salute e diritto alla vita più importanti degli altri, diritti compreso, quello alla sicurezza. Abbiamo ascoltato tante storie o i ritardi della magistratura. Tantissimi sono in custodia cautelare, troppe le persone che si lamentano della sanità. Accanto alla certezza della pena - conclude deve esserci la qualità della pena che passa attraverso il diritto alla salute, il diritto al lavoro, diritto allo studio”. Per Gargiulo “a livello politico, in modo trasversale c’è una cultura “carcerocentrica” che va debellata. Non occorrono più carceri, ma vanno agevolate le liberazioni anticipate di detenuti che devono scontare pochi mesi; svuotare i penitenziari dai casi di tossicodipendenza e ricercare situazioni alternative o evitare l’abuso della custodia cautelare. Un plauso è andato alla direttrice e alla comandante della Polpen. La delegazione era formata da “Nessuno tocchi Caino” (Rita Bernardini, Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti); insieme al Garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello; all’avvocato Alessandro Gargiulo, coordinatore del dipartimento carceri del Movimento Forense, con il componente Vincenzo Improta; il presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli Nord, Gianluca Lauro con i consiglieri Rosa Cecere, Raffaele Costanzo e Maurizio Noviello; l’avvocatessa Anna Gargiulo, vicepresidente della Camera Penale di Napoli Nord; il presidente della Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere, Alberto Martucci con l’avvocato Camillo Irace e l’avvocato del foro di Napoli nord, Fabio Della Corte in rappresentanza dell’Osservatorio carceri dell’Unione Camere Penali. Intanto, all’udienza sui pestaggi che si svolgeva proprio nell’aula bunker del carcere, uno dei testi Enzo Lionetti, ha avuto un malore nel rivedere il pestaggio che subì nel 2020, scoppiando anche in un pianto. Genova. Carceri, sopralluogo di Aiga e Onac: “Avvocatura fondamentale nel processo di reinserimento” liguria.bizjournal.it, 16 gennaio 2024 Gli avvocati hanno constatato le criticità e auspicano un maggior coinvolgimento anche della popolazione civile proprio per favorire l’inserimento sociale. Dal 28 dicembre 2023 al 5 gennaio 2024 Aiga Genova ha partecipato all’iniziativa “Natale in carcere” organizzata su tutto il territorio nazionale dal Partito Radicale e dall’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga) con le sezioni locali e il proprio Osservatorio Nazionale Carceri (Onac). L’obiettivo perseguito con l’attività ispettiva congiunta è stato quello di verificare le condizioni delle strutture carcerarie italiane e di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la necessità di operare una profonda revisione dell’Ordinamento Penitenziario per garantire ai detenuti concrete possibilità di rieducazione e reinserimento sociale. Alla delegazione di giovani avvocati genovesi hanno partecipato Federico Farina, coordinatore Onac Liguria, Piero Casciaro, referente Onac Genova, Leda Rita Corrado, presidente Aiga Genova, Stefano Silvestri, segretario Aiga Genova, insieme all’illustratrice Sara Casciaro. Il Partito Radicale è stato rappresentato da Stefano Petrella, Angelo Chiavarini, Luca Robustelli e Deborah Cianfanelli. Sono state visitate le carceri di competenza territoriale genovese (Marassi, Pontedecimo e Chiavari) e il reparto detenuti dell’Ospedale Policlinico San Martino, verificando i punti di forza e di debolezza di ciascuno. Il dialogo con le direttrici Tullia Ardito (Marassi), Paola Penco (Pontedecimo) e Darlene Perna (Chiavari) ha permesso di conoscere quali progetti concreti siano già stati realizzati in passato e di comprendere quali sarebbe opportuno organizzare in futuro. I colloqui con i singoli detenuti sono stati fondamentali per capire la loro reale situazione carceraria. Marassi è la realtà con le criticità più rilevanti a causa del cronico sovraffollamento che la caratterizza. A breve sarà operativo il Polo Universitario, già presente a Pontedecimo, mentre saranno recuperati ulteriori spazi detentivi grazie alla ristrutturazione del centro clinico. A Pontedecimo le problematiche più gravi rimangono quelle relative all’assistenza sanitaria, il personale medico non essendo presente h24 e nel fine settimana, alle carenze di educatori e psicologi e alle condizioni delle coperture dei fabbricati, oramai tanto compromesse da causare infiltrazioni. I punti di forza sono gli ottimi rapporti tra la posizione detenuta e gli agenti della polizia penitenziaria, disponibili all’ascolto e al dialogo, e i numerosi progetti lavorativi già attivi all’interno della struttura, come il laboratorio di stampa e legatoria che nel 2023 ha confezionato il “Libro Bianco sulle Carceri” di Aiga. Chiavari presenta un’ottima socialità tra i detenuti, ma le sue ridotte dimensioni impediscono di svolgere attività lavorative al suo interno. Piero Casciaro, referente Onac Genova, dichiara: “Questa esperienza intensa e a tratti toccante ha rappresentato per ciascuno di noi una opportunità di consapevolezza personale prima che un’occasione di crescita professionale. Aiga Genova e Onac insistono e insisteranno sempre affinché vengano promosse sempre più iniziative che vedano coinvolte le scuole in visita alle carceri, in modo che i ragazzi possano capire che al di là delle sbarre non ci sono alieni o persone “strane”, ma donne e uomini che stanno affrontando il percorso più difficile della loro vita, quello rieducativo e di reinserimento sociale. Queste giornate ci hanno consentito di avviare un percorso di lavoro con le Autorità preposte finalizzato al miglioramento delle condizioni dei detenuti. Ricordiamoci sempre che il carcere e il detenuto non sono problemi che devono rimanere lontani dalla cosiddetta “popolazione civile”. Ogni singolo reinserimento positivo in società di un ex detenuto dev’essere visto come un fiore all’occhiello per il Paese: se fosse realizzato, significherebbe che il sistema funziona e solo così si arriverebbe a una prevenzione dei reati. Non con l’aggravio delle pene, non con l’aumento delle fattispecie incriminatrici, né con il giustizialismo facile”. Stefano Silvestri, segretario Aiga Genova, sottolinea che “dall’approccio diretto con la realtà penitenziaria emerge con prepotenza, ancora una volta, la fondamentale importanza dell’Avvocatura nel concreto declinarsi della funzione rieducativa della pena, prevista dalla Costituzione. L’avvocato è spesso, per non dire sempre, il primo riferimento per il detenuto, specie se non condannato in via definitiva e finisce per acquisire un delicato ruolo di sentinella, in cui la tutela dei diritti si affianca alla collaborazione con le Istituzioni per migliorare le condizioni dei soggetti privati della libertà personale e degli affetti più cari, mirando a quel reinserimento sociale che è ad un tempo un successo del singolo e della collettività”. Osserva l’avvocato Leda Rita Corrado, presidente Aiga Genova: “Tutti concordiamo nel sostenere che oltre le sbarre deve essere garantito il rispetto della dignità umana. Ma cosa vuol dire in concreto? A Marassi non sono installate lavatrici per consentire il lavaggio della biancheria personale e mancano spazi nelle sale d’attesa e di colloquio idonei a tutelare i diritti dei figli minorenni delle persone detenute. Pontedecimo è un fortino isolato dalla città e irraggiungibile con i mezzi pubblici. Per la rieducazione e il reinserimento sociale è invece condizione imprescindibile il collegamento biunivoco con la comunità genovese. Alla popolazione che vive nelle strutture penitenziarie - o che vi ruota attorno - devono essere garantiti servizi pubblici, siano essi trasporti oppure assistenza medica, con i medesimi standard disponibili per tutti gli altri cittadini. Avvicinare la città alle carceri anche con il lavoro esterno è una strategia win-win. Vincono il detenuto, che ha l’occasione di mantenere se stesso e la propria famiglia, e l’imprenditore, che sostiene un minor costo del lavoro grazie a sgravi contributivi e fiscali. Vince la società grazie a una minore recidiva”. Federico Farina, coordinatore Onac Liguria, osserva: “L’impegno di Aiga e dell’Onac è ormai costante nel rilevare le criticità sia delle carceri visitate sia dell’ordinamento penitenziario. L’obiettivo di migliorare il sistema carcerario è sicuramente impegnativo ma dev’essere perseguito con costanza al fine di poter garantire una pena volta alla rieducazione del condannato e che non sia unicamente afflittiva. Per la Liguria, oltre le carceri genovesi, abbiamo visitato anche le Case Circondariali di Sanremo e Imperia. In ogni visita abbiamo potuto comprendere come debbano essere investite più risorse per garantire progetti lavorativi per i detenuti e per limitare il sovraffollamento. La possibilità di garantire una crescita lavorativa potrà permettere al detenuto di avere quelle risorse per allontanarsi dalla delinquenza una volta uscito dal circuito carcerario. Questa esperienza ci ha anche aiutato a comprendere concretamente come l’assenza di un carcere nella Provincia di Savona aumenti le criticità nelle carceri vicine, dal punto di vista sia del sovraffollamento sia dell’impegno della Polizia Penitenziaria. Sono certo che con impegno si potrà avanzare proposte concrete, così come già avanzate dopo la stesura del Libro Bianco sulle Carceri, presentato e rilegato presso la Casa Circondariale di Pontedecimo”. La disegnatrice Sara Casciaro, “estranea” al mondo del diritto, ha fatto il suo esordio in carcere rimanendone così colpita da volerne lasciare una traccia illustrata. Alghero. Progetto per i detenuti: il sindaco incontra la direttrice del carcere di Mariangela Pala L’Unione Sarda, 16 gennaio 2024 Incontro ufficiale tra il sindaco di Alghero, Mario Conoci, e la nuova direttrice del carcere “Giuseppe Tomasiello”, Tullia Carra, che ha preso servizio lo scorso mese di novembre. È stata l’occasione per parlare della collaborazione tra il Comune di Alghero e l’istituto penitenziario, in particolare dello sviluppo di progetti di inclusione sociale per i detenuti, che potrebbero essere coinvolti in lavori di utilità sociale, anche attraverso le società partecipate, nel campo del decoro e verde urbano, delle manutenzioni oppure nelle aree museali o biblioteca. Un progetto che ha già prodotto ottimi risultati negli anni passati con l’obiettivo del reinserimento sociale delle persone detenute. Mario Conoci ha portato il saluto della città alla neo direttrice Tullia Carra, alla presenza del comandante della polizia penitenziaria Antonello Brancati. “Il carcere è per Alghero una realtà perfettamente inserita nel contesto urbano, da un punto di vista fisico ma anche da un punto di vista sociale - commenta il sindaco Conoci. - È importante che ci sia una sinergia con l’istituzione comunale e con le realtà imprenditoriali perché il percorso di reinserimento sociale dei detenuti sia pienamente efficace”. Insieme al primo cittadino anche il consigliere comunale Christian Mulas che è stato il promotore principale del garante dei detenuti che, come sottolineato dallo stesso presidente della Quinta commissione, “rappresenta la figura della democrazia, di civiltà e di dialogo tra amministrazione e carcere”. Proprio in una delle ultime sedute del 2023 il Consiglio comunale aveva votato all’unanimità Carmelo Piras come garante. Cuneo. “Liberi di coltivare”: ortaggi e frutta saranno coltivati dai detenuti targatocn.it, 16 gennaio 2024 Un progetto che vede insieme Joinfruit e Opne Baladin Cuneo e che ha lo scopo di agevolare il reinserimento lavorativo attraverso la formazione in ambito agricolo. Joinfruit insieme a Open Baladin Cuneo e alla Casa Circondariale di Cuneo il prossimo 29 gennaio presentarà il progetto “Liberi di Coltivare, coltivare una rinascita”. Si tratta dell’avvio di un’attività agricola all’interno della Casa Circondariale di Cuneo come opportunità di rieducazione e rinascita per i detenuti. Un progetto che nasce dalla volontà e responsabilità di investire in attività di economia sociale e circolare che coinvolgano anche le persone più “fragili”. In un territorio fortemente vocato alla produzione agricola, Liberi di coltivare vuole costruire un ponte fra le persone che si apprestano ad affrontare un reinserimento socio-lavorativo e i mondi produttivi, attraverso un percorso formativo abbinato all’attività di coltivazione di ortaggi e frutta in una piccola azienda agricola che sarà creata all’interno della Casa Circondariale di Cuneo. Si tratta di una concreta opportunità per i detenuti di formarsi e avere la prospettiva di un successivo inserimento lavorativo nelle due aziende promotrici del progetto, che si impegnano anche a collocare e valorizzare le produzioni di questa iniziativa attraverso i propri canali di vendita e ristorazione. La presentazione della genesi del progetto sarà anche occasione per valorizzare le attività formative e lavorative svolte nella Casa Circondariale di Cuneo: l’aperitivo con rinfresco sarà organizzato dagli allievi/detenuti dell’Istituto Alberghiero di Dronero e composto anche da prodotti di panificazione realizzati impiegando persone detenute attraverso il progetto Panatè. Bergamo. Via Gleno, la cura della neo direttrice: “Il carcere deve stare nella società” di Michele Andreucci Il Giorno, 16 gennaio 2024 I problemi che dovrà affrontare sono sempre quelli degli ultimi anni. Il sovraffollamento e la carenza del personale della polizia penitenziaria. Una realtà complessa, quella che da ieri, giorno del suo insediamento ufficiale, si è presentata alla nuova direttrice del carcere di Bergamo, Antonina D’Onofrio. Secondo gli ultimi dati del ministero della Giustizia nella casa circondariale di via Gleno sono detenute 562 persone a fronte di 319 posti regolamentari, il dato più alto degli ultimi sei anni, un indice di affollamento che colloca Bergamo all’ottavo posto in Italia. Il personale della polizia penitenziaria conta su 206 operatori, ma ne servirebbero, pianta organica alla mano, circa 40 in più. La nuova direttrice, che in precedenza guidava il carcere di Lecco, ha preso il posto della collega Teresa Mazzotta, per cinque anni alla guida della casa circondariale cittadina. “Il mio primo impegno - spiega Antonia D’Onofrio - sarà quello di consentire la prosecuzione delle attività e dei progetti già avviati dalla collega, prestando una particolare attenzione ai bisogni delle persone detenute e alle esigenze degli operatori penitenziari che lavorano all’interno della struttura, nell’ottica di un continuo confronto dialettico costruttivo volto a dare attuazione al principio di umanità della pena cristallizzata nella nostra Costituzione e nell’ordinamento penitenziario. Sarà decisivo continuare a fare squadra”. “Un clima lavorativo sereno - rimarca D’Onofrio - contribuisce ad assicurare una dignitosa carcerazione per le persone detenute, insieme a un’opportunità di crescita personale e professionale per gli operatori penitenziari e per quanti entrano in contatto con la realtà del carcere. Il carcere non può restare un’isola. Deve essere parte della comunità e del tessuto sociale, attraverso dei ‘ponti’ che possano favorire percorsi di crescita, maturazione e reinserimento per i detenuti. Ho sempre creduto nel principio che il carcere debba aprirsi alla comunità e che la comunità debba poter instaurare un dialogo continuo con il carcere. Il tutto in un’ottica di rispettosa collaborazione e scambio con le istituzioni che operano sul territorio”. Lecco. Progetto scuola-carcere: i Lions in visita al penitenziario di Bollate leccotoday.it, 16 gennaio 2024 I Lions del Club Lecco Host hanno fatto visita al carcere di Bollate in qualità di sostenitori del progetto di incontro tra i ragazzi di diverse classi del Bertacchi e alcuni detenuti ed ex detenuti del gruppo di Arteterapia del penitenziario milanese. Grazie al contributo dei Lions, all’interno del libro “Avevano calcolato tutto tranne l’Imprevisto” verrà aggiunto un capitolo dedicato proprio all’esperienza di incontro tra i ragazzi della scuola superiore di Lecco e i detenuti all’interno del carcere. Scuola-carcere è un progetto attivo in Italia grazie alla partecipazione di docenti, studenti, dirigenti, associazioni e volontari. “Ci riteniamo costruttori di ponti, che mettono in relazione la popolazione che vive all’interno del carcere e tutta la società che ruota attorno ad esso e viceversa, in uno scambio utile alla crescita di entrambe le parti - ha dichiarato la lecchese Luisa Colombo, presidente dell’associazione Xsperienza e fondatrice del gruppo di arteterapia, impegnata nelle scuole e presso le carceri di Opera e Milano/Bollate - Questo progetto ha una duplice valenza, quella di adempiere a quanto indicato nell’articolo 27 comma 3 della Costituzione riguardo il recupero e reinserimento del condannato, e quella di portare avanti nelle scuole iniziative di sostegno alle fragilità e di prevenire tutto ciò che, a causa di scelte sbagliate, potrebbe sfociare in reato”. Il format e gli obiettivi dei progetti scolastici Il format base dei progetti scolastici prevede tre incontri per ogni singola classe in cui il percorso si svolge, per un totale di 12 ore, con l’aggiunta di 3 ore per presentare il percorso alle famiglie: “Giusto coinvolgere i genitori per l’importanza e la delicatezza dei temi affrontati”. Nello specifico, lo scorso anno scolastico, solo all’istituto Bertacchi, Xsperienza ha svolto un totale di 29 incontri, rispettivamente nelle classi 3A e 3B scienze umane, un percorso di 30 ore per classe, nella classe 4B economico sociale un percorso di 12 ore e incontri suk tema carcere ed inclusione, in altre classi. Il progetto vedrà la sua conclusione nel prossimo mese di novembre, con l’incontro al carcere di Bollate per le classi 4Asul e 5Bsue. Torino. Fare scuola in carcere, dibattito a Palazzo Barolo vocetempo.it, 16 gennaio 2024 Il 19 gennaio ricorre il 160esimo dalla morte della Marchesa Giulia di Barolo. Per l’anniversario venerdì 19 gennaio alle 9 nella chiesa di Santa Giulia (dove riposano le spoglie mortali dei marchesi di Barolo) sarà celebrata una Messa e, alle 17, a Palazzo Barolo si terrà il primo appuntamento di un ciclo di sei incontri sulle tematiche delle carceri a cui interviene l’Arcivescovo Repole. Per l’anniversario, nella mattinata di venerdì 19 gennaio, alle ore 9, nella Chiesa di Santa Giulia (luogo dove riposano le spoglie mortali dei marchesi Giulia e Carlo Tancredi) sarà celebrata una Messa, e nel pomeriggio alle ore 17, Palazzo Barolo (via della Orfane 7/a, Torino) ospiterà il primo appuntamento con “Perché loro e non io?” (Papa Francesco) “Perché loro sono dentro e io fuori?” (Giulia di Barolo): un ciclo di sei incontri sulle tematiche delle carceri, della vita dei detenuti nelle strutture di reclusione, delle persone vi lavorano (operatori professionali e volontari), delle iniziative culturali e delle attività educative all’interno e all’esterno istituti di pena. Sei conferenze, da gennaio a dicembre, organizzate dall’Opera Barolo in collaborazione con La Voce e Il Tempo. Il primo incontro sarà dedicato al tema della “scuola in carcere”, con la presentazione del libro “E-mail a una professoressa. Come la scuola può battere le mafie”, scritto da Marina Lomunno, caporedattore de La Voce e il Tempo, e dal frate francescano Giuseppe Giunti. Insieme agli autori interverranno mons. Roberto Repole, Arcivescovo di Torino e presidente dell’Opera Barolo, la scrittrice Margherita Oggero, Elena Lombardi Vallauri, direttore della Casa circondariale torinese “Lorusso e Cutugno”, Emma Avezzù, procuratore dei Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, Monica Cristina Gallo, garante dei diritti delle persone private della libertà personale della Città di Torino, e Arturo Soprano, presidente emerito della Corte d’Appello di Torino e membro del Consiglio d’Amministrazione dell’Opera Barolo. L’incontro sarà moderato dal giornalista Marco Bonatti. “Per ricordare la Venerabile Marchesa Giulia nel 160esimo della sua morte, non è stata casuale la scelta di proporre a Palazzo Barolo un ciclo di incontri sulle carceri - spiega Anna Maria Poggi, consigliera dell’Opera Barolo. Proprio dall’interesse per le donne detenute nelle prigioni torinesi - evidenzia la professoressa Poggi - era infatti iniziata, nel 1814, la sua attività sociale. Un impegno che l’aveva vista adoperarsi per migliorare le condizioni di vita in cui versavano le recluse al fine di ottenere per loro un trattamento più umano, che tenesse conto del rispetto dell’igiene, delle condizioni morali, con il sostegno dell’istruzione religiosa e attraverso il lavoro come mezzo indispensabile per un autentico recupero e per il ritorno nella società da persone libere”. Odio che infiamma, odio che annienta di Paolo Di Stefano Corriere della Sera, 16 gennaio 2024 Se si pensa all’odio social, cioè a quello su cui si dibatte in questi giorni, non possiamo ignorare una differenza fondamentale: gli “hater” digitali non sono animati da ira invecchiata, ma da ira impulsiva e immediata, scatenata senza ragioni. Leggendo, sulla “Lettura”, la pagina di Giuseppe Antonelli sulla lingua dell’odio e scorrendo un bell’intervento di Paola Giacomoni sulla “dissonanza dell’odio” nel sito leparoleelecose.it, mi sono ricordato di un paio di scenette a cui ho assistito di recente. Su un vagone della metropolitana a Milano, entra un allegro gruppo di liceali, parlano della mattinata appena trascorsa a scuola e un compagno rimprovera all’altro di aver fatto, durante l’interrogazione, la “figura del mongoloide”. C’è di peggio, ovviamente. Qualche settimana fa al mercato, un tizio sulla trentina si avvicina a un fruttivendolo, gli dà una manata e gli urla a mo’ di saluto cameratesco e canzonatorio: “Ciao negro”. L’altro, in tutta evidenza non africano, gli risponde alla pugliese: “Assòreta”, cioè: “negro dillo a tua sorella”, e giù risate. Insomma, una serie di espressioni tutt’altro che politicamente corrette (piuttosto razziste, sessiste, discriminatorie eccetera), anche se certo non assimilabili alle parole dell’odio che circolano, per esempio, nei social. Non viviamo in un paese “civilmente rispettoso”, per usare l’espressione consigliata da Antonelli. Venendo all’odio vero e proprio, non trovo definizione migliore, nell’accezione classica, di quella proposta dal maestro di Dante, Brunetto Latini, in un trattato sulla retorica: “Odio non è altro se non ira invecchiata”. Il famoso dizionario storico Battaglia registra la frase di Brunetto come prima occorrenza italiana della parola: siamo nella metà del Duecento. Ma se si pensa all’odio social, cioè a quello su cui si dibatte in questi giorni, non possiamo ignorare una differenza fondamentale: gli “hater” digitali non sono animati da ira invecchiata, ma da ira impulsiva e immediata, scatenata senza ragioni. C’è poi un’altra dimensione dell’odio. Per esempio quello politico-antropologico. Quasi tre secoli dopo Brunetto, monsignor Giovanni Della Casa (l’autore del Galateo) si soffermava sull’argomento in una lettera al cardinal Carafa, pensando al “negozio” di pace tra Enrico II e Filippo II: “L’odio è sdegno confermato nell’animo d’alcuno, il quale non si sazia giammai, né s’acqueta, se non col disfacimento del nemico, anzi contra lui più s’infiamma, quanto più il vede afflitto, e misero divenire...”. Dopo mezzo millennio, siamo sempre là. La rissa dopo la gogna per Giovanna Pedretti di Mario Di Vito Il Manifesto, 16 gennaio 2024 Tragedia social. La procura di Lodi ha aperto un fascicolo, intanto infuria la polemica politica. Un fascicolo modello 45, “conoscitivo”, cioè senza ipotesi di reato né indagati. Dietro l’accapigliarsi sui social e le immancabili interrogazioni parlamentari, al momento, l’unico elemento certo sulla morte di Giovanna Pedretti è il lavoro che sta facendo il procuratore di Lodi Maurizio Romanelli: acquisire informazioni, capire qualcosa di più della dinamica del fatto. C’è una Fiat Panda rossa sequestrata e tenuta in custodia dai carabinieri. La donna, il cui corpo è stato ritrovato su una delle sponde del Lambro, avrebbe viaggiato da sola a bordo dell’auto e, a quanto si apprende, la tappezzeria è macchiata di sangue. Nei prossimi giorni saranno ascoltati gli amici e i parenti, alla ricerca di una spiegazione per l’inspiegabile: colpa della gogna social? Oppure c’erano problemi pregressi? Grandi battibecchi, intanto, sulle presunte responsabilità di chi ha smontato la storia della celebrata indignazione della signora Pedretti, titolare della pizzeria Le Vignole di Sant’Angelo Lodigiano, che aveva risposto per le rime alla recensione di un cliente omofobo e abilista. Recensione che però forse era falsa. Da lì la prima ondata di indignazione social (e non solo), oltre a una convocazione della donna da parte della polizia giudiziaria, che ipotizzava il reato di istigazione all’odio. Intorno c’è tanto rumore. Sul banco degli imputati per il (vero o presunto) massacro mediatico di Giovanna Pedretti ci sono il Tg3 - “Ha trattato la notizia come lo scandalo del secolo”, attaccano dalla Lega - Selvaggia Lucarelli e il suo compagno Lorenzo Biagiarelli (ieri assente dalla trasmissione “È sempre mezzogiorno” di Antonella Clerici, dove è ospite fisso), che per primi si sono messi a fare le pulci alla storia della ristoratrice che combatte l’odio sui social. L’accusa, sottintesa, era di essersi inventata tutto per visibilità e, forse, pure per un ritorno economico. Un po’ troppo per una storia così tanto piccola. E però tanti, su Facebook, su X, su Instagram, su Threads si erano scatenati, scrivendone anche di pesantissime. Storie e polemiche che sono destinate a durare lo spazio di pochi giorni, di solito. Il problema è quando ci si finisce in mezzo. Fiorina D’Avino, la figlia di Pedretti, non ha dubbi nel collegare la shitstorm all’estremo gesto di sua madre: “L’accanirsi è pericoloso. Grazie cara signora - scrive rivolgendosi a Selvaggia Lucarelli - per aver massacrato per via mediatica la mia mamma. Cerchi pure la sua prossima vittima”. Lucarelli, dal canto suo, si è difesa, sempre sui social: “Per la cronaca, la gogna di cui qualcuno sta parlando, è stata: un servizio di un tg, un post sui social, una storia su Instagram. La signora non è stata sommersa da insulti, ma non si riesce mai a raccontare la verità”. Seguono altri post in cui si contesta chi contesta il debunking in sé e per sé: “In pratica, siamo arrivati al punto che dare una notizia non è più una responsabilità. Correggerla sì”. Nella litigata si è presto inserito anche il vicepremier Matteo Salvini, uno che di linciaggi social se ne intende, secondo il quale la sinistra (parte alla quale Lucarelli sarebbe iscritta d’ufficio) è “spietata con i deboli”. E la polemica è salita fino a toccare anche la Rai. Si parla di “deriva etica” del servizio pubblico, si raccomandano “profonde riflessioni”, si domanda “dove sia finito il buonsenso”, si intima di “prendere posizione”. E si tirano in ballo il Cda e l’ordine dei giornalisti. Tutto questo avviene nelle ore immediatamente successive a un suicidio, tema che per dovere deontologico i cronisti dovrebbero trattare nella maniera più sobria possibile, senza indugiare nei particolari e, soprattutto, senza mettersi a cercare eventuali ragioni e possibili cause. E invece sembra di stare in mezzo alla versione true crime della Lotteria di Shirley Jackson, l’impressionante racconto di un’estrazione a premi in cui chi possiede il biglietto vincente viene lapidato. Dipendenze nei giovani: disagio amplificato dall’uso smodato dei social di Chiara Daina Corriere della Sera, 16 gennaio 2024 Diventare grandi a volte è un percorso a ostacoli che può bloccare. Aspettative dei genitori, giudizi dai social e la voglia di trasgredire. Ma i ragazzi possono uscirne. Quella dei nativi digitali (nati tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila) è una generazione sempre più esposta ai rischi della rete. Secondo uno studio promosso dal Dipartimento delle Politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri e dal Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità, su un campione di più di 8.700 studenti tra 11 e 17 anni, il 2,5% (circa 99.600 studenti italiani) presenta caratteristiche compatibili con una dipendenza da social media e il 12% (circa 480mila studenti) è a rischio di sviluppare un disturbo da uso di videogiochi. Inoltre, l’1,8% degli alunni delle medie (circa 30.175 adolescenti delle scuole medie) e l’1,6% di quelli delle superiori (circa 35.792 ragazzi) sono arrivati a vivere una condizione di isolamento sociale volontario nella loro camera (hikikomori), con prevalenza più alta tra le ragazze. L’uso smodato dei social - Il disagio può nascere in questa generazione anche dall’uso smodato dei social che si inserisce in un momento peculiare della vita dei ragazzi che sono alle prese con la fatica di diventare grandi. “In età evolutiva il policonsumo di droghe e i comportamenti di abuso non vanno resi patologici. Non si può, dunque, parlare di condotte dipendenti (QUI il dossier sui giovani e la dipendenza, ndr) già strutturate come negli adulti, se non in rari casi. Il cervello è ancora in fase di costruzione e l’identità personale è in formazione. L’uso problematico di sostanze e di internet può essere risolto se si lavora sul disagio sottostante e sui compiti evoluti cui tenta di rispondere” dichiara Paola Coppin, medico psicoterapeuta, responsabile del servizio Diagnosi e trattamento precoce per i giovani tra 14 e 24 anni dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano. Sentirsi grandi e diventarlo: ansia da aspettative e giudizi dei pari - “L’adolescente fuma cannabis, beve e assume cocaina per sentirsi grande, più disinvolto ed entrare a far parte del gruppo dei pari, oppure a scopo trasgressivo per staccarsi dalla famiglia, o, ancora, per evadere da dolore, fatica, delusione, ansia da prestazione” spiega Coppin. Alla base c’è una difficoltà a diventare grandi. “In questi ragazzi va riattivato il percorso evolutivo, che si è bloccato mettendoli in crisi” sottolinea Antonina Contino, psicoterapeuta, responsabile del servizio under 25 Androna giovani dell’Azienda sanitaria di Trieste. Ma quali sono le sfide evolutive a cui i ragazzi cercano di assolvere aggrappandosi a droghe, alcol e gioco d’azzardo? “Sono quelle che devono affrontare per effettuare il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Riguardano il processo di separazione dai genitori e la formazione dell’identità individuale, la mentalizzazione del sé corporeo, cioè l’accettazione del cambiamento fisico in pubertà e l’identificazione con il corpo nuovo, e la nascita sociale, intesa come la costruzione di un sistema di valori che guida le azioni e le scelte personali - spiega Contino -. Oggi gli adolescenti fanno più fatica a crescere. Risentono tantissimo del giudizio degli altri a causa dell’uso smodato dei social, in cui sono esposti a like, commenti e valutazioni anche da parte di perfetti sconosciuti. In più molti genitori caricano di aspettative altissime i loro figli fin da piccoli, non sanno apprezzarli per chi realmente sono e questi smettono di sentirsi protagonisti della loro vita e non sanno chi sono. A volte, invece, succede che l’adulto di riferimento, che dovrebbe fare il tifo per il ragazzo, è talmente preso da sé stesso che non lo vede”. Cyberbullismo, se lo conosci lo eviti: il decalogo degli studenti di #cuoriconnessi di Silvia Morosi Corriere della Sera, 16 gennaio 2024 Corsi online e libri per 680mila studenti negli ultimi tre anni. L’iniziativa #cuoriconnessi promossa da Unieuro e Polizia di Stato. Marco Titi: “La tecnologia è importante ma va gestita con un uso consapevole”. “Non accettare passivamente tutto ciò che leggiamo o vediamo online”; “non condividere immagini intime ed evitare sempre di offendere altre persone”; “chiedere aiuto per trovare la soluzione del problema”. E ancora, “mai dimenticare che il mondo online è formato da altri esseri umani”. Sono questi tre dei punti del “Decalogo contro il cyberbullismo e ogni forma di violenza” ideato da oltre mille studenti di tutta Italia e presentato a Roma presso l’istituto Virgilio. Dieci regole raccolte in un Manifesto volto a contrastare tutte le forme di discriminazione in rete (dal cyberbullismo al body shaming fino al sexting), realizzato all’interno di #cuoriconnessi. Il progetto, nato nel 2016 dalla collaborazione tra Unieuro e Polizia di Stato, vuole aiutare i ragazzi a riconoscere le situazioni di rischio, trovare la forza di parlarne con genitori e insegnanti, promuovere un uso corretto della tecnologia. “I ragazzi hanno raccolto l’invito contenuto nella Storia di Madi, dispensa a fumetti in cui una giovane è vessata per il suo aspetto fisico ed è vittima di body shaming. Si sono, quindi, trovati in estate a riflettere su questi temi e insieme hanno elaborato norme di comportamento e consigli per stare in rete in modo corretto e rispettoso”, spiega Marco Titi, direttore marketing di Unieuro. Le attività - Il Manifesto è una delle tante attività di #cuoriconnessi rivolte alle scuole medie e superiori, oltre a incontri online e in presenza, oltre che sul canale YouTube e sul sito dedicato (www.cuoriconnessi.it). “Sono oltre 680mila gli studenti che hanno seguito le dirette streaming del 2021, 2022 e 2023 in occasione del Safer Internet Day, e 825mila le copie dei primi quattro libri della collana #cuoriconnessi distribuite gratuitamente e oggi materiale didattico usato in molte scuole, solo per citare alcuni numeri”, continua Titi, evidenziando come la forza del progetto stia nel portare in classe storie ed esempi vicini ai giovani, “non solo di ragazze e ragazzi che hanno subito atti di cyberbullismo, ma anche che ne sono stati autori, per creare un confronto diretto, senza filtri tra pari. Tutto questo grazie anche al consolidato rapporto con Polizia di Stato in questi otto anni di cammino condiviso, per noi motivo di vanto e orgoglio”. Il mondo virtuale è reale - Fenomeni vessatori e persecutori come il mobbing, il bullismo o lo stalking non sono nuovi, ma il digitale ne ha amplificato raggio d’azione ed effetti: “Non si tratta di demonizzare gli smartphone, ma di comprendere come alcuni comportamenti oltre a essere sbagliati siano dei reati, e come il mondo virtuale sia reale a pieno titolo. La rivoluzione tecnologica è inarrestabile, ma è importante che il suo uso sia accompagnato dalla capacità di riconoscere le insidie che stanno dietro un suo utilizzo distorto”. Insomma - chiarisce Titi - “la tecnologia non può essere privata di cuore: vendiamo tecnologia e sentiamo da sempre la responsabilità verso la comunità e, in particolare, verso i più giovani.”. Una comunità iperconnessa nella quale gli episodi di cyberbullismo commessi sono valutati dai ragazzi “in termini di visualizzazioni. Senza questa finestra social molte azioni sarebbero depotenziate. Quello che è bene o male, lecito o no, si mescola, perché tutto è regolato dall’esigenza impellente di mostrarsi al mondo. Serve una presa di coscienza: conoscere la tecnologia, le sue possibilità nel lavoro e nello studio, nella conoscenza dell’altro, le cose positive ma anche i pericoli”. L’osservatorio - Non a caso uno dei punti che maggiormente colpiscono è “l’attenzione rivolta dai giovani che hanno scritto il Manifesto alle persone che li circondano, in particolare i coetanei, e a una tecnologia da utilizzare con il sorriso, in modo gentile. Grazie a loro possiamo “educare” anche gli adulti”. Non a caso all’interno di #cuoriconnessi è nato anche l’osservatorio Schermi futuri, realizzato in collaborazione con Ipsos e con la direzione scientifica del professor Paolo Crepet, “per creare maggiore consapevolezza, esplorare i comportamenti dei giovani sui social, cogliere i possibili effetti che questi possono provocare sulle loro sfere emotive”. Obiettivo? Fotografare il sentire dei giovani e della cosiddetta “Generazione Z” rispetto ai nuovi modelli di socialità, che anche a causa delle restrizioni sanitarie degli ultimi anni sono diventati più virtuali e meno fisici. “Quello che dobbiamo fare - conclude - è unire i pubblici: giovani, famiglie, scuola per contrastare l’uso distorto della rete”. Una pioggia di sanzioni contro gli ambientalisti di Luca Martinelli Il Manifesto, 16 gennaio 2024 A Roma, Torino e Venezia: denunce e fogli di via per Extinction Rebellion. Per il governo italiano chi protesta contro le politiche pubbliche che non fermano emissioni, fonti fossili e cambiamento climatico è un nemico. E per combatterlo ha scelto la strada dell’ordine pubblico: a cavallo tra la fine del 2023 e il 2024 ha visto notificare ad attivisti di Extinction Rebellion un centinaio tra denunce, fogli di via e avvisi orali. La loro colpa? Aver partecipato ad azioni del movimento negli ultimi mesi. La grandinata l’aveva annunciata il vicepremier Matteo Salvini, che pure dovrebbe occuparsi di infrastrutture: “Multe e carcere per questi vandali”, a dicembre aveva detto all’indomani dell’azione nelle acque del Canal Grande e in altri fiumi e canali d’Italia. Le Questure hanno raccolto l’appello: nelle ultime settimane un centinaio di persone sono state convocate e denunciate o espulse dalle città di Roma, Venezia e Torino, per un periodo da 1 fino a 4 anni. Le misure riguardano tre iniziative: il 23 ottobre a Roma, al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il 29 novembre a Torino, sul tetto dell’Oval di Lingotto, durante l’Aerospace and Defence Meeting, e il 9 dicembre nei canali e nei fiumi di Torino, Roma, Bologna, Milano e Venezia. A Roma un centinaio di persone si erano travestite da Pinocchio e si erano riunite in presidio all’ingresso del ministero delle Infrastrutture. La manifestazione fu interrotta dalla polizia, che rimosse di peso i partecipanti. In quaranta vennero poi trasferiti in commissariato e trattenute per otto ore. Tutto il materiale venne sequestrato e cinque di loro vennero rilasciati dopo 8 ore con due denunce e un foglio di via da 1 a 3 anni (di cui una persona dell’ufficio stampa). Durante le vacanze natalizie carabinieri e polizia hanno convocato tutte i presenti quel giorno per notificare nuove denunce. In alcuni casi, come a Pinerolo, persino la notte di Natale. In totale si tratta di oltre settanta persone denunciate in tutta Italia, per “manifestazione non preavvisata” e “non ottemperanza con un ordine dell’autorità”. “Il diritto di manifestazione è un diritto sancito dalla nostra Costituzione - commenta Bianca di Extinction Rebellion - e la legge prevede che una manifestazione possa essere sciolta solo se pone un problema di sicurezza e ordine pubblico. Sostenere che fosse lecito intervenire perché la manifestazione non era preavvisata significa ledere il diritto costituzionale al libero dissenso”. Il secondo episodio è accaduto il 29 novembre a Torino, quando sette persone avevano occupato il tetto dell’Oval durante la convention su aerospazio e difesa, appendendo bandiere della pace e un grande striscione con scritto: “Qui si finanzia guerra e crisi climatica”. Nove persone sono state denunciate con 6 capi d’accusa, quattro di loro espulse da Torino, mentre due hanno ricevuto un avviso orale, una misura di prevenzione che prelude alla sorveglianza speciale. Sono misure previste dalla legge 59 del 2011, cioè dal Codice Antimafia, pensate per il contrasto alla criminalità organizzata, utilizzate oggi verso chi denuncia gli investimenti di Stato nell’industria bellica. “Misure rilasciate direttamente dal Questore, senza pregiudizi penali che li giustifichino, senza che vi sia la possibilità di esporre i fatti e senza la valutazione di un magistrato” riporta Marta, portavoce nazionale di Fridays For Future e destinataria di un avviso orale. A Venezia, infine, l’azione che fece arrabbiare tanto Salvini: 28 persone furono portate in questura per sei ore (compreso un turista di passaggio) e adesso vengono denunciate con diversi capi d’imputazione surreali, sette fogli di via e tre avvisi orali. Tra i reati imputati risaltano “violenza privata” e “sversamento di sostanze pericolose”, anche se si trattava di sale organico usato solitamente proprio nei fiumi e nei mari. Extinction Rebellion ha annunciato ieri di aver inoltrato i primi ricorsi al Tar per i fogli di via e gli avvisi orali. Domani è prevista una conferenza stampa pubblica davanti al Comune di Torino, con avvocati e docenti di diritto costituzionale. Valditara: più inclusione per gli stranieri a scuola di Flavia Amabile La Stampa, 16 gennaio 2024 Il ministro dell’Istruzione e del Merito: “C’è la ferma volontà di ridare valore al voto di condotta. Sul colloquio orale della maturità terremo conto delle criticità emerse lo scorso anno”. Un nuovo fronte rischia di aprirsi nel mondo della scuola, è l’istruzione per stranieri. È il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ad ammettere che, su questo versante, le cose non funzionano e “occorrono forme diverse”. Nelle scuole italiane esiste “il mito dell’inclusione” che non ha dato i risultati sperati, ha affermato Ernesto Galli Della Loggia. Che ne pensa? “L’inclusione è un valore importante della scuola costituzionale, la nostra scuola. Perché sia effettiva, però, e non solo declamata, è necessario che si creino le condizioni per una didattica più efficace che consenta di contemperare le esigenze di tutti gli studenti. Per gli alunni con disabilità, per esempio, prevediamo docenti adeguatamente specializzati e un sistema che consenta la continuità didattica. Per gli stranieri i dati ci dicono che l’attuale sistema non funziona, occorrono forme diverse”. La riforma dei tecnici è ferma al Senato. Quando partirà? “La riforma dovrebbe essere approvata definitivamente entro fine febbraio e andare in vigore dal prossimo anno scolastico, con l’obiettivo di ridurre il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, offrire più rapidamente maggiori opportunità di impiego ai nostri giovani e rendere più competitivo il sistema imprenditoriale. Nel frattempo siamo partiti il 7 dicembre con una sperimentazione: le scuole che hanno presentato domanda di adesione dovranno dimostrare di aver costruito una filiera formativa che coinvolga Its e impresa per costruire un percorso formativo integrato”. La sperimentazione prevede quattro anni di studio, la stessa formula che in passato non ha avuto molto successo. Ha senso andare avanti comunque? “I progetti presentati sono ancora in corso di verifica. Quello che posso dire è che la risposta che è giunta dalle scuole è stata molto importante, oltre le aspettative. In passato non esisteva il collegamento strutturale in filiera con gli Its, non c’era il collegamento con l’impresa e si comprimeva il programma precedentemente pensato per 5 anni. Ora abbiamo costruito un percorso di 4 anni più 2 che alza ulteriormente il livello di formazione e si privilegia la qualità rispetto alla quantità, con programmi del tutto nuovi per il quadriennio, potenziando l’alternanza scuola-lavoro, senza dimenticare il rafforzamento degli insegnamenti in italiano, matematica e inglese, le tre materie di base dove esiste il maggiore divario rispetto agli altri Paesi. Ci saranno più docenti a disposizione perché è a invarianza di organico, ci sarà molta internazionalizzazione e sosterremo la ricerca e l’innovazione con una sezione al ministero impegnata in questo ambito”. Il liceo del Made in Italy, molto caro a Fratelli d’Italia, non sembra aver avuto grande successo. Solo poche scuole hanno attivato il nuovo corso di studi... “Attendiamo i dati definitivi nei prossimi giorni, ma i numeri per ora sono incoraggianti. Anche in questo caso i tempi sono stati molto stretti, eppure vi è stata una risposta che dimostra una grande progettualità e voglia di innovazione”. Tempi lenti anche per il voto in condotta. Dopo essere stato annunciato lo scorso anno, è fermo in Senato e si teme che non riesca a entrare in vigore da settembre. “Questa settimana in Commissione al Senato inizieranno le audizioni. C’è la ferma volontà di arrivare rapidamente alla sua approvazione per cambiare radicalmente l’istituto della sospensione e ridare valore al voto di condotta. Il nostro obiettivo è attuare la riforma dal prossimo anno scolastico”. Con il dimensionamento avete scatenato una mezza rivolta nelle scuole... “Era una delle condizioni richieste dal Pnrr, non l’abbiamo inventato noi. Non è stato facile ma alla fine tutte le regioni l’hanno accettato grazie a una gestione caratterizzata da grande dialogo e grande equilibrio”. In alcune regioni come Lazio, Puglia e Campania si contesta, invece, proprio l’assenza di dialogo e l’equilibrio è una delle carenze di questa riforma che colpisce principalmente il Sud. “In alcune regioni del Sud l’ultimo dimensionamento significativo risale a molti anni fa, mentre altre regioni al Nord si erano già attivate: questo ha fatto la differenza nell’impatto. In ogni caso vorrei sottolineare che non si chiude nessuna scuola, contrariamente a quello che si è detto, e che il servizio verrà potenziato perché si eliminano le reggenze e nelle scuole accorpate ci sarà un vicepreside vicario che sarà un docente esonerato dall’attività didattica”. Una persona che però non ha potere di firma. “La firma può essere apposta anche in forma digitale e, mentre prima il preside doveva correre da una scuola all’altra, ora invece si semplifica il suo lavoro perché non avrà due bilanci, due contrattazioni sindacali, due pubblicità di atti”. Un anno fa lei aveva promesso di affrontare il problema dei ritardi nel pagamento delle supplenze brevi, invece ancora oggi molti supplenti ci stanno scrivendo di non aver ricevuto nulla. “L’11 gennaio Noipa ha fatto una emissione straordinaria, come avevamo promesso, per mandare in pagamento le posizioni inevase a dicembre. Si tratta purtroppo di un problema strutturale che coinvolge più istituzioni e che si ripresenta dal 2013 con ritardi anche più gravi di quelli di quest’anno. Ho chiesto che venga risolto in via strutturale e gli uffici del mio Ministero, d’intesa con il Mef, stanno lavorando per arrivare a una soluzione definitiva. Queste supplenze hanno una caratteristica rispetto alle altre supplenze, e cioè l’imprevedibilità: nessuno può sapere quando gli insegnanti titolari dovranno essere sostituiti”. Si potrebbe però almeno chiedere scusa a questi insegnanti che sono in grave difficoltà pur avendo fatto il loro dovere. “È una situazione inaccettabile e sono ben consapevole che si tratta di un problema che crea serie difficoltà, ma se non sono stati capaci di risolverlo in 11 anni diversi governi vuol dire che è una questione molto complessa. Noi saremo il primo governo a trovare una soluzione strutturale”. Esiste una circolare del ministero del 1969 ancora in vigore che vieta di dare compiti nei fine settimana, eppure i compiti vengono assegnati suscitando spesso polemiche con i genitori. Che ne pensa? “Pur rispettando l’autonomia scolastica, è un tema molto importante su cui il ministero ha avviato un approfondimento”. È tempo di annunciare la prossima maturità. Ci saranno novità? “Ci limiteremo a una manutenzione della versione attuale. Nel colloquio orale terremo conto delle criticità emerse lo scorso anno”.