Quei suicidi nascosti nelle carceri d’Italia di Irene Fama La Stampa, 15 agosto 2024 “Cause da accertare”: ecco come vengono catalogati i morti “fantasma” del carcere. Diciannove da gennaio ad oggi. Teodorico Musco, trentanove anni, Moussa Traorè, ventinove, Alessandro Esposito, trentatré, erano detenuti a Poggioreale a Napoli; Alexandru Bustei, trent’anni, era recluso a Viterbo. E ancora. Giulio Arena, sessantasette anni, ad Augusta; Mohamed Cherif, ventinove anni, a Forlì; Gafur Hasani, cinquantuno, a Firenze Sollicciano; Andrea Pratica, quarantasette, ad Ivrea. Amin El Goazzali, trentaquattro anni, era in cella a Padova. Così Mijodras Mitrovic, che di anni ne aveva venticinque appena compiuti. Degli altri non si sa nemmeno il nome. Sono morti inalando il gas di una bomboletta per i fornelletti da campeggio. Di quelle che dietro le sbarre si utilizzano per preparare da mangiare e per fare il caffè. Si acquistano al cosiddetto “sopravvitto” e da vent’anni si pensa all’opportunità di sostituire le bombolette con delle piastre elettriche per cucinare in cella. Querelle politica, la discussione è ancora in corso. C’è chi, inalando gas, in carcere si stordisce. E c’è chi si ammazza. Quel gas lo respira intensamente, costringendosi a restare lì attaccato il più a lungo possibile, con il volto immerso in un sacchetto di plastica, sino a che non riesce a togliersi la vita. Praticamente impossibile, a posteriori, distinguere il suicidio dal tentativo di frastornarsi. Poco cambia, in fondo, nel baratro delle fragilità. E lo spiega bene il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa. I128 giugno riceve una telefonata dalla direzione della casa circondariale di Frosinone: un ragazzo di ventiquattro anni è stato trovato morto, in cella, con il sacchetto di plastica accanto alla bomboletta del gas. In attesa di un primo giudizio, era in carcere su misura cautelare e non aveva nemmeno ancora affrontato un processo. “Non c’è nessun modo per accertare che si sia trattato o meno di suicidio - spiega Anastasìa. Ma certamente quell’attaccarsi alla bomboletta è segno di un forte disagio. Che nessuno ha saputo intercettare”. Un fallimento del sistema. Decessi per “cause da accertare” che si sommano ai sessantadue suicidi del 2024: ottantuno morti in cella in otto mesi. A cui si aggiungono i sette agenti che quest’anno si sono tolti la vita. Numeri, raccolti in un documento, che imbarazzano. E interrogano. “È una catastrofe senza fine”, commenta Aldo Di Giacomo, segretario generale Spp, sindacato polizia penitenziaria. Commenta quello che a più voci è definito “l’anno nero delle carceri” e non fa sconti a nessuno: “La politica ha le sue responsabilità: stabilisce cosa va perseguito e come. Il magistrato applica semplicemente la legge. E la politica sta inasprendo le pene, facendo entrare più persone in carcere di prima”. Alam Jahangir, quarant’anni, del Bangladesh, il 10 gennaio si è impiccato a Cuneo con un lenzuolo pochi giorni dopo il suo ingresso in cella. Un cinquantaduenne, il 27 marzo a Tempio Pausania, ha utilizzato il laccio dei pantaloni. Un quarantottenne, il 5 agosto nei bagni del tribunale di Salerno, in attesa di essere chiamato davanti al giudice per l’udienza di convalida dell’arresto, si è strozzato con i lacci delle scarpe. I più si impiccano con ciò che hanno a disposizione, corde, lacci, federe. Poi c’è chi si soffoca con il gas o altre sostanze. E chi si lascia morire di fame e di sete, come Susan John, che al Lorusso e Cutugno di Torino ha rifiutato cibo e acqua e cure per diciotto giorni. Sessanta uomini, due donne, trentatré italiani e ventinove stranieri, la maggior parte aveva trai 26 e i 39 anni e almeno una volta se l’era presa con il proprio corpo, mettendo in atto gesti autolesionistici: ecco le vittime del carcere. E una cosa è certa, la detenzione non ha fornito loro né riscatto, né futuro, ma soltanto disperazione. Così raccontano i dati resi noti dal garante nazionale dei detenuti Felice Maurizio D’Ettore. Venticinque stavano scontando condanne definitive, otto avevano anche altri procedimenti penali in corso. Ventiquattro erano in attesa di una prima udienza. Significativi sono i tempi. Trentatré persone si sono tolte la vita nei primi sei mesi trascorsi in carcere, di queste sette nei primi quindici giorni di reclusione. Quattro di loro si sono impiccati a cinque giorni dall’ingresso nel penitenziario. Nessun giudice li aveva ancora dichiarati colpevoli. Carcere, l’esecuzione penale non diventi capitale di Rita Bernardini Il Dubbio, 15 agosto 2024 Dopo il decreto “carcere sicuro” si corre ai ripari con circolari e vademecum, ma non si affronta la realtà del sistema penitenziario, tra sovraffollamento e suicidi. Al Governo sanno bene che, con il decreto “carcere sicuro”, hanno fatto ben poco (praticamente nulla) per contrastare il problema del sovraffollamento e dei suicidi e cercano in tutti i modi di correre ai ripari con circolari che paventano rivolte o con vademecum che contiene panzane da propinare alla popolazione detenuta per tenerla buona. Le prove di quanto affermato non stanno solo e tanto nella riunione del consiglio dei ministri tenutasi sull’emergenza carceri mentre alla Camere si convertiva con il voto di fiducia il decreto Nordio sulle carceri! E nemmeno nella richiesta di incontro rivolta al Presidente della Repubblica da parte del guardasigilli sull’emergenza sovraffollamento nelle carceri. La Circolare del Provveditorato della Lombardia indirizzata a direttori e comandanti avente per oggetto “ordine e sicurezza negli istituti penitenziari - possibili manifestazioni di protesta” recita testualmente: “Attese le informazioni giunte di recente a questo Provveditorato circa possibili stati di tensione fra la popolazione ristretta connessi alle decisione politiche assunte in sede di conversione del decreto legge numero 92/2024, si invitano le SS. LL. a sollecitare tutto il personale rispetto alla necessità di operare con massimo scrupolo e zelo al fine di mantenere alto il livello di attenzione nello svolgimento delle attività di vigilanza ed osservazione degli Istituti Penitenziari.” Credo sia la dimostrazione di quanto l’amministrazione sia consapevole della pochezza del decreto, tanto da collegarlo esplicitamente alle possibili conseguenti proteste della popolazione detenuta. Con il vademecum, invece, si passa alla vitale necessità di raccontare cose non vere ai detenuti per tenerli buoni durante le ferie della politica nell’estate più rovente di sempre, con un numero di suicidi, sessantacinque, mai raggiunti nella storia penitenziaria italiana. Si usa, per esempio, l’avverbio “automaticamente” in relazione alla concessione della liberazione anticipata di 45 giorni ogni semestre, come se il magistrato di sorveglianza non dovesse, come invece è giustamente scritto nel decreto, “accertare la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata”. Il rischio è quello di ingenerare false aspettative (contenute in altre parti del vademecum) che frustrano ancora di più i tanti ristretti nei penitenziari ai quali si fa scontare una pena illegale come certificato dai 24.000 risarcimenti in sei anni riconosciuti dai magistrati di sorveglianza in tutta Italia. Voglio mettermi però anche nei panni di una Amministrazione penitenziaria (e delle sue diramazioni) costretta a gestire una situazione drammatica così come gliela restituiscono i decisori politico/istituzionali che con le leggi approvate avrebbero l’obbligo di rimuovere le cause che generano trattamenti disumani e degradanti in violazione della nostra Costituzione e della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo: 14.000 detenuti in più rispetto alle possibilità normative di accoglienza, 18.000 agenti in meno rispetto alle piante organiche, carenze annose negli organici di educatori, direttori, assistenti sociali, psicologi, mediatori culturali, personale sanitario di ogni tipo, così scarso da far saltare quotidianamente l’altro diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione, il diritto alla salute. E poi ci sono i problemi della magistratura di sorveglianza (esclusi dai finanziamenti del PNRR) i cui compiti sono aumentati a dismisura nel tempo; giudici di sorveglianza che avrebbero il compito, insieme all’area educativa, di seguire il percorso individualizzato di trattamento (quindi detenuto per detenuto) volto al reinserimento sociale del carcerato. Quanto al Governo, io mi auguro, che veramente voglia (ne ha l’obbligo) intervenire immediatamente per incidere efficacemente sul sovraffollamento e sulle sue conseguenze. Con Roberto Giachetti, Nessuno tocchi Caino ha presentato fin dal novembre del 2022, l’unica proposta concreta per ridurre in modo immediato il numero spropositato di detenuti aumentato di 5.000 unità da quando si è insediato l’attuale Governo. Lo abbiamo gridato con Giachetti, non siamo particolarmente affezionati alla nostra proposta che sarebbe inutile se la classe politica si assumesse la responsabilità di governare l’incivile situazione attuale con un costituzionalissimo provvedimento di amnistia e di indulto. Siamo pertanto aperti ad altri interventi legislativi che “hic et nunc” siano volti a risolvere l’attuale esecuzione penale illegale che sembra tradursi quasi quotidianamente in un’esecuzione capitale nei confronti di detenuti e detenenti. Finora purtroppo questi interventi non li scorgiamo fra quelli preannunciati da Nordio. Mai, come da tradizione pannelliana, abbiamo voluto essere della partita “tanto peggio, tanto meglio”. Una volta ristabilito un minimo di legalità, che ci si metta poi subito al lavoro per la necessaria Riforma che in uno Stato civile può essere solo quella della pena flessibile, con quella carceraria ridotta ad extrema ratio, come un tempo sosteneva l’attuale guardasigilli. Per evitare i suicidi in carcere bisogna aumentare le cure di Santino Gaudio* Il Domani, 15 agosto 2024 Solo in Italia sono quasi 800 i detenuti in attesa di un ricovero in strutture sanitarie. Significa che un alto numero di persone tarda ad avere un adeguato trattamento psichiatrico, sebbene riconosciuto come necessario da un giudice. Quando si parla di salute mentale dei detenuti pare che l’attenzione di noi tutti si attenui, come se si parlasse di un mondo che non ci appartiene. Una è la convinzione sedimentata nella coscienza comune che può spiegarci la scarsa empatia verso chi ha commesso un reato e paga per questo: in Italia non esiste la certezza della pena. Sebbene non possiamo dimenticare che questa condizione possa essere reale, dovremmo guardare oltre per provare a comprendere quanto la vita carceraria possa influire sullo stato emotivo dei detenuti. Il primo dato da cui partire è rappresento da una più alta percentuale di disturbi mentali nella popolazione carceraria rispetto alla popolazione generale (white paper del Consiglio d’Europa, 2022). Nei paesi dell’Unione europea la prevalenza dei disturbi mentali nelle carceri varia sensibilmente con una mediana che si attesta al 18 per cento. Sono diversi i fattori che possono determinare la presenza di una più alta percentuale di disagio mentale nei detenuti: dallo stato di povertà, all’uso di droga (tema che richiederebbe un articolo a sé). A peggiorare la condizione mentale dei carcerati hanno un ruolo chiave il sovraffollamento, le varie forme di violenza e la ridotta possibilità di accesso alle cure mediche ed in particolare a cure psichiatriche. L’ultimo report dell’Organizzazione mondiale della sanità ci dice che i disturbi mentali nella popolazione carceraria vanno dai disturbi dell’umore (depressione, disturbo bipolare) alla schizofrenia. Non dobbiamo neanche dimenticare che l’Oms riconosce un impatto importante della carcerazione in sé sullo stato mentale dell’individuo. Il primo grande problema del quale è stato scritto e riscritto è il sovraffollamento carcerario. Un problema decennale per il quale l’unica soluzione adottata è stata negli anni l’utilizzo dell’indulto. A questo si aggiunge la limitata disponibilità di cure psichiatriche. Un dato su tutti: per quanto riportato dal sito ristretti.org (che monitora quanto avviene nelle carceri) sono quasi 800 i detenuti che attendono di essere ricoverati in una Rems (le Rems sono i luoghi dove i detenuti affetti da disturbi mentali vengono accolti dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari avvenuta nel 2013). Questo vuol dire che un alto numero di detenuti tarda ad avere un adeguato trattamento psichiatrico, sebbene riconosciuto come necessario da un giudice. È partendo da questi dati che possiamo provare a meglio comprendere il triste numero di suicidi che si registra nelle nostre carceri: nel 2023 sono stati 69 (fonte ristretti.org). Sempre consultando ristretti.org, all’8 agosto del 2024 sono già 66 i detenuti che si sono tolti la vita. Se dovesse proseguire questo trend, a fine anno si potrebbe arrivare a più i 103 vite perse. Un numero che sarebbe quasi doppio rispetto all’anno precedente. È chiaro a tutti che il problema della salute mentale nelle carceri è strutturale e riguarda l’intera Europa (se vogliamo fermarci al nostro continente), pur esistendo linee guida che tutti i paesi dell’Unione dovrebbero seguire (Withe paper of Counsil of Europe). L’attuale situazione Italiana non è figlia di questo o quel governo ma, di una ridotta attenzione alle condizioni dei detenuti che possiamo definire “storica”. Eppure le carceri dovrebbero essere luoghi dove provare a sostenere il recupero personale e sociale del detenuto, oltre che i luoghi dove si sconta la pena per i reati commessi (articolo 27 della nostra costituzione). Per concludere, i suicidi sono solo la punta di un iceberg, rappresentato dall’elevato numero di detenuti con patologie psichiatriche che necessiterebbero di cure adeguate. La domanda che dovremmo porci è: quanti dei detenuti che si sono tolti la vita erano in lista di attesa per l’ingresso in una Rems? Altrimenti, quello che rimane è la cruda conta dei suicidi in carcere. Come ho scritto in apertura, in Italia si tende a rimuovere il pensiero della sofferenza psichiatrica in carcere con l’idea che non esiste la certezza della pena. In questo modo si dimentica che una pena scontata senza cure è una condanna accessoria e iniqua. Credo sia necessario che tutte le forze politiche debbano mettere insieme due punti di buon senso: certezza della pena e certezza della cura. *Psichiatra “Sconti di pena automatici ai detenuti”, poi il dietrofront di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 15 agosto 2024 Il Ministero e il pasticcio della Circolare per i carcerati sui “miglioramenti” della nuova legge. Riduzioni di pena prospettate come automatiche e che invece non sono affatto tali, annunciati nuovi benefici per ultra 7oenni che invece o esistono già o sembrano perfino peggiorativi, sforzi per misure alternative anche ai detenuti senza domicilio o poveri ma con appena 200 beneficiari stimati dalla stessa relazione alla legge (su 61.134 detenuti in 47.004 posti): va bene che la pubblicità è l’anima del commercio, va bene che dalle leggi-spot allo spot della legge il passo è breve, ma forse lunedì il ministero della Giustizia aveva un po’ esagerato nel magnificare ai detenuti il decreto legge dell’8 agosto. E così in 48 ore è arrivata ieri la marcia indietro: se la Circolare del 12 agosto arringava i direttori a “rendere fruibile con distribuzione diretta ai detenuti il vademecum con le novità che migliorano la condizione detentiva”, ieri una contro-circolare lo declassa “ad esclusivo uso interno”, in quanto “la divulgazione ai detenuti sarà assicurata con un documento semplificato che si avrà cura di elaborare nelle lingue più diffuse”. E c’è da sperare che, nella traduzione, i detenuti guadagnino in chiarezza. Perché, se le parole in italiano hanno un senso, sulla liberazione anticipata per chi partecipa alle attività rieducative, c’era scritto “la pena verrà ridotta di 45 giorni ogni 6 mesi automaticamente”, e “ogni volta che il ristretto farà un’istanza per le misure alternative, automaticamente il magistrato di sorveglianza applicherà la riduzione”: due “automaticamente” contrastanti invece il testo della legge, dopo la quale gli esiti restano affidati alla valutazione dei magistrati di sorveglianza sulla base delle relazioni del carcere. Poi c’è il rebus dei 7oenni che, se non hanno reati ostativi, “potranno scontare in detenzione domiciliare la pena residua tra i 2 ed i 4 anni”. Ma già oggi possono restare liberi “sospesi” in attesa che i giudici decidano sulle richieste misure alternative: ora parrebbe che quelli con pene tra 2 e 4 anni vadano invece dritti in detenzione domiciliare. Forse un vantaggio solo per 4 sottocategorie non ostative ma sinora per legge destinate lo stesso al carcere, e cioè stalker, maltrattanti familiari, ladri in case, piromani boschivi: solo che per paradosso continuerebbero tra loro ad andare in carcere quelli sotto i 2 anni. Nel frattempo, tra una circolare e l’altra, ieri ordinaria giornata in galera: contabilità dei suicidi ferma a 66 solo perché due li hanno sventati per un soffio gli agenti a Terni e a Torino, e visita di avvocati e politici a San Vittore, record italiano con 450 posti per 1.007 detenuti di cui 200 con disturbi psichiatrici certificati e 650 tossicodipendenti. Oggi il ministro Nordio annuncia che sarà al carcere femminile di Venezia per “la festa dell’Assunzione della Vergine” che, “così splendidamente ricordata nella devozione e nell’arte, sarà propizia anche per dare luce all’azione discreta ma intensa che il Patriarca di Venezia ha voluto svolgere con il Ministero”. Indietro tutta: la Circolare che esaltava il Decreto Carceri non va fatta vedere ai detenuti di Alfonso Raimo huffingtonpost.it, 15 agosto 2024 Il gran casino sulla gestione delle pasticciate norme di via Arenula sulla situazione carceraria. Il Dap fa marcia indietro, ma solo nei modi: il vademecum viene edulcorato per i detenuti, per il rischio di tensioni. De Fazio (Uilpa): “Il vertice politico è nella confusione più totale mentre il personale è allo stremo”. Indietro tutta: la Circolare che esaltava il decreto Nordio non va fatta vedere ai detenuti. Dopo aver invitato gli agenti a darle massimo risalto, l’amministrazione penitenziaria ci ripensa. C’era il rischio di creare illusioni tra i detenuti che attendono di uscire prima dal carcere. “Questa vicenda dimostra che l’amministrazione penitenziaria e il vertice politico sono nella confusione più totale. Intanto nelle carceri cresce la tensione tra i detenuti e il personale è allo stremo”, dice all’Huffpost Gennaro De Fazio, segretario della Uilpa. Il portavoce della conferenza dei garanti regionali, Samuele Ciambriello, parla di una circolare “dal tono sorprendentemente enfatico” in grado di “creare aspettative eccessive nella popolazione carceraria”. Ora - dice - bisogna dare indicazioni chiare agli operatori penitenziari”. A Ferragosto la politica scopre il carcere. A cominciare dal ministro di giustizia Carlo Nordio che sarà alla Giudecca di Venezia, mentre il sottosegretario Andrea Delmastro, ha visitato le case circondariali di Taranto e Brindisi. “Ma non per andare alla mecca del detenuto. Io incontro prima di tutto i servitori dello Stato che, vestendo una divisa, difendono e tutelano legalità e sicurezza”, dice Delmastro. Ma i primi ad essere scontenti sono i servitori dello Stato, come li chiama il sottosegretario. A metà agosto le carceri italiane registrano 164 morti, di cui 66 suicidi accertati e 19 morti ancora da accertare. Mai così male da oltre 30 anni, coi detenuti in sovrannumero di oltre 14mila. A fronte di questa situazione il ministro Nordio e il suo (ipotetico) successore Andrea Delmastro enfatizzano ognuno un aspetto diverso del decreto 92, il decreto carceri convertito la settimana scorsa dal Parlamento. Per Nordio - che chiede un incontro al presidente della Repubblica Sergio Mattarella - con un combinato disposto di misure presenti nel decreto e altre, di là da venire, si libererebbero 15-20 mila detenuti. Nordio pensa al trasferimento dei detenuti tossicodipendenti in strutture ad hoc - previsto dal decreto - e a quello dei detenuti stranieri nei Paesi d’origine. In più, ipotizza una modifica della custodia cautelare, in modo da limitare la quota di detenuti in regime di carcerazione preventiva. Su questo trova un’apertura di credito anche da Forza Italia. “Il decreto carceri è solo un punto di inizio”, dice all’Huffpost il senatore Pierantonio Zanettin, che presentò un emendamento al decreto, poi ritirato, che prevedeva la semilibertà per chi aveva condanne inferiori ai 4 anni. “Ma è comunque positivo che il ministro annunci un nuovo piano con cui intende dare seguito a quelle misure, a cominciare dai detenuti tossicodipendenti. Quanto ai detenuti stranieri, si tratta di un problema annoso. I Paesi d’origine spesso non rivogliono indietro i loro connazionali, che hanno avuto problemi con la giustizia italiana. Ma siamo sicuri che Nordio avrà un piano con cui rendere concreto il suo proposito”. Forza Italia fa un’apertura al ministro e non ripresenterà nell’immediato una proposta per la scarcerazione preventiva. Ma gli azzurri invitano Nordio ad andare fino in fondo sulla modifica della custodia cautelare. “Ci sono diverse proposte, si può partire ad esempio da quella depositata alla Camera a firma del capogruppo Tommaso Calderone. Prevede - dice Zanettin - di rivalutare l’esigenza della reiterazione del reato dopo 60 giorni di carcerazione preventiva”. Per inciso, è la norma che escluderebbe a priori un nuovo caso Toti, visto che il governatore ligure non sarebbe costretto alle dimissioni per veder revocata la custodia cautelare. Zanettin ha visitato il carcere di Ancona. “Ho trovato i detenuti contenti delle misure previste dal decreto. Se poi la stampa e qualche politico che parlano di ‘svuotacarceri’ la smettessero, ci sarebbero meno aspettative eccessive”. Ma la vicenda del vademecum del Dap fa emergere le incertezze in maggioranza e nel governo sulle misure per alleggerire la pressione nelle carceri. Dopo aver invitato provveditori e dirigenti a dare “massima diffusione” delle norme più significative del decreto 92, anche con “distribuzione diretta ai detenuti e affissione negli spazi comuni”, il Dap ingrana la retromarcia. “Si chiarisce che il vademecum è ad esclusivo uso interno. La divulgazione alla popolazione detenuta sarà assicurata con un documento semplificato”, è la nuova nota, datata 14 agosto, a parziale smentita di quella del 12 agosto. Questa legittimava i detenuti a pensare che non fosse più neceessario il riscontro del magistrato di sorveglianza per l’accesso alla libertà anticipata. “La pena verrà ridotta di 45 giorni ogni sei mesi senza necessità di fare alcune istanza al magistrato di sorveglianza, se il ristretto parteciperà alle attività di rieducazione”, si leggeva. Una dichiarazione “non solo falsa, ma anche pericolosamente fuorviante”, per Leo Benduci del sindacato Osapp, che lamentava anche la mancata traduzione a favore dei detenuti stranieri. Ora via Arenula corregge il tiro, ma intanto il Provveditorato della Lombardia si era mosso per tempo. Con una nota ai dirigenti regionali metteva in guardia dal rischio di tensioni che potevano essere innescate da aspettative esagerate dei detenuti in relazione alla liberazione anticipata. “Attese le informazioni giunte di recente a questo provveditorato circa possibili stati di tensione fra la popolazione ristretta connessi alle decisioni politiche assunte in sede di conversione del decreto legge numero 92/2024, si invitano le SSLL a sollecitare tutto il personale rispetto alla necessità di operare con massimo scrupolo e zelo al fine di mantenere alto il livello di attenzione nello svolgimento delle attività di vigilanza ed osservazione degli Istituti penitenziari”. Per Gennaro De Fazio, segretario del sindacato Uilpa, “è una vicenda che insieme ad altre riflette il profondo stato confusionale dell’amministrazione penitenziaria e del suo vertice politico”. Interpellato dall’Huffpost, De Fazio spiega che il vademecum ai detenuti “era un volantino di saldi. In realtà il decreto Nordio non porta nulla di significativo. È ingannevole, con misure di difficile realizzazione e comunque non immediate, e alimenta le aspettative di chi è in attesa di uscire per libertà anticipata. Non porta niente che possa mutare davvero la situazione nelle carceri. Una situazione “caratterizzata da crescente tensione tra i detenuti e con il personale costretto a operare in condizioni-limite, in qualche modo anch’esso vittima della propaganda di governo”. Nei giorni scorsi un agente di polizia penitenziaria, a Catanzaro, nel corso di recenti proteste, è arrivato a lavorare 22 ore di fila. “Sono casi sempre più frequenti - spiega De Fazio - perché il governo si fa frenare dalle altre forze dell’ordine. Le assunzioni, previste dal decreto Nordio, lo dimostrano”. A fronte di 1000 assunzioni, 500 sono calendarizzate a fine 2025 e altre 500 a fine 2026. “Ma se il governo vuole creare 7mila posti nelle carceri con il piano di edilizia straordinaria previsto nel decreto Nordio, con la stima attuale di un agente ogni due detenuti non servirebbero mille agenti in più, ma 3500. E quindi il deficit attuale di 18mila agenti, salirebbe a breve almeno a 20mila. Non mi sembra un grande risultato. Ma poi: se si vogliono costruire carceri per altri 7mila posti, con il decreto che individua addirittura un commissario straordinario all’edilizia penitenziaria, perché Nordio insiste sul trasferimento di detenuti? Mi pare che tra la linea Delmastro e quella Nordio ci sia un’incongruenza”. Un altro capitolo critico è proprio l’edilizia carceraria. È la principale leva su cui insiste il sottosegretario Delmastro. De Fazio mette in evidenza le contraddizioni nel governo, visto che l’altro sottosegretario alla giustizia, il leghista Andrea Ostellari spiega che “sul tema del sovraffollamento, se andiamo oggi a guardare tutte le nostre carceri tenendo conto del parametro ‘metri per detenuto’, tutti i nostri istituti sono regolamentari”. Diverso il punto di vista del collega Delmastro. “Questo governo ed il sottoscritto in prima persona hanno sbloccato in 20 mesi 255 milioni di edilizia penitenziaria per recuperare settemila dei diecimila posti detentivi mancanti. Questo ci fa ben sperare per recuperare gli altri tremila nel corso del mandato e risolvere strutturalmente il problema del sovraffollamento”, dice Del Mastro. De Fazio conclude: “Si mettessero d’accordo: chi dei due ha ragione?”. Il caos carceri preoccupa i Garanti regionali dei detenuti. Per il portavoce Samuele Ciambriello, che ne ha parlato al capo del Dap Giovanni Russo, “per superare i problemi del sovraffollamento, dei suicidi e della dignità della vita carceraria avremo bisogno non di affermazioni propagandistiche ma di risposte efficaci e realistiche”. Il riferimento è al vademecum destinato ai detenuti in cui si sponsorizzava il decreto Nordio. “Creava aspettative eccessive da parte della popolazione carceraria, questioni interpretative e possibili difformità nell’applicazione da parte della magistratura di sorveglianza”. A cominciare dal “punto 4 della Circolare che se letto da un detenuto o da un non addetto ai lavori potrebbe lasciare intendere che la parola ‘automaticamente’ non si riferisca alla riduzione dei 45 giorni della liberazione anticipata, ma anche all’applicazione delle misure alternative. Il che non è conforme alle previsioni di legge, secondo cui il magistrato per poter concedere una misura alternativa deve comunque svolgere attività istruttoria e verifiche”. I garanti prendono atto che è stata sospesa la diffusione della nota tra i detenuti, “ma riteniamo urgente - concludono - che anche agli operatori penitenziari siano date indicazioni chiare, in modo che possano essere interpreti tra i detenuti”. Il Dap in trepida attesa dell’antisommossa per le carceri di Michele Passione L’Unità, 15 agosto 2024 Ecco il vademecum per il lettore del Vademecum dell’amministrazione penitenziaria. Punto per punto, balle e omissioni di disposizioni reazionarie. Li guardano, perché devono, ma non li vedono, non sono capaci. Con Vademecum diffuso dal Dap (a firma della vice capo Lina Di Domenico), relativo alla (contro)riforma contenuta nel dl 92/2024, convertito in l.112/2024, si è disposta la “massima diffusione del documento”. Al punto 2 si sostiene che il detenuto saprà subito il suo fine pena, all’atto dell’emissione dell’ordine di esecuzione, ma si omette dal dire che il pm che cura il titolo detentivo non conosce gli esiti delle istanze di liberazione anticipata, Ciò comporterà un aumento del contenzioso. Al punto 3 si afferma che “la pena verrà ridotta di 45 giorni ogni sei mesi, automaticamente senza necessità di fare alcuna istanza al magistrato di sorveglianza”. “Questa è una dichiarazione non solo falsa, ma anche pericolosamente fuorviante” così Leo Beneduce, segretario dell’Osapp. Al punto 4 si legge che “ogni volta che il ristretto farà una istanza per le misure alternative alla detenzione, automaticamente il magistrato di sorveglianza applicherà la riduzione per la liberazione anticipata”. Per un verso si assume per certo che il beneficio verrà concesso, mentre l’esito potrebbe essere opposto, e per altro non si considera che il termine per decidere (90 giorni) non potrà essere rispettato per chi ha sofferto lunghe carcerazioni. Una nuova condanna della Corte europea è scontata, per violazione dell’art.5, 1, della Convenzione (cfr. Corte Edu, Quarta Sezione, 24.3.2015, Messina c. Italia). Il punto 5 non fa incredibilmente i conti con quanto evidenziato nella Relazione del D.L. 92/2024, laddove si chiarisce che “il numero dei destinatari della misura sia pari a 206 detenuti all’anno”. Il punto 6 indica un percorso di favore per i condannati privi di attività lavorativa che chiedano l’affidamento in prova, attraverso lo svolgimento di servizi di volontariato. Si tratta di ipotesi già giurisprudenzialmente riconosciuta (ex multis, Cass. Sez.I, 28.11.2023, n.14003), che qui si presenta come innovativa. Infine, la perla; al punto 7 si richiama la disciplina di favore per i condannati con pena residua tra i 2 e 4 anni con età pari o superiore a 70 anni, salvo che per i delitti di cui agli artt. 4 bis o.p. e 51, comma 3 bis, c.p.p., che potranno accedere alla detenzione domiciliare. Ancora una volta, si truccano le carte; per quelle pene, e per quei reati (l’unica novità concerne le condanne per gli ulteriori delitti inseriti nell’art.656, comma 9, c.p.p., e non nell’art. 4 bis o.p.) una pena residua contenuta nei 4 anni non comporta mai l’arresto al momento del giudicato. Però adesso gli anziani li chiudiamo in casa, e se poi non ce l’hanno sono affari loro. Come si vede, si ingenerano aspettative, regalando illusioni a chi niente ha più nelle sue tasche, a chi non trova risposte. Si soffia sul fuoco, scaricando sulla magistratura la responsabilità dello stato dell’arte. Però abbiamo il colpo a sorpresa, il cappellaio matto (e i cinque esperti) che risolve problemi, il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, che opera in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale. Il Vice Capo Dap ha preso carta e penna, ricordando ai Provveditori le regole (schede tecniche) per l’utilizzo di scudi, caschi, guanti, kit antisommossa, da usare senza necessità di autorizzazione quali dispositivi di protezione individuale in tutte le situazioni di rischio incolumità del personale. In attesa del Gruppo antisommossa per le carceri, non perdiamoci d’animo. Perplessità dei Garanti sulla Nota del Dap dopo l’approvazione del Decreto Carceri Ristretti Orizzonti, 15 agosto 2024 Il portavoce dei Garanti territoriali, Samuele Ciambriello: “Ci sono nostre riserve sul merito, sul linguaggio usato e sulla modalità di diffusione della nota”. Nella giornata di ieri il Portavoce della Conferenza dei garanti territoriali ha manifestato al Capo del Dap Giovanni Russo riserve, sul merito, sul linguaggio e sul metodo di diffusione della nota intitolata “Novità migliorative della condizione detentiva” introdotte con il decreto legge n. 92/2024 convertito in legge 8 agosto 2024 n. 112, a firma del vice capo del Dap Lina Di Domenico. A parere del Portavoce della Conferenza nazionale dei garanti territoriali delle persone sottoposta a misure restrittive della libertà, garante campano Samuele Ciambriello: “La lettura di tale vademecum può ingenerare dubbi e perplessità da parte delle direzioni delle diverse aree giuridico pedagogiche. Aspettative eccessive da parte della popolazione carceraria, questioni interpretative e possibili difformità nell’applicazione da parte della magistratura di sorveglianza emblematica in tal senso è il punto 4 della circolare che se letto da un detenuto o da un non addetto ai lavori potrebbe lasciare intendere che la parola automaticamente non si riferisca alla riduzione dei 45 giorni della liberazione anticipata ma anche all’applicazione delle misure alternative. Il che non è conforme alle previsioni di legge secondo cui il magistrato per poter concedere una misura alternativa deve comunque svolgere attività istruttoria e verifiche. Siamo sinceramente sorpresi dal tono enfatico della circolare, prendiamo atto che è stata sospesa la sua diffusione tra i detenuti ma riteniamo urgente che anche agli operatori penitenziari siano date indicazioni chiare, in modo che possano essere interpreti tra i detenuti” -ha concluso il Portavoce Ciambriello: “ In questo momento per superare i problemi del sovraffollamento, dei suicidi e della dignità della vita carceraria avremo bisogno non di affermazioni propagandistiche ma di risposte efficaci e realistiche”. La violenza contro i detenuti nasce dalla politica di Ugo Di Giovannangeli L’Unità, 15 agosto 2024 “Definire questo decreto come “potentissimo” stona con la realtà. Bisogna smettere di considerare la punizione e la vendetta come i pilastri della giustizia. Un milione e 300 mila euro di stipendio a un commissario?”. Il decreto carceri è uguale a zero. Purtroppo, negli ultimi anni è cresciuta una subcultura molto violenta: quando si sentono persone delle istituzioni dire “buttiamo le chiavi” riferendosi a detenuti, è molto grave. Gesù nel Vangelo si identifica nel carcerato e loda chi lo è andato a trovare (Mt. 25, 36) e, come ha ricordato Papa Francesco, incontrando la polizia penitenziaria e il personale dell’amministrazione penitenziaria, la lettera agli Ebrei dice: “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere” Paolo Ciani, segretario nazionale di Democrazia solidale, vicepresidente del gruppo Pd-Idp alla Camera dei deputati: perché il decreto legge del governo sulle carceri è un’occasione persa? C’è una grande delusione perché questo decreto-legge avrebbe dovuto affrontare una vera emergenza di questo paese. E dopo 70 decreti legge che non avevano alcun carattere di necessità e urgenza, il carcere meritava una decretazione d’urgenza. Peccato che, di fronte a un’iniziativa parlamentare in corso, a prima firma Giachetti, che andava realmente ad affrontare l’emergenza, il governo ha preferito varare un decreto-legge che non ha nulla di realmente risolutivo del dramma che stanno vivendo le nostre carceri. Tant’è che mentre il Parlamento votava, il ministro Nordio era dalla presidente Meloni per parlare di “future misure per le carceri”, dimostrando l’inutilità del decreto per l’emergenza in corso oltre ad una scarsa considerazione del Parlamento. Una situazione drammatica in cui l’aspetto del sovraffollamento è una realtà evidente - con punte del 190%. E i dati drammatici dei suicidi ne sono una dolorosa riprova: quelli dei 65 detenuti dall’inizio dell’anno, ma anche quelli dei 7 agenti della Polizia penitenziaria. Ho ricordato all’aula come tra gli agenti che operano in carcere ci sia un tasso di suicidi doppio rispetto a quello delle persone comuni: un evidente segnale di come il carcere sia un mondo veramente alla deriva, un pezzo di Stato alla deriva. Suicidi a cui vanno aggiunti 15 “decessi per cause da accertare”. Nel provvedimento si parla di “strutture residenziali di emergenza” (unica previsione che potrebbe incidere sul sovraffollamento): ma di che si tratta? Nessuno lo sa e visto quello che questo governo ha fatto sui centri per i migranti la cosa ci preoccupa molto… È chiaro che dinanzi a questo dramma, sentir parlare di “potentissimo dl carceri” stona parecchio. Lei in queste settimane ha visitato diversi istituti penitenziari. Un bilancio, politico e personale, di questa esperienza... Io le carceri le visito da tanti anni, per 18 anni da volontario con Sant’Egidio, poi da Consigliere regionale quelle del Lazio e ora da deputato anche quelle italiane. In questi anni ho capito che il carcere è un microcosmo, abitato da cittadini che hanno compiuto dei reati o accusati di averlo fatto, ma che rimangono persone e cittadini. Con loro tutti gli altri, dalla polizia penitenziaria a chi lavora nell’amministrazione penitenziaria, ai servizi sociali, gli infermieri, i medici, i volontari. È sciocco pensare al carcere come a qualcosa di estraneo alla città, allo Stato e alla vita comune. Come è sciocco pensare che il malessere di uno non ricada sugli altri. Purtroppo, negli ultimi anni è cresciuta una subcultura molto violenta: quando si sentono persone delle istituzioni dire “buttiamo le chiavi” riferendosi a detenuti, è molto grave. Non solo perché per la legge italiana la pena e la detenzione servono per il corretto reinserimento sociale di chi ha commesso il reato, ma perché sottintendono un senso di vendetta e di disumanizzazione del detenuto. Non è la mia cultura, non è la cultura giuridica del nostro paese. In carcere ho incontrato persone molto differenti: tanti detenuti comuni, molte persone che sono in carcere perché povere (e non possono accedere a misure alternative per questo motivo), ma anche imprenditori o politici: per tutti è un momento di grande difficoltà e prova. Per questo mi dispiace molto sentirne parlare con superficialità o disprezzo. “Ma non pensi al male che loro hanno procurato?”, mi sento dire talvolta. E lei come replica? Certo che ci penso, ma tutelare i diritti anche di chi ha commesso reati è la resistenza all’imbarbarimento della società che ricadrebbe negativamente su tutti, a cominciare dai più deboli. E da cristiano mi permetta di ricordare due cose: Gesù nel Vangelo si identifica nel carcerato e loda chi lo è andato a trovare (Mt. 25, 36) e, come ha ricordato Papa Francesco, incontrando la polizia penitenziaria e il personale dell’amministrazione penitenziaria, la lettera agli Ebrei dice: “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere” (Eb 13,3). Penso che questa memoria sia un dovere ancor più per chi opera nelle istituzioni. Purtroppo invece, mi sembra che, quando parliamo di carcere e di detenuti, tanti nostri colleghi parlino di qualcosa di cui veramente non sanno nulla. Lo dico con rammarico, perché parliamo di una realtà molto importante dove vivono e muoiono tante persone, dove lo Stato dovrebbe essere molto presente. C’è la propaganda, poi c’è la realtà: sono stato al carcere minorile di Torino Ferrante Aporti una settimana prima della rivolta del 1° agosto e ho trovato un giovane direttore, bravo, impegnato e pieno di volontà, che mi ha raccontato tante idee e tante iniziative che stava facendo. In quel carcere, però, invece di esserci il massimo previsto dal regolamento, cioè 43 detenuti, ce n’erano 60 e c’era una sezione di ultra diciottenni, come previsto dalla legge, ma ce n’era anche un’altra composta per metà da ultra diciottenni e per l’altra metà da infra-diciottenni. Peraltro, quel carcere dovrebbe essere uno di quelli oggetto degli interventi di ristrutturazione del Pnrr, che non si può applicare nelle carceri sovraffollate. Così, vedere nel decreto legge che c’è uno stipendio di un milione e 300 mila euro per un anno e mezzo di commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria fa rabbia: cosa si può fare in 18 mesi? Come risponde il governo e le forze politiche che lo sostengono? Purtroppo, la dottrina di questa maggioranza è: più reati, più pene e più carcere: questo, alla faccia della rieducazione e dell’applicazione della Costituzione. Non crede che la battaglia per una giustizia giusta con tutte le sue implicazioni, dovrebbe essere uno dei punti fondamentali di un’alternativa progressista? Sicuramente sì. Per troppo tempo in Italia c’è stata una contrapposizione macchiettistica tra “garantisti” e “giustizialisti” che non ha prodotto nulla. Anche perché quasi sempre i “garantisti” lo sono per i “propri” e diventano manettari con “gli altri”. Incredibile è stato al riguardo il dibattito sulla possibilità di mettere le madri ree e i bambini in carcere: si è affrontato il discorso parlando esplicitamente in aula di una minoranza etnica (e quindi criminalizzando un intero popolo) e ipotizzando che il carcere potesse fungere da protezione per quelle donne “sfruttate”. Come ha giustamente ricordato in aula Andrea Orlando: pericoloso quello Stato che attraverso un giudice decide ciò che è meglio per te in una determinata condizione di vita. Certo la giustizia italiana ha gravi ritardi. È necessario un sistema più efficiente, che garantisca il rispetto della legalità insieme alla certezza del diritto e dei diritti dei cittadini, anzitutto quello di ottenere giustizia in tempi rapidi. Un sistema giustizia più giusto ed efficiente, e sottratto alle contrapposizioni politiche, rende lo Stato maggiormente in grado di rivolgere tutte le energie nel contrasto all’illegalità e alla criminalità, a partire da quella organizzata. Perché l’altro paradosso è che nelle beghe quotidiane sulla giustizia ci si dimentica quasi sempre il contrasto alle mafie, alla criminalità organizzata, alla corruzione, allo sfruttamento delle persone. Certo, la giustizia ha il compito di porre rimedio al “male” e di combatterlo. Ma se la giustizia si limita a essere solo retributiva, rimanendo legata alla logica cieca e senza prospettive della rabbia e della violenza, non credo riesca a porre termine alla spirale del male, sia dal punto di vista di chi commina la pena sia di chi la subisce. Come ha scritto Matteo Zuppi: “Solo l’uscita dall’idea della restituzione del male ricevuto, fa sì che la giustizia si apra alla speranza e diventi capace di dischiudere prospettive di futuro e di rinnovamento. La giustizia, infatti, penso che trovi il suo compimento solo se è in grado di ridare a tutti, sia alla vittima sia al reo sia alla società stessa, la possibilità di un futuro, di una ripartenza, di un cambiamento”. Se la giustizia si limita alla logica della vendetta, diventa fine a sé stessa e rischia di generare un movimento senza fine. Contenuti e alleanze: si torna a parlare di “campo largo”. Lei come la vede? Sono felice si cominci a parlare in maniera nuova di coalizione o alleanza. E credo sinceramente che con i sistemi elettorali che abbiamo in Italia sia oltre che utile, necessario per evitare un velleitarismo identitario che lascerebbe la destra al governo. È evidente che nel tempo individualista che viviamo, sottolineare le differenze aumenta la visibilità (basta vedere le quotidiane interviste “contro”). Ma trovo superficiale ed autolesionista porre veti a prescindere su singole persone (come fatto da alcuni dopo le aperture tra Schlein e Renzi), acuendo peraltro una politica personalistica e leaderistica. Già l’idea di coalizione porta con sé la collaborazione tra diversi e quindi la capacità di smussare le differenze e costruire un programma condiviso su cui ritrovarsi. Poi ognuno parlerà ai cittadini secondo la propria sensibilità e le proprie priorità. In questo anno e mezzo di legislatura ci siamo trovati più volte con tutte le opposizioni su punti programmatici (ultimo cronologicamente, molto importante, il no all’autonomia differenziata spacca Italia). E su altri ci troveremo: ci vuole pazienza, serietà e umiltà (virtù semisconosciuta in politica). Con Democrazia solidale - Demos a livello locale e nazionale stiamo provando a fare questo usando il metodo di Giovanni XXIII: partire da ciò che unisce e mettendo da parte ciò che divide. Questo senza tirarsi mai indietro dall’affermare le nostre priorità anche quando sono di “minoranza”. Penso possa essere un buon metodo con cui costruire una nuova proposta ai nostri concittadini e l’alternativa alla destra nel nostro Paese. Madri in carcere: sempre peggio di Simona Ciaramitaro collettiva.it, 15 agosto 2024 Il decreto non le ha risparmiate. Ma, per Samuele Ciambriello, portavoce Conferenza garanti territoriali, la situazione peggiorerà ancora con il dl sicurezza. Ha fatto discutere, benché sempre troppo poco, la norma dell’ultimo decreto carceri che per le donne che hanno commesso un reato incinte o con neonati abolisce l’obbligo di differire l’esecuzione della pena per affidare la decisione alla discrezionalità del giudice. Per il portavoce della Conferenza dei garanti dei diritti dei detenuti, Samuele Ciambriello, il peggio arriverà con il decreto sicurezza che il Parlamento sarà chiamato ad approvare tra settembre e ottobre. Qualche dato - Al 31 dicembre 2023 le donne detenute in Italia erano 2.477, il 4,4% della popolazione carceraria totale. Secondo un rapporto di Antigone, ad aprile 2024, tra Istituto a custodia attenuata per detenute madri e sezioni nido di carceri ordinarie, 19 donne erano in carcere con i loro 22 bambini, 20 con 20 bambini al 31 dicembre 2023, quando le detenute incinte erano 12. Ciambriello ci racconta di avere visitato un istituto di pena nel quale due detenute avevano partorito proprio all’interno del carcere. Il portavoce dei garanti territoriali, che è anche garante della Campania, ricorda che nella passata legislatura era stata votata alla Camera una norma secondo la quale “le detenute madri con figli che devono scontare meno di tre anni possono essere affidate alle comunità alloggio, stanziando per queste un milione e mezzo all’anno per tre anni, con un notevole risparmio per il mantenimento di queste donne e dei loro figli. Con l’arrivo del nuovo governo la proposta è stata bocciata al Senato”. “Le norme sulle carceri all’interno del decreto sicurezza sono molto gravi - prosegue -. Per fare un esempio: è previsto addirittura che se tre detenuti protestano pacificamente, ma non rientrano in cella scatta il reato di rivolta. Inoltre, si vuole eliminare la discrezionalità della possibilità per le donne incinte con figli di poter scontare la pena agli arresti domiciliari. Di fatto, c’è l’obbligatorietà dell’arresto”. Ciambriello denuncia poi la cattiva informazione mediatica in materia e punta il dito contro “quelle trasmissioni televisive, in particolare su Italia1 e Rete 4, che sostengono che le donne facciano come Sofia Loren nel film Ieri, oggi e domani. Il suo personaggio rimaneva continuamente incinta per non andare in prigione: questo è populismo mediatico”. Gli errori delle madri non ricadano sui figli - “Ma i bambini che colpa hanno sei genitori commettono un reato?”. È questa la domanda retorica che si pone il portavoce dei garanti territoriali. “C’è chi dice che è sempre meglio che un bambino stia in carcere con la madre, piuttosto che fuori senza di lei: è un errore. È un errore educativo che non tiene conto dello stato psicofisico dei minori”. E ancora una volta riferisce della sua esperienza: “Appena un estraneo entra in carcere, i bambini gli corrono incontro e lo abbracciano. Ce ne sono alcuni che come prime parole dicono ‘apri e chiudi’”, che è quanto sentono in carcere nei momenti in cui si procede con l’apertura e la chiusura delle celle. E quindi “come è possibile che su un tema come questo si facciano battaglie ideologiche senza mettere in campo prospettive educative e psicologiche di esperti? I medici dicono che il bambino è indifeso già fuori se non ha il pediatra e non va all’asilo, a maggior ragione se sta in carcere”. Quindi lo sfogo di Ciambriello per l’impostazione securitaria dell’esecutivo Meloni: “Questo governo considera il carcere una soluzione semplice a un bisogno complesso. Danno risposte in termini di sicurezza, dimenticando che il carcere non è solo custodia e pena, ma, come dice la Costituzione, reinserimento. Servono misure alternative come accade in tutti i Paesi europei”. Diritto all’affettività - “A gennaio c’è stata la sentenza della Corte costituzionale sull’affettività - dice il garante della Campania -, nella quale si scrive che le persone a colloquio con i familiari non devono essere spiate, perché così si limitano i gesti intimi d’affetto, un abbraccio, un bacio. Il decreto carceri avrebbe potuto inserire norme sull’affettività, come avrebbe potuto anche essere deflattivo e ridurre il numero dei detenuti, invece non c’è niente di tutto ciò. Si sono limitati ad aumentare le telefonate mensili da quattro a sei e nemmeno da subito”. Infine Ciambriello vuole portare alla luce un dato troppo trascurato. Dopo una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è stato introdotto nel 2014 un rimedio risarcitorio per le persone detenute che hanno subito un trattamento in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea: “4000 detenuti in Italia hanno ricevuto un risarcimento economico e una diminuzione di giorni di carcere per i trattamenti disumani e degradanti subiti. Questa è la dimostrazione di quello che genera il sovraffollamento, oltre al drammatico aumento dei suicidi. Tutto questo è inaccettabile”. Agosto in cella, il viaggio dei penalisti nelle carceri italiane di Davide Varì Il Dubbio, 15 agosto 2024 Fino alla fine di agosto i rappresentanti delle Camere penali andranno negli istituti penitenziari della penisola, coinvolgendo anche i parlamentari nelle varie Regioni. Continua l’impegno dell’Unione delle Camere penali italiane per sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sulla drammatica situazione del sistema penitenziario italiano. Dopo l’iniziativa delle maratone oratorie che ha visto impegnate oltre 70 Camere Penali su tutto il territorio nazionale e che si è conclusa in Piazza Santi Apostoli, a Roma, lo scorso 11 luglio, i penalisti italiani intendono continuare a dare “voce a chi voce, purtroppo, non ha”, attraverso la presenza nelle carceri italiane, anche nel mese di agosto. È quanto mai necessario ricordare, soprattutto a quanti hanno diretta responsabilità sulla vita delle persone private della libertà personale, come le condizioni inumane e degradanti in cui versano i nostri detenuti divengano ancora più insopportabili durante il periodo estivo. Il sovraffollamento, tenuto conto delle condizioni fatiscenti degli istituti di pena nel nostro Paese, rappresenta il dramma nel dramma dell’estate nelle carceri italiane, facendo aumentare concretamente il rischio di rivolte, atti di violenza, autolesionismo e suicidi. Attraverso il costante e straordinario contributo delle Camere Penali territoriali, con il coinvolgimento dei parlamentari di ogni Regione, vogliamo dare nuovo impulso all’opera di sensibilizzazione della Politica, dell’opinione pubblica, del mondo dell’informazione, dell’associazionismo e della magistratura tutta, affinché ognuno faccia la sua parte per riportare il carcere dentro i confini della legalità costituzionale, restituendo dignità ai detenuti. Intendiamo così promuovere per il mese di agosto una o più giornate di visita presso gli istituti penitenziari dislocati su tutto il territorio nazionale coinvolgendo i rappresentanti della politica, delle istituzioni e della società civile, così da contrastare all’interno delle carceri l’ulteriore isolamento che i detenuti patiscono in estate e denunciare all’esterno il costante e immorale tormento che vivono nell’inerzia assoluta di quanti ancora hanno il dovere di intervenire. Un viaggio iniziato il 5 agosto nel carcere di Teramo, città natale di Marco Pannella, e proseguito poi il 6 a Salerno, il 9 a Fermo, Forlì, La Spezia, e Uta. Il 12 è stata la volta di Catania, Catanzaro e Santa Maria Capua Vetere. Martedì 13 agosto i penalisti hanno visitato Cremona, Aversa, Genova-Marassi e Padova. Oggi è stata la volta di san Vittore e Pistoia. Domani, invece, saranno a Paola, Prato, Rimini e Verona-Montorio. Si ripartirà il 18 con Favigna a e Latina, il 19 con Parma, il 20 con Benevento, il 22 con Busto Arsizio e Sollicciano e il 23 con Varese. L’ultima settimana di agosto vedrà i penalisti impegnati il 26 a Rebibbia e a Trani, il 27 a Palmi, il 28 a Matera, il 29 ad Alessandria, Bari, Foggia, Messina e Poggioreale. L’ultimo appuntamento sarà il 30 ad Ariano Irpino. Carceri: solito copione estivo per i soliti noti di Antonio Padellaro Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2024 Funziona così: per tutto l’anno (e in tutti gli anni di cui si ha memoria) le condizioni bestiali dei detenuti nelle carceri italiane vengono accuratamente ignorate dalla politica (e dunque dai giornali in funzione gregaria) finché, ma tu guarda, con il giungere della calura estiva l’”emergenza carceri” deflagra con la consueta impennata dei suicidi dietro le sbarre e con i corpi ammassati nelle celle in condizioni disumane. A quel punto, la politica, con l’informazione unica a rimorchio, prende a trasudare (in locali ben climatizzati) indignazione e disgusto. Subito si annunciano provvedimenti urgenti e indifferibili che vanno dall’abolizione di specifici reati politici, quali l’abuso d’ufficio, alla modifica del reato (squisitamente politico) del traffico di influenze. Con relativa stretta alla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche (perlopiù di contenuto politico) ma, soprattutto, ça va sans dire, con la limitazione del ricorso alla carcerazione preventiva, per la parte che riguarda i reati dei cosiddetti colletti bianchi (sinonimo di personale assimilabile al sistema politico amministrativo). Intorno ai quaranta gradi s’invoca l’abolizione della legge Severino, quella sulla incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per chi fa politica. Con tassi d’umidità sopra la media stagionale ecco l’accenno, neppure tanto velato, del Guardasigilli di turno, garantista tutto d’un pezzo, secondo il quale a proposito della reiterazione di quel determinato reato che tanto gli sta a cuore, “il pericolo non può essere desunto dal rimanere in carica dell’amministratore pubblico accusato di corruzione”, che dunque va lasciato al suo posto (prossima riforma intitolata al martirio di Giovanni Toti). Cosicché, mentre la politica senza vergogna si procura una bene affilata lima legislativa per meglio evadere (favoleggiando il comico naturale Nordio di mirabolanti “progetti” per arrivare a “15-20 mila detenuti in meno”) i cosiddetti poveri cristi continueranno a marcire per il resto dell’anno. Affidandosi ai consueti metodi, gli unici realmente efficaci, per contenere i numeri della popolazione carceraria - ovvero: l’impiccagione tramite lenzuola, il dissanguamento tramite taglio delle vene e ogni altro sistema di autolesionismo. Nel frattempo, la politica rimpannucciata prepara, per il sole calcinante che verrà, la prossima, urgente, urgentissima campagna contro il sovraffollamento nelle carceri. Dal titolo: rubate (molto) e vi sarà aperto. “Sulle carceri Fratelli d’Italia e Lega hanno posizioni becere” di Ermes Antonucci Il Foglio, 15 agosto 2024 Intervista all’ex senatore Marcello Dell’Utri, tra i fondatori di Forza Italia: “Bene la campagna di FI sul carcere, anche se in ritardo. Marina e Pier Silvio dicono cose giuste sui diritti civili, ma non è detto che faranno breccia nel partito. Sulle carceri Forza Italia ha fatto bene a svegliarsi, anche se “avrebbe dovuto farlo molto prima”. Le posizioni securitarie di Lega e Fratelli d’Italia “sono becere e contro lo spirito della Costituzione”. L’attenzione mostrata da Marina e Pier Silvio Berlusconi verso una maggiore tutela dei diritti civili è giusta e positiva, ma “non è detto che riuscirà a fare breccia in Forza Italia”. Entrambi, comunque, “non hanno alcuna intenzione” di scendere in campo in prima persona. Musica e parole di Marcello Dell’Utri, che al Foglio affida le sue riflessioni sull’emergenza carceraria (e non solo). Oggi, come ogni Ferragosto, i militanti del Partito radicale visiteranno diversi istituti di pena, stavolta in compagnia di esponenti di Forza Italia, con cui a inizio mese è stata lanciata la campagna “Estate in carcere” per denunciare le gravissime carenze delle strutture di detenzione: sovraffollamento del 130 per cento (61 mila detenuti per 47 mila posti), 66 suicidi da gennaio, mancanza di personale, strutture fatiscenti, gravi carenze igieniche e sanitarie. È stato Tajani in persona a presentare con i radicali l’iniziativa per sensibilizzare sul problema del sovraffollamento. “L’iniziativa di Forza Italia è senza dubbio positiva. Avrebbero potuto pensarci prima… In passato questa sensibilità è mancata”, dice Dell’Utri, che in carcere ci ha trascorso circa quattro anni (più un anno e mezzo di arresti domiciliari) per una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Ottantadue anni (fra poco, l’11 settembre, ottantatré), ex senatore, fondatore di Publitalia e poi co-fondatore di Forza Italia, Dell’Utri ha una visione netta sull’emergenza carceraria: “Tutto ciò che si fa in questa materia è positivo ma poco, pochissimo, si è fatto finora. Va bene visitare le carceri, ma l’importante poi è fare, non chiacchierare. Sulle carceri si è chiacchierato troppo”. Una settimana fa, il Parlamento ha dato il via libera al decreto sulle carceri del governo, predisposto dal ministro Nordio. Nei giorni scorsi abbiamo raccontato su queste pagine come molte delle proposte avanzate da Forza Italia per favorire la riduzione del sovraffollamento (tramite il rafforzamento della liberazione anticipata o della semilibertà) si siano scontrate contro il muro alzato da Lega e Fratelli d’Italia, contrarie a qualsiasi misura “svuota-carceri”. Col risultato che alla fine il decreto approvato dal governo prevede ben poco per intervenire, nell’immediato, contro l’emergenza. Dice Dell’Utri: “Diminuire il sovraffollamento non è uno svuota-carceri, ma è dare dignità al sistema penitenziario, perché non è pensabile mettere in carcere 14 mila persone in più rispetto alla capienza. In questo modo il carcere non è più uno strumento per il reinserimento sociale del detenuto, come dice la Costituzione, ma diventa uno strumento per rafforzare la delinquenza. Per questo il discorso di Lega e Fratelli d’Italia, dei cosiddetti ‘duri e puri’, è becero, è fuori da ogni logica costituzionale. Si confonde il comminare una pena giusta con il costringere i detenuti a vivere in una condizione di inciviltà”. La campagna di sensibilizzazione di FI sui diritti dei detenuti giunge in seguito agli interventi pubblici di Marina e Pier Silvio Berlusconi in favore di una maggiore attenzione al tema dei diritti civili. Gli eredi di Berlusconi stanno ispirando Forza Italia? “Questo non glielo so dire - replica Dell’Utri - So che sono delle riflessioni molto giuste e positive. Conosco Marina e Pier Silvio e so bene come la pensano. Sono persone molto intelligenti e attente alla società civile. Poi non so se Forza Italia sarà capace di ascoltarli”. Auspica in futuro un impegno in prima persona nel partito da parte di Marina o di Pier Silvio? “Credo che una cosa del genere non avverrà mai”, replica secco l’ex senatore. La rinnovata attenzione di Forza Italia ai diritti, peraltro, sembra andare oltre i detenuti. È notizia di ieri lo scontro fra gli azzurri e la Lega attorno al tema dello ius soli. Di fronte alle voci su una possibile apertura di FI, il Carroccio ha attaccato l’alleato di governo con un post molto critico, accompagnato da un fotomontaggio in cui Antonio Tajani viene affiancato alla segretaria del Pd Elly Schlein. Dura la replica di FI: “La nostra strategia è colpire gli avversari, non gli alleati. Noi siamo contrari allo ius soli ma siamo invece aperti allo ius scholae”. E chissà se persino oggi sui detenuti Forza Italia e Lega troveranno modo di attaccarsi a vicenda. A Dell’Utri, intanto, chiediamo qual è il ricordo più doloroso della sua lunga detenzione in carcere. “Ciò che mi è più rimasto impresso nella mente è il disinteresse totale verso la rieducazione e la riabilitazione del detenuto. Mi ha fatto male questa contrapposizione tra la guardia e il ladro. Il carcerato così fatica ad avere rispetto per lo stato. A dominare è il sentimento di odio”, racconta l’ex senatore. “Ogni carcere è un principato. Ogni direttore fa le sue regole. Ci sono quelli illuminati e quelli non illuminati. Io ne ho visti di entrambi i tipi. Sulla formazione e il reinserimento dei detenuti ci sono iniziative lodevoli, soprattutto da parte di volontari, ma sono poche”. Cosa si può fare per dare dignità e speranze a un carcerato? “La risposta è nel lavoro e nello studio”, replica subito Dell’Utri. “Sono due cose che, se applicate con serietà, possono migliorare la condizione di vita dei detenuti e prepararli ad avere una vita normale una volta tornati in libertà. Il lavoro è importantissimo, ma anche lo studio. Ho visto gente che con lo studio si è riscattata, è veramente diventata un’altra persona. Bisognerebbe quindi intervenire in questa direzione. Se si danno speranze il carcerato vive meglio”. “A me ha salvato il libro - prosegue Dell’Utri - L’impegno di studiare e dare un esame, avere un appuntamento importante in cui misurare le proprie facoltà, il superamento di un limite, tutto ciò mi faceva dimenticare dove mi trovavo. Studiavo come se stessi a casa a Milano o a Roma. È chiaro poi che spesso c’erano dei problemi, ad esempio l’assenza di illuminazione. Però il libro mi ha salvato, questo lo posso dire”. Quello che è brutto, aggiunge Dell’Utri, è che “spesso il carcerato si lascia andare, perché si sente abbandonato”. A ricordarlo, tristemente, è il numero di detenuti che da inizio anno si sono tolti la vita (66), un record storico. “Ho assistito con dolore a casi del genere, oppure a tentativi di togliersi la vita. Persone salvate per miracolo, colte con la corda attorno al collo”, racconta Dell’Utri. “Io personalmente con un detenuto tunisino ho agito quasi da psicologo, parlandogli, cercando di farlo ragionare piano piano, e scoprendo perché cercava di suicidarsi: si sentiva abbandonato e impotente. Chiedeva delle cose stupide, un lenzuolo o una coperta in più, ma gli dicevano sempre di no. E lui tentava di ammazzarsi per questo. Sono cose allucinanti”. Per queste ragioni, conclude Dell’Utri, “la presenza dei volontari che controllano, parlano, dialogano con i detenuti è importantissima”. Già 65 suicidi, ma per Delmastro il carcere è “la Mecca dei detenuti” lospiffero.com, 15 agosto 2024 Una Mecca per i detenuti. È perlomeno surreale l’immagine che il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha offerto del carcere ieri al termine della visita presso l’istituto di pena Bruno Magli di Taranto. “Ho incontrato gli agenti di Polizia penitenziaria, non sono abituato ad entrare negli istituti penitenziari per recarmi alla mecca che è il detenuto”. Un quadro che stride con la situazione a dir poco drammatica dietro le sbarre: celle sovraffollate, carenze igienico-sanitarie, condizioni aggravate dall’afa di questi giorni. E poi quei 65 detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno e un suicidio è stato scongiurato nelle scorse ore al carcere di Torino. Il politico biellese, meloniano di ferro, generazione Atreju, rappresenta la linea giustizialista di una destra law and order e non è un caso che sia stato spedito a via Arenula a fare il cane da guardia di un ministro, Carlo Nordio, di sincera fede garantista. Dal Guardasigilli ha ricevuto per delega la responsabilità dell’amministrazione penitenziaria che condivide con l’altro sottosegretario, il senatore leghista Andrea Ostellari: il primo si occupa del personale, il secondo dei “clienti”. E così in questa coppia di gioco a guardie & ladri Delmastro ha preso talmente sul serio il suo incarico da essersi trasformato in un sindacalista degli agenti: li blandisce, partecipa alle loro iniziative, ne prende le parti “a prescindere”, anche di fronte ad abusi se non vere e proprie torture. La polizia penitenziaria, soprattutto le sigle più destrorse, è un po’ il suo esercito (e bacino di voti), la sua guardia personale, una sorta di famiglia adottiva: non lo lasciano solo neppure a Capodanno, come l’ultimo a Rosazza, dove l’allora suo caposcorta, invitato alla festa con familiari al seguito, è intervenuto in soccorso del genero raggiunto da un colpo partito accidentalmente dall’onorevole Emanuele Pozzolo, sodale di partito del sottosegretario. Un rapporto che cura meticolosamente, fin da quando i novelli agenti fanno il loro ingresso nel corpo. “Chi sono i migliori?”, “Noi, noi, noi, i migliori siamo noi”, li ha galvanizzati durante la cerimonia di giuramento del 190° corso di formazione a Verbania. “Per tutta la vita Marco Pannella, con il suo corpo nelle carceri, ha lottato per unire la comunità di detenuti e detenenti accomunati dal vivere e subire lo stato di illegalità delle carceri italiane e dalla violazione dello stato di diritto”, ricorda su X Annarita Di Giorgio, ripresa dal renziano Ivan Scalfarotto che annota: “Il carcere non è la Mecca, invece Delmastro è un Talebano”. 30 nuovi reati in sei anni: così il Codice penale continua ad allungarsi di Carlo Canepa pagellapolitica.it, 15 agosto 2024 Un tratto distintivo del governo Meloni è allungare la lista dei comportamenti puniti dallo Stato, ma i suoi predecessori non sono stati da meno. Chi trova un antico vaso di valore in fondo al mare e prova a venderlo, rischia di finire in carcere per sei anni. La reclusione di chi spara in aria con una pistola per intimorire qualcuno può arrivare invece a un massimo di otto anni. E rischia la stessa pena chi danneggia un sistema informatico considerato di interesse pubblico. Questi comportamenti, all’apparenza molto diversi tra loro, hanno una cosa in comune: fino a poco tempo fa non erano puniti in modo esplicito dal codice penale. O meglio, potevano essere puniti sulla base di altri reati. Il governo e il Parlamento hanno deciso così che bisognava allungare il codice penale per punirli con articoli più specifici. Quelli che abbiamo appena visto sono solo tre esempi dei nuovi reati introdotti negli ultimi anni. Secondo le verifiche di Pagella Politica, dal 1° giugno 2018 a oggi si sono alternati quattro governi alla guida del Paese. Nel frattempo si è conclusa una legislatura e ne è iniziata un’altra, e nel codice penale sono stati introdotti 28 nuovi articoli per punire altrettanti nuovi reati. Non solo: nello stesso periodo di tempo altri 45 articoli del codice penale sono stati ampliati per punire in maniera più severa vari comportamenti illegali, dall’uso dei bambini nell’accattonaggio agli incendi dei boschi. In poco più di sei anni, invece, i reati abrogati sono stati sei, ma come vedremo questo non vuol dire che siano spariti del tutto. Il ritmo del governo Meloni - Finora il governo Meloni è stato uno dei governi recenti più attivi nell’allungare il codice penale. All’inizio di agosto, con la definitiva conversione in legge del decreto “Carceri”, è stato introdotto il nuovo articolo 314-bis, che punisce il reato di “indebita destinazione di denaro o cose mobili”. Questa novità colma in parte l’eliminazione del reato di abuso d’ufficio contenuta nel disegno di legge sulla giustizia approvato pochi giorni prima dal Parlamento, su proposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio. In totale, durante il governo Meloni sono stati introdotti otto nuovi reati nel codice penale. Uno dei più discussi - contenuto nel primo decreto-legge firmato dal governo - è quello che punisce l’organizzazione dei rave party, o meglio, l’”invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica”, per usare il linguaggio scelto dal legislatore. Il decreto “Caivano”, convertito in legge a novembre 2023, ha inserito nel codice penale il già citato reato di “pubblica intimidazione con uso di armi” (la “stesa”, come è chiamata nel linguaggio camorristico) e il reato di “inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori”. Ora i genitori che non mandano a scuola i figli rischiano fino a due anni di carcere, mentre prima gli si poteva dare al massimo una multa da 30 euro. Anche i reati di “omicidio nautico” e di “lesioni personali nautiche gravi o gravissime” sono stati introdotti durante il governo Meloni, a settembre 2023, sulla base di una proposta di legge presentata da due parlamentari di Fratelli d’Italia. Al di là del colore politico dei suoi sostenitori, in Parlamento il testo ha ricevuto il voto favorevole di quasi tutti i deputati e senatori, raccogliendo un ampio consenso tra i partiti. Proprio dal Parlamento nei prossimi mesi potranno arrivare altre novità per il codice penale, con l’inserimento e l’ampliamento di nuovi reati. La Camera sta infatti esaminando il disegno di legge “Sicurezza”, presentato dal governo, che vuole introdurre tre nuovi reati: la “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”; l’”occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”; e la “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. Il Senato invece sta esaminando il disegno di legge - anche in questo caso presentato dal governo - che chiede di dare al governo i poteri per adottare nuove misure sull’intelligenza artificiale. Qui si propone di ampliare alcuni reati già esistenti per punire in maniera più puntuale, secondo i promotori del provvedimento, l’uso dell’intelligenza artificiale. La lista dei reati allargati è lunga e va dalla truffa alla frode informatica, passando per la sostituzione di persona e il riciclaggio. Non c’è solo il codice penale - Nella nostra analisi ci siamo limitati a raccogliere le modifiche che sono state fatte al codice penale, ma questo non è l’unico modo con cui il governo Meloni è intervenuto per punire alcuni comportamenti. Per esempio, l’anno scorso il decreto “Cutro” ha introdotto nel Testo unico sull’immigrazione una nuova fattispecie di reato: chi trasporta migranti illegalmente, mettendone in pericolo la vita, rischia da venti a trent’anni di carcere. Con un altro decreto, che è intervenuto sulle norme in materia ambientale, l’abbandono di rifiuti è stato trasformato in un reato di tipo contravvenzionale: chi lo commette rischia una multa fino a ventimila euro se i rifiuti abbandonati sono pericolosi. Lo stesso provvedimento, grazie a un emendamento approvato in Parlamento, ha ampliato le sanzioni previste dalla legge del 1992 sulla protezione della fauna selvatica: chi cattura o abbatte un esemplare di orso bruno marsicano - una specie diffusa in una parte degli Appennini - rischia fino a due anni di carcere e una multa di diecimila euro. Al Senato è all’esame il disegno di legge, già approvato a luglio 2023 dalla Camera, che chiede di punire chi ricorre alla gestazione per altri (chiamata anche “maternità surrogata”) all’estero. Se sarà approvata definitivamente, questa modifica non cambierà il codice penale, ma la legge del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. Già oggi questa legge punisce chi ricorre alla gestazione per altri in Italia con una multa fino a un milione di euro e con la reclusione fino a due anni di carcere. Gli altri governi - E dire che durante il suo insediamento come ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva proposto di sfoltire il numero di reati per velocizzare i processi. “La velocizzazione della giustizia transita attraverso una forte depenalizzazione, quindi una riduzione dei reati. Bisogna eliminare questo pregiudizio che la sicurezza e la buona amministrazione siano tutelati dalle leggi penali: questo non è vero”, aveva detto il 22 ottobre 2022 Nordio. Nei mesi successivi lo stesso ministro ha ribadito che in passato, quando lui stesso ha guidato una commissione per riformare il codice penale, ha proposto senza successo la via della depenalizzazione per contrastare il fenomeno opposto, quello della “panpenalizzazione”. Nonostante le parole del ministro, la direzione intrapresa dal suo governo è stata un’altra. Ma anche i governi precedenti non si sono tirati indietro, quando si è trattato di introdurre nuovi reati. Per esempio, durante il governo Draghi, a marzo 2022 il Parlamento ha approvato la riforma dei reati contro il patrimonio culturale, che ha introdotto quattordici nuovi reati, ampliandone altri: tra questi ci sono il furto o l’appropriazione indebita di beni culturali, la loro importazione illecita o il riciclaggio. Nonostante fosse stata presentata dal Partito Democratico, la riforma ha ottenuto comunque il voto favorevole dei parlamentari di tutti i partiti. Nel 2021 il governo Draghi ha introdotto un altro reato, con un decreto legislativo di attuazione della direttiva europea contro le frodi e le falsificazioni dei mezzi di pagamento diversi dai contanti. Da circa tre anni chi possiede o diffonde dispositivi o programmi informativi per commettere reati che riguardano strumenti di pagamento diversi dai contanti rischia fino a due anni di carcere. Bisogna tornare invece al 2019 per trovare un provvedimento corposo che ha introdotto una serie di nuovi reati nel codice penale. Nell’estate di quell’anno, quando ancora era in carica il primo governo Conte sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, il Parlamento ha dato il via libera al cosiddetto “Codice rosso” per tutelare le vittime delle violenze di genere. Questa legge ha inserito nel codice penale quattro nuovi reati, tra cui la “costrizione o induzione al matrimonio” e la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”. In più, grazie al “Codice rosso”, chi danneggia il volto di una persona, sfregiandolo in modo permanente, può essere punito con un massimo di quattordici anni di carcere. Anche il successivo governo Conte - supportato in questo caso dal Movimento 5 Stelle con il Partito Democratico - ha ampliato alcuni reati, introducendone uno nuovo per punire con la reclusione chi mette un telefono a disposizione di un detenuto. I reati abrogati (più o meno) - A fronte di una trentina di reati inseriti in sei anni nel codice penale, ne sono stati eliminati sei, da ultimo quello che puniva l’abuso d’ufficio. Lo scorso giugno la legge approvata dal Parlamento per rafforzare la cybersicurezza ha abrogato un articolo (il 615-quinquies) che puniva la “detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico”. Parallelamente, però, il contenuto di questo articolo è stato spostato e integrato per intero in nuovo articolo (il 635-quater.1), che porta infatti lo stesso titolo di quello cancellato. A dicembre 2021 il governo Draghi ha abrogato due articoli del codice penale che punivano i reati legati al possesso abusivo di sostanze utilizzabili per creare esplosivi o alla mancata denuncia di un loro furto. Anche in questo caso l’eliminazione dei due reati non significa che ora questi comportamenti non siano più puniti: semplicemente sono perseguiti da un’altra legge, quella che sanziona chi viola un regolamento europeo sulla restrizione dell’uso di sostanze chimiche. Discorso simile vale per il reato di “millantato credito”. Fino all’approvazione della legge “Spazza-corrotti”, avvenuta all’inizio del 2019, questo reato consisteva nel fingere di avere buoni rapporti con un funzionario pubblico per ottenere soldi o vantaggi in cambio della promessa di intercedere con quel funzionario, anche se in realtà non si aveva alcuna influenza su di lui. La legge “Spazza-corrotti” ha abrogato l’articolo del codice penale che puniva il millantato credito, ma questo comportamento resta illegale. La nuova legge ha infatti fatto rientrare il millantato credito in un reato più ampio, allargando la portata dell’articolo 346-bis, che punisce il “traffico di influenze illecite”. Giachetti: “Celle sovraffollate, ma il Governo crea altri reati” di Alessandra Arachi Corriere della Sera, 15 agosto 2024 “Il decreto sulle carceri è talmente una bugia che viene da pensare che sia solo una provocazione. Forse il ministro Nordio e il sottosegretario Ostellari non sono mai entrati in un carcere se non per visite istituzionali, altrimenti capirebbero da soli la situazione. Siamo arrivati a 64 suicidi quest’anno e a 800 sventati grazie alla polizia penitenziaria. Sono la punta dell’iceberg del sovraffollamento. I numeri così alti impediscono lo scopo rieducativo del carcere”. Roberto Giachetti, deputato Italia viva, perché dice così? “Cominciamo: la parola sovraffollamento non viene nemmeno mai citata. Del resto il ministro della Giustizia Nordio sostiene che non ci sia una correlazione tra il numero eccessivo dei detenuti nelle celle e il numero dei suicidi. Il sottosegretario Ostellari il sovraffollamento lo nega proprio”. Invece? “Forse il ministro e il sottosegretario non sono mai entrati in un carcere se non per visite istituzionali, altrimenti capirebbero da soli la situazione. Siamo arrivati a 64 suicidi quest’anno e a 800 sventati grazie alla polizia penitenziaria. Sono la punta dell’iceberg del sovraffollamento. I numeri così alti impediscono lo scopo rieducativo del carcere”. Lei invece a visitare i detenuti va spesso... “Da 23 anni, in continuazione. L’ultima volta a fine luglio a Regina Coeli, a Roma: talmente tanti i detenuti che non possono farli uscire dalle celle se non per due ore al giorno, non hanno abbastanza personale per controllarli. E così in tutta Italia, basta guardare i numeri nazionali”. Cosa dicono? “Ci sono 61,4 mila detenuti su 47 mila posti. Siamo vicini alla soglia dei 65 mila del 2013 quando la Cedu ci sanzionò. In Lombardia il sovraffollamento arriva al 230%. Questo governo inventa reati ogni giorno”. Il ministro Nordio sostiene che i detenuti non aumentano, non per il reato dei rave party almeno... “Può darsi. Ma ce ne sono tanti altri, in ogni decreto infilano un reato. Da quando c’è questo governo sono entrati nelle carceri 7 mila detenuti, al ritmo di 2-300 al mese”. Nordio dice che per svuotare le carceri si faranno rimpatri e si darà la possibilità ai tossicodipendenti di scontare la pena nelle comunità... “Ma per le comunità già è così. E i rimpatri sono una presa in giro: quanti pensa di essere in grado di farne il ministro? Secondo lui con questi provvedimenti tirerà fuori dal carcere 15-20 mila detenuti. Una cifra impossibile. Nemmeno l’indulto del 2006 è arrivato a tanto”. Difendiamo le toghe che salvano i figli delle mafie di Gian Carlo Caselli La Stampa, 15 agosto 2024 Claudia Caramanna, Procuratrice capo per i minorenni di Catania, è da tempo impegnata in una delicata e difficile opera, quella di tutelare i bambini di mafiosi e/o trafficanti di droga anche chiedendo al tribunale - se necessario - l’allontanamento dalle famiglie di origine. Per questo ha ricevuto pesanti minacce, da ultimo contenute in una lettera recante l’abbietto e criminale “invito” a smetterla di occuparsi dei figli degli altri. Ecco un chiaro esempio di magistratura virtuosa da riconoscere e valorizzare, tanto più nell’attuale contesto di frequente creazione di casi mediatici allo scopo di alzare la palla ai corvi della peggior politica e informazione. In generale è la magistratura italiana nel suo complesso che cerca di assicurare una concreta alternativa di vita sia ai soggetti minorenni provenienti da famiglie inserite in contesti di criminalità organizzata o che siano vittime della violenza mafiosa, sia ai familiari che si dissociano dalle logiche criminali. Ciò in virtù di un protocollo d’intesa noto come “Liberi di scegliere”, già stipulato nel 2019 e in data 26 marzo 2024 rinnovato e ampliato aggiungendo agli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria e Catania quelli della Corte d’appello di Napoli e Palermo. Il protocollo è sottoscritto da ben sei ministeri - a partire da quelli della Giustizia e dell’Interno - e inoltre dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, dalla Conferenza episcopale italiana e da alcune associazioni (Libera, Fonte Ismaele, Centro Elis, Cometa, Comunità San Gennaro e Salesiani per il sociale). Come proprio fondamento il protocollo richiama vari documenti internazionali, espressione delle più qualificate istanze europee e mondiali, che costituiscono un quadro di riferimento entro cui si collocano come elementi essenziali l’educazione alla cittadinanza e alla legalità e i valori sedimentati nella storia della umanità. Decisivo fondamento sono anche gli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana, che garantiscono il rispetto della dignità umana, richiedono l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale da parte dei cittadini e proclamano il compito della Repubblica di favorire il pieno sviluppo della persona umana. Concreta e articolata è la motivazione di “Liberi di scegliere”. Essa muove dalla considerazione che nei contesti di tipo mafioso la famiglia assume un ruolo condizionante la struttura psichica dei suoi componenti, specie se minori, determinando quei meccanismi di svincolo morale che sostanziano la dimensione criminologica delle organizzazioni. Per cui occorre assicurare una concreta alternativa di vita ai soggetti minorenni di tali famiglie e ai loro congiunti che dimostrino di rifiutare le logiche criminali, aspirando a una nuova vita conforme ai principi costituzionali e della civile convivenza, anche senza assumere lo status di collaboratori o testimoni di giustizia. Vengono pertanto individuati percorsi educativi mirati alla rimozione di un modus vivendi criminale insito per vocazione generazionale nelle famiglie mafiose, prevedendo anche la necessità di temporaneo allontanamento. Con un adeguato accompagnamento del minorenne e dei familiari coinvolti, allontanati o meno dal territorio di provenienza, garantendo loro uno specifico supporto psicologico e adeguati sostegni educativi sociali ed economici. È per tutti questi motivi che possiamo orgogliosamente rivendicare come il nostro Paese abbia sì gravi problemi di mafia, ma sia anche il Paese dell’antimafia: non solo per le comprovate capacità investigativo-giudiziarie, ma anche - appunto - per l’attenzione e la sensibilità verso i problemi sociali come nel caso di “Liberi di scegliere” e nel caso del reimpiego a fini socialmente utili dei beni confiscati ai mafiosi. I protagonisti dell’antimafia meritano quindi giusta considerazione. Non dico che debbano essere pensati come perennemente avvolti nel tricolore (sarebbe ridicolo), ma certo meritano più rispetto di quello che da qualche tempo e sempre più di frequente riserva loro un cospicuo numero di commentatori, prigionieri di un abisso di mancanza di obiettivo realismo se non di malafede. E ciò tutte le volte che le inchieste riguardano non soltanto i “malacarne” ma anche le complicità esterne con enti e soggetti apparentemente legali, complicità che vengono sbrigativamente liquidate come teoremi, allo scopo di negarle o esorcizzarle, realizzando così - invece di una giustizia giusta uguale per tutti - una giustizia asimmetrica a protezione degli interessi forti che rifiutano il controllo di legalità. Una vera iattura per la qualità della nostra democrazia. Emilia-Romagna. Il Garante regionale dei detenuti in visita ai penitenziari a Ferragosto La Repubblica, 15 agosto 2024 Il garante regionale dei detenuti della Regione Emilia-Romagna Roberto Cavalieri trascorrerà il giorno di ferragosto nel carcere di Modena e in quello di Castelfranco Emilia per visitare gli istituti detenzione e svolgere colloqui con i detenuti. L’iniziativa si accompagna all’allarme lanciato dallo stesso garante per l’aumento del numero dei detenuti giovani adulti, ovvero con meno di 25 anni, nelle carceri dell’Emilia-Romagna. Una situazione preoccupante che ha spinto il Garante regionale a scrivere ai Comitati locali per l’area dell’esecuzione penale adulti e ai Procuratori dell’Emilia-Romagna. “Assistiamo - rimarca Roberto Cavalieri - a un nuovo fenomeno che preoccupa: l’aumento dei detenuti giovani, spesso anche under 20 anni. Si tratta di persone imputate per reati contro il patrimonio o che hanno storie di dipendenza patologica e abuso farmaci. In Emilia-Romagna sono 246 i giovani adulti su 3.700 detenuti adulti presenti - in alcuni casi si registrano anche trasferimenti dall’Istituto minorile alle Case circondariali come quella di Bologna. In alcuni istituti di detenzione il numero è significativo: a Piacenza, Modena, Bologna, Parma e Rimini si registrano le percentuali più alte di presenza, che raggiungono livelli del 10% sulla popolazione detenuta”. “Spesso - spiega il garante regionale - si tratta di persone che non hanno un domicilio dove attendere le decisioni del giudice appena commesso il reato oppure, nonostante le condanne brevi, non hanno progetti di inserimento tali da evitare il passaggio in carcere. Per questo mi sono rivolto agli assessori al Welfare e alle Procure affinché valutino possibili collaborazioni come la messa a disposizione di domicili e progetti, che, ove possibile, scongiurino la carcerazione”. Novara. Al 41bis si può leggere Il Dubbio. Ma strappando prima le pagine di Valentina Stella Il Dubbio, 15 agosto 2024 Nel carcere di Novara censurano le copie indirizzate a un detenuto abbonato al nostro giornale. La denuncia del legale: “In gioco il diritto all’informazione”. A.D.A. è un condannato definitivo a 19 anni e 8 mesi di carcere per associazione mafiosa, detenuto nel reparto 41 bis del carcere di Novara. Dopo una laurea in Giurisprudenza, con una tesi sul regime del “carcere duro”, l’uomo punta ora a un altro titolo: si è infatti iscritto a Filosofia e sta sostenendo gli esami da detenuto. Insomma un detenuto che potremmo definire modello e che ha scelto di ampliare la sua cultura volendo leggere, dall’inizio di quest’anno, anche il nostro giornale. Peccato che la direzione del carcere si è opposta perché esso non era contemplato dal modello 72, concernente i quotidiani nazionali acquistabili nel cosiddetto sopravvitto in base ad una circolare del Dap del 2017. Tuttavia già nel 2020 una decisione della Cassazione aveva stabilito che non si può negare il diritto all’informazione anche per i reclusi al 41 bis senza verificare prima le testate, anche se non rientrano nella lista della circolare del 2017 dove si sono uniformate le regole del regime speciale. Per questo ed altri motivi, il Magistrato di Sorveglianza di Novara ha accolto il ricorso del detenuto e gli ha concesso di potersi abbonare al Dubbio, “trattandosi di quotidiano di informazione politica giudiziaria a tiratura nazionale”, “assimilabile” “ai quotidiani contenuti nell’elenco” e perché “trattasi peraltro di stampato inerente all’esercizio del diritto fondamentale all’informazione”. Così veniva deciso a marzo. Purtroppo però, come ci ha segnalato il suo legale Federico Celano “sono state bloccate su segnalazione dell’Ufficio Censura le pagine 7 e 8 dell’edizione del 12.06.2024, 7 e 8 del 21.05.2024 e 9 e 10 del 16.05.2024”. In pratica il detenuto ha ricevuto la copia del Dubbio ma con quelle pagine strappate. Siamo andati a vedere di quali articoli si trattasse e abbiamo scoperto che uno riguarda le motivazioni della sentenza di primo grado dell’inchiesta Rinascita Scott sul maxi processo alla ‘ndrangheta vibonese, un altro l’indagine che coinvolse nomi noti del panorama politico calabrese, tra cui il sindaco Pd di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, un altro ancora la nuova direttiva europea sui beni confiscati alla mafia, l’ultimo sulla remissione del debito a un boss recluso al 41 bis. “Nessuno di questi articoli ha a che fare con il mio assistito. Per adesso sappiamo che gli è stato comunicato il blocco di quelle pagine in forza del provvedimento ex articolo 18 ter dell’ordinamento penitenziario che colpisce il mio assistito e tutti i reclusi al 41 bis (1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa). Ora il provvedimento di blocco è al vaglio del magistrato di sorveglianza che potrà emettere un decreto di trattenimento o potrà decidere di restituire le pagine. Nel primo caso ci opporremo perché qui è in gioco il diritto alla libertà di informazione a tutto tondo, il diritto a dare le informazioni e il diritto a ricevere le informazioni”. L’avvocato si dice “preoccupato più per voi del giornale; il provvedimento di censura è personale, l’ipotesi è che Il Dubbio abbia voluto trasmettere al mio assistito una qualche informazione che viene ritenuta compromettente. Ma questo è impossibile. Un’altra spiegazione potrebbe essere che gli agenti addetti all’ufficio censura, spesso oberati di lavoro, abbiano superficialmente scartato quegli articoli, senza leggerli nel dettaglio, solo perché parlavano di organizzazioni criminali di stampo mafioso e di casi specifici di reclusi al 41 bis”. In attesa di scoprire i reali motivi del blocco, il nostro quotidiano non ha mai smesso di sostenere che il regime di 41 bis, oltre ad essersi trasformato da misura emergenziale a regime standard, non porta avanti soltanto l’obiettivo di spezzare i legami con le organizzazioni di appartenenza, ma mette in atto delle misure afflittive in più, spesso irragionevoli. Ricorderete tutti che ad un detenuto fu negata la lettura del libro di Luigi Manconi e Federica Graziani, Per il tuo bene ti mozzerò la testa - Contro il giustizialismo morale, e ad un altro quello dell’ex Ministra Cartabia e Adolfo Ceretti, Un’altra storia inizia qui, nel quale si confrontano con il magistero del compianto arcivescovo Carlo Maria Martini. Milano. L’Avvocatura a San Vittore, carcere più sovraffollato d’Italia di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 15 agosto 2024 La visita nell’istituto milanese con l’Ordine degli Avvocati e la Camera Penale insieme ad un gruppo di parlamentari. Una delegazione di avvocati ha visitato il carcere di San Vittore a Milano. La delegazione era composta dal presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Antonino La Lumia, dai consiglieri dell’Ordine Ettore Traini, Michele Iudica e Antonio Finelli, dalla presidente della Camera Penale di Milano Valentina Alberta, dai membri del direttivo della Camera Penale Paola Ponte e Federico Riboldi, da Stefania Amato dell’Osservatorio Carcere Ucpi e dall’avvocato Alessandro Giungi insieme a esponenti politici, i parlamentari Sandro Sisler (FdI), Antonella Forattini (Pd) Celestino Magni (AVS) e la consigliera di Regione Lombardia Paola Pollini (5 Stelle). La visita alla Casa circondariale di San Vittore, si legge in una nota dell’Ordine degli Avvocati e della Camera Penale di Milano, “restituisce quello che ci si aspettava e che è sempre stato descritto, senza infingimenti, da chi presta la propria attività lavorativa in condizioni oggettivamente insostenibili. Sovraffollamento, struttura in parte fatiscente, un elevatissimo numero di detenuti problematici per ragioni di dipendenza, di disagio psichico, di disagio sociale, a fronte di una carenza di personale che difficilmente potrà essere colmata dai recenti provvedimenti. Inoltre il caldo, le sezioni chiuse in attuazione della circolare che ha di fatto ridotto al minimo la vigilanza dinamica, le attività a regime ridotto”. Oggi, ricordano gli avvocati, “San Vittore è l’istituto di pena con il più alto indice di sovraffollamento in Italia. Attualmente vi si trovano 1.007 detenuti, a fronte di una capienza effettiva di 450. Più della metà dei detenuti, circa 650, ha dipendenze da sostanze stupefacenti e/o farmaci, mentre circa 200 detenuti soffrono di un disagio psichico certificato. Sono 650 i detenuti certificati con dipendenze, 262 in trattamento psichiatrico o psicologico e 25 a rischio suicidio medio-alto. Un sistema al collasso che in questi primi giorni di agosto ha visto aumentare il numero degli ingressi, soprattutto persone senza fissa dimora”. “Un’esperienza toccante e drammatica - commenta il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Antonino La Lumia - attraverso i numeri raccontiamo storie di persone. La risposta dello Stato deve stare nel perimetro del dettato costituzionale, affinché sia data piena applicazione all’art. 27. Gli operatori lavorano in condizioni estreme e fanno un lavoro davvero straordinario. Il Dl Carceri inizia a dare i suoi frutti, è un primo passo, ma non è ancora sufficiente. L’azione politica deve trovare più coraggio e visione”. E Valentina Alberta, presidente della Camera Penale di Milano, aggiunge: “Il carcere non può sopperire alle mancanze dei servizi territoriali e farsi carico senza limiti del disagio esterno. Occorre prendere atto del fatto che le condizioni di detenzione sono decisive perché pena e cautela siano umane e non generino ulteriore recidiva. Va dunque messo un limite ai posti disponibili negli istituti penitenziari. Occorre una norma di chiusura che eviti il superamento di questa soglia a tutela della dignità della detenzione e della civiltà del Paese”. Padova. Delegazione della Camera penale ai Due Palazzi: “Carceri, è sempre emergenza” di Cristina Genesin Il Mattino di Padova, 15 agosto 2024 La visita martedì 13 agosto. Le penaliste: “Il nuovo decreto legge sulle carceri? Parole vuote”. “Celle da due persone di pochi metri quadrati anche se regolamentari e altre con 6 detenuti e un unico bagno. Alcune sezioni chiuse con i detenuti costretti a restare nelle loro celle per tutta la giornata o con la possibilità di essere accompagnati e di nuovo chiusi nelle aule ricreative senza poter muoversi nelle rispettive sezioni. Temperature altissime in questa estate torrida perché le celle non hanno aria condizionata, anche se sono ai piani alti. Nessuna attività perché le scuole sono finite e sono sospesi i corsi e le attività. Ancora, rifiuti che si accumulano nelle celle e che vengono lanciati fuori dalla finestra, cibo per i gabbiani. E quelle a Padova non sono certo tra le peggiori carceri in Italia”. È il quadro sulle condizioni di detenzione nei Due Palazzi di Padova, la casa circondariale (il penitenziario per chi è in attesa di giudizio o è stato condannato a pene lievi) e la casa di reclusione a più piani, detto anche il penale riservato ai reclusi condannati in via definitiva o a pene severe: a raccontarle una delegazione della Camera penale di Padova, l’associazione che raggruppa i penalisti guidati dalla presidente Paola Rubini e formata dalle colleghe Paola Menaldo della commissione carcere, Annamaria Alborghetti in rappresentanza dell’Ordine degli avvocati padovani e da Carlotta Nardin. Il sovraffollamento è un grosso problema: nella circondariale sono rinchiuse 210 persone contro una capienza regolamentare di 188, per il 65-70% stranieri (per lo più provenienti da Marocco, Algeria, Albania Romania, Nigeria e altre 37 nazionalità); nel penale 535 gli ospiti su 440 (numero massimo di detenuti) di cui il 60% stranieri. Altra grave problematica è quella del disagio psichico aggravato dalle condizioni di vita e, in queste settimane dal caldo, che rischia di far esplodere le tensioni. L’8 gennaio scorso un ventiseienne si è suicidato nella sua cella del penale. “Il nuovo decreto legge sulle carceri? Parole vuote” spiegano le penaliste. Taranto. Delmastro visita il carcere, ma si dimentica dei detenuti di Annarita Digiorgio Il Foglio, 15 agosto 2024 Il sottosegretario alla Giustizia evita di passare per le celle affollate e sporche dell’istituto di pena, preferendo incontrare gli agenti. Non era mai successo finora che un parlamentare entrasse in un carcere per una visita ispettiva senza incontrare neppure un detenuto. Il primo è stato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro due giorni fa al carcere di Taranto: “Ho incontrato gli agenti di polizia penitenziaria, non sono abituato a entrare negli istituti penitenziari per recarmi alla Mecca che è il detenuto”. La pratica delle visite ispettive in carcere, consentite solo ai parlamentari, fu inaugurata da Marco Pannella per verificarne le condizioni, e denunciarne le irregolarità. Ma soprattutto per unire la comunità degli agenti a quella dei detenuti vittime delle violazioni dello stato di diritto. Perché dove c’è strage di diritto, c’è strage di uomini. Dopo di lui quella delle visite in carcere è diventata una tradizione ferragostana diffusa in tutti i partiti, per molti (è vero) un corteo dovuto più per ragioni di visibilità che di utilità. Ma mai nessuno era arrivato a contrapporre agenti e detenuti, come ha fatto Delmastro. Annunciando tronfio l’arrivo di 120 mila caschi e scudi, e il nucleo speciale antisommossa contro “La Mecca”. Nessuna sensibilità per i detenuti, anche innocenti, che vivono privati della libertà, in celle sovraffollate, roventi, anguste, sporche, senza fare nulla, senza lavorare, senza prospettive, senza speranza. E infatti in 66 si sono suicidati dall’inizio dell’anno nelle mani dello stato di cui Delmastro è sottosegretario. Nessuna sensibilità, solo legge e ordine. Ma se è lo stato per primo a non rispettare la legge, come può pretendere di imporla ai cittadini? Il consiglio che si dava ai securitari era di trascorrere qualche ora in galera, per cambiare idea. Delmastro lo ha fatto, ma orgoglioso di non incontrare La Mecca dei detenuti. Così fomentando anche l’acrimonia con la polizia. Atteggiamento irresponsabile da parte di un sottosegretario, convinto che basterà trovare altri 7 mila posti, aumentare gli agenti e fornirli di scudi, per risolvere il problema. “Fratelli d’Italia non fa lo svuota carceri”, si dice dal partito della premier, e in effetti le riempie: introdurre nuove fattispecie di reato, aumentare le pene, in galera e buttare la chiave. Buon Ferragosto alla Mecca! Verona. Gli avvocati della Camera Penale trascorreranno il Ferragosto insieme ai detenuti di Angiola Petronio Corriere di Verona, 15 agosto 2024 L’iniziativa per richiamare l’attenzione sulla situazione carceraria e sui suicidi in cella. Alla Carega ci sarà la Festa dell’Assunta. Lessinia e lago saranno una sarabanda di pranzi e feste. Ma oggi c’è un luogo in cui il 15 agosto sarà un giorno diverso. Un luogo dove il tempo scivola come le vite che lo abitano. La caienna di Montorio. Quel carcere incistato dei problemi di tutte le galere italiane. Il sovraffollamento, la mancanza di personale sanitario, l’afflusso costante di reclusi con problemi di tossicodipendenza o con patologie psichiatriche. A cui si aggiungono le “peculiarità” di una casa circondariale che era stata progettata negli anni Settanta come “carcere di massima sicurezza” ai tempi del terrorismo, inadeguata a ospitare detenuti “comuni”. Dove da novembre a luglio sono sei i detenuti che si sono tolti la vita. Dove la canicola di questi giorni ha imbrattato tutto e nelle celle mancano le prese di corrente per i ventilatori. Dove i pavimenti sono di cemento armato. È molto più che un gesto simbolico, quello che compiranno oggi alcuni avvocati della Camera Penale veronese. Simone Giuseppe Bergamini, Federico Lugoboni, Alessandro Favazza, Giorgio Paraschiv, Carlotta Frassoni e Greta Sona il Ferragosto lo trascorreranno lì. Nella caienna di Montorio. Con loro anche il coordinatore di Verona Radicale Marco Vincenzi. Staranno nell’incubatoio della casa circondariale dalle 9 alle 13, quei legali, in un gesto che è sia di vicinanza ai reclusi che di protesta verso il sistema carcerario. Un “accesso” che rientra nell’iniziativa promossa dall’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane e che segue la maratona oratoria che in piazza dei Signori a giugno aveva voluto indicare come “non c’è più tempo” per la situazione dei penitenziari italiani. Iniziative, quelle delle Camere Penali, a cui due settimane fa è arrivata anche l’adesione della commissione diritti umani dell’ordine degli avvocati di Verona. A giugno i legali in piazza dei Signori erano andati per “parlare ai veronesi della tragedia delle condizioni di vita detentiva e perché ognuno di noi sappia quello che nessuno ha il coraggio di dire”. Oggi, a Ferragosto, saranno in quelle celle dove quelle “condizioni” restano al limite del vivibile. Bologna. Carceri del Pratello e della Dozza, la rivolta dei sanitari di Andreina Baccaro Corriere di Bologna, 15 agosto 2024 La denuncia dei sindacati per la situazione nelle carceri: minacce e furti di farmaci. Alla situazione già esplosiva nelle carceri della regione, si aggiunge la denuncia della Cgil sulle condizioni di lavoro di medici e infermieri al Pratello e alla Dozza: “Le condizioni non sono degne di un paese di civile, manca la sicurezza e ogni giorno i sanitari devono far fronte a minacce, insulti e tentativi di furti di farmaci” scrive in una nota il sindacato. Il garante regionale dei detenuti lancia l’allarme per i troppi under 20 spostati negli istituti per adulti. “La situazione del personale sanitario dentro il carcere minorile del Pratello e alla Dozza è a limite. Servono risposte immediate”. É l’allarme lanciato da Marco Pasquini, segretario della Fp-Cgil, e Gaetano Alessi responsabile del comparto sanità di Bologna, che in una nota denunciano come il personale infermieristico dell’Ipm, ad esempio, si trovi a lavorare in una condizione “assolutamente priva di ogni principio di sicurezza. Abbiamo incontrato le lavoratrici e i lavoratori e la situazione descritta non è degna di un paese civile”. A fronte infatti del quasi raddoppio dei detenuti, “sia il personale infermieristico sia quello penitenziario è rimasto immutato, se non diminuito, e gli operatori sono in balia di situazioni che non dovrebbero accadere in nessun luogo di lavoro. Minacce, insulti, tentativi di furto dei farmaci sono all’ordine del giorno”. Le strutture carcerarie, evidenzia ancora la Cgil, “sono assolutamente insicure, spesso sporche, senza via di fuga in caso di sommosse. Al pomeriggio manca la figura medica e gli infermieri devono sforare di continuo il proprio orario di lavoro semplicemente nel tentativo di somministrare le terapie”. Inoltre, il numero di agenti “è assolutamente insufficiente”. Per i due sindacalisti “la tragedia è annunciata”. La Cgil chiede dunque “per l’ennesima volta all’Ausl, all’amministrazione penitenziaria e a tutte le istituzioni del territorio un intervento immediato, sia per la struttura del Pratello, sia per la Dozza, dove gli operatori sanitari continuano a lavorare perennemente sotto organico”. La denuncia del sindacato si accompagna a quella del Garante regionale dei detenuti Roberto Cavalieri, che domani trascorrerà il giorno di ferragosto nel carcere di Modena e in quello di Castelfranco Emilia per visitare gli istituti e svolgere colloqui con i detenuti. Cavalieri l’ancia l’allarme per l’aumento del numero dei detenuti giovani adulti, ovvero con meno di 25 anni, nelle carceri dell’Emilia-Romagna. Una situazione preoccupante che ha spinto il garante a scrivere ai comitati locali per l’area dell’esecuzione penale adulti e ai procuratori dell’Emilia-Romagna. “Assistiamo - sottolinea - a un nuovo fenomeno che preoccupa: l’aumento dei detenuti giovani, spesso anche under 20. Si tratta di persone imputate per reati contro il patrimonio o che hanno storie di dipendenza patologica e abuso farmaci. In Emilia-Romagna sono 246 i giovani adulti su 3.700 detenuti adulti presenti, si registrano anche trasferimenti dall’istituto minorile alle case circondariali come quella di Bologna”. Qui, come a Piacenza, Modena, Parma e Rimini si registrano le percentuali più alte, livelli del 10% sulla popolazione detenuta. Il garante spiega che “spesso si tratta di persone che non hanno un domicilio dove attendere le decisioni del giudice oppure, nonostante le condanne brevi, non hanno progetti di inserimento tali da evitare il passaggio in carcere”. Per questo Cavalieri ha chiesto agli assessori al Welfare e alle Procure di valutare possibili collaborazioni come la messa a disposizione di domicili e progetti, che, ove possibile, scongiurino la carcerazione. Siena. “Celle bollenti come forni. Dormiamo sul pavimento” di Laura Valdesi La Nazione, 15 agosto 2024 Alcuni carcerati di Santo Spirito hanno scritto una lettera a La Nazione. A fare visita al carcere anche il presidente del tribunale di sorveglianza Bortolato. “Siamo i detenuti del carcere di Siena e scriviamo in giorni di grande tensione segnati dall’ombra dei suicidi che hanno scosso il sistema carcerario italiano. Mentre leggete queste righe, forse in un bar climatizzato, noi viviamo una realtà ben diversa”. Inizia così la lettera ricevuta da La Nazione da alcuni detenuti che è uno spaccato della situazione bollente anche a Santo Spirito. “Il sole picchia implacabile sulle mura di ferro e pietra delle celle, trasformandole in forni. Per chi sta sotto il tetto la situazione è ancora peggiore. L’aria è densa, irrespirabile. Dormiamo sul pavimento, cercando invano un po’ di fresco. I bagni angusti rendono la convivenza un’impresa titanica. C’è solo un lavandino e un water in cella e le docce sono a turno e secondo un orario prestabilito. Il sudore ci incolla giorno e notte e materassi consunti”, raccontano. “In questo contesto di sofferenze estrema in cui gli operatori mostrano grande comprensione e umanità nonostante le oggettive difficoltà abbiamo avuto l’onore di ricevere la visita del presidente del tribunale di sorveglianza Marcello Bortolato. La sua presenza - spiegano - è stata un gesto di straordinaria umanità. Ha camminato tra le nostre celle, ha visto con i suoi occhi le nostre condizioni e ascoltato le nostre storie”. Vogliono “che la società sappia che dietro queste mura non ci sono numeri ma esseri umani”. Svelano che “l’umanità che ci ha raggiunti attraverso gli occhi del presidente, le sue parole e i suoi gesti, la percepiamo anche negli operatori del carcere. Con una ponderata flessibilità nell’applicazione delle regole ci concedono piccoli momenti di normalità: cinque minuti in più di aria fresca, la possibilità di mangiare in un corridoio o all’aperto. Gesti che ci fanno sentire persone”. Concludono dicendo che “l’impegno del presidente di designare un magistrato di sorveglianza a Siena al quale compete valutare il nostro percorso di revisione critica - è per noi motivo di conforto e speranza. Significa che le nostre storie non si perderanno nel vuoto burocratico. Siamo consapevoli dei nostri errori e stiamo pagando il nostro debito. Ma chiediamo di non essere privati della dignità, del diritto a condizioni di vita decenti, della possibilità di riscatto. In carcere può finire anche chi ruba perché non ha nulla”. Trento. Carcere, oltre le sbarre: misure alternative di Massimiliano Cordin Corriere del Trentino, 15 agosto 2024 Incrementare il numero di corsi formativi e certificazioni così da aiutare i detenuti a reinserirsi nel mondo del lavoro. È questa una delle richieste formulate, ieri mattina, da alcuni rappresentanti del centrosinistra trentino in visita alla casa circondariale di Trento. “I dati ci permettono di dire che chi, durante il periodo di detenzione, ha la possibilità di svolgere un’attività lavorativa ha poi un tasso di recidiva molto più basso - spiega il consigliere provinciale del Pd, Andrea de Bertolini -. Occorre favorire le misure che permettono ai detenuti di lavorare”. Presente alla visita anche la deputata Sara Ferrari che ha ribadito lo scarso utilizzo delle misure alternative: “È necessario che tutti vadano nella medesima direzione: dalla politica, alla magistratura e la direzione del carcere. All’interno della casa circondariale ci sarebbe uno spazio adeguato a ospitare circa 40 donne in condizione di semilibertà, invece, al momento, ve ne sono solamente quattro”. A Trento attualmente ci sono 371 detenuti, di cui 325 uomini e 46 donne, ma solamente 8 di loro godono della semilibertà. “Attraverso questa visita nella sezione femminile del carcere di Trento, vogliamo mantenere alta l’attenzione sulle condizioni di vita all’interno della struttura - commenta il consigliere provinciale di Campobase, Francesco Valduga -. Siamo convinti che sul fine rieducativo della pena si possa lavorare ancora molto. Così come sul problema del sovraffollamento e del numero insufficiente di organico presente nella struttura”. Per l’avvocato Fabio Valcanover, della rete locale Nessuno tocchi Caino, invece, per migliorare la situazione “servirebbe un provveditore con competenza esclusiva su Trento e su Bolzano. Sarebbe uno strumento di collegamento diretto tra il carcere e le aree educative”. Il consigliere comunale di Futura Federico Zappini ha poi ricordato di aver elaborato una proposta volta ad introdurre un Garante dei detenuti comunale, sull’esempio di quanto già presente in altre città. Intanto prosegue il progetto, ispirato al ristorante “InGalera” del penitenziario di Bollate, e che dovrebbe portare a Trento una pizzeria all’interno della quale i detenuti potranno imparare un nuovo mestiere. L’intenzione è quella di istituirla già entro l’anno. Tornando all’attualità, invece, saranno solamente tre i detenuti che quest’oggi, a Ferragosto, abbracceranno i propri cari. “Questo è un vero peccato - conclude il consigliere provinciale del Pd, Paolo Zanella -. I permessi e le misure alternative alla detenzione dovrebbero essere incrementati”. Biella. La protesta degli anarchici tra botti e “battitura” delle inferriate di Mauro Zola La Stampa, 15 agosto 2024 Evitate azioni eclatanti: dalla zona del cimitero avviato un dialogo a distanza con i detenuti. Un forte botto ha segnalato ieri mattina, fuori e dentro le mura della casa circondariale di Biella, che stava iniziando la manifestazione della Cassa Anti Repressione delle Alpi Occidentali, realtà nata nel 2000 proprio per coordinare le azioni degli anarchici piemontesi a favore dei detenuti che fa riferimento al Circolo Culturale Barbarià di Fenestrelle, raccogliendo fondi poi distribuiti ai reclusi delle vaie strutture. Nello spiazzo verde tra il parcheggio del cimitero, in cui erano posizionate le forze dell’ordine, e le recinzioni, la ventina circa di partecipanti ha piazzato casse e microfoni in modo da farsi sentire. Hanno chiesto a digos e carabinieri di stare lontani, in cambio avrebbero evitato azioni eclatanti, e iniziato un dialogo a distanza con i detenuti, che hanno risposto con la classica “battitura” contro le porte delle celle. Tra slogan, bottiglioni di vino e letture dei messaggi arrivati da altre strutture, come Regina Coeli, il tutto è durato per poco più di un’ora, prima di spostarsi, o almeno quello era il programma, a Ivrea. Nei giorni prima erano già stati alle Vallette, ad Alessandria, Asti, Saluzzo e Cuneo, dove la protesta era stata movimentata dal lancio di mortaretti e fuochi artificiali. Anche in questo caso un po’ si temeva venisse riproposto il rogo delle sterpaglie che avvolgono parte della recinzione, verso il piazzale di Città Studi. Era già successo anni fa e per questo prima di ogni presidio si provvede a una sommaria ripulitura. Da qualche anno però il gruppo ha preferito posizionarsi verso il cimitero, dove è più facile far arrivare la voce alle celle. La protesta e le richieste di liberare i ristretti si sono lasciate dietro i problemi della casa circondariale biellese, già evidenziati dal presidio di qualche giorno fa organizzato dal Tavolo Carcere locale. La situazione, come già più volte evidenziato dalla garante dei detenuti Sonia Caronni, è sempre molto tesa con accenni di rivolta che sono diventati quasi quotidiani. Il recente suicidio di un detenuto albanese che da settimane stava attuando uno sciopero della fame con l’obiettivo di venire trasferito più vicino ai suoi parenti, ha reso il vecchio padiglione del carcere incandescente. A gestire il tutto dovrebbe essere il nuovo comandante della penitenziaria, Massimo Carollo, il cui mandato scade però già a fine settembre e non è detto venga rinnovato. Carollo si trova inoltre a fare i conti con carenze di personale e strascichi delle inchieste che hanno coinvolto decine di agenti. Rovigo. Scontro sulle condizioni di vita in carcere. Forza Italia: buone. La Cgil: bugie di Antonio Andreotti Corriere del Veneto, 15 agosto 2024 Il deputato Cortelazzo in visita: “Ottimo livello”. Sindacati: “Propaganda, mancano cure”. Scontro tra Forza Italia e Cgil sulle condizioni del carcere cittadino. La miccia, involontaria, l’ha appiccata la visita di ieri mattina, nell’ambito dell’iniziativa nazionale “Estate in Carcere” promossa dal segretario nazionale Antonio Tajani, del deputato azzurro Piergiorgio Cortelazzo e del vicesindaco forzista di Rovigo Andrea Bimbatti. Una visita bollata da Gianpietro Pegoraro, coordinatore agenti penitenziari della Cgil, come “propaganda”. Come noto, l’obiettivo dell’iniziativa lanciata dal ministro degli Esteri è “monitorare la situazione nelle carceri italiane e lavorare a tutti i livelli per trovare soluzioni che garantiscano la certezza della pena in condizioni dignitose ma assicurando al tempo stesso la rieducazione dei detenuti”. Durante la visita durata quasi tre ore Cortelazzo e Bimbatti, accompagnati dal direttore del carcere Mattia Arba, spiegano di “aver trovato una situazione di gestione ed organizzazione di ottimo livello, ma sicuramente sono necessari interventi strutturali dall’amministrazione centrale per garantire sicurezza soprattutto agli operatori che lavorano all’interno della struttura”. Un altro problema emerso durante la visita, continuano Cortelazzo e Bimbatti, “è sicuramente quello relativo alla carenza di organico, dove si renderebbe necessario un maggior numero di guardie carcerarie ma anche di personale amministrativo”. Secondo Cortelazzo e Bimbatti “il decreto carceri approvato di recente va in questa direzione. È un primo passo ma sicuramente c’è ancora molto da fare, soprattutto per ciò che riguarda il sostegno agli agenti ed investimento concreto sul reinserimento”. Il resoconto della visita ha innescato la dura reazione di Pegoraro. “I problemi al carcere di Rovigo - afferma - vanno ben oltre l’organico, attualmente composto da circa 130 agenti. Iniziamo col dire che attualmente ci sono 250 detenuti, ovvero siamo al limite del sovraffollamento. Tra questi ci sono detenuti con problemi psichiatrici, ed inoltre continua a mancare un comandante di reparto fisso nella struttura”. Ma a preoccupare maggiormente Pegoraro c’è l’ok al passaggio ad alta sicurezza, con detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali di stampo mafioso, del carcere: “Questo passaggio - spiega - determinerà l’arrivo di detenuti ad alta sicurezza che si andranno a mescolare a quelli già presenti. Un errore enorme, dato che per questo tipo di detenuti andava realizzata una struttura completamente autonoma”. La chiusura di Pegoraro è tagliente: “Visite di propaganda come questa non servono a nulla”. Palermo. Corleo: “Ucciardone inadeguato ad accogliere detenuti” di Ignazio Marchese blogsicilia.it, 15 agosto 2024 “Siamo usciti tutti provati dalla visita al carcere Ucciardone a Palermo. Una struttura inadeguata per accogliere i detenuti e che è lontana dal progetto di reinserimento sociale dei reclusi che per lo più sono di estrazione socio economica molto bassa”. È quanto ha detto Donatella Corleo, consigliere generale del partito Radicale che ha iniziato oggi una serie di visite nelle strutture carcerarie in Sicilia proprio dall’ex carcere borbonico. “Stressati sia i detenuti che agenti polizia penitenziaria” - “Sono stressati i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria. Manca il lavoro per chi si trova recluso e deve sostenersi economicamente. Il numero degli agenti è fortemente inadeguato rispetto alla popolazione carceraria. Anche le nuove assunzioni non riusciranno a colmare il deficit che c’è al momento - aggiunge Donatella Corleo - Si suicidano i carcerati, ma anche le guardie, segno che il malessere è generale. Abbiamo trovato una situazione di sovraffollamento così come in tutti gli istituti di pena che abbiamo visitato. Per noi la soluzione resta solo l’amnistia. L’ultima in Italia risale al 2006”. “Malati psichiatrici non possono stare in carcere” - Per l’esponente radicale c’è un tema che va affrontato immediatamente. “I malati psichiatrici non possono stare in carcere. Sono tanti e bisogna trovare delle strutture alternative specializzate - aggiunge Corleo - La loro presenza crea solo tanta tensione e disagi sia tra gli altri detenuti che tra gli operatori. Questo è un punto fondamentale a cui bisogna dare risposta”. La Vardera e Chinnici regalano ventilatori ai detenuti - Intanto, donati ai detenuti del carcere Ucciardone 130 ventilatori acquistati dai deputati regionali Ismaele La Vardera (Sud chiama nord) e Valentina Chinnici (Pd) dopo che gli stessi carcerati ne avevano fatto richiesta durante una visita a fine luglio. “Avevamo constatato - ha detto La Vardera - il grande disagio che vivevano i detenuti in questo periodo di caldo torrido. Per loro aver un ventilatore cambia letteralmente la vita. Avevamo preso l’impegno e con l’onorevole Chinnici abbiamo comprato i ventilatori, che grazie al supporto della ditta Salerno Trasporti sono stati consegnati nelle mani del comandante del carcere Francesco Cerami. Un piccolo gesto che donerà un sollievo a chi sicuramente ha sbagliato, ma merita una detenzione dignitosa”. Gesto di generosità che ha coinvolto anche l’azienda che questi ventilatori li ha venduti, considerato che la ditta oltre allo sconto ha regalato anche 20 ventilatori” oltre a 10 ricevuti dalla chiesa Gospel Forum di Palermo. “Il bene si diffonde da sé diceva Tommaso D’Aquino - ha concluso la Chinnici - e questa storia lo dimostra. Dal nostro piccolo gesto di solidarietà si è innescata una catena di generosità che ha riguardato diverse persone, compresi gli imprenditori di Termini Imerese che hanno voluto fare la loro parte per contribuire al benessere dei detenuti nelle celle le cui temperature superano i 40 gradi. Dimostrando così che l’Ucciardone è sentito come parte integrante di Palermo e i detenuti sono uomini la cui dignità sta a cuore a tutti”. Cremona. Carcere vicino al collasso: “Pochi servizi e celle piene” di Claudio Barcellari La Provincia di Cremona, 15 agosto 2024 I penalisti dopo la visita: “Struttura promossa ma siamo un centimetro sopra la tortura”. Mentre si preparano le griglie, tra auguri e sorrisi, c’è chi ricorda a tutti il Ferragosto dei dimenticati. Gli occhi sono puntati sul carcere di Cremona, da giorni al centro della discussione degli specialisti del settore, dei politici, degli amministratori. Tra sofismi e banalizzazioni, ci si domanda come ci si viva. E la risposta arriva dalla delegazione dell’Unione delle Camere Penali, che ha visitato il carcere di via Ca’ del Ferro per avere il polso della situazione. La prova del nove arriva in sintonia con la riforma Nordio e con il clamore che è conseguito. Valutazione? Struttura promossa, servizi bocciati. Il gruppo è stato accolto dalla direzione martedì: tre ore abbondanti di visita. Presenti sul posto avvocati di Cremona, Mantova, Brescia e Bergamo: Micol Parati, presidente della Camera penale di Cremona e Crema, Laura Mariarita Negri, segretaria della sezione di Cremona, Sebastiano Tosoni, presidente Camera penale di Mantova, Paolo Sperolini e Maria Laura Andreucci della Camera penale di Bergamo, Simonetta Geroldi della Camera Penale di Brescia, e Stefania Amato dell’osservatorio dell’Unione delle Camere Penali. “La battaglia che stiamo portando avanti - ha dichiarato Parati - riguarda tutte le carceri italiane. Nell’ambito della Lombardia meridionale e orientale, abbiamo scelto di focalizzarci sul carcere di Cremona: il campanello d’allarme è stato il suicidio, pochi giorni fa, di un detenuto, uno dei 158 atti di autolesionismo registrati nella struttura”. Il carcere di Cremona appare sovraffollato, anche se formalmente non supera la soglia di 630 detenuti fissata dalla legge. “La struttura potrebbe ospitare fino a 493 detenuti, ma al momento ce ne sono 557 - ha constatato Parati - il che significa che siamo un centimetro sopra la tortura. Quanto alle condizioni di vita, peggiorano drasticamente in questa stagione: combattere il caldo è difficile, perché ci sono ventilatori soltanto nel nuovo padiglione. Il detenuto in cella lo può acquistare per sé, ma solo se ha disponibilità di denaro”. Il problema più grave è la mancanza di personale: chiaro sintomo di carenza dei fondi. “Abbiamo parlato con alcuni detenuti - ha spiegato Parati - e le loro lamentele riguardano la carenza di educatori, che sono soltanto 4. Ci sono 190 addetti della polizia penitenziaria e dovrebbero essere almeno 230. Sul fronte sanitario, ci sono tre medici, due psicologhe, uno psichiatra, e tre operatori del Sert: troppo pochi, se pensiamo che i detenuti sono più di cinquecento”. Accedere ai servizi della regione, poi, è sempre più complicato: “Il Sert prende in carico solo chi ha la documentazione necessaria, mentre gli altri rimangono in carico della medicina. Ci sono tantissime persone con problemi psichiatrici non diagnosticati, che vengono gestite all’interno del carcere: quando escono, sono privi di ogni punto di riferimento. In altre carceri, ci hanno detto, riescono ad indicare il luogo del carcere come residenza temporanea con un certificato di detenzione. In questo modo l’Asst cremonese e i servizi pubblici potrebbero prenderli in carico all’uscita. A Cremona, però, questo non si fa”. Da un punto di vista strutturale, comunque, il carcere è stato promosso. “Il carcere di Cremona è pulito e ben tenuto; è stato appena rinnovato con l’isolamento dei tetti”. Ma la mancanza di attività è un deficit grave: “Chi vive il carcere come luogo di sola reclusione, scontando la pena totalmente in struttura, torna a delinquere nel 68% dei casi; diversamente, si viaggia sul 19%. Anche se non sembra, il tema delle condizioni carcerarie è di interesse comune. Dignità umana e lotta alla criminalità vanno di pari passo”. Venezia. Minialloggi e progetti sociali per i detenuti, il Patriarcato scommette sul reinserimento di Francesco Dal Mas Avvenire, 15 agosto 2024 Ci saranno nuovi spazi, anche fisici, per i detenuti veneziani alle prese con il reinserimento sociale. Del resto, il Patriarcato di Venezia ha una storia lunga e pregnante di impegno per la rigenerazione del popolo delle carceri. In particolare attraverso l’esecuzione penale esterna. Lo ha puntualmente evidenziato il patriarca Francesco Moraglia nel corso della visita di Papa Francesco alla Giudecca. Oggi, festa dell’Assunta, in questa casa di reclusione femminile, ritornerà il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per ribadire l’impegno e le azioni di sostegno al mondo carcerario veneziano da parte del Governo e sopportando le specifiche iniziative del Patriarcato. Si tratta di progetti messi a punto e rilanciati in questi mesi tra le due istituzioni, sulla scorta di esperienze maturate nei decenni. “La Chiesa che è in Venezia intende, in questo modo - spiega il patriarca - mantenere viva la memoria della visita pastorale di papa Francesco”, che il 28 aprile il Pontefice ha compiuto alla Chiesa e alla città. La visita del ministro della Giustizia Carlo Nordio alla Casa di reclusione femminile della Giudecca in programma domani, solennità dell’Assunzione al cielo della Beata Vergine Maria, “è occasione per ribadire l’impegno e le azioni di sostegno al mondo carcerario veneziano da parte del Patriarcato di Venezia attraverso i progetti messi a punto e rilanciati in questi mesi”. È quanto si legge in una nota appena diffusa dal Patriarcato. “La Chiesa che è in Venezia intende, infatti, mantenere viva la memoria della visita pastorale di Papa Francesco - che il 28 aprile scorso ha visitato la chiesa e la città e che si è caratterizzata anche per il gesto significativo compiuto nella casa di reclusione femminile della Giudecca in occasione dell’inaugurazione del Padiglione della Santa Sede per la Biennale - proseguendo e intensificando la collaborazione con il Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione, il ministero della Giustizia e il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria”, prosegue la nota. “Casa San Giovanni XXIII” - nei pressi di piazzale Roma a Venezia, con il progetto “Dal carcere alla comunità” - è un segno tangibile dell’impegno profuso per l’azione di educazione e reintegrazione sociale di coloro che sono sottoposti a misure detentive per favorire l’esecuzione penale esterna e la promozione umana e l’integrazione sociale di persone svantaggiate. Grazie alla convenzione sottoscritta lo scorso aprile tra il Patriarcato di Venezia - mediante la Caritas diocesana - e la società cooperativa sociale Nova, la Chiesa di Venezia ha già messo a disposizione 10 posti a favore di persone in esecuzione penale: accanto ai 5 posti già disponibili per donne, presto ne saranno disponibili altri 5 per uomini così da coprire l’intero numero di posti assegnato al territorio veneziano. In occasione della visita pastorale di Papa Francesco a Venezia, presso la “Casa San Giuseppe” alle Muneghette (nella zona di Castello) sono stati predisposti 8 minialloggi - “Dimora Betlemme” - per persone in momentanea difficoltà abitativa; alcuni di questi sono destinati con particolare attenzione alle situazioni di maggiore fragilità che interessano la realtà femminile di reclusione e piccoli nuclei familiari con la presenza di minori. A partire dai primi mesi del 2025 il Patriarcato di Venezia interverrà ulteriormente, mediante la Caritas e con la collaborazione di realtà cooperative già impegnate nel settore del co-housing e del social housing, predisponendo ulteriori 20 posti in minialloggi con servizi comuni ed accompagnamento sociale per soggetti maschili che si trovano in difficoltà abitativa o inseriti in progetti di reinserimento a seguito di misure detentive. Il patriarca di Venezia - interfacciandosi personalmente con realtà imprenditoriali del tessuto produttivo veneto e le locali Camere di Commercio, anche mediante il coinvolgimento della Fondazione Marcianum - sta promuovendo una rete di soggetti imprenditoriali disponibili ad attivare percorsi e opportunità che favoriscano il reinserimento lavorativo di donne e uomini che si trovano nel periodo terminale delle misure detentive. Processi e progettualità che “vanno ad offrire prospettive di reinserimento e nuova dignità alle persone ospiti delle case di reclusione e alle rispettive famiglie”, quotidianamente già “accompagnate e assistite, anche al termine delle misure detentive, mediante le due cappellanie presenti nella struttura della Giudecca e in quella di Santa Maria Maggiore”, conclude la nota. Quel filo rosso da Matteotti alla Costituzione di Franco Corleone L’Espresso, 15 agosto 2024 Il 16 agosto di cento anni fa veniva ritrovato il corpo del deputato ucciso dai fascisti. Un libro racconta perché, come Gobetti e Rosselli, era un nemico intollerabile per Mussolini. Il 16 agosto 1924 fu ritrovato casualmente il cadavere di Giacomo Matteotti lungo la Via Flaminia a 22 km da Roma, seppellito in una macchia chiamata La Quartarella, sotto una quercia. Era stato ucciso il 10 giugno da Amerigo Dumini e da altri sicari agli ordini della Ceka, una organizzazione criminale organizzata dal Ministero degli Interni. È impressionante leggere le cronache con la descrizione dello stato del cadavere, ed è importante approfondire le ragioni dell’occultamento del corpo del leader socialista. Il 13 giugno il Presidente della Camera dei Deputati, Alfredo Rocco, nella sua imbarazzata comunicazione sul rapimento aveva fatto trapelare la certezza della morte; probabilmente la decisione di nascondere il corpo fu presa dai vertici del fascismo e del Governo per timore che lo sdegno popolare potesse manifestarsi in un moto incontrollabile se il funerale, a ridosso del delitto, si fosse svolto a Roma. La paura era ancora tanta dopo due mesi dall’assassinio così il trasporto a Fratta Polesine fu organizzato in fretta e furia e furono imposte esequie clandestine, con la presenza di limitate delegazioni dei partiti dell’Opposizione. Questo epilogo colpisce non solo per la carica di odio verso l’avversario politico, ma anche per la debolezza dei partiti che rendevano palese una sconfitta irrimediabile di fronte a un Parlamento chiuso dal “grande giurista” Alfredo Rocco (come è stato improvvidamente definito il 30 maggio nella commemorazione di questo anno a Montecitorio da Luciano Violante) e alla scelta di un Aventino inconcludente e impotente, dominato dalla cautela. L’effervescenza delle masse popolari e dei giovani fu spenta da una gestione politica che si limitava alla speranza del ritorno della legalità per decisione del Re. Carlo Rosselli analizzò con crudezza la crisi Matteotti denunciando il paradosso del governo che si mostrava rivoluzionario al contrario dell’opposizione. La sua definizione di “un’opposizione di maggioranza”, suona di sorprendente attualità. Piero Gobetti così salutava l’altro Parlamento: “La Camera chiusasi precipitosamente dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti si riaprirà (il 12 novembre, ndr.) senza le Opposizioni, e di qui ricomincerà con rinnovata asprezza il duello… I gruppi di Rivoluzione Liberale alla vigilia dell’apertura dei due Parlamenti, mandano un saluto ai deputati delle Opposizioni, i soli legittimi rappresentanti della libera nazione italiana”. In occasione del centenario dell’assassinio di Matteotti ho curato un volume intitolato “10 giugno 1924. Il fascismo uccide la democrazia” (Edizioni Menabò) con la riproduzione anastatica della biografia di Matteotti scritta da Piero Gobetti a caldo e pubblicata dalla sua casa editrice e stampata in ben settemila copie. La chiave di lettura offerta dal mio volume è di legare due figure sicuramente diverse per posizione politica come Gobetti e Matteotti assieme a quella di Carlo Rosselli. Gobetti che aveva sedici anni meno di Matteotti lo ammirava per l’intransigenza nella denuncia del fascismo manifestando profonda stima per il rigore, la serietà e la capacità di analisi fondata sui dati e non sulla demagogia. Nella biografia sentimentale del giovane intellettuale torinese vi è una identificazione personale tanto che le ultime parole indicano un compito a sé stesso: “Perché la generazione che noi dobbiamo creare è proprio questa, dei volontari della morte per ridare al proletariato la libertà perduta”. Sono convinto della validità della mia interpretazione storica e politica di legare l’antifascismo etico con un filo rosso che parte dalla dittatura di Mussolini e si chiude con la Resistenza, la Repubblica e la Costituzione. Non è un caso che nella tragedia durante gli anni per la Liberazione furono tante le riedizioni della biografia gobettiana di cui ho riprodotto le copertine e commentato le introduzioni. Giacomo Matteotti ci indica battaglie per l’oggi a difesa della democrazia, contro l’abuso di decreti legge che sviliscono il parlamento e i falsi del Bilancio dello Stato, a favore della equità fiscale e della giustizia contro l’arbitrio. Suggestivo è il suo appello rivolto nel 1923 ai partiti socialisti europei a favore degli Stati Uniti d’Europa, tema che sarà ripreso da Carlo Rosselli nel 1935 per contrastare il nazismo in Germania. Perché fu ucciso Matteotti? Per il discorso del 30 maggio di contestazione dei risultati delle elezioni del 6 aprile, in cui dovette contrastare le vessazioni di Alfredo Rocco in nome della dignità del Parlamento o per il discorso che avrebbe fatto l’11 giugno su uno scandalo petrolifero di regime? Forse la ragione è più semplice, come aveva scritto nel 1934 Carlo Rosselli in un articolo intitolato “Eroe tutto prosa”: “Era fatale quindi che morisse l’antifascista tipo Matteotti, eroe tutto prosa. Come dovevano morire nello stesso torno di tempo Amendola e Gobetti. Come dovranno morire, se non li salveremo, Rossi, Gramsci, Bauer. Mussolini sente, sa quali sono i suoi autentici avversari. Perciò li sopprime. Uccidendo Matteotti ha indicato all’antifascismo quali debbono essere le sue preoccupazioni costanti e supreme: il carattere, l’antiretorica, l’azione”. Lo aveva capito con straordinario acume Leonardo Sciascia scrivendo in “Porte aperte”: “Matteotti era stato considerato tra gli oppositori del fascismo, il più implacabile non perché parlava in nome del socialismo, che in quel momento era una porta aperta da cui scioltamente si entrava e si usciva, ma perché parlava in nome del diritto”. Sempre più persone rimangono senza casa. Anche per colpa dell’overtourism di Chiara Sgreccia L’Espresso, 15 agosto 2024 “Ogni giorno ricevo richieste di aiuto anche da chi potrebbe pagare un affitto ma non trova un’abitazione”, spiega l’assessora alle Politiche sociali. A Roma troppe abitazioni sono destinate agli affitti brevi. A Roma nel 2022 ci sono stati più di 6500 sfratti. La maggior parte dei quali per morosità incolpevole, cioè per l’impossibilità degli inquilini di pagare l’affitto. A offrire uno spaccato della situazione nella Capitale, oltre ai dati diffusi dal ministero dell’Interno ci sono i racconti delle associazioni che operano sul territorio e dei rappresentanti delle istituzioni che quotidianamente si impegnano per tutelare il diritto all’abitare. Ventiduemila, secondo Istat, i senzatetto a Roma: una situazione che non può più definirsi un’emergenza. Si tratta di un problema strutturale che caratterizza l’Italia da decenni ma che negli ultimi anni sta toccando l’apice, perché risultato dell’intrecciarsi di più fattori a cui manca una soluzione. E di cui a fare le spese sono sempre i più fragili: cresce il costo della vita ma non i salari, la povertà aumenta ed esplode il mercato degli affitti brevi che mette in competizione residenti e turisti, complici le piattaforme come Booking o Airbnb che garantiscono ai proprietari di immobili entrate più redditizie e meno rischi nel concedere un appartamento in locazione. Non soltanto i centri storici delle città si spopolano e si spersonalizzano per rispondere alle esigenze di chi soggiorna per corti periodi, ma diventa sempre più difficile accedere a un bene che dovrebbe essere per tutti, la casa. “Un diritto necessario per tutelare la dignità di ogni persona”, sottolinea Giustino Trincia, direttore di Caritas Roma: “Nella Capitale ci sono più di 4 mila famiglie che occupano alloggi abusivamente. Non è possibile che siano tutti criminali. Non si tratta di una questione ideologica, gli sgomberi spesso rispondono a esigenze di sicurezza dei residenti e sono necessari. Ma non si può ridurre la questione solo a un problema di ordine pubblico. É doveroso chiedersi perché queste famiglie occupano e dove vanno dopo essere state mandate via”. Per Trincia oggi è più che mai necessario un intervento della politica. Le organizzazioni sul territorio non possono rispondere da sole alla mancanza di un piano casa efficiente, come non possono farcela da soli i singoli enti, “serve un’alleanza tra le istituzioni. E una strategia comune. I numeri delle persone senza casa sono troppo grandi, le nostre strutture sono piene. Sono necessari provvedimenti che incentivino al massimo gli affitti lunghi a discapito di quelli brevi. E che garantiscano sicurezza ai proprietari in modo da non lasciare disabitate le seconde case per timore di danni o di non riuscire a riprenderle quando ne avranno bisogno: secondo le stime, in città abbiamo tra i 120 mila e i 150 mila appartamenti vuoti. Intermediari, come le agenzie sociali per la casa, potrebbero avere un ruolo essenziale nel collegare domanda e offerta, nell’abbattere il muro di diffidenza che con frequenza allontana il locatore dal locatario”. Anche perché “a rimanere senza casa sono sempre più spesso nuclei familiari con entrate insufficienti per pagare l’affitto. Duemila euro al mese non bastano più per chi ha figli a carico”, spiega a L’Espresso Barbara Funari, assessora alle Politiche sociali e alla salute di Roma, facendo riferimento a una delle famiglie che si sta preoccupando di supportare nella ricerca di un’abitazione: “Due genitori che lavorano come addetti alle pulizie con un contratto a tempo indeterminato. Hanno due figli di otto e tre anni, non possono permettersi di pagare un affitto di 800/1.000 euro al mese. Così vivevano in una casa abusiva vicino Ponte Mammolo che dopo l’incendio di qualche giorno fa è inagibile. A Roma a oggi non esistono strutture adatte ad accogliere interi nuclei familiari in emergenza”. Anche secondo l’assessora, come per Trincia, è ora di uscire dalla logica dell’urgenza quando si parla di diritto alla casa: “Serve un’azione strutturale che tenga conto di tutti gli aspetti, compreso il tema di regolare il mercato degli affitti, ormai off limits per tanti romani. Ogni giorno ricevo richieste di aiuto anche da chi potrebbe pagare un affitto ma non trova una casa: troppe abitazioni sono destinate a turisti e ad affitti brevi perché più convenienti, a scapito dei cittadini”. FI apre il fronte Ius Scholae. Il centro applaude, Salvini si infuria. Ma la vera sfida è alla premier di Mauro Bazzucchi Il Dubbio, 15 agosto 2024 Dopo la legge Severino e la custodia cautelare, la cittadinanza. A dispetto del periodo ferragostano e della chiusura del Parlamento, Forza Italia sta assumendo col suo attivismo, in questi giorni, un ruolo di assoluta protagonista politica, dettando l’agenda politica su più di un fronte. E se, obbedendo alla propria vocazione, finora aveva premuto l’acceleratore sui temi legati alla giustizia, a partire dall’annunciato programma di visite agli istituti penitenziari e dalle prese di posizione sulla riforma della carcerazione preventiva e dell’armonizzazione della legge Severino al principio costituzionale della presunzione d’innocenza, ieri il focus è stato posto sulla questione della concessione della cittadinanza italiana, con una significativa apertura all’introduzione dello ius scholae, al posto del vigente ius sanguinis. A formalizzarla è stato il portavoce nazionale azzurro Raffaele Nevi, che sull’onda del dibattito alimentato dai trionfi della multietnica squadra olimpica italiana e sulle conseguenti polemiche sull’etnia rinfocolate dal generale Vannacci ha voluto sottolineare il favore di Fi a un provvedimento che conceda la cittadinanza italiana ai ragazzi stranieri o figli di stranieri che completino nel nostro paese un intero ciclo di studi. Non lo ius soli, dunque, ma tanto è bastato per sollevare la polemica. L’iniziativa del partito di Antonio Tajani, infatti, ha innescato in tempo record la reazione scomposta di Matteo Salvini, il quale ha postato ieri mattina sui social un eloquente fotomontaggio in cui il ministro degli Esteri e la segretaria del Pd Elly Schlein venivano affiancati quali paladini della cittadinanza facile agli stranieri. “La legge sulla cittadinanza”, si leggeva nel post salvinano, “va benissimo così, e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con oltre 230 mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano”. “Non c’è nessun bisogno di Ius Soli o scorciatoie”, concludeva la didascalia del fotomontaggio. A corredare il tutto, la frase “Fi apre un varco a destra”. Una sfumatura non da poco, perché se da una parte la reazione della Lega era fin troppo scontata, la vera partita politica si gioca - così come sulla giustizia - nell’atteggiamento che la premier Giorgia Meloni deciderà di adottare. Quest’ultima, come è noto, visitando Casa Italia ai giochi parigini ha avallato una linea fortemente di destra sulla questione della pugile algerina Imane Khelif ma, allo stesso tempo, ha assistito ad un incontro della nazionale femminile di pallavolo e fatto criticare dai suoi parlamentari le frasi di Vanacci sulla poca italianità di Paola Egonu, vittima tra l’altro di un ennesimo episodio di razzismo, con l’imbrattamento del murale a lei dedicato a Roma. Quando era all’opposizione, FdI si è sempre dichiarato nettamente contrario a rivedere l’attuale normativa sulla cittadinanza, impostata sullo ius sanguinis, ma negli ultimi tempi gli osservatori, sulla base anche di alcune dichiarazioni di suoi autorevoli esponenti (riconosciute anche a sinistra) sta mutando sensibilità sull’argomento. Ieri, almeno fino a prima sera, da via della Scrofa non era stato battuto nessun colpo sull’argomento. Sul versante azzurro, invece, alcuni bene informati addebitano la mossa alla volontà di incalzare Meloni a tutto campo per strapparle un sì almeno sulla riforma della legge Severino, altri a una genuina virata a sinistra suggerita dagli eredi del Cavaliere, da tempo in pressing per marcare le distanze dalla Lega sui temi etici e sui diritti civili. Di certo ieri tra Fi e il Carroccio si è arrivati quasi alla rissa: replicando a Salvini, Nevi ha affermato di dispiacersi “che un alleato di coalizione ci attacchi”. “Noi”, ha proseguito, “come impostazione non vogliamo attaccare gli alleati. La sinistra sta tornando indietro e molti moderati sono interessati a Fi proprio per la nostra posizione liberale e moderata”.” Dalla Lega”, ha concluso, “invece di ringraziarci, troviamo dei post che non ci piacciono. La nostra strategia è colpire avversari, non gli alleati”. Meno diplomatico, come di consueto, il capogruppo azzurro al Senato Maurizio Gasparri, che sta concentrando ultimamente i propri strali su Vannacci: “Ha preso voti dicendo cose condivise in tutti i bar e in tutti gli autobus, un po’ di demagogia è facile seminarla, e forse tutti siamo incorsi in questo peccato... dopodiché uno che finge di perdere l’equilibrio nella metropolitana per toccare uno e vedere com’è la sua pelle, a me pare uno che ha qualche problema”. In effetti, la risposta dei partiti centristi è stata sollecita, a partire dal leader di Azione Carlo Calenda, per il quale “il sostegno di Forza Italia a una normativa sullo Ius Scholae è un’ottima notizia” e ha chiesto al Pd di lavorare per una convergenza. Apprezzamenti anche da + Europa e da Italia Viva, “purché si passi ai fatti” ma, verosimilmente, la risposta più attesa per la pattuglia di Tajani dovrà arrivare da Palazzo Chigi. Cittadinanza, lite tra Lega e Fi sulla riforma che non c’è di Marina Della Croce Il Manifesto, 15 agosto 2024 Di concreto non c’è ancora niente e annunci simili si sono sentiti anche alla fine delle ultime Olimpiadi, tutti puntualmente finiti in un nulla di fatto. Ma è bastato che da Forza Italia arrivasse una timida disponibilità a mettere mano alla legge del 1992 sulla cittadinanza - cosa che permetterebbe a decine di migliaia di giovani figli di genitori immigrati di diventare finalmente italiani -, perché nella maggioranza cominciassero a volare stracci. Ad attaccare, come da copione, è la Lega di Matteo Salvini che sui social pubblica un fotomontaggio con i volti della segretaria del Pd Elly Schlein e del leader di Forza Italia Antonio Taiani con la scritta: “Il Pd rilancia lo ius soli. Fi apre un varco a destra”. Seguito da un commento che non lascia spazio a trattative: “La legge sulla cittadinanza va benissimo così e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con 230 mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di ius soli o scorciatoie”. L’attacco a freddo, compiuto per di più sulla base di semplici indiscrezioni, non piace a Forza Italia soprattutto dopo che Marina Berlusconi ha sollecitato il partito a una maggiore attenzione verso i diritti. “La nostra posizione non è quella di attaccare gli alleati, a meno che non dicano cose contro il programma che ci siamo dati comunemente. Per cui stigmatizziamo questo post”, è la replica del portavoce Raffaele Nevi. Nella scorsa legislatura Forza Italia aveva aperto al riconoscimento della cittadinanza per un bambino straniero al termine di uno ciclo di studi, anche se chiedeva un percorso più lungo dei cinque anni previsti del disegno di legge che era in discussione. “C’è un dibattito aperto da anni, ognuno ha le sue posizioni”, prosegue Nevi. “Noi abbiamo la nostra, portata avanti anche dal presidente Berlusconi: siamo possibilisti sulla questione dello ius scholae, però siccome non è una cosa che fa parte del nostro programma di govemo, rispettiamo le posizioni degli altri, sarebbe bello che tutti facessero la stessa cosa”. Nei prossimi mesi si vedrà se davvero Fi intende mettere mano alla legge de11992 e soprattutto come visto che in passato ha già dimostrato di avere sull’argomento sensibilità diverse. Se per l’ex parlamentare Renata Polverini, ad esempio, è arrivato il momento di portare “a compimento quel progetto di legge sullo ius scholae al quale ho lavorato, con l’incoraggiamento di Silvio Berlusconi, per ben due legislature, assieme a tantissime colleghe e colleghi di Forza Italia e di ogni schieramento politico parlamentare”, non sembra pensarla allo stesso modo Maurizio Gasparri: “In Italia sono garantiti ampi diritti a tutti e, ogni anno, tanti stranieri acquisiscono la cittadinanza nel nostro Paese, dove più de110% della popolazione è composto da persone giunte da ogni parte del mondo” dice ad esempio presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri. “Siamo campioni di diritti e non dobbiamo subire lezioni da parte di nessuno”, dice il presidente dei senatori azzurri. Non entra nella polemica, almeno per ora, Fratelli d’Italia. Riformare la cittadinanza non è certo tra le priorità del partito della premier, che in passato ha presentato molti emendamenti per cambiare lo ius scholae chiedendo, ad esempio, di allungare fino a otto anni il periodo di studi minimo per ottenere la cittadinanza. L’apertura di Fi viene vista positivamente dal centrosinistra. “È un’ottima notizia”, dice ad esempio il leader di Azione Carlo Calenda. Commenti favorevoli anche da Italia Viva, Avs e Pd mente per Riccardo Magi (+Europa), che sulla materia ha proposto un referendum, “c’è bisogno di una nuova legge perché quella attuale non tiene conto della mutata società italiana”. Torture, Israele dica no a ogni cedimento di Maurizio Caprara Corriere della Sera, 15 agosto 2024 Punizioni e violenze nei confronti di terroristi reclusi. L’ex primo ministro Bennett: “Vogliamo uno Stato qui o delle milizie che fanno quello che vogliono?”. La guerra è guerra e malgrado lo si neghi durante un conflitto casi di torture di prigionieri non mancano quasi mai. Non ne mancarono, e non fu un onore, neppure durante la giusta lotta del nostro Paese contro il terrorismo negli anni Settanta. Questo tuttavia conferma e non riduce il valore fondamentale dei progressi che nel mondo le democrazie, gradualmente, hanno compiuto decidendo di non ritenere più legali i mezzi violenti di punizione e di interrogatorio che erano ordinari in secoli precedenti verso reclusi e inquisiti. È dunque motivo di preoccupazione e indignazione quanto accaduto in Israele, a fine luglio, quando gruppi di contestatori di estrema destra hanno fatto irruzione nella base di Sde Teiman chiedendo il rilascio di nove militari arrestati con l’accusa di aver sottoposto a violenza sessuale un ufficiale della polizia di Hamas catturato. Alcuni dei manifestanti sono riusciti a raggiungere il luogo di detenzione dei nove. Il New York Times ha riferito che tra i contestatori rientravano tre parlamentari della coalizione del governo di Benjamin Netanyahu. Secondo la rete AbcNews erano coinvolti nelle proteste anche un paio di ministri. Stando al Jerusalem Post, uno. La prima testata ha riferito che a un parlamentare del Likud, Hanoch Milwidsky, altrove è stato chiesto se fosse accettabile abusare sessualmente di un detenuto e la sua risposta è stata di sì: “Se lui è Nukhba, tutto è legittimo da fare. Tutto”. Nukhba è un’unità di élite di Hamas che ha la responsabilità di numerose delle 1.200 feroci eliminazioni di israeliani compiute il 7 ottobre. Legittimo è che le forze israeliane ne cerchino i componenti e li colpiscano in combattimenti a Gaza. Illegale e incivile è che essi vengano sottoposti ad abusi sessuali con mezzi di offesa se catturati. “Vogliamo uno Stato qui o delle milizie che fanno quello che vogliono?” è stata una domanda posta al Paese da un ex primo ministro israeliano di destra, Naftali Bennett. “Smettete di gettare benzina sul fuoco”, ha aggiunto riferendosi ai contestatori di Sde Teiman e a chi li appoggia. L’esercito aveva mandato due battaglioni a difendere la base. L’inchiesta sull’abuso sessuale durerà ancora. Nei giorni scorsi tre dei nove militari sono stati rilasciati e per cinque sono stati disposti brevi arresti domiciliari. Spesso le Nazioni Unite sono risultate sbilanciate contro Israele. Ma anche se fossero vere soltanto in parte andrebbero considerate le affermazioni recenti dell’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, l’austriaco Volker Türk, su centri di detenzione israeliani: “Le testimonianze raccolte dal mio ufficio e da altre entità indicano una serie di atti spaventosi, come il waterboarding (soffocamento con acqua interrotto prima delle estreme conseguenze, ndr) e il rilascio di cani sui detenuti, in flagrante violazione del diritto internazionale”. Il Servizio Prigioni Israele, la struttura di Stato, nega la veridicità di analoghi addebiti contenuti in rapporti di organizzazioni di volontariato. Allo stesso tempo rivendica che dopo il 7 ottobre “sotto la direzione del ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir le condizioni per i prigionieri di sicurezza in carcere sono peggiorate. In accordo con la politica del ministro, sono stati bloccati miglioramenti applicati in passato”. Hamas ha commesso crimini raccapriccianti. Tuttora a Gaza tormenta decine di ostaggi israeliani innocenti, la cui sola prigionia è di per sé barbara. In ottobre terroristi palestinesi (e alcuni civili, per modo di dire) usciti da Gaza hanno inflitto a ragazze e donne ebree stupri ricostruiti con dati di fatto dal documentario Urla prima del silenzio, Screams before silence, reperibile su Internet. Israele dunque ha l’indubbio dovere di difendere se stesso. Anche, di certo, da coloro che dall’interno collidono con la sua preziosa democrazia e con il suo Stato di diritto.