Sovraffollamento, autolesionismo e suicidi: nelle carceri si continua a morire di Nello Trocchia Il Domani, 13 dicembre 2023 “Se è vero che le condizioni delle carceri rispecchiano quelle della nostra democrazia, l’istituto penitenziario di Ancona racconta di una crisi che sembra senza via di uscita”, denuncia la senatrice Ilaria Cucchi che ha visitato l’istituto. Lì si trova un detenuto che secondo la sorella è “in una condizione psicofisica disastrosa”: ecco la sua testimonianza. “Ho mio fratello in carcere, si chiama Seifeddine Ben Ahmed. Sono andata a trovarlo e l’ho visto in una condizione psicofisica disastrosa (difficoltà nel parlare, tremolio e saliva che gli scendeva della bocca). È entrato che pesava 96 chili e adesso dopo quattro mesi ne pesa circa 50”. Questo è un passaggio di una lettera inviata a Domani dalla sorella di un detenuto, recluso nel carcere di Ancona. Aouatef Ben Ahmed ha inviato una comunicazione anche al garante dei detenuti, territoriale e nazionale, nella quale ha lamentato condizioni insostenibili di detenzione, la presenza di lividi sul corpo e l’abuso di psicofarmaci. Ben Ahmed è in carcere perché è stato condannato per rapina a quattro anni e quattro mesi. Il detenuto, neanche trentenne, ha più volte praticato atti di autolesionismo e, nelle scorse ore, è stato trasferito nuovamente all’ospedale perché ha ingerito alcune pile, come era già accaduto in passato. L’ispezione di Cucchi - Sul caso è intervenuta anche la senatrice Ilaria Cucchi che si è precipitata in carcere per un’attività ispettiva riscontrando una situazione drammatica all’interno dell’istituto di pena. “Se è vero che le condizioni delle carceri rispecchiano quelle della nostra democrazia, l’istituto penitenziario di Ancona racconta di una crisi che sembra senza via di uscita. Le celle sono sovraffollate: dovrebbero contenere in totale 250 persone, ma sono più di 300 quelle rinchiuse”, dice Ilaria Cucchi a Domani. Il detenuto tunisino da settembre a oggi ha avuto 8 accessi al pronto soccorso, ha ingerito pile, cuffie e un accendino. Ha raccontato che vuole essere trasferito in Sicilia e ha negato di aver subìto violenze, ma è sottoposto a un uso massiccio di psicofarmaci. “Sono usati in una quantità disarmante, per il medico della struttura non c’è alternativa e li assumono quasi tutti i detenuti. A colpire, più dei numeri, è la gravità degli episodi che si sono succeduti in neanche un’ora. Ho visto un detenuto ingerire un accendino a pochi metri da me, per essere trasferito. A un vetro di distanza, quello che separa i due corridoi del piano che ho ispezionato, ne ho visto un altro urlare in preda alla rabbia, continuando a sbattere con forza i cestini della spazzatura contro le pareti che lo circondavano. Il gesto della corda al collo che mi ha rivolto un detenuto parla, grida per tutti, per un posto che ha perso ogni possibilità di proiettarsi oltre le sbarre che lo delimitano”, conclude Cucchi. Carceri dimenticate - Una situazione comune a ogni carcere del paese, la situazione all’interno degli istituti di pena racconta i fallimenti del governo sul tema. “Il mese di dicembre si è aperto con due notizie. La prima è che il numero delle persone detenute ha superato nuovamente la soglia dei 60mila. Era da prima della pandemia di Covid-19 che ciò non accadeva. Il tasso di affollamento è di oltre il 125 per cento, i posti disponibili sono 48mila”. “La seconda notizia è quella dei suicidi, due, entrambi avvenuti l’8 dicembre. Il totale del 2023 è di 66 persone che si sono tolte la vita in carcere, il terzo dato più alto mai registrato da quando Ristretti Orizzonti tiene questa statistica (dal 1992)”, fa sapere in una nota l’associazione Antigone. Abuso di psicofarmaci nelle carceri, il ministro Nordio rimuove il problema di Luca Rondi altreconomia.it, 13 dicembre 2023 Il titolare della Giustizia ha risposto all’interrogazione dal deputato Riccardo Magi presentata dopo la nostra inchiesta “Fine pillola mai”. Ogni responsabilità è scaricata sul ministero della Salute, senza assumere alcuna iniziativa nonostante il preoccupante sovra utilizzo di farmaci, specialmente antipsicotici. “Un preoccupante scarico di responsabilità”. Non usa mezzi termini il deputato Riccardo Magi, definendo “sconcertante” la risposta del ministro della Giustizia Carlo Nordio all’interrogazione con cui il segretario di +Europa aveva chiesto conto dei dati emersi dall’inchiesta di Altreconomia sull’abuso di psicofarmaci nelle carceri italiane. Una spesa di due milioni di euro l’anno, con un utilizzo di antipsicotici (farmaci prescrivibili per gravi patologie psichiatriche) cinque volte superiore rispetto alla popolazione generale. Con dati preoccupanti anche sugli istituti penali minorili, dove l’acquisto di questi farmaci tra il 2021 e il 2022 è aumentato del 30%. Secondo Nordio il ministero non sarebbe tenuto ad assumere alcun provvedimento. “Una chiusura totale -riprende Magi- che è allarmante perché dimostra che è stato toccato un tasto dolente”. Nella risposta arrivata dagli uffici del ministero della Giustizia si sottolinea che “il tema sollevato costituisce una questione particolarmente delicata per la natura degli interessi coinvolti” e per questo motivo “è oggetto di attenzione da parte del ministero” che si impegna costantemente a trovare le “migliori forme di collaborazione con le autorità sanitarie locali” con l’obiettivo della tutela delle persone detenute. Nordio ricorda poi che dal primo aprile 2008, con la riforma della medicina penitenziaria, tutte le funzioni sanitarie sono uscite dalla competenza del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e da quello per la Giustizia minorile. “I preposti Dipartimenti -si legge- non dispongono di informazioni riguardanti i dati epidemiologici nazionali relativi allo stato di salute dei detenuti, trattandosi di dati sensibili gestiti dal ministero della Salute”, così come le informazioni relative alla “somministrazione dei farmaci, alla scelta della terapia e delle patologie trattate nonché all’onere sostenuto dal punto di vista economico che grava interamente sulle Asl”. Il ministero, in altri termini, non avrebbe i dati. “Una facile via d’uscita”, secondo Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio sul carcere di Antigone che ha collaborato nella realizzazione dell’inchiesta “Fine pillola mai”. “Il ministro dovrebbe essere più preoccupato di noi, perché l’amministrazione penitenziaria mantiene la responsabilità di supervisione e garanzia per il rispetto del diritto alla salute delle persone detenute”. Lo afferma la normativa e lo riconosce, implicitamente, anche il ministro Nordio. Nella risposta, infatti, scrive che “l’assistenza sanitaria è di competenza congiunta tra le autorità sanitarie locali e il ministero della Giustizia, che mantiene la responsabilità della custodia della persona detenuta” e soprattutto che, qualora il Dap rilevi carenze nei presidi sanitari “avvia le necessarie interlocuzioni con i rispettivi organi per la loro implementazione”. “Evidentemente gli allarmanti dati sugli psicofarmaci - continua Magi - non sono abbastanza neanche per impegnarsi a chiedere chiarimenti al ministero della Salute su alcuni istituti, magari i più problematici secondo quanto emerge dall’inchiesta. C’è l’assoluta rimozione del problema, per questo dico che è preoccupante: non puoi rispondere che non è tua competenza ma riconoscere che hai la custodia delle persone detenute”. L’interrogazione era rivolta anche al ministero della Salute che non ha fornito alcuna risposta. Il ministro Nordio “riferisce” in chiusura che sono attivi un “tavolo di consultazione permanente sulla sanità penitenziaria” con un sottogruppo per la “tutela dei minori” e uno “volto ad aggiornare le linee di indirizzo in materia di erogazione dell’assistenza sanitaria negli istituti e per il funzionamento delle articolazioni per la tutela della salute mentale”. “Un paradosso: parla dell’esistenza dei tavoli ma non si impegna neanche a chiedere loro un consulto - conclude Magi. Abbiamo già reiterato la richiesta al ministro Schillaci: andremo fino in fondo”. Antigone: “suicidi e sovraffollamento, le piaghe del carcere che il governo ignora” di Andrea Oleandri* redattoresociale.it, 13 dicembre 2023 “Il mese di dicembre si è aperto con due notizie. La prima è che il numero delle persone detenute ha superato nuovamente la soglia dei 60.000. Era da prima della pandemia di Covid-19 che ciò non accadeva. Per la precisione, le persone in carcere sono 60.116, al netto dei circa 48.000 posti realmente disponibili. Il tasso di affollamento è di oltre il 125%. Oltre al numero totale delle persone recluse, quello preoccupa è il tasso di crescita, che nell’ultimo anno è stato del 7%, con un’impennata specialmente negli ultimi tre mesi. Se la popolazione detenuta dovesse continuare a crescere con questo ritmo, tra un anno saremo oltre le 67.000 presenze, come ai tempi della condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Tempi che furono difficilissimi sia per la popolazione detenuta che per il personale delle nostre carceri, su cui viene scaricata la fatica quotidiana di gestire questi numeri. La seconda notizia è quella dei suicidi, due, entrambi avvenuti l’8 dicembre. Il totale del 2023 è di 66 persone che si sono tolte la vita in carcere, il terzo dato più alto mai registrato da quando Ristretti Orizzonti tiene questa statistica (dal 1992). Anche quest’anno, in carcere, ci si è suicidati al ritmo impressionante di una persona ogni 5 giorni. I più giovani, tre persone, avevano 21 anni. Il più anziano, 65. A fronte di queste notizie - e questi dati drammatici - non si vede da parte del governo e del ministro della Giustizia Carlo Nordio una progettualità diretta a innovare, umanizzare, migliorare le condizioni di detenzione mentre, invece, grande attivismo c’è stato nell’utilizzare lo strumento penale a scopo populistico ed elettorale, con nuovi reati e inasprimenti di pene (norme anti-rave, decreto Caivano, pacchetto sicurezza) che, se non avranno alcun effetto di prevenzione dei comportamenti criminosi, contribuiranno a riportare il carcere a livelli drammatici di vita interna, sia per le persone detenute che per il personale”. Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. *Ufficio Stampa Associazione Antigone “No al pacchetto sicurezza”: appello ai parlamentari Ristretti Orizzonti, 13 dicembre 2023 Decine di organizzazioni della Società Civile si mobilitano contro l’ennesimo pacchetto sicurezza, licenziato nelle scorse settimane dal Governo Meloni. In occasione del 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti umani, decine di organizzazioni della Società Civile, tra cui la Società della Ragione, Associazione Luca Coscioni, Arci, Cgil, Antigone, Greenpeace, Cnca, Sbarre di zucchero e Ristretti Orizzonti (trovate la lista completa in fondo) hanno lanciato un appello alle forze parlamentari contro il disegno di legge recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario. Ecco il testo integrale dell’appello Le sottoscritte organizzazioni della società civile impegnate per la promozione del rispetto dei diritti umani lanciano un appello urgente affinché il Parlamento non adotti il “pacchetto sicurezza” governativo presentato pubblicamente a fine novembre. Un provvedimento che, ancora una volta, prevede la creazione di nuove fattispecie di reati nonché l’aumento significativo di sanzioni penali e pecuniarie per condotte delittuose già previste dal nostro ordinamento. Nella giornata mondiale che ricorda il 75esimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale sui diritti umani, e alla vigilia della revisione periodica universale che vedrà la Repubblica italiana scrutinata dal Consiglio sui diritti umani delle Nazioni unite nel 2024, riteniamo che quanto proposto dal Governo vada nella direzione diametralmente opposta da quanto deciso dalla Comunità internazionale il 10 dicembre 1948. Infatti, tra i principi che ispirarono quella Dichiarazione adottata all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale ci sono la non-discriminazione e la proporzionalità delle pene; buona parte di quanto contenuto nello schema governativo rappresenta una grave violazione dello spirito della Dichiarazione universale e della lettera dei Patti internazionali sui diritti umani che l’Italia ha ratificato oltre mezzo secolo fa. In una fase storica in cui, secondo quanto affermato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione all’inizio del 2023, l’Italia registra una costante diminuzione di reati - pur con la grave eccezione dei femminicidi - perseguire un approccio prevalentemente, se non esclusivamente, basato sulla pervasività di norme penali piuttosto che sul tentativo di affrontare problemi con appropriate risposte socio-economiche e culturali, che metterà una volta di più in crisi i diritti umani, civili e politici di tutti e tutte e la legalità costituzionale, nonché il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia. Le organizzazioni della società civile italiane che condividono questo appello non si sono mai sottratte al confronto e all’elaborazione di proposte di governo di fenomeni complessi e delicati come sono quelli che riguardano le persone private della libertà, dei migranti, delle minoranze, delle vittime delle mafie o dell’usura fino al diritto a manifestare il proprio pensiero pubblicamente o nei luoghi di reclusione. Restiamo come sempre a disposizione per quanto collettivamente o singolarmente ci compete e interessa per affrontare punto per punto le questioni che il Governo ritiene meritino modificazioni legislative, ma affermiamo con forza che nessuna delle questioni trattate nell’articolato può essere affrontata con misure che comportano la violazione di diritti fondamentali e in particolare dei soggetti socialmente più fragili. Diciamo no alla sostituzione di necessarie politiche sociali con norme penali pervasive e sanzioni sproporzionate. Affermiamo inoltre che tale scambio di analisi e proposta deve avvenire in modo trasparente e di merito e non di critica ex-post a decisioni già prese che poco attengono alla sicurezza nazionale. Oggi ci appelliamo alle forze presenti in Parlamento perché non passino al voto su queste norme, inemendabili, contrarie ai diritti umani e ai principi costituzionali e manifestiamo da subito la nostra disponibilità a un confronto prima e durante il dibattito parlamentare. Organizzazioni promotrici 24marzo Onlus, A Buon Diritto Onlus, Arcat, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, Arci aps, A Roma Insieme - Leda Colombini ODV, Associazione Antigone, Associazione Comunità il Gabbiano odv, Associazione Comunità San Benedetto al Porto, Associazione Luca Coscioni, Associazione Maranathà ODV, Associazione per il rinnovamento della sinistra, Associazione Yairaiha ETS, CGIL, Ci siamo anche noi, Cittadinanzattiva Aps, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza - CNCA, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Dedalus cooperativa Sociale, Encod Italia, Famiglie in rete, Fondazione Gruppo Abele onlus, Forum Droghe, Forum per il Diritto alla Salute, Greenpeace Italia, Itardd aps, L’Isola di arran ODV, la Società della Ragione, la Fraternità, LILA - Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS, Loscarcere Odv, Lunaria, Medicina Democratica ETS, Meglio Legale, Popolazione carceraria Patrie galere, Rete degli Studenti Medi, Rete della Conoscenza, Ristretti Orizzonti, Sapereplurale APS Torino, Sbarre di Zucchero, Sbilanciamoci, Società Informazione - Diritti Globali Onlus, Ufficio Garante dei detenuti Comune Livorno, Ufficio Garante dei detenuti Comune Milano, Filo Rosso, Unione degli Studenti, Unione degli Universitari, Università della Strada - Gruppo Abele, Zarapoti Società Cooperativa Sociale. Per aderire: www.fuoriluogo.it/pacchettosicurezza Barbera a capo della Consulta: “Nessuna maggioranza potrà mai ‘assaltare’ questa Corte” di Valentina Stella Il Dubbio, 13 dicembre 2023 Il nuovo presidente è emerito di diritto Costituzionale ed ex presidente del governo Ciampi. Augusto Barbera è il nuovo presidente della Corte Costituzionale: è stato eletto con tredici voti a favori e una scheda bianca, la sua. Dunque una Camera di Consiglio unita, a differenza di quella precedente quando con 8 voti su 15 fu eletta Silvana Sciarra, che votò pure per sé stessa. Il neo presidente rimarrà in carica fino al 21 dicembre 2024, quando scadrà il mandato di giudice costituzionale, iniziato nove anni fa quando fu eletto dal Parlamento su indicazione del Partito Democratico. Come primo atto ha nominato vice presidenti i giudici Franco Modugno, Giulio Prosperetti e Giovanni Amoroso. Barbera è professore emerito di Diritto costituzionale presso l’Università di Bologna. L’attività di ricerca è stata prevalentemente svolta attorno ai temi delle fonti normative, del sistema delle libertà costituzionali, dell’ordinamento regionale e locale, delle forme di governo, degli organi costituzionali e dei sistemi elettorali. Ha svolto anche attività politica prima con il Pci e poi con il Pds: è stato eletto alla Camera dei deputati per cinque legislature, fra il 1976 e il 1994. Nel 1993 divenne ministro per i Rapporti con il Parlamento nel governo di Carlo Azeglio Ciampi. Si dimise, però, insieme agli altri tre ministri in polemica per la mancata concessione, da parte del Parlamento, dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi. Molti gli argomenti affrontati durante la sua prima conferenza stampa. Alla nostra domanda se il modello di giudice che vorrebbe il governo Meloni, ossia quello alla Montesquieu come bouche de la loi, fosse superato il presidente ha risposto “sì” aggiungendo: “una disposizione approvata dal Parlamento deve essere prima interpretata e poi applicata”. Durante questi passaggi “possono interferire varie culture, c’è appunto una attività di intermediazione o del giudice, o della pubblica amministrazione, o della stessa Corte Costituzionale”. Tutto deve avvenire “stando attenti a rispettare le regole dello Stato di Diritto che prevedono, ad esempio, che un atto di un giudice possa essere impugnato in un grado successivo. Se poi c’è un dubbio di Costituzionalità ci si rivolge alla Consulta” come potrebbero fare a gennaio le Sezioni Unite della Cassazione chiamate a pronunciarsi sui ricorsi del Governo ai provvedimenti di disapplicazione del decreto Cutro da parte del tribunale civile di Catania. “Mi ha ferito - ha poi detto - leggere alcuni commentatori che hanno sostenuto che dopo la vittoria della maggioranza ci sarebbe stato un assalto all’indipendenza della Corte. Nessuno può occupare con le regole vigenti” la Consulta. L’ “auspicio” dopo “che quanto prima si possa completare il collegio”. Infatti manca un giudice alla Corte, che deve essere eletto dal Parlamento: “Se questa maggioranza vuole eleggere il giudice deve mettersi d’accordo con altre forze politiche o presentare un candidato che abbia un successo personale tale da spingere tutte le forze politiche a votarlo. La Corte non può occuparla nessuno”. Alla giornalista di Repubblica, Liana Milella, che ha gli ha chiesto se la Corte meriti maggiore rispetto da parte delle forze politiche che mettono in atto un “mercato politico” per scegliere il nuovo giudice, Barbera ha replicato: “gradirei non usare l’espressione ‘mercato’. Sono accordi che ci sono stati tante altre volte. Le posso dire una cosa? Il ‘mercato’ politico c’è stato con me, Modugno e Prosperetti e credo che nessuno abbia portato all’interno della Corte lo stigma della provenienza. Il fatto che l’attuale maggioranza debba accordarsi con la minoranza lo considero positivo. Non è un mercato”. A proposito del Governo ha sostenuto criticamente: “La richiesta del voto di fiducia è espressione di una debolezza della maggioranza. I maxi emendamenti sono obbrobriosi perché raccolgono istanze, interessi e progettini che i parlamentari non riescono nemmeno a conoscere e su cui si chiede la fiducia. Tutto questo crea problemi e la Corte costituzionale non può che essere preoccupata da questa alterazione. Stiamo attenti a non trasformare espressioni di debolezza dei governi in espressioni di prevaricazioni”. Poi ha aggiustato un po’ il tiro: “Non ho condannato i maxi emendamenti ma in assenza di altre regole diventa ahimè inevitabile che vi si debba ricorrere. Con l’auspicio che sia dia più spazio agli emendamenti dei parlamentari”. Non poteva mancare un passaggio sulla recente sentenza della Corte che ha permesso di celebrare il processo contro i torturatori e assassini di Giulio Regeni: una decisione “eccezionale e sofferta” l’ha definita Barbera, “che ha richiesto un equilibrio tra vari principi costituzionali. Ricordando che diversi commentatori l’avevano criticata perché avrebbe minato le garanzie degli imputati, Barbera ha ribadito che gli stessi potranno “ottenere in ogni fase e grado la riapertura del processo”. Molte le domande sulla riforma del premierato. Barbera non ha risposto a quelle che entravano nel merito dei contenuti dei progetti di riforma costituzionale, però “non possiamo che rivolgere l’auspicio di seguire le strade costituzionali: la prima è quella dei 2/3. Lo dico non per escludere il corpo elettorale, ma perché il corpo elettorale è previsto come second test”. Ha proseguito: “le riforme costituzionali sono come medicine. Se prendo una pillola per il mal di testa posso far male allo stomaco. Bisogna stare attenti”. Sulle conseguenze della riforma sul ruolo del Presidente della Repubblica: “qualunque riforma può portare ad una accentuazione o diminuzione del potere del capo dello stato. Auspico che si faccia nel modo più condiviso”. Le reazioni politiche alle elezioni di Barbera sono state tutte trasversalmente positive. “La sua esperienza all’interno della Consulta, in sinergia con la sua formazione giuridica, ne faranno un solido punto di riferimento nel confronto intorno ai principi della Carta” ha dichiarato il vice ministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. “Saprà - per la responsabile giustizia del Pd, Debora Serracchiani - essere punto di riferimento e di equilibrio in una fase delicata per l’ordinamento della giustizia, complessa per le riforme istituzionali in discussione, difficile per la compagine sociale del Paese. Le sue prime parole da presidente della Consulta confermano le sue caratteristiche di autonomia e indipendenza, autorevolezza e saggezza”. Per la deputata di Italia Viva, Maria Elena Boschi “l’esperienza di Augusto Barbera, la sua competenza, il suo autentico riformismo e la sua disposizione al dialogo e al confronto saranno garanzia di equilibrio e di tutela della nostra Carta”. Prescrizione, la politica non ceda i propri spazi e dica no alle interferenze di Francesco Petrelli* Il Dubbio, 13 dicembre 2023 Il Disegno di Legge di riforma del regime della prescrizione che si propone di ridisegnare l’istituto secondo profili sostanziali, abbandonando così logiche di natura processuale alle quali l’Unione delle Camere Penali si è sempre detta contraria, a seguito della conclusione della discussione generale in aula, sembra essersi arenato. Si è appreso che la ragione dell’interruzione dell’iter parlamentare, ormai giunto alla fase finale, che avrebbe previsto solo le dichiarazioni di voto e quindi la votazione finale, deve ascriversi ad una missiva, sottoscritta da tutti i ventisei Presidenti delle Corti Appello, indirizzata al ministro della Giustizia e ai presidenti delle Commissioni Giustizia della Camera dei Deputati e del Senato. La lettera, con la quale si richiede la necessaria formulazione di una norma transitoria, prospettando in caso contrario ritardi nella trattazione dei processi, che metterebbero a rischio il raggiungimento degli obiettivi per l’erogazione dei fondi del Pnrr, rappresenta una chiara e indebita intromissione da parte della magistratura nelle funzioni proprie del Parlamento, trattandosi di scelte che hanno un eminente contenuto politico. Il tema non è certo nuovo, ma quest’ultima iniziativa pare segnare un ulteriore passo in avanti, o come meglio sarebbe definirlo, un ulteriore passo indietro, verso il pericoloso superamento del principio della separazione dei poteri tipico delle democrazie liberali, se è vero che, come scriveva Montesquieu, laddove il potere giudiziario fosse “unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario: infatti il giudice sarebbe legislatore”. Abbiamo assistito, nel nuovo ordine fondato all’inizio degli anni ‘ 90, alla conferenza stampa del Pool di “mani pulite” che minacciava le dimissioni ove fosse stato approvato un determinato decreto, per poi prendere atto quotidianamente, da anni, dell’atteggiamento dei capi degli uffici di procura che, dalle reti televisive e dalle pagine dei quotidiani, dettano le ricette della buona politica giudiziaria enunciando le ragioni di perenne urgenza che giustificano l’emissione di norme illiberali; e infine, ci siamo dovuti abituare ai pareri resi, anche quando non richiesti, dal Consiglio superiore della magistratura al ministro e poi, praeter legem, perfino al Parlamento su ogni provvedimento in tema di giustizia; risulta assai significativo, ben oltre il valore determinato dalla natura tecnica delle osservazioni elaborate, il peso assunto da ogni intervento dell’Associazione nazionale magistrati sulle scelte del decisore politico. Non possiamo però accettare, come iperbole patologica di questo percorso di giurisdizionalizzazione della nostra democrazia, una nuova (l’ennesima) forma di invasione degli spazi riservati al potere legislativo, che non è più veicolata da singoli magistrati tramite esternazioni rese al di fuori dell’esercizio delle proprie funzioni né dai corpi intermedi della magistratura associata attraverso attività di politica giudiziaria, bensì direttamente dai vertici delle Corti d’Appello d’Italia come messaggio istituzionale. I penalisti italiani si rivolgono alla politica perché non ceda i propri spazi e si faccia carico delle proprie responsabilità e senza subire indebite interferenze giungendo in breve all’approvazione di un disegno di legge, che pur non rappresentando certo la soluzione migliore secondo le prospettive dell’Unione delle Camere Penali Italiane, ha il merito di ricondurre la disciplina della prescrizione alla sua naturale dimensione sostanziale. Ogni diversa soluzione avrebbe immediate ricadute, non solo sul provvedimento in corso di approvazione, ma anche sul rapporto tra i poteri dello Stato, già logorato e posto in grave tensione da trent’anni di democrazia giudiziaria. *Presidente dell’Unione delle Camere penali italiane Nordio contro Delmastro: codice per tutelare il segreto di Giacomo Salvini Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2023 Le linee guida dopo il caso del sottosegretario: “Il dipendente non usi informazioni a fini privati, non divulghi o diffonda notizie riservate”. Le informazioni del ministero della Giustizia non devono essere usate per “fini privati”. Ma soprattutto i dipendenti devono rispettare il segreto d’ufficio, non possono divulgare informazioni riservate, devono chiedere solo atti e fascicoli relativi al proprio compito e non possono “darne accesso” a chi non ne ha titolo. Se pubblicamente il Guardasigilli Carlo Nordio ha difeso il sottosegretario Andrea Delmastro, rinviato a giudizio per rivelazione di segreto d’ufficio per aver fornito al compagno di partito Giovanni Donzelli informazioni riservate sul caso Cospito, il nuovo codice di comportamento del ministero della Giustizia sembra scritto apposta per prendere le distanze da quello del sottosegretario di Fratelli d’Italia e per evitare casi simili in futuro. Il nuovo codice è stato approvato con un decreto ministeriale del 18 ottobre quando Delmastro era già indagato per rivelazione di segreto e sulla sua testa pendeva l’imputazione coatta disposta dal giudice per le indagini preliminari di Roma: ventisei articoli da rispettare per evitare procedure disciplinari nei confronti di chi li viola. Tra le norme del codice colpisce proprio la parte sull’obbligo della riservatezza. Nei principi generali viene inserito un comma che recita così: “Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni d’ufficio ed evita comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei doveri d’ufficio o nuocere agli interessi o all’immagine dell’Amministrazione”. Non solo. L’articolo sugli obblighi di riservatezza è molto corposo. Il dipendente del ministero deve “osservare il principio della riservatezza”, il “segreto d’ufficio” e la normativa “sul trattamento dei dati personali” e “qualora sia richiesto verbalmente di fornire informazioni, atti o documenti tutelati dal segreto d’ufficio o dalle disposizioni in materia di dati personali, informa il richiedente dei motivi che ostano all’accoglimento della richiesta”. Il codice contiene altre tre norme specifiche che sembrano ricalcare proprio il caso Delmastro: la prima prevede che il dipendente del ministero debba “prestare la dovuta diligenza e attenzione per evitare la divulgazione involontaria di informazioni riservate”. Ma soprattutto può consultare “i soli atti e fascicoli direttamente collegati ai compiti assegnati e ne fa un uso conforme ai doveri d’ufficio consentendone l’accesso solo a coloro che ne abbiano titolo, nel rispetto delle istruzioni del titolare o del responsabile del trattamento”. Inoltre non può estrarre documenti dai sistemi informativi e riprodurre “atti e documenti d’ufficio se non per l’attività di propria competenza”. E sono proprio su queste due norme che il riferimento sembra essere al sottosegretario meloniano che il 29 gennaio 2023, due giorni prima dell’intervento di Donzelli in aula, aveva chiesto al capo del Dap, Giovanni Russo, le relazioni del Gom e dei Nic (i corpi che si occupano di custodia e intelligence delle carceri) sui colloqui in carcere del terrorista Alfredo Cospito con alcuni boss mafiosi contro il 41-bis e su una visita di alcuni esponenti del Pd dall’anarchico nel penitenziario di Sassari. Delmastro poi aveva riferito al coinquilino Donzelli le informazioni su Cospito consentendogli di attaccare il Pd alla Camera. Questo nonostante sui documenti fossero “a limitata divulgazione”. La procura di Roma, dopo l’esposto di Angelo Bonelli (Verdi), ha chiesto l’archiviazione per Delmastro mentre il primo giudice aveva disposto l’imputazione coatta e il 29 novembre il gup di Roma ha rinviato a giudizio il sottosegretario. Nel regolamento viene inserita una regola anche per frenare le correnti nel ministero. I dipendenti che fanno parte di una organizzazione o di una associazione devono comunicarlo subito, non si può fare “propaganda” nella sede di lavoro. Questa norma non si applica a partiti, sindacati e organizzazioni deputate “all’esercizio o alla tutela delle libertà fondamentali”. Inoltre il ministro chiede ai dipendenti di evitare qualsiasi tipo di conflitto d’interessi, anche “potenziale”. Il deputato di Azione Enrico Costa dice ironicamente: “Sono curioso di capire come il concetto di imparzialità sarà applicato a quei magistrati fuori ruolo che scrivono le leggi a uso e consumo della categoria”. Le teorie fragili esposte alla Cedu per difendere l’ingiustizia suprema delle confische agli assolti di Fabrizio Costarella e Cosimo Palumbo* Il Dubbio, 13 dicembre 2023 La tautologia è quel procedimento logico per il quale un fatto si assume essere vero “per definizione”, spesso in base a riflessioni circolari o autoreferenziali. È il modo di ragionare dei bambini, dei matti e dei tiranni, i quali hanno ragione perché, per svariati motivi, non accettano o non comprendono mai di avere torto. Con questo spirito sembra che il governo Italiano abbia deciso di rispondere ai quesiti che la Corte EDU gli ha rivolto nel caso che vede il nostro Stato contrapposto ai signori Cavallotti, imprenditori siciliani assolti in via definitiva dal delitto di partecipazione mafiosa e, anzi, ritenuti vittime di estorsione da parte di quei soggetti che il Pubblico Ministero ipotizzava, invece, essere loro sodali. E che, nonostante l’assoluzione, sono diventati ancora vittime: questa volta, dell’onnivorismo della prevenzione che non segue i sofistici distinguo del diritto penale sostanziale (ad esempio, quella spigolatura, da raffinato giurista, tra imprenditore “soggiacente” e “compiacente”), ma divora tutto quello che le si offre, come la più spietata divinità precolombiana. Così, ai Giudici europei che chiedevano come ciò sia possibile ed erano curiosi di conoscere se le nostre Leggi in materia di prevenzione siano accessibili nel precetto e prevedibili nella sanzione, se la confisca di prevenzione sia o meno considerabile sanzione penale, se l’irrogazione di una confisca senza un formale accertamento di responsabilità violi la presunzione di innocenza, se il procedimento - anche a causa dell’inversione dell’onere della prova circa la legittima acquisizione dei beni - offra sufficienti garanzie difensive, il governo, tramite l’avvocatura dello Stato, ha risposto con ben 121 pagine per tentare di spiegare che la nostra prevenzione (“nostra”, perché con queste caratteristiche, nel mondo, ce l’abbiamo solo noi) è conforme alla Costituzione repubblicana ed alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come assicura proprio la giurisprudenza della Corte di Cassazione. Come i bambini, i matti ed i tiranni, dopo lunghe cogitazioni e richieste di rinvio, rassicuriamo l’Europa che “abbiamo ragione, perché lo diciamo noi”. Cioè (giusto per chiarire), mentre da Strasburgo ci indicano la Luna e ci dicono che la nostra Legge sembra dissonante rispetto ai cardini del diritto punitivo (legalità, tipicità, precisione, irretroattività in malam partem, tassatività, determinatezza, extrema ratio, proporzionalità, rieducazione, divieto di analogia in malam partem), a Roma guardano il dito e rispondono che i nostri Giudici quella Legge la applicano proprio bene. Se diverse migliaia di cittadini italiani non ci rimettessero, ogni anno, il lavoro, la casa o la vita, ci sarebbe da fare spallucce e sorridere, proprio come si fa, appunto, con i bambini ed i matti. Ma, come avvisava Nietzsche, “a questa stregua uno può avere sempre torto e prendersi sempre la ragione e diventare alla fine con la migliore coscienza del mondo il più insopportabile tiranno”. E allora, qualcosa in proposito la dobbiamo dire, perché “l’ingiustizia suprema che è il sistema delle misure di prevenzione” (come lo ha definito, su queste pagine, Valerio Spigarelli) non debba continuare a proliferare sul nostro colpevole silenzio e sulle bugie che ancora andiamo raccontando in Europa. Non è una analisi che può essere contenuta in un solo intervento, ma vogliamo almeno avviare il dibattito, perché il rischio da scongiurare non è tanto che la prevenzione “sopravviva” a Cavallotti, ma che diventi, definitivamente, il modello di punizione patrimoniale, sostituendo la sanzione penale e, quel più conta, il processo penale accusatorio, le sue garanzie, i suoi standard probatori. La prima osservazione è di metodo. Il primo quesito che la Corte Europea pone al governo è chiaro: i decreti di confisca emessi a carico dei ricorrenti presuppongono l’opinione che essi siano colpevoli, nonostante l’assenza di una formale affermazione di colpevolezza? La “formale affermazione di colpevolezza”, che è lemma mutuato dall’art. 6 comma 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (non a caso, richiamato espressamente dal quesito), presuppone la celebrazione di un giudizio “giusto”, caratterizzato dalle garanzie previste dal successivo comma 3, e, quindi, di un processo penale che, secondo il nostro ordinamento, è l’unico strumento per il formale accertamento della colpevolezza. Il quesito, allora, è se sia possibile una confisca senza condanna. Il governo, evidentemente ritiene scontato che ciò sia possibile, e, con molta abilità, elude la domanda e la interpreta come rivolta a chiarire la compatibilità tra provvedimento di confisca e precedente sentenza di assoluzione, così eludendo il tema proposto e argomentando sulla autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione, con affermazioni sulle quali converrà tornare in futuro, tanto sono internamente contraddittorie. Quel che è certo, per ora, è che le risposte fornite all’Europa, il cui tenore era ampiamente prevedibile, non solo non convincono, ma suonano come il disperato tentativo di giustificare un fenomeno che “tutti ci invidiano, ma, chissà perché, nessuno ci copia”. *Avvocati penalisti Pene sostitutive, ammissibile la domanda in tutte le fasi dei processi pendenti in secondo grado di Paola Rossi Il Sole 24 Ore, 13 dicembre 2023 A seguito dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia nei procedimenti d’appello, a tale data ancora pendenti, è ammissibile che la domanda di applicazione delle pene sostitutive di quelle detentive brevi possa essere fatta anche nella fase finale della discussione. E nel caso di procedimento cartolare anche all’atto della presentazione delle conclusioni scritte. Con tale affermazione, la sentenza n. 49319/2023 della Corte di cassazione penale ha accolto il ricorso dell’imputato che aveva fatto domanda tramite il suo difensore di riconoscimento - in alternativa alla misura restrittiva comminata - di applicazione di una commisurata sanzione pecuniaria o di un periodo di svolgimento di lavoro di pubblica utilità. L’accoglimento della domanda si fonda sull’interpretazione della norma transitoria nel modo più aderente allo spirito della Riforma, la quale punta indiscutibilmente al maggior ampliamento possibile di applicazione delle pene sostitutive in luogo di quelle detentive brevi. Quindi la corretta lettura della disposizione che ha previsto l’efficacia retroattiva dell’articolo 20-bis del Codice penale, introdotto dalla Riforma Cartabia, nei procedimenti d’appello pendenti al 30 dicembre 2022 è quella che consenta in tutte le fasi del processo di secondo grado di proporre la domanda di sostituzione. Quindi non solo quando è veicolata attraverso l’atto di appello o con la presentazione di nuovi motivi è tempestiva la richiesta della pena sostitutiva, ma anche nella fase della discussione. In effetti, precisa la Cassazione, non si rinviene alcun passaggio della norma transitoria che apra all’applicazione della novella nei procedimenti di appello pendenti solo nell’ambito delle prime fasi del processo. Per cui va dichiarata legittima la domanda presentata con le conclusioni scritte finali da parte della difesa del ricorrente. I giudici di appello di fatto dovranno valutare la domanda che era stata totalmente pretermessa dalla sentenza impugnata e ora annullata con rinvio. Verona. Suicidio in carcere. “Tre mesi e sarebbe uscito, non vedeva l’ora di rifarsi una vita” di Laura Tedesco Corriere Veneto, 13 dicembre 2023 La cugina e il fratello: troppi dubbi sulla morte di Oussama, era pieno di progetti. “Una settimana prima della tragedia mio fratello era felice, talmente felice di tornare libero che ormai stava contando i giorni all’imminente scarcerazione. Era così pieno di progetti”. Hatim Sadek è fratello di Oussama, il trentenne detenuto marocchino che nel venerdì dell’Immacolata si è tolto la vita in cella d’isolamento nel carcere di Verona. La vittima era appena stata visitata da uno psichiatra: con la sua morte, la tragica conta dei suicidi all’interno dalla casa circondariale di Montorio ha raggiunto quota 3 in soli 28 giorni. Un bilancio che definire drammatico è riduttivo. “Nessuno si ucciderebbe dopo aver già scontato tre anni di detenzione e sapendo che tra soli novanta giorni sarebbe tornato in libertà, men che meno mio fratello”, scuote la testa Hatim in videochiamata dal Marocco. “Era impaziente di rifarsi una vita” - “Oussama mi ha telefonato per l’ultima volta il 30 novembre, una settimana prima della tragedia. Era il mio compleanno, mi ha fatto gli auguri e promesso un regalo una volta tornato libero. Era così entusiasta - lo descrive Hatim -, in carcere stava lavorando e diceva di non vedere l’ora di uscire per rifarsi una vita, trovare un impiego onesto e rendere finalmente felice nostra madre dopo il dolore e la sofferenza che le aveva provocato con l’arresto”. Troppe cose, nell’improvvisa morte di Oussama, non convincono la famiglia. Neppure la cugina Nezha, che da anni vive e lavora a Cuneo, si rassegna all’idea del gesto volontario: “Nulla di quello che è successo negli ultimi giorni di vita di mio cugino mi sembra chiaro. Tra tre mesi lo avrebbero scarcerato e lui era impaziente di rifarsi una vita, io ero pronta a dargli una mano e accoglierlo in casa, non aveva alcuna ragione per ammazzarsi. Per questo - è l’appello lanciato da Nezha agli inquirenti - chiediamo chiarezza e verità, non vogliamo che la sua morte venga subito archiviata e passata sotto silenzio, troppe cose non tornano. Ci dicono che avesse problemi psichiatrici, ma allora perché non gli è stata data assistenza specifica? Se venerdì 8 dicembre, giorno del dramma, ha avuto una crisi e gridava di volersi ammazzare, perché è stato messo in cella d’isolamento anziché sorvegliarlo in modo che non mettesse in atto gesti autolesionistici?”. Una storia di emigrazione - In queste ore, la disperazione per la scomparsa di Oussama è tutta nell’inarrestabile pianto della madre in Marocco: “Lo aspettava a casa una volta scarcerato, rivederlo era il suo sogno. Erano oltre sette anni, da quando lui era partito per cercare fortuna in Italia, che nostra mamma lo sentiva solo al telefono - si commuove il fratello Hatim -. Era convinta che presto lo avrebbe finalmente potuto riabbracciare, è stato tremendo dirle che ora tornerà da noi in Marocco ma dentro una bara. Nostra madre è sconvolta, l’ombra di se stessa”. La storia di Oussama, purtroppo, rispecchia quella di tanti immigrati: arrivano in Italia anelando soldi facili, finiscono in tunnel sbagliati. Lo spaccio, l’arresto: è capitato così anche a Oussama Sadek. Il senso di vergogna, il non voler deludere la famiglia che riponeva in lui tante speranze: tutti i sogni, improvvisamente, erano stati rinchiusi insieme a lui in una cella del carcere di Montorio. Un peso a cui in un primo tempo Oussama aveva faticato a reagire: tre anni fa, all’inizio della sua detenzione, pare avesse già tentato di attuare gesti autolesionistici. “Oussama esige giustizia” - “Poi però si era ripreso, sembrava aver trovato una sua stabilità, anche perché sapeva che non sarebbe rimasto per lungo tempo in carcere e che aveva tutto il tempo per ricominciare. A noi - ribadiscono il fratello e la cugina - troppe cose non convincono. Se realmente aveva problemi e manifestava del disagio, perché lo hanno abbandonato in quel modo in isolamento? Gli è forse stato detto o fatto qualcosa di brutto? Non aveva ragione di perdere la testa così, non aveva motivo di uccidersi, vogliamo un perché, desideriamo la verità, cerchiamo delle risposte. Una morte in carcere non ha meno valore delle altre, Oussama merita ed esige giustizia”. Per il rimpatrio della salma in Marocco serviranno tempo e soldi: il direttivo dell’associazione Sbarre di Zucchero si è subito mobilitato: “Non lasceremo sola la famiglia”. Verona. Suicidio in carcere. La denuncia dei detenuti: “Isolato e lasciato solo” di Laura Tedesco Corriere Veneto, 13 dicembre 2023 I compagni di sezione di Oussama: la sua morte si poteva evitare. “Da tempo lamentava apertamente un grave disagio psicologico, eppure in carcere lo avevano lasciato completamente solo ed era stato gettato in una disperazione ancora maggiore tramite la reclusione nella sezione di isolamento”. Questo mettono nero su bianco, in una vibrante lettera-denuncia, i compagni di detenzione di Oussama Sadek, suicida a soli 30 anni. “Da tempo lamentava apertamente e dichiaratamente un grave disagio psicologico, eppure in carcere lo avevano lasciato completamente solo ed era stato “gettato” in una disperazione ancora maggiore tramite la reclusione nella sezione di isolamento matricola”. Questo mettono nero su bianco, in una vibrante lettera-denuncia inviata alle autorità giudiziarie e ai vertici dell’Amministrazione penitenziaria, i compagni di detenzione di Oussama Sadek, suicida a soli 30 anni nel pomeriggio dell’Immacolata in una cella d’isolamento all’interno del carcere veronese di Montorio. Una casa circondariale, quella scaligera, che oltre a detenuti diventati tragicamente “celebri” alle cronache - su tutti il 22enne Filippo Turetta, che ha ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin, e Benno Neumair, condannato all’ergastolo per aver massacrato i genitori - ospita oltre 500 reclusi a fronte di 350 posti “regolamentari”. Un penitenziario che sta facendo drammaticamente notizia anche per la recentissima scia di suicidi: addirittura tre in 28 giorni, a partire da Farhady Mortaza il 9 novembre, 30enne con cittadinanza austriaca e status di rifugiato; poi il 18 novembre Giovanni Polin, di 34 anni, nato in India, italiano di seconda generazione; infine l’8 dicembre Oussama Sadek, 30enne del Marocco a cui mancavano soli tre mesi alla scarcerazione. Storie diverse, tre drammi distinti, “ma accomunati dal disagio esistenziale e dalla mancata assistenza sanitaria e psichiatrica in carcere”. Lo hanno denunciato al Corriere i familiari delle vittime, come Giulia Polin, sorella di Giovanni, e i parenti più vicini a Oussama, la cugina Nezha e il fratello Hatim, chiedendo di “fare chiarezza e indagare”. Un appello alla verità condiviso dall’associazione Sbarre di Zucchero, che parla di “insopportabile silenzio della direzione del carcere e del Garante dei detenuti”; una richiesta di “interventi rapidi” sostenuta dalla Camera penale di Verona, dichiaratasi “pronta allo stato di agitazione”. Prese di posizione forti, a cui si aggiunge adesso, pesante come un macigno, la lettera-denuncia con cui i compagni di Oussama, detenuti con lui nella quinta sezione, corpo 3, del penitenziario scaligero, si appellano a Tribunale e Magistrato di Sorveglianza di Verona e al Dap del Veneto “perché si faccia chiarezza su una morte che avrebbe potuto essere evitata”. Nel loro esposto, gli amici e compagni di detenzione del trentenne puntano il dito su “omissioni e mancata sorveglianza”. Descrivono Oussama come “una persona rispettosa, amata e benvoluta da tutti i compagni della nostra sezione, senza distinzione di razza, di etnia, di provenienza e di credo religioso”, e che “lamentava un grave disagio psicologico, fortemente aumentato da alcune settimane, e posto all’attenzione del corpo penitenziario di turno, che a sua volta lo aveva prontamente e ripetutamente segnalato ai responsabili sanitari”. Sostengono i compagni di Oussama che i medici “non sono intervenuti nei tempi e nei modi necessari, tant’è che il disagio è divenuto per lui sempre più insopportabile, nonostante fosse risaputo e che vi erano già stati precedenti tentativi di suicidio, in particolare uno di rilevante gravità presso l’ospedale di Rovigo”. Gli eventi sarebbero precipitati con l’inizio di dicembre: “Dopo una tardiva visita psichiatrica, durante la quale Oussama, sofferente e disperato, avrebbe avuto comportamenti aggressivi verso lo psichiatra, è stato rinchiuso in una cella di isolamento vicino all’ufficio matricola”, scelta questa che i detenuti indicano come “sbagliata e inspiegabile”. Nella lettera-denuncia, affermano che “Oussama era approdato nella sezione di isolamento nella giornata di martedì 5 dicembre su ordine proprio del responsabile sanitario psichiatrico, al quale per altro era stata sconsigliata tale ipotesi di isolamento in quanto era preferibile che rimanesse nella sua abituale cella nella nostra sezione dove poteva essere guardato a vista da noi detenuti”. Per i compagni di sezione di Oussama, “si sarebbe potuto inviarlo presso un più adeguato reparto psichiatrico di ospedale o, alla peggio, presso l’infermeria psichiatrica del carcere”, dove una osservazione costante “avrebbe potuto salvarlo”. A parere degli altri reclusi a Verona, “la scelta di quella cella di isolamento” sarebbe stata tragicamente determinante: “Noi stessi detenuti senza titoli medici specialistici ci rendevamo conto del forte disagio emotivo di Oussama, come poteva confermare anche la polizia penitenziaria. Andava solo trattato e compreso diversamente, immaginiamo secondo i canoni della “buona prassi medico sanitaria psichiatrica” e se ciò fosse avvenuto non ci troveremmo oggi a piangere l’ennesimo compagno che nella disperazione ha fatto la peggiore scelta possibile, ossia la morte”. Una tragica accusa, un’atroce denuncia: “Non “bollate” questo ennesimo suicidio come un momento di debolezza e sconforto imprevedibile, perché quanto accaduto a Oussama era prevedibilissimo e si poteva evitare”. Trento. Donna suicida in carcere. “Aveva chiesto il trasferimento”. Interrogazione del Pd di Marzia Zamattio Corriere del Trentino, 13 dicembre 2023 Aveva chiesto chiarimenti giovedì scorso con un’interrogazione sulla morte della detenuta 37enne di Bolzano nel carcere di Spini di Gardolo, avvenuta il 5 dicembre, il consigliere provinciale del Pd, Andrea de Bertolini insieme alla consigliera Mariachiara Franzoia. E aveva chiesto lumi anche sul Piano prevenzione suicidi attivato all’interno del carcere dove è avvenuta la presunta impiccagione nel vano doccia della donna il 2 dicembre con l’utilizzo di lacci da scarpe, ricostruzione contestata dalla famiglia della donna, che stava per uscire, e ritiene che non si tratti di suicidio. Sul caso indaga la Procura di Trento. “La donna - scrive de Bertolini - versava da molto tempo in uno stato di profonda prostrazione psichica che ne aveva condizionato il suo comportamento. Più volte aveva espresso di poter esser trasferita presso altra struttura per una incompatibilità ambientale nei confronti di altre detenute”. E oltre a chiedere i tempi fra l’impiccagione e il ritrovamento da parte degli agenti della polizia penitenziaria, con i soccorsi, e al perché avesse a disposizione i lacci di scarpe, vietati in carcere, ripercorre la triste lista di fatti simili avvenuti nella struttura penitenziaria, “impietosi rispetto al panorama nazionale i numeri dei suicidi, dei tentati suicidi e degli atti di autolesionismo”. “Fra il 2013 e il 2017, 5 suicidi. Nel 2018 un suicidio per impiccagione, primario fattore scatenante della rivolta di una parte di detenuti all’intero della struttura penitenziaria”. E poi, “in soli 6 mesi fra aprile e ottobre 2021, si sono consumati 7 tentativi di suicidio, e in un anno gli atti autolesivi attestati sono stati 90”. Ancora, “nel percorrere questo drammatico bollettino, nel 2022 ci sono sati 75 casi di autolesionismo, a settembre 2023, prima di quest’ultimo suicidio, 57 i casi di autolesionismo, 4 tentavi di suicidio”. Infine, de Bertolini chiede all’assessore alla salute come è stato messo in atto il Piano prevenzione suicidi all’interno del carcere di Trento, le modalità del ritrovamento e soccorso della donna oltre al suo stato di salute psicofisico. Ivrea (To). Violenze nel carcere, c’è il rischio della prescrizione di Andrea Scutellà La Sentinella del Canavese, 13 dicembre 2023 Secondo rinvio dell’udienza preliminare, le difese eccepiscono le costituzioni di tre garanti parti civili. Mellano: “Siamo figure autonome e indipendenti e abbiamo interesse a farlo”. Un caso si è già prescritto, un altro andrà in prescrizione a gennaio. Stenta a decollare il processo sulle percosse in carcere a Ivrea riguardante le indagini avocate dalla procura di Torino a quella eporediese, dopo le ripetute richieste di archiviazione da parte dell’allora procuratore Giuseppe Ferrando. Oggi l’inchiesta è in mano ai magistrati torinesi Giancarlo Avenati Bassi e Carlo Pellicano. Dopo un primo rinvio negli scorsi per difetto di notifica, è arrivato un altro rinvio dell’udienza preliminare al 15 gennaio da parte della gip Marianna Tiseo. Le difese dei 28 imputati infatti (avvocati Celere Spaziante, Mario Benni, Enrico Scolari, Alessandro Radicchi e Antonio Mencobello) hanno eccepito sulla costituzione delle sei parti civili. Due di queste sono di altrettanti detenuti che avrebbero subito dei pestaggi: per uno dei due, in particolare, è contestato il reato di tortura perché è l’unico episodio recente, del 2021. La tortura in Italia, infatti, è punibile solo dal 2017 e gli altri fatti contestati si riferiscono tutti al 2015-2016. L’eccezione principale, però, riguarda i tre garanti dei detenuti Raffaele Orso Giacone (comunale), Bruno Mellano (regionale) e Mauro Palma (nazionale) che si sono costituiti parte civile attraverso l’avvocata Maria Luisa Rossetti. Motivazioni in gran parte tecniche, quelle eccepite dalle difese, ma ce n’è una che riguarda la moltiplicazione delle parti civili. In sostanza hanno chiesto alla giudice di scegliere almeno un solo garante, quello comunale, che possa avere un interesse concreto a costituirsi nel processo. Mellano, a margine dell’udienza, spiega: “Capisco che sia difficile da comprendere, ma noi garanti siamo autonomi e indipendenti per definizione, la nostra non è una struttura gerarchica, non dipendiamo l’uno dall’altro e siamo espressione di organi diversi, io del consiglio regionale, Orso Giacone di quello comunale”. Altra eccezione sull’interesse dell’associazione Antigone, che difende i diritti dei detenuti, di costituirsi parte civile, attraverso l’avvocata Simona Filippi. Era stata proprio Antigone, però, insieme all’avvocata dell’allora garante dei detenuti Armando Michelizza, Maria Luisa Rossetti, ad opporsi alle archiviazioni richieste dalla procura di Ivrea e a chiedere, infine, alla procura generale l’avocazione. Nel frattempo il carcere di Ivrea è stato scosso da un’ulteriore indagine per tortura, condotta dalla magistrata della procura eporediese Valentina Bossi, che ha portato a cambiare sia i direttori che i vertici della polizia penitenziaria. Qui però un primo pronunciamento del Riesame e della Cassazione sulle misure cautelari adottate ha dato ragione alle difese: seppure i giudici abbiano riconosciuto un clima di violenza nel carcere di Ivrea, non ci fu tortura. L’indagine comunque è ancora alle fasi preliminari e prosegue. Brescia. La Garante dei detenuti: “A Canton Mombello spazi inadeguati” di Davide Vitacca bresciaoggi.it, 13 dicembre 2023 Luisa Ravagnani ha presentato alla Commissione della Loggia i dati durante un incontro tenuto all’interno della struttura. Nonostante il sovraffollamento cronico, le telefonate alle famiglie ridotte rispetto al periodo Covid e le celle sempre chiuse, al Canton Mombello si prova a intravedere uno spiraglio di futuro e di immaginare, a piccoli passi, un’idea di carcere che superi il concetto di punizione e punti alla funzione riabilitativa. La fotografia a luci e ombre della vita quotidiana all’interno della casa circondariale di Canton Mombello emerge con chiarezza dall’analisi estremamente lucida (ma non priva di coinvolgimento emotivo) che la dottoressa Luisa Ravagnani, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Brescia, ha illustrato sotto forma di relazione annuale davanti alla commissione consiliare Servizi alla persona e Sanità: riunita all’interno del teatro della struttura detentiva per condividere insieme alla direzione e alle persone recluse un momento di riflessione legato alla Giornata internazionale dei diritti dell’uomo. Il documento, dedicato alla memoria dei due detenuti scomparsi per cause naturali nel 2023, sottolinea una condizione di saturazione che è tristemente in linea con la media nazionale: da qualche settimana la popolazione carceraria italiana ha superato le 60 mila unità a fronte dei poco più d 51 mila posti ufficiali, mentre il Fischione ne accoglie 370 quando ne potrebbe accogliere al massimo 189, con evidenti ripercussioni sulla qualità di vita degli stessi ospiti, del personale di sorveglianza e degli operatori. “Gli spazi sono inadeguati e ciò comporta ovvi problemi di convivenza, ma non vanno trascurate nemmeno le conseguenze sulla salute mentale e sull’equilibrio psico-fisico”, ha rilevato Ravagnani, ricordando con amarezza la piaga dei suicidi che avvengono dietro le sbarre. “Il calo da 84 a 64 suicidi in un anno nelle carceri italiane non può comunque essere festeggiato -- ha fatto notare la Garante --Sono situazioni che non dovrebbero verificarsi”. Giù le custodie cautelari - Sul fronte bresciano piccola positiva è la riduzione del ricorso alla custodia cautelare (dal 28,8% al 26,5% dei detenuti, in fase di rientro perciò nei limiti imposti dall’Europa) e il numero di detenuti che scontano una pena tra i 2 e i 5 anni: sono un terzo del totale e ciò apre a maggiori possibilità di reinserimento sociale. “A patto che anche la collettività sia disposta ad accoglierli e soprattutto che le realtà lavorative siano disposte a dare fiducia”, ha specificato Ravagnani. Collegato alla post detenzione, altro tema caldo esposto è la difficoltà di accedere all’assistenza sanitaria e di trovare soluzioni abitative. “Problema che per gli stranieri presente in misura maggiore anche in caso di assegnazione della libertà vigilata o di misure alternative, non avendo spesso a disposizione riferimenti familiari geograficamente vicini”, osserva la Garante. Luce di speranza - Per spezzare la monotonia di una narrazione che produce molto spesso solo dati allarmanti, Ravagnani ha dato risalto a delle piccole fiammelle che rischiarano il buio: l’esperienza della biblioteca parlante, per sensibilizzare la cittadinanza attraverso testimonianze dirette, o il lavoro sui diritti umani mostrato alla Commissione attraverso letture dal vivo, con pensieri ispirati alla Dichiarazione Universale per tentare di vivere in modo utile e consapevole il tempo della pena. Vicenza. Uno Sportello aiuta (senza chiedere soldi) le vittime di reati Corriere del Veneto, 13 dicembre 2023 Le vittime di reato, qualsiasi esso sia, hanno uno sportello a cui rivolgersi. Per chiedere gratuitamente un supporto emotivo, un orientamento ai servizi del territorio, un’informazione legale. Perché spesso, soprattutto nei casi delle cosiddette truffe affettive in aumento anche nel Vicentino in una fascia d’età eterogenea, la vittima non riconosce il reato nemmeno quando l’evidenza toglie ogni dubbio. Ed è questa una delle ragioni per cui allo sportello si può rivolgere chi ha denunciato ma anche chi non ha maturato la consapevolezza di essere una vittima e che quindi non ha denunciato. Di più. Nella definizione vittima di reato rientra “una persona che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche causate direttamente da un reato”. Lo sportello è stato aperto tre mesi fa al civico 2 di via Porto Godi e fa da punto di riferimento per tutta la provincia. In novanta giorni gli operatori hanno ascoltato 12 persone, a cinque delle quali è stato consigliato un supporto legale. L’iniziativa è finanziata da Cassa delle ammende e conta un cofinanziamento di 20 mila euro da parte delle Regione attraverso il progetto Re-Agire coordinato a livello regionale dell’Istituto Don Calabria. Nemmeno tanto velatamente, gli addetti ai lavori hanno fatto intendere che qualsiasi contributo da parte del Comune è bene accetto. In città il centro è gestito dalla Cooperativa Tangram partecipante al Tavolo della Giustizia Riparativa. Come funziona è presto detto. “Dopo uno o più incontri di accoglienza in cui vengono fornite informazioni sul centro, gli operatori offrono informazioni sui diritti, sostegno emotivo e psicologico, accompagnamento ai servizi. Ci lavorano due operatori dell’accoglienza, due psicologhe, un avvocato, un educatore e un volontario” spiegano i referenti. Per l’assessore al Sociale Matteo Tosetto si tratta di “una nuova offerta che si adatta alle nuove esigenze del territorio e che valorizza un lavoro di squadra e di rete”. Inoltre “il servizio per le vittime collaborerà con il Servizio di Giustizia Riparativa per definire prassi e metodologia di accompagnamento della vittima di reato ai percorsi ad hoc” dice l’assessore. Il perno intorno al quale ruota l’iniziativa, già presente in cinque province venete, è il progetto “Re-Agire”, che, fa sapere il Comune, tra le altre cose “promuove programmazioni condivise di interventi per l’innovazione sociale dei servizi per le persone in esecuzione penale”. Padova. Violenza di genere, il progetto dell’Università che ha coinvolto autori di femminicidio di Gabriele Fusar Poli padovaoggi.it, 13 dicembre 2023 Sei detenuti di un istituto di pena, che hanno commesso o tentato di commettere un femminicidio, hanno partecipato a sessioni di psicodramma. La violenza di genere è un fenomeno dilagante che va prevenuto. Barzellette sessiste, stalking, salari più bassi, matrimoni forzati, femminicidi, mutilazioni genitali, violenza domestica, prostituzione forzata, violenza sessuale, molestie sessuali, abuso sessuale, uso di acidi e delitto d’onore sono solo sono solo alcune delle varie forme di violenza a cui le donne sono esposte in tutto il mondo. Il progetto - Nell’articolo pubblicato su “The Arts in Psychotherapy” con il titolo “Gender-based violence comes on the scene: Creative Arts Therapies intervention in prison with men who committed or tried to commit feminicide” firmato dal gruppo di ricerca della Professoressa Ines Testoni, direttrice del Corso di perfezionamento in Creative Arts Therapies per il supporto alla resilienza dell’Università di Padova, sono presentati i risultati di un intervento psicodrammatico intermodale volto a contrastare il rischio di futuri comportamenti violenti. Sei detenuti di un istituto di pena, che hanno commesso o tentato di commettere un femminicidio, hanno partecipato a sessioni di psicodramma: si sono valutati la motivazione preliminare dei partecipanti al programma, gli aspetti dell’intervento, i cambiamenti personali e relazionali e le riflessioni sui ruoli di genere. La ricerca realizzata dal team della professoressa Ines Testoni si è svolta in due tappe, in anni differenti, e a differenza degli interventi sporadici che normalmente avvengono in carcere si è potuto rilevare il cambiamento degli atteggiamenti che sottostanno al comportamento violento contro la donna. Creative Arts Therapies - Le Creative Arts Therapies (CAT) sono tecniche che utilizzano i diversi canali espressivi delle arti per permettere alle persone di accedere a parti del Sé rimaste segregate nell’inconscio o nella segretezza della rimozione o più banalmente nell’inconsapevolezza e di aprirle al circuito comunicativo con gli altri. Questa dinamica permette loro di potersi guardare, scoprire qualcosa che ignoravano del proprio rapporto con il mondo e con sé stesse. Il primo passo è stato motivare i partecipanti a prendere dal un lato consapevolezza delle rappresentazioni implicite che hanno fatto loro credere di potersi comportare liberamente e senza freni nei confronti della loro vittima, dall’altro che nella vita è necessario saper riconoscere le proprie emozioni, nominarle e gestirle nella relazione con l’altro nell’autocoscienza e nella condivisione con la società in cui si vive. I risultati - Il risultato di questo intervento di gruppo volto alla sensibilizzazione della coscienza (consciousness raising) ha rivelato che: i partecipanti non avevano mai problematizzato la questione e non avevano mai considerato la donna come “altra”, ma di averla idealizzata come madre che deve accudirli e rispondere a tutti i loro bisogni. Le motivazioni dei detenuti a partecipare al programma, come indica la ricerca, sono state dettate dalla necessità di un confronto con qualcuno, dal “togliersi la maschera” che rende le interazioni con altri superficiali, uscire dalla routine della vita da ristretto e lavorare su sé stessi e riflettere sulla propria esistenza. L’intervento con le Creative Arts Therapies e la condivisione di esperienze e sentimenti è stato considerato dai partecipanti utile per accedere a ricordi e riflettere sulle proprie emozioni; la tecnica dell’inversione di ruolo e dell’assunzione del ruolo di io ausiliario ha dato ai partecipanti la possibilità di sperimentare il significato del “vedere” un’altra prospettiva e di guardare con altri occhi; di accedere al loro mondo interiore e di esprimerlo sinteticamente in un’immagine. Vi sono stati dei cambiamenti sia a livello personale che relazionale: i partecipanti hanno sottolineato come l’intervento di psicodramma li abbia aiutati ad acquisire nuovi modi di comportarsi e interagire con gli altri; la qualità delle relazioni che si sono sviluppate tra loro sono state ritenute utili come risorsa spendibile nel futuro. Violenza di genere - Riflessioni sui ruoli di genere: l’ultimo tema ha raccolto le vecchie e nuove narrazioni dei partecipanti sulle rappresentazioni dei ruoli maschili e femminili. È emerso che l’uomo è associato a una figura forte, esente da sensibilità, dall’altra parte la donna è vista come una figura accogliente e di sostegno. Inoltre ci si aspetta che la donna sia devota al marito e alla famiglia e che mantenga questi valori anche di fronte a molestie o violenze. Alla fine del percorso i partecipanti hanno rivisto le proprie posizioni: hanno potuto riflettere sul loro bisogno di mostrarsi forti/dominanti e sulla possibilità di accedere ad aspetti più fragili e sensibili, dando un valore positivo al riconoscimento delle proprie vulnerabilità ed emozioni. Afferma Ines Testoni prima firma della ricerca pubblicata: “Da questo risultato possiamo dire che se vogliamo prevenire la violenza contro le donne e quindi garantire parallelamente il benessere degli uomini bisogna creare degli spazi di consciousness raising anche per questi ultimi prima che essi diventino violenti e assassini. Sicuramente le Creative Arts Therapies possono aiutare in questo, magari a partire fin dalle scuole e da percorsi di crescita personale per gli stessi genitori e insegnanti. Tutte le storie di femminicidio e violenza contro le donne dimostrano che ormai gli stessi uomini sono vittime del patriarcato in quanto vivono in modo disadattivo la capacità della donna di dimostrare la propria intelligenza e di costruire una società nuova. Il cambiamento storico, avviato dopo i diritti umani universali, del contratto relazionale tra individui e nello specifico tra generi, che ha permesso alla donna di ridefinire i propri ruoli esistenziali, è ormai irreversibile - conclude Ines Testoni - e gli uomini che non riescono a gestirlo positivamente non possono che essere degli infelici disadattati che tentano di ripristinare un’idea di autorità in modo arcaico e disfunzionale per sé e per coloro che hanno la sventura di avere un rapporto con loro”. Milano. Il richiamo di mons. Delpini sul sovraffollamento delle carceri e sui tempi della giustizia di Donatella Negri rainews.it, 13 dicembre 2023 L’Arcivescovo di Milano in visita al Palazzo di Giustizia. “I poveri e i deboli nel prolungarsi dei procedimenti sono stremati e patiscono pene che sono ingiuste”, ha detto. La vita della giustizia direttamente dalla voce di magistrati e avvocati. Ad ascoltare in tribunale c’è l’arcivescovo di Milano. Di mezzo c’è la vita della società, l’equilibrio fra l’applicazione della legge con indipendenza e umanità. Tanti gli aspetti delicati affrontati senza reticenze da chi ogni giorno è chiamato, appunto, a rendere giustizia. In primo luogo il sovraffollamento delle carceri, difficile da sanare con la sola legge dell’indulto. “Notiamo chiaramente - dice Francesca Nanni, procuratore generale Corte di Appello di Milano - come il discorso del sovraffollamento delle carceri sia affrontato in base a dei numeri, a delle statistiche, a dei dati, in base soltanto alla determinazione della pena, in modo che questo numero possa scendere”. Serve, invece, maggiore ricorso all’applicazione vera del reinserimento sociale. Giustizia riparativa. Concetto che deve far pensare, dice l’arcivescovo. “Le condizioni delle nostre carceri - dice Delpini - fanno dubitare che possa essere rieducativo”. Altro tasto delicato per Delpini la lunghezza di certi processi. Eccessiva, la definisce senza mezzi termini. Puo’ avvantaggiare perché porta alla prescrizione, ma solo per chi ha soldi e si fa i suoi affari. “Ci sono i poveri e i deboli - dice l’arcivescovo - che nel prolungarsi dei procedimenti sono stremati”. Giustizia che però deve fare i conti con la carenza di personale. Il procuratore della Repubblica, Viola, scrive al consiglio giudiziario sulla riorganizzazione dell’ufficio. Con organici risicati si rischia la paralisi. Si rischia il tracollo? “Siamo vicini ma non ancora - risponde Giuseppe Ondei, presidente della Corte d’Appello di Milano -. Io confido che si riesca veramente con le poche forze rimaste a mantenere uno standard dignitoso di giustizia. Durante l’incontro c’è stato il ricordo del giudice Giuseppe Tarantola, scomparso pochi giorni fa. Nel servizio di Donatella Negri, montato da Mauro Sommaruga, le voci di Francesca Nanni, procuratore generale Corte di Appello di Milano, Mario Delpini, arcivescovo di Milano, Giuseppe Ondei, presidente della Corte d’Appello di Milano. Milano. “La fine della pena”: da domani il congresso di Nessuno Tocchi Caino L’Unità, 13 dicembre 2023 Fino a domenica nel carcere di Opera a Milano, nel trentennale dell’associazione fondata da Pannella e Mariateresa Di Lascia. Il X Congresso di Nessuno tocchi Caino dal titolo “La fine della pena” è convocato nel carcere di Opera a Milano nei giorni 14 (a partire dalle ore 13:00), 15 e 16 dicembre 2023. Il X Congresso ha per i suoi dirigenti e iscritti un valore speciale, perché si celebra nel Trentennale della fondazione di Nessuno tocchi Caino, una creatura concepita da Marco Pannella e Mariateresa Di Lascia per temperare la giustizia con la grazia e affrontare il potere con la nonviolenza. “In questi trent’anni - notano Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti, rispettivamente Presidente, Segretario e Tesoriere dell’Associazione radicale - con la nostra opera laica di misericordia corporale ‘visitare i carcerati’, abbiamo cercato di far vivere la speranza soprattutto nei luoghi dove albergano vite spesso disperate, vittime di regimi giudiziari, penali e penitenziari che sono divenuti ormai dei reperti archeologici della storia, rovine dell’umanità, testimonianze dell’odio, della violenza e del dolore che hanno segnato il nostro passato e di cui è giunta l’ora di liberarsi.” “Mentre - continuano - moltissimo deve essere ancora fatto nell’opera di prevenzione del reato, così come in quella di riparazione, ricucitura, riconciliazione.” Il Congresso di Nessuno tocchi Caino si svolge nel teatro del carcere di Opera intitolato a Marco Pannella dove nel 2015, nell’ultimo congresso al quale il leader radicale ha partecipato, ha preso avvio la campagna “Spes contra spem” per il superamento del “fine pena mai”. Il X Congresso di Nessuno tocchi Caino vedrà protagonisti, insieme ai Presidenti d’Onore dell’Associazione - Santi Consolo, Vincenzo Maiello, Tullio Padovani e Andrea Saccucci - anche magistrati, giuristi, avvocati, parlamentari di tutti gli schieramenti politici, ma soprattutto gli attori della comunità penitenziaria, detenuti e “detenenti” come li chiamava Marco Pannella, per il quale il carcere era da considerare, non una somma, ma un insieme di parti diverse da rispettare e conciliare. I lavori avranno inizio nel primo pomeriggio del 14 coi saluti dei responsabili dell’Istituto e del Provveditore regionale, continueranno per tutto il 15 e finiranno nella tarda mattinata del 16 dicembre. Saranno suddivisi in tre sessioni dal titolo: pena di morte e pena fino alla morte; il viaggio della speranza: visitare i carcerati; la fine della pena. Venerdì 15, alle ore 12, ci sarà anche una sessione di dibattito dal titolo “Quando prevenire è peggio che punire” nella quale interverranno, oltre che a giuristi e avvocati, anche imprenditori e sindaci mai condannati per mafia eppure vittime di confische patrimoniali, interdittive prefettizie e scioglimenti di comuni per mafia. Foggia. La seconda possibilità passa dalla cultura: 100 volumi donati all’Aiga per i detenuti di Maria Grazia Frisaldi foggiatoday.it, 13 dicembre 2023 L’iniziativa “Cultura è Libertà” proseguirà per tutta la giornata di domani. Il punto di raccolta è allestito nel Tribunale di Foggia (Sezione Civile). A due ore circa dall’avvio dell’iniziativa “Cultura è Libertà”, sono oltre un centinaio i libri - per lo più romanzi, ma anche alcuni manuali e fumetti - che tanti operatori della giustizia e singoli cittadini hanno donato all’Aiga - Associazione Italiana Giovani Avvocati - di Foggia, per arricchire la biblioteca del carcere di Foggia. L’iniziativa è partita questa mattina, con un punto di raccolta allestito nel Tribunale di Foggia (Sezione Civile), e proseguirà per tutta la giornata di domani, 13 dicembre. “Attraverso questo semplice gesto, il dono di un libro, pensiamo si possa contribuire concretamente a realizzare la funzione rieducativa e risocializzante della pena, così come previsto dall’articolo 27 della nostra Carta Costituzionale”, spiega la presidente della sezione Aiga di Foggia, avv. Simona Lafaenza. Avvocati, magistrati e dipendenti del Tribunale hanno colto appieno lo spirito dell’iniziativa: “Tanti colleghi hanno donato anche libri nuovi, scelti e comprati appositamente per l’occasione. Non si tratta, infatti, di una iniziativa volta ad ‘alleggerire’ o ‘svecchiare’ la propria libreria, ma di un modo per far pervenire un messaggio, condividere un’idea attraverso un libro”, continua. “Come Aiga, abbiamo sempre avuto a cuore il mondo penitenziario e sosteniamo l’importanza dell’accesso alla cultura negli istituti di pena”, continua Lafaenza. “La nostra azione, infatti, non è solo indirizzata alla formazione e alla politica forense, ma cerchiamo sempre di uscire dalle aule del Tribunale sostenendo azioni di sfondo solidaristico che siano in linea con i nostri principi”. L’evento ha avuto una grandissima risonanza, anche tra le scuole e biblioteche comunali della Capitanata, che hanno riservato numerosi libri per i detenuti dell’istituto di via delle Casermette: “Se la cultura può aprire una finestra sul mondo, la lettura di un singolo libro può aiutare chiunque ad uscire dallo stallo, avere una visione più ampia del mondo, sperare in qualcosa di meglio”. Tra i volumi fatti recapitare in mattinata, c’è anche quello scelto e donato dall’avvocato Mario Aiezza, recentemente nominato responsabile nazionale dell’Onac, Osservatorio Nazionale Aiga sulle Carceri. “Una nomina di assoluto prestigio e rilievo, per la quale ringrazio il Consiglio direttivo nazionale e il presidente Aiga Nazionale, avv. Carlo Foglieni. Rappresentare l’Onac è un impegno e una responsabilità”, spiega Aiezza. “Nel biennio precedente l’organismo è riuscito a realizzare il ‘Libro Bianco’ sulle carceri che, raccogliendo le criticità e le problematiche patite nelle carceri italiane (qui la visita all’istituto penitenziario di Foggia, ndr), restituisce lo stato dell’arte e fornisce il punto di partenza per cercare di riformare l’ordinamento penitenziario, agendo anche su quello penale, da un punto di vista sostanziale, per evitare una visione carcero-centrica”, aggiunge. “Il mondo delle carceri continua, quindi, ad essere attenzionato da Aiga per la sua rilevanza anche sociale: portare la cultura in cella non è una cosa scontata; dare una seconda possibilità lo è ancora meno, ma noi come Aiga ci crediamo, e tanto”, conclude. I libri raccolti verranno fatti recapitare al carcere di Foggia nella prossima settimana, e messi subito a disposizione dei detenuti. Alla consegna parteciperà una delegazione di Aiga Foggia, tra cui l’avvocato Mario Aiezza, nuovo responsabile nazionale Onac e il presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Foggia, l’avvocato Gianluca Ursitti, che ha patrocinato l’iniziativa. Sarà presente la direttrice della casa circondariale di Foggia, Giulia Magliulo e una rappresentanza dei detenuti. Brindisi. Al via progetto “Il carcere alla prova dei bambini e delle loro famiglie” agendabrindisi.it, 13 dicembre 2023 Sabato 16 dicembre, Movimenti Laboratorio Urbano in via Felice Carena (quartiere Sant’Elia di Brindisi) sarà aperto alla comunità per una “staffetta” solidale di raccolta giochi da donare ai figli dei detenuti della Casa Circondariale di Brindisi. L’iniziativa, promossa da Bambinisenzasbarre Onlus nell’ambito del progetto nazionale “Il carcere alla prova dei bambini e delle loro famiglie - Applicazione della Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”, è coordinata da Eridano Cooperativa Sociale, implement partner per il territorio di Brindisi e cogestore dello “Spazio Giallo”, un luogo dedicato ai bambini all’interno dello stesso carcere nel quale vengono accolti da operatori qualificati prima dell’incontro con il genitore detenuto intercettandone i bisogni o il disagio del distacco. L’idea dello Spazio Giallo nasce nel 2007 dall’esperienza di Bambinisenzasbarre nel carcere di San Vittore; oggi fa parte di un Sistema di Accoglienza che è diventato modello e si è esteso su tutto il territorio nazionale diventando punto di riferimento per la cura delle relazioni familiari in detenzione con al centro i diritti del bambino. La struttura brindisina Movimenti Laboratorio Urbano resterà aperta dalle ore 12:30 alle ore 17:30 di sabato 16 dicembre; nell’arco della giornata sono previsti laboratori creativi e musicali a tema natalizio. Ai partecipanti verrà offerta una merenda preparata dalla Banda dell’Ortica, progetto della Cooperativa Eridano di inserimento lavorativo di persone con disabilità e provenienti da percorsi di esecuzione penale. La comunità brindisina è quindi invitata a raggiungere il laboratorio urbano Movimenti per portare giochi, nuovi o in ottimo stato di conservazione, o semplicemente per condividere delle idee per regalare ai bambini un Natale diverso, sereno e, per quanto possibile, felice. Lucca. “Letture oltre le mura”, nasce la raccolta libri per i detenuti luccaindiretta.it, 13 dicembre 2023 È possibile donare un proprio testo o acquistarne di nuovi nelle librerie aderenti all’iniziativa organizzata dall’Associazione giovani avvocati. Una campagna di raccolta libri per i detenuti della casa circondariale della nostra città. La organizza l’Associazione giovani avvocati sezione di Lucca, con la collaborazione dell’Ordine degli avvocati: tutti coloro che vogliono donare un testo possono farlo fino a lunedì (18 dicembre), data entro la quale sarà possibile consegnare i libri nella sede della segreteria dell’Ordine degli avvocati al primo piano del tribunale, in via Galli Tassi 61. Sarà inoltre possibile l’acquisto di un libro da donare al carcere in tutte le librerie aderenti all’iniziativa, che faranno anche da punto di raccolta per i volumi usati. A Lucca le librerie che hanno aderito all’iniziativa sono le seguenti: libreria Fuori Porta in via Dante Alighieri 154, libreria Ubik in via Fillungo, 137, Lucca Libri caffè letterario in viale Regina Margherita 113, libreria Lucca Sapiens in via Borgo Giannotti 247, Mondadori Bookstore in via Roma 20, libreria Feltrinelli in via Beccheria, 29, Il collezionista in piazza San Giusto 1. A Viareggio, invece, le librerie che hanno aderito sono: Mondadori Bookstore in viale Regina Margherita 30; libreria Lungomare in viale Guglielmo Marconi, 68, libreria Lettera 22 in via Giuseppe Mazzini, 84/86. A Lido di Camaiore: libreria Diffusione del libro in viale Ermenegildo Pistelli 21. Sono particolarmente apprezzati testi in lingua araba, in albanese, il Corano, dizionari francese - italiano, inglese - italiano, codice penale e ordinamento penitenziario aggiornati con le riforme. L’iniziativa, accolta con interesse sia dagli addetti ai lavori che da parte della cittadinanza, ha già riscosso molto successo e ci aspettiamo di ricevere altre adesioni nel corso della settimana. “Il carcere dovrebbe essere un luogo rieducativo, alla stessa stregua delle istituzioni scolastiche, in cui l’attenzione è rivolta all’apprendimento e al futuro degli studenti. Purtroppo - afferma Alessandra Severi, referente di sezione per l’osservatorio nazionale Aiga sulle carceri - molto spesso i detenuti alla fine della pena non hanno futuro e il tempo trascorso nei penitenziari paradossalmente diventa un’esperienza criminogena. Il senso della pena non deve essere meramente afflittivo. Tutti dovremmo interrogarci sui 61 suicidi che sono avvenuti nel 2023 nelle carceri italiane, tale numero deve necessariamente farci riflettere. I dati diffusi a fine novembre dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria evidenziano di nuovo la gravissima criticità del sovraffollamento degli istituti”. “La nostra sezione non ha la presunzione di poter cambiare la complessità delle carceri italiane e del sistema penitenziario, ma la volontà è certamente quella di porre attenzione su un luogo che rappresenta tutta la società civile e troppo spesso viene dimenticato. La raccolta dei libri è la prima di una serie di iniziative di cui Aiga si farà portavoce” conclude l’avvocato. I libri raccolti saranno donati alla struttura prima di Natale ed in quell’occasione una delegazione di avvocati lucchesi farà visita alla struttura carceraria. Per qualsiasi informazione ulteriore è possibile scrivere a aigalucca.organizza@gmail.com. Lucera (Fg). Nel carcere si attende il Natale riflettendo sul valore della vita immediato.ne, 13 dicembre 2023 Successo per lo spettacolo organizzato dal Cpia1 Foggia e coordinato dal maestro Sergio Picucci. Andrianello: “Grazie di averci messo il cuore”. La rinascita, l’amore, la responsabilità: sono solo alcuni dei temi affrontati dagli studenti ristretti durante l’iniziativa “Melodie e parole in libertà. Racconti in musica aspettando il Natale”, organizzata il 12 dicembre nella casa circondariale di Lucera. L’incontro, fortemente voluto dal Cpia1 Foggia “David Maria Sassoli”, ha visto gli alunni detenuti protagonisti di una vera e propria iniziativa culturale, coordinati dal maestro Sergio Picucci, con l’aiuto di Alessandro C., presentatore per un giorno. “Queste iniziative - ha sottolineato la dirigente scolastica, Antonia Cavallone - sono molto importanti perché aiutano a ricreare l’atmosfera natalizia anche in carcere, un luogo in cui la lontananza dagli affetti diventa più dolorosa durante le festività. Ci sono tante barriere anche fuori: molte persone non vivranno con il sorriso questo periodo a causa di tanti problemi o lutti. Non fatevi dominare dalla tristezza e dalla malinconia, siete comunque nei pensieri e nel cuore dei vostri cari, nonostante la distanza”. Nel cortile della casa circondariale, numerosi i brani musicali eseguiti dai detenuti grazie all’accompagnamento di Sergio Picucci e dei musicisti professionisti Luciano Parisano (chitarre), Renzo Picucci (basso) e Alfredo Ricciardi (percussioni). Da Riccardo Fogli a Gianluca Grignani, da Pino Daniele ai Modà passando per Riccardo Cocciante: le canzoni sono state arricchite e introdotte da riflessioni profonde, lette con grande emozione dagli stessi autori ristretti. “I nostri alunni si sono molto impegnati durante i laboratori di musica, canto e di scrittura creativa e credo che nel corso della mattinata i risultati si siano potuti ascoltare. Per l’organizzazione di questo evento - ha sottolineato un applauditissimo Sergio Picucci - desidero ringraziare la dirigente scolastica Antonia Cavallone e tutte le colleghe, il direttore della Casa Circondariale, Patrizia Andrianello, il comandante di reparto Daniela Raffaella Occhionero, la responsabile dell’area trattamentale, Simona Salatto, l’Ispettore superiore Pietro Bernardi responsabile delle attività trattamentali, l’assistente capo coordinatore Massimo Maiori e tutto il corpo di Polizia Penitenziaria; Antonio Pepe per il servizio fotografico. Un saluto e un sentito ringraziamento per la presenza vanno al magistrato di sorveglianza Clara Rita Goffredo e alla responsabile della promozione del volontariato penitenziario del CSV Foggia, Annalisa Graziano”. Non pochi i fuori programma musicali che hanno animato la manifestazione, da “Azz…” di Federico Salvatore e “Je so pazz” di Pino Daniele in salsa coratina, a un omaggio a Toto Cotugno. “Ho notato del talento tra voi - ha detto in conclusione il direttore Andrianello - e spero che questo corso possa aiutarvi a costruire una professione nel futuro, fuori dal carcere. Ringrazio tutti per l’impegno e per averci messo il cuore”. Roma. Rebibbia, nove detenuti portano in scena uno spettacolo contro l’indifferenza di Rinaldo Frignani Corriere della Sera, 13 dicembre 2023 “Coraggio senza confini - Voci oltre il buio” è il titolo dello spettacolo organizzato dall’associazione “Robert F. Kennedy Human Rights Italia”, presieduta da Stefano Lucchini. Presente il sottosegretario Andrea Ostellari. È intitolato “Coraggio senza confini - Voci oltre il buio” lo spettacolo andato in scena sul palcoscenico del Teatro Casa Circondariale Roma Rebibbia “Raffaele Cinotti” promosso dall’associazione “Robert F. Kennedy Human Rights Italia”, presieduta da Stefano Lucchini impegnata nella difesa dei diritti umani e nella realizzazione di progetti dal forte impatto sociale. Coinvolti nell’iniziativa nove detenuti, allievi di uno specifico corso di teatro. “La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo è stata una grande conquista che è doveroso ricordare ma soprattutto applicare. È per questo che siamo particolarmente orgogliosi, in un anniversario così importante, di aver promosso uno spettacolo davvero unico realizzato grazie all’impegno appassionato di persone che, attraverso il teatro, trovano una via per il proprio riscatto - spiega proprio Lucchini -. Lo spettacolo messo in scena a Rebibbia è una bellissima dimostrazione dell’importanza della sinergia tra istituzioni e Terzo Settore che porta molto spesso a risultati straordinari. Un ringraziamento particolare alla direttrice Santoro che abbiamo premiato per le straordinarie attività condotte all’interno della casa circondariale di Rebibbia”. L’opera teatrale del regista Ariel Dorfman, tradotta da Alessandra Serra, è stata realizzata interpretando il libro “Speak Truth to Power”, scritto da Kerry Kennedy, figlia del senatore Bob Kennedy e fondatrice dell’associazione “Robert F. Kennedy Human Rights”, nel quale l’autrice racconta storie di uomini e donne testimoni di violenze e sopraffazioni ma che hanno trovato il coraggio di reagire e di raccontarle. L’evento è stato promosso in occasione del 75° anniversario della proclamazione, da parte dell’Assemblea Generale dell’Onu, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Nello spettacolo l’essere umano è rappresentato come una incarnazione mitica, un Profeta dei Molteplici Mali, che con le sue parole e con la sua presenza ricorda costantemente contro cosa lottano i difensori. All’inizio della commedia egli viene subito individuato come un personaggio pericoloso, nel senso che è in grado di far del male anche fisicamente, un’entità che è sempre in agguato all’interno dello Stato e della Società ed è pronta a passare all’azione, ma, visto che i difensori stessi dimostrano di non lasciarsi fermare dalle intimidazioni (tortura, prigione, esilio), l’Uomo diventa qualcosa di più perverso e dilagante e in un certo senso più familiare sia per coloro che stanno sulla scena sia per chi li guarda: diventa quel genere di energia di cui sono fatte l’apatia e l’indifferenza, ossia i peggiori nemici nella lotta per un mondo migliore. Il regista Ariel Dorfman, scrittore cileno americano, dirige la cattedra Walter Hines Page di Letteratura e Studi Latino-Americani presso la Duke University, negli Stati Uniti. Ha ricevuto numerosi premi internazionali e i suoi libri, scritti sia in inglese che in spagnolo, sono stati tradotti in più di 40 lingue e le sue opere teatrali rappresentate in oltre 100 paesi. All’evento hanno partecipato, tra gli altri, il senatore Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia, Federico Moro, segretario generale “Robert F. Kennedy Human Rights Italia”, con Rosella Santoro direttrice della Casa circondariale di Rebibbia, Carolina Rocha Barreto, Human Rights Education Specialist dell’”associazione Robert F. Kennedy Human Rights Italia”. “Cultura e lavoro in carcere non sono un premio per i detenuti, ma un investimento in sicurezza per il Paese. Fare rieducazione oggi significa avere meno spaccio, furti e rapine domani. - ha affermato Ostellari -. Il sistema dell’esecuzione penale presenta tre gravi criticità: suicidi, aggressioni e un consistente tasso di recidiva. Il ministero della Giustizia è impegnato per risolverle. Contare sulla collaborazione di soggetti come la Fondazione Kennedy, che ringrazio, agevola un compito fondamentale quanto gravoso”. Milano. Fiori e dolci: ecco il mercatino di Natale del carcere di Bollate di Roberta Rampini Il Giorno, 13 dicembre 2023 L’economia carceraria in mostra per lo shopping natalizio. Si rinnova anche quest’anno il tradizionale appuntamento con il mercatino di Natale nella II casa di reclusione di Milano Bollate. Lungo i corridoi del carcere saranno esposti e in vendita prodotti realizzati dai detenuti che lavorano nelle cooperative, come quelli di Zerografica, coop che produce stampe (biglietti da visita, carta intestata, calendari, volantini, litografia, stampa magliette personalizzate). Ci saranno piante e fiori coltivati dalla Coop Cascina Bollate che si occupa della manutenzione delle aree verdi e delle serre; prodotti del laboratorio di sartoria della Cooperativa sociale Alice; panettoni, torroni e cioccolato del Consorzio Viale dei Mille. Saranno presenti anche gli stand di Carte bollate e Salute ingrata, le testate dei detenuti. Lo stand della polizia penitenziaria, dell’azienda Cisco, leader mondiale nei settori del networking e dell’It che da anni lavora in carcere. “Il mercatino di Natale rappresenta uno dei momenti più significativi per mostrare alla collettività il carcere come luogo di riscatto e di recupero - spiega Giorgio Leggieri, direttore del carcere - è un’occasione per valorizzare il lavoro di volontari e aziende che hanno deciso di investire le loro energie in carcere con l’obiettivo di favorire il reinserimento sociale dei detenuti, principio fondante di Bollate, che passa anche e soprattutto attraverso le attività professionali”. Chi desidera visitare il mercato deve registrarsi entro giovedì 14 sul sito www.rerum.eu e scegliere tra due fasce orarie, alle 14.30 o 17.30 (è comunque necessario arrivare 30 minuti prima per la registrazione). Pisa. Concerto presso il carcere Don Bosco di Ellie e Nicola (Duo Iberia) Ristretti Orizzonti, 13 dicembre 2023 Lunedì 4 dicembre si è svolto presso la Casa Circondariale Don Bosco di Pisa un evento molto particolare: due musicisti, accompagnati da una operatrice dell’associazione Do Re Miao già attiva presso l’istituto, hanno offerto la loro musica alle detenute e ai detenuti presso la Cappella messa gentilmente a disposizione per l’occasione. Grazie alla collaborazione con l’Accademia Musicale Pontedera e al prezioso sostegno di Fondazione Pisa si stanno infatti realizzando diverse iniziative che fanno parte del più ampio progetto di Musica Inclusiva. Le parole dei musicisti sintetizzano il grande significato di questa esperienza. Nella speranza di poter presto replicare ringraziamo la direzione del carcere per aver accettato la proposta e le responsabili dell’area educativa che hanno permesso di organizzare tutto al meglio. “Ci teniamo a ringraziare Barbara e la sua associazione Do Re Miao per averci dato l’opportunità di vivere un’esperienza unica e preziosa, permettendoci di condividere questo breve ma emozionante concerto, con i detenuti della Casa Circondariale di Pisa. Crediamo che la musica sia per tutti, soprattutto per chi è disposto ad ascoltare, e lì in quella sala, anche più che nell’usuale contesto di un teatro, abbiamo trovato dei ragazzi che, forse inaspettatamente, con curiosità e interesse si sono aperti in una spontanea vibrazione condivisa. “Per simpatia”, così come un corpo che capace di vibrare, investito da un’onda vibra alla stessa frequenza. Il programma che abbiamo proposto vestito per l’occasione, affronta tra le note temi delicati come l’immigrazione e la distinzione sociale che il rapporto tra la musica colta e quella popolare si porta dietro da sempre. Ci auguriamo che questa musica, carica di un significato profondo e rilasciata senza formalità in un contesto così ricettivo, come fosse acqua sulla superficie di un deserto, abbia portato l’esecuzione direttamente al cuore dei presenti, persone come noi. Disuguaglianze sociali in aumento, ma la politica non dà risposte di Mauro Magatti Corriere della Sera, 13 dicembre 2023 La sinistra si occupa di società in modo rituale, la destra cavalca il malcontento: così cresce l’astensionismo. Il dibattito di questi mesi sul salario minimo ha solo sfiorato la questione delle disuguaglianze sociali che, da molto tempo ormai, non è più un tema capace di incidere sulla agenda politica. La sinistra le richiama in modo più o meno rituale. Ma il problema è che, persa la base dei militanti, i suoi gruppi dirigenti appaiono culturalmente molto lontani dai ceti popolari di oggi, che non conoscono e non capiscono. La frammentazione delle condizioni di lavoro e la penetrazione di nuovi modelli culturali hanno col tempo scavato un fossato che sembra incolmabile. La destra sa cavalcare il malcontento, che trova proprio nell’aumento delle disuguaglianze il suo terreno di coltura, ma non va alla radice del problema. Modi bruschi e linguaggio aggressivo - con malcelati ammiccamenti all’odio e alla violenza - riescono a intercettare il risentimento che ribolle in molte persone. Senza, però, sapere poi dare risposte adeguate. Da qui la fragilità delle democrazie contemporanee, che si manifesta in due modi. Da un lato, con l’aumento dell’astensionismo: non ci si sente rappresentati da nessuno, e perciò non si va più alle urne. Dall’altro, con il continuo riemergere di forze populiste più o meno estremiste. Che qualche volta arrivano ad assumere posizioni anti-sistemiche. Eppure i dati parlano chiaro. Nel corso degli ultimi trent’anni, le disuguaglianze all’interno dei Paesi avanzati sono costantemente aumentate. Se guardiamo, per esempio, alla concentrazione della ricchezza, in Europa (che rimane il Continente nettamente meno disuguale al mondo) l’1% più ricco dispone del 25% della ricchezza complessiva. Sempre in Europa, la ricchezza cumulata dal 10% più ricco è 66 volte maggiore di quella del 50% più povero. E tra il 1980 e il 2020 il divario tra lo stipendio del dipendente meno pagato e quello dei top manager è cresciuto passando da un massimo di 45 fino a 649 volte. Si potrebbe continuare a lungo. Una tendenza generale che in Italia è addirittura più marcata, tenendo conto che i salari sono stagnanti da molti anni, mentre i profitti e le rendite hanno segnato una crescita costante (anche se poi il Paese “recupera” un suo “equilibrio” attraverso l’enorme sacca della evasione fiscale, che tuttavia crea altri gravi problemi). A questo quadro si deve poi aggiungere un’ulteriore aggravante: il livello di indebitamento pubblico dei Paesi avanzati - compresi quelli europei - è molto cresciuto negli anni, raggiungendo livelli record. Il rapporto debito pubblico/Pil per l’insieme dei Paesi avanzati (sceso in media attorno al 30% negli anni ‘70) è tornato a crescere senza interruzione dagli anni ‘80, fino a raggiungere una media del 110%, pari solo ai livelli toccati durante la Seconda guerra mondiale. Col problema che la maggiore spesa pubblica incide poco sulla distribuzione del reddito. È vero, per esempio, che in Europa le tasse riducono il divario di reddito tra il 10% più ricco e il 50% più povero di circa il 30%, ma senza riuscire a invertire la tendenza sopra descritta. Ciò significa che la spesa pubblica ha cercato di mettere pezze, piuttosto che guidare i processi: la creazione del consenso di breve periodo dà un tornaconto elettorale maggiore rispetto allo sforzo di costruzione di un equilibrio tra crescita economica e integrazione sociale. È in questa situazione che ora stiamo cominciando ad affrontare una nuova stagione economica, che si annuncia assai incerta. Gli assetti della globalizzazione sono saltati; la crescita economica non è più scontata; l’instabilità cresce, generando forte instabilità (come nel caso dell’inflazione indotta dalla tempesta sui mercati energetici causata dalla guerra in Ucraina). Mentre davanti a noi vi sono due montagne da scalare, come la costosissima e difficilissima transizione ecologica e i prevedibili effetti sul mercato del lavoro associati con la fase matura della digitalizzazione (che verosimilmente apporterà benefici nel medio-lungo termine, ma che nel percorso di trasformazione comporterà costi sociali non trascurabili). Siamo dunque in un passaggio delicato, in cui la politica è chiamata a ridefinire le proprie cornici di riferimento. Né la lettura che viene da destra - ormai lontana dalle posizioni neoliberiste ma ancora incerta sull’atteggiamento da tenere rispetto alle spinte populiste - né quella che viene da sinistra - paladina dei diritti civili e della sostenibilità, ma in difficoltà nel leggere le trasformazioni economiche e sociali e nello spiegare come rendere compatibile l’innovazione con la giustizia sociale - sono in grado di dare risposte soddisfacenti all’insieme dei problemi che dobbiamo affrontare. E che le persone vivono sulla loro pelle. A giugno si terranno le elezioni europee. Si può sperare che il dibattito politico nell’intero Continente faccia un passo in avanti, aggiornando le proprie mappe alla situazione reale della società e dell’economia. Le opportunità sono grandi. Ma altrettanto lo sono i rischi. Droghe. L’Onu rivedrà la proibizione della foglia di coca di Martin Jelsma* Il Manifesto, 13 dicembre 2023 La Bolivia ha avviato il processo di revisione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) della classificazione della foglia di coca come stupefacente ai sensi della Convenzione unica del 1961, un’opportunità senza precedenti per correggere una grave ingiustizia storica. La modifica dello status della coca nei trattati sulle droghe dell’ONU potrebbe rivendicare i diritti dei popoli indigeni e aprire mercati internazionali per i prodotti naturali della coca. Può generare opportunità di sostentamento lecito per i coltivatori e contribuire alla costruzione della pace nella regione andina, portando i benefici della coca alle popolazioni di tutto il mondo. La revisione può anche aiutare a modernizzare un sistema di trattati sulle droghe che è ancora impantanato nei pregiudizi coloniali e razziali da cui è nato a metà del XX secolo. Come ha spiegato il Presidente boliviano Luis Arce, la foglia di coca ha “antichi usi medicinali, nutrizionali e fitoterapici tradizionali che non causano dipendenza né effetti nocivi sulla salute”. Allo stesso tempo, ha sottolineato che la Bolivia “non intende diminuire in alcun modo il controllo internazionale della coltivazione della coca e dell’uso delle foglie di coca per la produzione illecita di cocaina”. Anche se la foglia dovesse essere eliminata dalle tabelle, le convenzioni richiederebbero comunque agli Stati di impedire che essa venga utilizzata per la produzione illecita di cocaina. Nel “Dossier di supporto”, il governo della Bolivia descrive il processo gravemente lacunoso che ha portato alla decisione di classificare la foglia di coca come una droga della Tabella I, concludendo che la “responsabilità istituzionale primaria di questo errore storico… è dell’OMS stessa”. Le imbarazzanti citazioni di funzionari delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti dell’epoca mostrano il palese razzismo che ha portato alla decisione di abolire entro 25 anni la pratica tradizionale della masticazione della coca. Quella fatidica scelta condannò una cultura andino-amazzonica millenaria e criminalizzò molte migliaia di coltivatori, commercianti e consumatori di coca. Fino ad oggi, lo status della foglia di coca nella Convenzione Unica non è mai stato formalmente riconsiderato. Nel 1992, il Comitato di esperti dell’OMS aveva affermato che la foglia di coca era adeguatamente classificata perché “la cocaina è facilmente estraibile dalla foglia” senza valutare la presunta assuefazione e nocività. Nel 1995 un ampio studio di OMS e UNICRI (Istituto delle Nazioni Unite su crimine e giustizia) aveva concluso che “l’uso tradizionale della coca non sembra avere effetti negativi sulla salute e che svolge funzioni terapeutiche, sacre e sociali positive tra i gruppi indigeni della regione andina”. Raccomandava persino di indagare se i benefici della foglia potessero essere estesi ad altri Paesi e culture. Sotto la pressione degli Stati Uniti il rapporto non è stato mai pubblicato ufficialmente dall’OMS. La revisione critica dell’OMS dovrebbe essere completata entro il 2024 e, a seconda dei risultati, potrebbe raccomandare cambiamenti nella classificazione della coca. La decisione sulle raccomandazioni dipenderà dal voto della maggioranza dei 53 Stati membri della Commissione sugli Stupefacenti dell’ONU (CND). Il risultato ideale, secondo il governo boliviano, sarebbe quello di eliminare completamente la coca dagli elenchi della Convenzione unica. Tuttavia, è probabile che qualsiasi raccomandazione per modificare l’attuale status della coca si scontri con una forte opposizione politica in seno alla CND. Sarà necessario il sostegno attivo di altri Paesi e della società civile per fare un passo verso la trasformazione di un sistema di trattati che sembra congelato nel tempo. *Transnational Institute Gran Bretagna. Sunak salva il “piano Ruanda”. Nave prigione per migranti, c’è un morto di Leonardo Clausi Il Manifesto, 13 dicembre 2023 La Camera approva di misura. Per il migrante sulla Bibby Stockholm ipotesi suicidio. Adesso il testo dovrà essere votato dai Lord. Nuovi ostacoli in arrivo. Un richiedente asilo è morto sulla Bibby Stockholm, la galera senza remi ormeggiata in Dorset di cui il governo Sunak è “armatore”. Si sarebbe tolto la vita ieri, probabilmente per le condizioni dis-umanitarie che devono sopportare a bordo gli oltre duecentocinquanta migranti ivi confinati dall’ottobre scorso, secondo la politica di deterrenza agli sbarchi sbandierata dallo slogan stop the boats, zattera elettorale di un governo in alto mare. È soltanto il terzo suicidio - stavolta riuscito - da parte di rifugiati destinati alla chiatta totalitaria: altri due ci avevano provato, fortunatamente senza successo, mesi addietro, una volta appreso che la loro odissea si sarebbe conclusa lì. La tattica del confino galleggiante dei migranti in attesa di ricevere un responso alla propria richiesta di asilo in Gran Bretagna è fallimentare, oltre che disumana. Vi erano stati tradotti già lo scorso agosto e poi immediatamente fatti evacuare: c’era un batterio nell’acqua potabile. Vi sono stati fatti risalire a ottobre. Il ministero dell’Interno, occupato al momento da James Cleverly - che ha sostituito la defenestrata Suella Braverman solo giorni fa nella gig politics di un partito conservatore affetto da autofagia - ha annunciato l’apertura di un’inchiesta. La notizia arrivava proprio nel giorno più lungo per Rishi Sunak e il suo altrettanto sgangherato e crudele piano per l’esternalizzazione dei migranti “clandestini” in Ruanda, un piano che sono in pochi a volere nel suo stesso partito e dalla cui sorte dipendeva - nonostante non fosse un voto di fiducia - la sua leadership. E ieri sera, ai Comuni, dopo un dibattito di oltre cinque ore lo si è votato in seconda lettura, frettolosamente rimaneggiato per convincere i riottosi della destra Tory - che lo consideravano troppo debole e succube della Corte europea dei diritti umani - e dei centristi, per i quali costituirebbe invece l’ultimo strappo fatale con l’Europa da loro aborrito. Alla fine Sunak se l’è cavata per 44 voti, 313 sì contro 269 no. Ora la legge attraverserà altri dibattiti ed emendamenti prima del voto dopo la terza lettura l’anno prossimo. Meglio, certo, di un’umiliante sconfitta, ma non esattamente quello che il governo voleva: la legge era considerata “emergenziale” e sarebbe dovuta passare ben più rapidamente se non fosse stato per la scarsa tenuta del potere di Sunak sul suo partito. Per tacere dal successivo passaggio ai Lord, dove c’è da aspettarsi altri ostacoli. Il giorno finora più lungo di Sunak era iniziato presto, con la convocazione straordinaria e ultra-mattutina dei suoi parlamentari a Downing Street. Per fargli deglutire, oltre al porridge, proprio questo “Rwanda bill”. Una legislazione straordinaria che il Premier aveva annunciato la settimana scorsa come rimedio al precedente siluramento del piano da parte della Corte suprema per ragioni umanitarie (i giudici avevano bocciato l’operazione per i rischi posti alla sicurezza dei migranti da un paese il cui curriculum sui diritti umani è quantomeno dubbio). Il testo rimaneggiato, scaturito dall’aver siglato un secondo trattato con il paese est africano in cui questo si impegna a non respingere i migranti nel luogo da cui sono partiti, per il governo ottempera ai requisiti sollevati dal diritto nazionale (Corte suprema) e dovrebbe fornire poteri tali da permettergli di travalicare i dinieghi di quello internazionale (Corte europea dei diritti umani), prevenendo almeno in parte gli infiniti ricorsi intentati da ciascun migrante. Ma per le varie correnti della destra Tory non era abbastanza. La settimana scorsa, il già alleato di Sunak ministro dell’immigrazione, Robert Jenrick, dava le dimissioni denunciandone l’innocuità: il governo dovrebbe sbattersene del diritto internazionale nel nome della Sovranità. Ecco sotto i piedi di Sunak riaprirsi la faglia Tory pro/contro Brexit che già aveva terremotato Theresa May. Finora in Ruanda sono volati più ministri che migranti: l’ultimo è Cleverly, la scorsa settimana. Kigali non si lamenta: ha ricevuto da Londra a oggi 190 milioni di sterline senza aver ancora mosso un dito. Mentre il Labour di Keir Starmer si gode la scena. Ma la loro contrarietà al piano è solo di metodo, non di merito. Loro farebbero in buona sostanza lo stesso. Solo, un po’ “meglio”. Ungheria. “Record di detenuti e condizioni critiche delle carceri” di Massimo Congiu Il Manifesto, 13 dicembre 2023 L’Helsinki Hungarian Committee è tra le principali Ong che monitorano in maniera indipendente le carceri magiare. Altro problema, sottolinea, è l’indipendenza dei giudici. “La riforma 2023? Effetti solo a lungo termine”. L’Helsinki Hungarian Committee è tra le principali Ong di Budapest che monitorano in maniera indipendente le carceri magiare. Dove si trova da 10 mesi Ilaria Salis, in attesa di giudizio, e dove rischia di finire Gabriele Marchesi, su cui pende un mandato d’arresto europeo. Entrambi sono accusati di aver aggredito dei militanti neonazisti il 10 febbraio scorso. Zsófia Moldova ed Erika Farkas sono due avvocate dell’Ong, lavorano nei programmi su giustizia e Stato di diritto. Come si vive nelle carceri ungheresi? Zsófia Moldova: Le condizioni di detenzione sono critiche. Ci sono grandi problemi di comunicazione con l’esterno. La proporzione fra numero dei detenuti e operatori penitenziari presenta squilibri più che evidenti. La politica ungherese si occupa di questo problema? ZM: Come può farlo un sistema illiberale e populista. Ma non basta: il tema riguarda 19mila detenuti. Mai così tanti dal 1990. L’Ungheria è lo stato Ue con la più alta percentuale di persone in carcere rispetto alla popolazione. La lunghezza delle pene detentive è superiore alla media europea. Con che frequenza si ricorre al carcere? ZM: Qui non vale il principio della detenzione come ultima ratio. Nelle carceri ci sono tantissime persone che dovrebbero stare altrove. Non è compito del sistema penale o penitenziario rimediare alle carenze di politiche sociali e assistenza psichiatrica. Quali sono i limiti della carcerazione preventiva? ZM: Dipende dal reato di cui si viene accusati. Secondo i dati della procura in quasi il 10% dei casi la durata dell’arresto supera i 12 mesi. Il codice di procedura penale stabilisce che può arrivare fino a cinque anni per chi rischia l’ergastolo. Per i reati punibili con oltre un decennio di carcere [come quello di Salis, ndr] la carcerazione preventiva può durare anche quattro anni. A livello giudiziario cosa succede? Erika Farkas: Dal 2011 il governo attenta costantemente all’indipendenza della magistratura. Perciò il tema è centrale, insieme a quello della corruzione. Secondo l’Ue esiste un problema grave, a livello di Stato di diritto. Ciò ha portato al congelamento dei fondi di coesione alla fine del 2022. Il primo passo significativo di questa serie di attacchi è stato la destituzione prematura dell’ex presidente della Corte Suprema András Baka, in relazione alla quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che non si trattava solo di una violazione dei diritti nei confronti dell’interessato, ma di un’iniziativa che ha provocato effetti deleteri su tutta la magistratura. Lo scopo del governo Orbán era quello di mettere a tacere i giudici critici che difendevano la loro indipendenza. Ci sono riusciti? EF: Si è verificato un pensionamento forzato di molti giudici e tanti dirigenti dei tribunali sono stati costretti a dimettersi. La Corte di giustizia Ue ha accertato la violazione della legge, ma il danno verificatosi è irreparabile: le figure rimosse sono state sostituite da personaggi nominati dalla maggioranza politica. Le leggi formulate dal 2010 hanno consentito un’attività amministrativa sostanzialmente incontrollata per più di dieci anni. Siamo stati testimoni di numerosi abusi ai danni dell’indipendenza della magistratura: campagne diffamatorie contro i giudici più critici, revoca dei premi, nomine irregolari di magistrati, iniziative disciplinari ingiuste e assunzioni dei più importanti dirigenti dei tribunali sulla base di criteri puramente politici. Più recentemente, però, ci sono stati dei miglioramenti... EF: La riforma giudiziaria del 2023 ha compiuto passi significativi per ripristinare l’indipendenza della magistratura. Il governo era obbligato dalla Ue, altrimenti non avrebbe riavuto l’accesso ai fondi. Gli effetti di questa nuova legge, però, si faranno sentire solo a lungo termine. I suoi risultati effettivi dipenderanno in gran parte dalla capacità dei giudici stessi di fare da contrappeso alle aspirazioni del potere politico.