Il Natale in carcere è all’insegna del sovraffollamento record: 60mila detenuti di Giulia Merlo Il Domani, 25 dicembre 2023 Si sta registrando un aumento record di 400 persone al mese. Il ministro Nordio parla di “potenziare le occasioni di lavoro per i detenuti” ma per ora non si vedono novità sostanziali, nemmeno dal punto di vista degli spazi. Intanto, sta per insediarsi il nuovo Garante dei detenuti voluto dal centrodestra, che però di carcere non è esperto. Natale, come tutte lo sono tutte le festività, è il momento peggiore per i detenuti. Nonostante i volontari si affannino in ogni carcere per portare un minimo di conforto, con qualche evento di socialità organizzato, chi vive la condizione detentiva la lontananza dalle famiglie o l’abbandono si sente ancora più forte. Messi alle spalle gli anni del covid, in cui gli accessi erano contingentati, ora le attività sono riprese ma la realtà carceraria non è cambiata, anzi i penitenziari italiani sono quasi al collasso a causa del sovraffollamento. I numeri - L’associazione Antigone, infatti, ha fornito gli ultimi dati sullo stato delle carceri e le condizioni stanno peggiorando di mese in mese, con i detenuti che superano le 60mila unità per 48mila posti standard disponibili e un sovraffollamento medio del 125 per cento, ma con picchi molto più alti in particolare in Lombardia e Lazio. “Era da prima della pandemia di Covid-19 che ciò non accadeva”, sottolinea in una nota Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. A preoccupare, però, è soprattutto il tasso di crescita: “Nell’ultimo anno è stato del 7%, con un’impennata specialmente negli ultimi tre mesi. Se la popolazione detenuta dovesse continuare a crescere con questo ritmo, tra un anno saremo oltre le 67.000 presenze”, spiega Gonella. Un aumento record di 400 persone al mese. Con il rischio che l’aumento dei detenuti proceda a un ritmo anche più sostenuto, visto l’aumento delle pene e la previsione di nuovi reati introdotte dal governo Meloni nel corso degli ultimi mesi, a partire dal decreto Caivano e con le recenti iniziative di prevedere il carcere anche per le donne incinte e madri, contenute nel pacchetto Sicurezza. L’ultima volta in cui l’Italia arrivò a questo numero di presenze, subì una pesantissima condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2013 con la ormai nota sentenza Torreggiani. Per capire il livello di allarme, l’ultimo indulto e amnistia risalgono al 2006 e venne giustificato proprio per il sovraffollamento nelle carceri, che all’epoca sfiorava le 62mila presenze, appena 2mila più di oggi. Non solo, però. Anche i numeri dei suicidi continuano ad essere molto alti: il totale del 2023 è di 66 persone che si sono tolte la vita in carcere, il terzo dato più alto mai registrato dal 1992. In media, nelle carceri italiane si suicida una persona ogni 5 giorni. Il ministro - In questi giorni di festa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio - da sempre sensibile al tema del carcere e su posizioni personali molto diverse rispetto al governo - ha partecipato alla messa del 24 dicembre nel penitenziario della sua città, Treviso. Durante un breve discorso, ha parlato della necessità di “potenziare le occasioni di lavoro per i detenuti” e la necessità di investire “sul reinserimento. Durante la detenzione imparare un mestiere è importante, ma lo è anche che una persona, una volta uscita dal carcere, trovi le porte aperte”. In questa direzione va anche l’accordo tra ministero della Giustizia e Cnel, che favorirà la formazione e il lavoro per i detenuti, con l’obiettivo di abbattere l’elevato tasso di recidiva dovuto alla mancanza di occasioni di reale reinserimento nella parte sana della società. L’accordo prevede che il ministero snellisca gli adempimenti per le imprese e le società del terzo settore che intendano assumere e formare i detenuti, semplificando anche la concessione di agevolazioni, incentivi e sconti fiscali, mentre il Cnel coinvolge i corpi intermedi con l’obiettivo di fare da ponte tra il carcere e il lavoro, fornisce supporto con i suoi esperti, implementa la formazione dei detenuti in carcere, promuove la copertura degli istituti penitenziari rispetto all’offerta di corsi universitari. “La rieducazione è il più efficace strumento di politica criminale a disposizione dei governi”, hanno scritto Nordio e il presidente del Cnel, Renato Brunetta. Parole positive che dimostrano l’attitudine del ministro a tentare di incidere su un settore in enorme difficoltà, ma che per ora non hanno avuto particolari riscontri pratici se non nell’aumento del numero dei detenuti. Nessuna novità concreta, invece, arriva dall’iniziativa a cui il guardasigilli ha più volte fatto riferimento di individuare caserme dismesse per renderle luoghi di detenzione, soprattutto per i detenuti a bassa pericolosità. Il garante dei detenuti - In questo contesto, rischia di appannarsi anche la figura determinante che è il Garante per i diritti delle persone private della libertà. Il mandato dell’attuale garante, Mauro Palma, è scaduto ma lui sta continuando ad adempiere al suo ruolo nonostante il suo successore sia già stato individuato e manchino solo alcuni passaggi istituzionali di nomina. Il 21 dicembre il Quirinale ha firmato il decreto di nomina di Felice D’Ettore, nuovo garante individuato in quota maggioranza, la cui scelta ha già sollevato polemiche e che, secondo fonti interne, sarebbe stata di fatto imposta anche al ministro della Giustizia che per il ruolo aveva pensato alla radicale Rita Bernardini. Invece, gli equilibri politici hanno avuto la meglio sulla competenza: D’Ettore è un ex parlamentare di Forza Italia poi entrato in Fratelli d’Italia e nel curriculum ha l’incarico di professore di diritto privato. Nessuna esperienza pregressa nel penale o nel settore delle carceri, che è a sua volta una galassia a se di cui è necessario conoscere a fondo le problematiche. Non a caso, la nomina non è stata lineare: ci sono voluti molti mesi per individuare il nome del garante e la terna (composta da D’Ettore, Mario Serio e Irma Conti, rispettivamente giurista e avvocata ma anche loro senza esperienza nelle carceri), poi si è impedito che i tre venissero auditi nelle commissioni Giustizia del parlamento. Un no incomprensibile della maggioranza e spiegabile - come hanno commentato molti esponenti delle opposizioni, prima tra tutti Ilaria Cucchi - solo con il fatto che non si volesse rischiare di sottoporli alla brutta figura del non sapere rispondere ai quesiti. Per la loro nomina mancano le firme del ministero della Giustizia e l’ultima bollinatura della Corte dei conti, infine la nomina sarà formalizzata da palazzo Chigi. In altre parole, un garante senza alcuna esperienza nell’ambito della tutela dei diritti delle persone private della libertà entrerà in carica proprio nel momento in cui le carceri sono una bomba a orologeria, con numeri record che continuano a crescere insieme - inevitabilmente - ai disagi per chi si trova nelle carceri a scontare la pena ma anche per chi nel carcere lavora nella polizia penitenziaria. Con il concreto rischio che, in questo modo, proprio in un anno che si preannuncia già caldissimo l’unico presidio per i diritti rischi di essere depotenziato. È Natale anche in carcere: si ferma tutto di Francesca Polizzi true-news.it, 25 dicembre 2023 “Natale in carcere. Uno dei momenti più difficili per le persone detenute. Il paradosso di una pena che deve tendere al reinserimento sociale delle persone escludendole totalmente dalla società”, scrive sul suo profilo Instagram Antigone Onlus, associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”. Le festività sono un momento particolare: molte attività infatti vengono sospese o rallentate e chi è in carcere resta solo e si alimenta così l’isolamento. “Durante le festività il personale è ridotto, c’è la turnazione e dentro gli istituti penitenziari ci sono meno persone che lavorano, questo provoca fatica anche per le attività extra e tutto è più faticoso in una situazione in cui è già grandemente faticoso”, spiega Valentina Calderone, la Garante delle persone private della libertà personale di Roma Capitale. “Durante il periodo natalizio la scuola dentro il carcere viene sospesa perché segue il calendario scolastico regionale. Per quanto riguarda le attività delle singole associazioni, invece, ognuna si organizza nel modo che crede, non c’è una regola generale sulla sospensione delle attività”, afferma Calderone parlando della attività dentro le carceri. Le attività in carcere, nel periodo a ridosso del Natale, prevedono solitamente la distribuzione di panettoni e l’organizzazione di pranzi o cene natalizie. A proposito di questi momenti conviviali, Calderone racconta delle resistenze incontrate quest’anno: “Alcuni pranzi che storicamente venivano fatti sono stati ridimensionati dal Provveditore dell’amministrazione penitenziaria (ndr. Provveditorato Lazio-Abruzzo-Molise): sono state date delle disposizioni perché non si potessero fare tavolate di più di 25 persone detenute”. Rischi dell’isolamento durante le feste - I periodi delle feste sono sempre più complicati per le persone detenute, “è più facile che il loro umore sia molto più abbattuto e che le persone che già hanno delle fragilità le sentano ancora di più. Quindi, è un momento in cui tutti i rischi connessi - come autolesionismo e rischi suicidari - hanno un’impennata”, fa notare la Garante. Sono 67 i morti suicidi nelle prigioni italiane da gennaio 2023 (dato aggiornato al 16 dicembre 2023). Nei giorni in prossimità delle feste, quando la vita in cella è ancora più difficile, la probabilità che questo bilancio aumenti è tangibile. Alla frustrazione della condizione di essere ristretti si aggiunge la malinconia causata dalla lontananza dai propri affetti. Le feste in carcere accentuano la distanza tra dentro e fuori. Per Calderone “è fondamentale prevenire tutta una serie di comportamenti e gesti ed essere in grado di sostenere le persone che inevitabilmente pensano alla famiglia fuori in questo periodo”. Le famiglie e gli affetti delle persone detenute sono un punto cruciale per cambiare prospettiva. “Il lavoro di prevenzione e sostegno non può essere fatto contando solo sulla volontà degli operatori e dei volontari, c’è bisogno di rendersi conto che la famiglia e gli affetti sono una parte fondamentale del percorso trattamentale”, dice la Garante. L’isolamento non è un problema solo delle feste, è una questione che dipende dalle opportunità che riescono a essere organizzate all’interno dei diversi istituti penitenziari. Infine, riguardo alle comunicazioni con l’esterno, Calderone fa notare che “quest’anno - con la fine dell’emergenza Covid - si è tornati alla prescrizione della norma rispetto alle telefonate. Dieci minuti di telefonate a settimana sono anacronistici nelle modalità di comunicazione di oggi. È questa la prima cosa da adeguare per cercare di tamponare l’isolamento che una persona detenuta avverte”. Cura contro la solitudine, il pranzo di Natale a Rebibbia femminile - Quest’anno, a Rebibbia femminile - nonostante il divieto del Provveditore - si è riusciti alla fine a derogare a questa nuova regola e a organizzare un pranzo con un gran numero di donne detenute. Questo pranzo è stata la decima edizione di “L’ALTrA Cucina… per un Pranzo d’Amore”, un evento organizzato dall’associazione Prison Fellowship Italia, in collaborazione con Rinnovamento nello Spirito Santo, Fondazione Alleanza del RnS e il Ministero della Giustizia. A raccontarci questa iniziativa è Daniela Di Domenico, responsabile ufficio stampa Prison Fellowship Italia: “In questi anni abbiamo assistito alla maturazione del progetto. C’è stata una grande adesione da parte delle persone che vengono ad aiutarci. Abbiamo raggiunto dei risultati importanti: l’abbraccio delle persone che stanno in carcere e che da questa festa vengono consolate, si sentono accolte e non si sentono sole per Natale”. Il pranzo di Natale ha interessato 29 istituti penitenziari in tutta Italia e ha coinvolto 4mila detenuti che hanno gustato i piatti cucinati da diversi chef stellati. La Casa circondariale Rebibbia femminile di Roma (il più grande dei quattro istituti esclusivamente femminili in Italia) ha coinvolto nella preparazione del pranzo lo chef Fulvio Pierangeli: “Lo chef e la sua brigata hanno cucinato e anche le detenute hanno contribuito. Infatti, dove è ammesso dalla direzione e dove c’è questa possibilità si crea una collaborazione tra detenuti e chef stellato: a Rebibbia le donne detenute hanno cucinato per 300 persone”, dice Di Domenico ripercorrendo la giornata trascorsa a Rebibbia. A essere coinvolti in questa occasione di festa e convivialità vari artisti e personalità del mondo della musica e dello spettacolo, accolti con entusiasmo dalle donne detenute. Festa di Natale a Rebibbia - Come racconta Di Domenico, per le donne detenute è ormai un appuntamento fisso, “ormai se lo aspettano, quest’anno doveva saltare e invece abbiamo fatto di tutto per esserci. Spesso dicono che quando veniamo per Natale per loro è quasi come stare in famiglia, è un momento di ascolto”. Quello di Prison Fellowship è un progetto che cresce di anno in anno con il supporto di una rete di associazioni che lavorano insieme e “alla fine la vera soddisfazione che ti porti a casa è quel momento in cui c’è qualcuna che ti dice “Grazie. Grazie per quello che hai fatto, non mi sono sentita sola”“, conclude Di Domenico. Carceri, altro anno orribile: suicidi, sovraffollamento e aggressioni di Antonella Galli tg.la7.it, 25 dicembre 2023 Proposte e progetti restano sulla carta rendendo la situazione sempre più drammatica. Le peggiori a Brescia, Foggia e Como. “Ogni suicidio è una sconfitta per lo Stato”, aveva detto il Ministro della Giustizia Nordio visitando il carcere di Torino lo scorso agosto dopo la morte di due detenute. I dati ci dicono che quest’anno le persone che si sono tolte la vita in cella sono 68, oltre ad un agente penitenziario. L’ultimo è di ieri, a Regina Coeli, aveva 32 anni, si è impiccato alle sbarre della sua cella. Proprio ieri nel carcere romano hanno fatto la loro visita i rappresentanti del Partito Radicale, come fanno ogni anno in questo periodo natalizio in molti istituti italiani per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle condizioni di detenzione. Situazione sempre più drammatica - I numeri che arrivano dai penitenziari non lasciano margini sulla situazione devastante che vivono i detenuti ma anche gli agenti che devono mantenere l’ordine. Il costante aumento della crescita della popolazione carceraria ovviamente non aiuta, perché le carceri invece di alleggerirsi attraverso le misure detentive alternative sono strapiene. Gli ultimi dati risalgono a meno di un mese fa e raccontano che i detenuti in Italia sono oltre 60mila a fronte di circa 50mila posti, non tutti disponibili perché molte celle non sono agibili. Questo significa che nel 2023 il sovraffollamento ha raggiunto una media del 117 per cento con punte che superano il 200 per cento. I penitenziari peggiori - Gli istituti più in crisi sono quelli di Brescia, Foggia e Como dove all’inizio del mese ci sono state proteste. Qui ci sono 200 agenti a fronte di un fabbisogno di almeno 353 unità, dicono i sindacati di categoria. E qui si apre un altro capitolo spinoso: la mancanza di organico. Sono sempre i sindacati a denunciare che in tutta Italia mancano almeno 18mila agenti di Polizia Penitenziaria. Pur riconoscendo la sensibilità del governo sulla questione carceraria dicono: “Le misure adottate fino ad ora sembrano solo lenire i sintomi e non curare le patologie di un sistema ormai da anni al collasso”. Progetti fermi al palo - Dall’inizio della legislatura sono stati una decina i progetti di legge presentati in aula. Solo uno riguarda il sovraffollamento. E ricorda come l’Italia sia stata più volte condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo per aver violato la Convenzione di Strasburgo. Un problema per cui il governo ha proposto di trasformare diversi beni demaniali del Ministero della Difesa in nuove strutture carcerarie. Un progetto per ora ancora sulla carta”. Sovraffollamento? No a nuove carceri, sì à più pene alternative di Enrico Vendrame lavitadelpopolo.it, 25 dicembre 2023 Superata la soglia delle 60 mila persone detenute, ci avviciniamo pericolosamente ai numeri che hanno portato il nostro Paese alla condanna europea per trattamenti inumani e degradanti. Ne parliamo con Sofia Antonelli, dell’associazione Antigone. Le carceri scoppiano. E questa non è affatto una novità. Lo si sa, lo si dice e lo si denuncia da sempre. A fine ottobre erano 59.715 i detenuti distribuiti in 189 penitenziari a fronte di una capienza di 51.285 posti effettivi. A novembre si è superata la soglia delle 60 mila persone in carcere (60.116), avvicinandoci sempre di più al numero che ha portato alla condanna europea per trattamenti inumani e degradanti. Anche Treviso non è da meno: al 15 dicembre c’erano 212 detenuti per 138 posti, al 30 novembre (dato del ministero della Giustizia) erano addirittura 223. Per il sovraffollamento le persone detenute stanno ricevendo uno sconto di pena del 10%, come compensazione. Sovraffollamento. Rivolte. Suicidi, 63 finora nel 2023, 85 l’anno scorso. Eppure, a via Arenula c’è un’importante novità. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio pensa, come soluzione, alle ex caserme, dove anche il trevigiano e il veneziano potrebbero essere interessate dal progetto di riconversione edilizia. Inoltre, le polemiche, seguite alla nomina della “triade” di garanti dei detenuti da parte del nuovo Governo, hanno riproposto il tema dei diritti umani delle persone recluse. Nelle scorse settimane, infine, il Consiglio dei ministri ha approvato il nuovo “pacchetto sicurezza” con l’introduzione di nuovi reati e innalzamento delle pene. In attesa che vengano resi pubblici i dettagli della proposta ministeriale sulla gestione delle carceri, abbiamo chiesto di farci una fotografia della situazione penitenziaria a Sofia Antonelli, osservatrice dell’associazione Antigone che da oltre trent’anni si occupa delle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari. Dottoressa Antonelli qual è la situazione delle carceri in Italia oggi? Le carceri italiane rischiano di arrivare in pochi mesi a condizioni inumane e degradanti generalizzate. Le presenze negli istituti di pena negli ultimi mesi stanno crescendo a un ritmo sempre più frenetico. A fine ottobre le persone detenute erano 59.715, ossia 3.500 in più rispetto alle 56.225 di un anno fa. Se relazioniamo le presenze con la capienza effettiva degli istituti penitenziari emerge un tasso di sovraffollamento medio pari al 123%. Le regioni con il tasso più alto sono la Puglia (151%), la Lombardia (141%) e il Veneto (133%). Sono passati 10 anni dal gennaio 2013 quando l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani, con la “sentenza Torreggiani”, per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu) per le condizioni di detenzione principalmente legate alla sistematica condizione di sovraffollamento. Allora nelle nostre carceri c’erano 65.905 persone detenute. Oggi con questi ritmi di crescita rischiamo di arrivare velocemente a quelle stesse cifre. Dalle rilevazioni effettuate dal nostro Osservatorio emerge come, nelle 52 visite effettuate dall’inizio del 2023, in 16 istituti siano presenti celle con meno di 3 mq a persona. Carceri piene. Aumento dei suicidi. Nordio pensa alle ex caserme. E’ la soluzione? L’edilizia penitenziaria non può rappresentare la soluzione. Anche se si volesse seguire la strada di nuove carceri, bastano pochi numeri per far capire quanto sia impercorribile. Per costruire un nuovo carcere (o adeguare strutture pre-esistenti) servono decine di milioni di euro. Se si volesse rispondere così al problema del sovraffollamento, essendo a oggi circa 11 mila le persone in più rispetto ai posti effettivi, ovviamente servirebbero tantissimi nuovi istituti. Ai costi strutturali, vanno poi aggiunti i costi delle attività e del personale, già fortemente sotto organico. Oggi il sistema penitenziario assorbe annualmente oltre il 30% del bilancio complessivo del ministero della Giustizia, un incremento di spesa del genere sarebbe insostenibile. Oltre a pensare ai tempi lunghissimi, considerando che le ultime carceri costruite hanno richiesto tra i 5 e i 10 anni per essere completate. Quante sono le persone che attualmente scontano la pena all’esterno del carcere? Alla fine di ottobre le persone in carico all’esecuzione penale esterna per lo svolgimento di misure e sanzioni di comunità erano più di 83 mila. Questo numero è aumentato significativamente negli ultimi anni, senza però comportare in parallelo un calo della popolazione detenuta che, come già detto, continua, invece, a crescere. Il risultato è, in generale, un progressivo incremento delle persone sottoposte a controllo penale, il cosiddetto fenomeno del “net widening”. Guardando ai dati del carcere, vediamo come siano circa 20 mila le persone con condanne o pene residue brevi, inferiori ai 3 anni. Probabilmente molte di queste avrebbero i requisiti per accedere a percorsi di misure alternative, ma non vi accedono per mancanza di risorse (alloggio, avvocato etc). L’esecuzione della pena all’esterno ha sicuramente costi inferiori, sia in termini economici che di recidiva. Un gran numero di persone, invece, continua a rimanere negli istituti, sempre più chiusi e sempre più affollati. Diminuire ove possibile gli accessi in carcere e favorire una più rapida fuoriuscita rappresenterebbero, ovviamente, il primo e il più logico rimedio contro qualsiasi situazione di sovraffollamento. E’ ritornato di attualità il tema della tortura in ambito giudiziario. A che punto siamo in Italia? In questi mesi è purtroppo tornato di attualità il dibattito sul reato di tortura. Ci sono voluti quasi 30 anni da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura a quando, nel 2017, ha introdotto il reato nel proprio ordinamento. Oggi vi sono proposte per riformarlo o addirittura abolirlo. Mai nessun Paese al mondo ha fatto passi indietro sulla criminalizzazione della tortura dopo averla introdotta. Il reato di tortura va mantenuto: è un caposaldo della civiltà dello stato di diritto, perché riguarda i confini legittimi del potere dello Stato nel rapporto con i cittadini, e ne previene l’abuso nel momento in cui lo Stato ha la persona nelle proprie mani. Sono numerosi i processi in corso per ipotesi di tortura che rischierebbero probabilmente di crollare, se il reato venisse riformato. E, infine, dopo Treviso di qualche mese fa, ora la rivolta a Roma in carcere minorile. Cosa sta succedendo tra i minori? Non vogliamo assolutamente giustificare nessun episodio, ma bisogna guardare le cose per quelle che sono e guardarle con la dovuta attenzione. Stiamo parlando di ragazzi che vivono situazioni particolarmente complesse, che spesso provano a farsi sentire in qualche modo. Quasi sempre questi episodi vedono come protagonisti ragazzi stranieri che hanno una vita molto difficile alle spalle, che non hanno legami sul territorio e per questo si sentono abbandonati. Spesso sono persone che hanno problemi di dipendenze e disagio psichico. A questi problemi si risponde di frequente con un ampio utilizzo di psicofarmaci, che in alcuni casi non fanno che peggiorare la situazione. Questi ragazzi hanno bisogno di una presa in carico effettiva, dal punto di vista psicologico e sociale. Bisogna far sì che si sentano sostenuti e attenzionati. Più si sentiranno abbandonati, più si sentiranno gestiti con gli strumenti della repressione e farmacologia, più sarà facile che possano avere reazioni di questo tipo. Il Natale dietro le sbarre: la parola ai detenuti. “Contro la solitudine, per un giorno siamo (quasi) una famiglia” di Luca Vecellio qdpnews.it, 25 dicembre 2023 C’è un piccolo albero di Natale dietro ai cancelli della Casa Circondariale di Santa Bona: le timide luci delle sue decorazioni si riflettono su un luogo che, per definizione, non può che essere sinonimo di isolamento e di severità, di chiusura e di punizione, o - in termini più delicati e moderni - di correzione e rieducazione. All’interno, il personale del carcere (durante il turno) e i detenuti (a tempo pieno) rappresentano a una comunità a sé, con regole stringenti, certo, ma soggette anche a un alternarsi di quotidianità e giorni mondani, speciali, diversi. Lo sentiamo dire anche da Davide e da Nikolin, due detenuti della struttura: un giorno “diverso” da trascorrere in carcere è qualcosa di prezioso. È una boccata d’aria fresca in una lunga sequenza di giornate simili. Anche se sarebbe sbagliato stigmatizzare la mentalità di un gruppo di individui (ognuno di essi vive i periodi dell’anno con una sensibilità diversa) sicuramente il Natale, così come il periodo estivo, è uno di quei periodi che si rivela capace di dilatare la dimensione della solitudine, rimarcando l’aspetto della negazione della libertà. Il problema non sta tanto nel vivere il periodo all’interno del carcere, quanto nel sentirsi emarginati nel percepire che il mondo fuori sta festeggiando. Un altro aspetto, secondo gli educatori della Casa circondariale di Santa Bona, riguarda il senso di colpa per la propria assenza, nei confronti dei figli o della compagna/o. L’evoluzione dell’attenzione degli operatori e della comunità esterna ha contribuito ad andare incontro a questa sofferenza, tentando di alleviare la solitudine dei detenuti. Come? Applicando il significato originale, latino, del termine “divertire”, ovvero distogliere l’attenzione dalle tristezze e dalle nostalgie. Così questo 29 dicembre, data selezionata per ragioni di organizzazione, ai detenuti verrà concessa una giornata speciale, una festa, da trascorrere assieme e in una semi-autogestione. Inoltre, altre iniziative porteranno i detenuti a trovare un dialogo con il mondo esterno, potendo incontrare anche i loro cari in uno spazio protetto e decontestualizzato. L’intervista ai detenuti - Grazie alla disponibilità di Davide e Nikolin, due detenuti del carcere di Santa Bona, abbiamo potuto porre di persona questi quesiti a chi li vive da già da qualche anno. Ecco le loro risposte. Davide, se posso chiedertelo, quanti Natali hai trascorso qui? “Questo è il secondo e fortunatamente credo l’ultimo. Il prossimo Natale sarà con la mia famiglia”. Come si passa il Natale qui a Santa Bona? “Non benissimo, devo dire: ti mancano tanto la famiglia, le figlie, la moglie e i genitori. Tutto ciò che è il discorso famiglia, insomma, si fa sentire. Dall’altro canto, è vero che ci danno comunque la possibilità di riunirci tra di noi, di staccare un attimo e pranzare assieme. Così cerchi di alleggerire quella giornata. È vero che questo periodo si fa sentire”. E per chi non crede nel Cristianesimo? “Il Natale lo trascorriamo in serenità, sentendoci uniti da questo punto di vista. Non c’è differenza sotto l’aspetto religioso perché forse noi non lo vediamo proprio come una festività natalizia nel suo senso più religioso, ma semplicemente un giorno diverso dagli altri. Purtroppo, non c’è molto da fare in carcere, quindi riunirsi in quella giornata per noi è interessante”. Trascorrete il Natale e il Capodanno anche con la Polizia Penitenziaria: con loro riuscite a interagire e trovare un’intesa? “Sì, tranquillamente. Certo, loro sono lì e fanno il loro lavoro che chiaramente è quello di sorvegliarci, però bene o male con tutti il rapporto è molto sereno. Ovviamente con la Penitenziaria sta a noi come ti comporti: se dai la possibilità di trattarti in un certo modo va bene, se fai stupidaggini invece… Essendo in molti vi dividete in gruppetti oppure riuscite a rimanere assieme? Davide: “No, solitamente si formano comunque dei gruppetti, che però riusciamo ad autogestirci. Ci sono degli spazi liberi dove abbiamo la possibilità di accedere. Abbiamo anche le nostre telefonate e il carcere ha messo a disposizione delle videochiamate di un’ora; quindi ci mettono in condizione di interloquire con la nostra famiglia e farci sentire meno distanti”. Parliamo poi con Nikolin, di origini albanesi ma da tanti anni in Italia, che comincia subito a dirci: “Questo è il terzo Natale che passo qui dentro. Io vengo da una famiglia cristiana e il Natale lo sento molto, soprattutto la Vigilia o comunque i giorni dell’attesa. Anche qui in carcere”. Perché? “Perché il Natale fuori da qui era diventato un po’ come una festa di compleanno. Non più il Natale autentico, quello antico dove si sta assieme in famiglia, ma una festa dove si spende troppo e si consuma. Qui dentro invece cerchiamo di passare un Natale come quello originale: siamo qua uniti, tutti assieme. Riceviamo regali dai bambini, dalle parrocchie, leggiamo le loro lettere”. Nikolin, ma non ti manca terribilmente il Natale in famiglia? “Certo che mi manca. Io ho fratelli e sorelle e la mamma qui in Italia, che per fortuna vedo e sento spesso, forse anche per questo Natale li vedrò. Per fortuna, anche qui noi detenuti abbiamo costruito qualcosa: diciamo che siamo quasi una famiglia anche noi in queste giornate. Abbiamo una saletta che abbiamo chiesto al direttore: siamo stati lì in trenta l’anno scorso, per stare insieme e cucinare - e, guardando con un sorriso al direttore, - magari anche per quest’anno ci potrebbe dare la concessione”. L’intervista al direttore Spostandoci nell’area verde esterna, dove vediamo anche i lavori in corso per il nuovo campo sportivo della casa circondariale, parliamo con il direttore Alberto Quagliotto delle iniziative predisposte per questi e per gli altri giorni speciali, che tanto vengono attesi e ambiti dai detenuti... Il concetto che il direttore esprime a un certo punto nell’intervista, quello di offrire opportunità “a chi non deve scontare la pena”, ovvero i famigliari, i coniugi, i genitori o soprattutto i figli dei detenuti, è un aspetto che spesso non viene considerato da chi non conosce il carcere e le sue regole, da chi insomma giudica da fuori: anche se l’unico a pagare il prezzo dei propri crimini è il carcerato, la condanna crea inevitabilmente degli effetti collaterali anche ai cari del detenuto, specie se si tratta di minori. Quindi, più che semplici “benefit” per il detenuto, questi incontri protetti sono anche e soprattutto un servizio sociale verso chi lo aspetta fuori dalle pesanti porte verdi di Santa Bona. “L’anno scorso abbiamo cominciato a strutturare delle feste di Natale destinate ai detenuti che abbiano famiglie con bambini piccoli - ha spiegato il direttore Quagliotto, - Si tratta di feste che vengono decontestualizzate per quanto possibile dall’ambiente detentivo e quindi ospitate in quest’area verde attrezzata. Qui potete vedere un murales, alcuni giochi, un gazebo dove verrà ospitato Babbo Natale a distribuire dei doni, cioccolata e caramelle. Al di là dell’aspetto materiale della festa è importante offrire un momento di condivisione, con un occhio rivolto soprattutto a chi ha diritto a non scontare la pena”. Il sostegno della comunità trevigiano - “La cosa che mi ha sempre stupito - ha aggiunto l’educatrice Isabella Pagliuca, che coordina queste iniziative - è il senso di condivisione, di unione, che si crea tra i detenuti non solo italiani, ma anche di diverse nazionalità. Si ritrovano assieme e decidono anche cosa acquistare, cosa cucinare e organizzano dei pranzi davvero buonissimi: con poco riescono a creare tento. È logico che la famiglia chiaramente manca e infatti cerchiamo di fare il possibile per avvicinare gli affetti esterni in questo senso, anche in questo spazio. Ci sono anche altre attività, non soltanto il giorno di Natale ma l’intera settimana: si tratta specialmente di momenti religiosi dove poter riflettere sui valori del Natale e la giornata del 25 dicembre”. Con l’occasione, l’educatrice ha anche voluto ringraziare tutte le associazioni e le cooperative esterne che si occupano di organizzare queste giornate: “Dalla Caritas alla Chioma di Berenice, passando per Soroptimist, La Prima Pietra e tutti gli altri volontari, scusandomi già con chi ho dimenticato”. Tra gli aiuti dall’esterno, la Parrocchia di Treviso da anni promuove nelle giornate prenatalizie la raccolta di doni da destinare ai detenuti: all’interno dei pacchi regalo asciugamani, berretti, bagnoschiuma e dei dolcetti: quest’anno si è aggiunta anche la Parrocchia di San Martino a Conegliano. Tra i doni c’è anche un libro: un gruppo di cittadinanza attiva promuove durante la Quaresima l’acquisto di un libro per i detenuti. A trascorrere le festività natalizie in carcere non sono soltanto i detenuti: anche la Polizia penitenziaria si organizza in turni per coprire la vigilanza dell’ampia struttura in queste giornate “super festive”. Quasi tutte le attività lavorative all’interno si fermano, dai lavori di falegnameria alla fungaia, e per questo motivo il personale effettivo si riduce e si limita alla vigilanza necessaria. Capita così che questi ultimi, pur mantenendo un distacco professionale e un’attenzione costante, si trovino a trascorrere il giorno di Natale o l’ultimo dell’anno assieme ai detenuti, con un sacrificio che è degno anch’esso dell’empatia della comunità trevigiana. “Dopo 14 anni di disperazione e sconforto è davvero Natale anche per me” a cura di Marco Pozza* ilsussidiario.net, 25 dicembre 2023 La riflessione di un carcerato che trascorrerà la giornata di Natale fuori dal Due Palazzi di Padova, accolto da una famiglia. Per quattordici natali ho trascorso il mio Natale con il suono delle campane che mi rimbombava nelle orecchie. Erano campane che suonavano a festa, era l’avviso del giorno di Natale, mi richiamavano l’immagine di famiglie unite, delle tavole vestite di festa. Rinchiuso nella cella, come un leone senza più la voglia di ruggire, ripensavo alla mia terra: le oasi, i beduini, il tè berbero da preparare ai turisti che, nel giorno del Natale, si risvegliano nella magia di un’oasi, con i cammelli a fare loro da taxi. In carcere il calendario non ha giorni pesanti come quello del Natale: la notte di Natale tutto crolla, c’è il silenzio di un cimitero, la lentezza dell’elefante. In questa notte non c’è crudeltà, c’è impotenza, nostalgia, disperazione, sconforto: esiste la memoria dei Natali passati nelle proprie case, nelle proprie tende, nella propria terra. È vero: c’è la messa anche in carcere, anche qui il Gesù Bambino nasce, “anche per chi ha sbagliato - come dice il nostro cappellano - Gesù nasce: per insegnarci come si fa a rinascere dopo che siamo morti”. Il vangelo della notte di Natale è bellissimo, però le sbarre lo induriscono. È difficile, a Natale, non ricordare che tutti siamo stati bambini. Il primo Natale che ho trascorso in carcere, rivedevo mia figlia dappertutto: rivedevo sua madre, lei, noi tre. Le rivedevo soltanto in sogno, perché la realtà l’ho cancellata io, rovinandola nella maniera più barbara che esista: son rimasto solo al mondo. In questi giorni ho rivisto alla televisione immagini che mi hanno riaperto la ferita: il volto di Giulia, quello di Filippo, quello di Vanessa, quello di Bujan. Sento esplodere una rabbia fortissima, difficile da controllare, sono sul punto di scoppiare. Poi, da qualche parte, mi arriva una voce: “Perché ti arrabbi così? E tu: ricordi?”. Basta questa domanda per mettermi a tacere, per mettermi nel letto, tirarmi su il piumone fin sopra i capelli e pregare il cielo che il giorno di Natale possa finire il più presto possibile. Un giorno, durante una testimonianza, un mio amico ha raccontato alla gente venuta in carcere che lui, nel giorno di Natale, parlava con il muro della sua cella: lo chiamava “il muro del pianto”. Non solo lui: anch’io ho raccontato tante cose il giorno di Natale al muro della cella. E lui mi ha risvegliato tante persone, tante immagini, tanti ricordi. Sono anni, da quando ho commesso quello che ho commesso, che il Natale è una specie di giornata della memoria. Lo aspetto con ansia, ma quando io sento avvicinarsi il Natale inizio a provare strane sensazioni: di morte, di nostalgia, di rimpianti. Anche quest’anno ero già preparato a parlare ventiquattr’ore con il muro il giorno di Natale. Invece: “Firma qui - mi dice un angelo di passaggio -: il giorno di Natale ti aspettiamo a casa. Chiediamo il permesso, coraggio!” È stato così all’improvviso, che non ho capito bene cosa significasse: ho soltanto firmato, mi sono fidato. Sono giorni che penso a come sarà questo prossimo Natale, il mio primo Natale dopo quella doppia morte che mi sono lasciato alla spalle. Non so più come ci si siede a tavola, cosa significa sentirsi dire Buon Natale senza una grata davanti, cosa vuol dire rivedere un albero di Natale, sentire le musiche del Natale. L’altro giorno, parlando con un mio amico in cella, gli ho detto che avrei voluto portare anch’io un pensierino da mettere sotto l’albero appena entrato in casa, poi regalarlo alla gente che mi accoglie. Lui mi ha detto: “Non conta cosa c’è sotto l’albero, ma chi è seduto intorno”. Ha ragione. Ho saputo che in questa casa ci sono bambini piccoli: non so se avrò il coraggio di prenderli in braccio e stringerli forte. Mi lasceranno, sarò capace, cosa proverò: si fideranno? Non ho mai cercato scuse al male: pagherò tutto, fino all’ultimo. Non immaginavo, però, che in una famiglia del mondo, a Natale, ci fosse un posto preparato anche per me. Pensavo non ci fosse più posto per me al mondo. Invece è Natale davvero. *Testimonianza di un detenuto del carcere Due Palazzi di Padova Avellino. Tragedia di Natale: detenuto trovato morto in carcere avellinotoday.it, 25 dicembre 2023 Gli agenti penitenziari, prontamente allertati dai detenuti, hanno immediatamente messo in atto le procedure necessarie, ma non c’è stato nulla da fare. Alla Vigilia di Natale, un’ombra di tristezza ha oscurato il carcere di Bellizzi ad Avellino, dove un giovane detenuto di 31 anni è stato trovato senza vita. Sebbene inizialmente si ipotizzi che la causa del decesso sia naturale, non si escludono altre possibili spiegazioni, gettando un velo di mistero sulla tragica situazione. Gli agenti penitenziari, prontamente allertati dai detenuti, hanno immediatamente messo in atto le procedure necessarie. La comunicazione ufficiale del decesso è stata inoltrata ai familiari del giovane, accentuando il dolore e il cordoglio che ora permeano la comunità carceraria. La notizia della morte arriva a poche ore dal Santo Natale, aggiungendo un peso emotivo ulteriore a un periodo già delicato per chi è privato della libertà. Mentre le indagini sono ancora in corso per determinare la causa precisa del decesso, la comunità carceraria si stringe attorno alla famiglia del giovane, condividendo il dolore di questa perdita improvvisa. Il contesto della reclusione spesso amplifica le difficoltà emotive e psicologiche dei detenuti, rendendo ancora più palpabile l’importanza del supporto sociale e psicologico nelle strutture carcerarie. La notizia della morte del detenuto richiama l’attenzione sull’urgenza di affrontare le sfide legate alla salute mentale e al benessere all’interno del sistema penitenziario. In attesa di ulteriori dettagli sulle circostanze della morte, la comunità carceraria di Bellizzi si unisce nel dolore, riflettendo sulla fragilità della vita e sulla necessità di una maggiore attenzione alle condizioni di detenzione. Torino. Il Partito Radicale in visita al carcere: “Alle Vallette situazione molto difficile” lospiffero.com, 25 dicembre 2023 Quella del carcere delle Vallette è una situazione “molto difficile”. Così Mario Barbaro, componente della segreteria del Partito Radicale, oggi a Torino dopo una visita nell’istituto. “Il sovraffollamento - osserva - è molto elevato: sono presenti poco meno di 1400 detenuti su una capienza regolamentare di circa 1000, dato pressoché stabile nella sua gravità rispetto alle ultime rilevazioni. Anche l’organico di polizia penitenziaria è sotto dimensionato: circa 700 agenti rispetto ad una pianta organica prevista di circa 900 unità. Da questi numeri, e dal generale contesto di situazione di degrado delle celle e degli ambienti di detenzione, si comprende bene il difficilissimo compito che la polizia penitenziaria deve affrontare ogni giorno. Solo quest’anno sono una quarantina le aggressioni fisiche ai danni del personale”. “In questo contesto così difficile - prosegue Barbaro - la via maestra resta quella della politica. Auspichiamo una stagione di riforme che possa aprire la strada alla risoluzione di molti problemi affrontandoli alla radice per far vivere il dettato della carta costituzionale”. La delegazione in visita alle Vallette era composta anche dall’avvocato Alberto Del Noce (Vice presidente dell’Unione Camere Civili Italiane), dall’avvocato Roberto Capra (presidente della Camera Penale del Piemonte occidentale), Claudio Desirò (segretario di Italia Liberale e Popolare), Alberto Nigra (Presidente di Piemonte Libertà) e da giovani avvocati dell’Aiga Messina. Giocare per diritto, un modello di relazione tra genitori detenuti e figli percorsiconibambini.it, 25 dicembre 2023 Il racconto di Santino Cannavò, presidente del comitato Uisp Messina e responsabile territoriale della cabina di regia di Giocare per diritto a Messina. L’esperienza di questo progetto “Giocare per diritto” ha confermato che, oltre alle teorie e alle regole, sono i sentimenti a curare i corpi e le anime. Se poi gli attori inconsci che provocano “tempeste di emozioni” sono i figli, i bambini, i ragazzi il risultato è già raggiunto. Sabato ore 7:00. Appuntamento in sede con gli operatori Uisp e i giovani del servizio civile per recuperare gli attrezzi sportivi che serviranno per giocare e animare la mattinata: palloni da basket, calcio, volley e poi cerchi, coni, delimitatori di spazio, reti, kit da basket e/o da minivolley. E ancora, le merendine, i succhi di frutta, le bottigliette d’acqua, le monoporzioni di patatine, ingredienti utili per una allegra merenda con papà e mamma. I nostri “strumenti” sono pronti, oltre alla voglia e la passione, per recarsi in “carcere”. Tutti in macchina. Gli ultimi consigli, un breve riepilogo del programma della giornata e dopo poco ci troviamo davanti ai cancelli del carcere. Un saluto con gli operatori, i soliti controlli, la verifica dei materiali, il rilascio di chiavi, cellulari, borse e di tutto ciò che non servirà, dentro le cassette di sicurezza, infine, il passaggio dalle porte metal detector. Poi si supera la soglia. Si entra dentro uno spazio delimitato da mura. Il carcere. Ci rechiamo nel campo di calcio, organizziamo i circuiti motori, predisponiamo gli attrezzi e aspettiamo. Le grida e il vociare dei bambini preannunciano l’arrivo delle famiglie. Sorrisi e strette di mano con i nostri operatori. I bambini più piccoli si lanciano sui palloni e iniziano a giocare. Le mogli si incontrano tra loro e parlottano in attesa dei loro mariti. Giungono i detenuti insieme agli operatori del penitenziario. Abbracci, baci, carezze, sorrisi. Il tempo passa e dopo l’accoglienza si inizia a giocare, a divertirsi, a sudare insieme. I padri insiemi alle madri aiutano i figli più piccoli a superare i percorsi. I figli instancabili sollecitano i genitori a giocare. I padri e le madri con i figli. Ore in cui si scorda la natura del luogo, si ricuce un rapporto genitori-figli, si diventa “coppia” davanti a quei bambini. Bambini e ragazzi che giocano ma che osservano noi, gli operatori, le “guardie”, gli “educatori” e scoprono che il carcere non è solo detenzione ma un luogo dove possono incontrare un “modello educativo” fatto di cura per loro e i loro cari: fratelli, sorelle, padri e madri. Un volto diverso del carcere. L’altra faccia di una società che spesso ha privato quei bambini dei diritti universali. Bambini che vivono il più delle volte una povertà educativa, abitativa e sociale. Oggi in questa esperienza scoprono che c’è una società di cui fanno parte che si cura di loro. Un altro mondo è possibile. Lo disegnano alla fine della giornata con colori e matite sui fogli distribuiti dagli operatori. Disegni che guardano al futuro. Famiglie unite da mani congiunte. Le ore passano e c’è l’addio. Tante lacrime, specialmente dei più piccoli, ma la certezza e la speranza di potersi rivedere. “Papà ti vengo a trovare il prossimo sabato per giocare insieme, insieme alla mamma e al fratellino. Mi manchi. Sai sono stata brava a scuola, quando torni a casa?” Un tuffo al cuore. Da quegli sguardi, gesti, parole dei detenuti ho immaginato pentimento. Ho voluto vedere il rammarico di chi, privato della libertà per un gesto sbagliato, assapora anche per poche ore la libertà degli affetti, quelli “congelati”, quelli che, quando le porte del carcere torneranno a richiudersi dietro le spalle dei propri cari, resteranno solo nelle loro menti e nel cuore, perché quei corpi saranno “fuori” e tu sarai “dentro”. Ancora per quanto ? Ancora per poco o molto che sia ma “dentro”. Vittima dei tuoi errori. Ore e giorni per ripensare in cella. Quei sentimenti curano. Quei “sabato” fanno pensare. Il progetto, “Giocare per diritto” ha avuto come obiettivo principale il sostegno alla genitorialità, il diritto/dovere di essere genitori e il diritto dei figli di avere un genitore presente anche durante uno stato di detenzione. Il gioco e l’attività motoria sono stati gli strumenti, insieme agli incontri e laboratori psicoeducativi in carcere e nelle scuole, per attivare il progetto. Durante gli incontri del sabato in carcere abbiamo utilizzato le pratiche dello sport sociale, una immagine meno nota dello sport, quella che nel gesto e nella pratica destrutturata, spontanea, irregolare, decontestualizzata dagli impianti sportivi, dalle omologazioni e regole mette i “ corpi in gioco”. I corpi fatti da muscoli, cervello e sentimenti senza alcuna distinzione di abilità, capacità motoria, di appartenenza sociale, di ruoli, di provenienza. Corpi che si incontrano e si riconoscono per quella umanità che ci accomuna. Per quella natura biologica che ci ricorda che siamo tutti uguali. Il corpo è la presenza nel mondo e l’educazione è “fisica”, passa dal corpo. Troppe volte dimentichiamo che siamo corpi che vivono vite tanto diverse. Ma nel profondo siamo corpi con sensazioni, con ansie, con desideri, con ambizioni diverse. Corpi che si incontrano nei sentieri della vita. Corpi che sbagliano. Corpi reclusi. Corpi che curano. Il carcere interrompe la vita dei detenuti, dei loro cari, dei loro figli. Il carcere è uno stop. Il carcere però può e deve essere l’inizio di un nuovo percorso, di una nuova vita. La società intera deve farsi carico della riabilitazione di chi ha sbagliato, non basta delegare alla sola struttura carceraria. Il terzo settore, l’associazionismo, ricopre un ruolo importante ed è indispensabile. Giocare per diritto, nella pratica della Uisp di Messina, navigando a vista tra procedure, regole, sensibilità, disponibilità, ha mostrato una strada possibile, un’alternativa al “freddo colloquio”. Un modello che a giudizio di chi lo ha vissuto nei vari ruoli di detenuto o operatore penitenziario, di coniuge del detenuto o figlio/a, di magistrato o operatore sociale, di educatore o direttore del carcere, è stato ritenuto valido. Un modello che offre uno spazio e un tempo da vivere, dedicato ai figli. Un modello che ricuce e sana gli affetti familiari. Che obbliga a sentirsi genitori anche se reclusi. Figli anche se il padre o la madre stanno scontando una pena. Figli sicuri che quel genitore tornerà a casa più attento di prima ai loro bisogni, che capirà quanto si è perso ma, “guarito” , saprà ancora dare tanto a loro e alla società. Un’esperienza per dare forza al principio che il carcere deve essere sempre di più rieducativo. Noto. “Talk” e pranzo in carcere per promuovere l’attività del Polo universitario penitenziario notonews.it, 25 dicembre 2023 Unict e istituto “Calleri” di Pachino hanno festeggiato la collaborazione con un incontro animato dagli studenti detenuti nella Casa di reclusione netina. Quasi una festa accademica in piena regola quella che si è svolta lo scorso 14 dicembre, negli spazi dell’Area Educativa della Casa di Reclusione di Noto, grazie all’iniziativa congiunta della Direzione della struttura penitenziaria, del dipartimento di Agricoltura Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania e del Polo Universitario penitenziario del Distretto di Catania e dell’istituto d’istruzione superiore “Paolo Calleri” di Pachino. Un appetitoso pranzo a buffet preparato dagli studenti detenuti iscritti al “Calleri” con la guida dei docenti dell’istituto pachinese ha fatto da cornice alla presentazione multimediale da parte di due studenti detenuti iscritti al corso di studio in “Scienze e tecnologie per la ristorazione e la distribuzione degli alimenti mediterranei”, di una brillante ricerca sulla qualità e la sostenibilità dei prodotti alimentari, a beneficio dei loro professori, ma anche dei ‘maturandi’ iscritti al Calleri, come attività, oltre che di inclusione, di orientamento per chi, in futuro, volesse cogliere l’opportunità offerta dal Polo universitario penitenziario dell’Università di Catania (a Noto vi sono anche detenuti iscritti a Scienze motorie, Giurisprudenza e Ingegneria industriale). Tutti gli studenti, è stato ricordato, seguono con grande interesse ed impegno le lezioni universitarie con il supporto di tutor e volontari, sostenendo i relativi esami. Per l’Ateneo catanese era presente una nutrita delegazione, accolta dalla direttrice Elisabetta Zito e dalla referente dell’Area Educativa del Carcere Daniela Di Falco e inoltre dalla dirigente scolastica del ‘Calleri’ Barbara Nanè, e composta dalla referente del Polo Teresa Consoli, dalla professoressa Daniela Ferrarello, referente del Di3A per il Pup, dalla presidente del corso di studi Cinzia Randazzo, dai tre studenti Edoardo Liotta Giacomo Fazio e Brian Bordonaro che hanno collaborato alla predisposizione del menu, dai tutor Giuseppe Pappalardo e Gaia Garaffo, Antonino e Silvia Cerruto. “E’ un’iniziativa che promuove l’adozione di comportamenti sani all’interno delle strutture penali - ha rimarcato la direttrice Zito, visibilmente soddisfatta -, grazie al talk informativo predisposto dagli studenti tutti hanno potuto ricevere indizioni sulla corretta alimentazione e su come evitare scarti e sprechi. Un’esperienza da replicare, anche su altri temi”. “Il Polo universitario penitenziario - ha aggiunto la prof.ssa Consoli, in rappresentanza dell’Ateneo catanese - può avere successo se, oltre a potenziare la collaborazione tra le diverse istituzioni, riusciamo ad alimentare l’impegno e l’entusiasmo delle persone. Il percorso universitario rappresenta senz’altro per tutti gli studenti in regime di restrizione una valida occasione di riscatto sociale”. “Con lo studio ho veramente capito di possedere grandi doti e capacità che non sapevo di avere - ha commentato uno dei due universitari detenuti -, per questo mi sento di ringraziare la direttrice e lo staff dell’Istituto penitenziario che mi hanno permesso di intraprendere questo percorso che mi permetterà di fare tanto nella vita, senza delinquere, e tutti coloro che mi stanno vicino, augurandomi un buon cammino”. Sulmona (Aq). Carcere, esibizione dell’Orchestra Filarmonica Vestina davanti ai detenuti ilgerme.it, 25 dicembre 2023 L’Orchestra Filarmonica Vestina ha incontrato i detenuti del carcere di Sulmona, per donare atmosfera e melodie natalizie anche dietro le sbarre. Gli artisti si sono esibiti all’interno dell’aula polifunzionale dell’istituto penitenziario peligno. Quaranta componenti che hanno speso un’ora assieme ai detenuti, con un carcerato che ha voluto leggere una poesia sul Natale, frutto di una riflessione personale. Le origini dell’Orchestra Filarmonica Vestina di San Demetrio Ne’ Vestini, risalgono al 1976. Attualmente l’orchestra si compone di 22 elementi, di cui fanno parte alcuni studenti del liceo musicale dell’Aquila, e 20 coristi accomunati dall’interesse per la musica ed il piacere di emozionarsi ed emozionare, con la supervisione del Direttore Artistico, il Maestro Giorgio Sollazzi, direttore d’orchestra, compositore e arrangiatore di numerosi brani musicali, figlio del M° Lamberto Sollazzi, fondatore della prima Orchestra. L’orchestra nel corso degli anni ha sempre partecipato ad iniziative benefiche, per scopi sociali e umanitari, per favorire l’arricchimento culturale ed esperienziale dei suoi componenti. Su indicazione della direttrice dell’Ufficio esecuzione penale esterna dell’Aquila, Luana Tunno, in accordo con il direttore della Casa di reclusione di Sulmona, Stefano Liberatore, ha accolto volentieri di oltrepassare i cancelli del carcere sulmonese per scaldare l’anima dei detenuti. Firenze. La compagnia di Babbo Natale al carcere minorile Meucci: in dono attrezzature sportive di Matteo Lignelli Corriere Fiorentino, 25 dicembre 2023 L’iniziativa “Esci dalla strada ed entra in campo” per stimolare e appassionare i ragazzi, aiutando quelli che non ce la fanno economicamente a fare uno sport. La compagnia di Babbo Natale è arrivata anche all’Istituto Penale minorile Meucci di Firenze con le e dalla slitta ha tirato fuori una serie di attrezzature sportive per i ragazzi detenuti. Canestri, scarpe da ginnastica, magliette, quello che serve in palestra per praticare sport così da incoraggiare (e facilitare) lo svolgimento dell’attività. Che, chissà possa diventare un hobby nella vita. I Babbi Natale, insieme al presidente della Compagnia, Silvano Gori, sono stati ricevuti e accompagnati nella visita dalla direttrice del carcere Antonella Bianco. Insieme a loro anche Andrea Mirannalti del Centro si solidarietà Firenze Onlus che opera all’interno del Meucci e segue i giovani nelle attività ludico sportive. Un momento di emozione per tutti perché sostenere i ragazzi nelle attività sportive è uno degli obiettivi della Compagnia di Babbo Natale che quest’anno, col patrocinio del Comune e del Coni, ha messo in piedi la campagna “Esci dalla strada ed entra in campo” proprio per stimolare e appassionare i ragazzi, aiutando quelli che non ce la fanno economicamente a fare uno sport, consentendogli di iscriversi a nuoto, basket, boxe, atletica, ginnastica ritmica, calcio e altre discipline. “Dietro le nostre barbe e i sorrisi c’è un impegno costante tutto l’anno per arrivare a chi ha bisogno di aiuto. È un lavoro a tappeto sul territorio, per intervenire in quella parte di mondo, in quel vuoto dove anche le amministrazioni hanno difficoltà ad agire, dove la burocrazia si fa complicata, dove i bandi neanche si sa che esistono. A volte si pensa che scrivere un bando equivalga a risolvere un problema, invece non è così” spiega il presidente Silvano Gori. “Ci sono famiglie che non sanno utilizzare strumenti tecnologici. E queste famiglie rischiano di essere tagliate fuori; ecco noi vogliamo arrivare li. Lo facciamo con l’aiuto delle parrocchie, con le cooperative e il mondo dell’associazionismo che arriva in queste realtà. In questo caso a raggiungere l’Istituto Meucci ci ha aiutato il Centro di solidarietà Firenze Onlus che ci ha spiegato i bisogni dei ragazzi, le attrezzature di cui necessitano”. Il Natale, la retorica e la spaventosa realtà delle guerre di Giuseppe Maria Berruti La Stampa, 25 dicembre 2023 La generazione alla quale appartengo, economicamente tranquilla, del tutto inconsapevole del futuro per la buona ragione che non lo vivrà, non appare credibile per proporre un modello che risponda alle domande di adeguamento della democrazia. Brutto Natale. La retorica, che è parte della sua dolcezza, quest’anno funziona meno. Contraddetta da una realtà spaventosa. Nella quale tutto il male possibile sembra si stia realizzando contemporaneamente. La guerra in Ucraina, nella quale si fronteggiano secolari ed altrettanto antichi interessi nazionali, rispetto ai quali non si è nemmeno pensato di anteporre, quando era possibile, una azione politica, continua stancamente attraverso riti politici apparenti. Aiuti militari, attese di sviluppi sul campo, paiole prive di visione strategica. La tragedia palestinese israeliana, che vede tutte insieme realizzate le contraddizioni originate dalla decisione occidentale del 1948 di consentire agli ebrei di fondare un proprio Stato, prendendosi un pezzo di casa di altri. Ancora una volta nell’assoluta assenza di lungimiranza e, quindi, di azione politica. Le politiche nazionali. Quella statunitense che vede contendersi interessi ambigui, talvolta coincidenti tra le diverse fazioni, ma tutte comunque accomunate dalla sottovalutazione dell’Europa, e, appunto, quelle europee. Tentennanti, incerte, legate a fortissime logiche dipendenti dai nuclei più forti al suo interno. L’Italia, infine. Nella quale una legittima maggioranza deve fare i conti con il suo carattere certamente costituzionalmente inaspettato. La mens legislatoris che dette luogo alla Carta non immaginava, non riteneva possibile, un esito elettorale capace di portare al potere forze e culture oggettivamente discendenti da gruppi nostalgici del fascismo e comunque estranei al suo rifiuto. Così da rendere, nella realtà politica, difficile la stessa intesa pratica che è sottostante al funzionamento delle democrazie parlamentari. Nelle quali l’opposizione legittima, proprio con la sua azione, l’attività non condivisa, della maggioranza. Non vi è insomma il riconoscimento all’avversario politica della appartenenza ad una comune visione costituzionale. Tutto questo tormento italiano si contorce dentro una realtà che vede una vera crisi delle democrazie basate sulle libere elezioni. Che la spaventosa fase del Covid, con la tremenda sospensione della socialità cui ci ha indotto, e dunque con la perdita del senso politico del confronto sostituito dalle comunicazioni elettroniche, sta portando la convivenza umana, nelle nazioni e tra di esse, verso territori inesplorati. Vi è da essere molto preoccupati. E per me, che non riesco ad essere fatalista e non mi attendo in via di principio sorprese positive dal futuro, la preoccupazione è grande. È evidente che la generazione alla quale appartengo, anziana, economicamente tranquilla, del tutto inconsapevole del futuro per la buona ragione che non lo vivrà, non appare credibile per individuare e per proporre un modello di organizzazione sociale che risponda alle domande di adeguamento della democrazia. Manca, mi pare, una visione stabile e pertanto identificante e riconoscibile dei partiti in quanto tali. I partiti si comportano come partecipi, gestori, e quindi aspiranti al potere, ma un potere, io temo, solo in quanto tale. Che non è caratterizzato da scelte presentate come tali. Non sono più partiti insomma intesi come gruppi caratterizzati da una appartenenza ideale che deve differenziare la propria proposta di governo. Sono essi, in astratto, utilizzabili per qualunque scelta dovesse rendersi possibile, alla semplice condizione di comandare. Non so, dunque cosa accadrà. Non so dire se la discussione tra soggetti che si riconoscono legittimità reciproca, continuerà ad essere la sede delle decisioni politiche. E dunque la madre delle scelte. Chiedo scusa per il mio pessimismo. Che, se è consentito richiamare un grande, dolorante testimone del nostro tempo, Papa Francesco, non mi sembra solitario. Buon Natale, come si deve ancora dire. Di carri armati, follie e disobbedienze alla guerra di Pasquale Pugliese* Il Fatto Quotidiano, 25 dicembre 2023 Questo Natale, nel quale alla guerra nel cuore d’Europa si è aggiunto il massacro infinito dei palestinesi nei luoghi in cui nacque e visse, secondo le Sacre scritture, il Gesù fondatore del cristianesimo e promotore della nonviolenza evangelica, è celebrato nella città di Modena con l’installazione “artistica” di un “carro a(r)mato”, guidato da un babbo natale, nella centralissima piazza XX settembre. Un’opera dell’artista Lorenzo Lunati, a dimensione reale, quantomeno controversa come dichiarato “messaggio di pace”, in un momento nel quale veri carri armati uccidono nei troppi conflitti armati in corso sul pianeta. Non sono mancate le proteste, tra le quali quella del Movimento Nonviolento modenese: “Può darsi che siamo troppo schizzinosi, perché in fondo si tratta di un carro armato, anzi amato (ma amato da chi?) con intenti pacifici, che issa una bandiera con scritto pace, ma ci chiediamo se un carro armato, per sua natura, possa essere un mezzo pacifico e portatore di pace. A noi sembra che sia sempre e solo un sofisticato strumento costruito per distruggere e ammazzare, come le bombe, i missili, i cannoni, le armi di ogni tipo: mezzi creati per uccidere, ferire, mutilare”. In effetti i carri armati fecero la loro comparsa sui campi di battaglia nel corso della “grande guerra”, chiamata così proprio per l’enormità di morti rispetto alla guerre precedenti. I tanks furono usati per la prima volta dai britannici il 15 settembre 1916 contro le trincee tedesche nella lunga e tremenda “battaglia della Somme” nel fronte occidentale, che si concluse con oltre un milione di vittime tra le due parti per un piccolo spostamento del fronte. Una follia. Eppure nel Natale del 1914 (e in misura minore in quello del 1915) in quella guerra non tutti avevano perso il lume della ragione. Per esempio non lo avevano perso quei soldati britannici, francesi e tedeschi che, stanchi di marcire da mesi nelle trincee scavate nelle Fiandre, mandati a morire e a uccidere ragazzi con lo “stesso identico umore ma la divisa di un altro colore”, come cantava Fabrizio De Andrè, sospesero le ostilità, imposero una tregua di fatto e festeggiarono la comune umanità e cristianità con il nemico della trincea opposta, compiendo un grave atto di insubordinazione. Che cosa accadde quella notte è raccontato nelle molte lettere provenienti dal fronte, delle quali si trova ampio resoconto nel volume di Michael Jürgs La piccola pace nella Grande guerra (2011). In una lettera datata 28 dicembre 1914 il soldato Josef Wenzl, del XVI reggimento di fanteria di riserva bavarese, usò queste parole per raccontare ai genitori gli avvenimenti straordinari accaduti tra la notte e il giorno di Natale: “Quello che vi racconto oggi sembra quasi incredibile, ma è la pura verità. Aveva appena iniziato a fare giorno quando sono comparsi gli inglesi facendo chiari cenni ai quali i nostri uomini hanno risposto. A poco a poco quelli sono usciti tutti fuori dalle trincee, i nostri uomini hanno acceso un albero di Natale che si erano portati dietro, lo hanno posato sul terrapieno e hanno iniziato a suonare le campane… Quella che poche ore prima mi sarebbe parsa una follia, ora la potevo vedere con i miei stessi occhi… era qualcosa di commovente: in mezzo alle trincee, i nemici più odiati stavano tutti intorno all’albero di Natale cantando le canzoni di Natale. Non dimenticherò lo spettacolo per il resto della mia vita”. Josef Wenzl sarà ucciso in battaglia il 6 maggio 1917. Raccontano le cronache che quella mattina di Natale in molti tratti del fronte vennero seppelliti i morti, caduti un assalto dopo l’altro e rimasti insepolti nella terra di nessuno tra le trincee. “Per l’intera giornata del 25 dicembre, lungo il fronte occidentale nelle Fiandre” ricostruisce Jürgs “si sono verificate altrettante scene pazzesche e incontri apparentemente assurdi”. Si tratta della “pazzia” del riconoscimento della reciproca e dolorosa condizione umana che si manifestava all’interno della follia disumana della guerra, diventata normalità. I rispettivi comandi reagirono con estrema durezza a questo crimine di “fraternizzazione con il nemico”, sia punendo gli ufficiali responsabili dei rispettivi settori che censurando e falsificando le informazioni che circolavano sulla vicenda. Non volevano infatti che la notizia fosse divulgata e narrata, mettendo in discussione la reciproca propaganda di guerra fondata, allora come oggi, sulla deumanizzazione del nemico da abbattere. Con l’irrompere sulla scena delle armi di distruzione di massa, come appunto i carri armati, quella tregua natalizia dal basso così estesa e significativa non si ripropose più. Se c’è quindi una storia di Natale da raccontare ancora, proveniente dai campi di battaglia - oggi che trincee insanguinate sono tornate a solcare perfino l’Europa - non riguarda i carri armati, ma il recupero di umanità di coloro che obiettano, disertano, ripudiano la guerra e gettano ponti di pace verso il nemico. Fraternizzando con esso, disobbedendo ai rispettivi comandi. *Filosofo, autore su pace e nonviolenza La prima emergenza italiana di Piero Sansonetti L’Unità, 25 dicembre 2023 2.271 morti in un anno sono l’immagine di un delitto che l’Italia si porterà sulla coscienza per almeno un secolo. Quest’anno sono morti in mare 2.271 naufraghi. Cioè il 60 per cento più di quelli che erano morti nel 2022. In cifra assoluta 858 in più. Questa è la cifra accertata. Terrificante. Sicuramente i morti sono molti di più. Perché il calcolo dei dispersi è sempre per difetto e perché esistono decine e decine di naufragi di piccole barche che sfuggono a ogni controllo e noi non ne sappiamo niente. È molto probabile che i morti siano più di tremila. Circa dieci volte di più di tutti gli omicidi volontari che vengono commessi in Italia in un anno. Per capirci: la mafia - che giustamente è considerata una grande emergenza - uccide una quarantina di persone all’anno. Poi ci sono 100 o 150 femminicidi. E poi altri cento omicidi per svariati motivi. In mare, per omissione di soccorso, muoiono dieci volte di più di tutti questi. E il numero dei bambini uccisi dal mancato soccorso è cento volte superiore a tutti gli infanticidi. Se i numeri hanno un valore possiamo dire che l’emergenza naufraghi è dieci volte superiore. E vuol dire anche che dobbiamo chiamarla così: emergenza naufraghi. Non c’è un’emergenza sbarchi. Se sbarcano vivi bisogna essere contenti e attrezzarsi per accoglierli in modo civile. Ma l’emergenza non è quella di frenare gli sbarchi è quella di frenare il numero dei morti. È la principale emergenza del paese. Nessuna altra emergenza è cresciuta in un anno del 60 per cento. Neppure l’inflazione. E purtroppo di questa emergenza la politica non si occupa. Il governo fa di tutto per aggravarla, con decreti demenziali come quello che ostacola i soccorsi delle Ong. Un decreto omicida. L’opposizione è presa più dalla sorte del sottosegretario Delmastro o dai quadri di Sgarbi che dal problema migranti. C’è un solo modo per affrontarlo. Decuplicare i mezzi di soccorso. Quelli della Guardia Costiera, della Marina e quelli delle Ong. Le Ong vanno incoraggiate in tutti i modi e finanziate. 2271 morti in un anno sono l’immagine di un delitto che l’Italia si porterà sulla coscienza per almeno un secolo.