Nell’oscurità della Legge Costa, Stefano non avrebbe avuto giustizia di Ilaria Cucchi huffingtonpost.it, 26 dicembre 2023 Fratello mio, quando qualcun altro avrà in sorte il tuo stesso destino, la sua famiglia non avrà più alcuna possibilità di avere verità e giustizia. La libertà di stampa, il diritto di cronaca e di critica sono morti. Libertà di stampa. Diritto di cronaca e diritto di critica. Non può esistere il secondo senza garantire il primo. Sono tutti previsti dalla Costituzione. Eppure vengono sempre più compressi e messi in discussione. Lo si fa in nome della Privacy o di tante altre cose. I cittadini assistono a questo dibattito senza poter capire, in realtà, di cosa stiamo parlando veramente. Il terreno di gioco è sempre lo stesso: la Giustizia. L’esercizio della funzione giudiziaria. La Giustizia è fatta in nome del popolo italiano. La legge deve essere uguale per tutti e tutti debbono essere uguali di fronte alla legge. Sono parole semplici, di facile comprensione, financo scontate. Un altro dei principi fondamentali dello Stato di Diritto è quello che impone che i processi siano pubblici. Perché? Due sono i motivi: 1- i cittadini debbono poter capire come si fanno i processi e quanto possano essere aderenti ai fatti di cui si discute in essi 2- i magistrati debbono essere soggetti all’unico controllo che può essere considerato legittimo: l’osservazione del popolo in nome del quale cercano di fare giustizia. Perché dico cercano? Perché sono esseri umani come noi tutti. Come coloro che vengono da loro stessi giudicati. Sbagliano come tutti noi perché sono essere umani come tutti noi. Subiscono il fascino o le lusinghe del potere come possiamo subirle noi tutti. I Giudici non sono santi nè perfetti. Esattamente come noi. Hanno un potere, però, che dovrebbe garantirli autonomi ed indipendenti rispetto agli altri dello Stato. L’autonomia ed indipendenza della magistratura è un valore sempre dichiarato con forza. Rivendicato strenuamente dagli stessi magistrati. Cosa accade, tuttavia, quando così non è? Ci sono stati gravissimi scandali che le hanno messe in crisi. Che hanno fatto perdere alla gente la fiducia nella Giustizia. Magistrati promossi in funzioni apicali dalla politica. Di ciò non si parla più nell’illusione che tutto sia risolto e non possa più accadere. Ora li si vuole sottoposti a pagelle redatte non si sa bene da chi. L’unica possibilità di reale controllo è quello della libera Stampa. Il cosiddetto “cane da guardia del potere”. Di tutti i poteri. Far conoscere significa prevenire abusi, storture e forzature dell’esercizio delle funzioni pubbliche. Molti pensano che la nostra esperienza famigliare costituisca una vicenda giudiziaria eccezionale. Il “caso Cucchi” è un fatto a sè, irripetibile ed in alcun modo replicabile. Grazie alla determinazione della libera stampa siamo finalmente arrivati a conoscere la verità sulla morte di Stefano. La pubblicità di indagini e processi ha fatto sì che vi arrivassimo in fondo. Con una condanna e tante prescrizioni siamo arrivati a meta. Vogliamo però dimenticarci degli errori compiuti nei primi 6 anni(!!!) di processi? In quei sei lunghissimi anni, mentre io e la mia famiglia giravamo a vuoto per le aule giudiziarie, venivano additati a mostri gli agenti della Polizia Penitenziaria incastrati dai depistaggi della Scala Gerarchica dei Carabinieri. Ancor prima mio fratello era stato sepolto come deceduto di morte naturale dopo che era passato da un’aula giudiziaria pestato a morte senza che nessuno dei magistrati che lo videro ci facesse caso. Se ne accorse la cancelliera che tuttavia, si disse abituata a veder portati in udienza gli ‘arrestati della nottè in quelle condizioni. Avessimo oscurato intercettazioni, atti ed ordinanze, non sarebbe successo nulla. Nell’oscurità Stefano Cucchi sarebbe stato solo un carneade drogato morto e basta. Assassini e responsabili di gravi reati non sarebbero mai stati smascherati. Ma al Potere politico, in fin dei conti, cosa poteva interessare? I Giudici possono sbagliare e commettere anche gravi errori. Non sono mai chiamati a risponderne. Quel che interessa è che non ne possano rimanere vittima i potenti. Se accade ai normali cittadini chi se ne frega?! La gente comune non conta nulla. Facciamocene una ragione. Parliamo solo della Ferragni e di altre amenità varie. I veri problemi sono quelli. Domani è Santo Stefano. Fratello mio, quando qualcun altro avrà in sorte il tuo stesso destino, la sua famiglia non avrà più alcuna possibilità di avere verità e giustizia. La libertà di stampa, il diritto di cronaca e di critica sono morti. Il giorno del tuo onomastico. Il “pasticciaccio” denunciato da Barbano che finisce nell’indifferenza di Alfonso Ruffo ilsussidiario.net, 26 dicembre 2023 Il nuovo libro di Barbano dovrebbe far gridare allo scandalo i gelosi custodi della Giustizia in Italia. Ma sembra ci si sia assuefatti alle storture della giustizia. Dopo l’Inganno, la Gogna. Alessandro Barbano torna nell’arena della polemica politico-giudiziaria con un nuovo libro – pubblicato da Marsilio – che svela una volta di più quanto sia pericolosa la deriva presa in Italia da una magistratura inquirente che si autoproclama sacerdote delle virtù morali prim’ancora che legali della nazione, ritenuta forse troppo immatura per potersi governare da sé attraverso il naturale gioco democratico dell’equilibrio dei poteri. La trama della storia, concepita alla stregua di un vero e proprio romanzo, incalzante e avvincente, prende spunto da una cena molto famosa tra gli addetti ai lavori e nella fetta di opinione pubblica attenta alle cronache giudiziarie: quella avvenuta nel 2019 presso l’Hotel Champagne di Roma alla presenza dell’ex Presidente dell’Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, cinque componenti del Csm e i due deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti. Oggetto dell’incontro, cenni generali sulla successione del pensionando Giuseppe Pignatone alla Procura di Roma. Un posto, si ribadisce, che vale tre ministeri per il potere che assegna al suo titolare cui spetta il compito (il privilegio) d’indagare sulle presunte malefatte di Governo e Parlamento. Una riunione come tante altre che dal sapiente racconto che se ne farà verrà classificata come una scandalosa congiura da reprimere con la punizione dei suoi partecipanti. Che infatti escono tutti con le ossa rotte da questa vicenda e mortificati nell’intimo nonostante non abbiano compiuto alcun illecito. Si sarebbe potuto sollevare qualche dubbio sull’opportunità o lo stile del consesso. Nulla più di questo. Invece, l’occasione diventa buona per essere usata come una palla d’acciaio allo scopo di demolire la convergenza maturata in seno all’organo di autogoverno in favore di un candidato non desiderato dall’establishment. Il prescelto era in possesso di tutti i requisiti necessari tranne uno: non militava nella sinistra giudiziaria che dopo tanti anni di supremazia si vedeva sfilare la poltrona da sotto il sedere per effetto di un nuovo schema di alleanze. Per raggiungere l’obiettivo di rovesciare una decisione legittimamente assunta non si esiterà a usare un’arma letale come il trojan. Inoculato nel cellulare di Palamara, il software per le intercettazioni ambientali farà il suo dovere. Acceso e spento con sagacia dalla polizia giudiziaria, Guardia di Finanza per la precisione, il trojan capterà tutto quello che servirà allo scopo eversivo di chi lo manovra usando pezzi di vita privata e pettegolezzi contro i nemici del momento come fossero bombe mediatiche a orologeria. E tenendo fuori dai riflettori chi del ricatto avrebbe dovuto avvantaggiarsi come infatti avvenne: la nomina indigesta fu revocata, il pericolo allontanato. Ora le anomalie del pasticciaccio sono tante, troppe per non far parte di un medesimo disegno criminoso. Palamara non sarà mai processato per l’ipotesi di corruzione presa a pretesto per indagare su di lui. Le intercettazioni non risparmiano un parlamentare come Ferri nonostante non siano state autorizzate dalla Camera. Il segreto istruttorio viene scientificamente violato con un ben selezionato flusso di notizie verso i giornali. Insomma, il materiale raccolto da Barbano e messo in ordine dovrebbe essere sufficiente per far gridare allo scandalo i gelosi custodi della Giustizia in Italia. Che invece tacciono o minimizzano. A dispetto del successo di critica e di pubblico suscitato dal libro, non c’è quella sollevazione delle anime belle a difesa dei valori costituzionali, qui ampiamente ignorati, come ci si aspetterebbe considerando l’enormità delle violazioni esposte al giudizio dei lettori. Tutto questo davvero preoccupa. Ci si è così assuefatti alle storture di una giustizia alla mercé della volontà (spesso del capriccio) di chi ne controlla i meccanismi che nemmeno il Parlamento avverte l’opportunità di accendere un faro sul caso sollevato da altri e cercare di vederci chiaro. Meglio applaudire alle presentazioni del volume e poi badare ad altro. Sembra quasi che si parli di fantascienza. Di letteratura d’intrattenimento. Invece è la realtà. Viterbo. Omicidio a Mammagialla: il caso finisce in Parlamento tusciatimes.eu, 26 dicembre 2023 Il tragico omicidio di Alessandro Salvaggio a Mammagialla ha scosso il panorama politico italiano, portando la questione in Parlamento. I deputati del Partito Democratico (Pd) hanno posto interrogativi al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non solo riguardo alla morte del detenuto strangolato dal compagno di cella, ma anche sulle condizioni generali di detenzione e sul lavoro degli agenti della penitenziaria. Alessandro Salvaggio, un 49enne siciliano, è diventato la 152esima vittima in carcere nel corso del 2023, un numero allarmante che include anche 67 suicidi. Michela Di Biase, deputata del Pd, ha sollevato la necessità di un intervento urgente da parte del governo per affrontare le cause di questi tragici episodi. Tra le principali problematiche indicate ci sono il sovraffollamento carcerario, la carenza di personale della polizia penitenziaria e di personale medico e psicologico di supporto. La vicenda di Salvaggio ha acquisito ulteriori contorni drammatici, visto che è avvenuta pochi giorni dopo le denunce del sindacato di polizia penitenziaria Uspp. Il 13 dicembre, il segretario regionale Daniele Nicastrini aveva già evidenziato le gravi problematiche di sicurezza a Mammagialla, sottolineando la carenza di personale, specialmente nei turni serali e notturni. Le condizioni del carcere di Viterbo erano state precedentemente denunciate anche dal garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, il quale aveva definito “preoccupante il tasso di affollamento sulla capienza regolamentare che ha superato il 141%. La percentuale sale al 154% se si considerano i posti effettivamente disponibili”. La morte di Salvaggio ha sollevato una serie di interrogativi sulla sicurezza e sulle condizioni delle carceri italiane, spingendo i deputati a chiedere azioni immediate da parte del governo per affrontare questa emergenza carceraria. Milano. Il nuovo direttore del l’Ipm Beccaria: “Capienza aumentata, ora abbiamo 70 ragazzi” di Elisabetta Andreis Corriere della Sera, 26 dicembre 2023 Ferrari è entrato in servizio il 1° dicembre. “Nel distretto si esegue un numero di provvedimenti che è il più elevato in Italia. Sport e laboratori per tenerli lontani dalla criminalità”. Dopo venticinque anni dall’ultimo concorso, finalmente l’Ipm Beccaria ha un direttore titolare a tempo pieno, dedicato in esclusiva alla struttura. Claudio Ferrari, che ha vinto il concorso bandito nel 2020 ed è arrivato dopo una lunga formazione alla Scuola superiore dell’Esecuzione penale di Roma e in vari Ipm del territorio nazionale, ha preso servizio dal 1 dicembre. Direttore, dalle prime settimane di lavoro che idea si è fatto del Beccaria? “Sono ottimista, ho subito notato un bello spirito di collaborazione e la volontà di investire sul personale che deve essere esperto e adeguarsi al numero di ospiti che cresce. Questo sarà imprescindibile: nel distretto si esegue un numero di provvedimenti che è il più elevato in Italia e con gradi di multi problematicità dei ragazzi sempre maggiori”. È terminata, dopo tanta attesa, la ristrutturazione delle palazzine iniziata nel 2018 (l’altro cantiere era durato tredici anni, ndr)... “Sì. Abbiamo nuovi spazi interni ed esterni accoglienti finalmente fruibili e la capienza è raddoppiata. Da quando sono arrivato i ragazzi sono saliti da 35 a 70, potranno aumentare fino ad 80. Le problematiche di gestione che talvolta salgono alla ribalta delle cronache incidono negativamente sul percorso educativo dei ragazzi. Salta agli occhi, ad esempio, il numero di detenuti stranieri: 229, di cui 130 Msna (minori arrivati in Italia senza famiglia). L’anno scorso erano 103 e 37. Le criticità ci sono, ma il progetto educativo del Beccaria è ricco e potremo implementare ancora le attività grazie alla sinergia tra operatori e privato sociale e all’apporto del Centro per la giustizia minorile con il Tribunale per i minorenni. Oltre ai percorsi educativi scolastici ci sono i tirocini presso le cooperative Cidiesse e Buoni dentro e i laboratori di falegnameria, cucina, arte, imbiancatura, informatica, musica. Vogliamo rafforzare i momenti dedicati allo sport, alla formazione professionale e al lavoro, strumenti capaci di inserire socialmente i giovani e tenerli lontani dalla criminalità”. Le comunità lombarde per adolescenti sono insufficienti e mancano gli educatori esperti. Il carcere è una opzione obbligata se non si trova posto altrove? “Nel sistema della giustizia minorile l’Ipm è una extrema ratio talora necessaria. Sta a noi far sì che quello trascorso dai ragazzi in istituto non sia un tempo vuoto ma uno spazio di preparazione del futuro”. In una fase come questa, turbolenta e di disagio giovanile esplosivo, un direttore a tempo pieno era chiesto a gran voce. “Sono consapevole delle sfide e delle difficoltà che mi attendono ma al contempo determinato a lavorare con passione e dedizione, felice di aver potuto scegliere l’Ipm Beccaria e Milano, che è la mia città”. Velletri (Rm). Due anni di processo? Ma l’imputato era morto di Claudia Osmetti Libero, 26 dicembre 2023 Maurizio Reali è morto due anni fa, ma in tribunale, a Velletri, nel Lazio, dove era aperto un procedimento a suo carico per truffa e circonvenzione di incapace, se ne sono accorti solo giovedì scorso. Ciò che segue potrebbe essere un racconto breve di Franz Kafka, e potrebbe essere (più prosaicamente) persino una barzelletta, una di quelle che si raccontano al bar giocando a scopa: peccato che qui, da ridere, ci sia zero. C’è, semmai, che un tribunale, e gli avvocati, e le parti civili, sono andati avanti per sedici mesi di fila imperterriti, costi quel che costi e la giustizia non è mai gratis, paga sempre qualcuno, per gli uffici pubblici paga sempre il contribuente, cioè noi con le nostre tasse, senza avere la benché minima idea che il reato su cui si stavano accapigliando era estinto. A causa del decesso dell’imputato. Che un modo più sicuro per chiudere un incartamento proprio non esiste. Tra l’altro i fatti contestati a Reali, che proprio uno stinco di santo non era ma questo non c’azzecca nulla, aveva una fedina penale bella corposa tra truffe, insolvenza fraudolenta, simulazione di reati, false attestazioni, furto, minacce a pubblico ufficiale e pure appropriazione indebita, risalgono al 2018. Ossia a prima della pandemia: che messa così sembra un’era geologica addietro, invece è “solo” un lustro fa e, forse, basterebbe questo. Giustizia ritardata, giustizia negata: in questo caso giustizia sfumata. Nel 2018 Reali ha 45 anni. È di Valmontone, una cittadina di 15mila abitanti nell’aerea metropolitana romana. Un giorno conosce una donna di 62 anni mentre sta viaggiando in treno. Attacca bottone, inizia a corteggiarla, si fa dare il suo numero di telefono. Lei, la signora, ha qualche deficit psichico e cede alle lusinghe di questo ragazzotto un po’ su con gli anni ma più giovane di lei che più le settimane passano più la riempie di attenzioni. Nasce un rapporto, sempre più stretto, e la 62enne si apre, si confida. Confida, per esempio, a Reali, che la sua posizione è benestante. Ha una casa di proprietà, ha una buona pensione, vive con la figlia. Non tanto la terza, ma le prime due comunicazioni devono colpire Reali dritto al cuore (mettiamola così) e, infatti, dopo una corte serrata, le confessa il suo totale amore. S’è innamorato, Reali. E convince la sua nuova “compagna” ad aprire un conto corrente bancario e farselo cointestare, che non è proprio un anello di diamanti con la dichiarazione in ginocchio e un mazzo di rose sul tavolo, anzi è l’esatto opposto, però lei si fida. Vanno in una banca, a Valmontone. Entrano a braccetto, come una coppia qualsiasi. Carta d’identità e qualche scartoffia da firmare: è fatta. È fatta soprattutto per Reali che, da quel giorno, inizia a prelevare i soldi da quell’Iban “fortunato”. Prima piccole somme, poi alza il tiro e alla fine riesce a mettere da parte circa 16mila euro. C’è solo un aspetto della faccenda che gli sfugge. Gli estratti conto la signora 62enne non se li fa mandare tramite email con l’homebanking che usa adesso. È vecchia scuola, lei. Li riceve a casa. Ma a casa c’è la figlia che ci butta un occhio e s’insospettisce. Ma-vuoi-vedere-che-mamma... E va dai carabinieri e presenta denuncia e iniziano le indagini e vengono nominati i legali. Reali non ne ha uno di fiducia, gli appioppano quello d’ufficio e, come se non bastasse, lui, l’imputato, presto si rende irreperibile. Passano i mesi, passano le udienze, passano anche i difensori di Reali perché a ogni convocazione c’è un cambio, e arriviamo al 16 novembre scorso. Viene chiamata in aula la direttrice dell’istituto di credito dove i due hanno aperto il conto corrente nel 2018 e candidamente, davanti alla corte e alle parti presenti (tutta tranne una, ovviamente) sostiene di essere venuta a conoscenza della morte dell’imputato. Silenzio. Sguardi smarriti. Fronti aggrottate. I carabinieri verificano all’ufficio anagrafe e toh, viene fuori che Reali sì, è morto d’avvero, nel luglio del 2021. “Gli avvocati di fiducia hanno un rapporto non dico quotidiano, ma quantomeno periodico coi propri assistiti. Per quelli d’ufficio è diverso”, spiega a Libero l’avvocato Marco Biagioli del foro di Grosseto, “al momento della nomina da parte del tribunale c’è l’obbligo di scrivere una raccomandata per presentarsi e anche per valutare una strategia difensiva. Dopodiché questa persona può legittimamente fregarsene e non rispondere, ma l’avvocato porta comunque avanti il processo in scienza e coscienza facendo le scelte processuali che reputa. Nessuno controlla più fino a che non viene fatta la sentenza: a quel punto è necessario farsi dare una apposita delega per presentare appello”. Torino. Nel carcere Lorusso e Cutugno ci sono 1.400 detenuti, la capacità è per 1.000 quotidianopiemontese.it, 26 dicembre 2023 Come ogni anno il Partito Radicale ha promosso in occasione del Natale visite di proprie delegazioni nelle carceri italiane. A Torino la vigilia di Natale una delegazione del Partito Radicale, dell’Associazione Marco Pannella e dell’AIGA (Associazione Italiana Giovani Avvocati) ha visitato il Carcere Lorusso e Cutugno. “La situazione nel carcere torinese resta molto difficile. – dice Mario Barbaro – Il sovraffollamento è molto elevato (presenti poco meno di 1400 detenuti su una capienza regolamentare di circa 1000, dato pressochè stabile nella sua gravità rispetto alle ultime rilevazioni). Anche l’organico di Polizia Penitenziaria è sotto dimensionato: circa 700 agenti rispetto ad una pianta organica prevista di circa 900 unità. Da questi numeri (e dal generale contesto di situazione di degrado delle celle e degli ambienti di detenzione) si comprende bene il difficilissimo compito che la Polizia Penitenziaria deve affrontare ogni giorno. Solo quest’anno sono una quarantina le aggressioni fisiche ai danni del personale. In questo contesto così difficile la via maestra resta quella della politica. Auspichiamo una stagione di riforme che possa aprire la strada alla risoluzione di molti problemi affrontandoli alla radice per far vivere il dettato della carta costituzionale.” La delegazione era composta da Mario Barbaro (componente della Segreteria del Partito Radicale), dall’Avv. Alberto Del Noce (Vice Presidente Unione Camere Civili Italiane), dall’Avv. Roberto Capra (Presidente Camera Penale Piemonte e Valle d’Aosta), Claudio Desirò (segretario di Italia Liberale e Popolare), On. Alberto Nigra (Presidente di Piemonte Libertà) e da giovani avvocati dell’AIGA. Roma. Detenuti e studenti: all'università di Roma Tre ci sono 90 iscritti che seguono i corsi dalle loro celle di Lorena Loiacono leggo.it, 26 dicembre 2023 Il polo universitario carcerario della Capitale è il terzo in Italia. Gli indirizzi più seguiti per conseguire la laurea? Filosofia e Giurisprudenza. Stanno scontando la loro pena in carcere ma, nel frattempo, si preparano al futuro che li aspetta fuori. Come? Studiando all’università. E possono farlo grazie all’ateneo di Roma Tre che, con i suoi 90 studenti detenuti iscritti, si colloca al terzo posto in Italia tra le strutture di alta didattica che hanno un Polo Universitario Penitenziario, preceduta solo dalla Statale di Milano e dalla Federico II di Napoli. Un bel risultato visto che nel Belpaese sono 40 le università dotate di un Polo Universitario Penitenziario, con oltre 1450 studenti detenuti. Purtroppo questi studenti sono soggetti ad un alto tasso di abbandono a causa dei trasferimenti, dei regimi alternativi e del fine pena. Paradossalmente è più semplice, per loro, laurearsi in carcere. Così negli ultimi 7 anni le iscrizioni sono triplicate. Il 40% degli iscritti segue i corsi di laurea del dipartimento Filosofia-Comunicazione-Spettacolo, seguono il 16% Giurisprudenza, il 13% Economia e Gestione aziendale, il 13% Lingue e Letterature, circa il 10% Scienze della Formazione, il 5% Scienze politiche e il 3% Studi umanistici. La maggior parte sono detenuti a Rebibbia: 22 nella casa di reclusione, 2 nella casa circondariale e altre due nel reparto femminile, 17 presso a Viterbo, 16 a Velletri e altri 16 e nei due istituti di Civitavecchia. Tre studenti sono detenuti a Frosinone e altri singoli sono in carcere a Benevento, Bologna, Parma e al femminile di Sollicciano, vicino Firenze. Trani (Bat). Detenuti in permesso premio ospitati nella chiesa del Sacro Cuore La Repubblica, 26 dicembre 2023 Don Raffaele Sarno, cappellano del carcere di Trani, racconta quanto vissuto nelle ultime ore nella chiesa del Sacro Cuore della città dove fino al 3 gennaio sono ospitati cinque detenuti in permesso premio. “Averle qui vuol dire regalare loro un pò di serenità, specie in queste giornate dell’anno in cui sentirsi amati diventa quasi un bisogno. E durante la messa hanno avvertito il calore espresso da un applauso di incoraggiamento e hanno pianto di gioia”. Così don Raffaele Sarno, cappellano del carcere di Trani, racconta quanto vissuto nelle ultime ore nella chiesa del Sacro Cuore della città dove da ieri sono ospitati cinque detenuti in permesso premio. Si tratta di quattro donne - una di origini tunisine e le altre del nord Barese - e di un uomo che fino al prossimo 3 gennaio trascorreranno lontano dalle fredde sbarre degli istituti di pena in cui sono reclusi, le festività assieme ai loro familiari. “Parte del primo piano della chiesa è destinato a chi, per varie ragioni disposte dal tribunale, non può stare a casa in permesso. Nelle nostre stanze trovano il profumo di casa che a loro manca”, spiega don Raffaele. Ieri si sono messe subito all’opera per preparare navate e banchi alle celebrazioni natalizie. “Ho chiesto loro di dare una sistemata alla chiesa: non se lo sono fatto ripetere due volte e immediatamente hanno iniziato a pulire, spazzare, lucidare pavimenti e sedie. Sono state straordinarie”, continua don Raffaele che conosce perfettamente le loro storie. “Ormai sono agli sgoccioli della pena, hanno vissuto momenti travagliati. Una di loro è nonna e il prossimo primo gennaio il suo nipotino sarà battezzato qui: è felicissima”, prosegue il cappellano che ieri pomeriggio ha portato nell’istituto di pena femminile di Trani gli auguri dei fedeli in occasione della messa della vigilia. “Ho trasmesso gli auguri come segno di vicinanza e solidarietà e molte detenute hanno cominciato ad asciugarsi gli occhi. Un pianto sfociato in un applauso liberatorio - conclude don Raffaele - sono piccoli segni di speranza che il Bambino Gesù affida al cuore di ciascuno di noi”. Busto Arsizio. La visita del vescovo ai detenuti per Natale prealpina.it, 26 dicembre 2023 Monsignor Raimondi ha celebrato la messa di Natale in carcere: “Dio è con chi ha bisogno”. “Questo è il più bel Natale che il Signore potesse donarmi”. Lo ha detto il vescovo ausiliare di Milano e vicario episcopale per la zona di Rho Luca Raimondi, a un centinaio di detenuti della Casa circondariale di Busto Arsizio, dove ha celebrato la messa di Natale. “Siamo visitati dal Signore nella nostra disperazione - ha aggiunto - e ci ripete: voglio ripartire con te, avanti, ce la puoi fare”. Parole piene di coraggio quelle di Raimondi, accolto dalla comandante Rossella Panaro con il personale dell’area Trattamentale e gli uomini della polizia penitenziaria, volontari con suor Franca, il Garante dei detenuti Pietro Roncari ed altri esponenti della società civile. Il tono dell’evento religioso è stato illustrato dal cappellano don David Maria Riboldi che ha accolto con entusiasmo l’ospite “amico dei detenuti”. Al termine della messa, gli ha consegnato il sacco con i doni della Valle di Ezechiele, prodotti realizzati in diverse carceri italiane, assieme al calendario 2024 illustrato con i migliori tatuaggi scovati oltre le sbarre. Significativa la frase riportata da don David sull’immagine ricordo: “Alla fine della sera, ciò che conta è avere amato”. Non poteva mancare la classica fetta di panettone offerta ai fedeli della messa all’uscita dalla cappella. “Non è facile per noi vivere il Natale da reclusi. Il posto vuoto che abbiamo lasciato nelle nostre famiglie ci ferisce e ci riempie di nostalgia” ha detto un detenuto leggendo una lettera, idealmente sottoscritta da tutti i presenti. L’incertezza nella voce sottolineava la condivisione di sentimenti profondi e laceranti che il Natale riporta a galla. L’augurio di un “Natale di rinascita”, l’invito ad una “svolta nella vita” nel lavoro di recupero di valori sociali e umano spesso dimenticati ed invece “fondamentali nel cammino di maturazione umana e sociale che il carcere vuole favorire” lo ha ricordato la comandante Panaro nel suo intervento, sottolineando i segnali positivi nel miglioramento della vita interno all’istituto ed altri benefici che arriveranno se cresce la collaborazione tra tutti. Ad insistere sul cammino del recupero umano è stato il vescovo Raimondi. “Vi porto tutti da papa Francesco all’incontro che avrò con lui all’inizio di febbraio. Anzi, se mi scrivete una lettera gliela consegnerò personalmente. Dio crede in voi, Dio è con chi ha bisogno. Quando trovate la voglia di dire: sì, ho sbagliato; ecco, quel giorno è Natale”. Busto Arsizio. Natale di speranza per i detenuti. Una lettera per il Papa malpensa24.it, 26 dicembre 2023 “Un Natale più bello di questo non c’è. Siamo visitati dal Signore nella nostra disperazione e ci ripete: voglio ripartire con te, avanti, ce la puoi fare”. Parole piene di coraggio quelle del vescovo Luca Raimondi, pronunciate nella Casa circondariale cittadina, dove ha celebrato la messa di Natale. “Questo è il più bel Natale che il Signore potesse donarmi” ha detto salutando un centinaio di detenuti riuniti nella cappella del carcere. Ad accoglierlo era la comandante Rossella Panaro con il personale dell’area Trattamentale e gli uomini della polizia penitenziaria, volontari con suor Franca, il Garante dei detenuti Pietro Roncari ed altri esponenti della società civile. Il tono dell’evento religioso è stato illustrato dal cappellano don David Maria Riboldi che ha accolto con entusiasmo il vulcanico ospite “amico dei detenuti”. Al termine della messa, gli ha consegnato il sacco con i doni della Valle di Ezechiele, prodotti realizzati in diverse carceri italiane, assieme al calendario 2024 illustrato con i migliori tatuaggi scovati oltre le sbarre. Significativa la frase riportata da don David sull’immagine ricordo: “Alla fine della sera, ciò che conta è avere amato”. Non poteva mancare la classica fetta di panettone offerta ai fedeli della messa all’uscita dalla cappella. “Non è facile per noi vivere il Natale da reclusi. Il posto vuoto che abbiamo lasciato nelle nostre famiglie ci ferisce e ci riempie di nostalgia” ha detto un detenuto leggendo una lettera, idealmente sottoscritta da tutti i presenti. L’incertezza nella voce sottolineava la condivisione di sentimenti profondi e laceranti che il Natale riporta a galla. L’augurio di un “Natale di rinascita”, l’invito ad una “svolta nella vita” nel lavoro di recupero di valori sociali e umani spesso dimenticati ed invece “fondamentali nel cammino di maturazione umana e sociale che il carcere vuole favorire” lo ha ricordato la comandante Panaro nel suo intervento, sottolineando i segnali positivi nel miglioramento della vita interna all’istituto ed altri benefici che arriveranno se cresce la collaborazione tra tutti. Ad insistere sul cammino del recupero umano è stato il vescovo Raimondi. “Vi porto tutti da papa Francesco all’incontro che avrò con lui all’inizio di febbraio. Anzi, se mi scrivete una lettera gliela consegnerò personalmente. Dio crede in voi, Dio è con chi ha bisogno. Quando trovate la voglia di dire: sì, ho sbagliato; ecco, quel giorno è Natale”. Volti vissuti lo ascoltano, storie umane contorte, dolore per il posto vuoto lasciato a casa, tutta queta umanità dolente ha trovato il fiato per dare voce alle parole di Leonard Cohen e al suo fantastico Alleluia che ha concluso la messa, canto splendido e luminoso, come le cime innevate del monte Rosa che ieri mattina brillava strepitoso, sull’ultimo orizzonte, là in fondo, oltre le sbarre. Vibo Valentia. Al carcere un pranzo di Natale preparato da una brigata d’eccezione di Cristina Iannuzzi lacnews24.it, 26 dicembre 2023 C’è il vescovo della diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea Attilio Nostro, c’è il direttore della casa circondariale Angela Marcello, ci sono gli agenti di polizia penitenziaria, le autorità istituzionali, scolastiche e ci sono i detenuti. Tutti attorno allo stesso tavolo per un pranzo d’amore preparato da una brigata d’eccezione: gli chef Armando e Maurizio Sciarrone del ristorante De Gustibus di Palmi. È l’iniziativa “L’altra cucina... per un pranzo d’amore” promossa dall’associazione Prison Fellowship Italia Onlus che per il secondo anno consecutivo si è svolta all’interno dell’istituto penitenziario di Vibo Valentia. “È un gesto d’amore per i detenuti delle carceri italiane – ha affermato Sabrina Orlando, volontaria dell’associazione”. A servire ai tavoli i ragazzi della Tonno Callipo Volley Calabria capitanati da Filippo Maria Callipo. Un pranzo di Natale che regala sorrisi e speranze e per un giorno fa dimenticare la condizione di restrizione in cui si trovano i detenuti. Accompagnato dalla direttrice del carcere, il Vescovo ha fatto visita ai detenuti in regime di isolamento per un messaggio di pace e speranza. “Questo è un luogo di fatica – ha detto il presule a margine dei colloqui – un luogo di sofferenza ma anche di redenzione e di speranza. Un luogo dove si insegnano i valori della legalità e del rispetto. A tutti coloro che vivono all’interno di queste mura, che siano detenuti o dipendenti, l’augurio di un sereno Natale”. Il messaggio di Papa Francesco a Natale: “No alla guerra, no alle armi” Il Domani, 26 dicembre 2023 “Come si può parlare di pace se aumentano la produzione, la vendita e il commercio delle armi?”, ha detto papa Bergoglio davanti a 70mila persone riunite in piazza San Pietro. “Lo sguardo e il cuore dei cristiani di tutto il mondo sono rivolti a Betlemme; lì, dove in questi giorni regnano dolore e silenzio, è risuonato l’annuncio atteso da secoli: “È nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”“. Con queste parole papa Francesco ha aperto il suo messaggio natalizio in piazza San Pietro in occasione della benedizione Urbi et Orbi. Di fronte a circa 70 mila fedeli il pontefice ha richiamato l’attenzione sulle morti dei bambini a Gaza e non solo: “Quante stragi di innocenti nel mondo: nel grembo materno, nelle rotte dei disperati in cerca di speranza, nelle vite di tanti bambini la cui infanzia è devastata dalla guerra. Sono i piccoli Gesù di oggi, questi bambini la cui infanzia è devastata dalla guerra, dalle guerre”. “Dire “sì” al Principe della pace significa dire “no” alla guerra, a ogni guerra, alla logica stessa della guerra, viaggio senza meta, sconfitta senza vincitori, follia senza scuse”, ha detto Francesco. “Ma per dire “no” alla guerra bisogna dire “no” alle armi. Perché, se l’uomo, il cui cuore è instabile e ferito, si trova strumenti di morte tra le mani, prima o poi li userà. E come si può parlare di pace se aumentano la produzione, la vendita e il commercio delle armi?”. Francesco ha sottolineato anche la spesa pubblica destinata all’industria bellica: “La gente, che non vuole armi ma pane, che fatica ad andare avanti e chiede pace, ignora quanti soldi pubblici sono destinati agli armamenti. Eppure dovrebbe saperlo! Se ne parli, se ne scriva, perché si sappiano gli interessi e i guadagni che muovono i fili delle guerre”. Gaza e Israele - “Porto nel cuore il dolore per le vittime dell’esecrabile attacco del 7 ottobre scorso e rinnovo un pressante appello per la liberazione di quanti sono ancora tenuti in ostaggio - ha aggiunto -. Supplico che cessino le operazioni militari, con il loro spaventoso seguito di vittime civili innocenti, e che si ponga rimedio alla disperata situazione umanitaria aprendo all’arrivo degli aiuti”, ha detto il pontefice. Francesco ha anche “implorato” per la fine della guerra in Ucraina, in Yemen, in Siria e in tutti gli altri luoghi scossi dai conflitti. L’omelia di Zuppi: “Natale per fare pace combattendo l’odio che la consuma” di Massimo Selleri Il Resto del Carlino, 26 dicembre 2023 Messa episcopale nella cattedrale di San Pietro, l’arcivescovo di Bologna: “Il nostro è un mondo in guerra, che fabbrica armi e non le distrugge e così si riarma anziché disarmarsi. Distrugge la vita e le case rinunciando ad esercitare la via del dialogo e della giustizia”. Convertirsi alla pace. Questo è la richiesta che arriva dal Cardinale Matteo Zuppi durante la messa episcopale che è stata celebrata nel pomeriggio del 25 dicembre nella cattedrale di San Pietro. “Natale è luce nella notte profondissima e drammatica di questo mondo – sono le parole dell’arcivescovo -. È vita vera, non consumo, esibizione o vitalismo. Le ombre della morte entrano anche nell’animo delle persone, le confondono, riempiono di paura e di rabbia fino a rendere il nostro prossimo estraneo o nemico. Il nostro è un mondo in guerra, che fabbrica armi e non le distrugge e così si riarma anziché disarmarsi. Distrugge la vita e le case rinunciando ad esercitare la via del dialogo e della giustizia. Ci sono davvero pochi messaggeri di pace perché il nostro mondo giudica come una sconfitta il dialogo e preferisce coltivare la forza distruttiva delle armi”. Durante l’omelia il porporato chiarisce che la pace non è una questione che riguarda i governanti, ma riguarda tutti noi nella difficile operazione di rompere i legami con l’odio e il risentimento. “Quanti cuori sono troppo armati e non danno tregua al prossimo e a volte l’odio verso qualcuno dura anni o decenni. Sono cuori capaci di vedere solo il negativo e sono interessati più a ciò che divide e spesso increduli a quello che può unire. Quante parole dette contro il prossimo, telematiche o urlate, che non restano senza frutto perché colpiscono e alimentando altro odio spengono la vita”. Il Dio dell’Incarnazione si fa uomo proprio per aprire una breccia in questa realtà che fatica a ricostruire un legame con l’amore verso se stessi e verso l’uomo. “In un mondo così in guerra anche quest’anno viene la luce e il verbo diventa carne. Non è una presenza in remoto o virtuale perché l’amore richiede i sensi e si umilia perché ha la necessità della vita vera per esprimersi. Questo Natale ci chiede di fare pace combattendo l’odio che la consuma. Facciamo pace per questo bambino che non è un bimbo qualsiasi ma è Dio. Facciamolo a Gaza, in Ucraina e in ogni luogo perché questo Natale non sia il Natale dell’io ma il vero Natale di Dio”. Medio Oriente. Tensioni tra Teheran e Tel Aviv per l’uccisione del generale Mousavi Il Domani, 26 dicembre 2023 Raisi: “Israele pagherà”. Anche a Natale prosegue il conflitto in Medio Oriente. Secondo il ministero della Salute di Gaza, controllato da Hamas, sono almeno settanta le persone uccise in un raid israeliano vicino al campo profughi di Al-Maghazi nel centro della Striscia. Da venerdì le forze armate israeliane hanno colpito almeno 200 obiettivi militari a Gaza. Il conflitto a fuoco con i miliziani di Hamas ha portato all’uccisione di 15 soldati israeliani. Da quando è iniziata l’operazione militare via terra dentro la Striscia, sono stati uccisi 154 militari israeliani, perdite molto più alte tra i miliziani di Hamas, dove ne sarebbero morti 8mila. Da Teheran le Guardie rivoluzionarie hanno annunciato che uno dei loro più alti consiglieri sarebbe morto in un attacco israeliano in Siria nella zona di Sayyidah Zaynab, nei pressi di Damasco. Un’uccisione che aumenterà ulteriormente le tensioni, dato che dall’Iran hanno annunciato che Israele “pagherà” per questo. In un messaggio alla nazione, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che non interromperà le operazioni militari. “Continueremo con tutta la nostra forza, fino alla fine, fino alla vittoria, finché non raggiungeremo tutti i nostri obiettivi”, ha detto dopo aver espresso cordoglio per i soldati morti a Gaza. “Fatemi essere molto chiaro: questa sarà una guerra lunga”, ha specificato Netanyahu che è stato fischiato alla Knesset (il parlamento israeliano) dai famigliari degli ostaggi. Sarah Netanyahu, moglie del premier israeliano, ha scritto una lettera al Papa chiedendo il “personale intervento” per la liberazione degli ostaggi. Le mediazioni dell’Egitto - I funzionari egiziani hanno ripreso le trattative per arrivare una tregua che porti al rilascio dei civili presi in ostaggio da Hamas e a una soluzione politica di lungo periodo per risolvere la crisi. Dopo la visita dei vertici di Hamas al Cairo della scorsa settimana, una delegazione della Jihad islamica palestinese (Pij), che detiene alcuni ostaggi israeliani a Gaza, è arrivata nella capitale dell’Egitto il 24 dicembre per colloqui con esponenti della sicurezza nazionale. Il piano annunciato dai media egiziani è diviso in tre fasi diverse. La prima fase prevede la sospensione dei combattimenti per due settimane, estendibile a tre o quattro, in cambio della liberazione di 40 ostaggi: donne, minorenni e uomini anziani, soprattutto malati. In cambio, Israele rilascerebbe 120 prigionieri di sicurezza palestinesi di uguale tipo. La seconda fase prevede colloqui più approfonditi per porre fine alle divisioni politiche dentro il mondo palestinese e creare un governo tecnico per gestire Gaza e la Cisgiordania. La terza e ultima fase, invece, prevede un accordo per il rilascio di tutti i militari israeliani detenuti da Hamas e da altre fazioni palestinesi, in cambio del ritiro israeliano dalla Striscia. La prima volta dall’inizio della guerra che l’Egitto propone un piano di questo tipo. Al momento, il paese guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi ha seguito le mediazioni per il rilascio degli ostaggi insieme al Qatar. Ma secondo quanto riporta la Reuters, che cita due funzionari della sicurezza egiziana, il piano sarebbe stato bocciato sia da Hamas che dalla Jihad islamica. Intanto il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha inviato una lettera a papa Francesco per chiedere un cessate il fuoco. “Auspico che mentre ci avviciniamo al Nuovo Anno vedremo un’azione immediata della comunità internazionale e di tutte le persone oneste per fermare l’uccisione di innocenti a Gaza”. Russia. Colonia n. 3, cos’è il carcere di Navalny: i deportati del Gulag e il massimo isolamento di Maria Serena Natale Corriere della Sera, 26 dicembre 2023 La prossima settimana si attendono 28 gradi sotto zero. “È il posto più isolato al mondo”. A Kharp vagano seimila anime. Stazione nel calvario dei deportati lungo la Strada morta, la Strada ferrata di Stalin che doveva attraversare le desolazioni dell’Arcipelago Gulag e trasportare il nichel estratto nelle miniere della vicina Norilsk, era nata come campo per i prigionieri arruolati nella costruzione dei binari, poi diventata “insediamento urbano”, troppo piccolo per essere classificato città nell’ordinamento sovietico. Siberia nord-occidentale, terra dura di ghiaccio e palude, gas e carbone, il luogo perfetto per scomparire. Di prigioni alle quali si può solo sopravvivere negli anni ne sono spuntate diverse. Dopo il lungo black-out servito a trasferirlo, ancora in treno, dalla colonia penale n.6 di Melekhovo duecento chilometri a est di Mosca, il nemico pubblico numero uno di Vladimir Putin è ricomparso qui. Il blogger dissidente Aleksej Navalny era già stato condannato per appropriazione indebita e oltraggio alla Corte, ora sconta una condanna a 19 anni per estremismo che gli riserva il nuovo “regime speciale”. Secondo le prime informazioni diffuse dalla sua squadra anti-corruzione si troverebbe nella colonia n.3, sessanta chilometri a nord del Circolo Polare Artico, non lontana dal famigerato carcere per ergastolani sulle rive del fiume Sob soprannominato “Gufo polare”. A 47 anni, provato da anni di battaglie e arresti, un avvelenamento con gas nervino Novichok e ormai quasi tre anni di carcere in un isolamento pari alla tortura, Navalny aveva denunciato le terribili condizioni di detenzione e le mancate cure. Se a Melekhovo le comunicazioni con l’esterno erano sistematicamente interrotte, a Kharp diventano impossibili: “È il posto più isolato al mondo” ha dichiarato il suo stretto collaboratore Leonid Volkov. La prossima settimana, nella regione a duemila chilometri da Mosca, si attendono 28 gradi sotto zero. A tre mesi dalle presidenziali che incoroneranno l’eterno Zar in tempo di guerra, l’obiettivo resta intimidire, spezzare resistenza e volontà. Per Navalny la prova più estrema. Kenya. “Cafasso House”, speranza per i minori ex detenuti di Saverio Clementi chiesadimilano.it, 26 dicembre 2023 A Nairobi una struttura fondata da una missionaria della Consolata ospita ragazzi tra i 14 e i 21 anni con precedenti penali. Tra pochi giorni un ragazzo di Legnano e una ragazza di Mariano Comense partiranno per svolgere lì il loro anno di servizio civile. Kawanda West è un popoloso quartiere a nord di Nairobi, la capitale del Kenya. Qui si trova la St. Joseph Cafasso Consolation House, una struttura che ospita ragazzi tra i 14 e i 21 anni, con precedenti penali alle spalle. È stata fondata due anni fa da suor Raquel, una suora argentina missionaria della Consolata, che da 10 anni opera tra i giovani detenuti del carcere minorile di Nairobi per creare percorsi di riabilitazione che possano garantire loro un futuro dignitoso una volta scontata la pena. Tra pochi giorni Francesco Ingarsia (Inga per gli amici), un giovane legnanese di 23 anni, arriverà in Kenya per trascorrere un anno di servizio civile all’estero lavorando a questo progetto. Con lui partirà anche Irene Giovanelli, una ragazza di Mariano Comense. Il loro impegno sarà coordinato dalla Caritas Ambrosiana, che dal 2006 collabora con suor Raquel e il suo centro nell’ambito dell’iniziativa “Impronte di pace” . I ragazzi in servizio civile svolgono la maggior parte del lavoro all’interno della Cafasso House a stretto contatto con i ragazzi che la abitano; operano inoltre anche dentro il centro di correzione minorile e con i bambini che vivono nell’area della Kamiti Prison, uno dei quartieri più problematici di Nairobi. Caritas Ambrosiana ha inoltre sposato l’idea di Sister Raquel di creare una struttura, al fianco di quella già esistente, che possa ospitare altri ragazzi. Francesco è fresco di laurea in Scienze dell’educazione e non è nuovo ad esperienze di volontariato all’estero: “Dopo due periodi di lavoro in Cambogia, avevo voglia di sperimentare un impegno in un’altra parte del mondo. Sono da sempre attratto da Paesi e culture diverse. Determinante per questa scelta è stato quanto ho potuto imparare in famiglia e all’oratorio dei Santi Martiri Anauniani, la mia parrocchia, soprattutto come educatore nelle scuole di Babele e di Pinocchio dove si insegna l’italiano agli extracomunitari” . A Nairobi, Inga e Irene troveranno un’esperienza già rodata. Il percorso comincia all’interno del centro di correzione, attraverso una prima fase di conoscenza del ragazzo, e successivamente prosegue all’esterno. All’inizio i ragazzi selezionati venivano ospitati in appartamenti affittati di volta in volta, ma dall’aprile 2006 vivono stabilmente nella Cafasso House. La casa può ospitare fino a 10 ragazzi e i criteri di selezione tengono presente la loro situazione familiare e il livello di istruzione. La scelta è di dare questa opportunità a chi non ha una famiglia che lo possa o voglia accogliere dopo il carcere e ha un livello di istruzione, o di formazione, tale da non poter essere indipendente. All’interno del centro viene data loro la possibilità di scegliere se iniziare o proseguire un percorso di formazione professionale o scolastico. Non manca il sostegno psicologico e spirituale. I ragazzi stanno all’interno della struttura per un periodo non predefinito; l’obiettivo è di creare le condizioni affinché possano affrontare la vita in modo autonomo e maturo. La Cafasso House è l’unico centro di questo genere in tutto il Kenya.