Sette anni di volontariato accanto alle persone in Alta Sicurezza 1 e l’immobilità delle istituzioni di Carla Chiappini* Ristretti Orizzonti, 23 giugno 2023 Sono tanto stanca che non riesco nemmeno più a riposare. Sono stanca anche di continuare a vedere ingiustizie, pigrizie istituzionali, scelte insensate, vite sospese e affaticate ben più della mia Sono stanca di vedere il pallore e la magrezza di Ciro e la sua chemioterapia tra ospedale e una cella bollente. Bollente sì, e non è un’esagerazione perché in questa stagione le carceri, soprattutto quelle “moderne”, più recenti sono davvero bollenti e i rari ventilatori muovono aria bollente. Sono stanca perché non so più cosa proporre a queste persone che vivono recluse da più di trent’anni, che hanno sperimentato anni e anni di 41 bis, che (per fortuna non tutti) hanno conosciuto la violenza istituzionale a Pianosa e Asinara, che hanno commesso reati gravissimi a cui lo Stato ha risposto con una pena infinita che non di rado ha toccato la tortura. Come tutte quelle volte in cui i Magistrati hanno fatto promesse pur sapendo che non le avrebbero mantenute e tutte queste estati in cui il caldo non dà tregua nelle celle poste sotto un tetto di cemento armato, le ore d’aria nel momento più caldo della giornata e le attività sempre nelle ore bollenti, le più bollenti del giorno. Sono stanca di inventarmi incontri e riflessioni per una crescita umana che non è pensabile in queste condizioni in cui l’unico esercizio possibile è quello della pazienza, della sopportazione e della resistenza Una sopportazione che genera solo altra sopportazione, una resistenza che insegna a resistere ancora più forte; non certo a riflettere, a crescere, a sviluppare altre competenze. Che senso ha? Indagini già concluse che stazionano sulle scrivanie dei magistrati, pagine di relazioni positive dagli istituti di pena che dormono da mesi, forse da anni. Ma ha senso tutto questo? A chi giova? Non sarebbe ora di mettere alla prova queste persone, di allargare le maglie della libertà e osservare come si sanno muovere nel mondo, un mondo che non conoscono nemmeno, che hanno lasciato per l’appunto trenta e più anni fa, che è cambiato tantissimo come anche loro sono cambiati tantissimo? In tutti i sensi, fisicamente, intellettualmente, spiritualmente. Mettete tutti i vincoli che ritenete utili, tutte le limitazioni e tutte le regole, ma cominciate a lasciarli camminare almeno un po’, perché davvero tutto questo accanimento è troppo anche per chi tra noi ha ben chiare le regole del vivere civile, per chi non ha mai avuto ambiguità o piaggeria nel condannare le scelte violente e i reati, opponendo sempre i valori della legalità e del rispetto del prossimo e di sé. Pensate a forme di accompagnamento, a serie verifiche periodiche, a percorsi monitorati ma onorate la Costituzione di cui troppo spesso tutti ci riempiamo la bocca e aprite qualche spazio di ricostruzione per chi ha sbagliato tanto, ha tanto fatto soffrire e ha tanto sofferto ma comunque ha studiato, si è impegnato e ha tenuto ben stretti i fili delle relazioni buone con le proprie famiglie che aspettano da un tempo che ha dell’incredibile. *Giornalista che coordina la redazione di Ristretti Orizzonti a Parma Rita è già Garante, va soltanto nominata di Andrea Nicolosi* L’Unità, 23 giugno 2023 C’è tutto un “mondo carcere” che, con Bernardini Garante dei detenuti, spera si possa realizzare la perfetta corrispondenza tra la funzione e chi la esercita. Poco più di un mese fa è trascorso il 7° anniversario dall’ultimo saluto, dallo stigmatico e indimenticabile “A subito” di Marco Pannella, a cui la Repubblica Italiana e il mondo intero devono tanto. Indimenticato il suo indefesso impegno politico - nel tempo divenuto transnazionale e transpartito - per il riconoscimento ovunque dei diritti inviolabili e violati e la tutela dei portatori, anch’essi violati, di tali diritti, la cura degli ultimi e tra questi dei detenuti, condannati a vari tipi di morte: alla pena di morte, alla pena fino alla morte, alla morte per pena, alla tortura. Quella portata avanti da Marco Pannella, insieme a Mariateresa Di Lascia e tanti altri, è una battaglia sacra che merita da parte di tutti il massimo rispetto e riconoscimento. Una totale dedizione e un affiato umano e politico di valore inestimabile proseguito e interpretato negli anni da Nessuno tocchi Caino e, in special modo e con lo stesso spirito di abnegazione, da chi da anni lo presiede, dirige e amministra: Rita Bernardini, Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti. Siamo alla vigilia delle nomine della terna che dovrà presiedere l’Ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e oltre a Nessuno tocchi Caino, che conta ormai 3.000 iscritti, e al suo direttivo che tiene insieme, uno accanto all’altro, docenti universitari, professionisti del diritto, ex detenuti, parlamentari di tutti gli schieramenti politici, giovani studenti, attivisti, tutto il “mondo carcere” non può oggi non sperare nella nomina di Rita Bernardini. Sapendo, peraltro, del particolare favore del Ministro Nordio nei confronti della sua persona, così come dell’attenzione e considerazione del Presidente Meloni e del Governo verso Rita Bernardini e la sua quotidiana attività che, sempre più qualificata, prosegue ininterrotta da più di 30 anni, così come del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è anche intervenuto per dissuaderla a proseguire scioperi della fame divenuti estremi che la mettevano in serio pericolo di vita. C’è tutto un “mondo carcere” che, con Rita Bernardini Garante nazionale dei detenuti, spera si possa realizzare la perfetta corrispondenza tra l’istituzione e la funzione e tra la funzione e il suo preposto. In tutti questi anni, Rita è stata già di fatto una Garante dei detenuti, avendo girato e girando in lungo e in largo per le carceri d’Italia, letteralmente incarnando quell’opera cristiana di misericordia corporale che è il “visitare i carcerati”, caricandosi delle criticità e disagi non solo dei detenuti ma anche della comunità dei c.d. “detenenti”, la polizia e tutti gli altri operatori penitenziari, che operano troppo spesso in condizioni di estrema difficoltà e in carenza di organico, risorse, organizzazione, formazione. È certo che se Rita non si fosse caricata e non avesse assunto in sé e nella sua vita il “mondo carcere”, i condannati, i detenuti, i carcerieri, i direttori, gli educatori, gli assistenti sociali e tutte le figure che vi ruotano intorno, comprese, indirettamente, le loro rispettive famiglie, il danno ambientale ed esistenziale proprio della carcerazione sarebbe senz’altro più drammatico e, forse, non più calcolabile. Sempre pronta al soccorso, al salvataggio, al conforto, all’amore verso questi condannati - anche con i suoi scioperi della fame estremi, che ci hanno tenuti tutti in allarme per la sua vita - con la forza gentile della nonviolenza ha contrastato gli effetti di un potere che può divenire il più duro, cieco, spietato. Rita Bernardini continua a essere un patrimonio della storia non solo radicale, di Nessuno tocchi Caino, che andrebbe tutelato come bene prezioso con un dovuto riconoscimento del valore che le è proprio. Una investitura, finalmente ufficiale, consentirebbe a Rita di esercitare la funzione di Garante dei detenuti come ha sempre fatto e di essere quella che è sempre stata, con la visione del carcere che era di Marco Pannella: una comunità, non una somma, un insieme di parti diverse, non contrapposte, da rispettare, conciliare. Un mondo difficile da tenere insieme, in ordine, nell’unico modo possibile: con il rispetto della legge, della regola, con il dialogo e la nonviolenza. Servono “portatori d’acqua” nel deserto dei diritti carcerari, per questo serve Rita Bernardini. *Direttivo di Nessuno tocchi Caino Cassazione: ergastolo ostativo, l’ammissione di responsabilità non è determinante di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 23 giugno 2023 Per la concessione del permesso premio non deve essere valutata l’ammissione di responsabilità del condannato, ma piuttosto l’accertamento della rescissione dei legami con il suo gruppo mafioso di appartenenza e l’assenza di un ripristino con esso. La Cassazione ha emesso di recente la sentenza numero 23556 del 2023, che fornisce ulteriori chiarimenti sull’argomento riguardante la concessione del permesso premio ai detenuti condannati all’ergastolo ostativo. È importante ricordare che, grazie alle pronunce della Consulta, la qualifica ‘ ostativo’ non è più valida. Ripercorriamo i fatti. L’ordinanza emessa dal magistrato di Sorveglianza di Roma il 25 marzo 2022 ha respinto la richiesta di permesso premio presentata dal condannato. Tale decisione si basava sulla natura dei reati commessi dal soggetto, tra cui tre omicidi, la violazione della legge sulle armi e la ricettazione di tali armi. È importante sottolineare che tali reati sono stati perpetrati in un contesto di criminalità organizzata, nello specifico nella ‘ndrangheta, il che ha comportato l’applicazione del regime detentivo differenziato. Successivamente, il tribunale di Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo presentato dal condannato contro la decisione del magistrato di Sorveglianza. Il Tribunale ha evidenziato che la Corte di assise di Cosenza, contrariamente alla tesi del condannato, ha confermato l’aggravante prevista dall’articolo 7 del decreto legge del maggio 1991 per i tre omicidi menzionati, considerandoli parte di una sanguinaria faida di ‘ ndrangheta e inserendoli in un contesto di criminalità organizzata. Il Tribunale ha anche sottolineato la persistente protesta di innocenza del condannato, che ha impedito una revisione critica del proprio passato criminale, e ha riconosciuto la regolarità della sua condotta in carcere. Nonostante il condannato avesse conseguito una laurea durante la detenzione e ricevuto encomi per il suo impegno lavorativo, ciò non è stato sufficiente per sovvertire la decisione del magistrato di Sorveglianza. Il condannato ha presentato un ricorso per Cassazione tramite il proprio difensore, denunciando violazioni e erronea applicazione dell’articolo 30- ter della legge 354 del 1975 e mancanza di motivazione. La difesa ha sottolineato il percorso carcerario encomiabile del condannato, compreso il conseguimento di una laurea e il riconoscimento per l’impegno dimostrato. La Cassazione ha accolto il ricorso, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. Inoltre, ha sottolineato che il giudice di sorveglianza deve valutare in modo concreto elementi di fatto individualizzanti riguardanti il percorso rieducativo del detenuto. Secondo la Corte costituzionale, il detenuto per reati di prima fascia, senza una collaborazione con la giustizia, è soggetto a una presunzione relativa di perdurante pericolosità. Tuttavia, questa presunzione può essere superata mediante l’acquisizione di elementi di prova che escludano sia l’attualità dei legami con la criminalità organizzata sia il pericolo del loro ripristino. La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito la distinzione tra la prova dell’assenza di collegamenti duraturi con l’ambiente criminale e la prova negativa del pericolo di ripresa di tali legami. È stata considerata illegittima la decisione del giudice di sorveglianza che dichiari l’inammissibilità della richiesta di permesso premio senza specifiche allegazioni di elementi di prova. È sufficiente l’allegazione di elementi fattuali che, anche solo logicamente, contrastino con la presunzione di pericolosità. La sentenza della Cassazione mette quindi in luce l’importanza di un’analisi dettagliata e di una valutazione individualizzata dei fatti nel processo decisionale riguardante i permessi premio per i detenuti coinvolti in reati gravi legati alla criminalità organizzata. La necessità di valutare in modo approfondito il percorso carcerario del detenuto è finalizzata a determinare se tali elementi assumano o meno un significato univocamente favorevole. Secondo i giudici supremi, la valutazione positiva non deve necessariamente coincidere con la presenza di un profondo e personale ravvedimento da parte del condannato. Piuttosto, è importante riscontrare la propensione del detenuto a interrompere i collegamenti con il mondo criminale e a evitare di ristabilirli. La prospettiva dinamica della rieducazione richiede un esame ampio e attento dei comportamenti manifestati dal detenuto nel corso del suo percorso carcerario. È necessario considerare l’insieme complessivo degli elementi emersi nel percorso carcerario del detenuto. Ciò implica l’analisi di vari aspetti, come il comportamento in cella, la partecipazione attiva a programmi di riabilitazione, l’acquisizione di competenze professionali o educative e l’assenza di comportamenti che indichino una persistente connessione con il mondo del crimine. È quindi fondamentale analizzare l’insieme complessivo degli elementi emersi per valutare se il detenuto dimostri un cambiamento effettivo e una volontà sincera di reintegrarsi nella società, garantendo al contempo la protezione della comunità e la prevenzione della recidiva. Il 41bis e l’anomalia della competenza esclusiva del tribunale di Sorveglianza di Roma di Frank Cimini Il Dubbio, 23 giugno 2023 Dalla caduta del fascismo non c’erano stati tribunali speciali. Neanche durante la madre di tutte le emergenze per risolvere la questione della sovversione interna perché allora c’era stato un uso speciale dei tribunali ordinari poi proseguito con la lotta alla mafia e la farsa di Mani pulite. Ma dall’anno di grazia 2009 a Roma c’è il tribunale di Sorveglianza che ha la competenza esclusiva a decidere sui reclami contro l’applicazione del 41bis del regolamento penitenziario il carcere duro provenienti da tutto il paese. Tutto questo nel silenzio generale o quasi a eccezione dell’Unione delle Camere Penali che già nel 2008, un anno prima della riforma controriforma sulla questione avevano avvertito sui pericoli a livello di diritti. Anche nel novembre del 2017 le Camere Penali denunciavano “l’anomalia” parlando di prassi distorte che vanno oltre le reali necessità. “Si pensa così di rispondere all’esigenza di evitare pronunciamenti giurisprudenziali eterogenei da parte di diversi tribunali. In pratica la negazione della giurisdizione dove invece l’eventuale contrasto tra decisioni è il sale del diritto”. In pratica viene negato il rispetto del principio costituzionale diritto al giudice naturale. Il quadro diventa sempre più grave ricordando che sottoposti adesso al 41bis ci sono 750 detenuti il doppio rispetto al periodo delle stragi mafiose. Di carcere duro si è parlato molto in questi ultimi tempi a causa del lunghissimo sciopero della fame dell’anarchico Alfredo Cospito che ha rischiato la vita per sottoporre all’attenzione generale una questione che non riguardava e non riguarda solo lui. Ma sul punto si sono visti in giro ben pochi garantisti i soliti quattro gatti oltre alle manifestazioni ai cortei e ai presidi dei movimenti anarchici. Nessuno ha messo in discussione il 41bis e l’anomala esclusiva competenza della sorveglianza di Roma che sul punto ha da tempo pieni poteri. Si tratta a livello istituzionale di una vera e propria sfiducia nei tribunali di sorveglianza di un intero Paese. Ma la magistratura e le associazioni di categoria tacciono mentre sono pronte da anni a denunciare tentativi di delegittimazione della giurisdizione a ogni piè sospinto. Detenuti e volontari contro il degrado ambientale gnewsonline.it, 23 giugno 2023 Torna il 25 giugno, a poco più di un mese dalla prima iniziativa, la giornata ecologica promossa da Seconda Chance, associazione che fa da ponte tra carceri e aziende per creare opportunità di reinserimento, e Plastic Free, Onlus impegnata dal 2019 nel contrastare l’inquinamento da plastica. Lo scorso 8 maggio, 46 detenuti provenienti da 5 istituti penitenziari sono stati coinvolti nella raccolta di rifiuti in piazza Lucio Dalla a Bologna, sul lungofiume Amaseno a Priverno (Latina) e sulla spiaggia della Tonnara di Palmi (Reggio Calabria). Domenica 25 giugno sarà la volta dei detenuti provenienti dalle carceri di Genova, Reggio Emilia, Firenze, Secondigliano e Cagliari di dedicarsi a operazioni di bonifica delle aree ritenute degradate. Come la volta precedente, guidati da volontari della Plastic Free, raccoglieranno plastica, rifiuti e mozziconi di sigarette e cercheranno di restituire alla loro bellezza originaria angoli del paesaggio urbano o naturale. Detenuti e volontari saranno attivi al capolinea della funicolare Righi di Genova, a piazzale Europa a Reggio Emilia, presso il circolo La rondinella a Firenze, all’Oasi dei Variconi a Castel Volturno (Caserta) e presso la Pineta Su siccu, fronte Bonaria, a Cagliari. Alla raccolta possono contribuire tutti, basta iscriversi su www.plasticfreeonlus.it. I veri nemici del garantismo modello Nordio si trovano nella maggioranza di Claudio Cerasa Il Foglio, 23 giugno 2023 Il garantismo mostrato sulla riforma della giustizia è ampiamente compensato in negativo dal populismo penale messo in campo ogni giorno dal centrodestra nella sua attività di governo. Dieci casi di scuola, dieci storie. Garantisti un tubo, cara Meloni. Le buone intenzioni mostrate dal ministro Carlo Nordio sulla riforma della giustizia mostrano un volto importante ma anche sorprendente della maggioranza di governo. Un volto nuovo, se si vuole, che si trova in aperta e felice contraddizione con un pezzo di storia recente della destra populista, che dopo aver animato per molto tempo la politica del cappio ha scelto di dedicare maggiore attenzione alle politiche garantiste. Lo si può dire senza imbarazzo: una destra che sceglie di sostenere la linea Nordio, una linea attenta alle garanzie di un indagato, una linea attenta alla separazione tra i poteri dello stato, una linea finalizzata a restringere il perimetro del processo mediatico, una linea che tende a non rassegnarsi all’idea che l’Italia debba essere una Repubblica fondata sullo strapotere delle procure, è una destra che ha fatto senz’altro un passo in avanti verso una stagione di maggiore attenzione al garantismo. Ma se si sceglie di allargare con onestà l’inquadratura sull’azione dell’esecutivo si noterà senza difficoltà che il mito del centrodestra garantista si dissolve come neve al sole di fronte alla quotidianità dell’azione di governo. E se si ha la pazienza di mettere insieme alcuni puntini non si farà fatica a riconoscere che il garantismo mostrato dal governo sul pacchetto Nordio è ampiamente compensato in negativo dal populismo penale messo in campo ogni giorno dal centrodestra nella sua attività di governo. L’ossessione repressiva della maggioranza di centrodestra è stata inquadrata ironicamente dal nostro giornale all’interno della categoria “Giorgia vieta cose”. Ma accanto all’inevitabile ironia sulla premier che si è specializzata nel vietare tutto quello che può - a volte arrivando a vietare cose che sono già vietate, tanto per poter dire di averle vietate ancora di più, come per esempio la carne sintetica, che a prescindere dalle leggi del governo sarà vietata fino a che non verrà autorizzata dall’Europa, come accaduto d’altronde per la farina d’insetti - la convinzione che il diritto penale sia lo strumento principe per porre un freno a ogni forma di ingiustizia sta diventando un tratto ricorrente, cupo e pericoloso, che merita di essere evidenziato e denunciato con forza. Un piccolo ripasso può essere utile. Primo caso: la legge contro i rave party, con le pene più severe previste per i rave illegali. Secondo caso: il decreto “Cutro”, con le pene più severe previste per i reati connessi all’immigrazione clandestina. Terzo caso: la norma sulla violenza agli operatori medici, con pene più severe previste per chi minaccia o compie atti di violenza ai danni del personale sanitario. Quarto caso: il ddl sulla violenza di genere, con nuove pene introdotte e nuovi reati creati. Quinto caso: la legge sulla violenza ai danni del personale scolastico, con le pene che anche qui aumentano. Sesto caso: il ddl che introduce il reato di omicidio nautico, equiparato all’omicidio stradale, con una legge che prevede pene e aggravanti per chi provoca lesioni gravi o morte di persone al timone di un’imbarcazione. Settimo caso: l’introduzione del reato universale di gestazione per altri, con relative nuove pene e nuove sanzioni per i trasgressori. Ottavo caso: il disegno di legge sull’occupazione abusiva di immobili, che introduce nuove pene in un ambito già ampiamente normato. Nono caso: la proposta di legge per portare a cinque anni di carcere chi esalta condotte illegali sul web, norma dedicata agli youtuber e agli influencer dopo il caso dell’incidente di Casal Palocco. Potremmo aggiungere a questi casi (i primi otto sono approvati o in corso di approvazione, l’ultimo è stato solo proposto) anche altre idee suggerite in questi mesi da alcuni esponenti della maggioranza di governo: dal carcere per le borseggiatrici rom alle sanzioni penali per chi vandalizza i beni culturali. E potremmo anche aggiungere le numerose sanzioni che dovevano essere introdotte ieri dal governo sul pacchetto relativo alla sicurezza stradale, con relativo inasprimento delle pene per chi causa incidenti e morti in auto da “ubriaco” o “sotto effetto di stupefacenti” (approvazione rinviata al prossimo cdm). L’elenco è lungo ma il tema è evidente. E l’abuso di populismo penale ha una doppia funzione. Da un lato permettere di alzare cortine fumogene in grado di nascondere le svolte mainstream portate avanti su molti fronti da parte del governo. Dall’altro permette di instaurare con gli avversari una dialettica di questo tipo: se sei contro le sanzioni che vogliamo introdurre significa che sei indifferente rispetto al tipo di reato che vogliamo punire di più. E se ti schieri a favore delle garanzie, dunque, non sei un garantista, ma sei un amico di tutti coloro che noi vogliamo punire. “Chi usa di frequente frasi come ‘dobbiamo aumentare le pene’ fa squillare nei propri interlocutori alcuni campanelli d’allarme molto preoccupanti. Perché chiedere più pene significa rinunciare ad applicare le sanzioni che già ci sono oggi. E chi tende a intercettare una domanda di sicurezza degli elettori giocando con il rialzo delle pene alla fine non fa altro che ingrassare un populismo che in pochi mi sembra vogliono combattere davvero: quello penale”. Le parole che avete appena letto tra virgolette sono del ministro Nordio. Sono datate settembre 2022. E sono parole che ci dicono qualcosa di interessante. Il garantismo di chi protegge le garanzie solo quando queste sono compatibili con l’umore dell’opinione pubblica tende a essere un garantismo che rischia di trasformarsi più in una piccola farsa che in un serio progetto politico. Nordio è un garantista con i fiocchi, la destra che lo sostiene purtroppo no. E per questo, a proposito di campanelli d’allarme preoccupanti, i più grandi nemici della riforma portata avanti da Nordio forse più che all’interno dell’opposizione vanno cercati all’interno di una maggioranza che il tribunale del popolo piuttosto che combatterlo sceglie quotidianamente di alimentarlo. Garantisti un tubo, cara Meloni. Bongiorno pigliatutto. Il ddl giustizia di Nordio dirottato verso il Senato di Giulia Merlo Il Domani, 23 giugno 2023 Il testo doveva andare alla Camera, ma la mediazione tra maggioranza e governo lo stanno dirottando verso palazzo Madama. Con scorno di FI, che puntava a indicare il relatore del ddl. In commissione Giustizia alla Camera, inoltre, il testo aveva già pronto come relatore il forzista Pietro Pittalis: un modo per cementare la collaborazione con Nordio e rinforzare l’immagine del partito. Un accentramento, quello di Bongiorno, che ormai è evidente come anche il suo ruolo di guardiana rispetto alle fughe in avanti di Nordio. Stare al governo insieme significa scendere a compromessi, soprattutto su questioni complesse e potenzialmente divisive come la giustizia. Per questo, l’iter del disegno di legge sulla giustizia del ministro Carlo Nordio è cambiato in corsa: il testo deve essere ancora bollinato e incardinato in uno dei due rami del parlamento, ma la direzione ormai quasi certa è quella di palazzo Madama. Con grande scorno di Forza Italia. La mossa di Bongiorno - Subito dopo il via libera in consiglio dei ministri, infatti, era sembrato naturale che lo sbocco fosse quello della Camera, dove del resto la commissione Giustizia già da mesi sta discutendo di abuso d’ufficio e a farne una battaglia caratterizzante era stato proprio il partito azzurro. Invece, un colpo di mano ha cambiato direzione al testo, che finirà sulla scrivania di Giulia Bongiorno, plenipotenziaria sulla giustizia della Lega e presidente della commissione in Senato. Nel silenzio della Lega dopo il via libera in cdm, era stata lei a prendere la parola e a manifestare tutte le sue perplessità, pur confermando il sostegno al ministro. Ma con un accordo, che la senatrice ha esplicitato pubblicamente rendendolo ancora più vincolante: “La Lega inizialmente sosteneva una riformulazione dell’abuso d’ufficio, per evitare che le procure dessero interpretazioni estensive di altri reati come il peculato per distrazione o la turbativa d’asta. Abbiamo trovato un punto di caduta: fare la riforma in due step. Il secondo sarà rivisitare tutti i reati contro la Pubblica amministrazione”. E quale metodo migliore per blindare anche il secondo step che portare il ddl dove meglio può controllarne l’iter. Una vittoria, quella di Bongiorno, che sarebbe frutto dell’accordo anche con via Arenula, pronta a tutto pur di vincolare i leghisti alla cancellazione del reato di abuso d’ufficio. “Non cambierà nulla, il testo arriva solido”, è la tesi di un esponente del governo, che allontana qualsiasi questione sulla tenuta della maggioranza in commissione al Senato. Tutto vero, ma la prassi parlamentare degli ultimi anni è chiara: solo la camera dove viene incardinato il disegno di legge lo discute veramente e se del caso approva modifiche, il secondo ramo del parlamento invece è solitamente chiamato ad una mera ratifica. Anche perchè modificarlo vorrebbe dire farlo poi tornare indietro per un terzo voto, che rischia di allungare troppo i tempi. In altre parole, sarà il Senato a lavorare per “migliorare” il testo di Nordio, mentre la Camera dovrà rimanere a guardare. Un accentramento, quello di Bongiorno, che ormai è evidente come anche il suo ruolo di guardiana rispetto alle fughe in avanti di Nordio. In autunno, infatti, il ministro ha annunciato un altro ddl che riscriverebbe le regole sulle intercettazioni e la senatrice leghista ha già prenotato al Senato anche quello, iniziando nei mesi scorsi un ciclo di audizioni “per preparare il lavoro”, vista anche in questo caso una posizione della Lega meno drastica rispetto a quella del ministro. Il fastidio di Forza Italia - Il risultato ottenuto da Bongiorno, che potrebbe portare in casa Lega anche il ruolo di relatore del testo per il passaggio poi in aula, fa il pari con la delusione di Forza Italia. Il partito, ancora in acque agitate dopo la morte di Silvio Berlusconi ma deciso a guadagnarsi uno spazio politico, era stato certamente il più esplicito nel condividere il progetto di Nordio. In commissione Giustizia alla Camera, inoltre, il testo aveva già pronto come relatore il forzista Pietro Pittalis: un modo per cementare la collaborazione con Nordio e rinforzare l’immagine del partito su un tema da sempre caratterizzante. Invece, si sono ritrovati con un nulla di fatto: scavalcati da una trattativa che non li ha tenuti in considerazione. Da FI nessuno esplicita pubblicamente il malumore, ma fastidio e imbarazzo ci sono. A esplicitarlo si incarica Enrico Costa, il deputato del terzo polo che è un punto di riferimento sulle questioni di giustizia e appoggia la riforma Nordio ma che coglie le fibrillazioni interne alla maggioranza: “La commissione Giustizia della Camera discute da mesi di abuso d’ufficio. Si sono fatte tantissime audizioni e stavamo per passare agli emendamenti. Nel frattempo il governo approva il suo ddl che abroga l’abuso d’ufficio e lo manda al Senato”, è la sua sintesi. Come a dire: nel governo ci sono evidenti pesi e misure. E, nel settore della giustizia, la bilancia pende verso la Lega di Bongiorno. Tutte le intercettazioni (inutili) che non avremmo mai dovuto leggere di Ermes Antonucci Il Foglio, 23 giugno 2023 L’annuncio della riforma delle intercettazioni da parte del ministro Nordio ha messo in crisi i feticisti della gogna mediatico-giudiziaria. “Ecco tutte le notizie che non saranno più pubblicate”, hanno titolato a caratteri cubitali alcuni quotidiani, parlando di “bavaglio” all’informazione. Il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo si è spinto ad affermare di “non conoscere intercettazioni inutili”. Eppure, gli ultimi anni sono stati segnati dalla diffusione di una moltitudine di intercettazioni penalmente irrilevanti, dunque inutili. Il pensiero va, ad esempio, all’intercettazione diffusa nel 2016 in cui una ministra - che non ricorderemo, per non reiterare la violenza - si lamentava con il proprio compagno per essere “trattata come una sguattera del Guatemala”. La conversazione venne captata nell’ambito di un’indagine che non riguardava direttamente la ministra, ma che nonostante ciò portò alle dimissioni di quest’ultima. Un anno dopo, la vicenda giudiziaria si concluse con l’archiviazione degli indagati. Altre intercettazioni che non sarebbero mai dovute finire sui giornali riguardano Silvio Berlusconi. Nel 2011, ad esempio, nell’ambito dell’inchiesta nei confronti del giornalista e imprenditore Valter Lavitola emersero conversazioni risalenti a due anni prima con l’allora presidente del Consiglio. “La situazione oggi in Italia è la seguente: la gente non conta un cazzo... Il Parlamento non conta un cazzo... Siamo nelle mani dei giudici di sinistra, sia nel penale che nel civile, che si appoggiano a Repubblica e a tutti i giornali di sinistra, e alla stampa estera. Facciamo la rivoluzione, ma la rivoluzione vera”: questo lo sfogo di Berlusconi, che finì immediatamente sui giornali (in primis ovviamente Repubblica), nonostante non avesse alcun rilievo penale. E cosa dire delle infinite conversazioni telefoniche captate nell’ambito dei vari filoni dell’inchiesta Ruby? Tutto chiacchiericcio che, per i pm, avrebbe dovuto portare alla condanna di Silvio Berlusconi, ma che invece si è rivelata essere una montagna di parole inutili, vista l’assoluzione prima dell’ex premier nel procedimento per presunta prostituzione minorile e poi di tutte le ragazze nel filone sulla presunta corruzione in atti giudiziari. D’altronde, basta ricordare che all’ex premier, da poco scomparso, vennero persino attribuite intercettazioni inesistenti. E’ il caso della presunta battuta su “quella culona della Merkel”, che il Fatto quotidiano attribuì nel settembre del 2011 al Cav., sostenendo che fosse contenuta in una non meglio precisata intercettazione, in realtà mai esistita. Più che una Repubblica fondata sul lavoro, la nostra sembra essere una Repubblica fondata sulle intercettazioni. Come spiegare, altrimenti, la pubblicazione nel luglio 2015, di un’intercettazione fra Matteo Renzi, all’epoca premier in carica, e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi (comandante interregionale a Firenze), risalente ad alcuni mesi prima, in cui Renzi - non ancora asceso a Palazzo Chigi - esprimeva giudizi non lusinghieri sull’allora premier Enrico Letta? Un’intercettazione dal contenuto palesemente irrilevante sul piano penale, ma che finì sulla prima pagina del giornale preferito dalle procure (il Fatto) attraverso una via non ancora chiarita. Altre intercettazioni che non sarebbero mai dovute finire sui giornali sono quelle relative alle conversazioni fra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio, all’epoca consigliere giuridico del capo dello stato Giorgio Napolitano. Le intercettazioni vennero compiute nell’ambito dell’indagine sulla presunta trattativa stato-mafia, poi rivelatasi del tutto infondata. D’Ambrosio venne sottoposto a una gogna mediatica senza precedenti, prima di morire, stroncato da un infarto, il 26 luglio 2012. Altre intercettazioni che avremmo voluto non leggere sono quelle sul due di picche ricevuto da Alessandro Moggi (figlio di Luciano) da Ilaria D’Amico, pubblicata ai tempi di Calciopoli, oppure, arrivando ai giorni nostri, quelle diffuse dalla trasmissione “Report”, in cui il governatore del Veneto Luca Zaia critica con un linguaggio colorito il microbiologo Andrea Crisanti. L’elenco termina solo per mancanza di spazio. Dopo 40 anni di lotta alla mafia è ora di conciliare sanzioni e diritti di Alberto Cisterna Il Dubbio, 23 giugno 2023 Il libro di Veronica Manca (Legislazione antimafia, Giuffrè, 2023) già nel suo titolo rende evidente che esiste un ordito di disposizioni che prendono in considerazione il contrasto alla criminalità organizzata in ogni sua più minuta piega e in ogni singolo risvolto. E’ un mondo saturo di norme, denso di precetti quello che la Manca descrive in cui spesso la giurisprudenza ha tracciato un solco che, poi, il legislatore ha irrobustito e protetto con il rigore della legge. Nessun altro settore dell’ordinamento penale, come quello antimafia e della prevenzione in particolare, risente di influssi e sollecitazioni direttamente elaborati nell’alambicco delle aule di giustizia e, poi, trasfusi nel Codice antimafia del 2010 o disseminati in altri precetti che lo hanno preceduto o integrato. Il primo capitolo del libro merita in assoluto di essere non solo letto, ma anche condiviso; sono considerazioni che andrebbero praticamente poste al centro di un dibattito ancora latente, carbonaro, silenzioso, quasi intimidito dalla sola possibilità che quanti sollevino dubbi o manifestino perplessità possano essere travolti dall’accusa di collateralismo o di cedevolezza con le mafie. Ha ragione la Manca quando scrive che lo stato d’eccezione (o d’emergenza) che sorregge la legislazione antimafia ha richiesto, ben oltre la mera narrazione degli eventi, la loro costante drammatizzazione, in un circuito comunicativo che ha imposto una linea del rigore che talvolta sfiora l’irragionevolezza e che, soprattutto, ripudia qualunque confronto con la mutevolezza e la dinamicità della questione criminale in Italia. Il punto vero è che siamo al cospetto di una legislazione consolidatasi praticamente dal 1982 al 1992, in piena aggressione mafiosa, e che a distanza di decenni dovrebbe pur prendere coscienza che i mezzi repressivi approntati quaranta anni or sono appaiono armi spuntate, minutaglie persecutorie, plessi inefficaci. Il succedersi di assoluzioni, i sequestri che naufragano, le vite dissipate non possono essere considerate una sorta di inevitabili danni collaterali di una battaglia che non ammette declinazioni diverse. Eppure. Eppure alla falange che ogni giorno misura, potenziometro alla mano, ogni pur minimo “calo di tensione” nella lotta alla mafia non passa per la mente che il reato di associazione segreta vede dal 1982 inchiodata la pena a un minimo che non consente neppure un’intercettazione e forse neppure l’acquisizione di un tabulato. Ma come dubitare che negli anfratti oscuri delle consorterie e degli incappucciati si nascondano quelle falangi che puntano alla conquista del potere, quando non alla sua mera conservazione. La relazione dell’ultima Commissione parlamentare antimafia lo ha detto a chiare lettere: “urge una riforma con una nuova nozione di associazione segreta” e l’articolo 1 della Legge Anselmi si staglia chiaro nel delineare quale sia la vera minaccia - ora come allora in piena P2 - al funzionamento della democrazia: “si considerano associazioni segrete quelle che, anche all’interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”. E nel mentre si abbaia alla luna evocando generiche e immaginifiche mire mafiose sui fondi del Pnrr, tutto tace sul fronte delle consorterie dei colletti bianchi in cui la mafia da tempo ha commisto i propri interessi e annacquato la propria, riconquistata, agibilità sociale e politica. Ecco il libro della Manca muove da questo lucida consapevolezza; da questa attenzione alle pieghe più minute della legislazione antimafia di cui coglie gli indubbi pregi, ma anche gli alti costi in termini di certezza del diritto, di proporzionalità delle sanzioni, di mitezza nella risposta repressiva. Un arcipelago di norme che non può non essere puntualmente esaminato e messo sotto osservazione per cogliere anche la disarmonia di taluni meccanismi e l’antistoricità di alcuni approcci. Si pensi per tutti alle interdittive antimafia che stanno alla periferia della legislazione esaminata nel volume della Manca, ma che rivelano una concezione quasi arcaica dell’impresa mafiosa con grumi di parentele e di rapporti di frequentazione che hanno perso molto della loro originaria valenza predittiva e che pure costituiscono il nocciolo duro di quella “repressione amministrativa” che talvolta nuoce ingiustamente. Non tutto, ovviamente, merita una revisione critica e non tutto resta immobile. La Manca annovera con precisione l’importanza degli interventi della Corte costituzionale in materia di ergastolo ostativo o i revirement significativi della Cassazione in tema di riti di affiliazione, senza dimenticare la rilevanza delle decisioni della Corte europea di Strasburgo sul versante del concorso esterno o del procedimento di prevenzione. Certo occorre scrollarsi di dosso la patina mediatica che rende scivoloso l’approccio alla legislazione antimafia e approcciare le norme nel loro effettivo contenuto e nella loro concreta efficacia. La Manca ci aiuta e parecchio. Truffe agli anziani, piaga sociale e rimozioni di Walter Veltroni Corriere della Sera, 23 giugno 2023 I fragili e la sicurezza: al danno, alla paura per i propri cari, per le vittime si aggiunge poi l’umiliazione dell’essere stati ingannati. Con chiunque mi sia capitato di parlare, in questo periodo, mi sono sentito ripetere la stessa storia. Non narrazione, parola abusata e svilita, storia. Meglio, storie. Nel senso di cose realmente accadute a tantissime persone. Provate a chiedere, ognuno avrà qualcosa di simile da raccontarvi. Si tratta, per lo più, di vicende drammatiche accadute a persone anziane. Reati su cui si abbatte la più pesante delle scuri, la rimozione che deriva dalla vergogna sociale. Faccio degli esempi. Una nonna viene raggiunta al telefono da una persona che, con voce concitata, dice di avere rapito il nipote. Se non porterà a un suo complice immediatamente tremila euro gli farà del male, molto male. Sullo sfondo, in lontananza, si sente la voce di un bambino che grida disperato “nonna aiutami!”. La signora non ha contante in casa, allora, senza mai far cadere la linea, i delinquenti la “accompagnano” al cellulare fino all’ufficio postale e poi si fanno trovare all’esterno per la consegna del denaro. Una signora di 93 anni viene raggiunta da una telefonata in cui è la voce del figlio adulto, evidentemente montata con l’intelligenza artificiale, che le dice di portare subito dei soldi in un posto dove l’aspetta una persona con la quale ha debiti di gioco. Un anziano signore viene raggiunto da una telefonata, il numero che appare sullo schermo è quello del figlio, di mestiere commerciante, e una voce gli dice che gli servono subito dei soldi per sbloccare delle merci senza le quali il suo negozio può chiudere. L’uomo, sempre accompagnato dalla voce, esce di casa e va all’ufficio postale. Nel frattempo delle persone si presentano a casa della moglie e dicono che il marito ha avuto un malore per strada e che devono subito pagare l’ambulanza. Mentre la donna cerca i soldi, le ripuliscono la casa. Mi sono state raccontate decine e decine di vicende così. Siccome riguardano i più fragili, gli anziani, non hanno cittadinanza. Ma sono una specie odiosa di truffa, che si accompagna alle mail civetta, alle telefonate che chiedono di aderire a misteriose offerte, ai cellulari clonati, alle persone che si presentano con targhetta di ditte famose alla porta di casa delle persone e le derubano o le truffano. La cosa incredibile è che queste organizzazioni, non possono essere semplici delinquenti di strada, dispongono dei numeri di telefono delle persone anziane, dei loro indirizzi, conoscono il nome dei figli e dei nipoti, spesso usano voci originali ricostruite con l’intelligenza artificiale. Al danno, alla paura, per gli anziani si aggiunge poi l’umiliazione dell’essere stati ingannati. Considero questo tipo di aggressione criminale tra le più odiose, umanamente e socialmente. Colpisce gli anziani, facendo leva sugli affetti più cari, li punisce e li umilia. È carica di pericoli, perché spesso, a chi si ribella, vengono inflitte percosse. Cosa si può fare? Lo chiedo ai ministri degli interni e della giustizia, per sollecitare la loro attenzione. È adeguato l’apparato normativo e sanzionatorio per assicurare alla giustizia e punire adeguatamente i responsabili di queste malefatte? Certamente si tratta di organizzazioni strutturate, dotate di un know how che applicano in tutta Italia allo stesso modo, certamente usano la rete e i cookies per ottenere dati, informazioni, voci, biografie, collegamenti familiari. Certamente, e qui mi rivolgo ai grandi network, approfittano del candore di persone che non sono a conoscenza dell’esistenza di queste tecniche di truffa. Se nei programmi di intrattenimento popolare, quelli più rivolti a un pubblico anziano, si facesse informazione per allertarli, per raccontare quello che è successo ad altri, sarebbe cosa giusta. Lo stesso dovrebbero fare le istituzioni pubbliche: i comuni nei centri anziani, gli uffici postali e gli ospedali, per informare e mettere in guardia i più fragili. È un’epidemia che va frenata. Il primo modo per farlo è riconoscerla e capirla. E non lasciare solo chi viene colpito. Centri di giustizia riparativa: via libera del Garante privacy Il Sole 24 Ore, 23 giugno 2023 Lo schema di regolamento dovrà essere integrato inserendo un richiamo al principio di minimizzazione per sottolineare l’esigenza di una selezione dei dati suscettibili di trattamento. Il Garante per la protezione dei dati personali ha espresso parere favorevole su uno schema di regolamento che disciplina il trattamento dei dati effettuato dai Centri per la giustizia riparativa. Considerato il contesto e la natura dei dati, spiega una nota, l’Autorità ha chiesto al Ministero della giustizia di perfezionare il testo con alcune integrazioni e precisazioni volte a migliorare il livello delle garanzie, accordate agli interessati, sotto il profilo della protezione dei dati personali. Istituiti presso gli enti locali, i Centri realizzano, con l’aiuto di mediatori esperti, percorsi di giustizia riparativa, quale nuova e possibile fase del procedimento penale, in cui autore del reato e vittima (oltre eventualmente ad altri soggetti che possono essere coinvolti) tentano di pervenire a un esito conciliativo. Lo schema di regolamento, pur non presentando particolari criticità, continua il comunicato, dovrà essere integrato inserendo un richiamo espresso al principio di minimizzazione per sottolineare l’esigenza di una adeguata selezione dei dati suscettibili di trattamento: in particolare di quelli genetici o biometrici, o che rivelino informazioni su salute, vita sessuale, opinioni politiche, convinzioni religiose, o siano relativi a condanne penali e reati. Il Garante, inoltre, precisare, sempre in funzione del buon esito dei programmi di giustizia riparativa, che la raccolta di dati come il nickname o l’accountname dei partecipanti è ammessa solo se necessaria. Per quanto riguarda la video-audio-registrazione degli incontri, il Garante ha chiesto di chiarire che questa possibilità sia limitata ai casi nei quali la verbalizzazione non si ritenga sufficiente e sia necessario disporre di una documentazione che rappresenti anche la gestualità e l’espressione emotiva delle parti. I Centri di giustizia riparativa dovranno, infine, adottare adeguate misure tecniche e organizzative per garantire la tutela e la sicurezza dei dati personali trattati nell’ambito del programma ed effettuare la valutazione d’impatto prevista dal Regolamento europeo sulla privacy. In caso di condanna per reati in continuazione non rileva la prescrizione di quelli inamissibilmente impugnati di Paola Rossi Il Sole 24 Ore, 23 giugno 2023 L’autonomia dei capi di imputazione comporta che l’instaurazione del rapporto processuale è limitata alla parte di ricorso ammissibile. In caso di impugnazione della sentenza con cui vi è stata condanna per più reati avvinti dal vincolo della continuazione non è possibile rilevare l’intervenuta prescrizione di quelli i cui motivi di ricorso sono dichiarati inammissibili. E non sarà perciò possibile ricalcolare la pena considerando i reati - contestati con motivi inammissibili - non più rilevanti ai fini del trattamento sanzionatorio. Infatti, in tali casi si consolida il giudicato parziale. La Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 26807/2023 - ha ribadito il precedente nomofilattico con cui è stato affermato che in caso di condanna cumulativa per diversi reati commessi in continuazione l’impugnazione ammissibile di uno dei capi d’imputazione non determina l’avvenuta positiva instaurazione di un valido rapporto processuale anche per gli altri capi impugnati con motivi dichiarati inammissibili. E la conseguenza di siffatta inammissibilità e della mancanza di un valido rapporto processuale per i restanti capi ne impedisce la declaratoria di intervenuta medio tempore prescrizione dei relativi reati. Va, invece, rilevato dalla lettura della sentenza che è possibile impugnare in sede di legittimità una condanna per ottenere la dichiarazione di prescrizione maturata prima della sentenza di secondo grado anche se non era stata dedotta in tale fase di merito. Il ricorso per cassazione non consente la dichiarazione d’ufficio dell’intervenuta prescrizione di alcuni reati posti in continuazione se l’estinzione si è realizzata dopo la pronuncia di secondo grado, ma il singolo capo d’imputazione è stato impugnato con motivi inammissibili. Per quanto sia di fatto decorso il termine di prescrizione l’inammissibilità del ricorso sul singolo capo d’imputazione determina la formazione del giudicato ormai insuscettibile di rivalutazione anche ai fini dell’estinzione maturata del reato. Venezia. Carcere, task force per evitare i suicidi: “Più telefonate a casa” di Antonella Gasparini Corriere del Veneto, 23 giugno 2023 Incontro martedì. I penalisti: prevenire i problemi. Al vertice parteciperanno le aree pedagogiche e sanitarie del penitenziario. Un vertice per decidere nuove azioni da mettere in campo in una struttura che conta disagio psichico e patologie in metà dei 230 detenuti e che è un melting pot di nazionalità (per il 70 per cento non europee) che non si incontrano per lingua, costumi, modo di vivere. È la risposta delle istituzioni alla tragedia dei due suicidi a Santa Maria Maggiore in due settimane. L’incontro l’ha convocato per martedì prossimo la direttrice Immacolata Mannarella su impulso del Garante per i detenuti Marco Foffano, che ieri ha visitato la casa circondariale per fare il punto. “Che brutto clima che stiamo vivendo, mi ha detto un detenuto - racconta l’avvocato Foffano - “Marco, siamo preoccupati, qui non ce la facciamo neanche con turni di 12 ore”, mi hanno riferito gli agenti penitenziari”. Da subito aveva manifestato intenzioni suicide Alexandru Ianosi, 36 anni, in carcere per aver massacrato a coltellate la compagna Lilia Patranjel lo scorso settembre; poche settimane dopo si era conficcato in un occhio il manico di una scopa e una decina di giorni fa aveva detto ai suoi legali di stare male. La struttura penitenziaria aveva così attivato il protocollo: incontri con l’area per il trattamento e lo spostamento in una sezione molto controllata con gli stessi detenuti a tenersi d’occhio. Ma è riuscito a restare solo, chiuso in bagno, e si è tolto la vita. Una dinamica acclarata, tanto che la procura non dovrebbe aprire un’inchiesta. Resta aperto il fascicolo sul suicidio di Bassem Degachi, 39enne di origini tunisine cui il 6 giugno era stata revocata la semilibertà per un’ordinanza d’arresto per un traffico di droga in via Piave tra il 2018 e il 2019. La moglie, allarmata dai suoi messaggi di acuto sconforto, aveva tentato di avvisare il carcere ma non c’è stato nulla da fare: anche lui si è impiccato. Augusta (Sr). Punito il poliziotto sindacalista che denunciò il dramma del carcere di Salvo Palazzolo La Repubblica, 23 giugno 2023 Il Dap gli contesta di avere pubblicato su Facebook una nota su una vertenza: “Ha portato discredito all’amministrazione”. C’è un clamoroso colpo di scena ad Augusta, nel carcere che in queste ultime settimane è nell’occhio del ciclone, è anche al centro di un’indagine giudiziaria della procura di Siracusa per la morte di due detenuti dopo un lungo sciopero della fame. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha preso provvedimenti. Nei confronti di chi? Ecco la sorpresa: una pesante sanzione disciplinare è stata inflitta al sindacalista della polizia penitenziaria che da anni denuncia le drammatiche condizioni del carcere. A fine maggio, il sovrintendente Nello Bongiovanni, dirigente nazionale del Sinappe con delega a seguire quella struttura, è stato punito dal consiglio centrale di disciplina con la deplorazione perché ha pubblicato sul suo profilo Facebook un volantino sindacale. “Con ciò - ecco la contestazione - portando discredito all’amministrazione e ai vertici dell’istituto”. In quel volantino, che risale all’anno scorso, il sindacalista raccontava di altre punizioni per le sue denunce, gli era stato abbassato il punteggio dopo 22 anni di carriera ad Augusta, mentre intanto vinceva il concorso per sovrintendente. Ma questa è una storia davvero ricca di sorprese. Lo scorso mese di agosto, Bongiovanni è stato aggredito da un detenuto all’interno del carcere, assieme ad altri cinque colleghi. È rimasto ferito, è ancora in convalescenza. Però, non ha mai smesso di preoccuparsi per le problematiche del carcere: a maggio, ha scoperto per caso che c’erano stati due morti nel carcere di Augusta, uno dopo l’altro, a causa di un lungo sciopero della fame. “Le notizie non erano mai uscite - racconta oggi il sindacalista - e allora per senso civico ho ritenuto di doverne parlare con un mio amico giornalista”. Così, abbiamo conosciuto l’assurdo dramma che si era consumato all’interno del carcere di Augusta. “Inizialmente, avevo quasi timore di parlarne - spiega - temevo di incorrere in un altro provvedimento disciplinare, ma poi ho pensato che tutto il paese deve sapere cosa sta accadendo ad Augusta, c’è un silenzio ormai diventato pericoloso”. Grazie alla denuncia partita da Nello Bongiovanni, il Garante nazionale per i diritti dei detenuti, è potuto intervenire stigmatizzando le mancate comunicazioni da parte del Dap su due casi così gravi. E, ora, c’è anche un’inchiesta della magistratura su quanto avvenuto nella casa di reclusione siracusana. “Bisogna chiedersi perché ad Augusta il numero delle aggressioni nei confronti della polizia penitenziaria e delle proteste dei detenuti sia più alto rispetto ad altre strutture - torna a denunciare Bongiovanni - al vertice del Dap dovrebbero chiedersi il perché. Ma è una riflessione che dovrebbe fare tutta la comunità. Perché il carcere non è mai una struttura avulsa dal territorio”. Bongiovanni è stato consigliere comunale di Sortino, il paese in cui vive, eletto in una lista civica di centrodestra, nel 2016 è stato anche candidato sindaco e non ce l’ha fatta per 120 voti. “La battaglia per il carcere di Augusta è una battaglia di civiltà - dice - non si può più tacere anche sulle condizioni strutturali e igieniche dell’istituto, servono urgenti lavori, almeno la metà della struttura andrebbe chiusa”. Una situazione che in queste ultime settimane è stata denunciata anche dal garante regionale dei detenuti Santi Consolo e dal presidente dell’associazione Antigone, che hanno visitato il carcere. “Io, intanto, proseguo la mia battaglia”, dice Nello Bongiovanni. Ieri, il suo avvocato ha presentato un ricorso al tribunale di Siracusa, denunciando che il provvedimento disciplinare è una condotta antisindacale. “Non si può cancellare così una vita di impegno al servizio delle istituzioni e del sindacato - dice Bongiovanni - quando anni fa venne arrestato un collega che faceva entrare in carcere droga e telefonini, il mio sindacato fu l’unico a prendere posizione, nonostante tutti fossimo sotto choc per quanto accaduto, perché quel collega era davvero un insospettabile”. Augusta resta nell’occhio del ciclone: in quella struttura ci sono 120 detenuti che hanno disturbi psichiatrici, 100 hanno problemi di tossicodipendenza. Una polveriera. L’anno scorso, ci sono stati 37 casi di autolesionismo e 40 proteste (molte con sciopero della fame) per le ragioni più diverse. Ancora l’anno scorso, si sono registrate 74 aggressioni nei confronti del personale dell’istituto, sei contro altri detenuti. “Una situazione grave - ha ribadito il presidente di Antigone - non si comprende perché il Dap non intervenga”. In realtà, adesso è intervenuto. Punendo chi si è permesso di rompere il muro del silenzio. Milano. La mamma e il bimbo di 1 anno reclusi a San Vittore sono stati trasferiti ai domiciliari di Ilaria Quattrone fanpage.it, 23 giugno 2023 Una madre stava vivendo reclusa in carcere a San Vittore a Milano con il bimbo di un anno: dopo la denuncia del consigliere comunale del Pd Daniele Nahum, i due sono stati trasferiti agli arresti domiciliari. Alcuni giorni fa era stata data la notizia che una donna era reclusa nel carcere di San Vittore a Milano insieme al figlio di solo un anno. Il piccolo era costretto a vivere in una cella angusta in una struttura che da anni è al centro di diverse polemiche proprio per le carenze strutturali e la sovrappopolazione. La donna è stata trasferita agli arresti domiciliari - Per questo motivo il consigliere comunale Daniele Nahum, presidente della sottocommissione carceri, aveva denunciato la situazione chiedendo che venissero prese misure diverse. Dopo diversi giorni, è stata data notizia che la madre è stata trasferita agli arresti domiciliari insieme al bimbo che adesso potrà vivere in condizioni migliori. Nel frattempo, mentre si dipanava questa situazione preoccupante, ne sopraggiungevano altre due. Negli stessi giorni due minorenni erano stati portati sempre nel carcere per adulti. L’avvocata Federica Liparoti, che li difende, li ha fatti sottoporre agli accertamenti anagrafici dimostrando che i due non avevano ancora raggiunto la maggiore età. Nahum e il vicepresidente della commissione Alessandro Giungi avevano diffuso una nota stampa annunciando che la magistratura aveva inviato un’istanza per il trasferimento, ma che nonostante questa i due ragazzini continuavano a vivere a San Vittore. Oggi, il senatore Ivan Scalfarotto - che aveva annunciato di presentare un’interrogazione parlamentare - ha comunicato che entrambi i giovani sono stati trasferiti in due istituti minorili. “È stato un bel lavoro di squadra che ha portato ad un bel risultato. Continueremo a monitorare tutte queste situazioni nelle carceri sul territorio”, ha commentato Nahum. Reggio Emilia. Entro l’estate sarà nominato il Garante per i detenuti di Serena Arbizzi Gazzetta di Reggio, 23 giugno 2023 Il 30 giugno scadono i termini per presentare le candidature: nomina a fine estate. Anche Reggio Emilia, entro l’estate avrà il garante comunale dei detenuti. Lo annuncia, a margine della conferenza di presentazione dei progetti organizzati da Comune e istituti penitenziari, l’assessore al welfare e al bilancio Daniele Marchi. Nei prossimi giorni, più precisamente il 30 giugno, scadranno i termini per la presentazione delle candidature. In passato era stato approvato il regolamento in merito a questa figura, prevista per le città capoluogo dove abbia sede un carcere. Il Consiglio comunale designerà il garante, “entro la fine dell’estate. Si tratta di una figura fortemente voluta”, promette l’assessore Marchi. Grande attenzione anche agli interventi sociali per i detenuti: si è appena concluso il “bando carcere” del Comune che stanzia per i prossimi due anni 100.000 euro. Parte di questa somma verrà destinata a uno sportello di sostegno nel complesso penitenziario. Sono in arrivo anche fondi dalla Regione per 600.000 euro nei prossimi tre anni. Tre saranno i capisaldi per cui verranno utilizzati, come spiega l’assessore Marchi: “L’inclusione sociale e l’esecuzione delle pene alternative, le attività interne al carcere e la giustizia riparativa, incentrata su un accordo con le vittime per rimediare al danno causato”. Marchi risponde anche ai problemi rilevati dall’associazione Antigone che nel corso dell’ultima visita ha annotato come manchino “spazi per svolgere attività trattamentali, anche risorse investite in corsi di istruzione, formazione professionale e lavoro”. “Il Comune fa tantissimo - sottolinea Marchi riferendosi al carcere -. Questa non rappresenta l’unica pena possibile. La riforma Cartabia sposa le misure alternative e il carcere come estrema ratio”. Ferrara. Manca il Garante dei detenuti. La Camera Penale chiede al sindaco di attivarsi estense.com, 23 giugno 2023 Un impegno a individuare il nuovo garante dei diritti delle persone private della libertà. È quello che la Camera Penale di Ferrara chiede al sindaco Alan Fabbri, alla giunta e al Consiglio comunale, dal momento che, dopo l’improvvisa scomparsa del dottor Francesco Cacciola, già direttore della casa circondariale di via Arginone per alcuni anni, sono oltre quattro mesi (dal 7 febbraio scorso, ndr) che la carica è vacante. Secondo la Cpfe, quindi, “manca al momento una figura che possa coadiuvare tutti coloro che si impegnano quotidianamente nel vigilare sul rispetto dei diritti delle persone private della libertà personale, quali magistrati, avvocati, polizia penitenziaria, volontari e tanti altri”. Il tutto “mentre la casa circondariale lamenta da un lato un numero di detenuti che è superiore a quello che potrebbe contenere e dall’altro una carenza di organico”: problematiche già segnalate dalla Camera Penale Ferrarese e dal suo osservatorio carcere in occasione della visita del 27 maggio, con l’associazione Nessuno tocchi Caino. La Cpfe dunque, convinta che “ciascuno possa e debba fare la propria parte nel rispetto del proprio compito, senza alcun interesse che non sia quello della tutela delle persone detenute”, chiede che il sindaco, la giunta e il consiglio comunale, a norma di regolamento, si impegnino per “colmare quanto prima tale lacuna, dando impulso alla procedura di individuazione del nuovo garante, che sarà compito del consiglio comunale di Ferrara nominare formalmente”. “A tal fine - concludono i rappresentanti della Camera Penale Ferrarese - rimane la nostra piena disponibilità ad un confronto sul tema, con l’obiettivo di superare nel più breve tempo possibile il vuoto istituzionale”. Paola (Cs). Detenuti a lezione con gli infermieri dell’Opi Cosenza lacnews24.it, 23 giugno 2023 Il primo appuntamento ha registrato un positivo bilancio in termini di interesse e partecipazione. Il progetto frutto della convenzione stipulata tra l’ordine professionale e la Casa circondariale. Una convenzione tra la Casa circondariale di Paola e l’Opi di Cosenza ha permesso a 60 detenuti di formarsi e recepire eventuali primi soccorsi in caso di emergenze. La direttrice della Casa circondariale, Emilia Boccagna, ed il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Cosenza Fausto Sposato hanno concordato un periodo di lezioni per i detenuti. Il primo incontro è già avvenuto lo scorso martedì. “Svolgeremo pratiche di primo intervento e soccorso, sia teorico che pratico”, ha avuto modo di anticipare il presidente Sposato. “Insieme al vicepresidente Marco Laratta, al consigliere del direttivo ed ai colleghi Massimiliano Gallo e Robertino Serpa abbiamo riscontrato tanta partecipazione e soprattutto la volontà di apprendere, di formarsi anche. È certamente motivo di orgoglio per noi infermieri e per l’Ordine di Cosenza che è tra i primi, in Italia, a svolgere tale importante servizio nelle carceri dei territori” le parole del presidente. Il primo appuntamento si è svolto sostanzialmente sulla parte teorica, da martedì prossimo inizia anche la parte pratica con i manichini ed attraverso le manovre di primo soccorso, dal semplice slogamento fino alle ferite più importanti. “Ringraziamo pubblicamente la direzione della casa circondariale di Paola per l’ospitalità e per l’approccio formativo. È solo un primo importante passo, la collaborazione ed i contributi futuri non mancheranno”, ha rimarcato il presidente Fausto Sposato. “Tutto ciò è avvenuto grazie al nostro collega Angelo Gallo, infermiere nella casa circondariale che ha promosso la convenzione. Medesimo ringraziamento merita l’ispettore capo Ercole Lanzillotta per la piena disponibilità”, assicurano dall’Opi. “È certamente un messaggio positivo ciò che arriva. Dare la possibilità ai detenuti di formarsi ed avere più informazioni per eventuali soccorsi, che possono avvenire in qualsiasi setting e contesto, va incontro alla nostra formazione ed all’idea di coinvolgimento per la professione”, è emerso nel corso del primo incontro in carcere. Momenti di grande confronto e condivisione, dunque. Le “lezioni sono state molto apprezzate, con continue sollecitazioni e scambi di pareri. Un progetto apprezzabile che ci rende, ancor di più, orgogliosi delle tante cose fatte in questi anni”, la chiosa. Napoli. Convegno del volontariato carcerario con la partecipazione dell’arcivescovo Battaglia agensir.it, 23 giugno 2023 È in programma per sabato 24 giugno, presso il Centro di pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli, il convegno diocesano del volontariato carcerario. Ai lavori, che inizieranno alle 9, parteciperà l’arcivescovo Domenico Battaglia. L’evento è organizzato dalla Pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli, insieme all’associazione di volontariato Liberi di Volare onlus e alla Caritas di Napoli ed è rivolto ai volontari del mondo del penitenziario. “I volontari carcerari: un ponte tra dentro e fuori che - spiegano i promotori - tenta di ricucire lo strappo avvenuto con la società, un sostegno per l’amministrazione penitenziaria e per le persone detenute, una figura che gioca un ruolo importantissimo nel trattamento della persona detenuta sia durante il periodo di detenzione che per il suo reinserimento nella vita sociale”. Moderato da Emanuela Scotti, giornalista e direttrice del periodico Liberi di Informare, dentro ma fuori il carcere, dopo l’introduzione di don Franco Esposito, direttore della Pastorale carceraria, interverranno suor Marisa Pitrella, direttrice della Caritas diocesana, e Valentina Ilardi, dell’associazione Liberi di Volare. Dopo una breve pausa, seguiranno le testimonianze di Giovanni Esposito, Musa Jarju e Marco Migliaccio, ospiti della casa di accoglienza della Pastorale carceraria. Le conclusioni saranno affidate all’arcivescovo Battaglia. “Ispirato al compito, fondamentale nella dimensione etica, culturale e sociale della Chiesa, del recupero integrale delle persone che si trovano in stato detentivo, il convengo - proseguono i promotori - intende, attraverso i principi evangelici più adatti, a sollecitare atti di misericordia e di vicinanza nei confronti delle persone ristrette e offrire loro percorsi di guarigione, momenti condivisi di riflessione e progettazione degli operatori pastorali nell’ambito carcerario”. “Un convegno diocesano che ripetiamo ogni anno, con la partecipazione di tutte le associazioni che fanno parte a Napoli della Pastorale carceraria e che sono impegnate nel servizio delle carceri”, ha evidenziato don Esposito, sottolineando che “attraverso questo convegno, vogliamo tornare alla fonte, cioè riscoprire le radici del volontariato che sono la gratuità, perché il volontariato è mettere sia le proprie competenze che il proprio tempo al servizio di chi vive nel bisogno e credo chi sta in carcere e chi vive nel mondo del penale abbia l’esigenza, vista la mancanza della libertà, di avere accanto qualcuno che lo sostiene e gli faccia scoprire la possibilità di una vita nuova da poter intraprendere. Oltre la gratuità c’è il mettere in pratica l’insegnamento di Gesù: ero in carcere e siete venuti a visitarmi”. Firenze. “Nel Segno della Libertà”. Una mostra sulla dignità della pena di Giulio Aronica La Nazione, 23 giugno 2023 Murate Art District ospita l’esposizione di un gruppo di artisti che reinterpretano alla luce dei valori dell’Unione Europea i testi di alcuni giovani reclusi del carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma. Libertà, unità, memoria, dignità e condivisione. Sono alcuni dei principi fondanti dell’Unione Europea, ma anche i valori che hanno ispirato sogni, aspirazioni e concreti desideri dei detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma. Ed è proprio a partire dal laboratorio di scrittura creativa attivato all’interno del penitenziario dall’attore Salvatore Striano e dal Ministero della Giustizia, che è nato il progetto “Nel Segno della Libertà”: la mostra, a cura di alcuni degli Istituti di Cultura dei Paesi europei in Italia, ospita fino al 23 luglio negli spazi di MAD - Murate Art District le opere di un gruppo di artisti europei, che hanno tradotto i testi dei giovani in immagini, collegate da un elemento simbolico, le dimensioni delle celle del carcere. “Ancora una volta, l’ex-carcere delle Murate da luogo di reclusione si trasforma in spazio di integrazione, creatività e rigenerazione urbana- spiega la direttrice artistica di MAD Valentina Gensini - L’esposizione si rivolge direttamente ai giovani, portando alla luce attraverso lo sguardo e i pensieri di detenuti minorenni alcuni valori cardine della comunità europea”. Il percorso, articolato ed eterogeneo, esplora il all’interno dell’universo carcerario il concetto di libertà - vissuta, desiderata o immaginata - impiegando media diversi, dalla scultura alla performance fino alla virtualità, che trasfigura le celle in varchi verso realtà sconosciute, esperienze inedite e luoghi di memoria condivisa. Riflessioni artistiche, pensieri sul futuro e considerazioni sul presente che si avvalgono anche del ricco patrimonio degli Archivi Storici dell’Unione Europea di Firenze, che ha aperto agli artisti il suo corpus inesauribile di documenti e lettere scritte da alcuni pionieri dello spirito europeo come Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Simone Veil e Ursula Hirschmann. “È un’iniziativa fortemente incentrata sui principi che sono alla base dell’Unione Europea - sottolinea l’assessore all’Università e alla Ricerca Titta Meucci - Non è casuale che la mostra sia ospitata in un carcere che nel tempo è diventato un simbolo di libertà e dignità ritrovata, capace di dare voce ai bisogni umani attraverso l’arte”. Sono quattordici gli artisti che hanno aderito al progetto: Stefano Bellanova, Giorgio Errera, Sadra Ghahari, Weronika Guenther, Martin Jurik, Katerina Kutchova, Federico Niccolai, Marianna Panagiotoudi, Karina Popova, Ilaria Restivo, Zoya Shokooi, Maria Giovanna Sodero, Valerio Tirapani e Laura Zawada. Strasburgo, la Gpa e i bimbi discriminati di Donatella Stasio La Stampa, 23 giugno 2023 Manca una legge sui nati da genitori omosessuali e si bloccano le trascrizioni. Così il governo e la maggioranza vogliono confinarli in una terra di nessuno. Accade che la Corte europea dei diritti dell’uomo ricordi agli Stati che debbono farsi carico del diritto dei figli arcobaleno di essere riconosciuti legalmente come figli anche del genitore non biologico, e ribadisca che si può vietare la trascrizione di atti di nascita di altri paesi se esistono altre vie, come “l’adozione in casi particolari”, purché “adeguata” a garantire una tutela effettiva ed efficace. Principi affermati dal 2014, ma che purtroppo non hanno finora illuminato quella terra di nessuno dove governo e maggioranza vogliono confinare i figli arcobaleno, anche grazie agli eccessi di zelo di alcuni magistrati, come quelli della Procura di Padova che ha impugnato ben 33 registrazioni anagrafiche di figli di due donne, alcune risalenti addirittura al 2017. Niente di nuovo, insomma. Eppure, le parole della Corte di Strasburgo fanno esultare su Facebook la ministra della Famiglia Eugenia Roccella: “L’avevo detto, l’avevo detto che c’è la stepchild adoption, basta con le bugie!”. Reazione bizzarra, vista la perdurante inerzia legislativa e l’ostruzionismo ideologico della maggioranza nel rendere almeno adeguata la stepchild adoption. La Corte di Strasburgo ha infatti segnalato ripetutamente, a proposito dell’adozione, una serie di criticità da superare per evitare che il bambino “resti troppo tempo nell’incertezza”. Ma proviamo a ordinare i fatti. Nel 2020-2021 la Corte costituzionale chiede in modo pressante un intervento urgente del legislatore per tutelare i figli delle coppie omosessuali nati all’estero con tecniche di procreazione assistita vietate in Italia, come la maternità surrogata (su cui ribadisce il giudizio negativo in quanto offende la dignità della donna). Riconosce che c’è un enorme vuoto di tutela ma fa un passo indietro perché spetta al legislatore fare un passo avanti. E subito. Spiega infatti che l’adozione in casi particolari, alla quale si ricorre, è inadeguata a garantire l’interesse del minore. Ma il legislatore tace. Ecco allora che nel 2022 interviene direttamente su quell’adozione, cambiandone i connotati, in modo che i bambini adottati siano equiparati ai figli legittimi anche nei legami di parentela. La procedura resta lunga, onerosa e incerta, ma del resto si tratta solo di “una pezza” per colmare il vuoto di tutela di un diritto fondamentale, in attesa che il legislatore dia seguito, “lealmente”, alle sue ripetute richieste di una disciplina organica. La risposta è il silenzio. Nel frattempo, a dicembre del 2022, le sezioni unite della Cassazione ribadiscono che, poiché la maternità surrogata confligge con l’ordine pubblico, i certificati di nascita dei figli di coppie omosessuali maschili nati all’estero non possono essere registrati in Italia. Il divieto non riguarda però i figli di coppie di donne, nati con fecondazione eterologa (e dunque non si capisce perché la Procura di Padova abbia impugnato le registrazioni proprio di questi bambini). Richiamando la decisione della Consulta sulla stepchild adoption, la Cassazione dice che - in attesa di una legge - è quella la strada da seguire. Del resto, i giudici non possono “creare” il diritto e quindi, davanti a un vuoto di tutela, devono colmarlo ricavando la copertura dalle norme esistenti. Pertanto, la stepchild adoption non è “la” risposta, ma soltanto “una possibile” risposta, quella a portata di mano. Fin qui il “lavoro” lo hanno fatto tutto i giudici, Consulta e Cassazione. Che cosa intende fare il governo per rendere effettivo il diritto di questi bambini ad avere due genitori? La risposta è nelle sentenze, che vanno lette bene e fino in fondo. Non vanno usate per battaglie ideologiche; semmai, vanno attuate. Governo e Parlamento hanno il dovere di collaborare lealmente con le nostre Corti e con quelle internazionali. Diano seguito alle loro decisioni. Non facciano ostruzionismo. Non trattino i figli arcobaleno come mere irregolarità da “sanare”. Mettano da parte i furori ideologici. Hanno approvato tanti decreti legge inutili, ne facciano uno serio, almeno per rendere adeguata la stepchild adoption. Famiglie omogenitoriali, una battaglia ideologica sulla pelle dei bambini di Filomena Gallo* La Stampa, 23 giugno 2023 Ancora non è chiaro cosa il Governo abbia contro le bambine e i bambini nati da un’unione che non corrisponde all’idea della cosiddetta “famiglia tradizionale” propria della maggioranza. Perché è sulla loro pelle che si sta giocando l’assurda battaglia ideologica a cui stiamo assistendo in questi giorni ai danni delle famiglie omogenitoriali. Ben 33 bambini ora rischiano di perdere un genitore da un giorno all’altro, discriminati a causa dell’orientamento sessuale dei propri genitori. Proprio quello Stato che dovrebbe proteggerli e che dichiara a gran voce di agire nel loro supremo interesse, ora, in violazione di ogni principio costituzionale, li sta privando di tutti i diritti e le tutele che spettano per legge a loro così come a tutti i figli di coppie eterogenitoriali, senza distinzione alcuna. È apprezzabile che la ministra Eugenia Roccella abbia cambiato idea sulla stepchild adoption (solo ad ottobre 2022 dichiarava di essere contraria a questo tipo di adozione), ma, senza soffermarci su quanto possa essere odioso dover adottare il proprio figlio, ricordiamo che sia i giudici della Consulta nel 2021 che quelli delle Sezioni unite nel 2022 hanno confermato che questa non è la soluzione, come invece lei suggerisce, per tutelare i figli nati da una coppia omogenitoriale. I giudici hanno, infatti, più volte esortato il legislatore a intervenire per colmare la lacuna nella “tutela del preminente interesse del minore” e hanno precisato che l’adozione in casi particolari non è sufficiente a garantire la pienezza dei diritti dei nati. Il tema dell’assenso evidenza tutti i limiti e i vuoti di tutela che porterebbe la stepchild adoption come alternativa al riconoscimento diretto dei genitori: la legge sulle adozioni, infatti, prevede che per procedere all’adozione in casi particolari del minore sia indispensabile l’assenso del genitore. In caso di separazione, il genitore legale potrebbe negare l’assenso all’adozione lasciando così un vuoto nell’interesse del minore. Inoltre, il percorso della stepchild adoption non è immediato ed è possibile solo grazie alla giurisprudenza: i bambini durante i mesi, anzi gli anni, che spesso un procedimento di questo tipo richiede rimarrebbero privi di diritti fondamentali: il diritto all’assistenza, al mantenimento, al cognome, il diritto alla cura da parte del genitore cancellato sarebbero eliminati. E poi perché una coppia dello stesso sesso che accede alla procreazione medicalmente assistita per avere un figlio dovrebbe ricevere un decreto di idoneità ad essere genitore e una coppia etero no? Roccella sottolinea poi come “non si diventa genitori per contratto”. Siamo d’accordo, non per contratto, ma per legge sì. La legge numero 40/2004 prevede che i nati da tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche vietate in Italia, sono figli legittimi delle coppie che hanno avuto accesso alla fecondazione assistita e non possono essere disconosciuti. Le coppie di mamme venete prese di mira dalla Procura di Padova hanno avuto accesso alla tecnica della fecondazione eterologa all’estero, perché in Italia l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è vietato per le coppie omosessuali e single. Dunque, per legge, devono essere entrambe riconosciute come mamme legittime. Bene ha fatto il sindaco di Padova a registrare correttamente il certificato di nascita con le due mamme: se non l’avesse fatto avrebbe violato la legge. Dunque l’unica strada possibile per garantire davvero i diritti fondamentali a tutti i bambini, senza discriminazione, è la trascrizione diretta di entrambi i genitori. Se ciò non avviene, il Governo continuerà ad agire in piena violazione del principio di uguaglianza e chi ci rimette saranno solo i bambini, che vedranno, con un atto della Procura, modificare la loro identità e la loro vita senza alcun fondamento di legge. *Avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni