Ferragosto in carcere, le visite di associazioni e parlamentari di Giorgio Santelli rainews.it, 16 agosto 2024 Ferragosto nelle carceri italiane per le associazioni e i movimenti che si occupano delle condizioni di vita delle persone private della libertà e di lavoro degli agenti della polizia penitenziaria. Una tradizione che si ripete ogni 15 agosto ormai da anni e che quest’anno diventa emergenza per i dati tremendi dei 71 suicidi dall’inizio dell’anno: 64 detenuti e sette agenti. Mancano 4 mesi alla fine di questo 2024 e lo spettro è quello di superare il dato record del 2022 quando i suicidi furono 85. I Radicali scelgono di andare nelle carceri minorili, come in Piemonte, o in Emilia Romagna. A livello nazionale a gran voce si chiede il ripristino delle condizioni di vivibilità per un mondo, quello carcerario, che da anni è ormai al collasso con numeri di detenuti infinitamente superiori a quelli che il sistema carcerario può ospitare e con carenze di organico degli agenti di custodia. Così si sono accesi i riflettori: associazioni, parlamentari, sindaci, personalità di governo ieri hanno visitato alcuni istituti di pena. Il ministro della giustizia Carlo Nordio, alla Giudecca. Bisogna diminuire la popolazione carceraria, dice, e poi racconta il perché della scelta della Giudecca. ‘Ho deciso di tornare qui, a pochi mesi dalla mia ultima visita in concomitanza con la storica presenza di Papa Francesco per l’inaugurazione del padiglione della Biennale d’arte, perché la Giudecca rappresenta un luogo simbolo del percorso di reinserimento e riscatto sociale delle persone private della libertà. Al padiglione, infatti, in pochi mesi si sono registrate oltre diecimila visite, che hanno visto le detenute protagoniste nel ruolo di guida dei visitatori. La Giudecca, come ha ricordato il Santo Padre, è un luogo che può e sa essere anche un’occasione di rinascita morale e materialè, ha dichiarato per poi tornare sul Decreto Carceri. “Con la nomina del commissario straordinario, e con l’attuazione del nuovo Decreto entro i prossimi due o tre mesi cominceremo a vedere i risultati”. E ha aggiunto - contiamo di raggiungere obiettivi importanti, che però non si possono conseguire nell’arco di una mattinata”. Il problema, però, non è quello della “mattinata” anche perché l’emergenza ormai è cronica. Da anni viene raccontata da quei terribili numeri di morti, dal sovraffollamento carcerario, dai dati delle migliaia di detenuti in attesa di giudizio, alla possibilità più volte annunciata e mai definita di pene alternative per reati minori. Ed è una cronicità cadenzata dai relativi richiami europei che puntano l’indice contro il nostro sistema carcerario giudicato non in linea con gli standard europei. Dicevamo dei riflettori accesi per un giorno. Il vicecapogruppo Pd alla Camera e Segretario di Demos Paolo Ciani, ha visitato il Carcere di Regina Coeli. “Un sovraffollamento che ha superato il 180%, agenti sottorganico strutture inadeguate. In tutti un senso profondo di attesa nei confronti dello Stato e della politica, speranza di cambiamento, misti a disperazione e rassegnazione. Non possiamo voltarci dall’altra parte dinanzi al dramma che stanno vivendo le carceri in Italia. Spero presto vi siano presto provvedimenti reali ed efficaci per cambiare la situazione. Matteo Renzi al carcere di Sollicciano, la collega di partito Raffaella Paita che, invece, era al carcere della Spezia. Dove sono urgenti i lavori di ripristino della intera area allagata dell’edificio. Serve più personale sanitario e più spazi per attività. Angelo Bonelli di Avs di fronte ad una situazione disastrosa torna su quello che in sintesi definisce ‘pannicello caldo’: “ll decreto approvato dal ministro, per sua stessa ammissione, non funziona. Ecco perché gli chiediamo di tornare in Parlamento e, insieme a noi e all’opposizione, trovare e concordare le proposte necessarie per risolvere questo drammatico problema’. Dicevamo di Matteo Renzi che ha interrotto la vacanza - lo dice su “X” - per andare con Roberto Giachetti al carcere di Sollicciano. “Il provvedimento del Governo Meloni su questo tema, approvato la scorsa settimana, è fuffa spaziale, anche a giudizio degli operatori del settore’. ‘Strutture come quella di Sollicciano andrebbero distrutte e rifatte da capo anche per agevolare il lavoro delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria oltre che per garantire una condizione civile ai detenuti”. Carlo Nordio, il guardasigilli, Dopo la visita alla Casa di reclusione femminile della Giudecca, si è recato presso la ex casa lavoro SAT, struttura dismessa e abbandonata fino al luglio 2024. Qui, nell’arco di un mese sono state realizzate delle ristrutturazioni che ne hanno consentito e consentiranno a breve termine altre opere per alloggi della Polizia Penitenziaria e per i detenuti avviati al lavoro all’esterno. Il lavoro è stato compiuto essenzialmente da detenuti coadiuvati da un assistente tecnico e proseguiranno fino al completamento dell’edificio e degli annessi per un totale di 1.000 metri quadrati. Le visite in carcere di ministro e parlamentari di maggioranza, pubblicità ingannevole dopo il decreto vergogna di Liana Milella La Repubblica, 16 agosto 2024 Marcia indietro del Dap su un manifesto da diffondere nelle prigioni che però esaltava contenuti inesistenti. “Non fiori ma opere di bene” recita la ben nota scritta funeraria. E tocca ricordarla soprattutto a quei parlamentari di Forza Italia che in pieno agosto vanno a caccia di like visitando le carceri. Peggio di loro c’è solo Carlo Nordio che s’affida al Patriarca di Venezia per dare ai detenuti quel segno di umanità che da ministro della Giustizia lui gli ha negato. Ci vuole coraggio, politico e umano, a licenziare un testo che di “decreto” per umanizzare le patrie galere ha solo il nome. In cella non porta alcun beneficio immediato. Nel goffo tentativo di farne propaganda nei penitenziari, esalta un contenuto inesistente perfino il vertice del Dap, la direzione delle carceri. Solerti funzionari accreditano nuove misure che in realtà non ci sono, dalle telefonate possibili a richiesta a una liberazione anticipata che non è diventata affatto automatica. Tutt’altro. E quando si accorgono dell’errore sono pronti a rimbrottare i giornalisti per aver diffuso quel foglio che adesso invece viene etichettato come “riservato”. Ma come, doveva essere un manifesto da diffondere in tutte le patrie galere per vantare la bravura di Nordio, e ora diventa una pagina clandestina? Capita così purtroppo quando non si ha il senso della decenza. E il coraggio di dire che quelle norme sono diventate un decreto solo per far passare in tutta fretta il reato di “peculato per distrazione” imposto dal Quirinale per licenziare il disegno di legge sull’abuso d’ufficio. Che altrimenti non avrebbe assolutamente ottenuto il via libera. È stato firmato dal presidente Sergio Mattarella solo dopo il voto definitivo del decreto carceri. Forza Italia è stata al gioco. Come lo sono stati Meloni e i suoi, altrimenti avrebbero dovuto scaricare il loro ministro della Giustizia. È rimasto in vita un decreto vuoto che non dà ai detenuti alcun beneficio concreto, tant’è che lo stesso Guardasigilli s’arrampica sugli specchi. E lancia promesse impossibili. Come quella di rimandare nei loro paesi d’origine i detenuti, procedura vietata senza il pieno assenso dello Stato di provenienza. Se ne accorge perfino il Foglio, pronto a pubblicare gli scritti di Nordio su Churchill e a vantarne il garantismo, ma a bacchettarlo in quest’occasione, parlando espressamente di “chiacchiere” a fronte degli abituali annunci del ministro. Tipo le caserme da riadattare di cui non esiste nemmeno l’ombra dopo che ne ha parlato per un anno intero. Ma stavolta le responsabilità non sono solo di Nordio, ma dell’intera maggioranza. E anche di un partito che a ogni passo fa professione di garantismo come Forza Italia. E certo suona incredibile la contraddizione, tutta politica, nel promuovere le visite nelle patrie galere, magari in quelle più vicine al luogo dove si sta in vacanza al mare, quando solo pochi giorni prima s’è votato in Parlamento un guscio vuoto. Antonio Tajani e i suoi non hanno certo minacciato una crisi sul decreto e sul suo vacuo contenuto. Troppo comodo sfruttare l’effetto mediatico di una conferenza stampa per annunciare le visite agostane nelle carceri assieme ai Radicali, che da sempre si battono per le galere, ma che certo non hanno alcuna responsabilità politica per quanto avviene a Palazzo Chigi. Ben altra poteva essere la prova di forza di Tajani. Andando fino in fondo nel pieno appoggio alla liberazione anticipata speciale di Roberto Giachetti e Rita Bernardini. Alla Camera c’era stata l’apertura del vicepresidente della Commissione Giustizia Pietro Pittalis che però è stata subito stoppata dall’ala dura della maggioranza, Lega e Fratelli d’Italia. Una volta passato il decreto le visite nelle carceri sono solo pubblicità ingannevole. Il gioco è fatto e la partita è persa. Non ci potrà essere un nuovo decreto. I parlamentari avrebbero fatto bene a visitare le prigioni prima di esaminarlo, non dopo, a testo ormai approvato, quando constatare l’orrore di una detenzione in condizioni da terzo mondo non può più servire a nulla. Suonano come una beffa le dichiarazioni rilasciate da deputati e senatori quando si lasciano alle spalle un penitenziario. Davvero si accorgono solo ora che sono invivibili? Non lo sapevano quando hanno approvato il decreto prima al Senato e poi a Montecitorio? Quelle visite risultano una beffa inaccettabile e andrebbero evitate perché sono foriere solo di possibili agitazioni e rivolte. Il dado è tratto. Nel silenzio assente del “presunto” Garante dei detenuti Maurizio D’Ettore e della sua squadra. Notizie del Garante? Non pervenute. Sono lontani i tempi in cui l’ex Garante Mauro Palma batteva le carceri a tappeto. Come dimostra la rassegna stampa, era sempre là dov’era necessario che fosse. Lui e la sua squadra. E aveva il coraggio di parlare, di raccontare quello che aveva visto, di documentarlo nei suoi rapporti. Sì, certo, ci metteva la faccia anche di fronte all’opinione pubblica. Che ha il diritto di essere informata delle ragioni per cui muoiono 66 persone senza che il governo in carica muova un solo dito nell’arco di otto mesi. Lo stillicidio dei suicidi prosegue. Ma forse dal 15 agosto in poi il patriarca di Venezia potrebbe inoltrare una supplica speciale al Padreterno. Ma in questo torrido agosto restano l’insopportabile cinismo e la faccia tosta di una classe di governo nazionale che sfrutta le morti in carcere per pretendere norme che non servono per i poveri cristi, ma per impedire ai magistrati di assicurare alla giustizia gli amministratori locali che violano la legge. Ecco la richiesta di cancellare la norma della legge Severino che sospende quelli condannati in primo grado. Il Pd, dopo l’errore commesso dai suoi sindaci nel chiedere di sopprimere l’abuso d’ufficio, ora ci ricade con la legge Severino. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Il Ferragosto in carcere dovevano passarlo le Asl di Marco Perduca huffingtonpost.it, 16 agosto 2024 L’Associazione Luca Coscioni ha diffidato 102 Aziende sanitarie locali ricordando loro che hanno l’obbligo di provvedere a sopralluoghi presso le strutture penitenziarie di loro competenza. Per il momento nessuna ha dato seguito. Il 9 agosto l’Associazione Luca Coscioni ha diffidato 102 ASL ricordando loro che hanno l’obbligo di provvedere a sopralluoghi presso le strutture penitenziarie di loro competenza al fine di “apprezzare obiettivamente le circostanze relative alle effettive condizioni di igiene e delle esigenze di profilassi, impegnandosi altresì ad informare, come è nelle proprie facoltà istituzionali, i competenti Ministeri della Salute e della Giustizia, nonché a fornire tutti i servizi socio-sanitari ai detenuti e di attivarsi immediatamente qualora tali servizi non rispettino gli standard imposti dal legislatore e oggetto di plurime contestazioni da parte degli organi giurisdizionali” nazionali e internazionali. Per il momento nessuna ASL ha dato seguito. Al 31 luglio 2024 i dati del Ministero della Giustizia dicono che ci sono 61.133 persone ristrette in 189 strutture che ne possono contenere sì e no 45.000; una “situazione intollerabile” che, alla vigilia di Ferragosto, ha suscitato l’annuncio delle consuete visite ispettive da parte di parlamentari e associazioni. Le prime, si spera, a sorpresa, le seconde obbligatoriamente programmate. Il “Ferragosto in carcere” è un’invenzione radicale, e segnatamente di Rita Bernardini che la pianificò come mobilitazione parlamentare nazionale nell’estate del 2008 da neo-eletta deputata. Se il Partito Radicale confida nel “garantismo” di Forza italia, il ministro Antonio Tajani ha dato prova di sé inaugurando la presenza in carcere del suo partito con una visita a Paliano dove, a parte il picchetto d’onore e il pranzo a buffet, ha potuto complimentarsi coi dirigenti perché il penitenziario era mezzo vuoto! Nessuno Tocchi Caino e Radicali Italiani hanno pensato invece, e bene, di denunciare i principali responsabili di questa patente, massiccia e sistematica violazione dei diritti umani ai danni di decine di migliaia di persone a partire dal Ministro della giustizia Carlo Nordio. Se si può capire, e naturalmente condividere, il coinvolgimento emotivo e la pietas umana di chi vuole darsi (genericamente) da fare - non a caso lo chiamano “attivismo” - a favore dei detenuti, chi fa politica da anni o siede in Parlamento non può però scudarsi dietro argomenti (genericamente) “umanitari” e/o lavarsi la coscienza a buon mercato - occorre assumersi chiare responsabilità in virtù o del proprio ufficio o della propria esperienza e storia politica, altrimenti è connivenza. Al netto dell’analisi del perché e percome e da quando si è arrivati, nuovamente, a un sovraffollamento oltre il 130%, è chiaro quel che, de minimis, occorre fare: ridurre il numero delle presenze in carcere. Ma come si può incidere sul sovraffollamento se Governo e Parlamento hanno da poco licenziato, senza che dal Quirinale arrivasse alcun rilievo ufficiale, provvedimenti ritenuti “necessari” e “urgenti” ma che non incideranno minimamente sul problema? L’esperienza insegna che occorre attivare i pochi strumenti a disposizione delle “persone comuni” per pretendere il rispetto delle regole da parte di chi dovrebbe applicarle. In attesa di vedere che fine faranno le denunce ai vertici del Ministero della Giustizia, accusati di una gestione che condona trattamenti inumani e degradanti, e delle decine di interrogazioni parlamentari presentate a seguito delle visite ispettive - che presumibilmente non incontreranno risposta come da anni a questa parte - vanno intanto, o almeno, coinvolte le ASL. È infatti onere delle Aziende sanitaria locale accertare, anche con visite ispettive agli istituti di pena, che le condizioni di igiene e profilassi siano rispettate e, in caso contrario, intervenire per interrompere eventuali gravi mancanze. Per l’appunto non passa giorno che non si legga di situazioni da incubo per quanto riguarda la salubrità delle patrie galere, se si mettono i sigilli a un esercizio commerciale o un luogo pubblico non a norma, perché non a un carcere? Nell’anno in cui i suicidi in carcere hanno raggiunto la tragica cifra di 67, a cui vanno aggiunti i sette agenti penitenziari che si sono tolti la vita, e in cui non passa giorno che non si leggano le denunce pubbliche dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà o notizie di stampa e resoconti di visite ispettive che fanno emergere una situazione di patente violazione strutturale del diritto alla salute delle persone ristrette in Italia, le istituzioni competenti paiono non interessarsene. Lagnarsene a “reti unificate” non basta, a mali estremi occorrono “estremi” rimedi. Nel caso in cui le diffide alle ASL dovessero cadere nel vuoto, l’Associazione Luca Coscioni ha preannunciato che passerà a interessare le competenti autorità regionali e cittadine perché la salute in carcere è un diritto e non adoperarsi neanche per verificare se e come venga fatto rispettare potrebbe configurarsi come “omissione di atti di ufficio”. Nordio: “Chi intravede la fine della reclusione non perda la speranza” di Davide Vari Il Dubbio, 16 agosto 2024 Intanto il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha inviato una nota ai Provveditori regionali e ai direttori degli istituti penitenziari per chiarire a chi è rivolto il vademecum del Dl carcere. Con il pensiero rivolto alla sua Venezia che festeggia la festa dell’Assunzione della Vergine, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, auspica che sia “propizia anche per dare luce all’azione, discreta ma intensa che il Patriarca di Venezia ha voluto svolgere con il Ministero che ho l’onore di rappresentare. Ognuno nel proprio ordine, come scrive la Costituzione della Repubblica, ma con un unico fine, proviamo così a sovvenire sia al bene comune della sicurezza civile sia a quello particolare delle persone prossime alla conclusione della loro esperienza detentiva”. Nella nota il ministro aggiunge: “A chi ha scontato la pena, o almeno la porzione di pena detentiva vogliamo che non manchi un segno efficace di speranza per il suo futuro, segno che sarà di vero inserimento se consisterà nella abilità a un lavoro apprezzato dalla società e nella possibilità di svolgerlo con serietà e dignità: ed è per questo che concretamente abbiamo lavorato con la Chiesa veneziana. Una speranza di elevazione umana e civile che credo ben si appropri al giorno dell’Assunta”. Intanto il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha inviato una nota ai Provveditori regionali e ai direttori degli istituti penitenziari per chiarire a chi è rivolto il vademecum del Dl carcere, inviato il 12 agosto. “Il vademecum - si legge nella nota - è ad esclusivo uso interno”. Mentre si aggiunge che “la divulgazione alla popolazione detenuta sarà assicurata con un documento semplificato che questa Direzione Generale avrà cura di elaborare e divulgare nelle lingue più diffuse tra la popolazione detenuta”. Proprio sul vademecum è intervenuto il Portavoce della Conferenza dei garanti territoriali, Samuele Ciambriello, che ha manifestato al Capo del Dap Giovanni Russo riserve, sul merito, sul linguaggio e sul metodo di diffusione. Secondo Ciambriello: “La lettura di tale vademecum può ingenerare dubbi e perplessità da parte delle direzioni delle diverse aree giuridico pedagogiche. Aspettative eccessive da parte della popolazione carceraria, questioni interpretative e possibili difformità nell’applicazione da parte della magistratura di sorveglianza emblematica in tal senso è il punto 4 della circolare che se letto da un detenuto o da un non addetto ai lavori potrebbe lasciare intendere che la parola automaticamente non si riferisca alla riduzione dei 45 giorni della liberazione anticipata ma anche all’applicazione delle misure alternative. Il che non è conforme alle previsioni di legge secondo cui il magistrato per poter concedere una misura alternativa deve comunque svolgere attività istruttoria e verifiche. Siamo sinceramente sorpresi dal tono enfatico della circolare, prendiamo atto che è stata sospesa la sua diffusione tra i detenuti ma riteniamo urgente che anche agli operatori penitenziari siano date indicazioni chiare, in modo che possano essere interpreti tra i detenuti”. Decreto Carceri, per Nordio risultati tra 2 o 3 mesi. Le opposizioni all’attacco, polemiche su Delmastro di Annalisa Girardi fanpage.it, 16 agosto 2024 Sono diversi i politici che nel giorno di Ferragosto hanno deciso di fare visita a un carcere nel tentativo di tenere alta l’attenzione su questo tema. Tra questi anche il ministro Nordio che - mentre non si fermano gli attacchi delle opposizioni - ha detto che i risultati si dovrebbero iniziare a vedere tra un paio di mesi. Da quando il decreto Carceri è diventato legge, le opposizioni sono partite all’attacco contro il provvedimento, affermando che sia un mero spot elettorale per la maggioranza di governo, ma che non faccia assolutamente nulla per migliorare la situazione degli istituti penitenziari, tra sovraffollamento e un drammatico numero crescente di suicidi in cella. Sono diversi i parlamentari che in questi giorni stanno facendo visite alle carceri per tenere alta l’attenzione e vedere di persona le condizioni in cui vivono i detenuti. E ieri, nel giorno di Ferragosto, anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ha voluto essere da meno. “Penso che con la nomina del commissario straordinario, e con l’attuazione del nuovo decreto Carceri entro i prossimi due o tre mesi cominceremo a vedere i risultati”, ha detto il Guardasigilli al termine della sua visita al carcere femminile della Giudecca, a Venezia. Secondo le opposizioni, però, con il decreto Carceri non si risolverà nemmeno in mesi: “In tutta Italia abbiamo un sovraffollamento inaccettabile e il provvedimento del Governo Meloni su questo tema è fuffa spaziale, anche a giudizio degli operatori del settore”, ha scritto su X Matteo Renzi, che invece a Ferragosto si è recato in visita al carcere di Sollicciano. Una struttura che, ha proseguito l’ex presidente del Consiglio, “andrebbe distrutta e rifatta da capo anche per agevolare il lavoro delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria oltre che per garantire una condizione civile ai detenuti”. Poi ha concluso: “Sia chiaro: chi sbaglia deve pagare ma le condizioni di un carcere devono essere umane, altrimenti è lo Stato a violare la legalità. Mi sono rimaste impresse alcune storie delle oltre 500 persone che vivono a Sollicciano: considerate che quasi la metà è ancora in attesa di giudizio definitivo. E questo dato dovrebbe interrogare profondamente la politica e tutto il mondo della giustizia. Esco da Sollicciano con impresse nel cuore le immagini di alcuni ragazzini più giovani dei miei figli. E penso che una politica che non si occupa del disagio, della salute mentale, delle dipendenze e naturalmente del carcere non è una politica seria”. Anche il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, ha deciso di visitare un istituto penitenziario nel giorno di Ferragosto. Ha scelto il carcere di Brindisi, scatenando però le polemiche. Per prima cosa per la foto (poi cancellata) pubblicata sui suoi profili social in cui lo si vede all’interno dell’edificio con una sigaretta accesa tra le dita, a pochi passi da un cartello che segnala come sia vietato fumare. Un’altra polemica è stata suscitata dal fatto che a Taranto Delmastro avrebbe completamente ignorato i detenuti, incontrando solo gli agenti della polizia penitenziaria. A denunciarlo è stato Gian Domenico Caiazza, che in un post sui social ha scritto: “Le parole del sottosegretario alla Giustizia Delmastro Delle Vedove, che sdegnosamente rivendica di aver visitato il carcere di Taranto per incontrare solo la Polizia Penitenziaria, perché lui non si inchina “alla Mecca dei detenuti”, sono di una gravità definitiva”. E ancora: “Il Sottosegretario proprio non riesce a comprendere che i detenuti (siano essi i peggiori criminali, o persone innocenti in attesa di giudizio) sono affidati alla custodia e quindi alla responsabilità dello Stato e-specificamente- al Ministero che egli indegnamente rappresenta. E se costoro vengono custoditi nelle condizioni indecenti che tutti conosciamo, significa che Delmastro Delle Vedove in quel momento rappresenta formalmente chi ha la responsabilità di quella indecenza (che naturalmente ha molti padri in questi ultimi decenni)”. Caizza ha concluso affermando che il sottosegretario abbia dimenticato quale sia il suo ruolo e che, di fatto, non dovrebbe ricoprire quell’incarico: “Se va in carcere e parla solo con polizia penitenziaria e il personale amministrativo, rivendicando con orgoglio di aver ignorato i detenuti, non solo appicca il fuoco di una contrapposizione esplosiva tra “buoni” e “cattivi”, ma dimostra di non avere la minima idea di quali siano il suo ruolo e le sue responsabilità. Chi confonde la politica con la propaganda becera delle proprie idee, non può avere responsabilità di Governo di questa importanza”. Il vademecum del Governo ai detenuti: “Con il dl Carceri sconti di pena automatici”, ma non è vero di Paolo Frosina Il Fatto Quotidiano, 16 agosto 2024 Per evitare nuove rivolte, il ministero della Giustizia fa credere ai detenuti agonizzanti che per ottenere i “bonus” per la buona condotta non sia più necessaria la valutazione dei giudici di Sorveglianza. Una truffa lessicale contenuta in un vademecum del Dap che fa infuriare i sindacati della Penitenziaria, ma anche i magistrati e i garanti. Le carceri scoppiano e il decreto del governo in materia penitenziaria, appena convertito in legge, non fa nulla di concreto per attenuare il sovraffollamento. Il Guardasigilli Carlo Nordio lo sa bene, tanto da affrettarsi ad annunciare ulteriori interventi (possibilmente in grado di evitare la custodia cautelare ai colletti bianchi) mentre sostiene che “in due o tre mesi” il provvedimento farà vedere i suoi effetti (video). Nell’attesa, però, il suo ministero ha trovato lo stratagemma per evitare nuove rivolte come quella dei giorni scorsi a Torino: far credere ai detenuti agonizzanti che grazie alla destra potranno ottenere in automatico gli agognati sconti di pena per “buona condotta”, senza più dover passare per la valutazione dei giudici di Sorveglianza. Una truffa lessicale - denunciata dai magistrati, dal Garante dei detenuti e dai sindacati della Polizia penitenziaria - contenuta in un vademecum sul decreto Carceri firmato dalla vicecapo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Lina Di Domenico, inviato il 12 agosto ai direttori degli istituti e ai provveditori regionali con la richiesta di darne la “massima diffusione, rendendolo fruibile con distribuzione diretta ai detenuti e internati e con affissione nelle sale comuni”. Cosa cambia (davvero) col decreto - Il documento esordisce, con toni propagandistici, esaltando le “diverse novità che migliorano la condizione detentiva” introdotte dalla nuova legge. Al primo punto si cita l’aumento da quattro a sei delle telefonate concesse ogni mese, omettendo però che non varrà per tutti i detenuti (per i condannati per una serie di gravi reati, compreso il traffico di droga, il limite resta a due). Ma è ai punti 3 e 4 che si parla del “succo”, il beneficio più desiderato dai carcerati: la liberazione anticipata, cioè il “bonus” di 45 giorni ogni sei mesi di pena espiata, concesso a chi “partecipa all’opera di rieducazione”. Il governo non ha voluto aumentare i giorni di sconto (come chiede in una proposta di legge il deputato renziano Roberto Giachetti) ma si è limitato a modificare l’iter procedurale: i detenuti non dovranno più fare istanza ogni semestre per vedersi applicare il beneficio, ma sarà il giudice a riconoscerlo “tutto in una volta”, dopo aver valutato i presupposti, quando il cumulo dei “bonus” diventa rilevante per il fine pena o per far scendere la pena residua consentendo l’accesso a misure alternative (semilibertà, affidamento in prova, domiciliari). La narrazione del governo - Il problema è che questo meccanismo, nel vademecum del governo, viene descritto in modo piuttosto fuorviante. “La pena verrà ridotta di 45 giorni ogni sei mesi, automaticamente senza necessità di fare alcuna istanza al magistrato di Sorveglianza, se il detenuto parteciperà alle attività di rieducazione (studio, lavoro, ecc.)”, si legge al punto 3. E ancora al punto 4: “Ogni volta che il condannato farà un’istanza per le misure alternative alla detenzione, automaticamente il magistrato di Sorveglianza applicherà la riduzione per la liberazione anticipata”. L’avverbio “automaticamente”, ripetuto due volte, ha un sottotesto chiaro: far credere a chi sconta la pena che i giudici di Sorveglianza non abbiano più voce in capitolo, e quindi siano “obbligati” - come dei notai - a concedere gli sconti a chi ha partecipato alle attività rieducative in carcere. In realtà non è affatto così: è sempre il magistrato a dover valutare, sulla base delle relazioni del personale penitenziario, se il detenuto è meritevole della liberazione anticipata. E di certo non può bastare aver studiato e lavorato, se - ad esempio - ci si è macchiati nel corso dello stesso periodo di episodi di violenza. A dirlo con chiarezza d’altra parte è lo stesso testo del decreto, in cui si legge che il giudice “accerta la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ad ogni semestre precedente”. “False aspettative, rischio effetto destabilizzante” - La prima denuncia delle espressioni “scivolose” usate dal governo era arrivata dal sindacato della polizia penitenziaria Osapp: il vademecum, ha dichiarato il segretario Leo Beneduci, “contiene un macroscopico errore” che un dipartimento del ministero della Giustizia “non può permettersi”. Nel documento, sottolinea Beneduci, “si afferma erroneamente che ogni volta che un detenuto presenta un’istanza ha diritto ai giorni di liberazione anticipata. Questa è una dichiarazione non solo falsa, ma anche pericolosamente fuorviante”. Critico anche il portavoce dei Garanti dei detenuti Samuele Ciambriello, che denuncia come la lettura del vademecum possa “ingenerare aspettative eccessive da parte della popolazione carceraria” e si dice “sorpreso” dal “tono enfatico” usato nel testo. E pure dalla magistratura si levano voci preoccupate: “Trovo che questa comunicazione sia pericolosamente fuorviante, perché crea aspettative false nella popolazione detenuta già sottoposta a sofferenze gratuite per le generali condizioni di carcerazione e finisce per addossare alla magistratura di Sorveglianza responsabilità che la legge non le permette di assumere”, dice al fatto.it il consigliere togato del Csm Marcello Basilico, del gruppo progressista di Area. Un approccio, conclude, che “rischia di rivelarsi destabilizzante per una situazione carceraria già a rischio”. Quale potrà essere, infatti, la reazione di un detenuto convinto che un giudice non gli abbia concesso un beneficio che gli spettava per legge? “Riconoscimento automatico? No, più complesso” - Raggiunto dal nostro giornale, Stefano Celli, pm a Rimini e membro del Comitato direttivo dell’Associazione nazionale magistrati (nell’ambito del quale presiede la Commissione Diritto penitenziario) rimette in fila i concetti: “Non è vero, semplicemente, che il riconoscimento è automatico. L’unico automatismo scatta quando il detenuto chiede un’altra misura alternativa: in quel contesto vengono anche valutati e, se del caso riconosciuti, gli sconti di pena, con gli stessi criteri di prima”, spiega. “Questo in realtà peggiora il meccanismo: più è lunga la pena, più saranno i semestri da valutare e le informazioni, i pareri e quindi il giudizio del magistrato, che deve riguardare comunque il singolo semestre, sarà più complicato. Il pericolo è stato segnalato durante le audizioni in Commissione Giustizia, ma inutilmente”, ricorda. “Resta poi il giudizio di fondo: non c’è nessun miglioramento delle condizioni disumane in cui la massima parte dei detenuti sconta la pena. I detenuti nel frattempo si suicidano e quelli che non lo fanno subiscono un carcere disumano, con il compiacimento ormai neppure troppo nascosto di chi ritiene che la detenzione comporti la perdita di tutti i diritti, non solo della libertà, di cui si accontentava il fascistissimo codice Rocco”. Delmastro visita le carceri: la frase e la foto (con sigaretta) che suscitano polemiche Corriere della Sera, 16 agosto 2024 Il sottosegretario alla giustizia si è vantato di “non essersi recato alla Mecca dei detenuti” ma di aver incontrato solo la polizia penitenziaria. Poi la foto con la sigaretta sotto il cartello di divieto di fumo. Ferragosto dedicato alla visita nelle carceri. Diversi esponenti politici hanno in questo giorno varcato i cancelli degli istituti di pena per dimostrare attenzione alle condizioni di detenuti e Polizia penitenziaria. Tra questi anche il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, che però è incorso in un doppio inciampo: per una dichiarazione che ha suscitato polemiche e per una improvvida foto, finita sui social, che lo ritrae con una sigaretta in mano sotto un cartello di divieto di fumo. Il primo episodio è avvenuto il giorno prima di Ferragosto nel carcere di Taranto, dove si registra uno dei più gravi indici di sovraffollamento (900 detenuti per poco più di 500 posti). Parlando con i cronisti all’uscita della casa circondariale ha specificato di aver incontrato gli agenti di custodia ma ha sottolineato - secondo diverse fonti riprese, tra gli altri, da Gian Domenico Caiazza, presidente degli avvocati penalisti - di non essersi “inginocchiato alla mecca dei detenuti”. Ha poi specificato che il governo Meloni non approverà mai provvedimenti “svuotacarceri”. In un periodo in cui già 60 detenuti si sono tolti la vita e in cui le condizioni di vita nelle celle stanno diventando di nuovo un’emergenza le parole di Delmastro sono suonate fuori posto. Non ha mancato di sottolinearlo proprio Caiazza, con un post su Twitter: “Il Sottosegretario proprio non riesce a comprendere che i detenuti (siano essi i peggiori criminali, o persone innocenti in attesa di giudizio) sono affidati alla custodia e quindi alla responsabilità dello Stato. Se va in carcere e parla solo con polizia penitenziaria e il personale amministrativo, rivendicando con orgoglio di aver ignorato i detenuti, non solo appicca il fuoco di una contrapposizione esplosiva tra “buoni” e “cattivi”, ma dimostra di non avere la minima idea di quali siano il suo ruolo e le sue responsabilità”. Più grottesca la seconda “gaffe” in cui è incorso il vice del ministro Nordio: si è fatto fotografare con il personale del carcere tenendo tra le dita una sigaretta (non è chiaro se accesa o meno). Alle sue spalle, però, campeggiava un cartello che impone il divieto di fumo. Anche stavolta i social si sono rivelati una trappola: la foto è stata messa in rete, anche sui profili del sottosegretario che dopo poche ore ha provveduto a rimuoverla. Troppo tardi. Parma. Tragedia di Ferragosto: detenuto 36enne si impicca in cella di isolamento di Christian Donelli parmatoday.it, 16 agosto 2024 È il terzo suicidio in via Burla dall’inizio dell’anno. Tragedia nella serata di giovedì 15 agosto all’interno del carcere di Parma. Un detenuto 36enne di origine tunisina si è impiccato. L’uomo era arrivato dal carcere di Ascoli Piceno nella serata del 14 agosto e si trovava nella sezione di isolamento Iride. È il terzo suicidio a Parma nel 2024 e il 66esimo a livello nazionale. “È il terzo suicidio a Parma dall’inizio dell’anno. Il carcere di via Burla è il penitenziario con il più alto tasso di suicidi” commenta Roberto Cavalieri, Garante dei diritti dei detenuti della Regione Emilia-Romagna, che si è recato in carcere per un sopralluogo. Secondo le prime informazioni si tratta di un uomo 36 anni di nazionalità tunisina che scontava una pena definitiva di 3 anni e 8 mesi, arrestato nell’agosto del 2021 per rapina, ricettazione violazione della normativa sugli stupefacenti. Critico sotto il profilo comportamentale era stato trasferito più volte dai istituti della Marche, Emilia-Romagna, Umbria per motivi di ordine e sicurezza. In sentenza presentava un ordine di espulsione dall’Italia una volta scontata la pena. Il Garante dei detenuti, che si è recato immediatamente sul luogo del fatto dopo il dissequestro della salma da parte della Procura di Parma, riferisce che si tratta del terzo suicidio a Parma nel 2024 ed il secondo nella sezione di isolamento denominata Iride. Il Garante si è anche intrattenuto con i detenuti rinchiusi nella stessa sezione dove è avvenuto il suicidio. Torino. “Al Ferrante Aporti detenuti minorenni in cella 23 ore su 24” di Claudio Neve torinocronaca.it, 16 agosto 2024 La denuncia dei Radicali dopo un sopralluogo ieri mattina. I problemi dovuti alle devastazioni dei detenuti durante la rivolta di due settimane fa. Una delegazione del Partito Radicale guidata da Sergio Rovasio, consigliere generale del Partito Radicale e presidente dell’Associazione Marco Pannella di Torino, accompagnata da Bruno Mellano, garante regionale dei detenuti della Regione Piemonte, ha visitato ieri mattina il carcere minorile Ferrante Aporti di Torino, pochi giorni dopo rivolta avvenuta all’interno della struttura. “Tra i gravi problemi riscontrati - è la relazione fatta dalla delegazione Radicale - vi sono certamente gli evidenti danni alle strutture dell’Istituto che impediscono la normale quotidianità: il personale deve gestire la sicurezza con infrastrutture danneggiate e con aiuto di agenti provenienti dall’esterno; i detenuti, che abbiamo incontrato, sono di fatto obbligati quasi tutti a rimanere chiusi dentro le celle 23 ore su 24 a causa degli spazi comuni inagibili; vi sono gravi carenze igieniche nelle celle per la mancanza di prodotti di ricambio; almeno quattro celle sono gravemente danneggiate e impraticabili; v’è mancanza dei regolari corsi di formazione educativi. Invieremo a Roma alla Direzione degli Istituti per minori una lettera-appello nella quale chiederemo di intervenire con la massima urgenza per ripristinare quanto prima le strutture danneggiate”. “Passare il ferragosto in carcere, come faceva sempre Marco Pannella - prosegue la nota del Partito Radicale - fa capire ancora meglio come le lacune quotidiane, ordinarie e in questo caso anche straordinarie, siano ancora più pesanti in un contesto di vero e proprio abbandono dei detenuti e dei detenenti. Gli agenti della Polizia penitenziaria e la stessa Direzione dell’istituto stanno facendo il possibile per evitare ulteriori tensioni e degrado all’interno del carcere minorile”. Torino. “Radio Carcere” annuncia nuove rivolte e al minorile gli indagati diventano 18 di Sara Sonnessa torinocronaca.it, 16 agosto 2024 Massima allerta per scongiurare nuove sommosse all’interno dei penitenziari piemontesi dove temperature bollenti e sovraffollamento rendono tutto ancora più caotico. È un agosto bollente nelle carceri piemontesi. E in molti pensano che il peggio debba ancora arrivare: da giorni nei corridoi dei penitenziari si parla di nuove rivolte da organizzarsi nelle prossime ore e c’è chi continua a implorare le istituzioni perché ogni rischio venga scongiurato. “Caldo e sovraffollamento, in aggiunta alla scelta della politica di non affrontare le problematiche, possono essere un pericoloso innesco. Le proteste sono legittime se a base di dialogo, diversamente a quelle che vi sono state ultimamente al Ferrante Aporti e alle Vallette” afferma Bruno Mellano, garante regionale dei detenuti. Anche il personale di polizia penitenziaria dorme sonni poco sereni, riguardo le settimane che verranno: “Il rischio di rivolte di particolare violenza nelle carceri è non solo reale ma, dato il periodo, quanto mai probabile tenuto conto del periodo di estrema calura e delle misure di scarso impatto sul sovraffollamento penitenziario adottate di recente dal Governo. Il problema è però anche legato alla evidente e mai veramente sanata carenza nell’organico di Polizia Penitenziaria di circa il 70% delle carceri sul territorio che renderebbe arduo affrontare le emergenze di maggiore gravità” dichiara il segretario generale Osapp Leo Beneduci. E nel frattempo, alle Vallette continuano a entrare nuovi detenuti. “Il punto è che di questo sovraffollamento non si vede il limite, non si vede la fine. Non sappiamo se da qui a fine anno i numeri cresceranno ancora, i detenuti entrano a bizzeffe ed escono con il contagocce” commenta Maurizio Basile, avvocato e vicepresidente della Camera Penale del Piemonte occidentale e della Valle d’Aosta. Intanto, sui social circola una lettera che sembrerebbe scritta da una detenuta del padiglione femminile: “Dal 15 agosto cominciamo con lo sciopero del carrello. Quando “i decisori” torneranno dalle vacanze cominceremo uno sciopero della fame”. E ci sono novità anche riguardo al minorile: sale a 18 il numero dei giovani detenuti finiti sotto inchiesta per la rivolta del Ferrante Aporti. Successivamente alla denuncia della Procura minorile (che aveva iscritto sul registro degli indagati 15 nomi di altrettanti ragazzi, tutti minorenni e molti italiani) anche la Procura ordinaria ha indagato tre persone. Le accuse per loro sono di devastazione e incendio. Un egiziano, un tunisino e un marocchino, tutti maggiorenni tra i 18 e i 25 anni. I tre si trovano al Ferrante Aporti per scontare pene relative a reati commessi da minorenni. Nel frattempo continuano le indagini e le ricostruzioni della notte tra l’1 e il 2 agosto: ore di altissima tensione non solo al Ferrante Aporti ma anche alle Vallette per quella che per un po’ racconteremo come la notte di fuoco delle carceri di Torino: in ambo i penitenziari le sommosse sono state violenti causando diversi feriti tra gli agenti penitenziari. E su questo “legame” sono in corso gli accertamenti: una sola regia dietro le 2 rivolte? L’ipotesi di chi indaga è che i “grandi” abbiano creato un diversivo per concentrare le forze dell’ordine nel quartiere Vallette e permettere così ai “piccoli” del minorile di tentare l’evasione di massa. Verona. Ferragosto al carcere di Montorio: “Condizioni disumane, qui è impossibile rieducare” L’Arena, 16 agosto 2024 Il carcere veronese ha un altissimo tasso di suicidi fra i detenuti. “Questo carcere non potrà mai rieducare”: lo dicono all’unisono gli avvocati della camera penale di Verona che hanno trascorso il Ferragosto con i detenuti nel carcere di Montorio, divenuto tristemente famoso in ambito nazionale per l’altissimo numero di suicidi che vi si sono verificati. “Le condizioni detentive”, spiegano, “sono oltre il limite della dignità umana: celle piccolissime dove sono stipati fino a 3 o 4 detenuti, rinchiusi per ore ad aspettare un medico che spesso non c’è o un educatore che ha troppe poche ore per poter aiutare tutti”. E ancora: “Sono costretti in molti casi a convivere con persone che hanno problematiche sanitarie e psichiatriche che in carcere non devono stare. Manca il lavoro, manca la speranza di un futuro degno oltre le mura. La visita dei penalisti a Montorio - Quel poco che funziona è affidato alla buona volontà del personale della polizia penitenziaria che fa molto di più di quelle che sarebbero le loro mansioni e che è costretta anch’essa a subire orari o condizioni di lavoro disumane. Ci auguriamo”, si conclude il loro comunicato, “che alla prossima visita sia presente la magistratura perché solo sentendo quanto è forte il grido di sofferenza ci si potrà rendere conto delle ragioni per le quali il carcere è extrema ratio”. Palermo. Il terribile Ferragosto in carcere, che non interessa (quasi) a nessuno di Roberto Puglisi livesicilia.it, 16 agosto 2024 C’è un luogo in cui il Ferragosto è una condanna, dove l’estate è una tortura e quasi tutto ha le sembianze di un supplizio. Non è mai popolare scrivere di carcere. Le persone dietro le sbarre e le persone sopra un’imbarcazione non interessano quasi a nessuno. Quasi tutti considerano detenuti e migranti ‘umanità a perdere’. Un’idea oscena, velata dalla reticenza. Gli articoli che li riguardano non sono letti quasi da nessuno. Ma questo non è un motivo per smettere di scriverli. I numeri sono importanti per chi lavora nei giornali, inutile negarlo. Ma è ancora più essenziale portare qualche sguardo dove nessuno passa. Dove nessuno guarda. A Ferragosto, dunque, negli ultimi istanti, nello sgocciolare della grande festa estiva del 2024, scriviamo di carcere, per raccontare qualche iniziativa in merito e suscitare pensieri. Le cronache sono esplicite e terribili. Le nostre celle, spesso e purtroppo, non somigliano a contesti in cui scontare una punizione necessaria per la rieducazione. Riflettono l’inferno in terra. L’appello sui social - Tutta una serie di circostanze, stratificate nel tempo, dal sovraffollamento alle strutture, hanno equiparato molta carcerazione a una pena disumana. Come disumanizzate sono le persone detenute, senza volto, nella considerazione frettolosa di chi non si sofferma. Qualcosa, forse, si muove. Su Facebook è comparso un appello firmato da cinquanta scrittori e giornalisti, visibile nella pagina ‘Carcere e inciviltà: una risposta subito’. “Nelle carceri in questo Paese si vivono condizioni disumane - si legge -. Si fa strage di diritto e di diritti. E purtroppo la strage diventa anche di vite. Tutto questo avviene nel nome del popolo italiano. Nel nostro nome”. Il sit-in all’Ucciardone - Nel giorno del Ferragosto, c’è stato un sit-in davanti all’istituto penitenziario Ucciardone di Palermo, organizzato dal comitato ‘Esistono i diritti’. “L’Ucciardone è il simbolo di tutte queste strutture che presentano gravi deficit strutturali e organizzativi. Il decreto carceri votato in questi giorni fa tanta teoria e poca pratica - commenta il garante comunale dei detenuti”, Pino Apprendi. “Si dà il caso che durante il sit-in è arrivata un’ambulanza - continua Apprendi - per trasportare un detenuto che era in sciopero della fame da parecchi giorni e, grazie al medico di turno che lo ha visitato ne ha accertato le gravi complicazioni”. La visita al Pagliarelli - L’attenzione si è spostata pure altrove. “La situazione nel carcere Pagliarelli è drammatica. Anche qui abbiamo trovato una carenza di personale della polizia penitenziaria, sovraffollamento tra i detenuti”. Così Donatella Corleo, consigliere generale del partito Radicale che ha iniziato una serie di visite nelle strutture penitenziarie. Di carcere e di sofferenza non vuole sapere nulla quasi nessuno. Occhio che non vede, cuore indifferente. Ma non è un buon motivo per smettere di scriverne. Anzi. Roma. Il Sindaco Gualtieri in visita a Regina Coeli: “Tra i più affollati d’Italia. Serve intervento” romatoday.it, 16 agosto 2024 Un mese fa la relazione della Garante dei detenuti Valentina Calderone. Nell’istituto romano il sovraffollamento ha raggiunto nel 2023 picchi del 180%. “È stata una visita molto toccante, un’occasione per augurare buon Ferragosto alla popolazione carceraria e agli agenti della Polizia Penitenziaria che lavorano in condizioni molto difficili, ma anche per esprimere la nostra vicinanza come Amministrazione, con rispetto a una situazione molto difficile”. Con queste parole il sindaco Roberto Gualtieri commenta la visita di questa mattina nel carcere romano dove si è recato insieme a Valentina Calderone, Garante dei diritti delle persone private della libertà di Roma. “Questa casa circondariale - ha ricordato il sindaco - ha dei numeri senza precedenti: sono quasi milleduecento i detenuti, quasi il doppio della effettiva capienza, e questo porta a situazioni davvero di grande difficoltà, di assenza poi di spazi comuni perché tutti gli spazi sono utilizzati per far dormire le persone, perché non ci sono abbastanza letti e stanze. Anche gli agenti della Polizia Penitenziaria sono costretti a straordinari su straordinari perché sono molto al di sotto del regolare organico”. Turni di 16 ore, aggressioni. Le storie dei “reclusi” in divisa - “Stiamo cercando, nelle nostre funzioni, di fare il possibile per affrontare questa emergenza carceri - ha spiegato ancora - Regina Coeli è uno degli istituti più sovraffollati d’Italia, il centro dell’emergenza dove ci sono stati diversi suicidi e molti detenuti ci hanno raccontato la loro situazione davvero difficile. La Costituzione dice che la detenzione ha una funzione di rieducazione, ma qui si rischia che le persone escano in condizioni peggiori di come sono entrate. Quindi noi stiamo cercando di fare quello che possiamo; i nostri ventilatori sono stati apprezzati, ma quando si è di fronte a un sovraffollamento strutturale come questo, tutte le misure che si possono adottare sono dei palliativi: bisogna drasticamente ridurre il numero delle presenze, significativamente aumentare gli organici della Polizia Penitenziaria e poi lavorare sempre più per una accelerazione dei tempi della giustizia perché ci sono detenuti qui da mesi, anni in attesa di giudizio, senza nemmeno sapere se sono innocenti”. Il report sulle carceri e di dati di Regina Coeli - Due settimane fa la Garante dei detenuti Valentina Calderone aveva presentato in Consiglio comunale la sua prima relazione sulle condizioni delle carceri romane, snocciolando numeri poco rosei sulle condizioni delle persone private della libertà personale negli istituti, anche per minorenni, della Capitale. Sovraffollamento e numero elevato di suicidi i due elementi oltremodo preoccupanti. Nel 2023 il sovraffollamento ha raggiunto picchi del 180% proprio a Regina Coeli, dove oggi si è recato il sindaco Gualtieri. E ancora nello stesso carcere si sono verificati sette suicidi negli ultimi 18 mesi. “Vivere in un carcere sovraffollato - dichiara Calderone - significa che il personale dell’area giuridico pedagogica ha in carico troppe persone e non riesce a svolgere un effettivo lavoro di costruzione dei percorsi individuali, significa anche che gli operatori della polizia penitenziaria non riescono a garantire la sorveglianza per le varie attività, e sono spesso sottoposti a orari massacranti per coprire i turni di servizio”. Ad aggravare questa situazione ci sono le condizioni strutturali, spesso fatiscenti, che diventano intollerabili d’estate: stanze da due che ospitano cinque persone, infiltrazioni di acqua e muffa alle pareti, lavandini che perdono, acqua calda che non funziona, aule scolastiche e di socialità che vengono utilizzate come stanze di pernotto. Tutto questo ha come conseguenza un clima particolarmente teso all’interno degli istituti”. Nella giornata di ieri, ancora a Regina Coeli, sono stati consegnati 300 ventilatori, uno per ogni cella, dall’assessora alle Politiche sociali Barbara Funari. L’allarme era stato lanciato dai sindacati della penitenziaria. Carceri roventi, con alcuni detenuti che per protesta si sono rifiutati di entrare nelle rispettive celle, dove le temperature erano arrivate sino a 40 gradi. Da qui il monito del segretario generale Uilpa Polizia Penitenziaria Gennarino De Fazio: “Le carceri si confermano una polveriera pronta a esplodere alla minima scintilla”. Novara. Radicali in visita al carcere: “La struttura di via Sforzesca tra luci e ombre” di Roberto Lodigiani La Stampa, 16 agosto 2024 Una delegazione ha varcato il cancello d’ingresso dell’istituto di pena di via Sforzesca: “Tanti progetti d’integrazione, ma carenze d’organico”. Una visita caratterizzata da “luci e ombre” quella portata a termine ieri nella casa circondariale di Novara dalla delegazione del partito Radicale guidata dal consigliere generale Gianpiero Bonfantini. Nell’ambito dell’iniziativa “Agosto in carcere”, hanno partecipato alla visita anche l’insegnante Antonella Braga e il consulente del lavoro Vincenzo Rotunno. Bonfantini è tornato a varcare il cancello d’ingresso dell’istituto di pena di via Sforzesca: “La prima mia visita al carcere di massima sicurezza di Novara risale al 1989 - dice Bonfantini -. L’ultimo contatto con i detenuti reclusi nella sezione ordinaria di Novara risale a sette anni fa. La visita di ieri mi ha permesso di notare dei rilevanti miglioramenti per quanto riguarda i progetti che la direzione carceraria affidata ad Anna Maria Dello Preite intende portare avanti. Nessun passo avanti invece per il sovraffollamento, la carenza degli organici del personale di sorveglianza e l’assetto delle celle”. I detenuti nelle sezioni ordinarie risultano 120 di cui 42 di nazionalità non italiana. 70 sono i reclusi nel reparto del “carcere duro” in regime 41bis: “Gli echi che stanno arrivando dietro le sbarre sulla reale portata del recente decreto svuota-carceri - dice Braga - rischiano di illudere i detenuti. Per cercare di comprendere i veri contenuti della nuova normativa, il personale recluso ha fatto richiesta di ottenere una copia cartecea ufficiale del decreto. I senza fissa dimora che sperano di poter uscire dal carcere per essere affidati alle nuove comunità devono pazientare. L’unico provvedimento realizzabile a breve potrebbe essere l’aumento delle telefonate con l’esterno concesse ai detenuti”. La polizia penitenziaria - L’organico degli agenti in divisa è pure in sofferenza: “La polizia penitenziaria è sotto-organico - sottolinea Bonfantini -. Sono attivi 150 agenti quando in realtà dovrebbero essere 190”. La delegazione Radicale ha raccolto le segnalazioni di disagio dei detenuti. “I materassi nelle celle sono in condizioni precarie - dice Rotunno. È auspicabile un rinnovamento per evitare che i detenuti dormano in condizioni disumane”. La volontà di integrare i detenuti con la comunità cittadina novarese è dimostrata dai due spettacoli teatrali che verranno organizzati “intramoenia” il 13 settembre e a fine ottobre: la prenotazione del posto a sedere sarà accessibile dal pubblico esterno su un sito web di prossima attivazione. Venezia. Il Ministro Nordio visita la Giudecca e l’ex casa lavoro SAT di Giovanni Donnadio gnewsonline.it, 16 agosto 2024 Il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha visitato questa mattina la Casa di reclusione femminile di Venezia Giudecca. Il Guardasigilli si è recato nella sezione detentiva per salutare le 94 detenute presenti, di cui circa la metà straniere. Successivamente, ha incontrato il personale in servizio nell’istituto, che conta complessivamente oltre 140 unità fra Polizia Penitenziaria, personale amministrativo, educatori e mediatori culturali, esprimendo loro “vicinanza e ringraziamento per il difficile compito svolto quotidianamente con grande professionalità e altissimo senso del dovere”. Il Ministro Nordio, accompagnato dalla direttrice, Mariagrazia Felicita Bregoli, e dal comandante di reparto dell’Istituto, Lara Boco, ha visitato il padiglione della casa di reclusione che fino al 4 novembre ospiterà l’esposizione della Santa Sede “Con i miei occhi” per la Biennale d’arte di Venezia. Al termine della visita, Nordio ha quindi incontrato il personale per portare i saluti di buon Ferragosto. “Ho deciso di tornare qui, a pochi mesi dalla mia ultima visita in concomitanza con la storica presenza di Papa Francesco per l’inaugurazione del padiglione della Biennale d’arte, perché la Giudecca rappresenta un luogo simbolo del percorso di reinserimento e riscatto sociale delle persone private della libertà. Al padiglione, infatti, in pochi mesi si sono registrate oltre diecimila visite, che hanno visto le detenute protagoniste nel ruolo di guida dei visitatori. La Giudecca, come ha ricordato il Santo Padre, è un luogo che può e sa essere anche un’occasione di rinascita morale e materiale”, ha dichiarato il Ministro Nordio. “La rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti rappresentano un valore sacro sancito dalla nostra Costituzione. È nelle intenzioni del governo, come già ben delineato nel recente Dl Carceri, promuovere e rafforzare ogni progetto in grado di favorire i percorsi di recupero di chi sta scontando una pena. Per realizzarli serve la collaborazione di tutti: dal prezioso coinvolgimento della società civile all’impegno dei detenuti, fino al ruolo fondamentale del personale della Polizia Penitenziaria a cui voglio mandare un ringraziamento particolare per gli sforzi profusi, la professionalità e l’umanità dimostrata ogni giorno”, ha concluso il Ministro. Dopo la visita alla Casa di reclusione femminile della Giudecca, il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si è recato presso la ex casa lavoro SAT, struttura dismessa e abbandonata fino al luglio 2024. Grazie all’opera del direttore della Casa circondariale Santa Maria Maggiore che ne ha in gestione la struttura e con la collaborazione del Comandante della Polizia Penitenziaria, nell’arco di un mese sono state realizzate delle ristrutturazioni che ne hanno consentito e consentiranno a breve termine altre opere per alloggi della Polizia Penitenziaria e per i detenuti avviati al lavoro all’esterno. Il lavoro è stato compiuto essenzialmente da detenuti coadiuvati da un assistente tecnico e proseguiranno fino al completamento dell’edificio e degli annessi per un totale di 1.000 mq. “Sono straordinariamente soddisfatto di questa iniziativa che si inserisce nel nostro progetto di utilizzazione di strutture dismesse e reintegrazione dei detenuti nel mondo lavorativo. Ringrazio le persone che si sono dedicate a questa impresa che avrà sicuramente seguito nazionale e contribuirà alla riduzione del sovraffollamento delle carceri e all’umanizzazione della pena che si attua attraverso l’attività lavorativa”, ha dichiarato il Ministro Nordio. Firenze. Renzi a Sollicciano: “Il decreto carceri del governo è una fuffa spaziale” La Repubblica, 16 agosto 2024 Il senatore di Iv ha visitato la struttura insieme a Roberto Giachetti: “Lo Stato non sia fuorilegge”. “Viviamo una situazione di un sovraffollamento inaccettabile, circa il 130% dei posti disponibili. Nel giorno di Ferragosto insieme a Roberto Giachetti abbiamo pensato che fosse giusto venire a Sollicciano”. Lo ha detto il senatore Matteo Renzi, leader di Italia Viva, uscendo con il deputato di Iv Giachetti dal penitenziario fiorentino dopo una visita alla struttura. “La notte tra il 4 e 5 luglio un ragazzo di 20 anni si è impiccato in una cella che abbiamo visto e aveva qualche mese davanti” da scontare, “per un reato bagatellare”, “una vicenda che si replica ogni giorno in tante carceri italiane”, ha aggiunto Renzi. “E noi siamo qui - ha proseguito - per dire che ‘è giusto che chi ha sbagliato paghi’ ma è anche allo stesso tempo giusto che lo Stato non sia fuori legge, invece lo Stato è tecnicamente fuori legge nelle condizioni della detenzione” carceraria. “Diciamo oggi al governo che è giusto che qualcuno accenda la luce su questa vicenda” del sovraffollamento carcerario ma “il governo ha appena fatto un decreto” al riguardo “e il giorno dopo Nordio ha detto: ‘ho delle idee per ridurre il problema, ne parlerò con Mattarella’. Voi sapete quanto stimi Carlo Nordio e ne sia amico, ma una dichiarazione del genere dimostra come quella del governo sia fuffa spaziale”, ha detto ancora Renzi. L’accordo con il Pd e M5s: “Noi non mettiamo veti” - “Elly Schlein, che ha più voti di tutti, ci dice: sediamoci a un tavolo senza mettere veti. Io ci sto, anche col M5s. Noi non mettiamo veti sul M5s”, ha detto ancora Matteo Renzi, leader di Iv, a margine di una visita al carcere di Firenze. “È chiaro - ha aggiunto - che ognuno si tiene i giudizi sul passato. Non ci sono abiure sul passato se no dovrei chiedere a Conte perché ha firmato i decreti con Salvini. Io voglio guardare il futuro. Se la proposta di Schlein funziona, noi ci staremo, è la novità dell’estate”. “Fratelli d’Italia non conosce democrazia ed educazione” - “Non è pensabile che ci sia un governo che in questo Paese si occupa di avere la sorella del premier che viene descritta come intenta a fare le nomine, o comunque a mettere bocca sulle nomine in Rai, nelle Ferrovie, nelle aziende dello Stato, e non si occupa dei problemi veri degli italiani. Abbiamo un governo nelle mani della parentocrazia più sfrenata, che si preoccupa semplicemente degli assetti di potere; di fronte a dei parlamentari di opposizione che fanno il loro lavoro arrivano a dire parole come ‘muta di cani’, non è solo un insulto è l’idea malata di democrazia. Fratelli d’Italia conosce poco la democrazia - ha aggiunto Renzi - e per nulla l’educazione. Mi accontenterei, non potendo diventare esperti di democrazia parlamentare, che almeno avessero rispetto del galateo e del comportamento. Se un parlamentare di opposizione va in carcere a chiedere conto a un ministro di quello che non ha fatto, non siamo una muta di cani, ma chiediamo che il governo faccia il proprio lavoro”. Agrigento. Ferragosto in carcere con il progetto “Summer days” di Andrea Cassaro agrigentonotizie.it, 16 agosto 2024 Momenti di leggerezza e condivisione tra le detenute. Donne recluse che si abbracciavano e cantavano alzando le mani al cielo. Michele Recupero di Crivop Italia che realizzato il progetto: “C’era chi si asciugava le lacrime e chi sorrideva con gratitudine”. Per Ferragosto, nella sezione femminile della casa circondariale di Agrigento in contrada Petrusa, Crivop Italia ha portato una ventata di gioia e allegria con il progetto “Summer days 2024” con il patrocinio del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Ancora una volta - spiega Michele Recupero, fondatore e presidente di Crivop Italia - i promotori dell’iniziativa - la nostra organizzazione di volontariato ha voluto essere vicina a chi vive una realtà difficile donando un momento di leggerezza e condivisione. Di fronte agli occhi sorpresi degli agenti di polizia penitenziaria e delle detenute abbiamo organizzato un karaoke nell’area di socialità della sezione. L’accoglienza calorosa e l’applauso di riconoscenza da parte delle partecipanti sono stati un segno tangibile dell’importanza di questi momenti, soprattutto in una giornata così speciale. La mattinata è stata un susseguirsi di momenti di allegria, abbracci e lacrime di gioia che hanno contribuito a creare un’atmosfera di rara spensieratezza e umanità. Per quasi 2 ore si è respirata un’aria di condivisione e commozione: le detenute, una accanto all’altra, si abbracciavano e cantavano alzando le mani al cielo. C’era chi si asciugava le lacrime e chi sorrideva con gratitudine. Segni che queste iniziative lasciano un segno profondo”. Al termine dell’incontro le detenute hanno salutato gli animatori con un lungo applauso. “Un sentito ringraziamento - aggiunge Recupero - va alla direzione e alla polizia penitenziaria dell’istituto per la loro collaborazione che ha reso possibile la realizzazione di questa giornata”. Catania. L’ergastolano che racconta la sua vita con le lettere dal carcere di Carmelo Di Mauro La Sicilia, 16 agosto 2024 Il rapporto epistolare può trasformarsi in un ponte invisibile che unisce mondi altrimenti separati, creando una connessione profonda tra le persone. Un esempio vivido di questo fenomeno è il legame tra Carmela Cosentino, volontaria nel carcere di Catania, e Carmelo Guidotto, un detenuto che sta scontando una condanna all’ergastolo senza possibilità di rilascio. Le loro lettere non sono solo uno scambio di parole, ma un modo per colmare il vuoto della solitudine e scoprire nuovi orizzonti di umanità e riflessione. Carmelo Guidotto, classe 1957, sconta la pena nella Casa Circondariale di Tempio Pausania, ma le sue radici restano a Catania, la città in cui è nato e cresciuto. Nonostante la detenzione, nonostante i ricordi di sangue che lo accompagnano. Le prime lettere nel 2007 - La sua corrispondenza con Carmela Cosentino è iniziata nel 2007, quando i due si sono incontrati durante un laboratorio di attività espressive organizzato nel carcere di Catania. “Carmelo chiese un libro di teatro siciliano, e così iniziò la nostra corrispondenza epistolare”, racconta Carmela Cosentino, che è anche docente universitaria. Il nuovo mondo di Carmelo Carmelo, un uomo che ha affrontato scelte difficili nella sua vita, ha trovato nella lettura e nella scrittura il mezzo per esprimere la sua sensibilità e riflettere sul mondo. In una delle sue lettere di ringraziamento, Carmelo scrisse: “Ho ancora fresco il ricordo dell’unico incontro fatto a Catania con il gruppo del laboratorio, una cosa che mi ha aperto un nuovo modo di vedere le cose e più di tutto le persone. Mi piace leggere, solo leggendo si va fuori di qua e si vivono vite che aiutano a continuare a vivere”. Attraverso le lettere, Carmelo e Carmela hanno esplorato una vasta gamma di temi, dai dettagli della quotidianità ai grandi quesiti sociali e attuali. Questa ricca corrispondenza ha dato vita al libro “La Luce della Finestra. Riflessi di Umanità dal Carcere”, scritto a quattro mani e pubblicato da “Ancora” nella collana “Fuori collana”. Il libro raccoglie le lettere più significative di Carmelo, selezionate da Carmela Cosentino a partire dal 2010, in cui affronta argomenti come famiglia, amicizia, lettura, musica, e il valore delle appartenenze culturali. Il viaggio con le parole - “Le sue parole diventano l’aggancio per nuovi invii di libri e successivi commenti, da cui colgo la capacità di “viaggiare” poeticamente tra le parole, con leggerezza e intensità”, spiega Carmela. Nelle sue lettere, Carmelo trova un modo per costruire un ponte con il resto del mondo, superando le barriere fisiche della prigione. “Detenuto e libero allo stesso tempo”, Carmelo porta avanti un percorso di rielaborazione della sua esperienza, arrivando a sostenere che “poco vale il pentimento senza cambiamento”. Le sue riflessioni dimostrano una crescente consapevolezza di sé e del desiderio innato di libertà, nonostante la dolorosa esperienza carceraria. La pasta al forno dei ricordi - Una delle lettere più evocative di Carmelo è dedicata ai ricordi dell’infanzia, un viaggio nostalgico che illustra la sua capacità di evocare dettagli vividi attraverso le parole. In uno stralcio di questa lettera, Carmelo descrive una giornata estiva trascorsa in famiglia: “… La pasta al forno è pronta. Le cotolette pure. La parmigiana sprigiona profumi che parlano. Due belle angurie accompagnate da alcune bottiglie di seltz ai vari gusti e, dulcis in fundo, un bottiglione di vino per i grandi. Arriva il carretto di buon mattino guidato dal “palermitano”, un monumento all’obesità. Si va al mare. I più grandi aiutano i più piccoli a salirvi sopra. Il cocchiere non si sposta di un millimetro, non potrebbe. Tutte le pietanze dentro quei grandi piatti di ceramica e avvolti in mappine ben legate. Si va a fare Ferragosto”. Questa descrizione trasporta il lettore in un viaggio attraverso i ricordi d’infanzia di Carmelo, una celebrazione della semplicità e delle piccole gioie della vita familiare. “Il carretto attraversa via Sturiale, passa per il cortile della banca ed entra in strada Ottanta Palmi che è la via Concordia. Poi un’ombra cala sui visi dei bambini: come mai gira a destra verso il camposanto e non verso il Tondicello della Playa? L’arcano viene subito svelato: ci si ferma nel chiosco tra via Scaldara e via Testulla per comprare il ghiaccio. Il blocco viene infilato in un imbuto e con rumore assordante scende giù a cubetti. Il capofamiglia porge un sacco di yuta dove viene messo il ghiaccio, che a sua volta viene messo nella vasca di zinco e su cui, di sopra, vengono adagiati bottiglie, bottiglioni e angurie”. Carmelo descrive il viaggio nei minimi dettagli. L’arrivo, i tuffi… “Si fanno le 13, mamma comincia a stendere la tovaglia, mette i piatti sopra con le posate. Tira fuori la teglia di maccheroni al forno e con la paletta d’alluminio fa le porzioni. Inizia a riempire il piatto dov’è seduto papà e gira fino a finire sul suo piatto. Le cotolette non arrivano nemmeno nel piatto, le mangiamo con le mani. Già sazi, riprendiamo a giocare. Facciamo amicizia con altri ragazzi, si gioca a nascondino o ad acchiappa acchiappa. Si fanno le 16 e 30. La fame ritorna imperiosa. Mamma tira fuori il pane e la parmigiana, fa dei panini che il solo profumo ti sazia. Bicchieroni di seltz con rutto libero finale. Poi papà tira fuori l’anguria e mamma tira fuori il coltello dalla borsa e comincia a tagliare. Ogni fetta è più lunga di 50 centimetri. Ci piace partire da una punta e finire nell’altra, è come una corsa a chi finisce prima. Si torna a giocare non prima che abbiamo ripulito ammonticchiando tutte le scorze ai piedi di un albero. Giochiamo fino allo sfinimento. Le ore passano veloci, si fanno le 19, arriva di nuovo il carretto…”. Un mondo nuovo - Il rapporto epistolare tra Carmelo e Carmela è molto più di uno scambio di parole; è un esempio di come le relazioni umane possano superare le barriere fisiche e le limitazioni sociali. Attraverso le loro lettere, Carmelo ha trovato un modo per esprimere la sua umanità e continuare a crescere come persona, mentre Carmela ha avuto l’opportunità di scoprire e apprezzare le sfumature di un’anima complessa e riflessiva. Carmela Cosentino riflette sull’importanza di questa esperienza: “Gli stessi legami familiari mantengono viva tutta l’intensità dei rapporti con quest’uomo che è stato capace di restare significativo e presente pur nella sua assenza fisica”. Le lettere di Carmelo non solo hanno colmato la sua fame di notizie e connessione, ma hanno anche aperto una finestra su un mondo interiore ricco di colori, odori e sapori. Chi è Carmelo Guidotto - Carmelo Guidotto, catanese classe ‘57, sconta a Tempo Pausania una condanna “con fine pena mai”. A Catania è tornato per assistere ai processi che lo riguardavano. “Sono nato a San Cristoforo - racconta -. Nelle sue strade non ancora asfaltate ho trascorso la mia fanciullezza. Le mie scuole sono state la “Cesare Battisti”, fino alla seconda elementare, e l’istituto salesiano che ho frequentato fino alla prima media, abbandonata per motivi futili. Da allora, anche se lavoravo, ho intrapreso nuove vie, che non sono quelle consone per la convivenza civile…Ho avuto comunque la fortuna di avere avuto a venti anni l’incontro della mia vita, mia moglie, con cui ho avuto cinque figli, e oggi sono pure nonno”. Le cronache si sono occupate di lui nell’ambito dell’operazione antimafia “Ariete 5”, uno dei procedimenti troncone relativi a quattordici omicidi compiuti negli anni tra l’87 e il ‘93, con una condanna all’ergastolo. Ius scholae, cos’è la legge sulla cittadinanza che divide il governo Meloni di David Romoli L’Unità, 16 agosto 2024 È un’impostazione inedita. Il partito di Tajani non parla più solo di conquistare l’elettorato moderato incerto, nella sostanza quello più tentato dall’astensione. Mira a rubare voti al Pd. Forza Italia da una parte, Lega dall’altro e FdI in mezzo. La rissa scoppiata ieri nel centrodestra intorno a una possibile riforma della cittadinanza chiama direttamente in causa il partito di Giorgia Meloni e non stupisce che sulla questione proprio FdI dal vertice alla base scelga il silenzio. Ad aprire le ostilità, ieri, è stato il Carroccio, prendendo di mira le indiscrezioni, peraltro fondate, che attribuivano al partito fondato da Berlusconi un’apertura sullo Ius Scholae. Con questa formula il progetto di legge originario prevedeva il riconoscimento della cittadinanza italiana ai minorenni nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni al termine di un ciclo di studi di 5 anni. La proposta di Fi raddoppia il percorso scolastico necessario per la cittadinanza portandolo a 10 anni. La Lega si è imbestialita e ha aperto il fuoco con un post contundente nella forma oltre che nel contenuto. È infatti corredato da una foto di Antonio Tajani e una di Elly Schlein e sarebbe bastato questo per dire tutto. Il testo conferma: “La legge sulla cittadinanza va benissimo così e i numeri di concessioni lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di Ius Soli o di scorciatoie”. Il titolo completa l’opera: “Il Pd rilancia lo Ius Soli. Il Pd apre un varco a destra”. Gli azzurri non hanno chinato la testa e si sono affrettati a rispondere per le rime, tramite il portavoce del partito Raffaele Nevi. “La nostra posizione non è quella di attaccare gli alleati. Per cui stigmatizziamo questo post”, esordisce Nevi, poi entra nel merito: “Sul tema c’è un dibattito aperto da anni. Noi abbiamo la nostra posizione portata avanti anche dal presidente Berlusconi: siamo possibilisti sullo Ius Scholae. Ma siccome non fa parte del programma di governo rispettiamo la posizione degli altri. Sarebbe bello che tutti facessero la stessa cosa”. Il portavoce azzurro però ci tiene a segnalare che non si tratta di una divaricazione episodica e casuale. Come se nulla fosse squaderna una prospettiva strategica in rotta di collisione con quella di Salvini: “Nel campo della sinistra moderata ci sono molti elettori che non si riconoscono più nella visione della Schlein e guardano con attenzione a Fi proprio per la sua natura liberale, attenta ai diritti civili. Noi andiamo avanti per la nostra strada”. È un’impostazione inedita. Il partito di Tajani non parla più solo di conquistare l’elettorato moderato incerto, nella sostanza quello più tentato dall’astensione. Mira a rubare voti al Pd, occupando lo spazio centrista anche sul fianco sinistro dell’elettorato, quello che Renzi e Calenda hanno fallito nel tentativo di colonizzare, con l’ambizione di pescare nelle stesse acque del Nazareno. Visione opposta a quella della Lega, che mira invece a spostare ancora più a destra l’asse della coalizione. Il litigio a distanza prosegue per tutto il giorno. I centristi dell’altra sponda, da Iv ad Azione a +Europa applaudono, Renata Polverini, ex governatrice del Lazio rilancia e rincara: “Con le Olimpiadi gli italiani hanno definitivamente compreso che l’italianità è un insieme di valori condivisi e non una questione di epidermide. Questo sentimento nuovo deve essere colto dalla politica portando a compimento il progetto di legge sullo Ius Scholae al quale ho lavorato per due legislature con l’incoraggiamento di Silvio Berlusconi”. In concreto, se l’opposizione riuscirà a portare il tema in aula, Fi, come conferma il portavoce Nevi, “ribadirà la sua posizione storica sullo Ius Scholae e la porterà avanti”. Una spaccatura clamorosa e radicale nella maggioranza sarebbe a quel punto inevitabile. Va da sé che la premier preferirebbe di gran lunga evitare un passaggio così spinoso e lacerante. Ma il problema potrebbe essere destinato a investire anche il suo partito. Sul tema della cittadinanza e in generale delle pulsioni sospette di razzismo FdI ha avviato una revisione e uno slittamento di posizioni che è stato evidente proprio in occasione delle Olimpiadi. L’ex portavoce del Msi di Almirante ha riscosso in diretta tv l’applauso di Gianni Cuperlo, rivendicando l’italianità di atlete e atleti immigrati: “Noi siamo un Paese di immigrazione”. Il ministro Lollobrigida, anche per lavare la macchia di quella infelicissima dichiarazione sulla “sostituzione etnica” si è lanciato un vero peana: “Triste è il mondo di chi vede bianco e nero. Dei nostri splendidi atleti e atlete noi vediamo solo l’azzurro”. Su questo fronte, come su molti altri, FdI è a un bivio. Dovrà scegliere tra la fedeltà alle origini, quando le sue posizioni non era diverse da quelle della Lega oggi, e il coraggio di muovere un passo decisivo sulla strada della trasformazione in una forza di destra realmente liberale. Ermir, Danielle, Nedzad: le storie dei ragazzi senza cittadinanza costretti a vivere nel limbo di Francesca Del Vecchio La Stampa, 16 agosto 2024 “Dallo studio al lavoro, dai viaggi allo sport: la nostra odissea quotidiana”. “Senza cittadinanza è dura trovare un lavoro stabile. E senza lavoro non ho uno dei requisiti necessari per la richiesta”. È il paradosso di chi come Ermir, 22 anni, origini albanesi ma da 18 in Italia, non riesce a ottenere la cittadinanza italiana. Ogni anno sempre più stranieri affrontano la burocrazia: circa un milione gli extracomunitari in attesa della cittadinanza a causa di una legge del ‘92 che prevede che la si acquisisca solo “iure sanguinis”, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. L’alternativa è attendere i 18 anni e presentare i documenti richiesti: reddito, studi, casellario giudiziario. “Ho frequentato le scuole in Italia fino al quarto anno delle superiori - prosegue Ermir - Poi, ho iniziato a lavorare come muratore e non ho preso il diploma”, racconta. “Quando è arrivata la pandemia, chi aveva solo il permesso di soggiorno è stato tra i primi a essere licenziato. Da allora, ho avuto solo impieghi saltuari”. Dunque niente continuità reddituale. “Il problema è che con il permesso di soggiorno è più difficile ottenere un lavoro, i capi ti vedono come un potenziale problema. Quindi, o non ti assumono, o ti prendono in nero e addio documenti”. Ermir non è il solo a lottare per una cittadinanza che non arriva. “Sono nato in Italia da genitori albanesi e la mia sfortuna è stata di compiere 18 anni prima che loro la ottenessero. Per la legge ero maggiorenne, quindi non potevo averla automaticamente insieme a loro come accade per i minori”. Timm ha 19 anni, i suoi sono arrivati in Italia 20 anni fa. La sua storia è simile a quella di altre migliaia di ragazzi, 53.079 i nati in Italia nel 2023 da genitori stranieri. Il caso limite è quello di Nedzad, 32 anni, “italiano di Centocelle”, precisa con accento romano. “Sono nato in Italia da papà bosniaco di etnia rom e mamma apolide. Fino a qualche anno fa ero uno straniero con permesso di soggiorno per motivi umanitari: un rifugiato, praticamente. Oggi, sono apolide come mia madre e quattro dei miei fratelli (gli altri 5 hanno ancora il permesso di soggiorno umanitario, ndr”). Nedzad, che però dagli amici si fa chiamare Pio, ci ha messo cinque anni per il riconoscimento dello status di apolidia e “solo due mesi fa, per la prima volta, ho potuto prendere un aereo e andare all’estero”. La sua è una storia complicata, fatta di burocrazia mancata - non è riuscito a presentare la richiesta di cittadinanza a 18 anni, nei tempi previsti - e di documenti sostitutivi: “Sul permesso di soggiorno che avevo c’era scritto che ero nato in Bosnia, ma non è vero. Quel documento era come falso, visto che erano false le informazioni che conteneva”. Anche Nedzad come molti altri in attesa di risposte dallo Stato ha frequentato le scuole, oggi lavora e “crea Pil”, come dice lui. Ma ha dovuto rinunciare alla laurea e accontentarsi di un percorso di formazione per poter accedere alla professione che esercita da 12 anni: l’educatore. Il calvario dura anni anche per chi ce la fa a ottenere “un pezzo di carta senza alcun valore per chi si sente italiano”, spiega Great Nnachi, atleta torinese di 20 anni figlia di genitori nigeriani ma nata in Italia. La sua battaglia è iniziata quando di anni ne aveva 14: “Avevo raggiunto un record sportivo che per il regolamento non poteva essere registrato perché non ero italiana”, racconta. Grazie all’aiuto della Fidal (la federazione atletica leggera) ha scritto al capo dello Stato che l’ha nominata Alfiere della Repubblica ma “ho dovuto comunque attendere di averne 18 per fare richiesta”. Great è stata fortunata: la sua pratica è stata risolta in pochi mesi. “La legge così com’è non pensa ai giovani”, è la riflessione di Danielle Madam, atleta pavese e oggi anche personaggio televisivo. Nata in Camerun e arrivata in Italia da bambina, ha battagliato per tre anni sperando che la sua voce venisse ascoltata. “Erano gli anni del caso Suarez (e dello scandalo dell’esame di italiano agevolato per ottenere la cittadinanza, ndr), mi sembrava ingiusto che gli fosse stata data una possibilità che altri non hanno”. Danielle ha ottenuto la cittadinanza tre anni fa, “dopo 17 anni di studio e lavoro in Italia. Credo che non sia giusto sottoporre le persone a un calvario così”. Sirgena, invece, è arrivata in Italia a 4 anni - oggi ne ha 22 - dall’Albania. “La mia pratica è rimasta ferma in Comune per quasi tre anni. Ricordo il modulo che ho dovuto compilare: mi si chiedeva perché avevo scelto l’Italia… Che domanda è? Io sono italiana”. Porti lontani per i migranti: in 200 spediti a Genova sotto il sole, la possibilità della disubbidienza di Angela Nocioni L’Unità, 16 agosto 2024 Discussioni a terra: esiste la disobbedienza, basta accettare porti distanti. Ma il ricatto di Piantedosi alle Ong funziona. Il Centro di comando delle capitanerie di porto, il Mrcc di Roma, ha ordinato ai volontari della Ong tedesca Sos Humanity di selezionare tra i 270 sopravvissuti a bordo della Humanity 1 chi sarebbe sbarcato a Lampedusa. Un ordine impartito via email alle 7,30 di lunedì. I naufraghi erano stati salvati in mare nel Mediterraneo centrale domenica in quattro diversi soccorsi dall’equipaggio della Ong tedesca. La Guardia costiera italiana ha trasbordato e portato a Lampedusa 68 persone. Gli altri 202, nelle condizioni fisiche e psicologiche in cui si sta dopo essersi giocati la vita in mare alla deriva, devono restare sul ponte ad arrostire sotto il sole di Ferragosto fino a Genova. Altri 1200 chilometri, altri quattro giorni. I medici a bordo non hanno avuto nemmeno il tempo di poter capire chi tra tutti stesse peggio per poter selezionare con criterio chi avesse maggior bisogno di cure mediche immediate. “Siamo stati costretti a fare questa selezione senza avere le informazioni necessarie sulle persone salvate”, dice Jörg Schmid, il medico volontario a bordo. “A causa del trattamento d’emergenza, dovuto fare il giorno prima fino a notte fonda a un paziente gravemente malato, non abbiamo avuto nemmeno il tempo per un semplice screening medico dei sopravvissuti prima dello sbarco selettivo. È stato quindi impossibile per il nostro team di assistenza fare una selezione eticamente corretta”. Le imbarcazioni soccorse erano in totale 4, tutte in distress e tutte partite dalla Libia. Due erano salpate insieme. “Non sappiamo quanti parenti e amici possano essere stati separati ieri perché non conoscevamo le relazioni familiari delle persone salvate. Dopo aver stilato una lista di sbarco per le autorità italiane, decine di persone mi hanno pregato di poter sbarcare con i loro parenti. Avevamo le mani legate dall’ordine e dal limite di 68 persone. Questo è stato estremamente frustrante e ha causato incertezza e paura tra i sopravvissuti, già molto provati”, racconta il medico Jörg Schmid. Dopo i quattro salvataggi di domenica scorsa, in cui un totale di 273 persone in difficoltà in mare sono state imbarcate sulla nave di soccorso Humanity 1, una persona ha dovuto essere evacuata in tarda serata per un’emergenza medica, insieme a due parenti. “Le autorità responsabili hanno ritardato l’evacuazione del paziente per ore, anche se era stato segnalato che aveva urgentemente bisogno di cure mediche intensive”, dice il medico. La persona evacuata domenica sera è caduta in stato di incoscienza dopo essere stata portata a bordo. Dopo l’iniziale stabilizzazione da parte dal team medico, è stata chiesta un’evacuazione d’emergenza alle 17:30 CEST. Il medico di bordo, Jörg Schmid: “Sebbene il Centro internazionale radio medico di Roma (Cirm) abbia confermato la situazione critica del paziente, con l’insorgere di un’insufficienza multipla degli organi e la necessità di un’immediata evacuazione, ci sono volute ore prima che i centri di coordinamento dei soccorsi inviassero i soccorsi”. Roma e Malta hanno iniziato il solito ping-pong: tocca a Malta: chiamate loro. Tocca a Roma: chiamate loro. Solo dopo ripetute richieste da parte dell’equipaggio è stata effettuata l’evacuazione da parte di una nave della Guardia costiera italiana intorno alle 23:00 CEST. Lunedì mattina, le autorità hanno, quindi, ordinato lo sbarco selettivo di un piccolo numero di sopravvissuti a Lampedusa. Le richieste del capitano di sbarcare tutti i 270 sopravvissuti a Lampedusa o di essere assegnati a un porto più vicino non sono state accolte. Una portavoce della Ong, Mirka Schäfer: “I restanti 200 sopravvissuti salvati in mare devono continuare ad aspettare a bordo della Humanity 1 perché le autorità italiane stanno negando loro un rapido sbarco a terra in violazione del diritto internazionale”, ha dichiarato Schäfer. “È spaventoso vedere come la condizione delle persone in mare venga prolungata artificialmente”. “La temperatura nel Mediterraneo centrale è molto alta, si tratta di persone disidratate, in stato di estrema debolezza post trauma, alcune mostrano segni di violenza fisica. Il viaggio di oltre quattro giorni verso il porto assegnato di Genova sta ritardando l’assistenza medica e psicologica urgentemente necessaria per queste persone a terra. SOS Humanity chiede di porre fine alla pratica disumana e illegale di assegnare porti lontani, che viola i diritti fondamentali dei sopravvissuti e tiene le navi di soccorso civili lontane dall’area di intervento”. Esiste la possibilità di disobbedire, esiste la possibilità di esigere uno sbarco immediato in un porto vicino e di prenderselo da soli il permesso se viene negato. Questo punto è un nervo sempre più scoperto tra chi sta in mare in una nave di soccorso e molti di quelli a terra. Esiste la possibilità di fare come fece Carola Rackete. Si discute sempre più apertamente tra attivisti su questo. E la difficoltà a discuterne pubblicamente è forse la dimostrazione che i ricatti alle Ong imposte dal decreto Piantedosi e dall’asservimento della Guardia costiera al Viminale funzionano. La spada di Damocle sta lì e penzola sulla testa degli equipaggi. Si chiama “Confisca del mezzo”. Gran Bretagna. Quelle rivolte razziste e la violenza cieca dei figli della Brexit di Daniele Zaccaria Il Dubbio, 16 agosto 2024 L’estrema destra soffia sul fuoco, ma dietro le sommosse britanniche non c’è alcuna regia politica: nascono dalla crisi sociale e culturale. E il pugno duro di Starmer allarga la frattura. Bristol, Hull, Blackpool, Stoke on Trent, Rotherham, Tamworth, Middlesbrough, gli stessi sobborghi proletari dove 45 anni fa i lavoratori delle miniere e delle ferrovie sfidarono (perdendo) Margaret Thatcher, sono oggi il teatro di una furiosa caccia al migrante, di assalti ai centri di accoglienza per i richiedenti asilo e persino ai luoghi di culto musulmani. Danni per milioni di sterline, decine di feriti, oltre seicento arresti, le comunità straniere che da giorni vivono nel terrore e che, a loro volta, si organizzano in milizie di autodifesa. Sembra la sceneggiatura di una serie tv sull’implosione della società britannica, un preludio di quella civil war evocata e strombazzata dal miliardario Elon Musk in uno dei suoi soliti e irresponsabili interventi su X da lui trasformato in una discarica complottista, in una fabbrica di fake news a web aperto. Dietro questa perdita assoluta di senso politico lo sfondo scuro della Brexit che ha alimentato le fratture nella società britannica, isolata e incanaglita, la crisi sociale di un Paese prospero, ma lacerato nelle sue enclave di povertà, nelle zone d’ombra della disoccupazione che torna a galoppare soprattutto tra i più giovani, della recessione economica e della crescita zero. Nel 2023 quella inglese è stata infatti l’unica economia tra i Paesi avanzati a chiudere il bilancio con il Pil in flessione rispetto all’anno precedente (la media del G8 è circa + 1,2%) e le stime per il 2024 non indicano miglioramenti. L’impoverimento e la mancanza di prospettive nelle periferie degradate delle grandi città e nei centri di provincia sempre più spopolati, sono condizioni necessarie ma non sufficienti per innescare la miccia della violenza, ci vuole qualcosa di più per convincere le persone a bruciare le moschee e lanciare estintori contro la polizia, ci vuole un elemento ideologico e psicologico che faccia leva sulle frustrazioni e sulle paure. E un capro espiatorio “classico”, come da sempre sono gli stranieri. A gettare benzina sul fuoco ci sono naturalmente le formazioni xenofobe di estrema destra come il British National Party (Bnp) che da anni farfugliano di invasioni e sostituzioni etniche, i gruppuscoli fascistoidi dell’ “orgoglio bianco”, ma si tratta di organizzazioni minoritarie e residuali, che al limite tentano di “parassitare” le sommosse per aumentare i loro magri consensi. Dietro i “riot” razzisti non c’è alcuna cabina di regia, nessuna pianificazione, sono rivolte spontanee, germogliate all’interno di una working class senza più coscienza di classe, assediata da fantasmi e da nemici immaginari e che si muove come un branco. L’incendio quasi sempre viene alimentato dal telefono senza fili dei social media, generatore automatico di informazioni distorte e, anche nel caso delle rivolte britanniche, è andata così. Tutto parte dall’accoltellamento mortale di tre ragazzine in una scuola di Southport; l’autore della strage, un 17enne nato in Galles da genitori ruandesi di confessione cristiana, si trasforma in un immigrato musulmano che avrebbe assassinato le piccole per motivi religiosi. E non è servito a nulla che le autorità e i principali media nazionali abbiano smentito categoricamente questa versione. L’effetto domino è stato inarrestabile con migliaia di persone scese in piazza in cerca di immigrati su cui vendicarsi ed uno schieramento di polizia e militari senza precedenti. Tra le conseguenze delle sommosse, una pericolosa torsione dello Stato di diritto con governo del laburista Starmer che ha risposto in modo durissimo contro i manifestanti, a cominciare dalle parole che gli ha rivolto in diretta tv: “Ve ne pentirete amaramente!”. La macchina della giustizia in questi giorni si sta rivelando implacabile con condanne rapidissime ed esemplari, senza possibilità di ottenere libertà condizionate tramite cauzione, non solo tra chi ha partecipato attivamente agli scontri ma anche tra chi si è limitato ad assistere alle manifestazioni o a lanciare slogan. Il giro di vite anche sui social, con decine di persone condannate a oltre un anno di reclusione per “incitamento all’odio”. E come spiegano a Scotland Yard, non è che l’inizio: nel corso delle settimane altre centinaia, se non migliaia di persone verranno identificate e portate davanti ai giudici. È comprensibile che Starmer e il suo esecutivo vogliano reagire con forza all’emergenza, come ha fatto d’altra la società civile britannica scesa in piazza per denunciare le violenze razziste e sostenere le comunità straniere, ma il pugno duro mostrato da Downing street rischia di fratturare ancora di più una nazione incattivita dalla mancanza di fiducia per il futuro, dove sta andando in scena una cupa e disperata guerra tra poveri. La strada della repressione potrà senz’altro piegare le rivolte e riempire le prigioni del regno. Ma non servirà a far uscire la Gran Bretagna dalla crisi sociale e culturale in cui è piombata dopo la sciagurata Brexit. Afghanistan. Il giorno del disonore Usa che ha cambiato gli equilibri internazionali di Gigi Riva* Il Domani, 16 agosto 2024 Il disimpegno voluto da Trump e perfezionato da Biden ha ridisegnato le aree di influenza sulle cartine geografiche. Uno shock che ancora oggi produce i suoi effetti. Tre anni fa, ferragosto del 2021, il giorno del disonore dell’occidente. La fuga da Kabul come la fuga da Saigon del 29 aprile 1975, le promesse tradite, le donne lasciate in balìa dell’oscurantismo jihadista, chi aveva collaborato con la coalizione internazionale praticamente consegnato ai macellai in nome della religione. L’inizio di una nuova era - Come in Iraq, falliva, vent’anni dopo, l’occupazione seguita all’attacco delle Torri Gemelle, l’idea presuntuosa dell’esportazione della democrazia. Joe Biden, l’inquilino della Casa Bianca, bersagliato dalle critiche per le modalità di un ritiro grottesco oltre che cruento. Le responsabilità palesi andavano almeno condivise con il suo predecessore Donald Trump perché fu la sua amministrazione a trattare a Doha con i talebani nel 2020 l’uscita dei soldati dall’Afghanistan, nel pragmatismo contabile di un’America stanca di saldare i conti di un conflitto infinito. Kabul chiarì il perimetro del nuovo dualismo del mondo, diviso tra democrazie e dittature, prontissime queste ultime a riconoscere il nuovo regime o almeno a stringere amicizia con i tagliagole coranici. Pose le premesse per un ridisegno sulle carte geografiche delle aree di influenza. E non era la fuga in sé ma quanto rappresentava in termini di potenza, quanto le sue radici lunghe avrebbero mutato i rapporti tra gli Stati. Sanciva insomma, Kabul, l’inizio di una nuova era. I talebani distruggono il paese. Ma le donne afghane resistono - Una corrente di pensiero vuole che la debolezza mostrata dagli Stati Uniti nel cuore dell’Asia sia stata la spinta per Vladimir Putin ad invadere l’Ucraina. E siccome tutto si tiene le nuove amicizie conquistate dall’asse sciita in Medioriente avrebbero convinto Hamas che era tempo di lanciare la sfida ad Israele, il fatidico 7 ottobre scorso, con tutto quello che ne è seguito. Sia o meno vero, il caos geopolitico è stato comunque il terreno fertile per rafforzare gli appetiti di chi cercava una rivincita, una volta che Washington non veniva più percepita come il leone che regola l’ordine della giungla, definizione del guru neo-conservatore Robert Kagan. Un vecchio assioma, peraltro non così veritiero, vuole che siano i democratici a iniziare le guerre e i repubblicani a chiuderle. Il repubblicano candidato alla presidenza è lo stesso Donald Trump che dichiarò di fatto conclusa la partita con i talebani lasciando senza remore che facessero strame del loro Paese. In nome della solita tentazione isolazionista della prima potenza mondiale, spesso poi costretta a tornare sui suoi passi perché non si abbandona facilmente un ruolo tanto delicato. L’abbandono dell’Europa - Dal precedente e dalle sue stesse dichiarazioni di campagna elettorale si può facilmente evincere quale sarà il suo atteggiamento nel caso di vittoria a novembre. Uno stop immediato agli aiuti all’Ucraina e un’intesa cordiale con la Russia, nel riconoscimento reciproco di una statura superiore rispetto agli altri Paesi del mondo: una pace purchessia invece di una pace giusta. Un sostegno ferreo a Israele ma solo perché sa cavarsela da solo senza grandi aiuti militari da oltreoceano ed è “decisivo per gli interessi statunitensi”. Sarà anche esortato lo Stato ebraico a rinverdire gli Accordi di Abramo comprendendo l’Arabia Saudita e in generale l’universo sunnita in nome di un virtuoso circuito di business nell’area, l’economia come mezzo per arrivare a calmare i bollenti spiriti bellicisti. Una forte rivalità commerciale con la Cina e un abbandono della debole Europa se non contribuirà in modo più sostanzioso al bilancio della Nato. Altro non c’è da aspettarsi da un imprenditore che conosce solo il linguaggio dei soldi. L’alternativa democratica è Kamala Harris, attuale vicepresidente di Joe Biden e naturalmente continuatrice della sua politica che contempla la difesa di alcuni valori imprescindibili della democrazia e non ha come unico Moloch il denaro. Scottato e forse addirittura choccato da Kabul, Joe Biden non esitò a schierarsi con Kiev dopo l’invasione del febbraio 2022, a difesa dunque di un aggredito continuamente foraggiato di aiuti in dollari e armi. In Medioriente ha cercato di limitare gli effetti nefasti della folle invasione di Gaza, così come l’ha voluta Netanyahu, che è costata almeno 40 mila morti palestinesi e rilanciato l’idea, cara anche a Kamala, della soluzione dei due Stati, l’unica possibile sul tappeto e invero ignorata da Trump. L’anniversario di Kabul torna per ricordarci gli errori commessi. E che non è indifferente chi siederà da gennaio alla Casa Bianca. Se l’uno o l’altra. *Scrittore