Meno carcere preventivo e più garantismo. Il piano di Nordio di Luca Sablone Il Giornale, 12 marzo 2023 Il ministro è al lavoro per contrastare l’abuso della carcerazione preventiva: si vuole trasformare la visione “carcerocentrica della sanzione penale” e offrire maggiori garanzie ai cittadini. Il centrodestra lo aveva promesso in campagna elettorale e nei primi mesi di governo ha già imboccato la strada per tenere fede a quanto detto: sarà una legislatura di grandi riforme. Tra i principali ambiti su cui l’esecutivo intende intervenire rientra quello della giustizia, con una serie di modifiche e novità per affermare con nettezza il sano e sacrosanto principio del garantismo puro. All’orizzonte si intravedono segnali positivi che lasciano ben sperare per un imminente provvedimento su una questione di grande rilievo. La carcerazione preventiva - Stando a quanto riferito da Il Messaggero, a stretto giro c’è da attendere una misura per quanto riguarda il contrasto all’abuso della carcerazione preventiva muovendosi su due binari: da una parte trasformare la visione “carcerocentrica della sanzione penale”; dall’altra far sì che i cittadini possano contare su maggiori garanzie. Una mossa che conferma come il governo guidato da Giorgia Meloni sia improntato sul garantismo. In particolar modo Carlo Nordio vorrebbe ridurre la possibilità che una persona venga incarcerata prima di essere processata e condannata, ovviamente “salvo casi di flagranza”. Il ministro della Giustizia vorrebbe partorire un dispositivo che poggiasse le basi su una massima ben precisa: “I detenuti non sono tutti uguali, così come i reati non sono tutti uguali”. Fermo restando che di fronte ad alcuni reati estremamente gravi il pugno duro rimane fondamentale. Sulla “differenziazione” dei reati sarà necessario fare sintesi comune: Palazzo Chigi dovrà tenere conto delle varie sfumature dei partiti di maggioranza, comunque determinati nel promuovere una riforma in senso liberale e garantista. In sostanza non si vuole più calpestare la presunzione di innocenza nel corso delle indagini. Tra le ipotesi rientra quella di affidare la decisione non a un solo giudice, ma a un pool di sei giudici “che dovranno essere in maggioranza per validare la misura”. Anche sul numero dei magistrati occorrerà un confronto politico. I pilastri della riforma - La volontà è quella di presentare entro maggio vari disegni di legge con procedura d’urgenza “riguardanti la procedura penale e che avranno un impatto molto rilevante”. In queste settimane Forza Italia si è mostrato molto attivo in Parlamento, con una serie di proposte che testimonia l’intenzione del partito azzurro di dare seguito alle proprie battaglie e alle istanze raccolte dalle istituzioni e dai cittadini. Ad esempio a dicembre i forzisti hanno depositato una proposta di legge per riformare l’abuso d’ufficio, in quanto la norma in vigore viene definita “desueta” e anche particolarmente “dannosa sotto il profilo della pendenza del giudizio”: si vogliono ridurre i potenziali effetti negativi, specificando che il reato verrebbe circoscritto nel caso in cui dovesse avvenire “consapevolmente” e arrecando “direttamente” ad altri un danno ingiusto. Nordio: “Sulla custodia cautelare deciderà un pool di giudici” di Francesco Malfetano Il Messaggero, 12 marzo 2023 Il Guardasigilli: “Un team al posto del gip”. Ma il governo frena sulla riduzione dei reati. Il 2023, si sa, per Giorgia Meloni “deve essere l’anno delle grandi riforme”. In attesa del via all’iter del Presidenzialismo e di capire in che modo l’Autonomia differenziata possa non penalizzare alcune Regioni, il governo sembra puntare deciso le sue fiches sulla giustizia. “Entro maggio - ha infatti garantito ieri ad un convegno a Treviso il Guardasigilli Carlo Nordio - saranno presentati vari disegni di legge con procedura d’urgenza riguardanti la procedura penale e che avranno un impatto molto rilevante”. Gli assi portanti di quella che sarà un intervento volto a “garantire certezza del diritto e della pena”, non sono però solo quelli dati per scontati fino ad oggi. Oltre alla revisione dei reati di abuso d’ufficio e traffico di influenze, tra le norme che il ministro vorrebbe in dirittura d’arrivo fa capolino anche il contrasto alla carcerazione preventiva. Ovvero, a riprendere le parole usate da Nordio durante un evento alla London school of economics pubblicate ieri dal Foglio, si proverà a ridurre “la possibilità che una persona venga incarcerata prima del processo, salvo casi di flagranza”. I reclusi in attesa di primo giudizio o con condanna non ancora definitiva in effetti in Italia sono quasi il 30% tra i detenuti, attestando la Penisola fra i paesi europei che fa maggiormente ricorso alla custodia cautelare. Non solo, l’inquilino di via Arenula vorrebbe un dispositivo che ammettesse come “i detenuti non sono tutti uguali, così come i reati non sono tutti uguali”. Cioè trasformare la visione “carcerocentrica della sanzione penale”, offrendo maggiori garanzie ai cittadini. Tant’è che secondo il ministro il ricorso alla carcerazione preventiva non dovrebbe più essere disposto da un solo giudice, ma da “un pool di sei giudici che dovranno essere in maggioranza per validare la misura”. Le intenzioni garantiste di Nordio sono evidenti e perfettamente in linea con la sua storia da ex pm. Posto però che già in altre occasioni sono rimaste frustrate, ora bisognerà capire in che modo possano tradursi in delle norme condivise dall’intera maggioranza. Questa porzione di riforma infatti rischia di essere particolarmente divisiva per il centrodestra. Basti pensare che appena lo scorso anno Fratelli d’Italia, in contrasto con la Lega sul punto, chiese ai propri elettori di votare “no” al quesito del referendum che prevedeva l’abolizione della custodia cautelare eccetto che per reati gravi, perché giudicato troppo permissivo (sarebbero cioè rimasti esclusi i reati contro la pubblica amministrazione, contro il patrimonio, la libertà personale e persino sessuale in assenza di chiari indizi di violenza). La mediazione risulta però già in atto. A quanto trapela Giorgia Meloni guarderebbe con favore “all’aumento delle garanzie”, e quindi all’istituzione di un pool di giudici al posto del gip. Tuttavia il numero non torna. “I sei di cui parla Nordio sono probabilmente il risultato di un’esagerazione narrativa” spiega una fonte vicina al dossier. Con maggiore probabilità quindi, i nascenti pool potrebbe essere dimezzati, cioè composti da soli tre magistrati. Compromesso questo, su cui il governo prevede tra l’altro una “facile convergenza” del Terzo polo. Più difficile la trattativa tra Nordio, FdI, Lega e Forza Italia per quanto riguarda la “distinzione tra i reati”. Cioè per la premier i presupposti per le misure cautelari devono rimanere gli stessi. Un po’ come per il referendum dello scorso anno in pratica, Meloni teme che per limitare un abuso si finisca con l’allargare troppo le maglie della giustizia, con un effetto boomerang che preferirebbe evitare. All’idea di Nordio di “differenziare” i reati più gravi da quelli meno impattanti, ad esempio legati alla tossicodipendenza, si valuta di opporre una pena alternativa. E cioè fare un maggiore ricorso alle strutture riabilitative, anziché costringere i detenuti a corsi rieducativi che non impattano sulla dipendenza. Il testo “è ancora tutto da scrivere” garantiscono a via Arenula, ma che il percorso sarà quantomeno accidentato non lo mette in dubbio nessuno. Anche sul reato di abuso d’ufficio ad esempio, sono palesi le divisioni tra ministro, vice e sottosegretari di area (Andrea Delmastro di FdI, Francesco Paolo Sisto di FI e Andrea Ostellari), e quindi il ruolo di ago della bilancia spetterà a palazzo Chigi. Meloni e il sottosegretario Alfredo Mantovano però, sono già pronti. L’obiettivo è arrivare alla tappa dei primi sei mesi di permanenza a palazzo Chigi con un grande risultato da rivendicare. E la riforma della giustizia può essere quello giusto. Gli annunci di Nordio: budget bloccato sulle intercettazioni e mani legate al pm sugli arresti di Liana Milella La Repubblica, 12 marzo 2023 Non più il solo gip per vagliare le richieste d’arresto del magistrato, ma un collegio con tre toghe, cui si aggiungono quelle del riesame. È durata solo 44 giorni la tregua di Carlo Nordio sulla politica degli annunci di quello che farà in futuro. Quel 26 gennaio, a palazzo Chigi, il Guardasigilli era stato convocato da Giorgia Meloni per mettere a tacere le polemiche sulle sue uscite sia in Parlamento che sui media. Il colloquio fu definito cordiale, e fu fatta girare una foto con la premier che sorrideva estatica al suo ministro della Giustizia. Per 44 giorni Nordio s’è comportato bene, anche perché ha obbedito fedelmente - su Cospito, su Delmastro, e adesso su Cutro - alla linea meloniana. Pene dure o durissime per reati inesistenti (Rave) o che già esistono (Cutro e gli scafisti). Alla Camera lo svarione sul reddito di cittadinanza - Ma ecco che la voglia di annunciare quello che farà prende il sopravvento. In particolare sul potere di arresto dei pm e sulle intercettazioni. Per giunta alla vigilia di una settimana che si annuncia pesante per lui. Visto che da domani in aula alla Camera è previsto il disegno di legge sui reati perseguibili a querela con la possibilità di correggere, proprio qui, lo svarione sul reddito di cittadinanza cancellato assieme al reato di appropriazione indebita. Enrico Costa di Azione aveva fatto una sua proposta, che però è stata fermata in commissione Giustizia dal vice ministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto proprio con l’assicurazione del governo che ha annunciato un suo passo. E qui, tra Nordio e il Pd, durissimo con la capogruppo Debora Serracchiani sulla cancellazione del reato, si preannunciano scintille. Ma in aula è prevista pure la discussione di una serie di mozioni sulla giustizia, a partire da quella di Maurizio Lupi, che chiedono il rispetto della presunzione d’innocenza. Troppi soldi per le intercettazioni - E che fa il Guardasigilli Nordio? Annuncia adesso quello che ha in programma di fare tra due mesi. Supposto che la sua linea “garantista” riesca a sopravvivere rispetto al giustizialismo della destra. Eccolo attaccare, in un convegno sui costi della giustizia nella “sua” Treviso - la città in cui vive - i pm spendaccioni sulle intercettazioni. Nordio stringerà i cordoni della borsa tagliando pure gli ascolti. “Resteranno per reati gravissimi o quando siano ritenute necessarie, ma ogni ufficio giudiziario deve avere un budget da non sforare” promette Nordio. Assicura che non si toccano per mafia e terrorismo. Ma sugli altri reati cade la scure della parsimonia. Perché, spiega, “ci sono state impressionanti spese per processi di altra natura che si sono risolti nel nulla”. Cita il caso di una procura italiana (è quella di Pesaro) dove “sono stati spesi 4 milioni per un’indagine di 5 anni a carico di amministratori finita nel nulla”. E aggiunge: “Sono soldi sprecati, come quasi sempre nelle intercettazioni”. Per questo annuncia che “dev’essere previsto un budget, come per acquistare una fotocopiatrice”. E - ce lo consentirà Nordio - il paragone non calza, perché su una fotocopiatrice si possono paragonare modelli e costi, ma sul destino progressivo di un’indagine fare i “maghi” è complicato. Ma tant’è. L’annuncio c’è tutto. Meno intercettazioni in futuro. Taglio dei budget. Meno reati intercettabili, e vedremo se il ceppo della corruzione si salva dalla scure della riforma nordiana. Tre giudici “marcheranno” il pm - “Entro maggio saranno presentati vari disegni di legge con procedura d’urgenza riguardanti la procedura penale e che avranno un impatto molto rilevante”. Questo l’annuncio di Nordio sempre a Treviso. E tra questi un suo “pallino” che lo avvicina più agli avvocati che non ai magistrati. La fine di un unico giudice - il gip, il giudice per le indagini preliminari - per decidere sulle richieste di arresto dei pubblici ministeri. Sul Foglio di ieri, il direttore Claudio Cerasa, assicurava di aver ascoltato un audio dello stesso Nordio registrato il primo marzo a Londra, nel corso di un dibattito con gli studenti alla London school of economics. Nel quale Nordio avrebbe detto che a dare il via libera agli arresti “non sarà più un solo giudice, ma un pool di sei giudici che dovranno essere in maggioranza per validare una carcerazione preventiva”. Il che comporterebbe - se fosse così - un enorme ampliamento dell’organico delle toghe. Nordio ha annunciato che nel corso di quest’anno si svolgeranno tre concorsi, due sono già in itinere, il terzo lo stesso Nordio lo ha appena chiesto al Csm. Ma una simile riforma comporterebbe una vera rivoluzione della giustizia. E di certo i tempi dei processi, anziché accorciarsi come chiede l’Europa, si allungherebbero. Il codice dei crimini di guerra - L’unica buona notizia che arriva da Nordio è quella sul codice dei crimini di guerra. Partito per iniziativa della ex Guardasigilli Marta Cartabia, il codice è pronto. Nordio parla di “un codice fatto molto bene, sul quale abbiamo lavorato per quattro mesi, un fiore all’occhiello di questa prima parte della riforma penale, perché ci allinea con la gran parte dei Paesi europei”. Sarà presentato domenica prossima a Londra nel corso della conferenza internazionale con i ministri della Giustizia di tutto il mondo, per promuovere le indagini della Corte penale internazionale dell’Aja sui crimini di guerra commessi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. I consigli del ministro Nordio ai pm: “Lavorate meno” di Paolo Frosina Il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2023 “Il consiglio che dò ai miei colleghi è lavorare di meno e selezionare in modo più accurato quello che è l’oggetto del contendere, soprattutto in diritto penale”. Poi assicura: “Entro maggio pronta la riforma sulla procedura penale”. Il guardasigilli a un evento a Treviso consiglia agli ex colleghi di “selezionare in modo più accurato quello che è l’oggetto del contendere, soprattutto in diritto penale. Il pericolo che i nostri colleghi corrono è quello di non saper decidere quando si è stanchi e dunque a rischio di commettere errori”. E sulle intercettazioni dice: “Sono soldi sprecati, come quasi sempre nelle intercettazioni. Deve essere previsto un budget, così come per acquistare una fotocopiatrice” Lavorare di meno. È questo il consiglio che Carlo Nordio, ex pm diventato ministro della Giustizia, dà ai magistrati delle procure. “Il consiglio che dò ai miei colleghi è lavorare di meno e selezionare in modo più accurato quello che è l’oggetto del contendere, soprattutto in diritto penale”, ha detto il guardasigilli, durante un incontro a Treviso. L’obiettivo di Nordio non è tanto attaccare i magistrati ma scagliarsi contro l’obbligatorietà dell’azione penale. “Da magistrato - ha sottolineato - spesso critico verso i propri colleghi, dico che in quanto a preparazione e lavoro i nostri magistrati sono i primi in Europa. Estremamente produttivi e preparati. Purtroppo si devono occupare anche di cose futili, in penale, perché l’azione è obbligatoria, in civile per burocrazie e complessità di procedure che rallentano il loro lavoro. In Italia si fanno tante cause inutili perché non si rischia nulla a parte la parcella dell’avvocato”. Secondo l’inquilino di via Arenula il problema è che non esiste la “lite temeraria, che c’è ma non è abbastanza dissuasiva, e la querela temeraria. Il pericolo che i nostri colleghi corrono è quello di non saper decidere quando si è stanchi e dunque a rischio di commettere errori”. Nordio ha poi dettato la deadline delle sue riforme, annunciate nei mesi scorsi durante le audizioni nelle commissioni parlamentari. “Entro maggio saranno presentati vari disegni di legge con procedura d’urgenza riguardanti la procedura penale e che avranno un impatto molto rilevante”, ha assicurato, spiegando di avere già pronta una riforma. “Stiamo portando a compimento il Codice nazionale dei crimini contro l’umanità che presenteremo alla Conferenza di Londra che avrà luogo domenica prossima”, ha detto spiegando che “noi siamo una delle ultime nazioni ad esserne sprovviste; si tratta della fissazione dei criteri dei crimini contro l’umanità fissati a suo tempo dal Processo di Norimberga. È un codice fatto molto bene, ci abbiamo lavorato quattro mesi ed è un fiore all’occhiello di questa prima parte della riforma penale, perché ci allinea con la gran parte dei Paesi europei. È un forte segnale di attenzione che questo Governo ha verso questa forma di criminalità per la tutela dell’umanità in generale”. Il dibattito a Treviso per Nordio è stata una nuova occasione per scagliarsi contro le intercettazioni. “Le intercettazioni resteranno con reati gravissimi o quando siano ritenute necessarie, ma ogni ufficio giudiziario deve avere un budget da non sforare”, ha spiegato il ministro. “Mafia e terrorismo non si toccano - ha sostenuto - ma ci sono state impressionanti spese per processi di altra natura che si sono risolti nel nulla. Spendiamo 200 milioni di euro per le intercettazioni, in una Procura italiana sono stati spesi soltanto 4 milioni per un’indagine di 5 anni a carico di amministratori finita nel nulla. Sono soldi sprecati, come quasi sempre nelle intercettazioni. Deve essere previsto un budget per le intercettazioni, così come per acquistare una fotocopiatrice. Su questo faremo una riforma”. Veneto. Giustizia civile, il costo delle cause-lumaca. Nordio: “Ora assumiamo” di Martina Zambon Corriere del Veneto, 12 marzo 2023 “Troppe leggi e spesso contraddittorie, le sfoltiremo presto”. Il guardasigilli Carlo Nordio torna nella sua Treviso, “a cento metri da dove sono cresciuto”, e interrompe un silenzio durato due mesi “ma nel frattempo si è lavorato, già a maggio presenterò in consiglio dei ministri vari disegni di legge con procedura d’urgenza riguardanti la procedura penale e che avranno un impatto molto rilevante”. Certo, difende la linea dura sul caso Cospito e annuncia che anche l’Italia, a breve, avrà finalmente il suo “Codice nazionale dei crimini contro l’umanità”, rassicura il padrone di casa, il sindaco e presidente Anci Mario Conte sui giorni contati per la “paura della firma” degli amministratori grazie a una robusta revisione dell’abuso d’ufficio ma l’occasione, al Centro Congressi di Santa Caterina è un’altra: per una volta i riflettori sono sulla giustizia civile e tributaria e non per quella penale. Non fosse altro che per il costo stellare di una giustizia civile lenta: la stima per il Veneto è di due punti di Pil, 3,3 miliardi di euro l’anno. L’incontro, organizzato da Confartigianato Veneto, è stata l’occasione per rassicurare artigiani e imprenditori: “abbiamo dieci volte le leggi degli altri Paesi europei e, citando Tacito, più leggi equivalgono a più corruzione, ci vorrà del tempo ma sul medio periodo riusciremo a semplificare”. I numeri presentati dal presidente degli artigiani, Roberto Boschetto a nome delle 124 mila imprese artigiane in regione, parlano da soli: mancano 44 giudici e i 227 giudici effettivi (ordinari ed onorari) devono far fronte ad un bacino di 20.446 abitanti e 2.010 imprese ciascuno, un terzo in più rispetto alla media italiana. Si compensa come si può con un tasso di efficienza alto e un calo dei contenziosi passati dai 143.399 del 2014 alle 91.108 del 2020. Eppure non basta perché i nodi sono sempre gli stessi, a partire dalla carenza di organico. In Veneto dovrebbero esserci 105 giudici di pace, ad esempio, ma sono solo 47. “Nel processo di riforma in chiave federalista dice Boschetto - da tempo noi proponiamo la giustizia di pace come ulteriore materia di differenziazione per avvicinarla di più all’utenza”. Nota dolente anche la giustizia tributaria particolarmente legata al tessuto imprenditoriale: a fine 2021 risultavano 117 giudici operativi sui 180 previsti. Insomma, peggio del Veneto, quanto a sotto dimensionamento, solo Bolzano, Umbria e Trento. Nordio non promette miracoli ma ci investe: “In generale nel 2023 è prevista l’assunzione in Italia di 5.000 unità e la stabilizzazione di altri 1.000. Nel Veneto sono stati già previsti 45 funzionari amministrativi, elemento portante per la struttura giudiziaria, altri ne saranno assunti. Senza personale amministrativo un pm è come un chirurgo privo di infermieri”. Si dichiara deciso, poi, a tagliare i tempi-monstre anche dei concorsi in magistratura: “Cinque anni dalla laurea alla toga sono inaccettabili”. E aggiunge: “Quest’anno sono previsti tre concorsi di magistratura. Fino ad ora sono stati di una lentezza esasperante. Tutto questo deve essere snellito”. La parola chiave, poi, è “semplificazione”. “La semplificazione delle competenze - spiega il ministro - serve specie nella giustizia Tributaria, dove c’è una complessità normativa che sfonda nella contradditorietà. Un evasore fiscale del resto non è mai andato in prigione, le leggi sono così complesse e contraddittorie che è accaduto di dover disobbedire ad alcune leggi per ottemperare ad altre”. Nordio strappa più di qualche applauso a scena aperta, soprattutto quando dice: “Non c’è azienda che in una ispezione venga esentata dal pericolo di una qualche sanzione almeno formale; anche se ci si affidasse ad eserciti di commercialisti non si sarebbe assicurati. Bisogna individuare tutte le leggi inutili, dannose o che, contraddicendosi, aumentano la litigiosità e l’incertezza del diritto. Questo ostacola i progetti di investimento in Italia”. E quindi si semplificheranno le procedure “per cause di minore importanza con giudice monocratico tendente alla conciliazione. Sarà rafforzato l’organo di autogoverno di questi giudici. La giustizia tributaria è così delicata che secondo me deve allinearsi con la giustizia ordinaria”. Sicilia. Safina (Pd): “Migliorare e potenziare la sanità penitenziaria” trapanisi.it, 12 marzo 2023 Potenziare i servizi sanitari e di continuità assistenziale nelle strutture carcerarie siciliane per garantire sicurezza e assistenza qualificata sia al personale in servizio che ai detenuti. È questo il tema dell’interrogazione presentata dal gruppo Pd all’Ars, primo firmatario il deputato trapanese Dario Safina, al governo regionale e all’assessore alla Salute Giovanna Volo. Il decreto legislativo 222 del 2015 ha infatti trasferito alla Sanità regionale tutte le funzioni sanitarie penitenziarie ma il servizio istituito presso l’Asp non prevede una regolare attività di informazione e controllo sanitario per le patologie infettive per il personale di Polizia Penitenziaria, né è stata ancora prevista una dotazione organica che individui i titolari di Guardia Medica per assicurare ai detenuti uno staff medico stabile ed aggiornato. “E’ indispensabile - sottolineano i deputati PD - mantenere livelli di assistenza medica h24 e potenziare le prestazioni specialistiche all’interno delle carceri, per evitare l’affollamento nei reparti ospedalieri, anche mediante l’attivazione del servizio di telemedicina. Inoltre, è necessario rafforzare l’istituzione delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) che consentano il corretto espletamento delle funzioni terapeutico-riabilitative per i pazienti interni nel campo della salute mentale e delle dipendenze patologiche. Infine, è necessario rafforzare i servizi di medicina legale, così da consentire al personale medico di rilasciare certificazioni sanitarie agli operatori di polizia in servizio nei casi di urgenza ed emergenza”. Tutte materie queste che la Regione può e deve disciplinare per consentire il corretto trasferimento delle funzioni in ambito regionale, a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari e del personale sanitario. In sostanza, i deputati del PD chiedono di conoscere lo stato dell’arte dei provvedimenti in materia e se il Governo Schifani intende intervenire nei confronti del personale medico e paramedico, per potenziare i servizi sanitari e di continuità assistenziale nelle strutture carcerarie. Modena. Oggi il corteo anticarcerario “Liberi tutti”. Si temono blitz anarchici di Valentina Beltrame Il Resto del Carlino, 12 marzo 2023 Organizzato nel terzo anniversario della rivolta in carcere in cui morirono 9 detenuti. Partenza alle 14 da piazzale Primo Maggio. Hera ha tolto i cassonetti, chiuso perfino il Mef. Le banche e i supermercati lungo il percorso hanno già installato protezioni sulle vetrate. La città ha fatto le barricate in vista del corteo di oggi organizzato da associazioni per i diritti civili, antifasciste e frange anarchiche che sfilerà a partire dalle 14 nel terzo anniversario dalla rivolta in carcere nella quale, l’8 marzo 2020, morirono 9 detenuti. Il rischio - paventato anche dal sindaco di Modena - è che nella manifestazione possano infiltrarsi anarco-insurrezionalisti provenienti da altre città e che possano - come accaduto a Torino - verificarsi scontri e danneggiamenti. I partecipanti al corteo anticarcerario ‘Liberi tutti’ chiedono giustizia per i morti durante la rivolta e l’abolizione dell’ergastolo e del 41bis. Si teme che il caso Cospito possa essere strumentalizzato. “Manifestate, ma con civiltà”, l’appello di Muzzarelli. Oltre a un importante dispiegamento di forze, quindi, già da ieri la città ha preso alcuni accorgimenti. Le banche che si trovano lungo il percorso del corteo (partenza da piazzale Primo maggio, passaggio davanti alla Cgil di piazza Cittadella, cavalcavia Cialdini, sosta davanti al Sant’Anna, ritorno in via delle Suore, Cassiani, Canaletto sud, piazzale Natale Bruni e arrivo in stazione) si sono attrezzate con coperture di legno, così come i supermercati. L’obiettivo è proteggere le vetrine da temuti vandalismi, nel ricordo di quello che accadde il 25 aprile 2019 quando un corteo anarchico devastò il centro di Modena accanendosi contro vetrine, telecamere e imbrattando i muri con centinaia di scritte. Stavolta la manifestazione sarà ‘relegata’ in zona Sant’Anna-Sacca e tra le priorità c’è quella di evitare ‘sforamenti’ in centro storico, soprattutto nella parte finale del corteo che arriverà alla rotonda del Tempio per poi concludersi in stazione dei treni. Proprio in piazza Grande, infatti, sempre oggi c’è la manifestazione contro la violenza di genere che vedrà sfilare un tappeto formato da 4mila coperte in vendita a scopo benefico. Tra gli obiettivi sensibili del tragitto, oltre alle banche (considerate dagli anarchici i ‘poteri forti’) il sindacato Cgil, le scuole, supermercati e il Tempio. Chiuso perfino il Mef, la casa museo Enzo Ferrari. Hera ha inoltre sigillato i cestini dei rifiuti, mentre ha rimosso i cassonetti lungo il percorso, specificando: “Questa temporanea rimozione non ha nulla a che fare con l’introduzione delle nuove modalità di raccolta differenziata e tutti i cassonetti saranno ricollocati al loro posto nel corso della giornata di lunedì, contemporaneamente alla riapertura dei cestini stradali”. Anche alcuni bus oggi cambieranno il loro percorso abituale. Seta ha comunicato che oggi “sono attivate importanti variazioni ai percorsi di diverse linee urbane di Modena, a causa delle modifiche alla viabilità cittadina disposte in relazione alla manifestazione che interesserà la zona di Strada Sant’Anna. Le modifiche interesseranno anche alcune linee extraurbane, nei percorsi da e per l’autostazione. In particolare, le modifiche saranno attive dalle ore 13 circa fino alle 20 circa”. Il Comune ha già messo divieti di sosta in zona stazione e ordinato la rimozione delle biciclette. Firenze. “Codice a sbarre. Il carcere: un luogo dove crescere con tanto tempo e poco spazio” cesvot.it, 12 marzo 2023 Convegno nazionale promosso da Aics comitato provinciale Firenze dal titolo “Codice a sbarre. Il carcere: un luogo dove crescere con tanto tempo e poco spazio”. Venerdì 14 aprile 2023, dalle 10:00 alle 18:00. Il convegno ha l’obiettivo di fare il punto sulla situazione delle carceri e sulle possibili sinergie con gli enti del terzo settore e con tutti i soggetti impegnati in quest’ambito, al fine di individuare dei percorsi comuni per il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti. Il convegno si articola in tre sessioni tematiche nelle quali interverranno rappresentanti istituzionali nazionali e regionali, esperti e studiosi del settore. Oltre al Presidente di Cesvot Luigi Paccosi, porterà un saluto Carla Garletti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. La prima sessione tematica affronta il tema dei ‘minori e delle misure restrittive’; la seconda sessione offre un quadro della ‘situazione carceraria in Italia’ e affronta la questione inerente la ‘funzione rieducativa della pena’. La tavola rotonda finale si concentra invece sul tema del ‘carcere afflittivo’. Il convegno si svolge nella Sala Pistelli di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Siena. Agenti, attori e detenuti suonano nella stessa band. Esce l’album “Cella Musica” di Massimo Biliorsi La Nazione, 12 marzo 2023 Il progetto ha visto la luce in questi giorni. Sempre difficile il rapporto fra detenuti e mondo esterno, per non parlare di reinserimento o di esplicare fra quelle mura il senso di una passione. Dobbiamo dire che la Casa circondariale di Santo Spirito è disponibile a molte iniziative, non solo di portare personaggi a conoscere il mondo dei detenuti. C’è un lavoro quotidiano di molti operatori, fra cui quelli che hanno dato vita al progetto ‘Cella Musica’, che nasce dalla presenza di LaLut, che si occupa di produzione teatrale. Le loro parole ci guidano a questo originale progetto: “Alcuni detenuti, durante i laboratori teatrali, hanno manifestato ad Ugo Giulio Lurini, nostro attore e insegnante, il proprio interesse per la formazione di una band, palesando competenze musicali pregresse: chi suonava il piano, chi le percussioni, chi la fisarmonica, chi rappava, chi strimpellava la chitarra, chi semplicemente aveva voglia di esprimersi”. Da qui il coinvolgimento del chitarrista Tommaso Taurisano e poi di agenti penitenziari con la passione della musica: “Al di là dello sviluppo delle capacità musicali, individuali e collettive, al quale tutti i partecipanti hanno dimostrato grande predisposizione e interesse, è emersa fin da subito una necessità espressiva più profonda, fatta di vissuti, di vite spezzate, di famiglie lontane, di rimorsi, rancori, amori, amicizie false e vere. Racconti che vogliono essere raccontati e che chiedono di essere ascoltati, urgenza e disillusione. Una premessa fondativa del gruppo era stata proprio scrivere la nostra musica, che è un po’ scrivere la nostra storia, e provare a portare almeno quella oltre i cancelli della casa circondariale in modo da far sapere a chi è lì fuori che noi ci siamo, che esistiamo, e che siamo parte di questa città e di questa società e che anche dalla nostra reclusione, forse proprio grazie ad essa, possiamo parlare di libertà, e della sua assenza”. “Abbiamo cominciato quindi a raccogliere tra i detenuti racconti e poesie - in tanti scrivono, e in tante lingue - e a musicarli. Affiancando quindi il lavoro del teatro, che intanto continuava parallelamente a preparare il suo spettacolo, abbiamo proposto, sia al pubblico esterno che ai detenuti, un cartellone di eventi musicali e teatrali che è servito a dare ulteriore slancio alla produzione e alla scrittura: giunti a questo punto il complemento ideale di tutto questo lavoro di condivisione è proprio la realizzazione di un album dei Cella Musica: sette o otto canzoni, e una o due poesie con commento musicale”. Trento. I giocatori dell’Aquila Basket in carcere per portare felicità attraverso lo sport di Guido Pasqualini L’Adige, 12 marzo 2023 Marco Crespi, direttore dell’Academy, ha tenuto dodici sedute di allenamento a Spini di Gardolo. Mattia Udom: “Il sorriso dei detenuti con la palla in mano mi ha contagiato e ricordato che la pallacanestro è gioco e divertimento”. “Vedere il sorriso e la felicità di quei ragazzi con la palla in mano mi ha fatto ricordare che il basket alla fine è gioco e divertimento. Per noi professionisti talvolta diventa solo un lavoro che, in caso di brutte sconfitte o infortuni, porta negatività. Loro invece avevano sempre il sorriso stampato in volto. Il loro amore genuino per la pallacanestro e la loro gioia mi hanno contagiato. Nella mia vita, grazie al basket, ho vissuto molte esperienze extra-sportive ma questa è di certo la più particolare, la più bella”. Mattia Udom non è solo un giocatore della Dolomiti Energia Trentino. È un uomo intelligente dall’animo sensibile. Così, dopo la sorpresa iniziale, ha accettato volentieri la proposta di affiancare Marco Crespi per il progetto One Team voluto dal presidente Luigi Longhi e organizzato da Massimo Komatz e Stefano Trainotti. Tutte le squadre di Eurolega ed Eurocup devono promuovere un progetto con ricadute sul sociale. Fra i molti organizzati, per One Team Aquila Basket ha scelto di ritornare in carcere dopo la prima esperienza del 2019/20. Così tra novembre e febbraio, per dodici lunedì, il direttore dell’Academy Marco Crespi è andato a Spini di Gardolo per insegnare basket a dodici detenuti. E in due occasioni è stato affiancato, in qualità di assistant coach d’eccezione, da Udom. Di più: durante una seduta è arrivata nella palestrina anche la direttrice della casa circondariale di Spini di Gardolo Annarita Nuzzaci che pure si è messa in gioco provando a fare canestro. “È stata una situazione forte dal punto di vista umano - racconta Crespi - in carcere non c’ero mai stato. Ma una volta in palestra, un grande stanzone con un canestro appeso al muro, tutte le preoccupazioni svanivano. Al punto che sotto Natale, quando gli allenamenti sono stati sospesi, quell’appuntamento mi mancava. Si è creato un bel rapporto in cui loro hanno ricevuto qualcosa e ci hanno però restituito molto”. “Lo si vedeva all’inizio di ogni seduta quando, appena arrivati dai vari settori della casa circondariale, i ragazzi ci salutavano calorosamente, abbracciandoci forte. Si è creato un rapporto stretto al punto che spesso, pur non chiedendo nulla, venivano a raccontarmi perché si trovano in carcere, quale errore avevano commesso. Siamo stati un contatto terzo con il mondo esterno: i detenuti vedono soltanto i giudici, gli avvocati e i parenti, persone che stanno da una parte o dall’altra, noi eravamo qualcosa di diverso, ciò di cui loro hanno tanto bisogno. E così talvolta arrivava un giocatore in più, un compagno di cella portato da chi era già stato con noi”. Ma cosa ha colpito di più un allenatore che ha frequentato i campi di tutta Europa? “Da una parte la grande attenzione e disciplina con cui seguivano i dettagli tecnici insegnati e dall’altra il massimo rispetto dell’avversario nei contatti fisici. E il sostegno che ognuno di loro garantiva all’altro: è stato bello vedere l’esultanza di tutti quando un loro compagno, non particolarmente portato per il basket, è riuscito a segnare due canestri durante una partitella tre contro tre. Non a caso quando ho raccontato a mia figlia di 22 anni cosa andavo a fare in carcere, mi ha detto “che figo”. È una fotografia che mi porterò dentro”. E cosa può dare il basket ai detenuti? “Innanzitutto il fatto di potersi muovere, di avere un attrezzo in mano, in questo caso il pallone, e di doverlo controllare, di poter collaborare per raggiungere un risultato e poi la sfida, con il canestro per riuscire a segnare e con l’avversario per vincere le partitelle uno contro uno o due contro due”. “Abbiamo dato loro una speranza - sottolinea Udom - per i detenuti è davvero importante sapere che ci sono persone esterne pronte a interagire con loro all’interno del carcere. Vista la loro età, quando usciranno di prigione non potranno avere un futuro nel basket, ma avranno la possibilità di inserirsi in qualche squadra di prima divisione per giocare a livello amatoriale. Possono sperare di migliorarsi come persone e come sportivi. Ed è giusto che abbiano un’opportunità: chi sta in carcere è circondato da un alone di negatività e invece è soltanto una persona che ha sbagliato ma deve avere la possibilità di riscattarsi”. Per Mattia le visite in carcere hanno avuto un altro risvolto dal punto di vista emotivo: “Un giorno c’erano in palestra tre nigeriani ed è stato emozionante vedere come mi hanno accolto. Mio padre è nigeriano e così, anche se non ci conoscevamo, abbiamo subito legato. Mi hanno dato dei consigli che ho apprezzato perché ho sempre appreso qualcosa di importante dal popolo cui appartiene anche mio papà”. Ma l’Aquila Basket tornerà a far visita a Spini di Gardolo? “Io ci conto - conclude Crespi - mi piacerebbe coinvolgere anche le donne. Mi hanno spiegato che sono poche, ma non importa, anche fossero due sole. E spero di trovare un altro canestro nella palestrina che ci ha accolto. Alla direttrice l’ho detto: “Mi raccomando, sul campo di basket i canestri sono due”. Domani sera su Rai 3 i Dilemmi di Gianrico Carofiglio. “Abolire il carcere?” rai.it, 12 marzo 2023 L’articolo 27 della Costituzione afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Per questo, taluni sostengono che il carcere non sarebbe un modo per amministrare la giustizia, ma per praticare una forma di “vendetta”. Dunque, andrebbe sostanzialmente abolito o almeno limitato a un numero ridottissimo di soggetti e di reati, e in forme molto diverse dalle attuali. E a chi obietta che l’abolizione del carcere è un’utopia, rispondono che un’utopia sembrava anche la chiusura dei manicomi. Una questione cruciale, al centro di “Dilemmi”, il nuovo programma ideato e condotto dallo scrittore Gianrico Carofiglio, in onda lunedì 13 marzo alle 23.15 su Rai 3. A discutere del tema, in studio con Carofiglio, il giurista ed ex magistrato Armando Spataro e il sociologo Stefano Anastasìa, mentre il libraio Giovanni Spadaccini suggerirà le letture per approfondire il dilemma e - in chiusura - Frida Bollani Magioni proporrà la canzone “La casa in riva al mare” di Lucio Dalla. I fautori dell’eliminazione del carcere propongono l’abolizione dell’ergastolo poiché una pena perpetua è in contrasto con l’art. 27 della Costituzione e dell’articolo 41bis, che prevede il carcere duro per i mafiosi e per i condannati per altri gravi reati, considerato un trattamento disumano e degradante, in sostanza una forma di tortura. Per molti magistrati e per le associazioni antimafia si tratta invece di una misura indispensabile per mantenere efficace il contrasto alle pericolosissime associazioni criminali che, ancora oggi, controllano intere fette del territorio del nostro Paese. L’obiezione di chi non condivide o condivide solo in minima parte la prospettiva dell’abolizione del carcere è sostanzialmente una: la società rischia di trovarsi indifesa di fronte al crimine, alla violenza, alla sopraffazione. La pena detentiva, in un numero di casi comunque rilevante, è indispensabile alla società per difendersi. La funzione dissuasiva della pena detentiva, anche se ricondotta a parametri di migliore civiltà è ineludibile e insostituibile. E analogo discorso va fatto per le misure cautelari indispensabili a garantire contro il pericolo di fuga, il rischio di inquinamento delle prove, particolarmente grave in contesti di criminalità organizzata e il rischio di reiterazione di reati gravi. “Dilemmi” è un programma di Gianrico Carofiglio, Pietro Galeotti, Ivan Carrozzi, Francesca Santolini. Il Capo Progetto è Mercuzio Mencucci, mentre la regia è di Giuseppe Bianchi. Massimiliano Caiazzo: “Mare fuori non racconta il fascino del male: parte da lì solo per smontarlo e smascherarlo” di Claudia Catalli L’Espresso, 12 marzo 2023 I sacrifici e la gavetta. Il mito di Marlon Brando e Daniel Day-Lewis. Il ruolo di Carmine Di Salvo nella serie tv di culto. Un successo senza precedenti. “Ci hanno paragonato a “Gomorra”, siamo lontani anni luce”. I suoi idoli sono Marlon Brando e Daniel Day-Lewis e spera di diventare come Elio Germano, perché “è un artista di enorme talento che si batte per migliorare le condizioni di chi fa il suo mestiere, prendendosi la responsabilità di certe battaglie”. Lo dice convinto Massimiliano Caiazzo, napoletano, classe ‘96, divenuto popolare grazie alla serie dei record di Rai 2 “Mare Fuori”, la cui terza stagione ha ottenuto in un giorno solo 12 milioni di visualizzazioni su Rai Play. Nessuno di loro si aspettava questi risultati, quando hanno messo piede a Sanremo hanno iniziato a sentirne l’emozione: “Sanremo è stato un tornado, ma già alle prove, quando è partita la canzone di “Mare Fuori”, gli occhi ci si sono gonfiati”. A chi ha pensato in quel momento? “A mia madre, a mio padre, ai miei nonni. Erano tutti spaventati che intraprendessi questo percorso, così come lo ero io, ma non mi hanno mai impedito di provare a coronare il mio sogno”. Un sogno che è passato attraverso notevoli sacrifici... “A 18 anni facevo il pendolare, partivo da Castellammare con il pullman alle 5 di mattina, alle 11 iniziavano i corsi di recitazione a Roma, dove a 19 anni sono riuscito a trasferirmi accordandomi con la direttrice della scuola per fare dei lavori come guardiano, pulitore e tuttofare. In cambio potevo seguire i corsi gratis”. “Mare Fuori” le ha cambiato la vita? “Mi ha donato consapevolezza e fatto capire che per fare veramente questo mestiere dovevo lavorare in un certo modo. Il primo momento di grande crescita è stato quando il regista Carmine Elia nella prima stagione ci ha destrutturati tutti, per poi ricentrarci. Poi è arrivata la seconda stagione, la terza, siamo cresciuti tutti insieme ai nostri personaggi e abbiamo avuto modo di farci conoscere”. Non era scontato che un progetto corale con storie tutt’altro che spensierate avesse successo. Cosa ha convinto il pubblico? “I temi affrontati: amore, violenza, umiliazione, rifiuto, abbandono. Ma anche detenzione, reato, rapporto con la legge. Raccontarli attraverso i percorsi di formazione dei ragazzi ha suscitato empatia”. Il merito è anche del vostro lavoro sui personaggi: per interpretare il suo Carmine Di Salvo a chi si è ispirato? “Vidi al cinema di Nanni Moretti “Il profeta” con Tahar Rahim e mi folgorò. Come anche “Il Ribelle” di Mackenzie. Per costruire Carmine ho lavorato molto sul fondo di guerra su cui cresce dalla prima stagione, che lo porta a fare scelte sbagliate”. Ha avuto modo di parlare con dei detenuti? “Ho conosciuto detenuti napoletani più piccoli di me al carcere minorile di Nisida nella prima stagione, poi con i ragazzi aiutati dall’Associazione Scugnizzi e Vela. Molti di loro hanno la consapevolezza di avere sbagliato e sono alla ricerca di una seconda possibilità, hanno bisogno di punti di riferimento che li aiutino a trovare una strada per reinserirsi in società”. Nella terza stagione vi vediamo, infatti, impegnati in un laboratorio di pizza in carcere... “Nutro grande stima per le associazioni napoletane che si dedicano a queste attività. Sono degli eroi”. Quanti Carmine ha conosciuto nella sua vita? “Per fortuna quelli che ho conosciuto si sono poi raddrizzati. Per interpretare Carmine ho dovuto prima empatizzare senza giudicarlo, capire come i suoi atti sbagliati fossero l’esplosione di tante cose che bollivano dentro”. In questa stagione lo vediamo maturato: ha attraversato il lutto e adesso parla di perdono, di amore e dell’inutilità della vendetta... “È maturato insieme a me, sa cosa ha passato e cerca di trasmettere agli altri ciò che ha imparato”. La affascinava questa versione anti-machista del criminale? ““Mare Fuori” non racconta mai il fascino del male. Se parte da lì è solo per smontarlo e smascherarlo: dietro il male c’è un bisogno inascoltato, di amore, protezione, riconoscimento”. Eppure quando uscì la prima stagione vi paragonarono a “Gomorra”. “Nulla di più lontano: noi raccontiamo le dirette conseguenze della criminalità organizzata, il carcere minorile. E poi la speranza di una vita alternativa. Certo, per raccontare la luce devi raccontare l’ombra, ma i nostri personaggi vanno ben oltre l’etichetta del “camorrista”. Raccontiamo le scelte sbagliate per mettere in luce ben altre cose”. Ormai siete un modello per le nuove generazioni, è qualcosa che vivete con pressione? “Con spensieratezza. Non è qualcosa che abbiamo cercato, non abbiamo pensato neanche ai messaggi da mandare, per non precludere scelte creative o mutilare un processo artistico. Sul set cerchiamo sempre di non metterci dei limiti e non avere aspettative”. Come ci si protegge da un’ondata di successo improvvisa? “All’inizio mi sono detto “Wow, figo. Il lavoro funziona”. Non avevo consapevolezza di quello che stava diventando “Mare fuori”, oggi in tutto il Paese riconoscono il nostro lavoro. Io mi ripeto ogni giorno: “Riparti da zero”. Non per azzerare ciò che è stato, ma perché ogni giorno è nuovo, quindi piedi per terra, caffè in mano e la tela davanti ridiventa bianca, così che possa riscoprire un nuovo colore. Ci sono tanti nuovi personaggi ad attendermi”. Ha mai paura di rimanere “intrappolato” in Carmine? “Ogni tanto la paura mi sfiora. Può succedere, è una serie diventata cult, sappiamo che in Italia spesso veniamo richiamati per gli stessi ruoli, ma penso anche che non ci sia portavoce migliore del proprio lavoro e della diversificazione nelle scelte”. Il 16 marzo la vedremo al cinema nel film “Primo Piano”, nei panni di Ciro. Che tipo è? “L’esatto opposto di Carmine, un ragazzo che aspira a diventare qualcuno, nasce da un fondo di abbandono e oppressione e ha bisogno di sentirsi importante. Alla fine si trova intrappolato in tutto questo e crolla su se stesso: forse gli sarebbe servito avere un Carmine vicino”. Più avanti la vedremo nella serie Disney + ambientata a Napoli “Uonderbois”, chi interpreterà? “Un moderno Robin Hood, sulla falsa riga del “monaciello” di Napoli, in un misto di stili all’interno di un urban fantasy. Un’esperienza particolare, totalmente diversa dalle precedenti”. Davanti alla povertà proviamo fastidio. Come mostra lo sgombero “estetico” della tendopoli nel centro di Roma di Diletta Bellotti L’Espresso, 12 marzo 2023 Le amministrazioni adottano spesso politiche che sistematizzano l’esclusione sociale, spazzando i problemi nelle aree periferiche. Perché chi paga per abitare in un quartiere bene non vuole essere disturbato dalla vista degli ultimi. Mentre scrivo, noto che ho due schede di browser aperte su due video diversi: uno della contemporaneità catturata da Termini Tv e l’altro dei Troppolitani di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, che alla fine degli anni 90 si aggiravano per la stazione di Roma. Rezza, con un microfono arrotolato al dito, intavola con le persone che incontra conversazioni surreali e talvolta profondissime: disquisisce dell’impossibilità di far parte di una società funzionale, del senso stesso di vivere ancora in società. Il tutto porgendo un carciofo-microfono agli intervistati. Mentre scrivo, faccio delle pause e alterno i video cercando di trovare delle somiglianze; riconosco l’architettura e i negozi storici. Tuttavia, la realtà del quartiere che abito sembra irriconoscibile; più di ogni altra cosa, noto un rapporto con la telecamera radicalmente mutato. Sicuramente il ritmo incalzante delle domande dell’artista rompe il patto di formalità e bilateralità dell’intervista, genera altri spazi, altri tempi. La troupe riesce a creare intorno a sé una fitta rete dove chi vi si addentra rimane impigliato, anche solo per distrazione o curiosità. Mi colpisce il tempo spassionato delle persone, che non vanno di fretta, e di loro mi emoziona come vivono la telecamera come qualcosa di insignificante: nessuno si sistema i capelli, nessuno guarda in camera. Spesso gli incastrati da Rezza si mettono a parlare tra di loro fuori campo, quando hanno qualcosa da condividere lo fanno senza foga: nessuno sembra aspirare a diventare famoso per 15 minuti. Adesso di quel presente lontano mi sembra rimanga solo la fitta rete che incastra e affossa chi la attraversa. Martedì mattina, com’era previsto, è stata sgomberata una tendopoli in cui abitava almeno una sessantina di persone, a ridosso delle Mura Aureliane, nei pressi della stazione Termini. Un’amica di vecchia data che ci ha abitato per un periodo mi raccontava come l’avessero battezzata “la Valle delle Stelle”, per la relativa mancanza di inquinamento luminoso in quella parte così centrale di Roma. Alcuni titoli sul tema raccontano che la tendopoli preoccupava il Campidoglio in vista del Giubileo. Come accade sempre, si tratta di sgomberi puramente estetici, di spazi pubblici che subiscono restyling come fossero appartamenti di extra-lusso e che nascondono invece da precise politiche pubbliche di gentrificazione e speculazione. Le quali sistematizzano l’esclusione sociale spazzando nelle aree periferiche il “problema”: sempre più lontano dagli occhi e dal cuore. Il ragionamento sembra essere che chi paga per abitare in un quartiere “decoroso” paga soprattutto per non vedere la povertà, per non essere disturbato dalle elemosine, per non doversi ricordare la distanza tra sé e i cinque milioni di persone in povertà assoluta. L’ottobre scorso, l’associazione Nonna Roma denunciava quasi seimila ordini di allontanamento ai senza dimora, Daspo inutili che obbligano le persone al giro dell’oca. Si parla sempre di “emergenza” per giustificare metodi violenti e poco lungimiranti, ma non c’è nessuna emergenza freddo: ci sono solo amministrazioni che decidono, ogni anno, di far morire le persone per strada perché l’anno precedente hanno tappato dei buchi invece di costruire una vera alternativa. Dovremmo guardare al modello finlandese per cui lo Stato, senza condizioni, garantisce un alloggio ai senza dimora. Il risultato è che quattro persone su cinque sono tornate a una vita stabile, risparmiando così anche su spese sanitarie, sociali e giudiziarie. Migranti, come vessare gli inseriti di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 12 marzo 2023 Il primo effetto dell’articolo 7 che, nel decreto legge Meloni-Salvini sull’immigrazione, cancella i permessi speciali di soggiorno temporaneo a chi ha iniziato a lavorare magari anche solo con un contratto temporaneo, affittato una casa, cominciato a frequentare un corso di italiano, formato o ricongiunto famiglia. Proprio sicuri sia “buonsenso” rimandare al loro Paese i migranti che, pur valutati non meritevoli di asilo politico o protezione sussidiaria, abbiano intanto iniziato a lavorare magari anche solo con un contratto temporaneo, affittato una casa, cominciato a frequentare un corso di italiano, formato o ricongiunto famiglia? Sarà infatti paradossalmente l’espulsione proprio di molte di queste persone (e non degli sbandati per strada o magari dei già malviventi) il primo effetto dell’articolo 7 che, nel decreto legge Meloni-Salvini sull’immigrazione, cancella i permessi speciali di soggiorno temporaneo motivati fin ora nella giurisprudenza di Cassazione dalla comparazione fra l’integrazione raggiunta e le condizioni dei diritti fondamentali ai quali il richiedente sarebbe esposto qualora venisse rimpatriato. L’anno scorso sono stati 10.835, 21% di tutte le domande di asilo: non appena scadrà l’unica proroga di un anno dei permessi in corso, paradossalmente il secondo effetto sarà il riflusso di queste persone dalle file dei “quasi integrati” alle schiere dei “nuovamente irregolari”. E il terzo sarà il boom conseguente di ricorsi su articolazioni del ministero dell’Interno talmente già in affanno (come a Milano in via Cagni) da non riuscire a contenere, nelle notti precedenti i fine settimana alternati di apertura degli uffici, il forzato accamparsi per strada di centinaia di persone. Senza contare che “l’intento del governo — rivendicato in Consiglio dei ministri — di abolire la protezione speciale e sostituirla con una norma di buonsenso che corrisponda alla normativa europea di riferimento”, dovrà fare i conti con un piccolo dettaglio: il fatto che il parametro delle “relazioni familiari e affettive” non potrà essere compresso senza andare a sbattere proprio contro l’art.8 della “Convenzione Europea dei diritti dell’uomo” sul diritto fondamentale della tutela della vita privata e/o familiare. Magistratura democratica contro il decreto migranti: “Risposta paradossale” di Davide Varì Il Dubbio, 12 marzo 2023 La corrente progressista delle toghe si scaglia contro una riforma che crea un “esercito di irregolari”. Una “risposta paradossale”, “contro i diritti, contro la razionalità”. Così Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, definisce il decreto legge approvato dal Cdm a Cutro, mettendo, in particolare, in evidenza l’abrogazione di due periodi dell’articolo 19 del Testo unico sull’immigrazione che consentiva il riconoscimento della protezione speciale alle persone che in Italia avevano costruito una vita privata e familiare: “La riforma andrà a colpire persone che in Italia lavorano con contratti regolari, hanno un’abitazione e spesso avevano trasferito qui anche la famiglia. Persone, insomma, ormai parte integrante del sistema sociale del nostro Paese”. La conseguenza sarà la nascita di “un esercito di irregolari che non potranno essere allontanati, in mancanza di accordi per il rimpatrio con la maggioranza dei paesi dai quali provengono e che andranno ad alimentare il mercato del lavoro nero e dello sfruttamento o della criminalità”, argomenta l’esecutivo di Md. Altra conseguenza “sarà quella di aumentare enormemente il contenzioso, affidando ai giudici il compito di applicare le norme fondanti il nostro ordinamento giuridico”, affermano le toghe di Md, secondo le quali “anche il fine di scoraggiare gli ingressi irregolari, perseguito con l’aumento delle quote di ingresso di chi ha già un’offerta di lavoro in Italia, non centra l’obiettivo”. E poi: “Anche solo immaginare, infine, che il traffico di esseri umani si combatta con l’innalzamento esorbitante delle pene per i cosiddetti scafisti, è solo un’illusione che alimenta il mito del panpenalismo, al fine di anestetizzare le paure sociali e tacitare le coscienze, individuando un nemico da combattere, anzi da abbattere”, scrive Md. Che poi conclude: “Anche a fronte di sciagure così enormi come la strage di Cutro, non si vuole prendere atto che non c’è alcuna contingente emergenza bensì un fenomeno strutturale che deve essere governato e di fronte al quale l’Europa e l’Italia hanno il dovere di adottare una legislazione utile a fermare quello che si configura come un vero e proprio genocidio, introducendo canali di ingresso legali”. Il nuovo populismo responsabile delle stragi in mare di Luigi Ferrajoli Il Manifesto, 12 marzo 2023 Cutro e non solo. La demagogia populista ha bisogno di un nemico e il migrante è il nemico ideale, a causa del latente razzismo che induce a percepirlo come “inferiore” e ontologicamente illegale. La tragedia delle 73 persone lasciate affogare in mare senza aiuti e le penose giustificazioni del governo ripropongono con forza la questione dei migranti. Al di là delle colpe specifiche delle nostre autorità per le omissioni di soccorso, sono le nostre leggi e il clima politico e culturale da esse generato le vere responsabili di queste catastrofi. Giorgia Meloni tenta di scaricare queste responsabilità sugli scafisti, predisponendo per loro pene fino a 30 anni e, soprattutto, sostenendo che occorre fermare i migranti, impedendo loro di partire. Ignora, evidentemente, che migrare è un diritto fondamentale, stabilito dagli articoli 13 e 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani, dall’articolo 12 del Patto internazionale del 16 dicembre 1966 e perfino dall’articolo 35 della nostra Costituzione, e sarebbe perciò un illecito ostacolarne l’esercizio. Non solo. È anche il più antico dei diritti fondamentali, essendo stato proclamato fin dal 1539 da Francisco De Vitoria a sostegno della conquista del “nuovo mondo”, quando erano solo gli europei a “emigrare” per colonizzare e depredare il resto del pianeta. Allora questo diritto fu accompagnato dal diritto di muovere guerra contro chiunque si fosse opposto al suo legittimo esercizio: cosa che fu fatta, con la distruzione delle civiltà precolombiane e il massacro di decine di milioni di indigeni. Oggi che l’asimmetria si è capovolta e l’esercizio del diritto di emigrare è diven tato la sola alternativa di vita per milioni di disperati che fuggono dai loro paesi, dapprima depredati dalle nostre conquiste e oggi sconvolti dalle guerre, dalla miseria e dallo sfruttamento determinati dalle nostre politiche, non solo se ne è dimenticato il fondamento nella nostra stessa tradizione, ma lo si reprime con la stessa ferocia con cui lo si brandì alle origini della ci viltà moderna a scopo di rapina e colonizzazione. C’è d’altro canto un altro aspetto della politica migratoria di questo governo che ne segnala l’ostilità ai salvataggi in mare. Esso si è manifestato con il cosiddetto “decreto ong” dello scorso febbraio, che riprendendo la linea Salvini, condiziona l’abilitazione delle navi a salvare le persone in mare a una serie di insensati requisiti burocratici, introduce ostacoli ai salvataggi, come il divieto dei cosiddetti salvataggi multipli, e prevede, per i comandanti che violino queste assurde prescrizioni, sanzioni da 10 a 50.000 euro, il fermo per due mesi e, nei casi di reiterazione delle violazioni, la confisca della nave utilizzata per i salvataggi. È un salto di qualità nelle forme stesse del populismo. Il vecchio populismo penale faceva leva sulla paura per la criminalità di strada e di sussistenza, cioè per fenomeni enfatizzati ma pur sempre illegali, onde produrre paura e ottenere consenso con misure inutili e demagogiche, ma pur sempre giuridicamente legittime, come gli inasprimenti delle pene decisi con i vari pacchetti sicurezza. Il nuovo populismo, al contrario, fa leva sull’istigazione all’odio e sulla penalizzazione di condotte non solo lecite ma eroiche, come i soccorsi in mare, al fine di ottenere consenso a misure esse stesse illegali, criminose e criminogene, come la chiusura dei porti più accessibili e la procurata omissione di soccorso. Questo nuovo populismo sta producendo danni enormi al tessuto della nostra democrazia. Per la demagogia populista, che sempre ha bisogno di un nemico, il migrante impersona infatti il nemico ideale, a causa del latente razzismo che induce a percepirlo come persona inferiore e ontologicamente illegale. Si capisce così come il razzismo sia l’effetto, più che la causa, delle stragi in mare: è la “condizione”, scrisse lucidamente Michel Foucault, che rende accettabile “la messa a morte” di una parte dell’umanità. Giacché solo il razzismo rende tollerabile che migliaia di persone affoghino ogni anno nel Mediterraneo. Il risultato di queste pratiche spietate è l’abbassamento dello spirito pubblico. Il consenso da esse ottenuto è in realtà il segno del crollo del senso morale a livello di massa. Quando la disumanità, l’immoralità e l’indifferenza per le sofferenze sono ostentate dalle pubbliche istituzioni, esse non solo sono legittimate, ma sono anche assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano. Non capiremmo, altrimenti, il consenso di massa di cui godettero il nazismo e il fascismo. Queste politiche inique, seminando la paura e l’odio per i diversi, svalutando i sentimenti elementari di uguaglianza e solidarietà, screditando la pratica del soccorso di chi è in pericolo di vita, stanno avvelenando le nostre società e deformando pesantemente l’identità democratica dell’Italia e dell’Europa. L’allarme degli 007 sui migranti: “685 mila in arrivo dalla Libia”. Sette volte di più che nel 2022 di Lorenzo Salvia Corriere della Sera, 12 marzo 2023 I rapporti dei servizi segreti: quasi 700 mila persone pronte a partire. Il nodo dell’accoglienza. Negli ultimi giorni i segnali sono stati diversi. Come i 998 migranti sbarcati in sole 24 ore a Lampedusa, un numero che non si vedeva da tempo. E le 1.300 persone salvate dai tre barconi nello Ionio, dopo la tragedia di Cutro. Ma il problema vero è che questa ondata migratoria, pur consistente e drammatica, rischia di rappresentare solo un anticipo, un’avvisaglia di quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni. Il dato di 685 mila - Nei rapporti settimanali sull’immigrazione che vengono mandati al governo italiano, gli apparati di sicurezza e gli analisti sottolineano come in Libia, nei campi di detenzione ma non solo, ci siano 685 mila migranti irregolari pronti a partire per sbarcare sulle coste italiane. La stessa cifra circola nei tavoli interministeriali che sono chiamati a occuparsi di questo tema che, per quanto antico e strutturale, ha ripreso il pieno carattere dell’emergenza. Per capire la dimensione dell’allarme basta ricordare che in tutto il 2022 gli arrivi erano stati “appena” 104 mila. È vero che l’anno scorso, specie nei primi mesi, i flussi erano ancora frenati dalla pandemia. Ma resta il fatto che solo la cifra sui possibili arrivi dalla Libia è quasi sette volte superiore. Il rischio trafficanti - È chiaro che la maggior parte di quelle persone finirebbe per mettere il proprio destino nelle mani delle organizzazioni dei trafficanti e quindi degli scafisti. Negli ultimi incontri bilaterali il governo italiano ha cercato insieme a quello libico di contenere i flussi attraverso una più decisa azione di controllo del territorio. Di questo, o almeno anche di questo, si è parlato sia nella missione a Tripoli di fine gennaio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, insieme con i ministri degli Esteri e dell’Interno, Antonio Tajani e Matteo Piantedosi. Sia nell’incontro avvenuto invece a Roma venti giorni fa, tra lo stesso Piantedosi e il ministro libico dell’Interno, Imad Mustafa Trabelsi. Ma sembra difficile che, davanti a numeri così allarmanti, il semplice controllo del territorio possa produrre risultati efficaci. Da qui l’idea di rafforzare i corridoi umanitari, i programmi di trasferimento in Italia per le persone in condizione di particolare vulnerabilità. Un tema che la presidente Meloni ha sollevato nella lettera inviata nei giorni scorsi alla presidente della Commissione europea. Con la risposta della stessa Ursula von der Leyen che ha annunciato lo stanziamento di mezzo miliardo di euro per il “reinsediamento” in Europa di 50 mila migranti proprio attraverso i corridoi. Un segnale positivo, che tuttavia non può bastare. La crescita nel 2023 - Del resto non sono soltanto i singoli episodi a far capire come i flussi stiano diventando più intensi. Lo dicono le tabelle del ministero dell’Interno: dall’inizio dell’anno i migranti sbarcati sulle coste italiane sono stati 17.592. Quasi il triplo rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando erano stati 5.976. E anche del 2021, 5.995. L’unico dato in controtendenza è quello dei minori non accompagnati: dall’inizio dell’anno sono stati 1.965. In realtà un confronto diretto con lo stesso periodo degli anni precedenti non è possibile perché sono disponibili solo i bilanci su dodici mesi. Ma la tendenza di una leggera decrescita, o comunque non di un aumento, è leggibile, visto che in tutto il 2022 erano stati 14.044 I 110 mila in accoglienza - Altro tema delicato è la tenuta delle strutture d’accoglienza sul territorio italiano, che potrebbero andare in difficoltà davanti a una nuova, massiccia ondata. Al momento ospitano 109.294 persone. Solo una piccola parte, 1.113, negli hot spot, i centri sulle frontiere esterne dell’Unione Europea, quasi tutti in Sicilia. Altri 33.244 nei centri Sai, gestiti da enti locali e terzo settore. La maggior parte, 74.937, è invece nei centri di accoglienza veri e propri, gestiti dal Viminale. La regione che ospita più migranti è la Lombardia con 12.399 persone, seguita da Emilia-Romagna (10.600), Piemonte (9.687) e Lazio (9.540). La loro capienza è flessibile ma non per un ordine di grandezza come quello dei possibili arrivi dalla Libia. Per questo nel decreto legge approvato giovedì scorso ci sono anche delle norme per il “commissariamento della gestione dei centri governativi per l’accoglienza” e “comunque per farne proseguire il funzionamento”. Un modo per prepararsi al peggio. Gran Bretagna. “Noi troppo duri sui migranti? No, è un problema di tutti” di Antonello Guerrera La Repubblica, 12 marzo 2023 Intervista al primo ministro britannico Rishi Sunak: perché la controversa nuova legge britannica sui rifugiati è “dura ma giusta”, il caso Italia e la reazione all’endorsement di Salvini, quando finirà la guerra in Ucraina e come fronteggiare la Cina nell’Indo-Pacifico Bonjour, Rishi Sunak. Il primo ministro britannico compare dal fondo dell’Eurostar su cui siamo saliti alla stazione di St Pancras a Londra: “Se sono già stanco di essere leader del mio Paese? No. Anzi, si diventa orgogliosi proprio in queste occasioni! E per migliorare la vita delle persone”, dice ai reporter in viaggio con lui, tra cui Repubblica, unico giornale Ue ammesso. Fisico smagliante, il 42enne successore di Boris Johnson e Liz Truss è in viaggio verso Parigi, per la prima visita di un leader britannico in Francia dopo 5 anni di frizioni, tensioni, litigi e incomprensioni post Brexit. Nel pomeriggio, l’atteso incontro all’Eliseo con il presidente francese Emmanuel Macron. “Merci, mon ami!”, lo ringrazia calorosamente Sunak. “È un nuovo inizio, un momento speciale, una nuova unione”, assicura Macron. Anche se il capo dell’Eliseo gli fa notare che la strada è ancora lunga per tornare ai rapporti pre Brexit tra Francia e Regno Unito: “Dipenderà da quanto accadrà nei prossimi mesi, certo ci sono ancora conseguenze dell’uscita di Londra dall’Ue da sistemare… ma oggi sono molto felice di essere qui con Rishi, per rilanciare l’amicizia nostra e dei nostri Paesi”. Qualcuno la chiama già “bromance” quella di Sunak e Macron. Un “flirt fraterno”. Certo qualcosa, anzi molto, è cambiato. Nelle intenzioni, ma anche nei fatti. Due settimane fa l’accordo Brexit tra Ue e Regno Unito sull’Irlanda del Nord che il primo ministro britannico ha chiuso in poche settimane, dopo le infinite e ideologiche trincee dei predecessori Liz Truss e soprattutto Boris Johnson. Oggi, poi, l’annuncio di nuovi 543 milioni di euro dai britannici ai francesi per pattugliare le coste ed evitare i viaggi disperati dei barconi nella Manica, dopo la presentazione giorni fa del controverso disegno di legge di Londra che prevede di arrestare, espellere e vietare il diritto di asilo a chiunque arrivi irregolarmente in Inghilterra. A fine mese arriverà a Parigi anche re Carlo III, in quella che sarà la sua prima visita all’estero - e non in un Paese del Commonwealth. Ma anche la scelta di Sunak di viaggiare in treno, e non in aereo, per arrivare in Francia è simbolica. Per dimostrare quanto i legami tra Londra, Parigi e tutto il resto della Ue siano destinati a fortificarsi di nuovo, nonostante lo scisma del referendum del 2016. Sunak, come reagisce alle critiche contro il vostro nuovo durissimo disegno di legge su richiedenti asilo e migranti irregolari? “L’immigrazione non è un problema solo britannico, ma europeo. La nostra collaborazione crescente con la Francia per pattugliare capillarmente le coste e fermare i barconi nella Manica è solo l’inizio di un percorso secondo me ampio e molto positivo. In futuro, avere discussioni con l’Ue sull’immigrazione è certamente nei nostri piani, così come con Frontex, o il gruppo di Calais, e nel Mediterraneo. Perché la bacchetta magica non ce l’ha nessuno. Siamo solo all’inizio di un lungo viaggio”. Ma siete pronti persino ad abbandonare l’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati per negare i diritti a chi sbarca dalla Manica senza permesso? “Non arriveremo a tanto, perché abbiamo appena presentato una legge che rispetta i parametri dell’Unhcr ma che allo stesso tempo implica misure più rigide per spezzare il business delle gang criminali e di trafficanti di uomini. Siamo sulla strada giusta, così come nelle espulsioni degli irregolari verso un Paese sicuro come il Ruanda: dobbiamo fermare i barconi che salpano illegalmente verso le nostre coste”. Matteo Salvini l’ha lodata per la sua legge anti sbarchi: “Severa ma giusta”. La imbarazza questo endorsement? “Io la definirei dura ma giusta. Non credo sia compassionevole o moralmente corretto continuare a insistere con questo status quo in cui le persone muoiono in mare, come al largo delle coste italiane, e vengono sfruttate dalle gang criminali. Non è giusto, anche perché le nostre risorse e la nostra generosità per aiutare le persone vulnerabili e bisognose che arriverebbero legalmente sono prosciugate da coloro che sbarcano illegalmente”. Gary Lineker, ex campione di calcio e stella della Bbc, vi ha accusato di parlare dei rifugiati e dei richiedenti asilo come la Germania nazista... “Invece credo che la nostra linea sia la cosa più giusta da fare, anche dal punto di vista morale. Perché è il modo migliore per aiutare i più deboli e non farli finire nelle mani di aguzzini senza scrupoli o morire in mare. Non c’è nulla di compassionevole in questo. Mentre molte persone che sbarcano illegalmente e non sono le più vulnerabili abusano del nostro sistema di accoglienza”. Crede che altri Paesi seguiranno la vostra linea dura? “Non voglio dire ad altri cosa fare, ma è chiaro che questo è un problema di tutti. Non a caso, la Francia sta pensando di limitare il diritto d’asilo. La Germania sta pensando a un commissario speciale per l’eventualità di inviare migranti irregolari in Paesi terzi, come noi facciamo con il Ruanda. L’Italia vuole capire come sorvegliare meglio il Mediterraneo. Tutti stanno agendo in qualche modo, perché l’anno scorso l”Europa ha visto un 60% di migranti in più rispetto al 2021, secondo l’Onu 100 milioni di persone sono sfollate nel mondo e abbiamo visto la tragedia in mare di qualche giorno fa in Italia (a Cutro, ndr)”. Dopo il recente accordo Brexit sull’Irlanda del Nord, crede che Regno Unito e Ue possano collaborare sempre meglio? “Spero che l’intesa apra altri tavoli di cooperazione più profonda tra Europa e Regno Unito. L’altra settimana ne discutevamo con Ursula von der Leyen, sulla ricerca, per esempio. Ma è solo uno dei settori dove possiamo essere sempre più costruttivi e positivi con la Ue. C’è tutto il mio impegno”. È pronto ad allentare le norme sull’immigrazione regolare, visto che nel Regno Unito dopo la Brexit e il Covid ci sono ancora 1,2 milioni di posti di lavoro vacanti che non si riesce a colmare? “Non lo escluderei. Ma la cosa più importante è che, con la Brexit, abbiamo riottenuto il controllo dei confini e dunque la possibilità di scegliere se allentare o meno le norme migratorie”. Che cosa ne pensa del controverso Inflation Reduction Act di Biden che ha scatenato le critiche europee? C’è la possibilità di una convergenza con la Ue? “Ne ho parlato anche con Von der Leyen. Credo che la cosa migliore per tutti noi sia mantenere i mercati liberi e aperti: è l’unica strada a lungo termine per raggiungere prosperità e sicurezza comuni. Stiamo parlando sia con l’Europa che con gli Stati Uniti per implementare questo concetto. Un altro tema su cui è bene coordinarsi”. All’Eliseo citano il film Casablanca con Humphrey Bogart - “Credo sia l’inizio di una bella amicizia” - per celebrare il suo gran rapporto, o la “bromance”, con Macron... “(Ride, ndr) È stato fantastico conoscere Emmanuel negli ultimi due mesi. C’è un desiderio reciproco di rafforzare le nostre relazioni. Perché c’è un enorme potenziale e possiamo fare grandi cose su migranti, sicurezza energetica, cooperazione militare, eccetera. Mi sento un privilegiato in questo senso”. Eppure, solo fino a qualche mese fa, il suo predecessore Liz Truss aizzava gli iscritti conservatori chiedendo: “Macron! Amico o nemico?”. “Lo dissi già all’epoca: la Francia è un grande Paese amico, con il quale bisogna cooperare sempre di più. Non rispondo del passato, ma non vedo l’ora di avere un legame sempre più forte con Parigi. Macron è una cosa buona per il Paese”. È d’accordo con Macron quando dice che l’Ucraina dovrebbe iniziare i negoziati di pace quest’estate? “Credo che alla Conferenza di Monaco, Emmanuel abbia detto che ora non è il tempo di negoziati e che sia stato frainteso. In ogni caso, oggi siamo tutti d’accordo nel fornire all’Ucraina aiuti militari in modo che Kiev abbia un vantaggio decisivo sul campo. Questo è l’obiettivo comune. Poi certo, tutte le guerre terminano con un negoziato. Ma sarà Kiev a decidere quando sedersi al tavolo. Quello che possiamo fare noi è mettere gli ucraini nella miglior posizione negoziale possibile. Ma oggi l’obiettivo prioritario è aumentare i nostri sforzi militari, addestrarli e sostenerli sempre di più per fornire loro un vantaggio decisivo in battaglia”. Teme una convergenza sempre più profonda tra Cina e Russia nella guerra in Ucraina? Cosa può fare l’Occidente? “Ne abbiamo parlato con Macron, che andrà in visita a Pechino presto, così come anche nel recente summit ministeriale G7. È un tema che coinvolge direttamente la nostra sicurezza, le nostre economie. Dobbiamo fare il massimo affinché sempre meno Paesi sostengano la Russia o cerchino di aggirare le sanzioni contro Mosca. Per questo è necessario un approccio comune, non solo contro la Cina ma anche per tutte le altre sfide globali che dovremo affrontare, come l’Iran. Non siamo solo vicini, partner, amici, ma soprattutto condividiamo dei valori e dovremo sempre farci sentire per difenderli. Noi Alleati non cederemo. Anzi, siamo sempre più uniti non solo sulla Nato, ma anche sulla libertà, la democrazia e l’importanza della sovranità”. Domenica lei parte per San Diego per il vertice Aukus con Stati Uniti e Australia in chiave anti-Cina nell’Indopacifico, durante il quali verranno annunciati nuovi sottomarini nucleari a Canberra. Cosa dobbiamo aspettarci? “Sia noi che la Francia siamo due nazioni europee impegnate nel mondo e che vogliono essere protagoniste attive in una regione che ospita metà della popolazione mondiale, il 40% del Pil della Terra e che crescerà negli anni. L’economia, ma soprattutto la sicurezza di tutti, passeranno di lì. L’attivismo di molti Paesi asiatici a favore dell’Ucraina dimostra quanto i nostri valori siano universali. Gli accordi di oggi con Macron rappresentano un passo in avanti perché prevedono anche più cooperazione tra forze militari alleate, anche nel dispiegamento delle nostre Marine militari nell’area, in maniera sempre più ampia”. Israele. Di nuovo in piazza contro la riforma della giustizia. Gli organizzatori: “Mai così tanti” La Repubblica, 12 marzo 2023 Nella sola Tel Aviv i partecipanti sarebbero oltre 200mila. Applausi per il comandante di polizia Amichai Eshed, presente al corteo. Il ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir ha cercato di rimuoverlo dal suo incarico per non aver ostacolato le proteste. Per la decima settimana migliaia di manifestanti sono scesi in piazza contro la riforma giudiziaria del governo di Benjamin Netanyahu. Gli organizzatori parlano di oltre mezzo milione di persone - “mai così tante nella storia del Paese” - che si sono radunate in 95 luoghi di Israele. Solo a Tel Aviv sarebbero circa 250mila: qui, secondo The Times of Israel, alcuni manifestanti hanno applaudito il comandante di polizia Amichai Eshed, presente al corteo, dopo che il ministro della Sicurezza nazionale, Ben Gvir, ha cercato di rimuoverlo dal suo incarico per non aver ostacolato le manifestazioni. Cortei anche a Haifa, nel nord del Paese, con oltre 50mila partecipanti. Come sempre gli slogan più gridati nelle manifestazioni sono stati “democrazia” e “vergogna” indirizzato al governo. Gli organizzatori hanno già preannunciato una nuova protesta nazionale - “Giorno di resistenza crescente” - per giovedì prossimo quando il premier Benjamin Netanyahu dovrebbe partire per Berlino. L’intenzione è quella di replicare quanto accaduto giovedì scorso quando il primo ministro è volato a Roma per l’incontro con Giorgia Meloni. “Questa è una delle settimane più critiche nella salvaguardia della democrazia israeliana”, hanno detto gli organizzatori delle proteste riferendosi al fatto che il governo - nonostante tutti gli appelli al confronto, in particolare del presidente Isaac Herzog - intende accelerare alla Knesset l’approvazione della riforma e la limitazione dei poteri della Corte Suprema. Il capo dell’opposizione Yair Lapid nei giorni scorsi ha lanciato l’idea che la Dichiarazione di Indipendenza di Israele del 1948 diventi l’articolo 1 di una Carta costituzionale che manca nel Paese. Il capo della polizia Kobi Shabtai ha ammesso pubblicamente di aver “fatto un errore” a rimuovere il comandante di Tel Aviv, Amichai Eshed, accusato dal ministro della Sicurezza, Ben Gvir, di essere troppo tenero con i dimostranti. “Mi sono sbagliato, ho fatto un errore nel valutare il tempo e il modo della decisione”, ha detto il capo della polizia esprimendo il suo sostegno alla “decisione della procuratrice generale” che ha congelato la scelta mettendone in dubbio la legalità. Da parte sua l’esponente del governo di estrema destra, ha accusato Shabtai di essere stato influenzato “dalla sinistra radicale” per le dichiarazioni rilasciate oggi. “So che il capo della polizia è sottoposto a severe pressioni da parte della sinistra radicale - ha detto - c’è una politica del governo israeliano ed il capo della polizia deve rispettare la politica del ministro”. El Salvador, un paese-carcere di David Lifodi labottegadelbarbieri.org, 12 marzo 2023 Per reprimere le pandillas, il presidente Bukele ha prorogato lo stato d’assedio, facendo lievitare il numero dei detenuti fino a 94.000. Le carceri, nel paese centroamericano, sono al collasso, le violazioni dei diritti dei carcerati all’ordine del giorno e la democrazia sta scivolando verso un pericoloso autoritarismo. Lo stato d’assedio imposto dal presidente Nayib Bukele al suo intero paese, El Salvador, prosegue e rappresenta la prima causa della crescita esponenziale del numero dei detenuti. Nella guerra scatenata contro le pandillas, finora l’unico risultato prodotto è stata l’urgenza di costruire un nuovo carcere, il più grande dell’America latina, che ospiterà fino a 40.000 detenuti. In pratica, il cosiddetto megapenal, edificato a Tecoluca, a circa 70 chilometri dalla capitale San Salvador, assomiglia ad una vera e propria città. Bukele ha visitato il nuovo carcere, a favore di telecamera, e ne ha annunciato i lavori ultimati al paese affiancato dal direttore della polizia Mauricio Arriaza Chicas e dai ministri della Difesa, René Merino Monroy e delle opere pubbliche Romeo Rodríguez. Il carcere, denominato “Centro de Confinamiento del Terrorismo”, sembra configurarsi più come un luogo di repressione a prescindere di qualsiasi forma di opposizione sociale a Bukele piuttosto che essere un centro di reclusione dei pandilleros. Diciannove torri di vigilanza e quattro anelli di sicurezza intorno, oltre a filo spinato ad alto voltaggio elettrico, rappresenteranno il deterrente ad ogni tentativo di fuga. Quello di Bukele assomiglia ad un delirio di onnipotenza. Già nel 2021, la popolazione carceraria salvadoregna era superiore del 120% al numero dei posti totali nei centri di detenzione del paese centroamericano. La proclamazione dello stato d’assedio, a partire dallo scorso marzo, ha fatto il resto. Soltanto fino ad agosto 2022, e cioè in poco più di cinque mesi del régimen de excepción, si sono aggiunti altri 50.000 detenuti. Nella prigione La Esperanza, il numero dei carcerati è passato in poco tempo da 7.600 a 33.000 unità e in quella di Izalco da 8.500 a 23.300. Tra i detenuti vi sono anche centinaia di adolescenti. La repressione contro le pandillas è stata utilizzata da Bukele per imporre una sorta di autoritarismo della sorveglianza che, peraltro, solo in parte ha scalfito il potere della criminalità organizzata, mentre in tutto il paese i casi di violenza non sono diminuiti. A questo proposito, il Comitato Onu contro la Tortura ha espresso forte preoccupazione per la situazione nelle carceri salvadoregne, ogni giorno più esplosiva, soprattutto per le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere i detenuti, tra la mancanza di cure, le precarie condizioni sanitarie, la scarsa alimentazione e il crescente sovraffollamento. I dati Onu, aggiornati al 25 novembre 2022, evidenziano che la popolazione carceraria ha raggiunto, dallo scorso marzo, la cifra di oltre 94.000 unità. Già lo scorso aprile, nel carcere di Izalco, avvenne la morte di Wálter Vladimir Sandoval Peñate, pandillero di 32 anni arrestato a seguito della proclamazione dello stato d’assedio. Una mano fratturata, ferite alle ginocchia, al torace e ai polsi testimoniano che era stato torturato. Da allora sono state decine le persone uccise in carcere a seguito di episodi di violenza, almeno 35 secondo un rapporto pubblicato nell’agosto 2022 dall’Instituto de Medicina Legal e reso noto da La Prensa Gráfica. Almeno altri 22 carcerati sono morti per mancanza di cure. Altre testimonianze raccolte da La Prensa Gráfica parlano di cure mediche e di medicinali improvvisamente sospesi ai detenuti che ne avevano bisogno e di calci e pugni ricevuti dalla polizia penitenziaria salvadoregna. Arrestati senza un previo ordine giudiziale, secondo quanto stabilito, in fretta e furia, dal Congresso, gran parte dei detenuti vengono associati arbitrariamente da Bukele dal suo governo come appartenenti alla Mara Salvatrucha (MS-13), a Barrio 18 e alle rispettive fazioni di Sureños e Revolucionarios. Nelle carceri salvadoregne le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno e, a preoccupare, sono le dichiarazioni di Bukele, che definisce la guerra contro le pandillas come sua personale. Come se non bastasse, a fine dicembre, il presidente non si è fatto alcun problema nel far circondare alcuni quartieri difficili di San Salvador da migliaia di agenti in assetto antisommossa, in particolare La Granjita e Tutunichapa, alla ricerca di narcotrafficanti. Nonostante la criminalizzazione sociale e la repressione, secondo un sondaggio dell’Universidad Centroamericana (UCA), pubblicato lo scorso mese di ottobre, quasi il 76% dei salvadoregni approverebbe la strategia repressiva scelta da Bukele. Tuttavia, scrive il quotidiano indipendente El Faro, pur in un contesto di violenza, il potere delle pandillas sembra essersi ridotto, ma il paese ha finito per consegnare tutto il potere ad una sola persona, Bukele, che lo manipola a piacimento senza dover rendere conto a nessuno. Per la maggioranza dei salvadoregni la democrazia ha perso valore, tanto da guardare ad un sistema fondamentalmente autoritario che, sempre più spesso, erode i diritti civili, sociali e politici del paese.