Nelle carceri, telefonate quotidiane e colloqui intimi: non più promesse, ma certezze di Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ristretti Orizzonti, Sbarre di Zucchero Ristretti Orizzonti, 22 febbraio 2024 Era da tanto che non leggevamo una notizia buona, anzi buonissima sulle carceri come quella arrivata il 21 febbraio dall’Ansa: il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Russo, ha comunicato in una audizione alla Commissione Giustizia della Camera che il DAP è favorevole alla liberalizzazione delle telefonate per tutte le persone detenute, ad esclusione solo di chi è sottoposto al regime del 41-bis sottolineando tra l’altro che già oggi un direttore ne può concedere “anche cento al giorno”. Quanto all’opportunità dei colloqui intimi senza controllo visivo, è previsto che a breve verrà avviata una sperimentazione. Anche di questo, come associazioni di Volontariato, avevamo parlato con lui in un incontro online il 16 febbraio, l’audizione alla Commissione Giustizia ci ha ulteriormente fatto capire che non si tratta di generiche promesse, ma di importanti certezze. Per tre significative realtà del Volontariato, la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Ristretti Orizzonti e Sbarre di Zucchero, che hanno raccolto firme, chiesto con forza ai direttori un ampliamento del numero di telefonate e colloqui, si sono battute per le telefonate libere e i colloqui intimi riservati, le parole del Capo del DAP sono una boccata di ossigeno, e la conferma che quello degli affetti è il terreno fondamentale anche per la prevenzione dei suicidi. Ricordiamo che nella Casa di reclusione di Padova e in pochi altri istituti il direttore aveva già accettato di mantenere, a fine pandemia, la telefonata quotidiana per buona parte dei detenuti, e ora, sempre a Padova, ha accolto anche l’invito del Volontariato a dare concretezza alla sentenza della Corte Costituzionale iniziando a progettare gli spazi per i colloqui intimi, ora la speranza è che, sollecitati dal Capo del DAP, si muovano tutti i direttori, e che colgano l’importanza di far fronte al disagio e alla sofferenza crescenti nelle carceri allargando al massino tutte le possibili occasioni di incontro con i propri cari delle persone detenute. ----------------- (ANSA) - ROMA, 21 febbraio 2024. Carceri: Russo (Dap), favorevoli a telefonate senza limite Mettere a punto sperimentazione per colloqui senza controlli. “Ad avviso del Dap, le telefonate dei detenuti con i familiari e gli affetti sono un elemento del trattamento, già adesso il direttore del carcere ha la possibilità di autorizzare anche cento telefonate al giorno, la nostra proposta non prevede limiti al numero di telefonate”. Lo ha detto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo in audizione davanti alla Commissione giustizia della Camera, con riferimento all’applicazione della sentenza della Consulta sul diritto dei detenuti alla vita affettiva e a una maggiore privacy negli incontri con i loro cari”. Per svuotare le carceri il governo punta sugli sconti di pena per buona condotta di Francesco Grignetti La Stampa, 22 febbraio 2024 Il procuratore Gratteri: “Bisogna escludere i condannati per mafia e terrorismo”. La situazione delle carceri è davvero grave e il governo se n’è reso conto. Già oggi il sovraffollamento è vicino al livello di guardia, con quel che ne consegue in termini di sofferenze dei detenuti, disumanità, carenze di trattamento, e anche insicurezza dentro le strutture. Gli ultimi dati dicono che in carcere ci sono 60.814 persone, e i numeri aumentano al ritmo di 400 detenuti in più ogni mese. Ma soluzioni miracolistiche non ce ne sono. Ed ecco che sta maturando una svolta copernicana dentro il governo: non c’è altro da fare che varare un provvedimento svuota-carceri. Il veicolo legislativo è già partito. Da qualche giorno è iniziato l’esame alla Camera di un ddl a firma di Roberto Giachetti, Italia Viva, che innalza il premio per buona condotta da 45 a 60 giorni per ogni semestre di detenzione. In altri tempi, la maggioranza di destra-centro lo avrebbe osteggiato in ogni modo. Stavolta no. Basta sentire quel che ne dice Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri, meloniano di ferro: “Non sono un talebano, e quindi non dico di no all’aumento dello sconto di pena. Se ne può parlare, purché ci sia un paletto per noi non trattabile: se un detenuto ha aggredito il personale penitenziario, questo comportamento è il contrario della buona condotta e quindi va escluso in maniera tassativa che tipi così possano beneficiare di un premio ulteriore”. D’altra parte questo governo ha appena annunciato di voler aumentare le pene in caso di aggressione al personale penitenziario; sarebbe contraddittorio far finta di niente quando si fanno i conti con la buona condotta. Le parole di Delmastro segnalano un’inversione di rotta. A sentirle, il primo a fare un salto sulla sedia è stato il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, magistrato notoriamente inflessibile, che qualche giorno fa partecipava a una cerimonia pubblica assieme al sottosegretario e alla presidente della Commissione Antimafia, Chiara Colosimo. “Allora state trattando in Parlamento sull’aumento dello sconto di pena?”, è sbottato. “Non prevedete nemmeno un’esclusione per i condannati di mafia e terrorismo?”. Risposta secca di Delmastro: “Non stiamo affatto trattando”. In effetti il termine più esatto è che a destra stanno valutando, ma la novità è che sono apertissimi a questa scappatoia escogitata da Giachetti, la quale permetterebbe, cancellando un mese di detenzione in più per ogni anno trascorso in cella, di rivedere i grandi numeri tra i detenuti. Come ha confermato peraltro anche la relatrice del provvedimento, Carolina Varchi, FdI, che affianca il relatore Giachetti, quando si è riservata di esprimere le sue valutazioni di merito, sentito il gruppo di FdI, “nel seguito dell’esame”. Di sicuro l’idea del bonus non piace al destra-centro, ma c’è ben poco da fare d’altro. I tassi di sovraffollamento crescono e dietro l’angolo c’è la procedura di infrazione europea. Di contro, i tempi per far aumentare i posti detentivi sono lentissimi. Il direttore dell’Amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, ha appena chiarito che se tutto andrà bene tra 2025 e 2026 ci saranno appena 4000 posti in più nelle carceri italiane. Ma il problema è esplosivo qui e ora, e aumenta a ritmi vertiginosi. Se i detenuti sono sempre di più, insomma, non si può certo dire che aumentano allo stesso ritmo i posti letto, né gli organici della polizia penitenziaria o quelli del personale del Dap. Così la vita interna alle celle è sempre più pesante, ma anche più fuori controllo. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ieri ha presentato una fotografia allarmante di quel che accade dietro le mura degli istituti. Stanno dilagando i telefoni cellulari che entrano illegalmente nei penitenziari. Secondo i dati dello stesso ministero, nei primi 9 mesi del 2020, sono stati ben 1.761 gli apparecchi rinvenuti nelle carceri italiane, requisiti all’interno o bloccati prima del loro ingresso. L’unico contrasto efficace dello Stato potrebbero essere i “jammer”, ossia disturbatori di frequenza che inibiscano le comunicazioni e “schermino” gli edifici. “Non è - riconosce il ministro - un problema facile. In alcuni istituti si può anche fare, in altri mi sembra più difficile. Gran parte delle carceri è costituita da edifici vetusti, per i quali è difficile una schermatura circoscritta. Si pensi a Regina Coeli, che è piazzata nel centro di Roma. Le carceri dove questa schermatura funziona, sono piazzate in mezzo al deserto dell’Arizona o dello Utah o del Texas. Da noi bisogna essenzialmente intervenire sui controlli preventivi, con i metal detector”. Liberazione anticipata (speciale e ordinamentale), uno strumento contro il sovraffollamento di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 22 febbraio 2024 La commissione Giustizia della Camera ha avviato l’esame della proposta di legge presentata da Roberto Giachetti di Italia viva con l’associazione “Nessuno Tocchi Caino”. Finalmente in Commissione Giustizia della Camera è stata dedicata l’attenzione necessaria alla proposta di legge presentata dal deputato di Italia Viva, Roberto Giachetti, insieme all’associazione Nessuno Tocchi Caino, sulla liberazione anticipata (speciale e ordinamentale). L’obiettivo principale di questa iniziativa è affrontare il problema del sovraffollamento carcerario e migliorare le condizioni di vita e lavoro all’interno delle prigioni. Questo risultato tangibile è il frutto del sacrificio di molte persone (il deputato Giachetti e Rita Bernardini di Nessuno Tocchi Caino in primis), e centinaia di detenuti che hanno sostenuto il Grande Satyagraha. A titolo esemplificativo, si può menzionare la partecipazione attiva di 46 donne (le ormai conosciute “ragazze di Torino” per il loro attivismo) e 64 uomini del carcere “Le Vallette” di Torino, oltre a ben 700 reclusi del carcere di Siracusa. La commissione ha quindi avviato l’esame della proposta di legge. Lo scorso giovedì 8 febbraio si è svolta un’importante discussione in Assemblea riguardante la dichiarazione di urgenza su richiesta del gruppo Italia Viva, motivata dalla crescente preoccupazione per il sovraffollamento carcerario e per il numero allarmante di suicidi registrati nei primi mesi dell’anno nelle carceri. Durante il dibattito, sono intervenuti anche i rappresentanti del gruppo Avs e del Pd, oltre al deputato Benzoni del gruppo Azione, a favore dell’urgenza della questione. La discussione non si è conclusa con una deliberazione, in quanto il deputato Giachetti ha ritirato l’istanza, aderendo alla richiesta del suo collega Pietro Pittalis di Forza Italia, il quale ha esplicitato “un impegno - concordato con il presidente della Commissione giustizia, Ciro Maschio, e con il consenso dei rappresentanti dei gruppi della maggioranza - affinché questa proposta venga incardinata in Commissione giustizia nella prossima seduta’. Passando al merito la proposta di legge è di due articoli. Il primo mira ad aumentare da 45 a 60 giorni la riduzione di pena per ogni semestre di detenzione ai fini della liberazione anticipata, mentre il secondo articolo prevede di introdurre per i prossimi due anni un ulteriore aumento dei giorni di sconto di pena (da 60 a 75). La modifica proposta all’articolo 54 della legge 354/ 1975 mira a riconoscere e incentivare la partecipazione dei detenuti all’opera di rieducazione, favorendo così il loro reinserimento sociale. Altro punto cruciale è la decisione sulla liberazione anticipata. La proposta di legge prevede che la competenza su questa decisione, in via generale, spetti al direttore dell’istituto penitenziario, con un’eccezione nel caso in cui il detenuto abbia subito una sanzione disciplinare che comprometta il suo percorso di rieducazione, caso in cui la competenza torna al magistrato di sorveglianza. Questa modifica, come affermato nella relazione illustrativa, è giustificata dal fatto che “ogni anno i tribunali di sorveglianza riescono a evadere solo poche migliaia di pratiche riguardanti la liberazione anticipata dei detenuti”. L’articolo due inserisce un ulteriore incremento dei giorni di sconto di pena per la liberazione anticipata da 60 a 75 giorni per i due anni successivi alla data di entrata in vigore della legge. Il secondo comma prevede un ulteriore incremento della detrazione di pena, come già previsto dal primo comma, per i detenuti che hanno già beneficiato della liberazione anticipata a partire dal 1° gennaio 2016, a condizione che dimostrino continuativamente un comportamento rieducativo durante l’esecuzione della misura. Questa disposizione sembra introdurre un nuovo metodo valutativo, diverso dalla valutazione semestrale ordinaria prevista dall’articolo 54, comma 1, dell’ordinamento penitenziario. In questo caso, la valutazione sarebbe ‘ unitaria’ e considererebbe il comportamento complessivo del detenuto nei semestri successivi a quelli in cui ha già beneficiato dello sconto ordinario di 45 giorni. Il terzo comma specifica che la detrazione di pena proposta si applica anche ai semestri di pena ancora da scontare al 1° gennaio 2016. Queste disposizioni, come sottolineato nella relazione illustrativa della proposta di legge, mirano a contrastare il sovraffollamento carcerario e a fornire un necessario ristoro per le condizioni detentive aggravate dalle misure adottate durante la pandemia di Covid- 19. Esse presentano somiglianze con le disposizioni relative alla liberazione anticipata speciale prevista dall’articolo 4 del Decreto Legge 146/ 2013 (convertito con modifiche dalla Legge 10/ 2014) riguardante misure urgenti per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e per la riduzione controllata della popolazione carceraria. Questo decreto, adottato in risposta al grave sovraffollamento carcerario, è stato emesso dopo la sentenza della Cedu dell’ 8 gennaio 2013, conosciuta come la sentenza pilota Torreggiani. A tal proposito, la scheda di lettura per l’esame di questo progetto di legge, ci tiene a ricordare che l’articolo 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali proibisce la tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti. La sentenza Cedu nel caso Torreggiani ha ribadito che gli Stati hanno l’obbligo di garantire condizioni di detenzione compatibili con il rispetto della dignità umana e il benessere del detenuto. La Corte ha sottolineato che la mancanza di spazio nelle celle può costituire una violazione dell’articolo 3. In tale sentenza, la Cedu ha riconosciuto che il sovraffollamento carcerario in Italia era dovuto a problemi strutturali del sistema penitenziario e ha ordinato alle autorità nazionali di adottare misure preventive e correttive entro un anno. Come ha ricordato il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Russo, nel corso di un’audizione davanti alla commissione Giustizia della Camera, sono 60.926 i detenuti presenti nelle carceri italiane al 19 febbraio. Tra questi 44.681 con condanna definitiva e 9.536 in attesa di primo giudizio. Il capo del Dap ha anche ricordato che “sono 21 le donne con 24 bambini negli istituti detti Icam, anche se in realtà solo quello di Lauro è specifico per questi trattamenti mentre gli altri sono reparti specializzati con una vocazione avanzata ma inseriti in istituti ordinari”, sottolineando anche che che nei dati mancano quelli delle case famiglia di Roma e Milano. Ricordiamo i posti ufficiali disponibili sono 51.347. Ciò significa che il sistema carcerario italiano opera di gran lunga oltre il suo limite, senza dimenticare che vanno sottratti 3.000 posti inagibili. Una tendenza in crescita che vede un incremento significativo rispetto all’anno precedente, con un aumento di oltre 7.000 detenuti dall’inizio del 2021. Tale aumento, che corrisponde a una media mensile dello 0,8% negli ultimi sei mesi, mette in evidenza una situazione che si fa sempre più critica col passare del tempo. Questo dato va accompagnato dall’aspetto particolarmente preoccupante rappresentato dal numero crescente di suicidi all’interno delle carceri nel corso dei primi due mesi 2024. Dall’inizio dell’anno, in appena due mesi, siamo giunti a 19 suicidi (venti se consideriamo il migrante al cpr di Ponte Galeria) e 26 detenuti morti tra “cause naturali” e ancora da accertare. Cifre confermate dal capo del Dap che ha specificato: “Sui 19 suicidi del 2024 7 erano definitivi, 8 in attesa di primo giudizio e 3 con posizione giuridica mista, un solo detenuto era appellante”. L’emergenza è chiara. Il decreto Caivano sta riempiendo di nuovi detenuti le carceri minorili di Valeria Casolaro L’Indipendente, 22 febbraio 2024 Dopo le vicende di cronaca aventi come oggetto gli stupri di due bambine nel comune di Caivano (Napoli), il governo Meloni ha elaborato quello che è stato poi soprannominato “decreto legge Caivano”, contenente “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”. L’obiettivo esplicitamente dichiarato dal governo era inasprire le pene contro i giovani che delinquono, con iniziative volte a rendere più facile l’accesso al carcere dei minori. Sei mesi dopo, gli effetti del decreto sono già evidenti: all’inizio del 2024 sono già 500 i detenuti negli Istituti Penali per Minorenni (IPM) italiani, numero che non veniva raggiunto da oltre 10 anni. Solo un anno fa erano 340, 243 nel gennaio 2022. A lanciare l’allarme è l’associazione per i diritti dei detenuti Antigone che, nel presentare il VII rapporto sulla giustizia minorile in Italia, Prospettive minori, spiega come aumentare il ricorso alle misure cautelari (a scapito di progetti di rieducazione) sia una politica in assoluto “perdente”, quando non addirittura controproducente. Il numero dei detenuti negli IPM è drasticamente cresciuto negli ultimi anni, passando dagli 835 del 2021 ai 1143 del 2023. Si tratta della cifra più alta degli ultimi 15 anni. Il tutto, a fronte di un numero di reati sostanzialmente stabile (il dato attuale è in linea con quello di 10 anni fa). Il merito, secondo Antigone, è tutto del decreto legge Caivano, che tra le altre cose ha aumentato del 37,4% gli ingressi per reati legati alle droghe in un solo anno - senza che siano stati fatti investimenti sui servizi per la tossicodipendenza o sull’educazione nelle scuole. L’aumento degli ingressi negli IPM nell’ultimo anno è dovuto, per la stragrande maggioranza, all’impennata di misure cautelari. Questo avviene perchè dl Caivano imprime una “involuzione normativa” che favorisce un approccio repressivo piuttosto che rieducativo, mettendo così del tutto in secondo piano l’interesse superiore del minore. In aggiunta a ciò va evidenziato come il tasso di recidive sia direttamente proporzionale all’ingresso dei giovani negli istituti penali, numero che aumenta quando i ragazzi, raggiunti i 18 anni, vengono trasferiti negli istituti per adulti, interrompendo di fatto ogni percorso rieducativo - fino a prima dell’entrata in vigore del dl Caivano, i minori che compivano un reato potevano restare negli IPM fino ai 25 anni. Tra le principali novità introdotte dal decreto legge vi sono l’estensione del daspo urbano ai maggiori di 14 anni, l’aumento di un anno della durata del foglio di via, il potenziamento della facoltà di arresto in flagranza e la pena per il reato di spaccio anche di stupefacenti di lieve entità. A queste si aggiunge la possibilità del questore di vietare l’utilizzo del cellulare ai soggetti di età superiore ai 14 anni, la reintroduzione della custodia cautelare per i minorenni imputati che tentano la fuga o anche in via precauzionale, perchè potrebbero fuggire, e viene introdotta una nuova fattispecie di reato che prevede il carcere fino a due anni per i genitori che non mandano a scuola i figli in età di obbligo scolastico - misura dagli effetti controproducenti, perchè sottrae al minore la figura di riferimento. “Il modello della giustizia minorile in Italia, fin dal 1988, data in cui entrò in vigore un procedimento penale specifico per i minorenni, è sempre stato un vanto per il Paese. Mettendo al centro il recupero dei ragazzi, in un’età cruciale per il loro sviluppo, nella quale educare è preferibile al punire, ha garantito tassi di detenzione sempre molto bassi, una preferenza per misure alternative alla detenzione in carcere, come ad esempio l’affidamento alle comunità e ottenuto un’adesione al percorso risocializzante ampio da parte dei giovani. Dal decreto Caivano in poi, invece, il rischio che questi 35 anni di lavoro vengano cancellati e i ragazzi persi per strada è una prospettiva drammatica e attuale” commenta Antigone. Per il presidente, Patrizio Gonnella, “le nuove norme hanno inteso rompere con una bella storia italiana, che era quella della residualizzazione della risposta detentiva nei confronti dei minori”. Il numero medio dei detenuti negli IPM “non è mai stato preoccupante”, fattore che ha sempre posto l’Italia come “modello da seguire” all’estero. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone, commenta come “non stupisce” che molti giovani, spesso con un vissuto tragico alle spalle, “arrivino in carcere con dipendenze da alcol o da sostanze e con disturbi mentali. Si tratta di ragazzi che hanno bisogno di essere protetti, sostenuti e indirizzati. L’istituzione li tratta spesso invece come seccature da neutralizzare”. Di fatto, il dl Caivano sembra delinearsi come l’ennesima iniziativa emergenziale di questo governo, la cui politica è quella di risolvere con la criminalizzazione e la repressione tutti i problemi sociali - metodo più volte dimostratosi inefficace e dannoso. Quello che manca del tutto sembra essere la capacità di pensare e mettere in pratica iniziative strutturali davvero efficaci, volte a risolvere il disagio sociale e non a nasconderlo sotto al tappeto. Sempre più ragazzi dentro, sempre più indifferenza fuori di Giuseppe Rizzo Internazionale, 22 febbraio 2024 Li riteniamo troppo piccoli per affittare un appartamento, guidare o votare: ma li consideriamo abbastanza grandi per incarcerarli. Oggi in Italia ragazze e ragazzi minorenni finiscono in prigione sempre di più, sempre più giovani e con sempre maggiore indifferenza degli adulti, salvo di quelli che sognano per loro la galera con ostinazione e precisione. Secondo il nuovo rapporto dell’associazione Antigone, i detenuti negli Istituti penali per minorenni, dove si può restare fino ai 25 anni se si studia o si partecipa a un progetto di reinserimento, sono circa cinquecento: e non si registrava un numero così alto da dieci anni. Dal 2014 in media erano stati circa quattrocento, trecento durante la pandemia. I ragazzi detenuti che hanno meno di diciotto anni oggi sono quasi il 60 per cento. Due anni fa succedeva esattamente il contrario: i maggiorenni erano il 60 per cento, i minori il 40. Le ragazze sono tredici. Gli stranieri sono più della metà, e sono i più giovani e i più fragili, perché senza le reti di protezione dei coetanei italiani. Per questo motivo molti pagano il prezzo più alto: privi di una famiglia in Italia che scoraggi i direttori a trasferirli, sono spediti da un istituto all’altro invece di essere aiutati ad affrontare disturbi comportamentali, dipendenze e violenze subite durante i percorsi migratori. Oltre a quello degli ingressi, passati da 835 nel 2021 a 1.143 nel 2023, l’aumento più preoccupante è quello dei detenuti in misura cautelare, cioè con processi ancora in corso: nel gennaio 2024 erano 340, mentre nel 2023 erano 243. Significa che è sempre più calpestato il principio fissato dalla riforma della giustizia minorile del 1988, per cui la galera doveva essere l’ultimo dei posti in cui rinchiudere gli adolescenti. In questi 36 anni il modello ha accumulato diversi problemi ma al suo meglio ha dimostrato di funzionare, abbassando la recidiva e immaginando delle alternative alle celle perfino per i reati più gravi come l’omicidio. Di fronte a questo cambio di tendenza, ci si potrebbe aspettare che sia mutato il quadro, che sia cresciuto per esempio il numero di reati, ma non è così: “Nel 2015 era lo stesso”, scrive Antigone. Secondo l’associazione la causa è il cosiddetto decreto Caivano. Approvato dal governo di Giorgia Meloni il 7 settembre 2023, dopo che due ragazze erano state stuprate da un gruppo di adolescenti, ha riportato le lancette indietro nel tempo. Il testo prevede pene più severe per chi ha compiuto reati sotto i diciotto anni e la galera come orizzonte, invece che come soluzione estrema. L’aumento dei ragazzi in carcere, nonostante siano ancora in attesa del processo o della sentenza, è un “segno evidente degli effetti del decreto Caivano”, scrive Antigone. Prima, nelle fasi precedenti alla eventuale condanna, si cercavano di evitare le celle. Un altro effetto del provvedimento “è la notevole crescita degli ingressi negli istituti” per “fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti”, con un aumento del 37,4 per cento in un solo anno. Esclusi da un processo democratico che potrebbero influenzare attraverso il voto, e che li riguarda da vicino con provvedimenti che franano sulle loro vite in modo drammatico, ragazze e ragazzi sono per lo più trattati in due modi: come immaturi, quando per esempio scendono in strada a protestare in difesa dell’ambiente; come minacce, quando sono protagonisti di fatti di cronaca, non necessariamente gravi. Se va bene incontrano sarcasmo o indifferenza, se va male sono spediti in cella. Ma un adolescente che cresce in carcere è una sconfitta per tutti. Carceri: non possiamo tacere, non vogliamo restare inerti di Associazione Antigone, Magistratura Democratica, Unione Camere Penali Italiane Ristretti Orizzonti, 22 febbraio 2024 Ormai non è in gioco solo la dignità dei detenuti, si tratta di preservare la loro stessa vita. Dal 1° gennaio di quest’anno sono già 19 i suicidi in carcere e 24 le persone le persone decedute in stato di detenzione. Questi suicidi, maggiori di oltre 10 volte rispetto al tasso medio di suicidi nella società dei “liberi”, nascono spesso da uno stato di disperazione indotto dalle miserevoli condizioni di vita cui sono soggetti i detenuti. E spesso si tratta di soggetti giovani, che devono scontare condanne non lunghe o addirittura prossimi alla scarcerazione. 60.637 sono le persone oggi ristrette in carcere a fronte di 51.347 posti ufficiali, dei quali però alcune migliaia sono indisponibili. Il tasso di affollamento medio (calcolato sui posti ufficiali e non su quelli realmente disponibili) è del 118,1% ma come sempre negli ultimi tempi le regioni più in difficoltà sono la Puglia (143,1%) e la Lombardia (147,3%). Gli istituti più affollati sono Brescia “Canton Mombello” (218,1%), Grosseto (200%), Lodi (200%), Foggia (189%), Taranto (182,2%) e Brindisi (181,51%). Si viene ammassati in luoghi angusti e fatiscenti e siamo giunti oramai oltre i confini della civiltà e del rispetto dei diritti minimi e della stessa dignità della persona. Molte di queste persone sono detenuti in attesa di giudizio che scontano carenze del sistema carcerario prima dell’accertamento definitivo della loro responsabilità. In queste condizioni non è possibile alcuna attività tesa al reinserimento sociale del detenuto, non si può studiare, non si può lavorare, non sì è adeguatamente seguiti da medici e psicologi. Del resto lo stesso personale di supporto previsto dalla legge e dai regolamenti è gravemente sotto organico, il che significa un sostanziale abbandono di qualsiasi prospettiva rieducativa. Non è lontano il giorno in cui il sovraffollamento delle nostre carceri raggiungerà i livelli che portarono la Corte Europea alla condanna nel caso Torreggiani ed altri c. Italia. Una nuova condanna, che con questo trend riteniamo inevitabile, costituirebbe un’onta per il Paese e metterebbe in pericolo istituti di cooperazione penale internazionale, quali estradizioni e mandati di arresto europei, che si basano sulla reciproca fiducia tra gli Stati-parte che il trattamento delle persone consegnate allo Stato richiedente sia conforme alle norme della Convenzione Europea. Di fronte a questo stato di cose, assistiamo ad una politica penale che, anziché ridurre le ipotesi di carcerazione, viene piegata a logiche populiste e securitarie, introducendo nuovi reati ed aumentando le pene per quelli esistenti: ed ancora indica nella costruzione di nuove carceri o nella trasformazione di caserme dismesse la soluzione del problema: senza però precisare che costruire istituti di pena richiede anche dieci anni e che vecchie caserme abbandonate ben difficilmente potrebbero diventare luoghi di detenzione. In questa gravissima situazione non possiamo restare inerti. Le nostre Associazioni fedeli ai principi di civiltà giuridica di cui agli artt. 2, 3, 24 e 27 della Costituzione, intendono collaborare, nella loro riaffermata autonomia e libertà di iniziativa, affinché non scenda un colpevole silenzio su di una situazione tanto drammatica quale quella delle carceri e dei detenuti. Chiediamo perciò in tempi brevi un incontro col Ministro della giustizia al fine di rappresentare al più alto livello di responsabilità in materia la situazione ormai intollerabile del nostro sistema penitenziario. Nordio: “Salute fisica e psichica centrale per dignità dei detenuti” agi.it, 22 febbraio 2024 “Nessuno, a partire dalle donne, si abbandoni alla mancanza di speranza quando è ristretto in carcere. Anche con una leale e solidale collaborazione tra pubblico e privato possiamo concretamente affrontare i tanti bisogni del mondo penitenziario, a cominciare da quello fondamentale della salute fisica e psichica, che è il nucleo essenziale della dignità umana”. Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio in occasione della presentazione del documentario ‘Together’, scritto da Vanessa Collini Sermoneta e diretto da Donato Sileo, nato dal progetto di Atena Donna per la prevenzione e gli screening nelle case circondariali. Il documentario è stato girato, grazie a Rai Cinema, nella casa circondariale di Pozzuoli e dà voce alle detenute che hanno deciso di raccontarsi e spiegare in che misura un progetto che mira al benessere psico-fisico può portare nel quotidiano a una qualità di vita migliore. “Raccontare progetti rivolti al quotidiano benessere-psicofisico della popolazione detenuta - afferma il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Russo - costituisce una testimonianza importante di ciò che viene realizzato nelle carceri attraverso l’impegno quotidiano di personale e operatori. Su questo il Dap sta concentrando energie e risorse. In questo senso accogliamo con gratitudine il prezioso contributo di cui da anni la Fondazione Atena si fa interprete all’interno dei nostri istituti”. Carla Vittoria Maira, presidente di Atena Donna, ha rilevato che “il tempo è la cosa più preziosa cha abbiamo: durante il lockdown ho fatto questa riflessione e ho pensato che potesse diventare un’opportunità per le donne ristrette fare in modo che il tempo che hanno a disposizione diventi l’occasione per investire su sé stesse anche soprattutto pensando alla propria salute e quindi al proprio futuro”. Dal settembre 2022, nella casa circondariale di Pozzuoli, con il professor Raffaele Landolfi, internista ematologo docente presso l’Università del Sacro Cuore di Roma, è iniziato il progetto dei Gruppi-Benessere formati in collaborazione con lo staff medico della struttura penitenziaria. “Nella condizione di reclusione, come in altre situazioni stressanti - spiega il professor Landolfi - il rischio è che il disagio psicologico inneschi peggiori comportamenti negativi per la salute. Fumo e alimentazione, ad esempio, spesso vissuti come gratificazioni utili ad alleviare il disagio, creano in realtà ulteriore malessere, alimentando una spirale negativa che invece il percorso benessere ha l’ambizione di invertire”. Debora Serracchiani: “Pd attento agli ultimi. Il carcere, una priorità” di Angela Stella L’Unità, 22 febbraio 2024 “Per i minori la prigione era l’extrema ratio, il decreto Caivano ha ribaltato il paradigma. Il dl Cutro? Il panpenalismo emozionale del governo produce leggi scritte male e contrarie alla Costituzione. La separazione delle carriere? Ho pochissima fiducia”. Riforme della giustizia ed esecuzione penale: ne parliamo con l’onorevole Debora Serracchiani, responsabile giustizia del Partito Democratico. È di martedì la notizia che il Governo ancora prende tempo sui pareri relativi ai decreti attuativi su Ordinamento giudiziario e fuori-ruolo. Non è paradossale che il governo discuta le modifiche da fare al suo stesso decreto legislativo, svilendo il ruolo delle Commissioni? La maggioranza è divisa e non riesce a trovare una sintesi e con essa il Governo. Questo accade spesso costringendo le Commissioni a periodi di inattività o, al contrario, a decise accelerazioni che incidono negativamente sulla qualità dell’azione legislativa. Nel merito della questione dei fuori ruolo ciò che il governo prospetta è una riduzione minimale che non utilizza gli spazi concessi dalla riforma Cartabia che consentivano la riduzione ben più significativa dei magistrati fuori ruolo. Noi, a differenza della maggioranza di destra, non abbiamo mai pensato che la funzione del magistrato fuori ruolo debba essere contrastata in sé perché quelle competenze sono estremamente utili. Ciò che va evitato è un numero eccessivo che finisce per determinare due conseguenze negative: una maggiore scopertura di organico della magistratura e una relazione troppo stretta tra politica e magistratura che invece meritano di essere distinte Secondo il rapporto Antigone, a causa del decreto Caivano stanno aumentando i minori nelle carceri. Eppure il sottosegretario Ostellari al Foglio aveva detto che giustizia minorile non equivale al solo carcere... I numeri sono chiari e ineludibili. Da questi non si può sfuggire: dall’inizio del 2024 sono già 500 i ragazzi detenuti nei 17 istituti di pena per minori presenti sul territorio nazionale. È il record degli ultimi dieci anni. È fuor di dubbio che con il dl Caivano si è facilitato l’uso delle misure cautelari per i minori. La previsione di nuovi reati, l’inasprimento delle pene e la spinta solamente repressiva, non solo non hanno nessun effetto deterrente come è evidente, ma stravolgono il processo penale che era un fiore all’occhiello del nostro Paese. Fino ad ora il carcere per il minore era l’extrema ratio e la rieducazione e il reinserimento sociale la priorità. Questo paradigma è stato capovolto. Lei ha dichiarato: “La separazione delle carriere è sbagliata perché compromette l’obbligatorietà dell’azione penale con pubblici ministeri che finiranno sotto l’esecutivo. Una riforma che, nei fatti, minerà l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”. Eppure Nordio ha escluso più volte questa possibilità ma soprattutto la proposta dell’Unione Camere Penali recepite da quattro gruppi in Commissioni Affari Costituzionali esclude letteralmente questa possibilità. Allora perché questa preoccupazione? Mi permetta di risponderle che ho pochissima fiducia nelle parole del Ministro Nordio che dichiaratosi garantista e liberale ha introdotto nell’ordinamento da quando si è insediato una decina di nuovi reati e dimostrato di poter vestire senza troppi problemi la giacchetta del panpenalista. Lo stesso Ministro Nordio, peraltro, più volte è stato smentito dalla propria maggioranza. Quanto alle Pdl depositate, nei fatti saranno sotto l’esecutivo. Del resto nei Paesi a cui spesso si fa riferimento, i pubblici ministeri sono eletti direttamente dal popolo, oppure sotto l’esecutivo o indipendenti. Una volta separati dalla magistratura indipendente ed aui pubblici ministeri non opereranno certo nell’iperuranio. Detenuto picchiato a Reggio Emilia, molti punti oscuri sulla morte di Stefano Dal Corso, suicidi in aumento. Cosa stanno diventando le nostre carceri? La magistratura in modo rigoroso dovrà accertare i fatti e determinare le responsabilità. Le nostre carceri, spesso fatiscenti, con spazi inadeguati e sempre più sovraffollate stanno diventando una sorta di discarica sociale e la tensione cresce. A questo si aggiunga la cronica carenza degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori, dei medici, degli psicologi, dei funzionari giuridico pedagogici e del servizio sociale. Lei e il suo collega Gianassi avete accusato Delmastro di “dare i numeri” sulle carceri”. Ci spiega meglio? I posti disponibili nelle carceri italiane sono circa 47.000, a fronte di oltre 61.000 reclusi. Delmastro prima di dare numeri a casaccio, dovrebbe confrontarsi con il capo del Dap. Mentre per il sottosegretario il governo assicurerà 7.300 posti in più nelle carceri per colmare i 9.100 mancanti, per Russo l’obiettivo del Governo è realizzare 3.800 nuovi posti! I conti non tornano. Tra l’evento al Nazareno e i numerosi emendamenti presentati al Ddl Nordio vi siete concentrati molto sulle carceri. Non temete in vista delle Europee di portare avanti un tema impopolare? Il carcere è nel bene e nel male lo specchio della società. Il Pd ha nel proprio dna l’attenzione agli ultimi e ai fragili, per questo il carcere è una nostra priorità. Del resto occuparsi del carcere significa occuparsi anche di sicurezza e garantirla, come dice il prof. Giostra, preoccupandosi non di “quando” esce un detenuto ma di “come” esce dal carcere. Tutto il contrario di quanto sta facendo il Governo. Ddl Nordio: voi avete presentato diversi emendamenti. Tuttavia il contraddittorio anticipato e il gip collegiale servono a tutelare maggiormente l’indagato... Sul contraddittorio anticipato non abbiamo sollevato obiezioni di principio, solo chiesto che ci fosse una deroga più ampia per reati particolarmente gravi. Quanto al GIP collegiale, il problema è che si tratta di una previsione del tutto inapplicabile, perché con gli obblighi di astensione soprattutto nei piccoli tribunali si rischia la paralisi dell’attività, a meno di un aumento straordinario degli organici che non è fattibile né tantomeno previsto. Una giudice di Brindisi ha sospeso il fermo della Ocean Viking. Un altro buco dell’acqua del decreto Cutro, dopo le decisioni Apostolico e il rinvio delle SSUU alla Corte di Giustizia Europea... Il panpenalismo emozionale di questo Governo produce in molti casi leggi scritte male e in modo frettoloso, spesso neppure rispettose dei principi costituzionali ed internazionali. Quali sono al momento i rapporti tra politica e magistratura? Non ritiene che la figura del sottosegretario Mantovano, ex esponente della corrente Mi, possa condizionare la politica giudiziaria in un senso ben preciso? La presidente Meloni aveva detto di essersi lasciata alle spalle il conflitto con la magistratura. Non è evidentemente così e i fatti parlano da soli. Ed è un fatto, altresì, che il Parlamento sia spesso esautorato della propria iniziativa e che tutto venga fatto dal Governo e da palazzo Chigi attraverso decreti legge. Come crede che il Governo stia gestendo il caso di Ilaria Salis? Il Governo ha iniziato ad occuparsi di Ilaria Salis con molto ritardo e solo dopo che il caso ha avuto visibilità mediatica. Sorprendenti e surreali in questo senso le parole del Ministro Tajani sulla impossibilità che Ilaria potesse essere ospitata nell’ambasciata italiana e quelle del Ministro Nordio che ha ritenuto addirittura responsabili i familiari della detenzione patita. “Joule”, progetto per i detenuti nei centri distributivi di Civitavecchia e Sardegna di Davide Madeddu Il Sole 24 Ore, 22 febbraio 2024 Il pregiudizio iniziale è stato superato molto velocemente. L’impegno e la voglia di riscatto dei detenuti hanno fatto il resto. Perché quell’impiego è diventato la chiave per la nuova vita oltre il carcere. Roberto Pau, è il presidente della “Joule”, azienda di logistica che lavora per il gruppo Conad Nord Ovest, 400 dipendenti distribuiti tra Lazio e Sardegna, che ha assunto otto detenuti. Nei depositi della sua azienda i dipendenti si occupano dello smistamento e distribuzione delle merci che finiscono poi nei supermercati della grande distribuzione del Lazio e della Sardegna. Gli operatori che, giusto per chiarire, con il loro lavoro garantiscono il rifornimento costante degli scaffali dei punti vendita dei grandi marchi delle due regioni. Un lavoro che per otto di loro è diventato il punto di partenza per una nuova esistenza nel solco della legalità. “L’idea è nata quasi per caso, nel corso di un incontro con la dottoressa Flavia Filippi di Seconda Chance, (l’associazione che si adopera per trovare un impiego ai detenuti) - racconta Roberto Pau -, in quell’occasione ci è stata prospettata questa possibilità, ossia di far lavorare i detenuti”. Una proposta cui i responsabili dell’azienda, “dopo un ragionamento approfondito” hanno deciso di aderire portando avanti il progetto. A supportare l’iniziativa, che passa per un iter rigoroso, ci sono anche le agevolazioni economiche e fiscali previste dalla legge Smuraglia promossa per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti nelle aziende. “Una volta presa questa decisione e avviato il percorso abbiamo iniziato a fare i colloqui - aggiunge il manager - e quindi abbiamo cercato di individuare, anche grazie al lavoro degli educatori, le persone da inserire in organico”. A seguire, l’assunzione dei primi quattro detenuti superando anche qualche diffidenza iniziale. “È chiaro che all’inizio un po’ di pregiudizio c’è stato, anche perché quando si parla di logistica e si sente quanto racconta la cronaca può sorgere qualche perplessità - racconta ancora il manager - devo dire però che tutto è stato subito superato. Anche perché gli educatori sono molto bravi nelle valutazioni. Da questo punto di vista ci siamo sentiti abbastanza tranquilli e ci siamo resi conto che questi ragazzi non vedevano l’ora di uscire dal carcere e per questo motivo sono molto attenti a rispettare le regole”. Ai primi quattro detenuti inseriti nel centro di distribuzione di Civitavecchia se ne aggiungono altri quattro che vanno a lavorare in quello della Sardegna. All’interno dei capannoni i dipendenti, dopo un periodo di formazione e inserimento in organico, si occupano delle attività di “movimentazione manuale dei carichi e quindi delle merci destinate alle varie strutture”. Scarico merci, divisione e distribuzione prima del trasferimento sui camion che poi arrivano nei piazzali dei supermercati. Tra scatoloni e pacchi inizia la nuova vita dei detenuti lavoratori che riescono ad ambientarsi molto facilmente, instaurando anche “buoni rapporti” con i colleghi. “Devo dire che da parte degli altri dipendenti c’è stata grande comprensione e la scelta è stata accolta con molto favore - aggiunge ancora Pau, inoltre l’integrazione dei lavoratori con gli atri è stata molto rapida”. L’imprenditore racconta poi un altro particolare. “I ragazzi raccontano in maniera serena sia la loro vita passata sia i motivi per cui sono finiti in carcere. Ma anche quello che sperano di fare in futuro. Questo è il segno di una crescita e di una voglia di riscatto importante”. Percorso di crescita che mette assieme sia chi ha sbagliato e ora vuole riscattarsi con un nuovo impiego e una nuova vita, sia le imprese. Non a caso cita proprio il fatto che “in questi giorni, siamo riusciti a trovare un’altra azienda che si occupa di logistica che ha assunto due persone e ne cerca altre due da impiegare nei propri cantieri”. Per Roberto Serafini vice presidente di Joule e consigliere di amministrazione di Conad Nord Oves “il merito va tutto a chi, come l’associazione Seconda Chance si impegna per mettere assieme imprese e detenuti perché, purtroppo, in giro c’è molto pregiudizio. Noi oltre alla tenacia della dottoressa Filippi abbiamo avuto il sostegno dell’amministratore delegato di Conad Nord Ovest Adamo Ascari che ha sposato questo progetto”. Dal manager anche un auspicio: “Più che risorse alle imprese che assumono - conclude - sarebbe il caso che si guardasse positivamente e e ci fossero dei mezzi di sostegno per le associazioni che si adoperano per mettere in comunicazione questi due mondi e dare quindi una nuova opportunità a chi ha sbagliato, andando oltre il pregiudizio”. Nordio cede sulla tortura e inventa “modifiche tecniche” di Patrizio Gonnella* Il Manifesto, 22 febbraio 2024 La truffa delle etichette nella riforma richiesta dai sindacati autonomi di polizia. La scelta, Ministro, è politica. Ci appelliamo dunque a chiunque abbia a cuore lo Stato di diritto affinché esprima forte e radicale dissenso rispetto a chi vuole toccare la legge. “Il governo è al lavoro per modificare il reato di tortura adeguandolo ai requisiti previsti dalla convenzione di New York”. Sono queste le parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, durante il question time alla Camera. Il ministro, nell’annunciare l’ennesimo disegno di legge governativo sui temi della sicurezza, ha affermato che sarebbe un problema solo tecnico e che intende adeguare la normativa italiana a quella Onu, allo scopo di meglio specificare le condotte incriminate e limitare le responsabilità di chi commette atti violenti ai soli casi nei quali vi sarebbe una intenzionalità specifica. No, ministro Nordio, la questione non ha nulla di tecnico. Non è qualcosa che ha a che fare con le disquisizioni salottiere di legulei raffinati. La questione è solo ed esclusivamente politica, al limite culturale o umanitaria. Mettere mano oggi al delitto di tortura, la cui approvazione risale non alla notte dei tempi ma al 2017, significa dare un messaggio di impunità a tutti coloro che si nutrono di violenza. Significa dare ragione a chi pensa che le forze dell’ordine necessitino delle mani libere. Significa rispondere alle richieste dei sindacati autonomi di Polizia che hanno sempre criticato la legge in vigore contro la tortura. Significa non tenere conto che la parola tortura ha finalmente fatto ingresso nelle Corti, dalla porta principale. Significa purtroppo non rispettare le vittime di tortura che attendono giustizia da anni. Significa mettere a rischio processi come quello per i pestaggi e le mattanze di Santa Maria Capua Vetere o di Reggio Emilia, dove le immagini hanno mostrato il volto brutale della violenza. Se mai i propositi del ministro Nordio andassero in porto possiamo immaginare che le difese dei presunti torturatori chiederanno la sospensione dei procedimenti in corso, in primo grado così come in appello, mettendo a rischio decisioni, condanne. In questo modo quella che viene presentata come un tecnicismo, in sostanza è un’anticipazione di possibile impunità. Modificare l’articolo 613-bis che proibisce la tortura per adeguarla alle norme Onu è una truffa delle etichette, tanto più che la destra è stata sempre, sin dal 1998, la più radicale oppositrice alla introduzione del delitto di tortura nel Codice penale, nonostante allora una parte dei leghisti e lo stesso Berlusconi ne erano invece favorevoli. Il codice penale e le leggi speciali sono pieni di norme scritte male, prive dei requisiti di tassatività e offensività e il Ministro, lo stesso che aveva presentato alle Camere il delitto di rave party, preannuncia la modifica proprio del solo delitto di tortura. Un caso? No. È una scelta politica che di tecnico ha ben poco. Una decisione che, va ricordato, mette mano a un crimine contro l’umanità, il crimine dei potenti. Sì, perché la tortura è il crimine dei forti contro i deboli. È l’espressione del potere brutale e cieco di punire, incompatibile con le garanzie dello Stato democratico. In un’Italia dove i diritti umani sembrano essere mal digeriti, in questi ultimi anni dobbiamo ringraziare tutti quei giudici che, usando il loro potere indipendente, hanno portato avanti processi difficili, in alcuni casi arrivando a sentenze esemplari per la loro nitidezza. Le anticipazioni del ministro Nordio sono dunque estremamente preoccupanti per chi come Antigone e Amnesty International, insieme all’allora Garante Mauro Palma, hanno a denti stretti lottato perché nel 2017 quella legge passasse. Chiunque usi la parola garantismo a proposito della decisione politica di stravolgere, a partita in corso, le norme sulla tortura è in mala fede. Il garantismo non è mai la legge del più forte o quella dei potenti. Il garantismo è la legge del più debole. E il più debole è la persona che è nelle mani dello Stato. Ci appelliamo dunque a tutte le opposizioni, ai media, a chiunque abbia a cuore lo Stato di diritto e i diritti umani affinché esprimano il proprio forte e radicale dissenso rispetto a chi vuole toccare il crimine di tortura. Un crimine che dovrebbe vedere lo Stato in prima linea nel contrastarlo e non essere invece preoccupato nel delimitarne i confini. Vorremmo che il governo si costituisse parte civile nel prossimo procedimento per tortura a Reggio Emilia se ci sarà il rinvio a giudizio. Questo è lo Stato che rappresenta tutti noi, poveri e ricchi, custodi e custoditi. Dunque, Ministro, la scelta non è tecnica. La scelta è tragicamente politica. *Presidente dell’Associazione Antigone Il Csm approva la “bacchettata” sul ddl Nordio. Nel mirino abuso d’ufficio e intercettazioni di Valentina Stella Il Dubbio, 22 febbraio 2024 Ieri l’ok a maggioranza del plenum. Evidenziate “criticità” persino sull’introduzione del “gip collegiale” (“c’è carenza d’organico”) e sull’interrogatorio anticipato. Ieri pomeriggio il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha dato il via libera a maggioranza (sei gli astenuti) al parere della VI commissione, presieduta dal togato di Area Marcello Basilico, in merito al ddl Nordio, da poco passato in prima lettura al Senato e assegnato ieri alla commissione giustizia della Camera. Vediamo per singolo tema alcune delle critiche sollevate. Abrogazione dell’abuso d’ufficio: “Appare (...) evidente che si tratta di una soluzione che richiederà una valutazione approfondita ed effettiva dei suoi effetti concreti, onde evitare il rischio, evocato da alcuni”, che essa “determini involontariamente un parziale depotenziamento del microsistema penale dedicato alla lotta contro la corruzione”. Inoltre “il problema della c. d. “paura della firma” potrebbe non essere comunque del tutto scongiurato dalla prefigurata abrogazione, non essendo rari i casi in cui l’abuso d’ufficio è contestato al pubblico amministratore in concorso con altri reati, anche più gravi, quali il delitto di falso o di truffa o le contravvenzioni in materia edilizia”. Le disposizioni in materia di intercettazioni (limiti di intrusione nelle comunicazioni tra il difensore e il proprio assistito): “È stato previsto che l’autorità giudiziaria o gli organi da questa delegati devono interrompere immediatamente le relative operazioni quando risulti che la conversazione o la comunicazione rientra tra quelle vietate”, ossia legate alla strategia difensiva. Come posta la norma, emergerebbe un dubbio interpretativo: l’ascolto deve avere una durata tale da consentire la verifica dell’effettiva attinenza della conversazione rispetto all’attività defensionale con l’obbligo di interromperlo “immediatamente” o l’interruzione dell’ascolto deve essere disposto per il solo fatto che la conversazione intercorre tra il difensore e il proprio assistito? Il divieto di pubblicazione delle intercettazioni: “Le modifiche introdotte si pongono al crocevia tra rilevantissimi e altrettanto delicati interessi potenzialmente confliggenti, da quello concernente il diritto all’informazione - ad informare e ad essere informati - a quello relativo alla tutela della riservatezza e della reputazione di tutti i soggetti variamente coinvolti in un procedimento penale. Tali questioni esulano dal perimetro delle valutazioni consiliare e rientrano nell’ambito della discrezionalità legislativa, spettando all’evidenza al Parlamento individuare il punto di equilibrio tra le esigenze sinteticamente richiamate, in un bilanciamento non sindacabile da parte del Consiglio”. Riservatezza dei terzi estranei: “La disposizione, nel testo approvato dalla Commissione Giustizia, amplia gli obblighi di vigilanza del pm affinché nei verbali delle intercettazioni non siano riportati fatti e circostanze “che consentano di identificare soggetti diversi dalle parti”“. Altresì il giudice, quando procede all’udienza per l’acquisizione delle intercettazioni, deve disporre lo stralcio anche delle registrazioni e dei verbali riguardanti soggetti diversi dalle parti, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. “Il fine che ha ispirato le modifiche, e cioè la tutela della riservatezza dei terzi in posizione di totale estraneità rispetto ai fatti oggetto dell’indagine penale, è ampiamente condivisibile”, tuttavia “sovente accade che interlocutori, in una prima fase apparentemente estranei rispetto ai fatti oggetto delle investigazioni, nel prosieguo dell’ascolto, e per effetto dell’incrocio delle informazioni emergenti dalle conversazioni, risultino in essi coinvolti”. Pertanto, “la regola che si intende introdurre, rigidamente applicata in una fase ancora fluida delle indagini, rischia, dunque, di rendere necessaria una ricostruzione postuma del flusso delle conversazioni”. Interrogatorio preventivo: Tale previsione, “ponendo l’indagato a conoscenza della pendenza nei suoi confronti di una richiesta cautelare, potrebbe rendere meno efficaci quelle attività a sorpresa, come le perquisizioni e i sequestri, normalmente svolte in concomitanza con l’esecuzione delle misure cautelari e, in particolare, della misura della custodia cautelare in carcere, che sovente consentono l’acquisizione di materiale utile alle indagini”. Gip collegiale per le misure cautelari: “È palese che l’introduzione del gip collegiale richiederà l’impiego, nello svolgimento di funzioni Gip, di un numero di magistrati che, soprattutto negli uffici di piccole dimensioni, può risultare pari, se non addirittura superiore, a quelli tabellarmente assegnati all’ufficio gip”. Limiti ai poteri di impugnazione del pm: “Se, la limitazione del potere d’appello del pm che si intende introdurre non è oggettivamente assoluta, perché non estesa a tutti i reati in generale, ma limitata solo a quelli contemplati dall’art. 550 c. p. p., nondimeno l’ablazione dei poteri di impugnazione della parte pubblica è comunque significativa, avendo ad oggetto un numero rilevante di reati, non necessariamente di agevole accertamento processuale e non tutti di attenuata gravità”, “si considerino, a mero titolo esemplificativo, l’istigazione a delinquere, le truffe aggravate, l’appropriazione indebita, la ricettazione e le lesioni stradali gravi e gravissime, il furto, la violazione del divieto di portare armi nelle riunioni pubbliche, la commissione di atti osceni in luoghi frequentati da minori, la pubblica istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope ecc.”. Intanto il parere della VI Commissione sui decreti attuativi su Ordinamento giudiziario e magistrati fuori ruolo arriverà in plenum prima della metà di marzo. Mentre il 6 dello stesso mese, molto probabilmente, si deciderà sul destino dell’ex presidente della Corte costituzionale, Silvana Sciarra, candidata al direttivo della Scuola superiore della magistratura ma invisa a Magistratura indipendente e ai togati di destra, perché indicata dal Pd alla Consulta. Il Csm stronca il ddl Nordio: “Abolire l’abuso d’ufficio facilita la corruzione” di Paolo Frosina Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2024 Il sindaco che non rinnova un incarico “per fini ritorsivi e discriminatori”. Quello che requisisce l’immobile oggetto di una causa cui è personalmente interessato. Quello che nega un’autorizzazione perché “il marito della richiedente non gli aveva fornito adeguato sostegno elettorale”. O quello che ordina “la revoca dell’incarico dirigenziale di un dipendente candidatosi in una lista contrapposta”. Sono tutti esempi recenti di pubblici amministratori condannati in via definitiva per abuso d’ufficio, cioè per aver violato la legge allo scopo di favorire qualcuno danneggiando qualcun altro. Domani, quando il reato non esisterà più, quelle condotte non saranno punibili, e le condanne irrevocabili già emesse (3.623 dal 1997 al 2022) saranno cancellate con effetto retroattivo. A ricordarlo è il Consiglio superiore della magistratura nel parere espresso sul ddl Nordio, il progetto di riforma che abolisce la fattispecie, approvato nei giorni scorsi dal Senato e ora all’esame della Camera per il via libera definitivo. Nel documento approvato ieri dal plenum (con sei astenuti, i laici in quota FI, FdI e Italia viva) i consiglieri di Palazzo dei Marescialli hanno inserito una rassegna di casi concreti per mettere in guardia il Parlamento sulle conseguenze dell’abrogazione: ne viene fuori, scrivono, “un quadro alquanto variegato delle condotte di abuso di vantaggio (profittatorio) o di danno (vessatorio, discriminatorio, ritorsivo o prevaricatorio)” che con la nuova legge non costituiranno più reato. Salvando i sindaci disonesti, certo, ma non solo loro. I soprusi che hanno fondato le condanne confermate in Cassazione negli ultimi anni, infatti, sono stati commessi dalle figure più varie. C’è un dipendente comunale che ha procurato alla società dei propri parenti “l’affidamento diretto di numerosi incarichi per lavori per un importo di svariate migliaia di euro”; oppure un dirigente che, “omettendo di astenersi dal predisporre il bando di gara e dal presiedere la relativa commissione esaminatrice, ha, con affermazioni generiche e non verificabili, dichiarato vincitrice del concorso sua nipote”. O ancora il direttore dell’ente di gestione di un’area protetta che conferisce alla compagna “un incarico retribuito per lo svolgimento di un’attività lavorativa che avrebbe potuto essere svolta da dipendenti dell’ente”. Per questo, si legge nel parere approvato dal plenum, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio “richiederà una valutazione approfondita ed effettiva dei suoi effetti concreti, onde evitare il rischio di un depotenziamento del microsistema penale dedicato alla lotta contro la corruzione”. Il documento contesta anche l’argomento principe dei fautori dell’abolizione, cioè il numero irrisorio di condanne rispetto ai procedimenti aperti: i membri del Csm ricordano che in generale “la percentuale delle archiviazioni dei procedimenti penali si attesta intorno al 62%” e che “il divario tra iscrizioni e condanne rivela la capacità della giurisprudenza di svolgere la necessaria opera di filtro degli abusi penalmente rilevanti”. Secondo il Csm, inoltre, cancellare la fattispecie potrebbe non servire nemmeno a liberare i sindaci dalla famigerata “paura della firma”, “non essendo rari” - si legge - “i casi in cui l’abuso d’ufficio è contestato al pubblico amministratore in concorso con altri reati, anche più gravi”, come il falso o la truffa. Fratelli di trojan. Aumenta l’uso del captatore che spia tutto di Ermes Antonucci Il Foglio, 22 febbraio 2024 Nel 2022 il numero di telefoni e dispositivi intercettati tramite trojan è aumentato del 24 per cento. Il virus, una volta inoculato, è capace di accedere a qualsiasi informazione contenuta nell’apparecchio e di trasformarlo in una cimice ambulante. Aumenta in maniera considerevole l’utilizzo da parte della magistratura del trojan, il virus informatico che, una volta inoculato negli smartphone e nei dispositivi elettronici, è capace di accedere a qualsiasi informazione contenuta nell’apparecchio e di trasformarlo in una cimice ambulante, in grado di registrare qualsiasi conversazione avvenga attorno a sé. Secondo i numeri forniti dalla direzione statistica del ministero della Giustizia, nel 2022 (ultimo anno disponibile) il numero di bersagli intercettati tramite trojan è aumentato del 24 per cento, passando da 2.894 a 3.584. Di queste intercettazioni, 1.956 sono state disposte dalle Direzioni distrettuali antimafia e ben 1.585 dalle procure ordinarie, a conferma del fatto che l’uso del trojan non è affatto ristretto alle indagini antimafia. L’aumento del ricorso a questo strumento è significativo soprattutto se si considerano le attività che pm e polizia giudiziaria sono in grado di effettuare una volta installato il trojan nei dispositivi elettronici: accedere a tutto il contenuto dell’apparecchio (contatti, conversazioni intrattenute tramite app, e-mail), attivare il microfono e intercettare tutti i colloqui che avvengono nello spazio che circonda il dispositivo, mettere in funzione la webcam e catturare le immagini, visualizzare tutto ciò che appare sullo schermo e conoscere ciò che viene digitato sulla tastiera, captare tutto il traffico dati in entrata e in uscita, geolocalizzare costantemente il dispositivo tramite gps. Il tutto, ovviamente, senza che l’utente ne venga a conoscenza. “Penso che l’uso del trojan dovrebbe avere una disciplina ad hoc”, commenta con il Foglio Enrico Costa, deputato di Azione. “Attraverso questo strumento è possibile accedere a tutti i dati contenuti nel telefono: corrispondenza, telecamera, microfono, gps. Credo che il suo utilizzo dovrebbe essere limitato ai reati gravissimi ed essere autorizzato da un giudice collegiale”, prosegue Costa. “Il suo uso, inoltre, andrebbe vietato nei luoghi di privata dimora. Non è accettabile avere un occhio e un orecchio che ti seguono in bagno o in camera da letto, cioè nell’intimità più profonda della nostra vita”. Quello sull’aumento del ricorso al trojan non è l’unico dato interessante che emerge dalle statistiche ministeriali. La spesa complessiva per la realizzazione di intercettazioni (telefoniche, ambientali, informatiche, trojan) ha raggiunto la cifra record di 192 milioni di euro, in aumento del 16 per cento rispetto al 2021 (166 milioni). Questo nonostante la diminuzione dei bersagli intercettati, passati da 94 mila a 82 mila. Trova dunque fondamento l’allarme lanciato un mese fa dal Guardasigilli Carlo Nordio alla Camera: “È necessaria una razionalizzazione della spesa per le intercettazioni”. Lombardia. Le celle chiuse? Soluzione sbagliata, che aggrava i problemi chiesadimilano.it, 22 febbraio 2024 I cappellani e le religiose operanti negli Istituti penitenziari lombardi prendono posizione sulla recente Circolare del Dap che limita a tre soli motivi la possibilità di uscire dalle celle per i detenuti in media sicurezza: la fruizione della socialità in appositi locali comuni, la permanenza all’aria aperta e la partecipazione ad attività trattamentali. Nei mesi di ottobre e novembre 2023 è stata data applicazione ad alcune disposizioni contenute nella Circolare 3693/6143 del 18/07/2022, a firma del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che prevede per le persone detenute che occupano le sezioni ordinarie del circuito della media sicurezza (ovvero la maggior parte della popolazione detenuta) la possibilità di uscire dalle celle solo per tre ragioni: la fruizione della socialità in appositi locali comuni, la permanenza all’aria aperta e la partecipazione ad attività trattamentali. Considerando che i locali di socialità sono pochi e di ridotta capienza, che le ore destinate alla permanenza all’aria aperta sono contingentate in ragione di turni dovuti al sovraffollamento e soprattutto che le attività trattamentali sono poche rispetto al numero delle persone detenute e in alcuni istituti persino inesistenti, la conseguenza di tale provvedimento nella maggioranza degli istituti lombardi è stata la seguente: la permanenza forzata delle persone detenute all’interno delle celle per venti/ventidue ore al giorno. In qualità di operatori penitenziari, i cappellani (Art. 26, legge n. 354 del 1975) e le religiose (Art. 17 e art. 78, legge n. 354 del 1975) attivi negli istituti penitenziari della Lombardia, intendono lanciare un grave segnale di allarme nei confronti del provvedimento citato, motivandolo con le riflessioni che seguono. La circolare, non tanto nelle intenzioni (che prevedono e auspicano una riorganizzazione più efficiente ed efficace del carcere e una maggior attenzione all’individualità del detenuto), ma nell’attuazione (che si è limitata alla chiusura delle celle), va in direzione contraria a quanto espressamente indicato nel 2013 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella cosiddetta “sentenza Torreggiani” (Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, Causa Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013 - Ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10), con cui l’Italia è stata condannata per la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, ovvero per trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei detenuti. Il sovraffollamento delle carceri unito alla mancanza di spazio per la vita quotidiana dei detenuti furono allora gli elementi determinanti per questo giudizio (65.701 detenuti per 47.040 posti disponibili, al 31/12/2012 - Fonte: Ministero della Giustizia - Statistiche - Detenuti presenti - aggiornamento al 31 dicembre 2012) e ora si ripresentano in modo analogo (60.166 detenuti, per 51.179 posti disponibili, al 31/12/2023 - Fonte: Ministero della Giustizia - Statistiche - Detenuti presenti - aggiornamento al 31 dicembre 2023), con un tasso di crescita in costante incremento. Per far fronte agli obblighi imposti dalla Corte Europea, l’Amministrazione Penitenziaria intervenne, nei circuiti della bassa e media sicurezza, con l’apertura delle celle in alcune ore diurne e con l’introduzione della cosiddetta “sorveglianza dinamica”. Oggi, di fronte al riprodursi progressivo di analoghe condizioni, si risponde con provvedimenti che anziché rimuovere i fattori di criticità, li aggravano, in aperta contraddizione con quanto indicato dalla Corte Europea ed esponendo nuovamente l’Italia a prevedibili ulteriori sentenze di condanna e a conseguenti obblighi risarcitori. La circolare citata prevede la possibilità per le persone detenute di usufruire di un incremento di attività che consentirebbero l’uscita dalla cella; ci si domanda quanto questa indicazione risponda a una concreta progettualità o sia soltanto un auspicio astratto, per controbilanciare in linea di principio il nuovo regime di chiusura. A questa domanda risponde in modo inequivocabile la quantità di fondi destinati alle attività trattamentali. Ci si chiede se questo provvedimento abbia avuto una copertura finanziaria che lo renda praticabile, ovvero se sono aumentati in modo significativo i fondi destinati alle attività. Considerando che tra la pubblicazione della circolare e la sua effettiva applicazione è passato più di un anno, basta osservare la variazione delle attività trattamentali di questi mesi per avere una risposta, che tutti possono constatare negativa. A conferma di questo, in questo ultimo anno le direzioni dei singoli istituti si sono trovate costrette a sollecitare le associazioni di volontariato, perché si attivassero nell’organizzazione di nuove attività, per prepararsi alla chiusura delle celle, benché non sia in prima istanza competenza del volontariato l’organizzazione e l’attuazione del piano trattamentale. Il provvedimento sembra ignorare una delle principali problematiche all’interno delle carceri italiane, ovvero l’altissima presenza di persone con patologie psichiatriche, che, dall’aumento delle ore a regime di chiusura, non possono che avere un peggioramento del loro stato di salute, con prevedibili conseguenze sul versante della sicurezza e della convivenza all’interno delle celle. La circolare evita altresì di prendere in considerazione l’aumento dei suicidi in carcere negli ultimi due anni (57 nel 2021, 84 nel 2022, 68 nel 2023 - Fonte 2021-2022: Ministero della Giustizia - Statistiche - Eventi critici negli istituti penitenziari - Anni 1992 - 2022; fonte 2023: Ristretti Orizzonti (ristretti.org), che, in molte occasioni riguardano proprio persone con patologie psichiatriche. La chiusura delle celle non è sicuramente di aiuto nella cura della malattia mentale e nella prevenzione del suicidio. Alla luce di queste considerazioni, con il presente comunicato si richiede alle competenti sedi politico-istituzionali di valutare con urgenza possibili disposizioni volte a modificare la situazione attuale e, in particolare finalizzate a ripristinare l’apertura diurna delle celle nel circuito della media sicurezza e a destinare adeguati fondi per dare attuazione all’auspicato potenziamento delle attività trattamentali. Assicurando che i cappellani e le religiose continueranno a sostenere, come già fanno, ogni progetto in questa direzione. Offriamo queste nostre riflessioni a tutti coloro che operano nel settore penitenziario, perché si possa sempre lavorare insieme nella proposta e nella costruzione di soluzioni migliorative. Roma. Due detenuti malati sono morti a Rebibbia, il Garante avvia verifiche Il Fatto Quotidiano, 22 febbraio 2024 Nelle carceri italiane non ci sono soltanto detenuti che muoiono perché si tolgono la vita. A Roma due uomini malati sono morti a distanza di poche ore. Su questi decessi saranno avviate verifiche da parte del Garante nazionale dei detenuti. Le verifiche si effettueranno così come è stato fatto e sta avvenendo anche per altri casi. Il primo, deceduto nella notte tra il 19 e il 20, aveva 66 anni ed era diabetico e si trovava in cella a Rebibbia. Il secondo, morto mercoledì mattina, aveva 77 anni ed era affetto da polmonite, oltre ad avere un’insufficienza renale: era ricoverato proveniente da Rebibbia. Il Garante delle persone private della libertà del Lazio, Stefano Anastasia, il quale si è impegnato a tenere un incontro con i dirigenti della Asl per verificare lo stato dei servizi sanitari interni all’istituto, ha denunciato “l’incompatibilità della detenzione con le malattie gravi, che non possono essere adeguatamente curate in carcere”. In merito alla morte del 66enne, Anastasia ha aggiunto: “L’inchiesta della procura dirà della tempestività dei soccorsi e dell’assistenza prestata”. Milano. Celle che “scoppiano” e agenti che mancano: a San Vittore situazione “drammatica” milanotoday.it, 22 febbraio 2024 Tanti detenuti, troppi. E pochi agenti. Nel carcere di San Vittore di Milano la situazione è “drammatica”. A scattare la fotografia sono stati Daniele Nahum e Alessandro Giungi, presidente e vicepresidente della sottocommissione carceri che mercoledì hanno svolto un sopralluogo nella casa circondariale. “Il primo aspetto è relativo al livello di sovraffollamento: una struttura che potrebbe ospitare meno di 800 persone detenute è oggi arrivata a 1.130”, hanno spiegato i due. Il risultato, inevitabile, è uno: in celle di “pochi metri quadrati si è costretti ad ammassare fino a 8 persone”. E se i detenuti sono tanti, i poliziotti sono decisamente pochi. “Gli agenti di polizia penitenziaria sono sotto soglia di almeno 200 unità”, hanno segnalato Nahum e Giungi. Al sovraffollamento si aggiunge un altro problema, perché gli agenti “sono chiamati a relazionarsi con 600 persone detenute prese in carico dal Serd per dipendenze da droga e alcol”, oltre che “200 con diagnosi psichiatrica”. “San Vittore è lo specchio delle carceri italiane come pensate da questo Governo: strapiene di persone che dovrebbero essere curate per malattie psichiatriche e per dipendenze ma invece la sanità penitenziaria è sempre più sguarnita di medici e strutture adeguate, con pochi agenti di Polizia Penitenziaria che si immolano in turni massacranti e che sono chiamati a un lavoro delicatissimo di mediazione e di controllo”, hanno commentato i due dopo il sopralluogo. “La politica del Governo di introdurre nuovi reati, di aumentare le pene e di abbandonare a sé stesse le carceri, sguarnendole di agenti, operatori sociali e medici è - hanno concluso - da considerarsi una vergogna umana, sociale e politica”. Verona. Carcere di Montorio, il Dap: “Nessuna anomalia” di Angiola Petronio Corriere di Verona, 22 febbraio 2024 Dopo i 5 suicidi ieri nuova audizione del direttore in commissione Giustizia. “Quello di Verona è diventato un istituto delicato e attenzionato, non tanto per le carenze di organico che non sono peggiori rispetto al resto d’Italia, ma perché ci sono stati trasferimenti di sezioni problematiche, come gli psichiatrici arrivati dal carcere di Belluno, i tossicodipendenti. Cosa che ha reso più complessa la gestione anche di quelle figure che vanno oltre le competenze della polizia penitenziaria”. Le parole sono quelle di Ciro Maschio, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Giustizia della Camera. Quella commissione dove ieri si è tenuta la seconda parte dell’audizione - convocata all’indomani dei 5 suicidi nel carcere di Montorio in poco meno di tre mesi a cui erano seguite le visite del sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari e di vari deputati del direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo. “Abbiamo analizzato con un apposito team il carcere di Verona e non è stato rilevato nulla di anomalo, il percorso trattamentale e la detenzione non hanno evidenziato criticità particolari”, ha detto il direttore - che era già stato ascoltato in commissione lo scorso 7 febbraio - al termine dell’audizione. “Tutti e 5 i detenuti erano stati sottoposti alla visita di primo accesso da parte degli psichiatri e monitorati successivamente. La squadra che è stata istituita, anche su sollecitazione della commissione, continuerà a monitorare la situazione anche nel prossimo periodo”, dice Maschio. Per il quale le prime azioni su Montorio raccontano di come il governo stia intervenendo. “È arrivato il nuovo comandante e due educatori, altri due inizieranno a breve”. Spiega, il presidente della commissione Giustizia come “rispetto al passato abbiamo stabilito un contatto diretto con il Dap, ci sarà uno scambio periodico di aggiornamenti e informazioni in tempo reale. Abbiamo visto una risposta pronta, con le risorse disponibili, per potenziare la presenza e la copertura su Verona in particolare Come commissione siamo soddisfatti. Resteremo in stretto contatto con la direzione del carcere e la polizia penitenziaria per continuare a trovare altre azioni che possono essere necessarie, sicuramente potenziando il filone del lavoro e anche quello delle attività culturali e sportive all’interno del carcere, anche a livello nazionale”. Milano. Clinica Legale della Bocconi, in carcere per supportare i detenuti di Pietro Masotti unibocconi.it, 22 febbraio 2024 L’esperienza della Clinica Legale, attraverso la quale studentesse e studenti della scuola di giurisprudenza si confrontano con la realtà degli istituti di detenzione, fornendo un servizio di ascolto e affiancamento sulle questioni giuridiche. Nati su iniziativa dell’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, gli sportelli legali in carcere hanno assunto da subito il duplice scopo di supportare le persone su questioni giuridiche, affiancandole nel momento della privazione della libertà, e quello di sollecitare il coinvolgimento degli stessi detenuti come volontari. In Bocconi oggi questa esperienza è coordinata da Melissa Miedico, docente di diritto penale presso il Dipartimento di studi giuridici e responsabile del progetto Clinica legale nell’ambito del quale docenti e studenti prestano la loro opera presso il carcere di Bollate e, da qualche mese, anche alla Casa circondariale di Milano San Vittore. Per accedere all’esperienza ogni anno si svolgono tre round di selezioni aperte a iscritti del quarto e del quinto anno di Giurisprudenza che abbiano alcuni requisiti curricolari, ma soprattutto forti motivazioni personali. “L’interesse per il tema dell’esecuzione penale, sul quale sto scrivendo anche la mia tesi, mi ha spinto a candidarmi per partecipare”, racconta la studentessa Carla Moras. “Ho un ricordo molto forte del primo impatto col carcere e dei primi contatti con i detenuti, in particolare con le recluse della sezione femminile. Con loro c’è stato un grado di confidenza e di apertura che ha dato un valore emotivo a questa esperienza molto più alto di quanto mi aspettassi”. Non ci sono, invece, specifiche competenze necessarie per accedere alla clinica perché i temi da affrontare o gli interlocutori con cui dialogare sono i più diversi. Il lavoro infatti è organizzato in modo non troppo lontano da uno studio legale: dall’incontro con le persone alla suddivisione dei compiti di ricerca e intervento in task force. “La clinica è presente tutte le settimane a Bollate e a San Vittore e noi studenti siamo coinvolti a rotazione”, precisa Jacopo Musso, iscritto alla Clinica da settembre. “In pratica, ognuno di noi va una mattina in carcere ogni due settimane circa. Lì incontriamo i detenuti e raccogliamo i casi in un report che presentiamo nella riunione del martedì. A quel punto a ciascuno viene assegnato un compito, che sia una ricerca, il contatto con un consolato, con un avvocato o con un educatore per concordare con loro o affiancarli nella predisposizione di istanze o richieste (permessi, risarcimenti ecc.)”. “Ci occupiamo molto di diritto penitenziario, diritto di famiglia, o dell’immigrazione”, aggiunge Moras. “Essenziale in questo senso è, da un lato, la nostra costante presenza settimanale in carcere e, dall’altro, il nostro lavoro di rete”. L’attività della clinica assume sfumature differenti nei diversi contesti di una casa di reclusione rispetto a una casa circondariale, come spiega Ludovica Lombardi, in forza presso San Vittore. “I condannati a seguito di una sentenza già definitiva hanno bisogno di essere ascoltati, supportati e orientati su questioni legati alla esecuzione della pena. Talora interveniamo per favorire i contatti con gli avvocati o segnalare alcune situazioni all’attenzione degli altri operatori penitenziari. A San Vittore invece si trovano perlopiù persone in attesa di giudizio e che spesso hanno ancora bisogno di inquadrare e capire bene la situazione in cui si trovano, qual è l’accusa, che cosa dice la legge, che cosa rischiano, quali saranno i prossimi passi: questo lavoro di orientamento è prezioso, soprattutto quando si tratti di persone straniere”. Al di là degli aspetti tecnici, l’esperienza della Clinica legale funziona sugli studenti come un acceleratore delle riflessioni sulla realtà del carcere e sul ruolo che poi assumeranno nel loro percorso professionale. “La volontà di unire l’aspetto sociale alla pratica legale non manca, ma spesso è difficile riuscire a farlo nella propria attività professionale”, riflette Musso. “Quella della Clinica è forse una delle ultime occasioni per uno studente di poter conciliare queste due dimensioni prima di immergersi nel mondo del lavoro”. Milano. Progetto “Nic”, formazione e lavoro per i detenuti di Bollate legnanonews.com, 22 febbraio 2024 Le persone che aderiscono al progetto sono chiamate a seguire un corso iniziale di formazione teorico e pratico di un anno e mezzo erogato in collaborazione con la Cisco Academy all’interno del carcere, sostenendo settimanalmente un esame per verificare le conoscenze acquisite. Può essere davvero il carcere un luogo nel quale, oltre che scontare la propria pena, si investe il proprio tempo nella rieducazione e nella formazione in vista di quando si potrà uscire? In teoria lo afferma il comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione italiana. In pratica, presso la Seconda Casa di Reclusione di Milano-Bollate, ciò si realizza con il progetto Nic (Noc In Carcere) che mette a disposizione dei detenuti vari corsi di formazione, di base ed avanzata, negli ambiti di networking e sicurezza informatica oltre che una possibilità reale di impiego, che per alcune persone è già realtà anche all’interno delle mura carcerarie. In collaborazione con la Cooperativa Sociale Universo Onlus e Cisco, Axians Italia - player di riferimento nell’ambito dell’Information & Communication Technology e brand del Gruppo VINCI Energies Italia - già oggi offre ai detenuti la possibilità di essere impiegati da remoto a supporto dei servizi erogati ai clienti. Le persone che aderiscono al progetto sono chiamate a seguire un corso iniziale di formazione teorico e pratico di un anno e mezzo erogato in collaborazione con la Cisco Academy all’interno del carcere, sostenendo settimanalmente un esame per verificare le conoscenze acquisite. Solo chi completerà l’intero percorso potrà accedere alla possibilità di impiego, che può creare il corretto presupposto di inserimento in società alla fine della pena, con recidive nulle. In particolare, ad oggi una risorsa è già stata assunta in Axians con contratto a tempo indeterminato. “Un progetto che crea valore nelle carceri e restituisce dignità e motivazione alle persone detenute che esprimono la volontà di impegnarsi in un percorso professionalizzante. Il nostro è un impegno concreto e chiediamo lo stesso ai detenuti. Solo chi si impegna davvero e dimostra un sufficiente livello di qualità professionale viene impiegato a lavorare ai progetti attivi presso i nostri clienti. È un progetto in cui crediamo molto perché tocchiamo con mano l’entusiasmo dei partecipanti e abbiamo tutta l’intenzione di farlo crescere”, ha dichiarato Michele Armenise, AD Axians Italia. I detenuti che completano il corso iniziale, hanno poi la possibilità di certificarsi ulteriormente approfondendo le conoscenze e le loro capacità anche in altri ambiti tecnologici. “Abbiamo sempre puntato sulla formazione, perché siamo convinti che la tecnologia digitale rappresenti uno degli strumenti fondamentali per garantire a tutti un futuro più inclusivo. Le nostre Networking Academy hanno formato finora 20.500.000 persone in tutto il mondo, e più di 20 anni fa siamo addirittura riusciti a introdurle nelle carceri italiane, prima a Bollate e poi in molti altri penitenziari compreso l’Istituto minorile Beccaria. Nell’arco di questo periodo abbiamo fornito competenze digitali sia di base che specialistiche in aree come le reti e la cybersecurity a più di 1.500 persone, che hanno così trovato nuove opportunità oltre che un motivo di rinascita personale. Uniti ai nostri partner possiamo fare ancora di più: l’impegno di realtà come Axians al nostro fianco è prezioso, e ne siamo orgogliosi”, ha detto Gianmatteo Manghi, CEO Cisco Italia. Il progetto, nato da una idea di Cooperativa Sociale Universo Onlus con la collaborazione di Cisco, è operativo già da 20 anni duranti i quali ha formato oltre 1500 studenti. Oggi, grazie all’ingresso di Axians Italia nella collaborazione, 6 di loro sono già operativi nel lavoro quotidiano. “Abbiamo sempre creduto che tutti potessero essere in grado, con strumenti adeguati, di cambiare la propria vita con la formazione. Abbiamo impiegato 10 anni a dimostrarlo, con le prime certificazioni Cisco conseguite da studenti detenuti. Da allora e fino ad oggi, dopo 20 anni di sfide, gli studenti detenuti sono diventati anche docenti e hanno aiutato altri detenuti ad intraprendere il percorso per trovare lavoro in diverse carceri italiane. Si è stabilita un’ottima partnership con Axians che ha creduto nel nostro progetto e sta contribuendo non solo dando un’occasione lavorativa ma soprattutto dignità e futuro a chi ce la sta mettendo tutta per cambiare la propria vita ed essere parte attiva della società”, ha commentato Lorenzo Lento, Presidente di Universo Cooperativa Sociale, Cisco Academy. Foggia. “La felicità risiede nel fare il bene”, il messaggio di speranza di monsignor Ferretti Ristretti Orizzonti, 22 febbraio 2024 Il vescovo in visita per la prima volta nell’Istituto penitenziario: “Prego affinché le nostre carceri possano diventare luoghi di conversione”. Il direttore, Giulia Magliulo: “Importante incoraggiamento a proseguire con motivazione nel nostro difficile compito”. In un’atmosfera carica di emozione e speranza, il 21 febbraio l’Arcivescovo della Diocesi di Foggia-Bovino, Mons. Giorgio Ferretti ha fatto il suo ingresso per la prima volta nella Casa circondariale di Foggia. Accolto calorosamente dal direttore Giulia Magliulo, dal vicedirettore Michele De Nichilo, dal commissario Claudio Ronci e dal personale civile e di polizia penitenziaria, Mons. Ferretti ha visitato la struttura carceraria foggiana accompagnato dal segretario, don Fernando Escobar, dal cappellano del carcere, Frate Eduardo Giglia e dai volontari. “Ringraziamo il vescovo - hanno detto il direttore Magliulo e il commissario Ronci - per essere venuto a farci visita in tempi così rapidi. Siamo onorati e felici di aver riscontrato una grande attenzione per la nostra comunità. La vicinanza di Mons. Ferretti è per noi di grande aiuto: ci incoraggia ad andare avanti nel nostro difficile compito; rappresenta un segno tangibile di sostegno e solidarietà”. Durante il suo toccante intervento, il vescovo ha messo in luce il significato profondo di alcune scelte quotidiane, partendo dalla volontà di dimostrare alle persone detenute e a coloro che gestiscono la criminalità che “la vera felicità risiede nella legalità e nell’atto di donare e donarsi agli altri, anziché nell’utilizzare e sfruttare il prossimo per interessi illeciti”. “Dobbiamo impegnarci a mostrare alle persone detenute, a chi è in latitanza, a chi gestisce gli affari criminali che la felicità si vive in una libertà legale. Vi ringrazio di cuore per l’accoglienza che mi avete riservato. So che ogni giorno - ha detto Mons. Ferretti, rivolgendosi al personale dell’istituto penitenziario - affrontate sfide difficili, di fronte a un’umanità ferita, ma anch’essa capace di ferire. La vostra relazione con le persone detenute non è semplice, ma ricordate sempre che l’uomo non è il suo peccato: c’è una misericordia divina che abbraccia tutti noi. Voi, rappresentanti della polizia penitenziaria e del carcere, potete essere un esempio luminoso per coloro che ancora si trovano nell’abisso. Prego per voi e per i detenuti. Prego affinché le nostre carceri possano diventare luoghi di conversione, in cui trovare la via per un nuovo inizio. Grazie per il vostro prezioso lavoro”. La visita è proseguita con l’incontro e la benedizione delle persone ristrette, che hanno accolto con gratitudine e calore le parole e la vicinanza del vescovo. Al termine della giornata, Mons. Ferretti ha ricevuto in dono dal direttore Magliulo alcune uova prodotte da galline allevate nell’ambito del progetto “Natura libera”, un’iniziativa agricola realizzata all’interno della casa circondariale, con il coinvolgimento di persone detenute. Ferrara. “Attuando Vite Nuove”, i detenuti diventano sceneggiatori cronacacomune.it, 22 febbraio 2024 Un progetto che vede Ferrara come città pioniera, mirato alla rieducazione dei carcerati attraverso lo strumento della scrittura cinematografica. Si chiama ‘Attuando Vite Nuove’ ed è il progetto, finanziato per 43mila euro da Cassa Ammende, che vede la città di Ferrara pilota per un’azione volta ad utilizzare il linguaggio cinematografico e teatrale come strumento di reinserimento sociale per i detenuti della Casa Circondariale Costantino Satta. L’azione appresenta un’opportunità significativa per la riconquista della dignità personale, in quanto gli stessi detenuti sono chiamati a scrivere una sceneggiatura. L’intento, al termine del corso tenuto dalla sceneggiatrice Heidrun Schleef - che in carriera ha collaborato con registi del calibro di Michele Placido, Nanni Moretti, Roberta Torre, Gabriele Muccino, già vincitrice di 2 Nastri D’Argento e Palma d’Oro al Festival di Cannes -, è realizzare una fiction in 6 puntate recitata da attori reali. ‘Attuando Vite Nuove’, ideato dalla Direttrice del carcere di Ferrara Maria Nicoletta Toscani, vede come soggetti partner il Comune di Ferrara - tramite l’Assessorato alle Politiche Sociali -, la Fondazione Teatro Comunale, il Coordinamento Regionale Teatro Carcere e il Teatro Nucleo. L’azione è stata presentata questa mattina in residenza municipale. “Dopo anni di valorizzazione del teatro - ha detto l’assessore comunale alle Politiche sociali Cristina Coletti - come strumento rieducativo grazie all’impegno del Teatro Nucleo, Ferrara diventa città capofila di un progetto che intende dare pieno atto a quella che è la funzione del carcere, che intende favorire anche nella cittadinanza la visione di questo come un luogo di reinserimento. Attraverso il linguaggio cinematografico, i detenuti avranno modo di essere messi di fronte ad opportunità concrete di riscatto personale e di preparazione alla vita che li attende una volta scontata la pena. Grazie all’idea della direttrice della Casa Circondariale di Ferrara, Maria Nicoletta Toscani, è nato, grazie anche al coinvolgimento di una delle sceneggiatrici più note sul panorama cinematografico come Heidrun Schleef, un vero ponte verso la società civile, ed un’occasione per abbattere lo stereotipo di carcere come periferia sociale. Grazie a questa stretta sinergia, il tempo della detenzione può offrire spazi di crescita e la speranza è che Ferrara possa essere presa a modello anche da altre realtà”. L’obiettivo è quello di creare un gruppo integrato di sceneggiatura e teatro all’interno del carcere, facendo diventare Ferrara un punto di riferimento per progetti culturali e artistici inclusivi in Emilia-Romagna. Lo scopo è che questa attività artistica di alto livello possa portare benefici all’istituto stesso, migliorandone l’immagine complessiva e contribuendo al suo indirizzo formativo e riabilitativo. “La nostra struttura - ha evidenziato Maria Nicoletta Toscani, Direttrice della Casa Circondariale Costantino Satta di Ferrara - ha sempre supportato attività culturali. Questo progetto nasce da un humus consolidato, che è il Teatro Nucleo. Grazie al coinvolgimento di Heidrun Schleef l’obiettivo è far scrivere qualcosa che possa essere arte, da cui far nascere una fiction. Ciò per fare in modo che i detenuti escano con un percorso culturale visibile da tante persone”. A lei ha fatto eco Marco Luciano, Teatro Nucleo e vicepresidente del Coordinamento regionale Teatro Carcere Emilia-Romagna: “Quello di oggi non è un traguardo, ma un nuovo inizio. Negli ultimi 4 anni il lavoro è cresciuto tanto, sia in termini quantitativi che qualitativi. I laboratori teatrali coinvolgono circa 40 detenuti, sono state realizzate 6 produzioni nuovi che hanno incontrato 2mila spettatori. Durante il lockdown abbiamo realizzato una webserie, esperienza rara in Europa. Con questo progetto si amplia il ventaglio di conoscenze delle persone che vi partecipano”. “Mi sono trovata davanti persone con un bagaglio umano vasto, che hanno tanto da raccontare. I detenuti sono stati divisi in 4 gruppi, sono molto solidali, si aiutano e discutono fra loro, riuscendo a trovare soluzioni alle questioni. Da loro mi aspetto grandi cose” ha sottolineato la sceneggiatrice e coordinatrice del progetto Heidrun Schleef. Strategica è anche la partnership con la Fondazione Teatro Comunale di Ferrara: “L’obiettivo - ha dichiarato il Direttore artistico della Fondazione, Marcello Corvino - è creare un sistema della cultura ferrarese. Il teatro, la musica e la cultura servono a migliorare la qualità di vita. Cultura è anche confrontarsi con livelli alti del nostro pensiero. La possibilità di devianza si abbassa, se le persone sono coinvolte in attività culturali”. Soddisfazione anche per Marco Bonfiglioli, Direttore Ufficio detenuti e trattamento Prap Emilia-Romagna e Marche: “Il carcere ha bisogno della cultura perché il carcere ha bisogno di migliorare la qualità della vita. Questo è un progetto virtuosissimo per la vastità di soggetti coinvolti: una fondazione attenta, un teatro importante, una sceneggiatrice con grande sensibilità sociale, il lavoro della Direttrice Toscani e c’è un Amministrazione, che non è scontato. Oggi viviamo un allontanamento degli Enti Locali dal carcere, trovare un percorso di consapevolezza e attenzione è notevole”. Piacenza. Le detenute diventano attrici: applausi in carcere e messaggio di Michele Placido di Mauro Del Papa Libertà, 22 febbraio 2024 Il potente spettacolo “Le Baccanti” di Euripide è andato in scena martedì sera nel carcere delle Novate, per la regia di Mino Manni che ha preso per mano dieci detenute alla scoperta della tragedia greca, consentendo loro uno viaggio dentro di sé. Un viaggio nelle luci e ombre dell’essere umano, che ha coinvolto anche il pubblico che ha applaudito la rappresentazione (tanti gli applausi a scena aperta, tantissimi al termine): un pubblico di autorità - civili e militari - a cui si sono aggiunti altri detenuti e detenute nella casa circondariale. Presenti vari volontari che operano nell’istituto penitenziario. Gli interventi - Ad accogliere i tanti ospiti la direttrice delle Novate dottoressa Maria Gabriella Lusi che evidenzia: “Il teatro è occasione di crescita e in tanti casi di riscoperta delle proprie potenzialità non solo espressive ma anche interiori. Il laboratorio teatrale è una delle azioni a cui abbiamo voluto fare continuità per l’alto impatto pedagogico che l’esperienza condotta da Manni ha sulle detenute interessate (e negli anni precedenti sui detenuti). Attorno all’esperienza si muove un’organizzazione, quella del carcere, che grazie all’efficace lavoro del personale riesce ad adattarsi ad impegni e tempi sempre nuovi”. Mino Manni ha parlato di “condivisione strettissima tra me e le ragazze con cui ho lavorato, che mi hanno dato tanto” e della “forza dei classici che veicolano messaggi universali”. Ha quindi lasciato la parola a Michele Placido (che lo ha diretto recentemente in un film) e che ha inviato un affettuoso videomessaggio alle attrici. Intervenuto anche il regista e attore Tindaro Granata, siciliano ma di stanza a Milano dove vive e lavora. Granata ha portato il teatro nel carcere di Messina. Una delle detenute con cui lavorò è stata trasferita a Piacenza e anche qui è riuscita a trovare “casa” attraverso il linguaggio teatrale. Lui è venuto a Piacenza ad applaudire la sua ex allieva. Ospiti e ringraziamenti - Tra gli ospiti della serata, il Prefetto di Piacenza Paolo Ponta (per la prima volta alle Novate), l’assessora Nicoletta Corvi e Paolo Setti Carraro (fratello di Emanuela, la moglie del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso dalla mafia nel ‘92), oggi impegnato sul fronte della giustizia riparativa. La riuscita dello spettacolo è stata resa possibile anche dalle volontarie Carmela Caserta e Maria Rosa Salamina ringraziate da Manni insieme al Centro servizi per il volontariato e all’Orto Botanico di Brunello Bonocore e Raffaelle Fontanesi. Acireale (Ct). “Rap anti-violenza”, voci dietro le sbarre di Fulvio Fulvi Avvenire, 22 febbraio 2024 Si chiamano Natalia, Alex, Ami, Serena, Ivan, Iglesias, Kevin, Giuseppe, Mohamed e sono alcuni dei cantanti di “Amore amaro”, un brano corale in rime e ritmi sincopati che racconta i pensieri ed esperienze sul sentimento più puro dell’animo umano: lo scopo è comprendere il vero significato di questa “cosa bella che ti fa cambiare e andare avanti” e combattere così la violenza di genere. Le voci sono quelle di giovani reclusi dell’Istituto penitenziario minorile di Acireale, in provincia di Catania, che hanno partecipato ai laboratori di musica rap del Presidio Culturale Permanente, un progetto nazionale di Crisi Come Opportunità (CCO), in collaborazione con la Cooperativa sociale Prospettiva, che opera nella cittadina siciliana. La canzone, che dura quattro minuti e mezzo (la si può ascoltare in un video su You Tube con le ragazze e i ragazzi che l’hanno composta ed eseguita) emoziona e colpisce perché mette in evidenza la durezza del carcere che spezza gli affetti di fuori e sconvolge la vita e le speranze sul futuro: “Le manette, le divise, le facce un po’ deluse, l’ultimo bacio e poi le porte si son chiuse “ Parole severe e taglianti. “Hey baby, son tornato a salutarti, ho promesso di amarti come potrei mai lasciarti, non ci ha mai diviso niente, figuriamoci…”. “Abbiamo chiesto ai ragazzi di raccontare l’amore nel modo più genuino possibile, senza filtri, in uno dei nostri incontri. Riflettevamo su questo concetto a seguito di un brutto fatto di cronaca, lo stupro di gruppo a Caivano. Sono felice di quello che ne è venuto fuori: un messaggio puro, senza fronzoli e senza ombra di retorica” commenta Maurizio Musumeci, in arte Dinastia, rapper e autore che ha scritto testi per J-Ax, Mr Rain e Marco Mengoni e coordinato il progetto. Insieme con Musumeci ha dato il suo contributo anche Zù Luciano, ovvero Luciano Maugeri, cantante e autore siciliano: “Quando abbiamo iniziato a lavorare sul brano - dice - abbiamo chiesto ai ragazzi di scrivere un pensiero sull’amore, giusto due righe per descrivere il loro sentire. “L’amore è tutto” è quello che trovo sia il più significativo: semplice, ma allo stesso tempo con la forza di una valanga”. “La musica - spiega Lucariello, Luca Caiazzo, rapper napoletano tra gli ideatori del progetto - ha una grande capacità di sublimazione e quindi un valore terapeutico. Nel momento in cui una cosa viene raccontata è come guardarla dall’esterno: si riesce a giudicarla e capirla. Quando le emozioni e le esperienze più forti e negative rimangono inespresse, diventano bombe a orologeria destinate a esplodere”. Secondo Kento, al secolo Francesco Carlo, rapper calabrese che ha fatto parte del team di autori, “la musica è un’arma estremamente positiva, che CCO e le istituzioni con cui collabora utilizzano per offrire opportunità nuove a ragazze e ragazzi che pensano di non averne più”. Oltre che ad Acireale il progetto ha incontrato, a livello nazionale, 60 tra ragazzi e ragazze in carico alla giustizia minorile nelle strutture “Ferrante Aporti” di Torino, di Casal del Marmo (Roma), Airola (Benevento), Quartucciu (Cagliari), Paternostro (Catanzaro) e nel Centro Diurno Polifunzionale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). In Sicilia, il Presidio Culturale Permanente è sostenuto da Fondazione Alta Mane Italia e Fondazione San Zeno. Cittadinanza, la legge che serve. Questo oggi il nostro Paese di Paolo Borgna Avvenire, 22 febbraio 2024 Nel suo editoriale del 14 febbraio Marco Impagliazzo ci ha detto una cosa elementare che da sola dovrebbe spazzar via i fumi tossici delle dispute ideologiche: per parlare di cittadinanza basta guardarsi attorno quando si vanno a prendere i figli a scuola. Meditando sulla propria esperienza, ciascuno di noi trova immediata conferma a questa fulminante verità. La legge italiana sulla cittadinanza è del 1992. In quell’anno, andando a prendere mia figlia alle elementari, non incontravo genitori e bimbi dai tratti non italiani. Oggi, andando a prendere la mia nipotina all’asilo, incontro un tripudio di visi, di colori, di fogge di vestiti e copricapi di tutti i continenti. Tutti un po’ di corsa, a volte trafelati, ma tutti col sorriso che solo i bambini sanno trasmettere. Tutti uniti dalla lingua italiana. Questo, oggi, il nostro Paese. Se potessimo spiegare ai nostri bambini di dieci anni che alcuni di loro sono italiani e molti altri no, nonostante siano nati qui e abbiano concluso un ciclo scolastico, nonostante che i loro genitori lavorino e paghino le tasse in Italia da sempre, i bambini non ci capirebbero. Perché quella legge del 1992 non è cambiata? Perché non fotografa la nuova realtà? È sempre interessante riflettere sulla lenta dialettica con cui si intrecciano mutamento dei costumi e delle leggi. Le interferenze sono reciproche ma i tempi del cambiamento quasi mai coincidono. Quasi sempre le leggi e i codici registrano in ritardo l’evoluzione della realtà sociale e dei mores. Spesso siamo portati a sopravvalutare la forza propulsiva della legge scritta: la sua capacità di plasmare i costumi. In realtà quasi sempre sono questi a far da battistrada alle regole del diritto. Pensiamo alla recente storia italiana. Era il 1966 quando la diciassettenne Franca Viola, rifiutando le nozze col giovane rampollo della famiglia mafiosa che l’aveva sequestrata, tenuta prigioniera e violentata per sette giorni, portò agli occhi dell’opinione pubblica la vergogna della norma sul matrimonio riparatore come causa estintiva del delitto di ratto a fine di matrimonio. Tutta l’Italia si indignò. Franca fu ricevuta in udienza da Paolo VI. E quando, due anni dopo, si sposò con l’uomo che amava, il presidente della Repubblica Saragat le inviò un dono di nozze. Ma quella norma rimase nel nostro Codice fino al 1981! Così come l’omicidio per causa d’onore, abrogato 19 anni dopo un film come Divorzio all’italiana di Pietro Germi. In altri casi, assai più rari, ci son state leggi che, grazie all’impegno di settori culturali particolarmente sensibili e attivi, si son poste all’avanguardia di una più lenta mutazione della maggioranza profonda del Paese. Pensiamo alla legge Basaglia, del 1978, sulla chiusura dei manicomi, o alla riforma Gozzini dell’ordinamento penitenziario (del 1986). E comunque, che siano arrivate in anticipo o in ritardo, tutte queste riforme furono il risultato finale di battaglie intraprese, molti anni prima, da minoranze che, ispirate da valori profondi, seppero cogliere un mutamento delle coscienze in atto. Per questo la battaglia sulla cittadinanza fondata sullo ius culturae nelle sue possibili declinazioni, portata avanti da Avvenire, è una battaglia che guarda al futuro. Sarebbe bello se il Parlamento - smettendo di portare avanti, su questo tema, stanche battaglie con lo sguardo rivolto al passato - con un sussulto unitario fosse capace di chinare gli occhi sul presente. Su quei reparti di maternità di un ospedale di periferia in cui - come ci ricorda Marina Corradi - su dieci neonati solo tre sono italiani. E di comprendere che quei bambini sono uno dei pochi motivi di speranza in questa epoca di venti di guerra e di disumanità. Sulla nuova cittadinanza già siamo in ritardo. Cerchiamo di non aggravarlo. Facciamo in modo che, tra qualche decennio, i nostri nipoti, studiando questo ritardo, non abbiano lo stesso stupore indignato che proviamo noi quando pensiamo che, trent’anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, nei nostri codici c’erano ancora vecchi relitti del passato come l’omicidio per causa d’onore. Migranti. Sospeso il fermo della Ocean Viking. Primo colpo al decreto Piantedosi di Giansandro Merli Il Manifesto, 22 febbraio 2024 La decisione cautelare del tribunale di Brindisi sblocca la nave umanitaria e riconosce il valore costituzionale del soccorso civile nel Mediterraneo. “Un precedente importante”. C’è un giudice a Brindisi. Poi c’è anche un numero: il diciassette. Tanti sono stati i fermi amministrativi delle navi Ong disposti sulla base del decreto Piantedosi dal 2 gennaio del 2023, data di entrata in vigore. L’ultimo aveva colpito la Ocean Viking di Sos Mediterranée il 9 febbraio scorso: venti giorni di detenzione e alcune migliaia di euro di multa le sanzioni comminate. Come negli altri casi, a eccezione del veliero Mare*Go, l’organizzazione umanitaria ha fatto ricorso. Per la prima volta si è avuta una decisione sulla misura cautelare. Ed è stata positiva: la magistrata Roberta Marra ha sospeso il blocco della nave in attesa dell’udienza di merito che si terrà il 14 marzo. “L’opposizione appare sostenuta da un fumus di fondatezza”, si legge nel provvedimento. Significa che il ricorso ha argomenti forti e, in attesa dell’accertamento definito, è verosimile esista un diritto da tutelare. Il ragionamento giuridico si compone di due parti. La prima ritiene possa mancare la giurisdizione italiana, visto che il caso riguarda i comportamenti di una nave straniera in acque internazionali: la Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos) stabilisce che lì vale la legge dello Stato di bandiera, cioè la Norvegia. Afferma poi che sembrano assenti i presupposti per l’applicazione della sanzione: l’equipaggio, cioè, avrebbe agito correttamente rispettando il dovere del soccorso in mare. Il 6 febbraio scorso la nave di Sos Mediterranée aveva salvato 261 naufraghi in quattro diversi interventi. “Dopo il primo le autorità italiane ci hanno incaricato di valutare altre imbarcazioni in difficoltà. Gli altri tre salvataggi sono stati effettuati in piena trasparenza e coordinamento con le autorità italiane e le navi libiche presenti sul posto, che hanno dato il via libera a procedere”, ha spiegato la Ong. Nel mezzo di uno dei soccorsi, però, i libici hanno ordinato alla nave di allontanarsi. Mentre lo faceva si è scatenato il panico, anche su pressione del conducente del barcone carico di migranti. A quel punto il comandante della Ocean Viking ha ordinato di procedere al soccorso. All’arrivo a Brindisi il fermo, senza poter nemmeno raccontare la propria versione alle autorità italiane. La parte più importante della decisione della giudice di Brindisi, comunque, è la seconda. “Il tribunale ribalta la prospettiva del provvedimento sanzionatorio: riconosce l’importanza del soccorso civile e afferma che il blocco della nave può ledere diritti costituzionali”, afferma l’avvocata Francesca Cancellaro, che insieme al collega Dario Belluccio difende Sos Mediterranée. Secondo la legale Lucia Gennari - che ha seguito Sea Watch, Mditerranea Sos Humanity, e Louise Michel in procedimenti analoghi - “la decisione, per ora solo cautelare, riguarda un caso specifico, ma la parte sulle funzioni delle Ong a tutela dei diritti in mare tocca aspetti generali. È un precedente utile e speriamo abbia un impatto complessivo”. Per le politiche migratorie del governo italiano è il terzo colpo in pochi giorni. I primi due sono arrivati dalla Cassazione: il rinvio alla Corte di giustizia Ue della normativa sui trattenimenti dei richiedenti asilo rischia di bloccare il protocollo con Tirana; la sentenza definitiva su Asso28 ribadisce che la Libia non è un porto sicuro e mette in dubbio la strategia di questa maggioranza (e di quelle precedenti). Nessun esponente dell’esecutivo ha commentato la decisione del tribunale pugliese. “È importante e ci auguriamo che il giudice la confermi nel merito”, afferma prudente il portavoce di Sos Mediterranée Francesco Creazzo. Gran Bretagna. Udienze chiuse, per Assange sentenza a data da destinarsi di Leonardo Clausi Il Manifesto, 22 febbraio 2024 Processo londinese per l’estradizione del fondatore di WikiLeaks, ieri ha parlato l’accusa statunitense. Fuori la protesta cresce. Era il turno degli avvocati degli Stati uniti, ieri alla Royal Courts, nella seconda udienza della due giorni giudiziaria in cui si compirà il destino del prigioniero politico Julian Assange, colpevole di giornalismo. E l’olezzo maccartista di tutta l’operazione permeava di sé tutto lo Strand. Nonostante la giornata bigia e piovosa, davanti alla tetraggine gothic revival dell’edificio che ospita i massimi uffici giudiziari del paese c’erano forse ancora più manifestanti di mercoledì. Perché estradare Assange significa cestinare la Magna Carta. Sotto le volte archiacute, l’avvocata Clair Dobbin ha percorso le strade ben note in cui si articolano le accuse per il fondatore di WikiLeaks mosse dal Pentagono nel 2010 e sulle quali si basa la richiesta/pretesa statunitense di estradizione. Ha ribadito che non si tratta assolutamente di un processo politico, tanto meno di una rappresaglia scatenata dagli Stati uniti d’America contro il giornalista/hacker/intellettuale australiano. L’infondatezza della motivazione politica risiede principalmente, ha sostenuto Dobbin, nel fatto che l’accusa - inizialmente mossa dell’allora presidenza Trump (che in campagna elettorale di WikiLeaks si era detto entusiasta) - è poi continuata dalla presidenza Biden. Ha poi cercato di distogliere l’attenzione dai 17 capi d’imputazione di cui Assange è accusato in base a quel ferrovecchio giuridico che è l’Espionage Act (del 1917, una data che dice tutto), concentrandosi sull’hacking di un computer governativo in combutta con la whistleblower Chelsea Manning (perdonata dall’allora presidente Obama). Ha poi citato l’altra accusa mossa ad Assange da un hacker-delatore, l’informatore del Fbi Sigurdur Thordarson, un bel personaggino che ha poi ritrattato. Dobbins ha anche enfatizzato l’accusa principale - aver messo a rischio la vita di individui coinvolti nei cablogrammi pubblicati da WikiLeaks - quando in realtà l’Espionage Act criminalizza ricezione, detenzione e pubblicazione di documenti riservati: accusa anche questa sostanzialmente infondata, come già acclarato dal processo a Manning. Tutte le altre questioni, compreso il tentato omicidio di Assange da parte della Cia di Mike Pompeo e i microfoni nascosti nell’ambasciata ecuadoregna di due metri per due dietro Harrods dove si era rifugiato, saranno affrontate in una corte Usa. È eufemisticamente superfluo ricordare la dimensione globale della saga Assange. In un’epoca in cui l’atlantismo si lecca le ferite, non riesce a fare di meglio che perseguitare per quindici anni uno che sta difendendo “i nostri valori”, che ha dato la concretezza della sua carne al bla-bla neoliberale sullo speaking truth to power e che distingue il vero giornalista dalle sempre nutrite coorti di lacchè dell’informazione generalista. Per questo la composizione sociale e politica dei collegi giudicanti non sorprende: tutti i giudici finora espressisi su di lui sono conservatori di nome o di fatto. (Dame) Victoria Sharp, che si pronuncerà - non è dato sapere quando - sulla sorte di quest’uomo annichilito da quindici anni di reclusione, è sorella gemella di Richard Sharp, presidente della Bbc dal 2021 al 2023, nominato dall’allora primo ministro Boris Johnson col quale si è poi sdebitato contribuendo a racimolargli un prestito di 800mila sterline. Questi due giorni di udienza sono stati vissuti e denunciati in varie città del mondo: in Australia, Europa, Usa. A rappresentare l’Australia qui a Londra c’era il deputato Andrew Wilkie, a New York ha parlato alla folla l’attrice Susan Sarandon, l’artista russo Andrei Molodkin ha raccolto 16 opere d’arte - tra cui Picasso, Rembrandt, Warhol in un’installazione, Dead Man’s Switch, congegnata in modo da distruggere le opere se Assange dovesse morire in carcere. Alla fine della giornata, un corteo si è mosso in direzione di Downing Street. Israele. Come per Eichmann, nessun avvocato israeliano vuole difendere i miliziani di Hamas di Enrico Franceschini La Repubblica, 22 febbraio 2024 Per il processo contro centinaia di membri dell’organizzazione jihadista palestinese catturati nelle dopo l’attacco del 7 ottobre si creerà un problema analogo a quello del 1961 quando nessun legale israeliano volle difendere in aula l’architetto dell’Olocausto. Sessantatré anni fa, l’operazione per trovare in Argentina, catturare, portare in Israele e processare l’ex-gerarca nazista Adolf Eichmann si inceppò su un dettaglio che il governo di Gerusalemme non aveva inizialmente considerato: nessun avvocato israeliano si sentiva di difendere in tribunale l’uomo soprannominato “l’architetto dell’Olocausto”, responsabile della morte di milioni di ebrei nei campi di concentramento del Terzo Reich. Il processo si fece lo stesso, e alla fine Eichmann venne condannato all’impiccagione, l’unica pena capitale mai eseguita nella storia dello Stato ebraico, ma la sua difesa fu affidata a due avvocati tedeschi, Robert Servatius e Dieter Wechtenbruch. Poiché la legge israeliana non permetteva a avvocati stranieri di difendere un imputato in aula, un articolo del codice penale fu appositamente modificato, prevedendo un’eccezione nel caso di possibile condanna a morte”. Sarebbe stato impossibile trovare un israeliano, ebreo o arabo (riferimento alla minoranza araba, circa il 20 per cento della popolazione di Israele, non ai palestinesi di Cisgiordania e Gaza, che all’epoca vivevano rispettivamente sotto il controllo di Giordania ed Egitto, ndr) disposto a difendere Eichmann”, disse l’allora ministro della Giustizia israeliano Pinchas Rosen. Un dilemma analogo sembra proporsi per il processo che si terrà contro i militanti di Hamas accusati dell’aggressione nel Sud di Israele del 7 ottobre scorso in cui hanno perso la vita circa 1300 israeliani. Si tratta di centinaia di membri dell’organizzazione jihadista palestinese, catturati nelle prime ore dopo l’attacco, quando alcuni di essi si trovavano ancora nel territorio dello Stato ebraico, o successivamente, durante l’invasione israeliana di Gaza, e identificati con varie prove come partecipanti al massacro. Per processarli, la magistratura israeliana sta preparandosi a organizzare un processo su larga scala con un gran numero di imputati. Non sarà la prima volta che palestinesi accusati di terrorismo e di strage vanno sotto processo in Israele. Ma a differenza del passato, come riferisce stamani il Financial Times, fonti della procura generale dicono che non si trovano avvocati israeliani pronti a difendere gli autori dell’attacco, senza precedenti nella storia dello Stato ebraico per la quantità di vittime e per l’efferatezza con cui sono state uccise. Alcuni esponenti dei partiti di destra dicono, anche per questo, che i responsabili del pogrom del 7 ottobre dovrebbero essere processati da un tribunale militare, a porte chiuse, fuori dall’occhio pubblico. Altri, compresi autorevoli difensori dei diritti umani, insistono per rispettare anche in questo caso il diritto degli imputati a un normale procedimento giudiziario, a dispetto delle atrocità di cui essi sono accusati. Qualcuno ricorda che, se tale diritto è stato dato a Eichmann, deve essere esteso pure agli autori della peggiore strage nella storia israeliana. Il dibattito ha riacceso accuse a Israele di non fornire un equo processo ai palestinesi accusati di terrorismo, spesso processati da tribunali militari perché le prove da esibire sono coperte dal segreto di stato o perché si tratta di crimini avvenuti nelle zone occupate dall’esercito in Cisgiordania e ricadono per questo sotto la legge militare. Ci sono inoltre centinaia o migliaia di palestinesi detenuti in Israele in attesa di processo, una condizione che talvolta si prolunga per anni. D’altra parte, una difficoltà legale è lo status degli accusati del 7 ottobre, che Israele non considera “prigionieri di guerra”, bensì “combattenti illegali”. Molti di essi sono detenuti in isolamento in un carcere nel deserto del Negev, dove vengono interrogati non solo per ricostruire quello che è accaduto ma anche per ottenere informazioni su dove si trovano gli ostaggi in mano ad Hamas a Gaza e dove si nascondono i loro capi. Un ulteriore problema ancora è che, con alcuni dei corpi delle vittime bruciati fino a risultare irriconoscibili e i kibbutz colpiti dall’attacco devastati, in certi casi potrebbe risultare difficile trovare le prove. E allora come condannare un membro di Hamas catturato nelle vicinanze del massacro? Tutti interrogativi che, per opposte ragioni, riportano al processo del 1961 contro l’architetto dell’Olocausto. “Come Paese democratico, Israele ha l’obbligo morale di dare un regolare processo e una difesa legale anche agli imputati accusati dei crimini peggiori che si possano immaginare, come nel caso di Eichmann”, dice l’avvocata Hanat Horowitz, a lungo a capo dell’ufficio che fornisce difensori pubblici a chi non può permetterseli. “Coloro che sono accusati di avere commesso crimini contro l’umanità non devono essere difesi da avvocati pagati dal contribuente israeliano, cioè pagati anche dalle famiglie delle vittime e degli ostaggi”, ribatte Elad Danoch, presidente dell’associazione forense del sud di Israele, “perciò in questo caso bisogna rivolgersi ad avvocati stranieri, come nel processo a Eichmann”