Quelle telefonate che ti “riattaccano alla vita” Ristretti Orizzonti, 2 maggio 2023 Lettera aperta ai direttori penitenziari e, per conoscenza, al Capo DAP, dottor Giovanni Russo, alla Vice Capo dottoressa Lina Di Domenico, al Direttore della Direzione Generale Detenuti e Trattamento, dottor Gianfranco De Gesu. Quelle telefonate che ti “riattaccano alla vita” In un Paese in perenne emergenza, le uniche emergenze che quasi nessuno vuole vedere sono quelle che riguardano il carcere. Eppure è appena finito l’anno dei record, 84 suicidi, mai così tanti, e questa è una emergenza vera perché la gente sta morendo in carcere. Sostiene uno dei massimi esperti di suicidi, lo psichiatra Diego De Leo, che certo prevenire i suicidi è molto difficile, ma almeno si può cercare di creare una forma di protezione: “Aumentare le opportunità di comunicazione e le connessioni con il mondo ‘di fuori’ non solo renderebbe più tollerabile la vita all’interno dell’istituto di detenzione, ma sicuramente aiuterebbe nel prevenire almeno alcuni dei troppi suicidi che avvengono ancora nelle carceri italiane”. Quelle telefonate che sono un’accelerata agli affetti delle persone in carcere Scrive un detenuto: “Poter telefonare ogni giorno a casa aveva aiutato la mia famiglia a ritrovarsi. Ora ritornare da una telefonata al giorno a una telefonata a settimana di dieci minuti significa riperdersi. Questo periodo lo ricorderemo con i miei cari per esserci persi di nuovo”. Secondo l’articolo 15 dell’Ordinamento penitenziario il trattamento del condannato e dell’internato è svolto anche “agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia”. Ma quei contatti sono invece una miseria: 10 minuti di telefonata a settimana e 6 ore di colloquio al mese, che vuol dire che un genitore detenuto può dedicare al figlio al massimo tre giorni all’anno. Il Covid ha portato ulteriore isolamento e sofferenza, e anche le prime rivolte, i morti, la paura. Ma per fortuna qualcuno ha capito che non era la criminalità organizzata a far esplodere le carceri, ma l’angoscia e la rabbia delle persone detenute, spaventate di essere lasciate sole e di non sapere nulla del destino dei loro cari. E si è trovata l’unica soluzione accettabile, dare un’accelerata agli affetti delle persone in carcere introducendo “il miracolo” delle videochiamate e la forza che ti viene dalle telefonate quotidiane. E così le persone si sono ritrovate a chiamare casa molto più spesso, in alcune carceri anche ogni giorno, e a rivedere le loro case e le famiglie lontane con le videochiamate. Gentili direttori, non è motivo “di particolare rilevanza” l’aver chiuso il 2022 con 84 suicidi? “Radio carcere” dice che le telefonate a breve non saranno più quotidiane o comunque molto frequenti, ma noi non ci crediamo. Non vogliamo credere che i direttori, che hanno la possibilità di concedere più telefonate per motivi “di particolare rilevanza”, rinuncino a un potere, che per una volta è davvero un “potere buono”, di far star meglio le persone detenute, e soprattutto le loro famiglie. Certo, per chi ha figli minori dovrebbe restare in ogni caso la telefonata quotidiana, prevista dalla legge, ma tutti quei figli maggiorenni che per anni hanno avuto a disposizione solo dieci miserabili minuti settimanali per parlare con un genitore detenuto, perché devono essere di nuovo penalizzati dopo aver faticosamente ricostruito delle relazioni famigliari decenti con la chiamata quotidiana (o comunque molto frequente)? Gentili direttori, non fateci tornare al peggio del passato, usate il vostro “potere” per prevenire i suicidi con quello straordinario strumento che può essere sentire una voce famigliare nel momento della sofferenza e della voglia di farla finita. Potenziate le videochiamate, almeno una a settimana, lasciate le telefonate in più, che devono essere quotidiane, in nome dell’emergenza suicidi, e anche per dare continuità a quella che la Corte Costituzionale nell’ordinanza N.162/2010 definisce la “progressività che ispira il percorso rieducativo del detenuto e che è tutelata e garantita dall’art. 27 della Costituzione, attraverso la previsione della finalità rieducativa della pena”. ----------------------------- ADESIONE ENTI Sbarre di zucchero; ACAT Savona Genova ODV; Altro diritto ODV; Anarkikka; APAS Trento; Associazione A Roma Insieme - Leda Colombini; Associazione A Roma, Insieme - Leda Colombini; Associazione Antigone; Associazione Areyoureading; Associazione Carcere Vi.Vo; Associazione Catena in Movimento Onlus; Associazione Comunità Il Gabbiano; Associazione Damm; Associazione Diritti D’autore; Associazione Effatà ODV di Asti; Associazione Famiglie Tossicodipendenti CED Trento; Associazione Happy Bridge; Associazione Il Carcere Possibile Onlus; Associazione Insieme Per Ricominciare Odv; Associazione La Fraternità ODV; Associazione La Fraternità ODV di Verona; Associazione Lacasadellalbero; Associazione Loscarcere; Associazione Mutuo Aiuto di Trento; Associazione Nessuno Tocchi Caino; Associazione Per I Diritti Umani; Associazione per i Vivai ProNatura; Associazione Recidiva Zero; Associazione Sapere Plurale Torino; Associazione Senza Confini di Reggio Emilia; Associazione Sgarruppato; Associazione Spartak San Gennaro; Associazione Station to Station; Associazione Un Filo Rosso; Associazione Voci di dentro; Associazione Vo.Re.Co Roma; Associazione VolCa di Brescia; ATAS onlus Trento; Avvocati per la Solidarietà del Trentino; Caritas Arcidiocesi Ravenna-Cervia; Caritas Italiana; Caritas Rimini; Centro di solidarietà della compagnia delle opere Liguria; Comunità San Martino al Campo - Trieste; Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia ETS; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Emilia Romagna; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Friuli Venezia Giulia; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Liguria; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Lombardia; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Marche; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Toscana; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Trentino Alto Adige; Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Veneto; Cooperativa AltraCittà di Padova; Cooperativa Catena in Movimento 2.0; Cooperativa Giotto di Padova; Cooperativa Girasole di Rovereto; Cooperativa Punto d’Incontro scs onlus Trento; Cooperativa Sociale La Valle di Ezechiele; Cosp Coordinamento Sindacale Penitenziario Cosp Bari; Crivop Italia ODV; Crivop Italia ODV Sezioni Aosta, Torino, Alessandria, Cuneo, Genova, Bergamo, Trieste, Castrovillari (Cs), Crotone, Messina, Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Termini Imerese (Pa), Palermo, Trapani, Caltagirone (Ct), Catania.; CSI Volontariamo - Modena; Gramigna ODV; Granello di senape Padova ODV; Il granello di senape ODV; Gruppo Carcere-Città ODV - Modena; Gruppo operatori “ Donne oltre le mura”; Gruppo Padre Pio volontari a Rebibbia Reclusione; Gruppo volontari carcere Massa Carrara; Icaro Volontariato Giustizia ODV - Udine; Il Girasole ETS; Jesuit Social Network; La Valle di Ezechiele Cooperativa sociale; Lentamente Società Cooperativa Agricola; LoScarcere di Lodi; Nati per Leggere - Trieste; ODOS Bolzano; Oltre il Muro ODV di Piacenza; Redazione Ristretti Orizzonti; Redazione Voci di dentro; Referente regionale AIB NpL e Mamma lingua LeggiAMO 0 - 18 Friuli Venezia Giulia; Rete Carcere Parma; Sbarre di zucchero Bologna; Sbarre di zucchero Milano; Sbarre di zucchero Napoli; Sbarre di zucchero Roma; Sc’Art! APS Genova; Sesta Opera Milano; Società della Ragione Onlus; Verso Itaca APS Piacenza; L’Arte del vivere con lentezza ODV. ADESIONI PERSONALI Adriana Lillia; Adriano Cappello; Ahmed Abdelrahman; Alessandra Casari, Avvocato; Alessandra Zenarola; Alessandro Pedrotti; Altea Vaccaro; Andrea Cavazzini; Angela Castellino; Angela Verde; Anna Brusatin; Anna Maria Repichini; Anna Marletta, Associazione VIC Caritas Rebibbia Femminile; Annamena Mastroianni, Educatrice. Pedagogista. Pedagogista giuridica forense e penitenziaria; Annarosa Lorenz; Antonella Guastini; Antonino D’Agostino; Antonino Favazza; Antonio Sauchella; Antonio Turco, coordinatore del CDL persone private della libertà del Forum Nazionale Terzo Settore; Arrigo Cavallina; Assunta Onorato; Beatrice Comuzzo; Bianca Verde, delegata di Sinistra Italiana alle politiche sociali e pari opportunità Napoli; Carla Benfenati; Carla Cecchi; Carlotta Toschi, Avvocato; Carmela Cioffi; Carmelo Musumeci; Carmen Limata; Carolina Tabarro; Cecco Bellosi; Cecilia Scolari; Chiara Obit; Chiara Tesolin; Cinzia Cerullo; Claudio Leone; Concetta Contini; Concetta Nicolosi; Cristina Stella; Di Biase Rita; Dialdim Abdelrahman; Don David Maria Riboldi Cappellano Casa Circondariale di Busto Arsizio; Don Sandro Spriano, Cappellano dei 4 Istituti di Rebibbia; Donatella Corleo; Donato De Marco; Elena Rosso; Eleonora Rodella; Elisabetta Burla; Elisabetta Burla, Garante comunale dei diritti dei detenuti Trieste; Elisabetta Lippolis; Elisabetta Zamparutti; Emanuela Amato; Emanuela Belcuore, Garante delle persone private della libertà personale Città di Caserta; Enrica Giordano, Avvocato; Enrico Marignani, Avvocato; Fabrizia Nicolina De Palma; Fabrizio Maiello; Federico Osman; Franca Garreffa; Francesca Todone; Francesca Turano Campello; Francesca Veltri; Francesco Crema; Francesco Pulpito; Franco Greco; Franco Villa, Avvocato, Osservatorio Carcere UCPI; Giampaolo Manca; Giampaolo Zampieri; Gioacchino Onorati; Giovanna Ciuccio; Giovanna de Maio; Giovanna Gregori; Giovanni Arcuri; Giovanni Gozzi; Grazia Grena; Grazia Zuffa; Gustavo Imbellone; Ida Petricci; Ileana Montagnini; Imam Monhsen; Isabella Belliboni; Ivana Comuzzi; Ivano Bianco; Licia Rita Roselli; Lilli Carrara, Avvocato; Linda Iacuzzi; Luca Zambon; Lucia Sillani; Luigi Fontana; Luisa Bove; Luisa Della Morte; Luisa Ravagnani, Garante delle persone private della libertà personale Città di Brescia; Manuela Finocchiaro; Marcella De Girolamo; Marcello Pesarini; Marco Costantini; Marco Mareschini; Maria Anna Sillitti; Maria Grazia Visintainer; Maria Novella Sodorman; Maria Teresa Caccavale; Maria Teresa Menotto; Maria Voltolina; MariaPia Giuffrida; Marie Verducci; Marina Toffoletti; Marina Zucco; Massimiliano Menozzi; Massimo Bressan; Maurizio Mazzi; Mauro Bini; Micaela Tosato; Michele Nardi; Mirko De Carli; Mirko Zorzi; Monica Beltrami; Monica Bizaj; Monica Oliviero; Moreno Zoli; Nadia Brandalise; Nadia Palombi; Natascia Gaiani; Nicola Dettori; Ornella Favero; Padre Vittorio Trani, Cappellano Carcere di Regina Coeli Roma; Paola Nicolis; Patrizia Ortenzi; Piera Marziali; Pina Auriemma; Quintino Duma; Renata Condolo; Riccardo Sindoca; Rita Bernardini; Roberta Casco; Roberta Garlatti; Salvatore Grimaldi; Samuele Ciambriello, Garante delle persone private della libertà personale Regione Campania; Sergio D’Elia; Sokol kota; Sonia Paolini; Stefania Anarkikka Spanò; Stefania Ghezza; Stefania Putelli; Stefano Anastasia, Garante delle persone private della libertà personale Regione Lazio; Stefano Petrella, Partito Radicale; Susanna Ronconi; Tonino Di Toro; Umberto Moise; Walter Giusiano; Pasquale Lepore; Katia Misciagna; Ettore Terzo; Paolo Piffer; Roberto Frigato; Diana Iaconetti; Clare Holme; Luigi Giannelli; Bruno Vallefuoco, Ref. Libera Napoli; Enzo Formisano; Ausilia Siciliano; Francesco Maisto, Garante delle persone private della libertà personale Città di Milano; Francesca Garofolo. Appello Madri Fuori di Marcello Maria Pesarini* Ristretti Orizzonti, 2 maggio 2023 Mi fa piacere segnalare come il mondo del volontariato e dell’associazionismo si siano mossi con sintonia e unità di fronte a due dei tanti tentativi di chiudere ancora di più gli spazi di detenzione-non detenzione, affettività in carcere, giustizia riparativa. Società della Ragione, Forum delle droghe, CNCA, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Antigone, CGIL in rappresentanza di chi si impegna da anni in queste direzioni, hanno detto no alla parte del messaggio del sottosegretario alla Giustizia Dal Mastro, pur importante come presa di attenzione, che strizzava l’occhio in maniera coercitiva alle comunità per detenuti tossicodipendenti. Una volta di più è stata poi lanciata, in risposta alle dichiarazioni del senatore Cirielli che vorrebbe togliere la patria potestà alle donne recluse in quanto madri indegne e colpevoli, la campagna “Madri fuori contro lo stigma” con primo appuntamento il 14 maggio, Festa della Mamma. www.societadellaragione.it. Questo ritorno di stigmi contro le donne, i tossicodipendenti, tutti coloro contro cui questo governo e il Paese Benpensante amano scagliarsi è gravissimo. Chi si scaglia contro i bersagli apparentemente più facili dimostra la sua indole debole e insicura. Sta a noi che abbiamo scelto di stare con gli ultimi non per compassione ma per imparare da loro quanta ricchezza abbia l’umanità e la società, e assieme ad essere sappiamo che potremo costruire un mondo più equo e giusto, perché la giustizia dell’uno non si separa da quella di tutti. Invito a nome delle organizzatrici all’assunzione di responsabilità di tutti i democratici del paese perché l’attacco all’affettività e alla socialità dimostrano l’intenzione di voler dare ben poco valore al valore della vita, altro che cristianità e famiglia. *Sinistra Italiana Marche “Riconoscimento facciale per prevenzione e indagine”, l’idea di Piantedosi per la sicurezza di Giacomo Salvini Il Fatto Quotidiano, 2 maggio 2023 Sensi (Pd): “Non è consentito”. “La videosorveglianza è uno strumento fondamentale. La sua progressiva estensione è obiettivo condiviso con tutti i sindaci. Il riconoscimento facciale dà ulteriori e significative possibilità di prevenzione e di indagine. È chiaro che il diritto alla sicurezza va bilanciato con il diritto alla privacy. C’è un punto di equilibrio che si può e si deve trovare. Proprio in questi giorni abbiamo avviato specifiche interlocuzioni con il Garante per trovare una soluzione condivisa”. Matteo Piantedosi, in un’intervista al Quotidiano nazionale, parla- anche dopo lo stupro di Milano avvenuto in stazione Centrale - degli interventi nelle tre grandi città metropolitane, Roma, Milano e Napoli: “Abbiamo da tempo disposto frequenti operazioni ad alto impatto nelle stazioni. I positivi riscontri, non risolutivi del problema, mi hanno poi indotto a concordare con i sindaci una direttiva per allargare i controlli nelle aree limitrofe e inserire stabilmente questo rafforzato dispositivo di sicurezza nei piani di controllo coordinato del territorio”. In realtà quello del riconoscimento facciale è un tema delicatissimo cui l’Ue si è già espressa in maniera negativa. Nei giorni scorsi, con la necessità di regolamentare l’Intelligenza Artificiale (AI), è stato firmato un accordo siglato dai gruppi politici all’Eurocamera che elimina infatti l’uso più invasivo di alcune tecnologie. “La nostra proposta prevede il divieto di alcune pratiche inaccettabili come il ‘social scoring’, ovvero la classificazione dei comportamenti sociali su modello cinese, lo stop agli algoritmi che leggono le emozioni in contesti di lavoro o educativo e il divieto di utilizzo di telecamere biometriche a riconoscimento facciale nei luoghi pubblici” aveva spiegato Brando Benifei, eurodeputato del Pd e relatore del testo. Certo è che sul divieto assoluto di utilizzo delle tecnologie di riconoscimento facciale ad intelligenza artificiale senza il consenso degli interessati sarà battaglia perché il Consiglio Ue potrebbe far passare un’eccezione legata alle clausole di sicurezza nazionale. Col via libera delle istituzioni Ue il testo tornerà in Aula a Strasburgo per l’approvazione finale. L’imperativo e far di corsa, arrivando all’ok finale entro l’anno. Ma la materia è delicata e inedita se si pensa che l’Ue si avvia ad essere la prima al mondo a fissare delle regole nel settore. “Spiace informare il ministro dell’Interno che il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici oggi NON è consentito nel nostro Paese. Una moratoria lo vieta fino alla fine del 2023. Lotterò perché la moratoria diventi un bando, in attesa che l’Europa dica una parola definitiva” scrive su Twitter Filippo Sensi del Pd. Sul tema della sicurezza il responsabile del Viminale dice anche si vuole “aumentare la presenza delle forze di polizia nei luoghi ad alta frequentazione: soprattutto le stazioni, ma anche ospedali e aree commerciali. Perché questo ha un impatto positivo sul piano della prevenzione e della dissuasione”. Il ministro dell’Interno spiega che l’intenzione è di allargare il piano anche ad altre aree metropolitane: “La strategia, l’impegno e gli obiettivi - dice - sono gli stessi rispetto alle tre città più grandi: più divise tra la gente, nei luoghi dove ce ne è più bisogno, per garantire più sicurezza”. E sul fatto che i responsabili dei reati vengono arrestati ma poi spesso tornano a fare quello che facevano prima spiega: “Grazie alla professionalità delle forze di polizia, i responsabili dei singoli reati sono sempre più spesso individuati e assicurati alla giustizia. Poi è la legge a fare il proprio corso. Non credo che il carcere possa essere sempre l’unica soluzione. Per questo vanno potenziati anche altri strumenti di natura amministrativa, ad esempio per quanto riguarda la componente di crimini commessi da cittadini stranieri. Ad esempio, a Milano dall’inizio del 2023 gli omicidi volontari sono stati 11 contro i 13 dello stesso periodo del 2022 mentre le violenze sessuali sono state 87 rispetto alle 116 dell’anno scorso. Ecco perché da tempo si parla della opportunità di incrementare i rimpatri e le espulsioni, necessariamente potenziando i Cpr”. A Milano, prosegue Piantedosi, “la situazione sta migliorando ma certamente non basta, come dimostra lo stupro avvenuto nell’ascensore, un fatto gravissimo e sconvolgente”. Il ministro dell’Interno spiega che per risolvere i problemi legati alla sicurezza “il lavoro delle forze di polizia è fondamentale ma non basta. Occorre agire per combattere il degrado e la crescente emarginazione sociale che finiscono per alimentare fenomeni criminali e insicurezza. Problemi di sicurezza, di disagio e marginalità sociali sono strettamente legati. Per questo è importante l’interlocuzione e la leale collaborazione con i sindaci che non vanno lasciati soli. Per questo stiamo orientando anche la destinazione di importanti risorse”. Infine Piantedosi sottolinea che “la polizia locale è parte essenziale del sistema della sicurezza e che occorre ogni possibile riflessione sull’adeguamento delle sue funzioni”. Roma. Costruire un ponte tra “dentro” e “fuori” grazie al design di Caterina Capelli linkiesta.it, 2 maggio 2023 L’impresa che nasce in carcere crea valore e bellezza. Come? Abbinando le competenze di designer e detenuti nella progettazione di arredi in cui si fondono estetica e innovazione sociale. “Quanno te mettono il marchio sei come ‘na bestia, non te lo leva più nessuno. Alle spalle tue se chiude il portone, trac e trac, e lì comincia un’altra vita. La chiave te chiude pure il cervello, la vita la puoi solo sognare”. È così che Giulio C, 48 anni, detenuto a Regina Coeli, racconta il carcere. Secondo i dati di fine 2022, nel nostro Paese a portare questo “marchio” sono 56.225 persone: una popolazione in crescita che dietro le sbarre conduce un’esistenza sospesa e lontana dagli occhi di chi è libero. Il carcere è un “non luogo”, un “contenitore a tenuta stagna” che non comunica con l’esterno e dove - sostiene il sociologo Zygmunt Bauman nel suo Vite di scarto - la società rinchiude i “rifiuti umani” che ha prodotto. Spiega Alessio Scandurra, dell’Osservatorio di Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nel sistema penale: “Bisogna che chi esce dal carcere sia meglio attrezzato per la vita libera rispetto a quando è entrato, con competenze e aspirazioni nuove, mentre spesso purtroppo accade il contrario”. L’unica cura in grado di dare senso alla detenzione e al percorso di cambiamento - almeno secondo Salvo Fleres, ex Garante dei detenuti - è il lavoro. Per fortuna oggi c’è chi, come Officine 27 | Design galeotto, col lavoro costruisce un ponte tra “dentro” e “fuori”, e lo fa attraverso il design. Tutto ha inizio nel 2014 quando il Ministero della Giustizia propone a Giorgio Manfroni, titolare dell’azienda Metallica srl, di rilevare il laboratorio di carpenteria metallica all’interno del Carcere di Villa Andreino di La Spezia. Comincia così l’avventura che dal 2020 coinvolge designer e detenuti nella progettazione e realizzazione di arredi che - con i loro colori pastello e uno stile essenziale e contemporaneo - combinano al valore estetico anche quello sociale. Dopo alcuni anni di produzione “anonima” dei primi modelli di sedute disegnate dal fondatore - Dima e Pivucì, ancora tra i best seller del brand - i designer Mattia Priola e Maria Manfroni si sono uniti al progetto, disegnando i tavoli delle collezioni e la serie di sedute r85, disponibili nell’e-commerce che Officine 27 ha inaugurato nel 2022. I designer sottolineano l’importanza per i detenuti di creare prodotti che saranno venduti all’esterno del carcere, come rappresentazione tangibile del proprio contributo alla società: “Quando finiscono una sedia, ti chiedono: questa dove va? Ovunque tu gli dica per loro è stupore”. Anche se i progetti che portano il design in carcere non sono una novità, questa è la prima volta in cui lo vediamo usato dall’interno come strumento riabilitativo e di innovazione sociale. È l’articolo 27 della Costituzione italiana - da cui il brand prende il nome - a stabilire che le pene carcerarie “devono tendere alla rieducazione”, sancendo il diritto a un lavoro professionalizzante a fini rieducativi. Questo, purtroppo, non accade quasi mai. “La larghissima maggioranza dei detenuti lavora per periodi molto brevi svolgendo mansioni poco qualificanti e poco retribuite. È più un welfare interno che un lavoro vero, e questo non aiuta in prospettiva del fine pena”, spiega Scandurra. Al lavoro, invece, Officine 27 ci tiene: finora il brand ha assunto tre detenuti-artigiani, uno dei quali, Davide, ormai a fine pena e con una preziosa esperienza da saldatore alle spalle, sta formando un nuovo arrivato che oggi si occupa delle mansioni più leggere ma che, in futuro, potrà prendere il suo posto. “Il lavoro in carcere fa bene quando è duraturo e ben retribuito, perché consente al detenuto di aiutare la propria famiglia e di sentirsi una persona diversa da quella che è entrata”. Nell’economia circolare, lo scarto dei processi produttivi non viene abbandonato, ma reintrodotto nella filiera di cui diventa parte integrante e, talvolta, imprescindibile. Se volessimo abbracciare l’idea di Bauman che esistano “vite di scarto”, allora forse dovremmo anche chiederci quanto sia sostenibile il sistema che questi scarti li ha creati e che, invece di valorizzarli, preferisce nasconderli. Napoli. Fare la differenza: donne, madri e carcere. Quali alternative? di Gianni Vigoroso ottopagine.it, 2 maggio 2023 Viaggio nella detenzione al femminile: mostre, dibattiti, visite nelle carceri (dal 3 maggio al 14 maggio), promosso dal garante campano delle persone private della libertà personale. il primo appuntamento è mercoledì prossimo per la mostra fotografica “Senza Colpe”. Mercoledì 3 maggio ore 10,30 inaugurazione presso il consiglio regionale della Campania (isola F 13 centro direzionale di Napoli) della mostra fotografica “Senza Colpe” di Anna Catalano, che racconta la vita che i bambini in Italia vivono con le proprie madri negli Istituti a carcerazione attenuata per madri-Icam. Inaugurano la mostra il presidente del consiglio regionale della Campania Gennaro Oliviero, il garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello, il pediatra Paolo Siani e la curatrice della mostra Anna Catalano. Il garante Ciambriello ha dichiarato: “Con queste iniziative vogliamo far conoscere l’universo carcerario al femminile, le storie, le criticità, le buone prassi nelle sezioni femminili e la possibilità che non ci siano più bambini in carcere. Una serie di atteggiamenti sta rilanciando lo stigma della ‘cattiva madre’ che poggia sull’archetipo patriarcale della donna ‘doppiamente colpevole’: infrangendo la legge, queste donne hanno ‘tradito’ la ‘natura femminile’, sono venute meno alla ‘missione’ di madre.” Paola (Cs). Il viaggio delle volontarie delle diocesi nella Casa circondariale di Tiziana Ruffo calnews.it, 2 maggio 2023 Un messaggio di amore e di speranza nel cerchio buio del silenzio della detenzione. Ha preso il via anche nel carcere di San Lucido “Il Viaggio del Prigioniero” un progetto di evangelizzazione rivolto ai detenuti delle carceri italiane. Organizzato e promosso da Prison Fellowship Italia, il progetto (preceduto da un corso di formazione rivolto ai volontari) è stato presentato, sabato 29 aprile, ai detenuti. Sei volontarie, provenienti dalle diocesi di: San Marco Argentano-Scalea (Pina Tufo e Stefania Biancamano); Cosenza (Gilda Caporale); Oppido Mamertina-Palmi (Maria Chiara Valerioti, Giovanna Ortolani e Flavia Tedesco) con la collaborazione del RnS (Rinnovamento nello Spirito), si sono dati appuntamento nel carcere di San Lucido per lanciare il programma con una serie di attività create per promuovere il progetto, coordinato da Francesco Paolo di Turo. Un gran numero di detenuti ha aderito e accolto favorevolmente la proposta. Un delicato e importante incontro reso possibile grazie alla disponibilità del Direttrice del carcere, Emilia Boccagna che, unitamente al personale, ha accolto con entusiasmo e grande cordialità il team di volontarie. Il cammino si svolgerà nell’arco di otto settimane. Le volontarie incontreranno, per circa due ore, in un’aula all’interno del carcere, tre gruppi di 12 detenuti. Guidati da un manuale dettagliato e semplice, faranno conoscere la vita e le opere di Gesù attraverso il Vangelo di Marco: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt.25,36). Il progetto, infatti, prevede che si entri in carcere a due a due come gli apostoli, che andavano in tutto il mondo a testimoniare il Messaggio d’Amore di Gesù. Il corso porta a una scoperta altamente strutturata della persona e degli insegnamenti di Gesù (il prigioniero) e culmina nella cerimonia di laurea. Quando i prigionieri si laureano al corso, sono invitati a continuare il loro viaggio con Gesù iscrivendosi a un programma di discepolato che mira a creare relazioni con i volontari che li accompagnano in chiesa e nella comunità favorendo così il successo nella reintegrazione in società. “Questo progetto, ideato da un ex detenuto per cambiare la vita dei detenuti- ha dichiarato la dottoressa Marcella Reni, Presidente di Prison Italia- è già partito in molte altre nazioni e sta funzionando in maniera meravigliosa. Un progetto che desidera dare un sostegno spirituale ed evangelico ai detenuti e che è stato fortemente voluto anche in virtù della situazione drammatica che si sta vivendo nelle carceri attualmente”. Prison Fellowship International è un’Associazione Cristiana che lavora in 112 paesi del mondo portando avanti un programma di giustizia riparativa. La sede italiana è a Roma e svolge la sua attività in tutta la penisola. L’associazione, inoltre, è patrocinata dal Ministero di Grazia e Giustizia. Già 58 suicidi, dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane, un segnale non di certo positivo. “E proprio per questi alti numeri conclude Marcella Reni - che il Ministero ci ha chiesto aiuto per portare sostegno nelle carceri”. I prigionieri sono intrappolati in fallimento e scelte sbagliate che li hanno condotti in giri criminali. La crudeltà dell’ambiente che frequentano provoca pericolo, isolamento e perdita dell’identità. Cercare e trovare una direzione spirituale li aiuta a sopportare e dare un senso alla loro situazione e a ottenere una misura della speranza che possono ottenere. Sono numerosi i benefici osservati da quando Il Viaggio del Prigioniero ha avuto inizio nel 2014 a livello internazionale, che ha visto: ridurre la violenza in carcere; insegnare la responsabilità delle proprie azioni e condurre scelte di vita migliori; soddisfare bisogni spirituali e cercare di risolvere il malcontento; offrire un’ideologia concorrenziale che attenziona la vita piuttosto che la morte; creare un percorso di riconciliazione. *Responsabile Area Comunicazione Rinnovamento nello Spirito Padova. Presentazione del libro “Fede e giustizia. La nuova politica dei cattolici” padovaoggi.it, 2 maggio 2023 Prende il via una nuova rassegna di appuntamenti dedicati alla Lettura proposti da Ucid Padova: “Ucid Legge - Dialogo con gli Autori”. Una iniziativa che si inserisce nella volontà della Sezione padovana della Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti di offrire, non solo ai propri Soci ma anche a chiunque sia interessato, occasioni di riflessione sulla società che ci circonda e su come si possa portare avanti la propria vita umana e professionale, nel rispetto del Prossimo e secondo i principi ispiratori della Dottrina Sociale della Chiesa. “L’idea per questa nuova rassegna dedicata alla lettura - spiega il Presidente Ucid Padova Massimo D’Onofrio ­nasce per aprire un dialogo con i vari Autori sui temi etici, politici e sociali, e per raccogliere stimoli e condividere riflessioni sugli scenari e sull’evoluzione del mondo che ci circonda attraverso le novità editoriali che rientrano nella nostra sfera di interessi. I ritmi attuali ripresi dopo la pandemia seppure tra mille difficoltà, non sempre consentono di immergersi nella lettura. Grazie a questa iniziativa, che speriamo di articolare in più appuntamenti cadenzati nei prossimi mesi, speriamo di riuscire a trasformare le pagine dei libri in parole, domande e pensieri da condividere in dialogo con gli Autori dei libri che presenteremo. Ovviamente rinnoviamo l’invito a chiunque desideri di venire a conoscere Ucid e ad assistere alle presentazioni di libri di questa nostra nuova iniziativa.” Il primo appuntamento vedrà la presentazione del libro “Fede e Giustizia. La nuova politica dei cattolici” di Francesco Occhetta sj (2021, San Paolo Edizioni). L’incontro, che si terrà in presenza, è curato dal Socio Ucid Padova e Past President Flavio Zelco e si terrà all’Auditorium Antonianum di Prato della Valle (PD) giovedì 4 maggio 2023 alle ore 18 con ingresso libero sino ad esaurimento posti. Il Paese è debitore di generazioni di cattolici che hanno contribuito a promuovere riforme sociali per il bene e la crescita di tutti. Poi, di decennio in decennio, sono aumentati il disimpegno, il tradimento degli ideali e la complessità di una realtà sempre più difficile da interpretare. Oggi si tende a privatizzare la vita di fede e a nascondere l’impegno sociale e politico dei cristiani, eppure resistono voci ed esperienze che spingono a procedere controcorrente. Il gesuita Francesco Occhetta, muovendo da queste sollecitazioni, analizza il contesto, rilegge la storia recente d’Italia e propone un modello che spinga i credenti a costruire la giustizia a partire dalla propria fede, per sperare nel futuro ed essere responsabili verso le generazioni che crescono. A una condizione però: portare ciascuno il proprio mattone per costruire lo spazio del bene comune. L’autore - Francesco Occhetta, gesuita, insegna alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Milano, ha conseguito la licenza in Teologia morale a Madrid e il dottorato presso la Pontificia Università Gregoriana. È specializzato in diritti umani all’Università degli Studi di Padova. Ha completato la sua formazione a Santiago del Cile. Giornalista professionista dal 2010, è consulente spirituale dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (Ucsi) e collabora con il cardinale Mauro Gambetti presso la Basilica di San Pietro. Ha ideato “Comunità di Connessioni”, un percorso di formazione all’impegno sociale e politico. La “Ucid - Unione cristiana imprenditori dirigenti - Sezione di Padova” è un’Associazione privata di fedeli, regolata dalle norme del Codice di Diritto Canonico, dalle norme di legge e dallo Statuto. Ad essa aderiscono Cristiani che siano Imprenditori, Dirigenti e Professionisti, organizzati come Federazione di Sezioni aderenti alla “Ucid - Unione cristiana imprenditori dirigenti”, formalmente costituite. L’Associazione aderisce attraverso il rispettivo Gruppo Regionale alla “Ucid - Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti - Federazione Nazionale”, costituita il 31 gennaio 1947, si riconosce nei suoi fini e si impegna a promuoverne la realizzazione per quanto di sua competenza nell’ambito di una sua autonomia di iniziativa, e a rispettare tutte le norme dello statuto e sue successive modifiche approvate a norma dì legge e di statuto. Tra le sue finalità: la formazione cristiana dei suoi iscritti e lo sviluppo di una alta moralità professionale alla luce dei principi cristiani e della morale cattolica; la conoscenza, l’attuazione e la diffusione della dottrina Sociale della Chiesa; lo studio e l’attuazione di iniziative volte a conformare le opere ed attività degli iscritti ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa e ad assicurare un’efficace ed equa collaborazione fra i soggetti dell’impresa, ponendo la persona al centro dell’attività economica, favorendo la solidarietà contro ogni discriminazione e sviluppando la sussidiarietà; la testimonianza cristiana dei Soci con le loro opere nelle imprese, nelle organizzazioni, nel contesto sociale. Ritorna Civil Week. Le persone al centro: “Io mi prendo cura” di Elisabetta Soglio Corriere della Sera, 2 maggio 2023 Al via giovedì la quinta edizione dell’evento al Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia. Due i palinsesti: “Capire” e “Vivere”. Incontri, dibattiti ma anche festa e spettacoli. “Può anche darsi - diceva Martin Luther King - che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate niente per cambiarla”. La citazione è del professor Stefano Zamagni nel testo scritto per Buone Notizie come introduzione al tema della nuova edizione della Civil Week in programma questa settimana a Milano, dal 4 al 7 maggio: per la quinta volta contando anche le tre edizioni che la pandemia aveva imposto online. E il tema di questo 2023 è il seguito quasi naturale del “Tocca a me” che era stato il filo conduttore del 2022: se quella era la proposta di una assunzione di responsabilità rispetto alla società e diciamo pure alla vita, ora la proposta riguarda il possibile modo in cui farlo. E cioè avendone “cura”. Di cosa? Naturalmente di tutto: cura dei più fragili, malati o disabili che siano, dell’ambiente, cura dei vecchi che sono sempre di più e dei bambini che sono sempre di meno, cura di un mondo fatto di popoli interi che migrano e che sempre più lo faranno, di una economia che non pensi solo a moltiplicare il denaro ma a far lievitare il bene comune, cura della cultura, delle città, cura di una giustizia che sia recupero e non vendetta. Tocca a me? Sì, avevamo detto l’anno scorso: e di tutto questo “Io mi prendo cura”, insistiamo adesso. La formula è sempre la stessa, messa a punto e ormai consolidata con il Centro Servizi Volontariato e con i Forum del terzo settore di Milano e dell’Area metropolitana oltre alle Fondazioni comunitarie del Milanese e in collaborazione tra gli altri con Regione Lombardia e Comune di Milano. Due i palinsesti di appuntamenti. Uno è quello del “Capire”, con un denso programma di incontri (si comincia giovedì sera con il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, intervistato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana) dedicati all’approfondimento del tema: tra gli interlocutori lo storico Franco Cardini, l’ex ministra Marta Cartabia, la scrittrice e fondatrice di Nuovi Orizzonti Chiara Amirante, il conduttore Flavio Montrucchio, l’economista Enrico Giovannini, la campionessa di scherma Elisa Di Francisca. L’altro palinsesto è quello del “Vivere”, con oltre 400 eventi, performance, iniziative promosse in altrettanti luoghi della città e dell’area metropolitana in cui quella miriade di realtà già impegnate nella “cura” del mondo, e che ciascuna nel suo ambito la praticano ogni giorno, raccontano se stesse. Anche questa volta non mancheranno eventi intensi in cui festa, musica, arte e spettacolo si uniranno a messaggi di grande potenza emotiva, come la sfilata dedicata a “La Bellezza Ritrovata” (5 aprile, Loggia del Palazzo dei Giureconsulti, ore 18.30) con la direzione artistica di Patrizia e Antonio Marras, in collaborazione con le associazioni Acto Lombardia, La Forza e il Sorriso onlus, Go5 per mano con le donne onlus, con la partecipazione di Cristiana Capotondi, Geppi Cucciari, Federica Fracassi; e come il concerto finale “La musica per prendersi cura” (6 maggio, Piazza regione Lombardia, ore 18) con il Coro Amici della Nave di San Vittore unito alle band dei Rulli Frulli e dei Rulli Frullini dirette da Federico Alberghini, con la partecipazione di Mr. Rain e altri ospiti a sorpresa. Tutti gli incontri in programma durante la Civil Week, che per chi vorrà esserci avranno luogo al Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia (a Milano con ingresso da via Olona 6B), potranno comunque essere seguiti come sempre anche in streaming su Corriere.it. Primo Maggio, non solo festa. Il lavoro come diritto e frontiera sociale d’inclusione di Nicola Saldutti Corriere della Sera, 2 maggio 2023 Il primo articolo della Costituzione spiega bene che il lavoro non è solo una dimensione economica. Ecco perché vanno individuate alcune priorità e costruire progetti di inclusione. Sul lavoro bisogna uscire da un equivoco. E partire dal primo articolo della Costituzione può essere di molto aiuto. “Una Repubblica fondata sul lavoro…”. Dunque, non si tratta solo di una dimensione economica, di un aspetto legato al mercato (peraltro quello del lavoro è uno dei mercati più inefficienti) ma al diritto delle persone. Alla loro dimensione più profonda, nel contesto sociale. Potremmo dire che il lavoro stesso rappresenta una frontiera sociale di inclusione (o di esclusione). Se è vero che ci sono tre milioni di Neet, ragazzi e ragazze che non studiano e non lavorano, se è vero che i detenuti per i quali si costruiscono le occasioni lavorative hanno meno probabilità di tornare a commettere reati, se è vero che l’autonomia economica per le donne è questione di diritti oltre che di produttività per il Paese, se è vero che il lavoro è sempre stata la miglior forma di inclusione per chi viene nel nostro Paese, se è vero che in passato le aziende preferivano pagare le multe invece di assumere (come prevede la legge) le persone portatrici di disabilità, allora il Primo maggio diventa molto di più di un’occasione per rivendicare qualcosa: diventa un giorno nel quale istituzioni, imprese, sistemi di rappresentanza, dai sindacati ai corpi intermedi, dovrebbero individuare alcune priorità e costruire progetti di inclusione. In realtà, per fortuna ce ne sono già molti. Ma ancora non sufficienti a dare attuazione, dopo 75 anni, al primo articolo della Costituzione. Una battaglia comune per il salario minimo e la dignità del lavoro di Emanuele Felice* Il Domani, 2 maggio 2023 C’è un tema molto concreto su cui le opposizioni possono cominciare a unire le forze: la dignità del lavoro. Le destre vogliono allargare ulteriormente le maglie della precarietà e tenere bassi i salari, indebolendo il ruolo dei sindacati: e lo propongono, per decreto, proprio il Primo maggio. Peggio. Mentre crescono i morti per lavoro (3 al giorno, in media, di cui 2 in servizio), il governo ha introdotto il subappalto a cascata e vorrebbe depotenziare le ispezioni sul lavoro, affidandole alle stesse imprese controllate: con il probabile risultato di ridurre i controlli e fare aumentare ancora di più i morti. Queste misure strizzano l’occhio a un sistema produttivo fatto di scarsi controlli e illegalità diffusa, che pensa di poter competere, o sopravvivere, pagando poco i lavoratori e aggirando le norme. Estremizzano una visione diffusa fra le nostre classi dirigenti, che perdura da decenni. Certo è una via facile, per le imprese e per il sistema paese, ridurre i salari, o le tasse, invece di investire sull’innovazione e su tutto quel che comporta (istruzione, ricerca, un’amministrazione efficiente). Ma è una via sbagliata, perché di fronte a chi ha costi del lavoro incomparabilmente più bassi noi possiamo competere solo sulla qualità, non sui prezzi. E per questo abbiamo bisogno di lavoratori ben formati, e ben pagati, e stabilizzati, che lavorano meglio e sanno implementare le innovazioni. Non solo: i salari alti sono un incentivo affinché le imprese, e tutto il sistema paese, investano in nuove tecnologie (come è sempre avvenuto, nella storia economica). Del resto, l’Italia viene da 30 anni di compressione salariale, come nessun altro paese europeo. Non è servita: siamo anche l’economia cresciuta meno di tutto il mondo avanzato. Oggi nel centro-sinistra c’è una consapevolezza diversa. Tutte le forze di opposizione riconoscono la necessità di istituire un salario minimo. Fra le proposte, quella di Andrea Orlando per il PD ancora la retribuzione ai contratti nazionali più rappresentativi, settore per settore, e fissa un salario davvero minimo solo dove questo non è possibile (9,5 euro lordi, a ottobre 2022; oggi con l’inflazione sarebbero 10): ha il vantaggio di valorizzare il ruolo dei sindacati e scongiurare così il rischio che, in alcuni settori, proprio il salario minimo porti a un abbassamento dei salari medi. Andrebbe affiancata da una legge sulla rappresentanza sindacale, che dia finalmente attuazione all’articolo 39 della nostra Costituzione contrastando i sindacati gialli, e da una battaglia comune per chiedere i rinnovi dei contratti, proporzionati all’inflazione. Questo è uno dei quei casi in cui politiche per lo sviluppo e politiche per l’equità vanno insieme. E la convergenza di tutte le opposizioni può mettere in seria difficoltà le destre e la loro narrazione. Psichiatria. Il 3 maggio fiaccolata nelle piazze italiane per Barbara Capovani quotidianosanita.it, 2 maggio 2023 Obiettivo delle iniziative indette dalla Società Italiana di Psichiatria e da molti Omceo è sensibilizzare sul tema della violenza negli ospedali, ambulatori, Ps, strutture residenziali e, più in generale, gli ambienti dediti alla cura ed alla riabilitazione di chi soffre, in particolare di disturbi mentali: “Le richieste di aiuto dei professionisti della psichiatria devono trovare adeguate risposte”. Saranno decine in tutta Italia le manifestazioni di psichiatri, altri professionisti della salute mentale, medici ed operatori sanitari, che domani, 3 maggio dalle 20, riempiranno le piazze italiane per ricordare Barbara Capovani, la psichiatra di Pisa barbaramente uccisa da un soggetto gravemente problematico - ex-paziente a lei affidato dalla Magistratura - che, all’uscita dal lavoro, l’ha aggredita con una violenza imprevedibile e dagli esiti purtroppo drammatici. Le manifestazioni, indette con il sostegno degli Ordini Provinciali dei Medici e della Società Italiana di Psichiatria (Sip), con il supporto di altre Società professionali e scientifiche, mirano a sensibilizzare la popolazione tutta e le Istituzioni sul tema della violenza nei luoghi di lavoro della sanità: ospedali, ambulatori, pronti soccorso, strutture residenziali e, più in generale, gli ambienti dediti alla cura ed alla riabilitazione di chi soffre, in particolare di disturbi mentali. Al momento le città coinvolte sono: Milano, Torino, Bologna, Cagliari, Palermo, Roma, Teramo, Ragusa, Napoli, Genova, Bari, Perugia, Catania, Siracusa, Bolzano, L’Aquila, San Benedetto del Tronto, Messina ma in questi giorni di festa molte altre si sono aggiunte. “L’omicidio di Barbara, della nostra collega Barbara, ci ha aperto definitivamente gli occhi di fronte ad una condizione drammatica che ognuno di noi vive quotidianamente in prima linea e ad ogni livello nei contesti di cura - spiega Emi Bondi, presidente della Società Italiana di Psichiatria -. È necessario che tutti si rendano finalmente conto come, non solo nei Dipartimenti di Salute Mentale, ma anche in altri luoghi sanitari, che i compiti di cura vengano spesso travolti da richieste di controllo sociale che non possono riguardare medici ed operatori sanitari. Le nostre strutture, così come quelle della sanità in genere, sono diventate luoghi di pericolo e di angoscia. Sempre più frequentemente, infatti, i colleghi che lavorano nei Pronti soccorso sono esposti ad aggressioni ed intimidazione ad opera di soggetti che abbiamo difficoltà a definire pazienti, come pure di familiari che esigono risposte immediate e/o rifiutano le indicazioni fornite dai curanti. Questo stato di cose è una condizione non più accettabile e la mancanza di soluzioni a tali problemi non più rimandabile. La drammatica vicenda di Barbara, a Pisa - aggiunge - resterà scolpita nei cuori degli psichiatri e del personale della salute mentale con tutto lo sgomento e la rabbia che episodi simili sanno suscitare in ognuno di noi. Ci auguriamo che le Istituzioni, dopo anni di oblio, si rendano finalmente conto che questa ondata di protesta non si può più fermare e che le richieste di aiuto dei professionisti della psichiatria devono trovare adeguate risposte”. Le criticità della Sip. La psichiatria, ricorda una nota della Sip, è la disciplina da anni più esposta a tagli di risorse, soprattutto umane (le più importanti in questo ambito) ed a ridimensionamento delle strutture necessarie per dare una risposta attiva e utile ai pazienti affetti da disturbi mentali. Peraltro, l’incremento degli invii ai Servizi Psichiatrici degli autori di reato sta spostando i problemi delle carceri e delle strutture che hanno sostituito gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) - le cosiddette Rems - sulle altre strutture della Psichiatria costringendola, senza difese, ad occuparsi di chi non può stare alle regole di una normale convivenza quando queste regole ha già dimostrato di trasgredirle ampiamente. Dalla legge di riforma degli Opg non esistono ancora, poi, Servizi e percorsi terapeutico-riabilitativi differenziati in grado di garantire cura, ma anche rispetto delle pene che derivano dal riconoscimento di reati particolarmente gravi compiuti da soggetti violenti. Per garantire tutto questo, suggeriscono gli Psichiatri, servono finanziamenti proporzionati agli impegni che i Servizi si devono assumere e nuovo personale adeguatamente formato; la psichiatria è divenuta, purtroppo, l’ultima branca della medicina nel nostro Paese per inadeguatezza di finanziamenti (meno del 3% del Fondo Sanitario, mentre solo in Francia si supera il 9%). Tutto questo non può che avere conseguenze drammatiche che - alle estreme conseguenze - si manifestano con episodi quali quelli accaduti un po’ dovunque e generano, per livello di gravità, l’omicidio di Pisa. Dopo l’entrata in vigore della legge, gli Opg sono stati chiusi rapidamente, ma non è stato ancora dato seguito alla riforma, con autori di reato che rimangono liberi per mesi in attesa del posto in Rems e vengono, nel contempo, affidati alla “vigilanza” di strutture sanitarie - come i Centri di Salute Mentale - che non posseggono capacità di controllo della violenza e sono esposti costantemente al rischio. Sono centinaia le segnalazioni di fatti violenti ogni giorno, ma migliaia sono quelli non denunciati per palese impossibilità di intervento e di risposta anche da parte degli organi addetti quali magistratura, polizia e carabinieri”. In questa dimensione del problema, conclude la nota della Sip, “la mancanza di medici specialisti e di infermieri specializzati in salute mentale, nonché la crisi progressiva dell’assistenza psichiatrica dovuta all’insufficienza dei luoghi di cura, crea un contesto invivibile nonostante il personale in servizio, da anni sottovalutato, stia dando il massimo possibile”. Mettiamo in sicurezza la salute mentale di Michele Sanza* La Stampa, 2 maggio 2023 La tragica morte di Barbara Capovani, collega che dirigeva il servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale Santa Chiara di Pisa, uccisa a colpi di spranga da quello che si presume essere stato un suo paziente, allarma. Si tratta dell’ultimo di un lungo elenco di omicidi di psichiatri (il pensiero va subito a Paola Labriola, uccisa nel 2021 con 57 coltellate in un Centro di salute mentale di Bari). Un evento assurdo, probabilmente evitabile, che ci addolora per la perdita inaccettabile di una collega brava, responsabile dedita al suo lavoro. Un evento che solleva anche legittimi interrogativi sulla sicurezza delle strutture dei Dipartimenti di Salute mentale e Dipendenze patologiche in Italia. Affinché il sacrificio della collega Barbara Capovani non sia vano e permetta di richiamare l’attenzione sulle necessità di sicurezza delle strutture della Salute mentale bisogna agire subito su tre fronti fondamentali. Anzitutto, la logistica degli ambienti di cura: servono spazi adeguati, dispositivi di sicurezza, formazione del personale. La sicurezza nelle strutture psichiatriche è un’esigenza pari alla asepsi nelle sale operatorie delle chirurgie. C’è poi il recupero del personale, quanto meno ai livelli degli standard pre-pandemici (dopo il Covid il personale delle aziende sanitarie è complessivamente aumentato ma è diminuito nei Dipartimenti di Salute mentale e Dipendenze patologiche). Infine, la stesura di protocolli di interazione con la Magistratura e le forze dell’ordine che permettano di gestire in sicurezza gli autori di reato non imputabili per vizio di mente e affidati ai Dipartimenti di salute mentale. Temi che auspichiamo vengano recepiti nelle politiche per la salute mentale in una visione complessiva di sviluppo dei nostri servizi il cui valore e la cui importanza sono percepiti, anche dalla collettività, come un bisogno primario e una priorità della sanità pubblica. È vero che negli ultimi anni si è assistito ad un incremento delle violenze contro i sanitari che non riguarda solo la psichiatria e che colpisce in particolare i pronto soccorsi e le prime linee. Ma la violenza, in Psichiatria, ha connotati diversi. Questo purtroppo non è il primo omicidio commesso a freddo da pazienti che covano rancori e rabbie alimentate dalla loro stessa patologia e che a un certo punto dirigono spietatamente su chi ha posto loro un limite, nell’interesse e a beneficio dello stesso paziente o perché entrato nel magma delirante di una immaginazione patologica. Solo raramente - anzi, quasi mai - questi agiti sono imponderabili, accidentali, e quindi inevitabili e imprevedibili. Il raptus è un’invenzione letteraria, una semplificazione pacificatrice, che trova spazio nei titoloni delle cronache e alimenta lo stigma ma non risolve il problema. Piuttosto sono atti che seguono una logica, il crescendo di una vera e propria escalation che prima di materializzarsi lascia una scia di tracce di fronte alle quali il sentimento più comune degli operatori è l’impotenza. Ci si affida alla cabala della statistica come principale protezione: “In fondo le aggressioni, soprattutto quelle gravi, sono rare… non capiterà proprio a me”. Non sappiamo se anche Barbara nei giorni scorsi ha avuto questo pensiero, ma tanti colleghi vi si riconosceranno. La psichiatria, vittima del complesso di colpa del manicomio, ha lungamente negato per motivi ideologici la violenza criminale nella malattia mentale. Oggi sappiamo che un’assistenza in linea con i principi di libertà di autodeterminazione dei pazienti deve essere in grado di tutelare i curanti e garantire la sicurezza nelle strutture a 360 gradi. Non si tratta di trasformare gli operatori in tutori dell’ordine. Al contrario, si tratta piuttosto di rifiutare la delega della gestione dei comportamenti aggressivi e di avere la piena collaborazione delle forze dell’ordine sui casi a rischio di violenza. Né è accettabile l’inadeguatezza delle strutture del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche quando i loro standard sono al di sotto del livello di sicurezza; strutture vetuste con angoli bui, spazi di attesa ristretti e vetri frangibili sono purtroppo ancora troppo frequenti nei luoghi di cura della salute mentale. Ciò che non può essere accettato è la riduzione del personale, soprattutto degli psichiatri, che costringe a impegnare molte risorse sui servizi di emergenza riducendo le attività del territorio, importantissime per la prevenzione. Ciò che non può essere accettato è la delega implicita alle strutture del Dsm Dp di gestire in solitudine soggetti con un profilo criminale riconosciuti non imputabili dai Tribunali. La legge 81 del 2014, che ha chiuso gli ospedali psichiatrici giudiziari, è stata senza dubbio un’ulteriore conquista di civiltà del nostro sistema di Salute Mentale, ispirato dal principio della volontarietà delle cure. Ma le soluzioni pratiche hanno fatto ricadere sulla rete delle Rems, le residenze riabilitative territoriali, un impegno sugli autori di reato che sfida costantemente le garanzie di sicurezza. *Psichiatra, direttore dipartimento salute mentale Emilia Romagna Salute mentale alle corde di Gemma Brandi e Mario Iannucci* quotidianosanita.it, 2 maggio 2023 Barbara Capovani è la psichiatra pisana che sarebbe stata uccisa brutalmente per mano di un uomo portatore di una severa sofferenza mentale, noto da venti anni agli organi pubblici della Salute Mentale toscana. Si tratta di un cittadino italiano figlio di un uomo cinese, che avrebbe abbandonato la famiglia e vivrebbe in California, e di una donna di Napoli che ha lasciato quella città pare per sottrarre la prole a influenze familiari che non riteneva positive. Se il minore dei figli della donna avrebbe trovato una sua collocazione sociale più che soddisfacente, questo non sarebbe accaduto al primogenito. La diagnosi che la Dottoressa Capovani aveva formulato a suo carico nel 2019 è di quelle agghiaccianti e imbarazzanti per ogni specialista in psichiatria: disturbo di personalità paranoide, narcisistico ed antisociale, associato con una consapevolezza lucida circa il disvalore delle sue scelte trasgressive. Agghiacciante tale diagnosi lo è per evocare il pericolo che i disturbi di personalità in causa sottendono e la scarsa presa che i farmaci hanno su tali sofferenze strutturali; ma è anche imbarazzante, perché una somma di diagnosi rinvia a una incertezza diagnostica e perché viene introdotta la supposta capacità di intendere o di volere dell’imputato, destinata a ricacciare il paziente fuori della porta di una competenza prognostica e terapeutica, oltre che diagnostica. È quanto sarebbe accaduto a Gianluca Paul Seung, stando alle segnalazioni dei suoi familiari e al collage anamnestico che la stampa ha provato a mettere insieme. Le parole composte e l’atteggiamento addolorato del Procuratore della Repubblica di Pisa, nella intervista rilasciata poco dopo l’arresto dell’uomo, sono utili, insieme a quelle scomposte rilasciate da alcuni specialisti in psichiatria e da esponenti politici direttamente coinvolti, per comprendere meglio come questa e una miriade di altre storie mettano in scacco le istituzioni chiamate a lavorare insieme per prevenire le tragedie prevedibili e dunque potenzialmente prevenibili. Ha detto Giovanni Porpora, a proposito dell’imputato: “Si entra nel campo dello psichiatrico, dove è difficile trovare qualcosa di razionale… Soggetti che, oltre ad essere colpevoli, sono a loro volta vittime, oggi, di una società che forse non è in grado di prendersi carico di queste tipologie di soggetti…”. Il magistrato del pubblico ministero mette il dito nella piaga, facendo comprendere come la Giustizia sia portata fuori strada da condotte che nulla hanno di spiegabile su una base razionale, in quanto ispirate dalla follia. La follia tende a intrudersi nei vuoti lasciati dalla rete istituzionale, a confondere le acque, a generare scelte irrazionali, se le istituzioni che non sono preposte a dare una lettura della follia, appunto, non vengono supportate da quelle a ciò preposte, pertanto deputate alla scelta e alla indicazione di percorsi terapeutici, in senso allargato e dunque ben oltre i farmaci, percorsi che siano in grado di attutire il rischio di caduta libera di persone imbrigliate da idee che aprono a comportamenti apparentemente inspiegabili. Il limite che “queste tipologie di soggetti” reclamano non è un limite punitivo, ma un limite che cura: la luminosa virtù del limite, appunto. È dunque indispensabile una cooperazione interistituzionale e interdisciplinare che permetta di porre un argine degno dello scopo qui indicato. Nessuna istituzione da sola se la caverà con “queste tipologie di soggetti”, mentre insieme le istituzioni potrebbero assai di più di quanto sia immaginabile a tutta prima. È un lavoro di ricamo a più mani, di messa a punto di strumenti adatti e sottoposti a un controllo interprofessionale, gli stessi che permettono di raggiungere risultati di salute e sicurezza. Le parole di alcuni specialisti in psichiatria intervistati “I delinquenti non sono pazienti…” e di politici che hanno parlato pubblicamente del cittadino toscano, Gianluca Paul Seung, come di uno “spietato assassino”, mostrano quale ignoranza profonda attanagli gli organismi chiamati a definire la cura di “queste tipologie di soggetti”. Una ignoranza che va sposa al panico psichiatrico difronte alla responsabilità introdotta dalla posizione di garanzia. Tale panico porta la psichiatria odierna a teorizzare come imprevedibile e non prevenibile quasi ogni condotta psicopatologica, persino il suicidio di un paziente schizofrenico in crisi che rifiuti le terapie antipsicotiche da giorni e che chieda di essere ricoverato senza ottenere l’accoglienza auspicabile. Vale la pena rammentare come la posizione di garanzia dello psichiatra comporti il rischio di coinvolgimento colposo del professionista solo quando una condotta aggressiva di un malato di mente sia dimostrato essere stata prevedibile e dunque prevenibile, situazioni davvero eccezionali nel curriculum di uno psichiatra attento quanto un chirurgo alla sua pratica. Franco Basaglia usò uno stratagemma per chiudere i manicomi, consistente nell’escludere dalle competenze della novella Salute Mentale ogni forma di dipendenza patologica -i Disturbi da Dipendenza sono quadri psicopatologici nel Manuale Statistico Internazionale dei Disturbi Mentali e in tutti i Paesi a occuparsene è la psichiatria- e gli autori di gesti aggressivi che comportassero l’intervento della Giustizia. Questo peccato originale ha nondimeno permesso la chiusura degli Ospedali Psichiatrici e la nascita di una Salute Mentale estesa sul territorio e oggi quarantacinquenne. Si sarebbe potuto credere che fosse tempo per aprire la Salute Mentale ai campi impropriamente e strategicamente abbandonati. La spinta non ha però seguito la via di una decostruzione perseverante dell’internamento giudiziario, come auspicavamo alla fine degli anni ‘90, bensì la strada di una trasgressione speculativa guidata dalle tonanti e scandalizzate parole di un Presidente della Repubblica che definì gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari “luoghi indegni di un Paese appena civile”. La sgangherata e ideologica risposta ai problemi della trasgressione dettata dalla follia ha portato al varo delle cosiddette REMS, navigli in balia delle onde, alla cui guida non sono Giustizia, Sicurezza e Salute Mentale all’unisono, ma una Salute chiamata a gestire problemi che richiedono garanzie che la Salute non è in grado di offrire. La soluzione all’italiana di tenere questi luoghi chiusi, con qualche guardia giurata qua e là, senza la necessaria sicurezza, di sottodosarne il numero e di sceglierne gli utenti, ha prodotto effetti illegittimi e pericolosi: persone destinate alle REMS restano “sequestrate” in carcere e altri soggetti prosciolti, ma pericolosi socialmente, attendono a piede libero un posto nelle REMS. La mancanza di una collaborazione stretta tra Salute Mentale -che non va identificata con un perito psichiatra- Giustizia e Sicurezza è alla base della tragedia di Pisa e di molte altre analoghe tragedie. Se il Paese non saprà dotarsi di una cassetta degli attrezzi comune per fronteggiare le emergenze che “queste tipologie di soggetti” pongono, di casi come quello che riempie la stampa negli ultimi giorni torneremo a leggerne. Senza dubbio occorre che siano chiamati in causa coloro che conoscono la materia e hanno dato prova consolidata di sapersi occupare di una programmazione seria nel campo. Ogni ipotesi psichiatrica prioritariamente difensivistica va vista come segno di superficialità, altro che di scientificità e di logica, e dunque come vizio supremo assai pericoloso. A partire da esperienze e conoscenze affidabili e dalla scelta di comunicare con modestia e rispetto reciproco, le istituzioni potranno uscire da una palude che non fa onore all’Italia e che potrebbe determinare passi indietro solo apparentemente risolutivi. Serve una nuova cassetta degli attrezzi per “queste tipologie di soggetti”, o forse basta rimettere in uso strumenti desueti e maltrattati perché ritenuti maltrattanti, a partire da obblighi alla cura gestiti in spazi adeguati e con mentalità fiduciosa e preparata davvero. Da venti anni parliamo di coazione benigna, definita nel 2018 dalla European Psychiatric Association gentle coercion. *Psichiatri psicoanalisti, Esperti di Salute Mentale applicata al Diritto Migranti. A Milano ancora bloccate le richieste di protezione internazionale di Sara Tirrito Il Fatto Quotidiano, 2 maggio 2023 A quasi un mese dall’avvio del sistema di prenotazione online, chiedere protezione internazionale a Milano resta complicato. Almeno per chi è in possesso di un documento di identificazione. Lo denunciano le associazioni che offrono assistenza legale, sociale e sanitaria agli stranieri presenti sul territorio. “Le code non sono più davanti alla Questura, si sono spostate on line”, scrivono un comunicato congiunto i volontari di Todo Cambia, Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Naga, Cambio passo, Mutuo soccorso Milano e Rete Milano. Introdotta il 5 aprile scorso, la prenotazione informatizzata per la domanda di protezione internazionale prevede tre modalità. La prima riguarda chi è in possesso di certificati di identificazione, che dovrebbe registrarsi direttamente sul portale Prenotafacile della Polizia di Stato e selezionare una data per depositare la domanda. Poi ci sono le persone prive di titoli di riconoscimento, che si stanno rivolgendo a enti convenzionati del terzo settore, tra cui Croce rossa, Acli, Caritas, Cisl, Cgil, Ueil, Fondazione progetto Arca. La terza via è quella di over 60 e donne incinte, che possono chiamare o presentarsi spontaneamente alla segreteria dell’hub dell’associazione Avsi. Per le organizzazioni convenzionate con la Questura, la procedura scorre senza intoppi, con oltre un migliaio di prenotazioni rilevate già nei primi 15 giorni di attivazione. A non funzionare del tutto è l’accessibilità del sito per chi ha un documento e deve registrarsi da solo. Dall’indomani dell’attivazione del portale, il 6 aprile, in molti hanno riscontrato l’assenza di date disponibili. Si sono rivolti alle associazioni che a titolo gratuito supportano i migranti nella domanda e arrivati sulla piattaforma hanno fatto i conti con l’assenza di giorni. Sotto la scritta “selezionare data”, al posto del calendario compare l’avviso: “Al momento non c’è disponibilità di appuntamenti, riprovare più tardi o rivolgersi alla questura di riferimento”. L’unico momento in cui alcuni sono riusciti a prenotarsi è una finestra di pochi minuti, che si apre intorno alle nove del mattino. Nessun limite orario per le prenotazioni però è stato reso noto né c’è formalmente un numero massimo di appuntamenti da raggiungere. Gli unici ad avere indicazioni su tempi e modalità di accesso sono i fragili e le persone prive di documenti, per cui esiste una tabella ad hoc con le informazioni per presentarsi. “Le persone richiedenti escluse da queste due categorie sono costrette a ripetere il tentativo ogni giorno sperando di cogliere quel brevissimo istante in cui il sistema permette di prenotare. Una lotteria quotidiana”, denunciano ancora le associazioni. C’è da considerare che i servizi dei volontari sono per lo più concentrati nelle ore pomeridiane e serali. In associazioni come Naga, dal 5 aprile a oggi, nessun richiedente è riuscito a prendere un appuntamento. Come accadeva in via Cagni, quando i migranti rimanevano fuori dalla Questura nonostante passassero notti intere all’esterno nella speranza di entrare. Per chi restava fuori dalla porta, le associazioni allora raccoglievano le manifestazioni di volontà. Si tratta di moduli che attestano e datano il tentativo, non riuscito, di chiedere protezione internazionale. Lo stesso stanno facendo adesso con chi non riesce a registrarsi sul portale. Inviando le manifestazioni tramite pec, tengono traccia delle volte in cui il migrante ha cercato di prendere un appuntamento con l’obiettivo di regolarizzarsi. Finora però alle decine di e-mail inviate non sono seguite risposte. “Chiediamo che la situazione sia risolta con la massima urgenza - dicono i volontari - in modo da rispettare i termini stabiliti dalla normativa, che sono di tre giorni prorogabili, in deroga, fino al limite massimo di 13”. Con il metodo delle manifestazioni di volontà, un mese fa un 30enne di origini egiziane aveva visto riconosciuto il diritto di essere ricevuto in Questura entro tre giorni (prorogabili a 13) dopo che per diverse notti era stato escluso dalle file della caserma Annarumma. A quel provvedimento ne sono seguiti almeno tre con parere identico, emessi dal tribunale civile di Milano nell’ultimo mese. La motivazione: “l’impossibilità di presentare la domanda determina il perpetuarsi della condizione di irregolarità”, si leggeva sull’ordinanza del giovane egiziano. Migranti. Lituania, approvata la legge che legalizza i respingimenti alla frontiera La Repubblica, 2 maggio 2023 Critiche delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative. Per Amnesty International quella lituana è una legge che dà il via libera alla tortura. L’UNHCR teme per l’incolumità delle persone alla frontiera. Sul confine polacco si continua a morire. La Lituania ha approvato una legge che legalizza i respingimenti nonostante le critiche. Con 86 voti a favore, 8 contrari e 20 astensioni, il parlamento ha adottato gli emendamenti alla legge sul confine e la protezione dello Stato da applicare nelle situazioni di emergenza. La normativa stabilisce che le persone migranti che tentano di attraversare irregolarmente il confine possono essere respinte dal capo della Guardia di frontiera locale senza possibilità di fare ricorso, ma assicura però la tutela delle persone vulnerabili. L’approvazione di questi emendamenti è un ulteriore passo avanti per consolidare la pratica, già ampiamente diffusa, dei respingimenti alla frontiera, inizialmente introdotta con un’ordinanza della ministra dell’Interno Agne Bilotaite nel 2021 e successivamente formalizzata con una decisione del governo. La critica delle ONG e della politica europea. Per Amnesty International si tratta di un provvedimento che dà il via libera alla tortura. Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic, in una dichiarazione, ha posto l’accento sulle segnalazioni di violenza e di altre violazioni dei diritti umani commesse contro i migranti, nell’ambito dei respingimenti al confine tra la Lituania e la Bielorussia. Dunja Mijatovic ha esortato il Parlamento a fermare questi abusi e a garantire un monitoraggio indipendente ed efficace dei diritti alle frontiere. Il diritto internazionale vieta i respingimenti perché le persone devono sempre avere la possibilità di chiedere asilo. E su questo punto si sofferma l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ovvero sulla necessità di mettere le persone bisognose di protezione internazionale nella condizione di poter fare richiesta di asilo e di non essere respinte alla frontiera. La posizione della Lituania. Per la ministra dell’Interno Agne Bilotaite il Paese non ha alternative in questo momento: bisogna proteggersi dall’afflusso dei profughi e strumenti come i respingimenti sono necessari in questo contesto geopolitico. Vilnius accusa la Bielorussia di avere deliberatamente favorito il passaggio dei migranti verso i Paesi europei, tra cui Polonia e Lituania. Morire sul confine. Intanto i dati raccontano di continui incidenti sui confini con la Bielorussia. Un totale di 43 persone ha perso la vita sul lato polacco del confine tra Minsk e Varsavia dall’inizio della crisi umanitaria nel settembre 2021. Il 18 aprile un corpo è stato trovato in una foresta vicino alla città di Janowa nei pressi del fiume Narewka. Il 22 aprile un altro corpo è stato trovato dai turisti nelle vicinanze del villaggio di Istok, vicino al confine con la foresta di Bialowieska. Il 23 aprile un uomo siriano di 58 anni, che stava lottando per la propria vita dopo essere precipitato da un muro alto cinque metri e lungo 186 km costruito l’anno scorso dalle autorità polacche, è deceduto. Per Piotr Czaban, volontario del Servizio di emergenza umanitaria polacco, ci sono molti più morti di quelli scoperti fino a ora sul versante polacco e bielorusso. Molte delle vittime individuate da Czaban e dalla sua organizzazione sono finite a causa dell’ipotermia. Quando la geografia complica la vita dei profughi. La Helsinki Foundation for Human Rights denuncia che i migranti sono spesso costretti a tornare in Bielorussia attraverso le aree paludose e i fiumi. Purtroppo la stessa conformazione geografica del territorio al confine polacco-bielorusso e le condizioni meteorologiche, soprattutto in inverno e in autunno, rappresentano una minaccia per la vita e per la salute delle persone in movimento. La Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte sta indagando su numerosi casi di respingimenti effettuati sul confine tra Polonia e Bielorussia. Uno di essi riguarda la ripetuta espulsione dalla Polonia di una famiglia con un bambino disabile di 10 anni, costretto insieme ai genitori a rimanere nella foresta, con la neve e le temperature sotto lo zero, per tanto tempo. Un altro concerne lo stato di salute di un profugo iracheno continuamente vittima di violenza da parte della guardia frontiera polacca, detenuto per 185 giorni in un centro sovraffollato senza poter fare richiesta di asilo. Israele. Leader della Jihad in sciopero della fame muore in carcere La Repubblica, 2 maggio 2023 Razzi da Gaza. Anp: “Assassinio deliberato”. Lo sceicco Khader Adnan era molto popolare. Israele “pagherà il prezzo della morte”, commenta la Jihad islamica rivolgendo un appello per uno sciopero generale in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Uno dei principali esponenti della Jihad islamica in Cisgiordania, il 44enne sceicco Khader Adnan, è deceduto oggi dopo uno sciopero della fame protrattosi per 86 giorni. Lo ha riferito il servizio carcerario israeliano, secondo cui nella notte è stato trovato privo di sensi nella sua cella ed è stato trasferito in un vicino ospedale dove è stato confermato il decesso. Adnan era stato arrestato per la decima volta a febbraio, sospettato di far parte di un’organizzazione terroristica. Protagonista in passato di altri scioperi della fame, lo sceicco godeva di grande popolarità. Poco dopo l’annuncio della morte in carcere dello sceicco Khader Adnan, alcuni razzi sono stati sparati da Gaza verso Israele. Secondo la radio militare sono stati sparati “due o tre razzi” che sono caduti in zone aperte senza provocare danni né vittime. In precedenza erano state attivate sirene di allarme nel kibbutz Saad, nel Negev. Da Gaza la Jihad islamica ha già accusato Israele di essere responsabile della morte in carcere di Adnan. “Questo crimine - ha avvertito in un comunicato - non passerà senza una reazione”. Israele “pagherà il prezzo della morte” di Adnan, aggiungono rivolgendo un appello per uno sciopero generale in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Dura la reazione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il premier palestinese Muhammed Shtayeh, citato dall’agenzia di stampa Wafa, ha accusato Israele di aver compiuto “un assassinio deliberato” e di essersi macchiato di negligenze mediche. Il ministero degli Esteri palestinese ha invocato la costituzione di una commissione internazionale di indagine sulle circostanze della morte. Ha anche anticipato che sottoporrà la questione alla Corte penale internazionale. Intanto, in diverse località della Cisgiordania sono stati annunciati scioperi di protesta. Iran. Milioni di studentesse a rischio avvelenamento di Riccardo Noury Il Fatto Quotidiano, 2 maggio 2023 Amnesty International ha lanciato un appello globale al procuratore generale dell’Iran, Mohammad Jafar Montazeri, chiedendogli di avviare immediatamente indagini indipendenti e approfondite sull’avvelenamento di migliaia di studentesse, con l’obiettivo di consegnare alla giustizia chiunque sia sospettato di esserne responsabile. Dal 30 novembre 2022, quando sono stati segnalati i primi attacchi nelle scuole di Qom. migliaia di studentesse sono state avvelenate da gas tossici nelle scuole di ogni parte dell’Iran e ricoverate in ospedale. Sono state prese di mira più di 100 scuole, alcune delle quali più di una volta, per un totale di oltre 300 attacchi. Tosse, difficoltà respiratorie, irritazione al naso e alla gola, palpitazioni, mal di testa, nausea, vomito e intorpidimento degli arti sono i sintomi più comuni. A seguito di questi attacchi, molte famiglie hanno ritirato le loro figlie dalle scuole. Nonostante secondo i dati ufficiali 13.000 studentesse abbiano avuto bisogno di cure mediche, il ministro della Salute ha dichiarato che non ci sono “prove concrete” che le studentesse siano state avvelenate e ha aggiunto che “più del 90% dei problemi di salute è stato causato da stress o è stato inventato”. Tutto lascia pensare, al contrario, che quella degli avvelenamenti sia una campagna coordinata per punire le studentesse per la loro pacifica partecipazione alle proteste scoppiate a partire dalla metà dello scorso settembre. Nel febbraio 2023 giornalisti indipendenti fuori dell’Iran hanno riportato la storia di una bambina di 11 anni morta dopo essere stata avvelenata nella sua scuola a Qom, ma le autorità hanno smentito la notizia. Anche i genitori della bambina hanno fatto riferimento a malattie pregresse, ma resta il dubbio che abbiano subito pressioni per confermare la narrazione ufficiale. Amnesty International ha ricevuto informazioni credibili su un protocollo del ministero della Salute che ordina al personale medico di attribuire i sintomi causati dagli attacchi col gas a problemi di “stress”. Le autorità hanno anche arrestato un giornalista che aveva riferito sugli avvelenamenti e ne hanno convocati molti altri per interrogatori. Non aver fermato gli avvelenamenti ha generato crescenti critiche da parte dell’opinione pubblica e le proteste sono state affrontate dalle autorità con le consuete misure repressive. A marzo le proteste organizzate dai sindacati degli insegnanti sono state disperse in modo violento. Nello stesso periodo sono circolati video che mostravano agenti delle forze di sicurezza in borghese e in uniforme mentre aggredivano la madre di una vittima, fuori da una scuola a Teheran. *Portavoce di Amnesty International Italia Sudan. La guerra, i morti, la distruzione e la fuga dall’inferno: ecco cosa sta succedendo di Giordano Stabile La Stampa, 2 maggio 2023 Quarantamila dollari è la cifra che chiedono i passeur al confine per arrivare in Egitto: una cifra enorme in un Paese che ha un reddito medio annuo di mille dollari. Quarantamila dollari per uscire dall’inferno. È la cifra che chiedono i passeur al confine fra il Sudan e l’Egitto. Promettono permessi speciali per tutta una famiglia, e un pullmino a disposizione per attraversare i posti di controllo alla frontiera. Una cifra enorme in un Paese che ha un reddito medio annuo di mille dollari. Ma di fronte alla prospettiva di ritrovarsi inghiottiti in una guerra civile tipo quella siriana, come ha avvertito l’ex premier democratico Abdallah Hamdok, molti sono disposti a bruciare tutti i risparmi o vendersi la casa pur di scappare. La tregua è stata prolungata di 72 ore, ma è una farsa, i combattimenti a Khartoum continuano. L’iniziativa è tornata nelle mani dei miliziani della Rapid support force del generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuti anche come Beretti rossi o “janjaweed, “diavoli a cavallo”. A differenza che nel Darfur, quando terrorizzavano i villaggi davvero con cariche a cavallo, hanno a disposizione mezzi blindati e tank di fabbricazione sovietica e hanno ricominciato ad avanzare nella parte orientale della capitale, a Est del Nilo Bianco, con l’obiettivo di conquistare l’aeroporto. Lo scalo di Khartoum, concepito quando la metropoli era una cittadina, ha la peculiarità di trovarsi in mezzo ai palazzi, e lungo la grande avenue che corre da Nord a Sud si vedono i jet in fase di atterraggio bassa quota, quasi a sfiorare la strada. Una posizione problematica in tempo di pace, figuriamoci adesso. Gli uomini di Dagalo sono arrivati a pochi isolati, con l’obiettivo di privare il rivale Abdel Fattah al-Burhan di una possibile via di rifornimenti. Il secondo obiettivo è avere una base per cominciare a utilizzare i propri elicotteri. Le evacuazioni degli occidentali, ormai nella fase finale, devono trovare altre vie, più complicate. Ieri un convoglio con 500 cittadini americani è arrivato dalla capitale fino a Port Sudan, sul Mar Rosso, dopo un viaggio di 800 chilometri attraverso il deserto. Lungo il percorso è stato scortato dall’alto da droni, pronti a intervenire in caso di assalto da parte di predoni o miliziani. Tutto è possibile in uno Stato in disfacimento. Le Forze di supporto rapido di Dagalo contano 100 mila uomini, più o meno quelli a disposizione di Al-Burhan all’interno dell’esercito regolare. Il suo vantaggio finora era stato garantito dall’aviazione, ma i vecchi Mig e Sukhoi hanno bisogno di continua manutenzione, i pezzi di ricambio scarseggiano e i raid sono più sporadici. Significa una situazione di stallo prolungato e quindi la prospettiva è una lunga guerra civile, “come in Siria”, ha paventato l’ex primo ministro Hamdok alla Bbc. I morti accertati sono oltre 500, migliaia i feriti. Mancano cibo e medicine, dilaga la malnutrizione fra i minori, come ha denunciato Save the Children. I profughi verso i Paesi confinanti sono 50 mila. Migliaia di persone sono bloccate, altro paradosso, perché hanno lasciato i loro passaporti nelle ambasciate, chiuse in tutta fretta, e adesso non possono recuperarli. Hamdok è stato messo da parte nel gennaio del 2022, quando i generali, vale a dire gli stessi Dagalo e Al-Burhan si sono ripresi tutto il potere nel Consiglio esecutivo, in teoria un governo misto civile-militare. Era la fine di fatto della transizione cominciata nell’aprile del 2019, con la deposizione del dittatore, ricercato dall’Aja, Omar al-Bashir. Gli Stati Uniti hanno cercato di rimettere sui binari il processo democratico, con la nomina di un ambasciatore, John Godfrey, dopo un’assenza di 25 anni, e le pressioni del segretario di Stato Antony Blinken e della sua vice Victoria Nuland, che ha visitato Khartoum ancora il 9 marzo. Troppo tardi. Dagalo e Al-Burhan erano già ai ferri corti, affilavano le armi e cercavano di accreditarsi presso i loro protettori, la Russia, gli Emirati, l’Egitto e l’Arabia Saudita. Il tutto mantenendo buoni rapporti di facciata con le potenze occidentali. I due, entrambi stretti collaboratori e complici di Al-Bashir, provano a giocare la parte del “buono” e del “cattivo”. Nessuno ci crede più. È una lotta di potere a oltranza, senza alcun obiettivo ideale, se non il potere e l’arricchimento personale.