Caso Zuncheddu, perché un innocente è stato 32 anni in carcere? di Nicoletta Cottone Il Sole 24 Ore, 27 novembre 2023 La Garante dei detenuti Irene Testa: “Ora si attende l’assoluzione”. Sabato ha ottenuto la sospensione della pena. Accusato di un triplice omicidio sulle montagne di Sinnai, le intercettazioni hanno dimostrato che il testimone chiave aveva mentito. Appena lo hanno fatto uscire dal carcere Beniamino Zuncheddu si era avviato a piedi per tornare a casa. Una casa che aveva lasciato all’età di 26 anni per entrare in prigione, accusato di aver compiuto l’8 gennaio 1991 un triplice omicidio sulle montagne di Sinnai. Gesuino Fadda, di 56 anni, il figlio Giuseppe Fadda, di 24 e il pastore, Ignazio Puxeddu, di 55, tutti di Sinnai, furono uccisi. Il genero di Fadda, Luigi Pinna, di 29 anni, di Maracalagonis (Cagliari), poi diventato il principale accusatore dell’imputato, rimase gravemente ferito. La scarcerazione di Beniamino è stata disposta nell’ambito del processo di revisione presso la Corte d’Appello di Roma. L’avvocato Mauro Trogu aveva presentato istanza per la libertà condizionale. “Sono 32 anni che sono in carcere da innocente e ora sono stanco di resistere. Voglio il riconoscimento della mia innocenza prima di morire”, ha detto Beniamino Zuncheddu. Avevo voglia di scappare via, lontano dal carcere - “Avevo voglia di scappare via, lontano da quel posto”, ha detto Beniamino Zuncheddu, finito in carcere da innocente e rimasto dietro le sbarre per oltre 32 anni. “Avevo voglia di libertà. Avevo perso la speranza, non ci pensavo più. Ora aspetto l’assoluzione definitiva. Devo riorganizzare un po’ il cervello”, ha detto appena fuori dal carcere di Cagliari Uta, dove ha ricevuto l’ordinanza di sospensione della pena. Poi a Burcei in auto, dove lo attendeva la festa organizzata in parrocchia dagli abitanti. Un paese in festa, che lo ha sempre sostenuto, tanto che a Beniamino nella sala parrocchiale gremita hanno messo il riconoscimento della fascia tricolore da sindaco. Beniamino aveva perso la speranza - “Aveva perso la speranza Beniamino”, racconta Irene Testa, Garante dei detenuti della Sardegna e tesoriera del Partito radicale. “La notizia della scarcerazione è giunta inaspettata, dopo tanta attesa. Nessuno si aspettava l’arrivo dell’ordinanza di scarcerazione di sabato, quando le cancellerie sono chiuse, anche se tutti eravamo pienamente coscienti che c’era un innocente in carcere da 32 anni”. Beniamino, racconta Irene Testa, “appena ha avuto i fogli dell’ordinanza in mano, ha raccolto rapidamente le sue cose in un paio di buste ed è uscito. Si stava incamminando a piedi verso Burcei. E dal carcere di Uta al paese ci sono 40 chilometri. In macchina si impiega almeno un’ora”. In auto Beniamino “aveva paura che da un momento all’altro volessero riportarlo dentro”, racconta Irene Testa. In un video girato nell’auto che lo riporta a casa Beniamino dice di essere “in macchina, appena uscito dal carcere, contento di tornare al mio paese, Burcei”. “Felice, ma disorientato - racconta Irene Testa - festeggiato nella parrocchia di Burcei come se arrivasse il santo patrono, con fuochi d’artificio e fascia da sindaco”. Nominata a febbraio Garante dei detenuti della Sardegna, Irene Testa è entrata nella vicenda a cavallo di Ferragosto, in un periodo nel quale tutti sono in ferie, quando l’avvocato Mauro Trogu l’ha cercata per raccontarle il caso. Beniamino non sopportava più il carcere - “Beniamino stava male e come garante potevo andare in carcere a trovarlo. Ci sono andata subito la domenica. Beniamino non sopportava più la situazione, il processo di revisione in atto da tre anni senza novità, nonostante le intercettazioni fossero chiare e inequivocabili”. Le intercettazioni che lo scagionano - Le trascrizioni delle intercettazioni ambientali effettuate nel febbraio 2020 sull’auto del testimone oculare Luigi Pinna subito dopo la convocazione in procura a Cagliari non lasciano dubbi. Pinna era stato convocato in Procura generale per ricordare quanto accaduto. Dopo il colloquio era salito in auto e, intercettato, aveva detto alla moglie, che voleva sapere cosa gli avessero chiesto: “Volevano che io dicessi per forza che Marieddu mi ha mostrato una foto prima… non capisci: volevano che io dicessi per forza quello. Quello è accaduto! E loro lo hanno ben capito che è così, la verità”. Le false dichiarazioni del testimone chiave - Solo in una delle ultime udienze dinanzi alla Corte d’appello di Roma, però, il testimone ammetterà di aver mentito. La Procura chiama in causa anche l’ex sovrintendente di Polizia, Mario Uda, che avrebbe “sviato le indagini convincendo” Pinna “a dichiarare il falso”. Ed emerge che inizialmente Pinna, nell’ambulanza che lo porta in ospedale dopo l’agguato, aveva detto ai carabinieri di non poter riconoscere l’assassino perché aveva un collant da donna calato sul volto. Poi un mese e mezzo dopo la nuova versione indotta, con l’accusa a Beniamino. Il teste, si legge nell’ordinanza di scarcerazione, “in sede di revisione ha dichiarato che l’assassino non aveva la calzamaglia (il che dovrebbe dunque avergli consentito di vederlo in volto), ma ha poi invece affermato il contrario e infine ha sostenuto che all’epoca in realtà non aveva riconosciuto l’aggressore, ma che l’allora ispettore di Polizia Uda Mario gli fece vedere la foto di colui che a suo giudizio era il vero colpevole e lo convinse ad accusare Zuncheddu Beniamino sostanzialmente “sulla fiducia”. Il faro su Radio radicale - “Con l’avvocato Trogu ho acceso un faro su Radio radicale, nella trasmissione che conduco, “Lo Stato di diritto”, con uno speciale che ha mandato in onda tutte le intercettazioni. Poi l’interesse dei media, le manifestazioni. Il testimone chiave diceva chiaramente che Beniamino non c’entrava niente”. É l’ex procuratrice generale di Cagliari Francesca Nanni a sollevare il velo sulla vicenda e a ordinare nuove indagini e intercettazioni, su istanza dell’avvocato di Zuncheddu Mauro Trogu. Il perito Ignazio Garau, ascoltato nel novembre 2022, deposita la trascrizione delle intercettazioni telefoniche e ambientali che confermano quanto sostenuto dalla procuratrice Francesca Nanni, oggi in servizio a Milano, e dall’avvocato Mauro Trogu, difensore di Zuncheddu. Intercettazioni che testimoniano che la prova che ha fatto condannare all’ergastolo Zuncheddu è falsa, perché il teste chiave non ha detto la verità. Il colpo d’acceleratore in Corte d’appello - “Il presidente della Corte d’appello di Roma ha dato un colpo d’acceleratore all’iter ed è stata fissata la data di chiusura del processo il 19 dicembre. Il 25 novembre l’ordinanza per la sospensione della pena ci fa ben sperare. Un primo passo importante in attesa dell’assoluzione definitiva. Perché un innocente è stato in carcere 32 anni”. L’ultima beffa è che Beniamino non potrà partecipare alle ultime udienze del processo, ascoltare in diretta le dichiarazioni degli ultimi testimoni, in quanto l’ordinanza di scarcerazione prescrive per lui l’obbligo di dimora nel comune di Burcei. “Non ho mai fatto male a una mosca: ero l’uomo semplice da incastrare” di Ilaria Sacchettoni Corriere della Sera, 27 novembre 2023 Incarcerato nel 1991 sulla scorta della testimonianza del genero della principale vittima del massacro del Sinnai e scarcerato perché la testimonianza fu estorta. “Tanti innocenti dentro”. “In questi trentadue anni ho imparato che non sono l’unico innocente - dice Beniamino Zuncheddu. In carcere, anche nel mio carcere, quello di Uta, ci sono altri uomini ingiustamente dentro e purché uno abbia voglia di leggersi davvero le carte allora la verità può venire fuori”. La detenzione. L’arresto. Il grande “nemico”, Mario Uda. Il giorno dopo la scarcerazione, Zuncheddu parla. E la racconta così con disarmante semplicità. Perché Beniamino non ha parole da sperperare. Le poche che aveva gli sono servite in questi anni e forse sono state l’unico tesoretto al quale attingere: “Dentro si pensa a tante cose ma per sopravvivere ho dovuto rinunciare a molte cose. Scoraggiavo i miei stessi progetti, mi ripetevo: Beniamino non sognare”. Incarcerato nel 1991 sulla scorta della testimonianza del genero della principale vittima di questa storia tuttora da esplorare, Luigi Pinna, e scarcerato perché la testimonianza fu estorta. Pilotata dal dirigente di polizia Mario Uda che, come ha ricostruito un’inchiesta bis, mise in mano al testimone chiave del massacro di Sinnai, la foto di Zuncheddu, un servo pastore con la seconda media chiedendogli implicitamente di indicarlo quale responsabile del triplice omicidio all’epoca irrisolto. Trentadue anni fa era un uomo libero, Beniamino. “Ricordo ancora quel giorno. Era pomeriggio e io ero tornato dal lavoro. Ricordo che mi ero fatto una doccetta per poi uscire in paese. Non avevo la fidanzata ma dopo il lavoro facevo sempre due passi. Bussarono alla porta di casa e mi dissero “Dobbiamo fare qualche verifica, ci aiuta?”. Non avevo nulla da nascondere. Mi misi a disposizione. Non potevo immaginare”. Miracolo a Burcei: domenica sera amici e parenti riuniti attorno a una tavolata in cui spicca il protagonismo di un maialino arrosto. C’è Augusta, sorella di Beniamino, c’è lui stesso e c’è Mauro Trogu, il giovane difensore che lo assiste dal 2016. Così in questo paesino del cagliaritano rivive il presepe che non ti aspetti. “I miei compagni di cella sapevano la verità - continua lui - Mi spiace solo non essere riuscito a salutarli tutti. Molti di loro erano in permesso e non erano ancora rientrati in quel momento”. Sabato 25 novembre Beniamino torna nel penitenziario dopo il lavoro (al mattino, tutte le mattine, è dietro alla macchina del caffè in un locale al centro di Cagliari: Le Bon Bec Cafè) e pranza come al solito. Si avvicina un agente della polizia penitenziaria che ha in mano un foglio e gli dice brusco: “Beniamino perdi ancora tempo? Devi uscire”. Oggi lui la racconta così, sorridendo: “Non potevo crederci e gli ho detto di non prendersi gioco di me. Ora so che avevo torto e che lui, invece, aveva ragione”. Il vocio di sottofondo denuncia una serata come non ne capitavano da tempo in casa Zuncheddu. Augusta, il vero motore della serata impiatta e sorride. Un’ultima cosa Beniamino: che direbbe a Uda trovandoselo di fronte? “Gli chiederei perché proprio io. “Perché a me, cosa ti avevo fatto?” domanderei. Me lo sono chiesto in tutti questi anni. Non ho mai fatto male a una mosca. Ma forse ero l’uomo semplice da incastrare”. C’è ancora un’incognita da spazzare via. I giudici della Corte d’Appello devono decidere in merito alla revisione processuale del massacro del Sinnai. Il 19 dicembre è prevista la discussione. Ma stasera, nel vociare allegro di Burcei, tutto pare lontano. Giustizia, scontro tra Crosetto e magistrati. In Cdm misure sulla valutazione delle toghe di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 27 novembre 2023 Un’intervista del ministro della Difesa accende la polemica. Il Pd attacca: “Riferisca in commissione Antimafia”. Conte (M5s): “L’accusa di Crosetto ai magistrati è gravissima”. Si apre un nuovo fronte nella maggioranza. Dopo le parole del ministro della Difesa Guido Crosetto, che in un’intervista al Corriere della Sera attacca le toghe e dice che “l’unico grande pericolo è quello di chi si sente fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra: l’opposizione giudiziaria”, Forza Italia con Francesco Paolo Sisto, vice del Guardasigilli Nordio, e storico esponente del partito, rilancia sulla riforma della giustizia. “È tempo di chiudere”, avverte. Ed ecco che questa riforma viene contrapposta a quella dell’Autonomia e del premierato, trainate rispettivamente da Lega e Fratelli d’Italia. Lo scontro tra esecutivo e magistratura sulla giustizia segue a distanza quello sui migranti con il tribunale di Catania sulle nuove norme del decreto Cutro. In arrivo decreto con fascicolo per la valutazione dei magistrati - Intanto sul tavolo del Consiglio dei ministri, forse già nella riunione prevista nel pomeriggio di lunedì 27 novembre, potrebbe approdare un decreto attuativo della riforma Cartabia che prevede l’istituzione di un “fascicolo del magistrato” presso il Consiglio superiore della magistratura contenente gli atti firmati dal pm, e utili per la sua valutazione. In un’intervista al Corriere della Sera il ministro della Difesa Guido Crosetto afferma che “l’unico grande pericolo è quello di chi si sente fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra: l’opposizione giudiziaria”. Immediata la replica dei magistrati. Durante l’assemblea degli iscritti dell’Anm in Cassazione, il presidente dell’Associazione nazionale Giuseppe Santaluci attacca: “È fuorviante la rappresentazione di una magistratura che rema contro e che possa farsi opposizione politico-partitica. Una fake news”, che “non ha alcun fondamento” e “fa male alle istituzioni”. Si muovono anche le opposizioni. Per Debora Serracchiani, responsabile Giustizia nella segreteria Pd, “se Crosetto sa qualcosa la dica o smetta di lanciare minacce”. Il capogruppo Dem in commissione Antimafia Walter Verini chiede “di fissare al più presto l’audizione del ministro della Difesa Crosetto sui contenuti dell’intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera”. Attaccano anche i Cinque Stelle: “Dopo la Brigata Wagner, i benzinai e la Corte dei Conti, ora i nuovi nemici dell’azione del Governo Meloni sono diventati i magistrati - sottolinea il presidente Giuseppe Conte -. A dircelo sul Corriere della sera è Guido Crosetto, che pure passa per uno dei più moderati tra i ministri. L’accusa mossa ai magistrati è gravissima”. Il ministro chiarisce: nessun attacco alla magistratura, ma cerco la verità - La levata di scudi dei magistrati e della forza politica di opposizione spinge Crosetto a intervenire ancora una volta. “Mi stupisco - dice - dello stupore suscitato dalla mia intervista di oggi. Leggo commenti indignati di alcuni magistrati, come il presidente dell’Anm Santalucia, che dice che loro “non fanno opposizione politica”, o dell’opposizione che sostiene che “minaccio” i giudici. Curioso e surreale. Intanto perché tutto ho fatto tranne che minacciare o delegittimare qualcuno. Ma poi, davvero, dopo i casi Tortora, Mannino, Mori e la storia di centinaia di persone dal ‘94 ad oggi, si può nascondere come si è comportata, nella storia italiana, una parte (non certo tutta, ripeto) della magistratura? Penso proprio di no. Intendo solo difendere le istituzioni cercando la verità”, continua il ministro. Che si dice pronto a riferire in parlamento. “Tabacci e Calenda dicono cose tipo: chiacchiere in libertà, cose da bar sport, se fosse vero Crosetto dovrebbe agire di conseguenza. L’ho fatto. Ho parlato al Corriere ed ho detto di essere pronto a riferire in Parlamento ciò che mi è stato riportato. In democrazia - sottolinea su X il ministro della Difesa - si fa così”. Governo contro le toghe. Il ministro Crosetto intimidisce i magistrati di Stefano Iannaccone Il Domani, 27 novembre 2023 Il ministro della Difesa adombra il sospetto che da qui alle Europee possano esserci delle inchieste costruite ad hoc per indebolire Meloni. Ma la magistratura è oggi molto debole, tanto da aver avuto sempre cautela nelle inchieste su esponenti del governo. Il dizionario di Guido Crosetto è quello di Silvio Berlusconi, riveduto e corretto, contro le toghe politicizzate. Ma con l’aggiunta di un attacco preventivo lanciato a una magistratura, troppo debole anche per difendersi dagli affondi della politica. Quello giudiziario è oggi un potere più facile da colpire e indebolire. Il ministro della Difesa Crosetto ha scelto un’intervista al Corriere della Sera per sferrare l’offensiva ai magistrati, evocando - per paradosso - una trama contro il governo da parte di presunte “opposizioni giudiziarie”. Adombra così il sospetto che da qui alle Europee possano esserci delle inchieste costruite ad hoc per indebolire, se non azzoppare, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Mi aspetto che si apra questa stagione”, ha detto, confermando la sua tesi in una successiva dichiarazione diffusa dopo le richieste delle opposizioni di riferire in parlamento. Non è stata un’affermazione dal sen fuggita. Crosetto agisce quindi con metodi inediti per un ministro: dice di sapere di “riunioni di una corrente della magistratura”, per quelle che suonano come un “sentito dire”, sebbene lui stesso sostenga che si tratta di fonti credibili. Toni che alludono a qualcos’altro, senza entrare nel dettaglio. Tanto che il leader di Azione, Carlo Calenda, ha fatto notare che un ministro “non può riferire di complotti di magistrati senza denunciarli in modo circostanziato. Non siamo al bar dello sport”. Crosetto ha comunque detto di essere disponibile a riferire in parlamento - in commissione antimafia o al Copasir - le informazioni in suo possesso, accogliendo l’invito avanzato dal deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova. Niente galateo - In attesa di conoscere l’evoluzione degli eventi, il risultato è quello di un avviso ai naviganti, leggasi magistrati: in caso di indagini, sarà scontro aperto, nessun galateo istituzionale. Una strategia di intimidazione preventiva, messa in atto da Crosetto, una delle figure che pure viene descritta tra le più inclini al dialogo. Figurarsi il resto. Ma la linea dei giudici oppositori non rappresenta una novità nel governo, si colloca in una linea di continuità con la visione meloniana. A luglio scorso, quando infuriava il caso-Delmastro sulla rivelazione di informazioni segrete relative al caso-Cospito, Palazzo Chigi fece circolare una nota “unofficial”, etichettata come “fonte”. Ma è noto che la maternità è da intestare tutta alla premier Meloni: “È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee”, si leggeva in quella nota. Parole che si sovrappongono alla perfezione con le dichiarazioni di Crosetto. Il ministro della Difesa si spinge solo un po’ più avanti, aggiunge un “aspetto carbonaro”: le riunioni semi clandestine delle toghe avversarie della destra, in cui si medita come affondare la corazzata meloniana. Eppure, fin dall’insediamento, le uniche inchieste che hanno creato problemi al governo sono quelle giornalistiche, di Domani, del Fatto Quotidiano, di Repubblica, che hanno svelato situazioni imbarazzanti per il governo, che avrebbe voluto tenerle ben nascoste. La risposta è stata la solita evocazione del complotto. Il quarto potere ha insomma dato fastidio a Palazzo Chigi, mentre la magistratura ha trattato con cautela, quasi con timidezza, le vicende relative a esponenti del governo. C’è la consapevolezza di una vulnerabilità che non consente di fare fughe in avanti, di aprire scontri istituzionali. Magistratura cauta - L’approccio prudente è confermato proprio dall’inchiesta sul sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. La procura di Roma, in quel caso, ha avanzato la richiesta di archiviazione, respinta poi dal gip. L’altra inchiesta imbarazzante per il governo, sulle società della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, è stata a lungo sottoposta a secretazione, proprio per evitare che le notizie circolassero troppo, per tenere la cosa lontana dai riflettori mediatici. Almeno fino a quando è stato possibile. Così come una magistratura tutt’altro che d’assalto ha toccato con delicatezza l’indagine sulla presunta violenza sessuale compiuta da Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato. La famosa sim del telefonino non è stata sequestrata immediatamente dagli inquirenti, nonostante lo smartphone potesse essere uno strumento utile a chiarire i contorni di quella vicenda. Tutto fuorché una strategia d’assalto verso il governo. Che pure già si prepara a urlare all’ennesimo complotto immaginario. Il caso delle toghe anti-governo, Crosetto è pronto a riferire alle Camere di Francesco Bechis Il Mattino, 27 novembre 2023 Il ministro accusa: i magistrati progettano di fermare Meloni. Opposizione sulle barricate, l’Anm: ricostruzione fuorviante. Il gong dell’ennesimo scontro tra governo e magistratura stavolta lo suona Guido Crosetto. Secondo il ministro della Difesa infatti, “l’unico pericolo” per la tenuta del governo di Giorgia Meloni “è l’opposizione giudiziaria”. La magistratura, appunto, che secondo quanto rivelato dal co-fondatore di Fratelli d’Italia tramerebbe contro l’esecutivo. Tesi di cui Crosetto si dice convinto al punto da poterle confermare in Aula, anche se dietro al vincolo della segretezza, intervenendo al Copasir o alla Commissione Antimafia. “A me raccontano - ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera - di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a “fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni”“. Per poi aggiungere: “Se conosco bene questo Paese, mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee”. Un j’accuse che Crosetto “aveva in mente da tempo” (spiegano i suoi fedelissimi) e che ha inevitabilmente generato un certo clamore. “Ho fatto quel passaggio non a cuor leggero - commenta infatti Crosetto nel pomeriggio, quando in molti lo avevano già attaccato - con l’amarezza di chi crede nelle istituzioni ed ha fiducia nella stragrande maggioranza della magistratura e che quindi si sente indignato qualora fosse vero quanto gli è stato riferito”. Tant’è che, in risposta all’invito di alcuni parlamentari a riferire in Aula, il ministro evidenzia appunto la sua assoluta disponibilità. “Lo farò con estremo piacere, se sarà possibile farlo in commissione Antimafia o Copasir, per la necessità di riservatezza e di verifica delle notizie che ho ricevuto”. Le critiche a Crosetto sono piovute tanto da giudici quanto dall’opposizione. “È fuorviante la rappresentazione di una magistratura che rema contro, che possa farsi opposizione politico-partitica” ha risposto il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, aprendo l’assemblea generale straordinaria dell’Anm nell’Aula Magna della Cassazione. Critiche condivise dalla responsabile Giustizia nella segreteria del Partito Democratico, Debora Serracchiani: “Siamo stupefatti dalle dichiarazioni rilasciate oggi (ieri ndr) dal ministro Crosetto. Affermazioni gravi che peraltro avvengono a pochi giorni dall’udienza preliminare che si terrà a Roma a seguito dell’imputazione coatta del sottosegretario Delmastro Delle Vedove”. Una sollevazione che però non ha spinto Crosetto ad arretrare dato che, appunto, ha palesato la sua disponibilità a parlarne in Aula. Disponibilità che però non ha convinto tutti. “In una democrazia seria un ministro fa l’inverso” ha scritto su X il leader di Azione Carlo Calenda dopo che Crosetto stesso lo aveva accusato di far “chiacchiere in libertà”. “Prima va a riferire le cose dettagliatamente a chi di dovere - continua Calenda - e poi, se ritiene e se può, ne parla con la stampa”. Se non sono molte le voci di maggioranza che si levano pubblicamente a sostegno del ministro (“Anm sfacciata e con la memoria corta” ha dichiarato il vicesegretario della Lega Andrea Crippa che accusa anche Santalucia di comportarsi “come se fosse il Landini in toga”; “È ora di chiudere i cantieri aperti su questo tema e finalizzare i risultati” invece il viceministro Fi per la Giustizia Francesco Paolo Sisto) ad intervenire sul caso del giorno sono molti esponenti dell’opposizione. Anche il segretario di Italia Viva Matteo Renzi, ad esempio, non lesina critiche. Se, ha scritto su X, “il ministro va preso sul serio”, “la vera domanda è perché la Meloni ha bloccato la riforma? Di cosa avete paura?” Il riferimento è in particolare alla riforma per la separazione delle carriere dei magistrati che, prevista almeno in bozza entro la fine dell’anno, sembra essere slittata a dopo il referendum per il premierato. Critico anche il leader del Movimento 5Stelle Giuseppe Conte. “Dopo la brigata Wagner, i benzinai e la Corte dei Conti ora i nuovi nemici dell’azione di governo sono diventati i magistrati”. E alle barricate si iscrive pure il segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, sempre intervenendo all’assemblea degli iscritti all’Anm. “Sembra un monito affinché la magistratura si conformi agli scopi del Governo. Una magistratura performativa, di scopo, strumentale agli obiettivi di un decisore unico, che è lontanissima dalla sua funzione istituzionale”. Toghe contro Crosetto: “Da lui fake news che fanno male alle istituzioni” di Valentina Stella Il Dubbio, 27 novembre 2023 Zaccaro, AreaDg: “I magistrati non organizzano riunioni carbonare ma vogliono essere protagonisti nel dibattito sui diritti”. Per raccontare l’assemblea di domenica 26 novembre dell’Anm bisogna dividere per forza di cosa la narrazione in due parti, anche se le stesse sono in stretta correlazione, ossia la legittimazione o meno dell’Anm a partecipare al dibattito pubblico. La prima: il caso Crosetto. I magistrati, prima ancora di ritrovarsi nell’Aula Magna della Cassazione per discutere del caso Apostolico, hanno letto nella prima mattinata una intervista al Ministro della Difesa Guido Crosetto sul Corriere della Sera che li ha irritati non poco. Le sue parole sono state: “L’unico grande pericolo è quello di chi si sente fazione antagonista da sempre e che ha sempre affossato i governi di centrodestra: l’opposizione giudiziaria”; e ancora: “A me raccontano di riunioni di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a ‘fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni’. Siccome ne abbiamo visto fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee”. Inevitabile farne il casus belli del giorno. Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha così replicato: “Una fake news, una cosa che non ha nessun fondamento e che fa male alle istituzioni. Gente che legge i giornali e apprende da una voce autorevolissima, un ministro, che esiste un gruppo di magistrati che fa ciò che fanno, più o meno legittimamente, i partiti politici nello scontro di potere per la conquista del governo del Paese è una cosa - ha detto Santalucia - che fa male alle istituzioni, fa male a tutti noi. Una cosa che coinvolge in prima battuta i magistrati, ma, e qui sta la miopia - ha aggiunto - non si comprende che questo è un attacco, una rappresentazione malevola dell’impianto istituzionale del Paese, e quindi è l’intero Paese a esserne in qualche modo coinvolto”. Mentre il leader del ‘sindacato’ dei magistrati rispondeva al Ministro, quest’ultimo incalzava con un’altra dichiarazione: “Andrei a scartabellare tra convegni dichiarazioni documenti dossier relazioni di Md e Area, ma la mia è solo una sensazione. Nulla più”. Quindi fa il nome delle correnti, che aveva tralasciato nell’intervista. Per questo abbiamo chiesto un commento a Stefano Musolino, Segretario di Magistratura Democratica: “Crosetto nella sua intervista fa riferimento a riunioni carbonare subito dopo le domande sulla capacità del Governo di raggiungere gli obiettivi del Pnrr. È un monito ai magistrati a contribuire al raggiungimento di quegli obiettivi”. Ha poi aggiunto: “Una magistratura di scopo non è nel sistema costituzionale, non siamo magistrati di scopo che lavorano per raggiungere obiettivi ma un’istituzione a tutela dei diritti”. Mentre ci ha detto Giovanni Zaccaro, neo segretario di AreaDg: “I magistrati non organizzano riunioni carbonare ma vogliono essere protagonisti nel dibattito sui diritti, le garanzie e la giustizia in generale. Non tifiamo per un governo o per un altro, non intendiamo delegittimare le altre istituzioni, come forse ha fatto il ministro Crosetto con una battuta mal riuscita: sembra come quegli allenatori che contestano l’arbitro prima di entrare in campo. Il ministro o sa qualcosa e non lo dice apertamente - ha proseguito Zaccaro - oppure dovrebbe evitare frasi sibilline. Dobbiamo tutti impegnarci a non delegittimarci reciprocamente”. Sulla questione è intervenuto anche l’ex segretario di AreaDg ed ex presidente dell’Anm Eugenio Albamonte: “C’è un trend: ossia la messa in discussione della possibilità, della legittimazione per il magistrato di partecipare al dibattito pubblico, anche sui temi della giustizia. Nei testi di riforma della separazione delle carriere è prevista l’esclusione del potere del Consiglio Superiore della Magistratura di rendere pareri consultivi al Governo sulle riforme in materia di giustizia”. In questa scia “l’intervista del Ministro Crosetto è un ulteriore passaggio. In pratica ci sta dicendo ‘dovete stare zitti perché se parlate noi vi iscriviamo qualificandovi come opposizione politica che si contrappone ad un governo che ha ottenuto una forte legittimazione popolare. Vogliamo davvero accettare questo tipo di confronto?”. Più morbida la risposta di Angelo Piraino, Segretario di Magistratura Indipendente: “Le parole del ministro purtroppo sono segno di come una parte della politica ci percepisce, l’espressione di un timore su come sono i rapporti tra politica e magistratura”. Secondo il leader di MI, alle parole del ministro “non si deve rispondere con altrettante polemiche perché in questo modo si darebbe conferma dell’esistenza di un rapporto critico tra politica e magistratura. Al contrario - aggiunge Piraino - bisogna rispondere con il dialogo, invitando la politica a mantenere aperto un canale di dialogo con i magistrati anche se su certe questioni ci sono posizioni legittimamente diverse”. Critiche alle parole del Ministro Crosetto sono arrivate anche dall’opposizione politica alla maggioranza. Carlo Calenda, leader di Azione: “È vero che, come scrive oggi Enrico Costa, la magistratura ha fatto molto interventi ‘politici’ spesso finiti in nulla, provocando danni gravi. Ma è anche vero che un Ministro non può riferire di complotti di magistrati senza denunciarli in modo specifico e circostanziato. Non siamo al bar dello sport”. Anna Rossomando, vice presidente dem del Senato: “A questo punto siamo veramente curiosi di ascoltare in Parlamento i chiarimenti del ministro Crosetto. Innanzitutto a quali riunioni faccia riferimento. Perché se si tratta della solita palla in tribuna per nascondere gli insuccessi del governo, a partire dalla manovra, questa volta il rischio è la rottura degli equilibri istituzionali. Se invece il ministro fa riferimento a dibattiti pubblici su riforme anche istituzionali, speriamo che per Crosetto sia ancora consentito discutere ed eventualmente criticare nell’ambito di una democrazia liberale”. Sempre dal Pd è intervenuto il capogruppo in commissione Antimafia Walter Verini: “I parlamentari Pd in Commissione Antimafia chiedono di fissare al più presto l’audizione del ministro della Difesa Crosetto sui contenuti dell’intervista da lui rilasciata al Corriere della Sera. Il Pd giudica grave ed inquietante quella intervista e pericolosi i messaggi che contiene contro la magistratura e la sua indipendenza. Ma, a parte il giudizio, è necessario che il ministro riferisca prima possibile al Parlamento sulle allusioni e i riferimenti oscuri contenuti nell’intervista”. Il presidente del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte: “Dopo la Brigata Wagner, i benzinai e la Corte dei Conti, ora i nuovi nemici dell’azione del Governo Meloni sono diventati i magistrati. A dircelo sul Corriere della sera è Guido Crosetto, che pure passa per uno dei più moderati tra i ministri. L’accusa mossa ai magistrati è gravissima e un ministro della Repubblica ‘responsabile’ non può non rendersene conto: sostenere che correnti della magistratura si riuniscono per deliberare ‘opposizione’ a un Governo giudicato ‘antidemocratico’ significa, - né più né meno - accusare una parte della magistratura di finalità ‘eversive’”. “Puntuale come un orologio svizzero, per distrarre l’attenzione da una manovra disastrosa e da una riforma costituzionale vergognosa, la destra torna a vaneggiare di un complotto contro il governo”. Così il segretario di Più Europa, Riccardo Magi che ha aggiunto: “Immagino infine che il ministro Crosetto abbia preventivamente informato il presidente Mattarella, che presiede il Csm, di queste sue gravissime accuse”. Crosetto poi nel pomeriggio torna sull’argomento, rincarando la dose: “Mi stupisco dello stupore suscitato dalla mia intervista al Corriere della Sera di oggi. Leggo commenti indignati di alcuni magistrati, come il presidente dell’Anm Santalucia, che dice che loro ‘non fanno opposizione politica’, o dell’opposizione che sostiene che ‘minaccio’ i giudici. Curioso e surreale. Intanto perché tutto ho fatto tranne che minacciare o delegittimare qualcuno. Ma poi, davvero, dopo i casi Tortora, Mannino, Mori e la storia di centinaia di persone dal 94 ad oggi, si può nascondere come si è comportata, nella storia italiana, una parte (non certo tutta, ripeto) della magistratura? Penso proprio di no. E lo dico proprio nell’interesse della Magistratura e di un’idea di Giustizia in cui credo fermamente. E veramente dopo quanto ha raccontato (non è mai smentito) Palamara, qualcuno si stupisce di un mio passaggio, peraltro incidentale, in una lunga intervista che verteva su altro?”. Qualcuna, tra le toghe presenti in assemblea, ha commentato: “Beh, se usa come metro di paragone Palamara, le sue dichiarazioni si squalificano in partenza”. Il Ministro si è comunque reso disponibile a riferire, tramite un tweet: “Mi chiedono di riferire in Parlamento su ciò che oggi ho detto, pensando di farmi dispiacere: sono molto felice di poter condividere con Commissione Antimafia o Copasir (per motivi di segretezza) le mie preoccupazioni e le cose che mi sono state riferite, per valutarle”. Fonti della presidenza della commissione Antimafia replicano che la richiesta “sarà valutata” quando verrà formalizzata. La data è quella di martedì 28 novembre, quando è prevista la riunione dell’ufficio di presidenza della commissione. La seconda: il caso Apostolico. L’assemblea dei magistrati (200 presenti, 1700 deleghe) era stata proprio convocata con il seguente ordine del giorno: “Gli attacchi alla giurisdizione e la pesante denigrazione dei singoli magistrati che hanno adottato provvedimenti in materia di protezione internazionale”. Nell’ultimo Cdc tutti i gruppi associativi, tranne Magistratura Indipendente, al termine della discussione sugli attacchi ai giudici che stanno disapplicando il dl Cutro votarono un documento in cui si confermava lo “stato di agitazione già deliberato sui temi dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura” e si deliberava la convocazione dell’assemblea. Oggi, domenica 26 novembre, tutti si chiedevano se l’Anm sarebbe riuscita a far approvare una mozione unica, o se Mi sarebbe rimasta isolata per l’ennesima volta. Mentre Area e Md si sono mostrate compatte nel mantenere la posizione assunta nell’ultimo Cdc, chi ha cambiato posizione è stata Unicost, come emerso dalle parole della Presidente Rossella Marro: “Nel mese di ottobre scorso l’adozione di parte di un giudice di Catania di un provvedimento in materia di protezione internazionale dava luogo a scomposte accuse da parte di esponenti del Governo. Dette accuse, a nostro parere, pongono in discussione la funzione stessa della giurisdizione in uno Stato di diritto e giustificano da parte del CSM l’apertura della pratica a tutela del giudice”. Tuttavia “nei giorni successivi allo scoppio del caso, abbiamo assistito anche ad una ulteriore campagna stampa, sostenuta dagli esponenti dei gruppi progressisti, quella diretta ad esprimere il principio di carattere generale che solo il magistrato ‘attivista’ sia un magistrato a tutela dei diritti fondamentali, dovendosi invece relegare alla categoria di magistrato ‘burocrate’ chi per inclinazione personale o habitus culturale osservi una condotta di vita sobria e riservata. È questa per noi di Unicost una posizione sbagliata ed inaccettabile, che ha visto i membri del gruppo Unicost in CDC - proprio in occasione dell’approvazione del deliberato che convocava la presente assemblea - sollecitare una riflessione sul tema dell’imparzialità del magistrato in tutte le sue declinazioni”. Insomma si sono riaperti i giochi: andare alla spaccatura o cercare l’unità? I leader delle correnti si sono messi a tavolino per scrivere una mozione unica. Sembravano esserci riusciti, ma poi tutto si è riaperto per il solo intervento di una magistrata non iscritta a nessuna corrente che ha chiesto di eliminare dalla mozione la seguente parte: “siamo consapevoli della necessità di una seria riflessione sul tema dell’imparzialità della magistratura. Oggetto del prossimo congresso (a maggio a Palermo, ndr), ma continueremo a richiedere alle altre istituzioni serietà, equilibrio e continenza, al fine di garantire l’indipendenza della funzione giurisdizionale”. Ne è nata una serie di lunghe pause di riflessioni, emendamenti e sub emendamenti e alla fine la compattezza si è raggiunta intorno all’emendamento del gruppo ‘Facciamo presto’: “Siamo consapevoli dell’importanza del tema dell’imparzialità della magistratura, oggetto del prossimo congresso, e continueremo a richiedere alle altre istituzioni serietà, equilibrio e continenza al fine di garantire l’indipendenza della funzione giurisdizionale”. Il miglior compromesso possibile per non uscire divisi. Ma quanta fatica! L’assemblea dell’ANM inoltre ha deliberato i seguenti punti: “auspica la celere trattazione della pratica a tutela dei colleghi; propone, al fine di dare contenuto allo stato di agitazione già deliberato, le seguenti iniziative, finanziate da fondi stanziati da parte dell’ANM e specificamente finalizzati all’attività di informazione sul territorio mediante la realizzazione di eventi con taglio divulgativo sul ruolo costituzionale della magistratura organizzando: un evento di rilievo entro il mese di marzo da realizzarsi in contemporanea in tutti gli uffici giudiziari (dovranno seguire, sempre su base sezionale e sotto-sezionale entro l’estate, un ciclo di seminari di almeno tre incontri); un evento conclusivo organizzato dagli organi centrali dell’ANM, con la collaborazione degli organi territoriali. Gli eventi dovranno essere videoregistrati e, previo montaggio, diffusi sui social; istituzione di una Commissione Centrale e di Commissioni Territoriali (composte da membri delle Ges e delle Sotto-sezioni) con il compito di monitorare il dibattito pubblico in materia di giustizia e di predisporre dei format a tema - da replicare negli uffici giudiziari del distretto -, individuando i possibili ospiti; istituzione a livello centrale di una Commissione mista composta da magistrati ed esperti in social media che si occupi di seguire il dibattito pubblico in materia di giustizia e realizzi dei contenuti social volti a spiegare il ruolo costituzionale della magistratura e a rendere comprensibili le questioni giuridiche concernenti temi che hanno suscitato particolare clamore (i contenuti potranno essere scelti anche su indicazione degli organi territoriali dell’ANM)”. Toghe nel mirino, Meloni si schiera con il ministro della Difesa di Ilario Lombardo La Stampa, 27 novembre 2023 Timori di uno spostamento a sinistra se si saldano le correnti. Giorgia Meloni sapeva. È quello che sostiene e sta dicendo in queste ore Guido Crosetto. Come potrebbe non sapere? Si chiedono, stupiti della domanda, da Fratelli d’Italia. E in effetti, è difficile immaginare che un ministro di prima linea, cofondatore del partito di maggioranza, che offre al Corriere della Sera dichiarazioni con implicazioni profonde sulla divisione dei poteri, e che di fatto evoca la possibilità concreta di un complotto contro il governo, non abbia prima informato la presidente del Consiglio. In realtà c’è un filo rosso che lega le parole di Crosetto a quelle pronunciate da Meloni in estate, quando un giudice di Roma decise l’imputazione coatta del viceministro meloniano della Giustizia Andrea Delmastro, per il reato di rivelazione di segreto d’ufficio sul caso dell’anarchico Alfredo Cospito. Parole prima affidate a un singolare comunicato firmato da “fonti anonime di Palazzo Chigi”, poi, su pressione della stampa, confermate dalla premier durante il vertice Nato di Vilnius. Ecco cosa scrisse Meloni in quella nota di luglio: “È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee”. Quasi cinque mesi dopo, le dichiarazioni del ministro della Difesa, seppur fuori dal suo campo di competenza, sono identiche. I termini, innanzitutto, scelti appositamente per avvalorare il sospetto. Crosetto anche parla di “opposizione giudiziaria”, e pure lui sostiene di aspettarsi qualcosa - senza specificare cosa - “prima delle Europee”. E dove la premier dice “fascia della magistratura”, il ministro usa “corrente”. In verità, Crosetto è più dettagliato, più circoscritto nelle sue accuse. Riferisce di “riunioni” di una fronda di toghe, pronte a scatenarsi contro i vari capitoli della riforma della giustizia che, un pezzo dopo l’altro, molto faticosamente governo e maggioranza stanno provando a realizzare. Crosetto tradisce un timore specifico che, riportano fonti dell’esecutivo, ha cominciato a diffondersi in tutto il governo, arrivando fino alla stanza di Meloni. Tra i ministri e all’interno della coalizione circolano gli audio del congresso di AreaDg, che si è tenuto a Palermo a fine settembre. È la corrente più a sinistra dell’Associazione nazionale magistrati, formata da Magistratura democratica e Movimento per la Giustizia-Art. 3. Secondo Crosetto - ed è pronto a raccontarlo in Parlamento - è in quell’occasione che i vertici hanno annunciato “l’opposizione al governo”, arrivando a teorizzare - sostiene - “la funzione antimaggioritaria della magistratura”. Un impianto accusatorio enorme che va provato, a cui i fedelissimi di Meloni aggiungono un altro tassello: la saldatura con Autonomia e Indipendenza, la corrente fondata da Piercamillo Davigo, che la destra di Fratelli d’Italia ha sempre considerato più vicina, sicuramente meno ostile, più affine nei valori, anche per una certa posa meno garantista. Non a caso, più volte Ignazio La Russa ha ricordato il sostegno a Davigo negli anni di Tangentopoli, il tentativo di coinvolgerlo in politica e i rifiuti del pm. Ma sono anche questi legami che - in una coalizione dove siede Forza Italia - non hanno retto alla prova del governo. Il vero obiettivo di Crosetto sarebbe il ruolo dell’Anm, già messo più volte in discussione dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. I rapporti tra i magistrati e il Guardasigilli sono ai minimi. Il rinvio a fine legislatura, se mai si farà, della riforma della separazione delle carriere è stato imposto da Meloni come segnale di distensione verso i giudici. La premier oscilla tra la necessità di scongiurare scontri istituzionali e i classici tic dell’era berlusconiana contro il potere giudiziario (e lo provano la nota di luglio e le frasi di Crosetto). Nella cerchia della leader il retropensiero resta quello di inchieste costruite ad arte e con una tempistica precisa. In fondo, fu alla luce delle indagini sulla ministra del Turismo Daniela Santanchè e su Delmastro, che Meloni si scatenò contro i pm. E questi, infine, non sono giorni come altri. Dopodomani, 29 novembre, era stata fissata l’udienza che potrebbe portare Delmastro a processo. Appena tre giorni fa è stata revocata la scorta a Emanuela Attura, la gip che aveva imposto l’imputazione coatta per il sottosegretario. E proprio ieri, il giorno in cui Crosetto ha lanciato le sue accuse, l’Anm si riuniva a Roma in piazza Cavour. Puntini che, uniti uno all’altro, formano il classico contesto. Cesare Mirabelli: “La valutazione stimola i giudici, così i cittadini saranno più tutelati” di Andrea Bulleri Il Messaggero, 27 novembre 2023 Le “pagelle” a giudici e pm? Mettere a disposizione del Consiglio superiore della magistratura i dati per valutare l’operato di un giudice è positivo”. Da una parte perché “può avere un effetto di stimolo nei confronti del magistrato stesso, spingendolo a fare meglio”. Dall’altra, perché “può rappresentare un elemento di controllo in più a tutela dei cittadini”. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, non è contrario all’idea di mettere sotto una lente periodica l’operato della magistratura. “A patto - avverte il giurista - che non ci si limiti a un giudizio sommario, che trascuri la qualità del lavoro svolto in favore della quantità”. Professor Mirabelli, dare i voti ai magistrati può essere un buon modo per “responsabilizzare” la categoria? “Che a ogni magistrato corrisponda un fascicolo con gli elementi che ne mettano in luce la professionalità e l’impegno, o viceversa le lungaggini o gli errori “abnormi”, è positivo. E oltre a non essere in contrasto con la Costituzione, va incontro alle richieste dello stesso Csm, che spesso si è lamentato della scarsità di informazioni per esprimere una valutazione adeguata, anche in merito al conferimento di incarichi di vertice. Così spesso la valutazione finisce per essere elogiativa. Non un fascicolo a fini indagatori dunque, ma con l’obiettivo di valorizzare le professionalità”. I voti andranno da “negativo” a “ottimo”. Giusto introdurre una scala di valori, e non limitarsi a un semplice “positivo”? “È possibile aspettarsi resistenze, o antipatie, da parte di chi riterrà di essere trattato come uno scolaretto. Aldilà di questo, molto dipenderà dai criteri con cui si attribuirà la valutazione. Ridurre tutto a un giudizio sintetico rischia di semplificare troppo il giudizio e svilire l’importanza dell’analisi. Così come c’è il rischio di concentrarsi troppo sulla produzione di sentenze e meno sul dato qualitativo”. Che intende? “Per non incorrere in giudizi errati, i numeri dei provvedimenti adottati vanno ponderati bene. Qualche esempio: i procedimenti in materia di lavoro spesso si chiudono con la conciliazione, non c’è sentenza. I decreti ingiuntivi sono tantissimi, mentre una singola inchiesta complessa può durare anni. Insomma, nel dare la valutazione va tenuto conto della qualità della causa e dell’oggetto del giudizio”. Il voto, come anticipava, potrà incidere sulla nomina a ruoli di rilievo… “È un elemento che può portare a maggiore chiarezza nella scelta di chi deve ricoprire incarichi direttivi, a patto che il procedimento di valutazione sia trasparente e conoscibile. Anche qui occorre attenzione: ci può essere un magistrato molto laborioso, ma magari poco capace di organizzare il lavoro altrui. La valutazione, insomma, non va intesa come l’unico elemento che conti nella carriera”. Passiamo ai voti negativi. Dopo due “bocciature” si prevede che il magistrato possa essere dispensato dal servizio, condivide? Credo che questa misura possa avere un effetto di stimolo nei confronti dei magistrati, la maggior parte dei quali non ha nulla da temere. Abbiamo assistito però a casi di negligenze, anche solo per ritardo nel deposito delle. sentenze, nei quali spesso il Csm ha dovuto avviare procedimenti disciplinari. Prevedere l’allontanamento dall’ordine giudiziario per chi stabilmente ritarda il deposito dei verdetti può spingere quei giudici a migliorare”. Il Csm non dispone già oggi dei mezzi per comminare eventuali sanzioni? “Qualche isolatissimo caso di dispensa dal servizio c’è stato. Ma la periodicità delle verifiche, ogni quattro anni, può aiutare sia chi deve valutare, sia chi non sta svolgendo al meglio il proprio incarico. L’autonomia del giudice non è in discussione. Ma se le sentenze “abnormi” sono seriali, o le inchieste finiscono tutte in una bolla di sapone, è evidente che qualche problema c’è. Bene quindi un ulteriore controllo, per tutelare i cittadini”. Il ministro Crosetto parla di opposizione giudiziaria al governo. Siamo all’alba di un nuovo scontro tra politica e toghe? “Occorre coltivare l’autonomia della magistratura come l’autonomia della politica. Ognuno faccia il proprio mestiere. E la politica non sia troppo sensibile nel commentare gli atti dei magistrati: un avviso di garanzia non dovrebbe mai produrre effetti politici rilevanti, finché non segue una sentenza”. Riforma giustizia, Forza Italia torna alla carica sulla separazione delle carriere di Liana Milella La Repubblica, 27 novembre 2023 Nordio è stato chiaro: “Prima il premierato, poi la giustizia” mentre i forzisti insistono per procedere insieme. Ma cosa succede nel dopo Crosetto? La riforma della giustizia, in particolare la separazione delle carriere, accelera il suo iter proprio con l’obiettivo di colpire i magistrati e rendere il pubblico ministero del tutto indipendente e molto più forte dei giudici? Questo vuole Forza Italia, ma proprio questo non avverrà. Perché il Guardasigilli Carlo Nordio, dopo l’altolà della premier Giorgia Meloni, non si smuove di un passo, “prima si fa il premierato, e solo dopo si passa alla giustizia”. Il ministro della Giustizia tenta di addolcire la pillola buttando in campo un paio di interventi, il fascicolo del magistrato e la stretta sulle toghe fuori ruolo, in realtà già contenuti nella riforma dell’ex ministra Marta Cartabia, e che lui ha pure ritoccato, facendo inviperire Enrico Costa di Azione, che per primo ha lanciato l’idea del fascicolo, e che già parla di “riforma ammorbidita dai magistrati ministeriali a cui Nordio ha affidato l’ultima versione del testo”. Che tra poche ore andrà pure in Consiglio dei ministri. Ma è da Forza italia che arrivano i fulmini sul rischio che possa saltare la separazione delle carriere. Il vice presidente della commissione Giustizia della Camera Pietro Pittalis non fa sconti a Nordio. “La separazione tra giudici e pm per noi è un punto fondamentale e qualificante, è sempre stata nel nostro programma di governo, proprio come voleva Silvio Berlusconi, che ne ha sempre parlato nei suoi interventi”. Pittalis, sempre pacato nel suo dialogare, stavolta alza di una nota la voce: “Noi non possiamo tradire i nostri elettori. Diciamo sì al premierato, ma vogliamo portare avanti contemporaneamente anche la separazione delle carriere. Su questo sia chiaro che non accettiamo compromessi”. Pittalis spiega il percorso che per Forza italia è quello previsto negli accordi di governo sin dall’inizio della legislatura: “La separazione delle carriere deve marciare con il premierato, tenendo conto dei tempi necessari. Del resto il premierato è già incardinato al Senato, mentre la separazione delle carriere a sua volta è alla Camera. Quindi siamo di fronte a un iter ordinario per riforme importanti che fanno parte della nuova architettura istituzionale dello Stato”. Pittalis ipotizza un percorso parallelo. E non accetta che la riforma delle carriere si fermi per lasciare il passo al premierato con il rischio che si arrivi poi alla fine della legislatura. L’esponente forzista respinge quello che chiama “il contentino” del fascicolo del magistrato. E dice: “Si tratta di riforme che non rappresentano una novità, erano già state approvate nella scorsa legislatura, proprio grazie anche al contributo di Forza Italia”. Ma qui s’innesta la decisa contestazione di Enrico Costa, il responsabile Giustizia di Azione che finora ha sempre sostenuto le riforme di Nordio. Ma che stavolta è estremamente critico nei confronti dei sostanziali ritocchi fatti dalla commissione scelta dal Guardasigilli, che vede al vertice l’ex toga del Csm Claudio Galoppi, di Magistratura indipendente, che nella scorsa legislatura, sempre fuori ruolo, era stato scelto dall’allora presidente Elisabetta Casellati nel suo staff. Questa commissione, composta da 18 magistrati di cui ben 10 fuori ruolo, tre avvocati e tre professori, secondo Costa avrebbe modificato il suo “fascicolo”, su cui le toghe della Anm avevano fatto sciopero a maggio dell’anno scorso. Perché prevede un controllo della vita del magistrato in cui contano anche le “gravi anomalie” compiute nel corso dei processi. Ma proprio questa parola voluta da Costa assume un significato diverso perché non si riferisce più alla sola anomalia commessa anche in un provvedimento giudiziario, ma assume un peso quantitativo rispetto a tutti gli atti svolti. Secondo Costa si tratta di “una concessione evidente alle toghe”. Come non bastasse Nordio ha anche ammorbidito la stretta sui magistrati fuori ruolo, che passano da 200 a 180, quindi solo 20 magistrati in meno. E per di più la regola non si applica anche in questo caso a quelli ministeriali che hanno un ruolo di vertice. Il ministro Tajani: “La riforma della Giustizia è veramente urgente” di Davide Varì Il Dubbio, 27 novembre 2023 Il vicepremier indica la strada alla maggioranza di centrodestra per realizzare il programma proposto agli elettori italiani. “Io credo che le tre riforme debbano andare di pari passo. La riforma della giustizia, che non è solo la separazione delle carriere ma anche la riforma della giustizia civile, è veramente urgente, non solo per garantismo ma perché i processi lumaca ci costano il 2-3 per cento del Pil. Una giustizia giusta e rapida è efficace nell’attirare investimenti. Certo, ci vuole una accelerazione e abbiamo posto il problema. Le parole di Crosetto spingono a questo. Con una riforma fatta bene si cancellano tutti i dubbi, tutti i sospetti di invasione di campo, e questo dovrebbe essere anche nell’interesse dei magistrati. Va fatta, facciamola”. Lo ha detto al Quotidiano Nazionale il vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. “Noi guardiamo ad un centrodestra europeista, con una coalizione tra liberali, conservatori e popolari che è poi quella che mi ha permesso di diventare presidente del Parlamento Europeo - aggiunge Tajani - Le alleanze europee non fanno parte del programma di governo e del resto i partiti che fanno parte del governo Meloni appartengono a famiglie diverse. C’è una differenza sostanziale tra quello che dicono la Lega e in Europa partiti come Alternative fur Deutshland. In Italia lavoriamo bene insieme, ma non possiamo pensare di fare lo stesso in Europa con partiti come quello di Wilders o la Le Pen perché le distanze sono troppo grandi. Per contare in Europa l’Italia ha bisogno del Ppe e quindi di una Forza Italia forte. Guardiamo quel che è successi sul packaging: si è vinto perché Forza Italia ha lavorato di sponda con il Ppe”. “Ho qui con me un sondaggio che oggi ci stima al 10%. Ma tutti ci danno in crescita - prosegue il vice ministro del Consiglio - Sono convinto che riusciremo a raggiungere e superare questo obiettivo. I risultati del tesseramento sono sorprendenti, stiamo facendo i congressi in tutta Italia e stanno andando benissimo. Tante persone si sono avvicinate a noi, penso a Letizia Moratti, al regista Pupi Avati, all’oncologo Francesco Cognetti, che saranno parte della nuova consulta della segreteria di Forza Italia, che, guidata da Letizia Moratti, avvicinerà e coinvolgerà nell’impegno pubblico semplici cittadini, esponenti delle professioni, delle realtà economico-produttive, della finanza, della cultura, del sociale e del volontariato, restie all’impegno politico più diretto, ma disposte a dare un contributo civico, da indipendenti, all’elaborazione di proposte, progetti, programmi. Dandoci delle idee, stimolando il nostro dibattito e aiutandoci a programmare il futuro dell’Italia. La sfida non è di andare a cercare i voti degli altri partiti di centrodestra, ma recuperare l’astensionismo e allargare al centro l’area del centrodestra”. Lazio. Dalla Regione 290mila euro per reinserimento sociale e diritto allo studio dei detenuti tg24.info, 27 novembre 2023 La Giunta regionale del Lazio, presieduta da Francesco Rocca, su proposta dell’assessore al Personale, alla Sicurezza urbana, alla Polizia locale e agli Enti locali, Luisa Regimenti, ha dato il via libera allo stanziamento di oltre 290mila euro per iniziative di inclusione sociale, reinserimento e promozione del diritto allo studio delle persone detenute. Nello specifico, 230mila euro saranno destinati al sostegno alla genitorialità ed alla conservazione e miglioramento della vita affettiva e relazionale, al sostegno al benessere psicofisico, al sostegno alle forme di espressività, creatività e riflessione. Le risorse saranno messe a bando attraverso un Avviso pubblico, destinato alle associazioni del Terzo settore, con la definizione dei criteri e delle modalità di assegnazione dei finanziamenti e di valutazione degli interventi proposti. Le restanti risorse sono destinate alle Università che hanno sottoscritto il Protocollo di intesa con il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio ed il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, al fine di garantire il diritto allo studio della popolazione detenuta nella regione Lazio. Questa la suddivisione delle risorse tra le Università: Università Roma Tre 21.600 euro; Università Tor Vergata 18.993 euro; Università di Cassino 10.133 euro; Università La Sapienza 8.000 euro e Università della Tuscia 1.334 euro. “Assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri è una priorità di questa Giunta. La nostra stella polare è l’articolo 27 della Costituzione che stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. I dati parlano chiaro: più si aiuta il detenuto a reinserirsi nella società più si abbatte il rischio di recidiva. L’istruzione e la formazione sono cruciali, perché rappresentano un’occasione di riscatto e una grande opportunità per dare inizio ad una nuova vita” sottolinea l’assessore Luisa Regimenti. “Sovraffollamento, personale insufficiente, offerta sanitaria da potenziare: sono tante le criticità e le sfide degli istituti penitenziari del Lazio. Come ha più volte sottolineato il Presidente Rocca, la nostra attenzione sulle carceri sarà massima anche per consentire a chi ci lavora, come il personale della Polizia penitenziaria e medici ed operatori sanitari, di poter svolgere il proprio lavoro nelle migliori condizioni nell’interesse dei detenuti e della collettività” conclude l’assessore. Milano. “Ventenne picchiato in questura”: cosa è successo all’ufficio immigrazione di Andrea Gianni e Nicola Palma Il Giorno, 27 novembre 2023 Indagati otto poliziotti, sei uomini e due donne. La testimonianza del giovane, un tunisino senza permesso di soggiorno, acquisita in incidente probatorio: avrebbe confermato le botte. Per sette poliziotti l’accusa è di violenza privata, aggravata “dall’abuso dei poteri” e dalla “violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione”. Un ottavo agente, una donna, è indagato invece per aver assistito alla scena e non aver sporto denuncia “all’autorità giudiziaria o ai suoi superiori”. Il filmato sotto esame - L’episodio, finito al centro di un’indagine della Procura di Milano, è avvenuto lo scorso 5 ottobre in uno dei corridoi dell’Ufficio immigrazione della Questura, in via Montebello. È stato acquisito dai pm un filmato, realizzato dalla telecamera puntata sul corridoio, che riprende una parte della scena. Si vede uno straniero (poi identificato come un tunisino di 20 anni, senza permesso di soggiorno, portato lì dalle Volanti per “essere trattenuto e poi condotto presso un centro di accoglienza in attesa di rimpatrio”), discutere animatamente con un gruppo di poliziotti. Non sembra mostrare atteggiamenti particolarmente aggressivi, almeno fisicamente. Attorno alle 16.05 si nota uno dei poliziotti (entrato per ultimo nel settore coperto dalla telecamera) gesticolare e rivolgersi al tunisino in modo sempre più animato. Lo costringe a sedersi e poi lo colpisce con uno schiaffo al volto. Dopo pochi istanti lo afferra per un braccio e lo trascina verso il corridoio. Il tunisino si dimena e l’agente, aiutato da alcuni colleghi, lo blocca con la testa sotto il braccio e continua a trascinarlo. Un agente si aggrappa alle gambe, lo straniero finisce a terra. I poliziotti lo immobilizzano e lo sollevano di peso portandolo in un’area non coperta dalla telecamera, mentre una donna assiste senza intervenire. Una scena che dura, in tutto, poco meno di un minuto. In seguito, secondo le ricostruzioni della Procura, il giovane sarebbe stato “colpito con calci e pugni all’addome e al torace”. E uno dei poliziotti gli avrebbe sbattuto “ripetutamente il capo contro il muro”. La segnalazione interna - Per questo episodio sono quindi indagati otto agenti (sei uomini e due donne), in servizio all’Immigrazione e in altri uffici. Stando a quanto ricostruito, la comunicazione all’autorità giudiziaria è stata inoltrata proprio dalla Questura, a seguito di una segnalazione interna verosimilmente arrivata da altri poliziotti che hanno assistito all’accaduto. Il ventenne è stato sentito dagli investigatori della Squadra mobile, ma ha deciso di non sporgere denuncia. In ogni caso, il pm Giovanna Cavalleri ha chiesto e ottenuto l’acquisizione della testimonianza del tunisino, già ascoltato il 23 ottobre, con la formula dell’incidente probatorio, per cristallizzare le sue dichiarazioni, rendendole utilizzabili come prove in un eventuale futuro processo. Un passaggio motivato dal fatto che il nordafricano è stato trasferito al Cara di Gorizia e ha presentato una richiesta di “protezione internazionale”. Sia l’accoglimento dell’istanza sia un provvedimento di espulsione potrebbero comportare il “concreto pericolo” che l’uomo “non sia in futuro reperibile per un’audizione dibattimentale che verosimilmente avrà luogo in tempi non brevi”. E il trascorrere del tempo, si legge nella richiesta di incidente probatorio, potrebbe “pregiudicare irreparabilmente i ricordi”, mettendo a rischio anche un eventuale riconoscimento. L’incidente probatorio si è svolto nei giorni scorsi davanti al gip: il tunisino, in sostanza, avrebbe confermato l’episodio. “Abbiamo riscontrato la contraddittorietà di alcune delle sue dichiarazioni”, ha spiegato l’avvocato Piero Porciani tra i difensori, con gli avvocati Daddato e Mezzanotte, di alcuni degli agenti indagati. “Attendiamo - conclude - l’esito dell’inchiesta”. Venezia. Appunti dal carcere, progetto della cooperativa “Rio Terà dei pensieri” di Rossana Certini vita.it, 27 novembre 2023 Costruire e facilitare relazioni forti con lo scopo di abbattere le barriere e i pregiudizi. Questo uno degli obiettivi del progetto “Carcere, dentro c’è molto di più”, realizzato all’interno della Casa circondariale Santa Maria maggiore di Venezia dalla cooperativa “Rio Terà dei pensieri” e sostenuto da Intesa Sanpaolo in collaborazione con Fondazione Cesvi. Un workshop di storytelling e stampa serigrafica conclusosi con la realizzazione di dieci taccuini, veri e propri quaderni per appunti, realizzati in edizione limitata Lo spazio-cella. Cosa c’è dentro. Cosa manca dentro. Sono alcuni dei titoli dei dieci taccuini realizzati dai detenuti della casa circondariale Santa Maria maggiore di Venezia nell’ambito del progetto: Carcere, dentro c’è molto di più. Un percorso di riflessione personale realizzato grazie alla cooperativa Rio Terà dei pensieri e sostenuto da Intesa Sanpaolo in collaborazione con Fondazione Cesvi. Un workshop di storytelling e stampa serigrafica che ha coinvolto venti detenuti uomini e altrettanti studenti maggiorenni del master di specializzazione in Graphic design della Scuola internazionale di grafica di Venezia. “Il progetto si innesta all’interno dei laboratori di produzione di borse e serigrafia che come cooperativa svolgiamo da anni all’interno della casa circondariale di Venezia”, spiega Liri Longo, responsabile della attività interne al carcere per la cooperativa Rio Terà dei pensieri, “nel costruire questo percorso abbiamo cercato dei partner con cui lavorare sugli aspetti creativi della produzione che nel lavoro dei laboratori di solito non approfondiamo. È così che abbiamo coinvolto Cristina Zanato, della scuola di grafica, e il collettivo Artway of Thinking dando loro il compito di ideare e condurre dei workshop di storytelling e stampa serigrafiche per un gruppo di detenuti che è stato guidato nella riflessione sulla propria esperienza detentiva per far emergere gli aspetti relazionali, di convivenza e di vita all’interno di un carcere”. Per tre mesi venti detenuti e altrettanti studenti si sono incontrati, a cadenza settimanale o bisettimanale, per riflettere su dieci temi e sviluppare alcune tecnica grafica. Ogni singolo percorso narrativo si è trasformato in un taccuino, veri e propri quaderni per appunti realizzati in edizione limitata che possono essere acquistati presso il bookshop del Museo M9 di Mestre, la bottega Malefatte in Fondamenta Frari a Venezia e on-line sul sito di malefattevenezia.it “Il carcere è un luogo dove ognuno si ritaglia un proprio spazio e non permette a nessuno di entrarci”, racconta Andrea, 25 anni e un’esperienza di circa un anno della casa circondariale di Venezia, “il laboratorio ci ha aperto alla condivisione, una cosa rara in quel luogo. Durante i primi incontri ci guardavamo un po’ con sospetto. Questo è il linguaggio del carcere. Ma giorno dopo giorno, racconto dopo racconto si è avviato un processo che ci ha aperti alla fiducia reciproca. È come se tutti noi fossimo tornati indietro nel tempo a quando eravamo ragazzi e ci ritrovavamo il pomeriggio a casa degli amici di scuola. Una sensazione di libertà di espressione che non vivevamo da molto tempo”. Progetto: Carcere, dentro c’è molto di più - Venezia (Foto: cooperativa Rio terà dei pensieri) Il carcere, con le sue routine, può diventare un’abitudine che non dà spazio a nessuna emozione. Giornate tutte uguali scandite da riti che seguono il movimento delle lancette dell’orologio. Si legge in una delle pagine: “La mia giornata inizia alle 7.30 con un caffè. Poi alle 8.30 esco all’aria per fare esercizi fisici: 20 minuti di corsa, 400 addominali e 200 flessioni. Poi rientro in cella, mangio un frutto e uno yogurt, aspetto il pranzo. Poi gioco a carte con i miei compagni detenuti. Dalle 14.30 alle 15.20 palestra. Finita la palestra rientro in cella, doccia, mi cambio i vestiti e mi metto ai fornelli e preparo la cena per me e i miei compagni di cella. Finito di mangiare, scrivo una lettera alla mia compagna e ai miei figli. Alla chiusura delle 20 partita a scala 40 fino alle 21, camomilla, due biscotti e poi ci guardiamo un film. Alle 22.30, massimo 23, si spegne la tv e vado a dormire. Ecco come passo le mie giornate qui dentro”. E ancora: “Qui dentro tutto è senza colore metaforicamente ma anche fisicamente. Per questo a volte le persone scelgono di decora la loro cella con fotografie poster o disegnando sui muri”. Frasi frutto di una catarsi interiore che ha richiesto a questi uomini adulti, abituati spesso a non parlare delle loro emozioni, di avviare un lavoro faticoso di introspezione sfociato in schizzi neri, segni di colori e parole. In una pagina piena di disegni di volti tesi, uomini con la barba nera e pennellata di giallo si legge: “Un minuto di stupidità può portare a una sofferenza eterna. Questo il motto che sento spesso qui dentro e che non auguro a nessuno, perché fa tanto male”. Ogni taccuino si compone di sessanta pagine bianche al cui interno trova posto l’inserto illustrato realizzato dai detenuti e poi editato e stampato dagli studenti. “Saper fare ma, anche, prendere fiducia nelle proprie capacità ed emozioni”, conclude Liri Longo, “Li abbiamo coinvolti in un percorso progettuale e creativo che voleva contrastare la povertà educativa e la scarsa abitudine a entrare in contatto con le proprie emozioni che spesso caratterizza il carcere. Volevamo costruire e facilitare relazioni forti tra dentro e fuori, con lo scopo di abbattere le barriere e i pregiudizi. Volevamo far capire che lì dentro c’è molto di più che dei “detenuti”. I taccuini ora portano fuori le emozioni dei detenuti”. Gorgona (Li). Progetto “Recto Verso”, l’arte dell’olio raggiunge i detenuti quinewsvaldicornia.it, 27 novembre 2023 L’arte dell’olio insegnata ai detenuti dell’isola di Gorgona. Questo è possibile grazie al Progetto “Recto Verso” dell’Agriturismo biologico Santissima Annunziata di Beatrice Massaza tra i vincitori del Bando Sottomisura 16.9 “Diversificazione delle attività agricole in attività riguardanti l’assistenza sanitaria, l’integrazione sociale, l’agricoltura sostenuta dalla comunità e l’educazione ambientale e alimentare”, realizzato dal Programma di Sviluppo Rurale Regione Toscana. A questo progetto Confagricoltura ha dedicato un convegno domenica 26 vovembre, dalle ore 9 alle 14, presso il Cinema Teatro Verdi di San Vincenzo. Dopo i saluti di Tamara Mengozzi, vicesindaca del Comune di San Vincenzo, Beatrice Massaza presenterà il progetto. A seguire gli interventi di: Giuseppe Renna, Direttore Casa di Reclusione Isola di Gorgona; Perla Macelloni, Referente Area Amministrativa Casa di Reclusione Isola di Gorgona; Marco Neri, Presidente di Confagricoltura Toscana; Fabio Nicosia di Reale Mutua. Gorgona, la più piccola tra le isole dell’Arcipelago, dista 35 chilometri dalla costa livornese. Il territorio dell’isola è oggetto da tempo di un’importante attività agricola che viene svolta direttamente dai detenuti, per soddisfarne le aspirazioni di riscatto e riabilitazione, agevolarne il contatto con il mondo esterno e assicurarne l’accesso al lavoro. Il fabbisogno che si intende affrontare è intimamente legato alle condizioni di precarietà e marginalità sociale e psicologica che i detenuti si trovano forzatamente a vivere, con l’auspicio che la partecipazione attiva al Progetto Recto Verso possa accrescere le loro competenze e il grado di formazione professionale e dar luogo a concrete successive opportunità nel mondo del lavoro. Il progetto ha un duplice obiettivo: il primo è quello di fare dell’olivicoltura un modello utile ai lavoratori, ai produttori e ai consumatori attenti all’ambiente; il secondo è quello di impiegare ed educare detenuti, che a loro volta formeranno altre categorie, partendo dalla Casa di Reclusione situata sull’isola di Gorgona, nell’Arcipelago Toscano, dove si produce una varietà unica di olive ed è già presente un frantoio. Un percorso virtuoso che coniuga antichi saperi, innovazione e sostenibilità, e dove la componente sociale assume un significato preminente. Monza. Un formaggio solidale per sostenere il reinserimento dei detenuti di Andrea Papaccio Napoletano monza-news.it, 27 novembre 2023 Parmigiano reggiano solidale per sostenere i detenuti di Monza. L’associazione Carcere Aperto, che opera a favore dei reclusi della casa circondariale di Monza, propone una iniziativa di solidarietà in collaborazione con il circolo di Seregno delle Acli. Si tratta di acquistare del parmigiano reggiano, proveniente dal caseificio sociale Santa Lucia di Sestola, dove lavora un ex detenuto. Il formaggio sarà venduto in pezzi da 500 grammi, al prezzo di 10 euro ciascuno. Per partecipare all’iniziativa, bisogna prenotare il formaggio entro domenica 3 dicembre, scrivendo una mail a seregno@aclimilano.com o a pieranna.colzani@gmail.com, indicando il numero dei pezzi desiderati e un recapito telefonico. Il ritiro si effettuerà sabato 16 dicembre, presso la sede di Seregno delle Acli, in via Carlini 11, dalle 15 alle 18.30. I fondi raccolti saranno destinati a finanziare una borsa lavoro per un ex detenuto, per aiutarlo a reinserirsi nella società e a riqualificarsi professionalmente. Inoltre, Carcere Aperto si occupa di fornire ai detenuti di Monza beni di prima necessità, come vestiti, prodotti igienici e francobolli. L’associazione offre anche un piccolo contributo mensile ai più bisognosi, per consentire loro di acquistare generi di prima necessità e di telefonare ai propri cari. Firenze. “Le parole che riflettono”, incontro sulle scritture dal carcere nev.it, 27 novembre 2023 Nell’ambito del progetto “Nuove Storie Liberate”, promosso dal Collettivo Informacarcere del Centro Sociale Evangelico di Firenze, sabato 2 dicembre 2023, dalle 10 alle 17.30, si svolgerà presso la BiblioteCaNova di Firenze il convegno “Le parole che riflettono. Incontro sulle scritture dal carcere”. “L’iniziativa - spiegano i promotori - vuol essere l’occasione per un confronto tra varie esperienze di scrittura nei penitenziari italiani e per la promozione di nuove possibili collaborazioni con le realtà della società civile che vogliono prendersi cura delle storie private che “evadono” dalle carceri per farle diventare preziose testimonianze pubbliche”. Il convegno vedrà alternarsi la presentazione di esperienze di scrittura in carcere, con la presenza di autori e autrici, e testimonianze di esperienze di rielaborazione e diffusione nel territorio delle scritture dal carcere. Per maggiori informazioni sul convegno “Le parole che riflettono. Incontro sulle scritture dal carcere” e il progetto “Nuove Storie liberate” o per richiedere informazioni sulle pubblicazioni della collana editoriale “L’evasione possibile” è possibile contattare il Centro Sociale Evangelico, che la sua sede in via Manzoni, 21, a Firenze, tel. 055/2478476, mail: collettivocse.informacarcere@gmail.com. Roma. Teatro in carcere, “Le Donne del Muro Alto” presentano “Olympe” La Repubblica, 27 novembre 2023 Il progetto è promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma ed è vincitore dell’Avviso Pubblico biennale “Culture in Movimento 2023 - 2024”. Oggi, 27 novembre e domani, martedì, al teatro Centrale Preneste - via Alberto da Giussano, 58 a Roma -l’Associazione Per Ananke propone due incontri di formazione dal titolo Teatro in carcere: la drammaturgia contemporanea nei luoghi ristretti. Gli incontri saranno tenuti da Francesca Tricarico, regista e ideatrice del progetto teatrale Le Donne del Muro Alto, di cui quest’anno ricorre il decennale, rivolto a donne detenute, ex detenute e ammesse alle misure alternative alla detenzione e saranno seguiti dalla messa in scena dello spettacolo Olympe, pseudonimo di Marie Gouze, drammaturga e attivista francese che visse durante la rivoluzione francese: i suoi scritti femministi e abolizionisti ebbero grande risonanza. Il progetto. È promosso da Roma Capitale - Assessorato alla Cultura, è vincitore dell’Avviso Pubblico biennale “Culture in Movimento 2023 - 2024” curato dal Dipartimento Attività Culturali e realizzato in collaborazione con SIAE. La partecipazione alle due giornate è aperta agli operatori del settore ed al pubblico ed è gratuita, e offre inoltre agli studenti la possibilità di attivare crediti formativi. La drammaturgia nei luoghi ristretti. Gli incontri saranno l’occasione di analizzare la drammaturgia contemporanea nata nei luoghi ristretti, con particolare attenzione alle carceri femminili, ed ai linguaggi utilizzati nel teatro sociale soprattutto negli allestimenti con attori professionisti o semiprofessionisti provenienti da esperienze detentive. Al termine di ogni spettacolo la compagnia incontrerà il pubblico per confrontarsi sui temi, i percorsi e le modalità di realizzazione scelti per lo spettacolo stesso. Lo spettacolo Olympe. È scritto e diretto da Francesca Tricarico, interpretato dalle attrici ex detenute e ammesse alle misure alternative alla detenzione e con le musiche di Gerardo Casiello, è tratto dal romanzo La donna che visse per un sogno di Maria Rosa Cutrufelli, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, che nasce da un primo studio fatto nel 2015 all’interno del carcere Femminile di Rebibbia. La storia racconta gli ultimi mesi di vita di Olympe de Gouges che dedicò la sua vita e le sue opere ai diritti delle donne, ma anche dei neri, degli orfani, degli anziani, dei disoccupati, dei poveri. Il racconto parla dei giorni trascorsi in carcere fino al processo, che si conclude con l’esecuzione alla ghigliottina della protagonista. Vuole essere un invito a riflettere sui pericoli della censura, della negazione della libertà individuale e sull’importanza della cultura come arma di difesa contro le ingiustizie sociali. L’associazione Per Ananke. Nasce nel 2007, fin dalla sua costituzione, si occupa di teatro, in particolare teatro sociale, lavorando nelle carceri, centri per la salute mentale, scuole di ogni ordine e grado, università. Dal 2013 l’attività teatrale all’interno degli istituti di pena diventa l’attività principale dell’associazione con la nascita del progetto Le Donne del Muro Alto, prima nella Casa Circondariale femminile di Rebibbia, portato in seguito nella Casa Circondariale femminile di Latina e la Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso e oggi anche all’esterno con donne ammesse alle misure alternative alla detenzione ed ex detenute Roma. “Le donne del Muro Alto”, da dieci anni tra carcere e palcoscenico di Roberta Barbi vaticannews.va, 27 novembre 2023 Un compleanno speciale, quello della compagnia teatrale nata nel carcere femminile di Rebibbia dieci anni fa e oggi presente anche nel Nuovo Complesso e nella casa circondariale di Latina, celebrato a poca distanza dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Per festeggiare le detenute hanno portato in scena “Olympe”. “Spettacoli che non hanno paura di dire la verità” in faccia alla società, perché recitati da donne “già giudicate dal sistema”: tutto questo e molto altro sono “Le Donne del Muro Alto”, compagnia teatrale nata nel carcere femminile di Rebibbia a Roma nelle parole a Radio Vaticana - Vatican News di Francesca Tricarico, regista e fondatrice dell’associazione di teatro sociale “Per Ananke” che dieci anni fa diede il via a questo progetto. Da allora di strada ne è stata fatta tanta, alcune delle attrici sono uscite dall’istituto di pena, ma ancora oggi lavorano con la compagnia e hanno portato in scena, qualche giorno fa al Teatro India di Roma, lo spettacolo “Olympe” - tratto dal romanzo di Maria Rosa Cutrufelli La donna che visse per un sogno - storia di una paladina delle donne vissuta durante la rivoluzione francese, purtroppo ancora molto attuale e in tema con la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che ricorre il 25 novembre. Una storia di violenza e valori traditi - Olympe de Gouges era un’attivista che negli anni della rivoluzione francese lottò in favore dell’abolizione della schiavitù e per l’uguaglianza tra uomo e donna, autrice tra l’altro, nel 1791, di una provocatoria Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina: “Scriveva ai rivoluzionari: libertà, uguaglianza, fraternità, ma non per le donne! Si erano dimenticati delle donne! - ricorda Tricarico - Olympe grida al tradimento di una Costituzione tradita e infine viene ghigliottinata, nel 1793, quando scrive Le tre urne, un appello di ritorno al voto che coinvolgesse anche il diritto al voto delle donne”. La violenza contro le donne parte dunque da lontano ed è un tema sempre attuale che “Le Donne del Muro Alto”, con tutto il loro bagaglio di dolore e difficoltà, sentono particolarmente vicina e che si sono molto emozionate a portare in scena nelle due repliche a teatro e nell’anteprima all’Auditorium del Maxxi, il Museo delle arti del XXI secolo di Roma, date già sold out nella settimana precedente agli eventi. Il teatro come strumento di crescita per tutti - Gli spettacoli sono stati preceduti da incontri sul tema del teatro in carcere come strumento di emancipazione e prevenzione della recidiva: “Se guardiamo i dati, il teatro si conferma uno degli strumenti migliori per la lotta alla recidiva - testimonia ancora Tricarico - questa in Italia si attesta intorno al 70%, ma scende al 20% per quei detenuti impegnati in attività trattamentali di vario tipo, e arriva addirittura a record positivi del 6-7% per i detenuti attori”. Questo perché il teatro, in carcere come fuori, è uno strumento che affina la consapevolezza di sé e dell’altro, migliora il linguaggio e le relazioni tra le persone: “Ma c’è anche dell’altro - prosegue la regista - nel caso del teatro in carcere lo definirei un’azione di emancipazione collettiva, non solo per le nostre donne che recitano, ma anche per il pubblico che viene a vederle eliminando pregiudizi e migliorando così la società nel suo complesso”. E poi c’è sempre quell’articolo 27 della Costituzione “in agguato”, a ricordare che il carcere non dovrebbe essere punitivo, ma un sostegno a chi sbaglia: “In questi dieci anni si sono susseguiti periodo storici diversi - conclude Tricarico - a volte si è potuto fare di più perché a livello politico si credeva nelle possibilità di recupero e reinserimento, altre volte ci si è concentrati soprattutto sulla punizione che non porta mai a nulla di buono”. Dare un nome alla violenza sulle donne per riconoscere che esiste di Lucia Secchi Tarugi* Il Dubbio, 27 novembre 2023 Femminicidio è un neologismo, potremmo dire che nel suo significato attuale lo inventa, nel 1993, l’antropologa Marcela Lagarde che lo usa per dare un nome a quella forma estrema di violenza di genere diretta contro le donne, prodotto della violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato; una violenza che si realizza tramite una serie di maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale. Il femminicidio per la Lagarde non è solo l’atto di chi compie il reato, ma coinvolge anche lo Stato, che non si dimostra in grado di attuare le strategie per evitare che la donna si trovi in una posizione indifesa e di rischio e così la espone a sofferenze fisiche e psichiche, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia. In questo senso il femminicidio si differenza dal femicidio, termine che deve alla criminologa Diana Russell il merito di avere per prima individuato la natura politica, strutturale e genericamente connotata del fenomeno, per cui il femmicidio è l’uccisione, da parte degli uomini, delle donne, proprio perché donne. Nell’ordinamento penale italiano il termine femminicidio ha fatto il suo ingresso per la prima volta con il dl 93/2013 e poi nel 2019 con il Codice rosso. Non esiste, tuttavia, una definizione comune di femminicidio né tra i 27 Stati membri dell’Ue né nella letteratura scientifica. Femminicidio è una parola nuova, ancora da definire bene, che indica però un fenomeno antico e ci rammenta che, fino al 1981, nel codice penale c’era l’articolo 587, che prevedeva una pena molto ridotta per chi cagionava la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopriva l’illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia. Addirittura riteneva non punibili le percosse cagionate nelle stesse contro la persona. Dare al fenomeno il nome di femminicidio, vuol dire uscire da modelli di relazione basati sulla sottomissione e sopraffazione, comprendere che dove c’è violenza non esiste amore. Dare al fenomeno il nome di femmicidio significa portare avanti la rivoluzione culturale che vede uomini e donne uniti nel riconoscimento del valore l’uno dell’altra, nel rispetto reciproco, nel comprendere che la violenza contro l’altra è una violenza contro se stessi. Per dare al fenomeno il nome di femminicidio si deve partire dal considerare chi è la vittima, chi è l’autore e qual è il contesto in cui è avvenuto l’omicidio, per questo la Commissione Pari Opportunità del Cnf e la Fai hanno raccolto le storie delle vittime di “femminicidio” dal 25 novembre 2022 al 25 novembre 2023: riflettere sul loro sacrificio serve a dare un nome al femminicidio, ad identificare il fenomeno nei possibili aspetti e a combatterlo. Parafrasando Wittgenstein, secondo cui quando non abbiamo a disposizione una parola per esprimere un concetto, non possiamo formularlo, si può coniugare lo stesso pensiero: quando non abbiamo a disposizione una parola per esprimere un fenomeno, quel fenomeno non esiste. Ognuno di noi può dare il suo contributo per identificare il femminicidio, ognuno è tenuto a farlo. Aiutiamoci a dargli un nome. *Coordinatrice della Commissione Pari Opportunità del Cnf È tempo di insorgenze radicali, ecco perché sale la “marea” di Giorgia Serughetti* Il Domani, 27 novembre 2023 Da tempo non si vedeva una manifestazione di queste dimensioni, animata da persone giovani e giovanissime. Cos’è successo? Cosa c’è all’origine di quella che a tutti gli effetti appare come una nuova “ondata” del femminismo, e insieme come il ritorno di un più grande desiderio di politica? “Siamo marea”: da anni questo grido si leva dalle piazze del 25 novembre convocate dal movimento Non Una di Meno. Sabato più che mai è stata una marea, spesso disordinata: un popolo senza bandiere e simboli, centinaia di migliaia di donne, ma anche uomini e persone non binarie, scese in strada per dire “basta”. Basta all’orrore, al terrore che nasce da una violenza senza fine. La rabbia per la morte di Giulia Cecchettin e di tutte le altre si è trasformata in energia, in forza che scaturisce dall’agire insieme. Da tempo non si vedeva una manifestazione di queste dimensioni. Tantomeno animata, come questa, da persone giovani e giovanissime. Cos’è successo? Cosa c’è all’origine di quella che a tutti gli effetti appare come una nuova “ondata” del femminismo, e insieme come il ritorno di un più grande desiderio di politica? Contro l’oppressione - C’è il femminicidio, certo, la brutalità endemica che cancella le vite delle donne. È questo il motivo al cuore delle mobilitazioni che dal 2015, dall’Argentina al resto del mondo, hanno raccolto il motto “Ni una menos”, tratto dai versi della poetessa messicana Susana Chávez: “Ni una mujer menos, ni una muerta más” - né una donna in meno, né una morta in più. Però il movimento ha assunto, fin dal principio, l’aspetto di una protesta vigorosa contro tutte le forme di oppressione che si intrecciano alla violenza “machista”: lo sfruttamento nella sfera produttiva e riproduttiva, l’espropriazione di risorse comuni, l’aggressione all’ambiente che sostiene la vita, l’attacco al welfare. Questo, come scrive l’attivista e ricercatrice Veronica Gago, “ha trasformato un movimento contro il femminicidio, focalizzato sulla sola domanda “smettete di ucciderci”, in un movimento radicale, di massa, capace di connettere e politicizzare in modo inedito il rifiuto delle violenze”. Si trova qui il significato ultimo di quell’aggettivo “intersezionale”, che si affianca sempre più spesso alla parola “femminismo”. L’intuizione fondamentale è che per comprendere l’oppressione delle donne non possiamo ridurre la nostra attenzione a un unico fattore, ma dobbiamo indagare come tanti fattori - il genere, la classe, lo status migratorio, il colore della pelle, la sessualità - si intersecano tra loro, esponendo i gruppi sociali a forme diverse di vulnerabilità. Lessico della piazza - È grazie innanzitutto a questa ambizione, all’ampiezza e profondità del suo sguardo, che la protesta femminista sta dimostrando la capacità di incanalare il desiderio di politica di generazioni (non solo di donne) cresciute all’ombra della “post-democrazia”, di una democrazia disanimata. La capacità di incanalarlo in un movimento aperto, inclusivo, post-identitario, in cui il “noi” politico emerga più grande delle sue componenti. La dimensione di massa di queste mobilitazioni sembra avvantaggiarsi proprio della capacità di porsi meno interrogativi identitari - su chi è il soggetto che convoca, e quali sono i criteri per appartenervi - e più obiettivi politici legati a quello che Judith Butler ha chiamato il “diritto di apparizione”, il farsi presenza sulla scena pubblica delle domande di giustizia.cA unire le lotte è il tema della “vita”. Il bisogno di insorgere contro la paura per la vita propria e altrui. Ma anche di denunciare l’assenza di condizioni sociali capaci di garantire benessere, e felicità. È perciò, quello della piazza, un lessico che chiama alla trasformazione radicale del presente. Che non si articola in domande alle istituzioni, ma obbliga partiti, sindacati, membri del Parlamento ad esserci. E a trasformare in mozioni, politiche, leggi questo grande “rumore”. *Filosofa Si chiede alla scuola di insegnare l’affettività ma nessuno fa i conti con l’applicazione pratica di Nicola Belfiore* Il Fatto Quotidiano, 27 novembre 2023 “Bisogna intraprendere un percorso di educazione all’affettività e chi meglio della scuola per una diffusione capillare ed efficace”. Questa, da qualche giorno, l’affermazione rimbalzata sulla bocca di tutti e diffusa dai telegiornali nazionali. Sulla scia dell’ultima atrocità sull’ennesima donna, ecco che ritorna in ballo la scuola. Succede puntualmente ogni volta che i nostri governanti prendono coscienza, in un momento di lucidità mentale, del ruolo fondamentale e direi indispensabile che la scuola riveste nel nostro paese e in tutto il mondo. È stato così quando si è parlato, di educazione civica, ritornata ultimamente alla ribalta, ci siamo serviti della scuola per sensibilizzare le nuove generazioni sull’ambiente e sul riciclo dei materiali, abbiamo affrontato poi il periodo delle tossicodipendenze con progetti finalizzati, per non parlare dell’impegno profuso da parte dei docenti sulla dispersione scolastica del nostro sud, sul contrasto della delinquenza minorile, sulla riduzione dell’inquinamento del pianeta, sulla sensibilità crescente dell’inclusione e dell’omofobia; queste ed altre centinaia di tematiche che i docenti e gli alunni, nel rispetto dei dettami politici, sociali ed istituzionale, hanno portato e portano ancora adesso avanti con importanti risultati. Voglio infine ricordare il triste periodo della pandemia dove la volontà di “fare scuola” dei docenti ha superato ogni limite e limitazione. Si è fatto appello alle chat, ai messaggi, alle videochiamate, impegni 24h per chi non voleva eludere il diritto costituzionale allo studio. Nessuno si è risparmiato, e la scuola, ancora una volta, ha avuto un ruolo centrale e cruciale. Il mood è sempre lo stesso: se si vuole comunicare in modo capillare ed efficace con le nuove generazioni, gettando il seme del sapere, dell’informazione e della conoscenza, si deve sempre e comunque fare riferimento e affidamento alla grande istituzione scuola. Di contro, però, non si forniscono i mezzi e i materiali per portare avanti queste direttive di governo che spesso sanno di autocelebrazione e di strumentalizzazione gratuita a tempo. Cavalcare una angosciante notizia di cronaca per svegliarsi, dopo il torpore di decenni, e dire: dobbiamo diffondere nella scuola questo messaggio di convivenza di coppia, rispetto dei sentimenti e di affettività, è molto semplicistico e suscita corali applausi solo in Parlamento. Nessuno ha detto come, con quali mezzi e con quali fondi di investimento, perché di questo si tratta, di un investimento culturale sull’intera umanità e nei modi più efficaci che ci possano essere, ovvero, attraverso i canali deputati alla formazione di cervelli. I “correttivi sociali”, inneggiati con ipocrita convinzione, non hanno fatto i conti con l’applicazione sul territorio. Lo sanno bene i docenti quante difficoltà ci sono oggi a farsi ascoltare dagli alunni che ricalcano esempi di famiglie devastate e senza alcuna regola. Le scuole, spesso adattate a livello strutturale ad edifici fatiscenti e per nulla a norma, sono oggi, per la maggior parte, in serie difficolta di sopravvivenza, la favola della carta igienica è purtroppo una costante realtà anche in questo 2023, dove si parla di intelligenza artificiale. Non accenno neanche alle retribuzioni umilianti, in coda alle classifiche europee, perché è solo una piccola parte (fondamentale) del transatlantico scuola, scontratosi già da decenni contro il ghiaccio indistruttibile di un iceberg istituzionale e politico. Oggi i docenti, anche se depotenziati emotivamente e professionalmente, pensano sempre a qualcosa di nuovo ed innovativo per i nostri giovani in un impegno continuo per rinnovare ed interessare veramente chi ha voglia di apprendere. Si sperimentano mezzi attuali ed accattivanti per vivacizzare le lezioni scolastiche e far sì che i giovani possano innamorarsi della conoscenza e del sapere. Manca però la convinzione politica ed istituzionale di favorire e incentivare ogni singola iniziativa, progetto e proposta con la concretezza di interventi strutturali nel tempo in modo costante e duraturo, indispensabile per non abbandonare una così importante istituzione alla deriva di un oblio culturale che ci porterà, in una sorta di cane che si morde la coda, al nichilismo totale senza possibilità di invertire la rotta. *Insegnante per oltre 40 anni, oggi in pensione Dall’eutanasia al suicidio assistito: sostengo le scelte di fine vita perché difendo la libertà di Filomena Gallo* Il Dubbio, 27 novembre 2023 Ognuno è diverso ed è per questo che è giusto garantirci la possibilità di decidere se curarci, come e fino a quando. Ogni volta che qualcuno mi chiede perché sono a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito, spiego che non sono a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito ma della libertà e della possibilità di scegliere. Quasi ogni volta aggiungo che questa libertà e che questa possibilità di scegliere sono garantite dalla Costituzione italiana, principalmente dagli articoli 2, 3, 13 e 32 - ma dall’intera carta costituzionale che ruota intorno ai diritti fondamentali della persona. La nostra libertà è un bene prezioso e di cui dobbiamo continuamente prenderci cura perché, come per tutti gli altri diritti, non è una conquista garantita per sempre. Dopo la Costituzione, ci sono alcune leggi che hanno rinforzato la nostra libertà di decidere se e come curarci e la disponibilità del bene vita. Penso alla legge sulle cure palliative e sulla terapia del dolore e a quella sulle disposizioni anticipate di trattamento, che insiste sulla necessità di un consenso, sulla possibilità di negarlo e sulla legittimità di interrompere qualsiasi trattamento o macchinario. Il consenso e la libertà di cominciare un trattamento o un macchinario comprendevano già la possibilità di non darlo e di smettere, ma è comunque un bene che ci sia stata una dichiarazione esplicita (ogni persona ha “il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento”, si legge all’articolo 1 della legge 219 del 2017 Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento). La Corte costituzionale, due anni più tardi, ha dichiarato che una parte dell’articolo 580 è incostituzionale, cioè quando non esclude la punibilità dell’aiuto al suicidio in determinate condizioni (la decisione deve essere libera e autonoma, la persona deve avere una malattia irreversibile e avere sofferenze psicologiche o fisiche che lei ritiene intollerabili, deve essere tenuta in vita da un trattamento di sostegno vitale). Un altro pezzo di libertà, cui siamo arrivati grazie alla disobbedienza di Fabiano Antoniani e di Marco Cappato, andati in Svizzera perché qui c’era ancora quel resto di un codice normativo poco liberale e precedente alla nostra Costituzione - il Codice Rocco dell’articolo sull’aiuto o istigazione al suicidio che risale al 1930. Questa disobbedienza e le altre che sono seguite - Elena, Romano, Massimiliano, Paola - hanno lo scopo di condannare quel conflitto tra vecchie leggi e i principi costituzionali. Servono anche a rispondere alla immobilità della politica e del legislatore e a garantire più libertà. Ripenso spesso alle parole dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in risposta a Piergiorgio Welby: “Il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabile chiarimento”. Dal 2006, dall’anno della sua morte, non c’è stato che silenzio ed elusione di ogni responsabile chiarimento. E qualche disegno di legge che avrebbe peggiorato le condizioni delle nostre scelte. Una cattiva legge non serve, ovviamente. E nel frattempo le persone si ammalano, soffrono, non si vedono riconosciuti i propri diritti. L’ultimo caso è quello di Sibilla Barbieri, costretta a prendere un aereo, accompagnata dal figlio Vittorio e da Marco Perduca, per andare anche lei in Svizzera e per poter interrompere una vita diventata per lei diventata intollerabile. Voglio chiarire che la scelta di Barbieri e Antoniani - così come la scelta di qualsiasi altra persona non è un giudizio sugli altri. Siamo fatti diversamente ed è anche per questo che è giusto garantirci la possibilità di decidere, ognuno per sé, se curarci, come curarci e fino a quando. Nelle stesse condizioni cliniche si può ovviamente scegliere cose diverse e ogni scelta dovrebbe essere riconosciuta. Dal diritto di accedere alle cure e alle diagnosi alla possibilità di contenere i sintomi dolorosi, dalla sedazione profonda al suicidio assistito - e fino alla eutanasia vera e propria. Sono tutte declinazioni della nostra libertà e sono tutte scelte legittime, una volta stabilite le condizioni del suo esercizio. Nella immobilità politica, come Associazione Luca Coscioni abbiamo scritto e promosso una proposta di legge regionale che si chiama “Liberi Subito” e che serve a rimediare a un limite della sentenza 242, non avere cioè tempi e procedure certi per la verifica delle condizioni previste dalla Corte. Non avere un limite temporale può significare vanificare quel diritto, perché tra ritardi e attese le persone decidono di organizzarsi diversamente oppure muoiono mentre aspettano - penso sempre a Daniela, una donna di 37 anni che è morta in attesa dell’udienza in tribunale dopo il diniego da parte della sua ASL. Mi auguro che nessuno più debba aspettare per avere una risposta, che nessuno debba soffrire per più tempo di quanto è capace di tollerare. Mi auguro insomma che i nostri diritti siano presi sul serio e protetti. *Avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni Pace e sviluppo, i tre lati del problema di Mauro Magatti Corriere della Sera, 27 novembre 2023 L’Occidente, dove il livello di secolarizzazione tocca livelli mai visti, soprattutto in Europa, fatica a capire il punto. L’intreccio tra politica e religione costituisce uno dei nodi centrali dell’agenda contemporanea. In Ucraina, Putin ha utilizzato l’ombrello che gli ha offerto la chiesa ortodossa, guidata dal patriarca Kirill, per legittimare l’invasione condotta in nome “della difesa dei valori della tradizione della Grande Madre Russia”. Ormai da quasi mezzo secolo - cioè dalla creazione della prima Repubblica islamica nata in Iran nel 1979 dopo la rivoluzione khomeinista - il complesso e variegato mondo islamico è in uno stato di continua ebollizione, alla ricerca di una posizione da assumere rispetto alla sfida che viene dalla scienza, dalla tecnologia, dal benessere, dalla democrazia del mondo occidentale. Una tensione che è tornata ai livelli di massima intensità con il barbaro attacco di Hamas e la reazione di Israele. Ancora, l’intreccio tra politica, economia e religione si vede molto bene nell’ascesa dell’India guidata dal nazionalista indù Modi, così come nei focolai che si registrano nei Balcani e nel Nagorno Karabakh. L’intreccio tra interessi materiali di tipo politico-economico e visioni religiose non è certo una novità e accompagna da sempre le vicende della storia. Semplicemente perché le religioni sono una risorsa simbolica per l’azione politica. E viceversa: da sempre le religioni usano la politica per affermarsi o semplicemente per sopravvivere. L’Occidente - dove il livello di secolarizzazione tocca livelli mai visti, specie in Europa - fatica a capire il punto. L’ultima volta in cui gli Stati Uniti usarono dei riferimenti religiosi per sostenere le proprie azioni politiche risale alla presidenza di George Bush. Ma sono passati vent’anni. E nessuno oggi pensa più di tornare a quel tipo di impostazione. La netta separazione tra politica e religione costituisce infatti un tratto distintivo del nostro percorso storico che, come ricordano gli storici, ha strettamente a che fare con alcuni elementi distintivi della religione cristiana. Così, oggi noi facciamo fatica a capire quanto la religione continui a pesare sulla decisione politica. Una sottovalutazione che da un lato ci espone a dei rischi - non capire cosa muove effettivamente gli altri mondi - e a degli errori - cercare la soluzione nella direzione sbagliata. Nel suo percorso, l’Occidente secolarizzato ha abbandonato ogni riferimento trascendente, convincendosi che tutto si debba decidere esclusivamente in relazione alla vita concreta - teoricamente di ogni singolo individuo - qui sulla Terra. In questa prospettiva, il legame che la politica riconosce non è più con la religione, ma semmai con la scienza e la tecnica, che giocano un ruolo fondamentale per il miglioramento delle condizioni di vita. La nostra politica - che già Machiavelli pensava dovesse essere valutata per la sua capacità di raggiungere risultati piuttosto che per la sua aderenza a principi morali - si legittima integrando la crescita economica con la ricerca scientifica e l’innovazione tecnica. Qui sta il punto. Perché è chiaro che, all’interno delle cosiddette società avanzate, la tecnica ha preso il posto della religione nell’orientare, se non addirittura guidare, l’azione politica. Accrescere attraverso i mezzi tecnici le possibilità di vita individuali diventa il fine politico. Al fondo c’è il tema della potenza, che guida ogni forma organizzata di potere, come realizzazione di ciò a cui si mira in ultima istanza. Da noi, oggi la potenza ha a che fare con il benessere dei cittadini, l’unica “salvezza” che riusciamo a concepire. Altrove, invece, le metriche con cui si valuta l’azione politica continuano a essere influenzate da considerazioni di tipo religioso. La libertà religiosa - che è la soluzione adottata dal modello occidentale (realizzatasi soprattutto negli Stati Uniti nel quadro delle diverse confessioni cristiane) - è esattamente ciò che viene rifiutato. In un certo senso, quando si ammette la libertà religiosa, il problema ha già le premesse per essere risolto. La situazione nella quale ci troviamo oggi vede le religioni non secolarizzate - incardinate in poteri politici nazionali - che non disdegnano l’uso della scienza e della tecnica (si pensi ai droni dell’Iran) per raffermare la propria potenza contro gli occidentali “senza Dio”. Per questa ragione, se si vuole trovare il modo di convivere nel mondo globalizzato occorre discutere i tre lati del prisma costituito da politica, religione e tecnica. Sciogliere questo nodo non sarà semplice. Detto che non è pensabile (né auspicabile) una situazione in cui qualcuno abbia il monopolio della violenza (cioè della politica) su scala globale, la lotta di tutti contro tutti può essere evitata solo sviluppando strumenti, istituzioni e metodologie di dialogo negoziale. Sapendo che le poche esperienze istituzionali che abbiamo - Onu, Fmi, Wto o le Cop per il cambiamento climatico - sono ancora molto fragili, e di fatto inadatte a comporre le tensioni che continuamente risorgono sul piano planetario. Il tempo che stiamo attraversando è caratterizzato da una novità strutturale che pone problemi inediti. La possibilità di andare in una direzione positiva ha a che fare con la comprensione che il problema che dobbiamo risolvere ha tre (non solo due) lati. Stati Uniti. “In isolamento per un terzo della mia vita, denuncio la Pennsylvania per tortura” di Montana Bell* L’Unità, 27 novembre 2023 Ho tentato il suicidio il primo giorno di isolamento facendo un cappio con la maglietta e legandolo a una presa d’aria della cella. Quando ho informato le guardie delle mie idee suicide, hanno detto: “Vai avanti e ucciditi”. Ho provato altre tre volte quella notte. Ero stato messo in questa unità di isolamento in una prigione di una remota città della Pennsylvania insieme ad altri 40 uomini. Siamo rimasti chiusi nelle nostre celle, da soli, per 22-24 ore al giorno, sotto luci che non venivano mai spente, con le guardie che bussavano alle pareti per assicurarsi che non potessimo dormire. La privazione del sonno è stata condannata dalle Nazioni Unite, che hanno invitato gli Stati Uniti a vietare questa pratica. Il Dipartimento penitenziario afferma che l’unità è destinata a ospitare membri di bande, ma io non ero un membro di una banda. Era solo per isolarci, abusare di noi e controllarci con il pretesto di sicurezza per un periodo di tempo indefinito. Gli esperti di salute mentale hanno dimostrato che l’isolamento ha effetti dannosi e di lunga durata, tra cui tassi più elevati di suicidio, depressione e ansia. L’isolamento può essere una condanna a morte: uno studio del 2019 ha dimostrato che un periodo di tempo trascorso in isolamento aumenta il rischio di morte del 24% entro un anno dall’uscita, soprattutto per suicidio. Ho 31 anni, sono in carcere dal 2013 e ho già trascorso in isolamento un terzo della mia vita. Quando sono entrato, mi sono stati diagnosticati ansia, disturbo antisociale di personalità, depressione e disturbo da stress post-traumatico. Avevo bisogno di un trattamento di salute mentale competente, invece, appena arrivato alla prigione di Fayette, sono stato messo in isolamento nella Security Threat Group Management Unit dove i miei problemi mentali sono peggiorati in modo esponenziale. Ho iniziato a comportarmi come le vittime di tortura: restavo sveglio per due o tre giorni, sperimentando deliri e allucinazioni. Ho sbattuto la testa contro le pareti della cella e mi sono tagliato il polso e le caviglie. L’Unità di gestione dei gruppi di minaccia alla sicurezza era così riservata che persino gli altri detenuti nel carcere non sapevano come venivamo trattati, tanto meno il mondo esterno. Con altri prigionieri - Ronnie Johnson, Kareem Mazyck, Angel Maldonado, Xavier Pagan e altri - abbiamo iniziato a provare a comunicare gridando di cella in cella. Poi, abbiamo deciso di intentare una causa per contestare la punizione crudele e inusuale che abbiamo dovuto affrontare nell’Unità. Facevamo a turno, sfruttando il nostro tempo limitato fuori dall’isolamento, andando alla biblioteca giuridica della prigione, spesso perdendo la nostra unica opportunità di vedere la luce del sole, per leggere la giurisprudenza. Nel frattempo, molti di noi hanno tentato il suicidio. Abbiamo cercato di incoraggiarci a vicenda. Lottando contro l’insonnia e le allucinazioni, ho completato la bozza della nostra istanza, scrivendola scrupolosamente a mano fino ad arrivare a 23 pagine. Con le nostre prove legali, l’intera causa era lunga 300 pagine. Abbiamo affermato che la tortura e gli abusi da parte dell’Unità nei confronti di persone con gravi malattie mentali costituiscono una punizione crudele e inusuale, una violazione dell’Ottavo Emendamento della Costituzione americana. Abbiamo spedito la nostra argomentazione legale scritta a mano fuori dal carcere a un amico, Tyree Little, un ex detenuto che l’ha presentata al tribunale nell’ottobre 2022. Da quando abbiamo intentato la nostra causa, il Dipartimento penitenziario ha ridotto l’Unità di gestione dei gruppi di minaccia alla sicurezza a meno di 10 persone, ma ci sono ancora più di 1.000 detenuti nelle carceri della Pennsylvania che soffrono in altre unità di isolamento. Io, ad esempio, anche se a maggio sono stato trasferito dal carcere di Fayette, mi trovo in isolamento in un’altra prigione statale. Il luogo può cambiare, ma la tortura e l’abuso dell’isolamento indefinito rimangono gli stessi. Il Dipartimento penitenziario della Pennsylvania può porre fine a questa tortura oggi stesso, risparmiando denaro, quasi 75 milioni di dollari all’anno se chiudono l’Unità di isolamento. Possono seguire le regole “Nelson Mandela” delle Nazioni Unite sul trattamento dei prigionieri, che vietano più di 15 giorni consecutivi in isolamento. New York, New Jersey e Connecticut hanno preso l’iniziativa di limitarlo ed è stato introdotto un disegno di legge federale per vietarne la pratica nelle carceri federali di tutta la nazione. Abbiamo intentato questa causa per porre fine alla tortura che stavamo subendo. Abbiamo lottato per la nostra libertà. Dall’interno di queste mura carcerarie, esortiamo la Pennsylvania a cessare gli abusi, le torture e le violenze sulle migliaia di detenuti in isolamento. *Montana Bell ha trascorso 12 anni in prigione, da 10 anni è in isolamento ed è il primo firmatario della causa contro il Department of Corrections della Pennsylvania (pubblicato il 15 novembre 2023 su The Inquire)