“Cambiare il modo di concepire la detenzione” di Claudia Diaconale L’Opinione, 19 settembre 2022 Sovraffollamento, aumento dei suicidi, condizioni degradanti anche per il personale penitenziario: è ora di ripensare la detenzione. Emilia Rossi è avvocata penalista e componente del Collegio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, insieme al presidente Mauro Palma e alla dottoressa Daniela de Robert. La raggiungo telefonicamente e, inevitabilmente, la prima domanda che le pongo riguarda la cronaca in merito ai presunti disordini nel carcere di Torino. “È una notizia che non si presta a un commento visto che non è stato registrato, negli ultimi giorni in particolare, alcun evento critico del genere nel carcere di Torino. L’unica iniziativa di cui si ha notizia nei tempi recenti, assunta dalle donne detenute nella sezione femminile, è una iniziativa del tutto pacifica, volta alla sensibilizzazione della politica sulle condizioni della detenzione in Italia, soprattutto di quella delle donne, consistita in un appello al Presidente della Repubblica. Purtroppo, accade che alcuni organi di informazione enfatizzino prese di posizione di alcune parti e finiscano per dare rappresentazioni non corrette”. Dottoressa, le chiedo un riscontro su questo fatto di cronaca perché, purtroppo, molto spesso noi media abbiamo una responsabilità nel modo di comunicare le notizie: quanti danni produce buttare in pasto all’opinione pubblica notizie “acchiappa-click” che producono reazioni istintive, di pancia, senza che però abbiano alcun fondamento? Il danno che viene prodotto da notizie del genere è notevole perché incide sulla contrapposizione ideologica tra quelli che vogliono tutti fuori e quelli che dicono tutti dentro, buttando la chiave, in nome della certezza della pena. All’interno di questo dualismo, vengono portate avanti posizioni che pensano al carcere come luogo esclusivo di reclusione, di contenimento e segregazione. Così, tutte le misure che non comportano restrizione esclusiva, ma che rendono il carcere un luogo nel quale la vita interna è più simile possibile agli aspetti positivi della vita esterna, come dettato nei principi fondamentali delle Regole penitenziarie europee, vengono viste con avversione. Gli eventi critici, di diversa natura, diventano, quindi, l’occasione per chiedere maggiori chiusure e l’eliminazione di quelle modalità custodiali, come quelle aperte, con sorveglianza dinamica, che consentono alle persone detenute di vivere la giornata fuori dalla sezione per svolgere le diverse attività che compongono il loro percorso di risocializzazione. Modalità che permettono di mettere in atto quel percorso di riabilitazione che consentirà il rientro in società una volta terminata la pena... “Non solo. Anche se sono aspetti profondamente collegati è bene ribadirli: le attività trattamentali, cioè quelle che compongono il progetto di risocializzazione che viene adottato individualmente per ogni persona che sconta una pena in carcere, rendono il tempo della detenzione non soltanto occupato, e quindi non vuoto, ma soprattutto utile. Il tempo vuoto è la causa principale della produzione dei maggiori disagi delle persone detenute, quali disperazione, disordini e atti di autolesionismo. Il tempo vuoto fa vivere la detenzione soltanto come segregativa e non proiettata verso il futuro, come dovrebbe essere. Invece, una prospettiva futura consente di innescare quel meccanismo di speranza che autoalimenta comportamenti virtuosi: pensiamo allo studio o al lavoro. La persona detenuta spesso non solo deve mantenere se stessa, ma anche la propria famiglia. Quindi tutte le attività volte a realizzare il dettato costituzionale della finalità della pena, ovvero alla riabilitazione sociale, rendono quel tempo non segregativo ma utile. Utile per chi lo vive, sicuramente, ma utile anche per tutta la società. Purtroppo, un certo approccio ideologico che identifica il carcere come solo reclusivo, non tiene conto di un dato di fatto: tanto più si realizzano le opportunità di reinserimento sociale futuro all’interno del carcere e durante l’esecuzione della pena, quanto più si restituiscono persone integrate nella società. Quindi il reinserimento sociale è utile, nel senso pieno e positivo del termine, sia a chi sconta la pena che all’intera collettività. Molto spesso chi entra in carcere ha delle condizioni di partenza di bisogno e di disagio sociale che non possono essere negate e di cui è parzialmente responsabile il sistema nel suo insieme (perché comunque mancano le forme di sostegno effettivo nei confronti di persone che vivono condizioni di disagio, non solo economico, ma anche sociale e familiare). La realizzazione di tutto quello che porta alla riabilitazione sociale comporta per queste persone di uscire dal carcere in condizioni diverse rispetto a come sono entrate: questo implica che la società intera riceve nel proprio corpo una persona in grado di essere partecipe in maniera integrata ed equilibrata alla vita sociale nel suo insieme. Per tornare alla domanda iniziale: le notizie false, o enfatizzanti i momenti critici, rompono questo percorso culturale che si deve fare tutti insieme, creano un fronte di contrapposizione insanabile e marginalizzano chi già si trova ai margini. Se si vuole davvero rimediare ad una serie di problematiche inerenti il carcere, bisogna far comunicare il modo interno con quello esterno: imprese e soggetti economici dovrebbero intervenire per dare reali opportunità sia nello studio che nel lavoro. Se si rompe questo meccanismo, si acuisce la distanza tra chi è dentro il carcere e chi è fuori, si crea un cortocircuito insanabile che si ripercuote sull’intera società. Cortocircuito che non fa altro che ribadire come il carcere non sia altro che una rappresentazione in piccolo della stessa società. È interessante notare come tutte le persone che ho avuto modo di intervistare sottolineino questo legame, che invece l’opinione pubblica non concepisce... L’opinione pubblica è nutrita dagli organi d’informazione che, nella maggior parte dei casi, sono molto distanti da un certo tipo di approccio che definirei culturale e troppo spesso propendono per una pena esclusivamente segregativa. A livello generale, ancora, la sensibilità verso le condizioni di vita negli istituti e verso quel principio recepito nel nostro sistema penitenziario - per cui la vita interna deve aderire il più possibile a quella esterna - ancora non è stato assorbito del tutto. Vorrei sottolineare come nell’appello del presidente Mauro Palma (pubblicato a pagina 4 del primo Speciale Giustizia, ndr), si metta in evidenza la pericolosità della contrapposizione e dell’estremizzazione delle diverse posizioni. Io stessa, recentemente, ho ribadito la pericolosità di un’informazione sbagliata: dire che va tutto male, come che va tutto bene, non solo è errato ma è deresponsabilizzante ed ingeneroso. Trasmette un messaggio di resa, di impossibilità di prospettive migliori che è disperante per chi queste situazioni le vive e deresponsabilizzante per chi invece ha responsabilità. Lo stesso appello cita il numero dei suicidi, arrivati ad un numero esorbitante (59 entro il mese di settembre 2022, numero pari al totale di suicidi nell’anno precedente, ndr): ma questo senso di disperazione ha un impatto devastante. Astenendoci da considerazioni personali per senso di rispetto, non posso non sottolineare come alcuni dati siano significativi: se una persona appena entrata in carcere si suicida, oppure, se un detenuto che sta per finire di scontare la pena decide di attuare il gesto estremo del suicidio, non possiamo imputare queste scelte alla condizione del carcere. È evidente che i problemi strutturali del carcere, come il sovraffollamento, in questi casi nulla hanno a che fare con tali gesti estremi. È la disperazione per la mancanza di prospettiva futura la causa scatenante. A causa dello stigma culturale che gli ricade addosso, per la mancanza di una prospettiva. Quanto sono collegate le condizioni dei detenuti con quelle del personale penitenziario? Come Garante Nazionale, abbiamo accesso non solo a tutte le documentazioni ma soprattutto abbiamo modo di fare visite penetranti dove il confronto è sia con le persone recluse che con tutto il personale penitenziario, dalla polizia ai diversi operatori. È nostra convinzione che il benessere di detenuti e detenenti si tenga insieme: il personale di polizia penitenziaria che lavora in sezioni fatiscenti o con strutture carenti, come quello che ha a che fare con persone detenute che hanno stati di agitazione e disturbi comportamentali (sui quali non possono intervenire perché non è loro compito e perché non hanno la formazione professionale atta a quello scopo), vive male il proprio lavoro: sono due elementi della stessa comunità penitenziaria, e sono intrinsecamente legati e connessi. La questione della mancanza di prospettive e futuro, poi, incide anche sul noto tema del sovraffollamento: la politica potrebbe già intervenire su alcuni punti strutturali: per esempio, con l’impegno dei Comuni e dei territori a creare delle alternative per coloro che hanno da scontare pene inferiori ad un anno. Stiamo parlando di 1.301 persone che ad oggi hanno una pena inferiore a 12 mesi. Altre 2.567 hanno una condanna compresa tra 1 e 2 anni. Persone che potrebbero usufruire di pene alternative. E quasi 4mila detenuti in meno alleggerirebbero sicuramente il problema del sovraffollamento. Non solo. Questi detenuti, rimanendo in carcere, difficilmente avranno accesso ad un percorso riabilitativo: la legge prevede un periodo di osservazione di 6 mesi prima di poter accedere a qualsiasi forma alternativa alla pena o di formazione, quindi non fa neanche in tempo ad accedere a quei percorsi. Per non parlare di chi è in custodia cautelare. Un tempo totalmente vuoto e inutile dato che non sono in esecuzione di pena, ma in attesa di giudizio. Possiamo spiegare meglio il meccanismo della custodia cautelare? “La custodia cautelare va divisa nei tre momenti: quante persone sono in carcere in attesa del primo grado di giudizio? Fino a che non si sono affrontati tutti e tre i gradi in giudizio, non si può parlare di colpevolezza di una persona. Ma, per esempio, se una persona viene condannata in primo grado, perché non ha diritto di impiegare il suo tempo in modo utile, con un percorso di risocializzazione in attesa della fine del processo penale, qualunque ne sia l’esito? Il discorso vale ancora di più se nel grado successivo di giudizio viene confermata la sentenza di condanna. Il tempo va impiegato in maniera utile, non può e non deve essere un tempo vuoto. Anche nella fase di non esecuzione della pena, i percorsi riabilitativi possono avere una valenza fondamentale. Senza contare il tempo necessario per arrivare alla fine dei tre gradi di giudizio. La società esterna ha un ruolo fondamentale: si devono creare le condizioni per attuare percorsi alternativi che offrano lavoro e consentano il sostentamento. Prima di parlare delle criticità, quali sono state le evoluzioni positive nel sistema giustizia? Nel suo complesso, molte conquiste ci sono state sul piano dell’affermazione dei principi e poche sul piano della realizzazione. Ma sul fronte dell’esecuzione penale abbiamo parecchi elementi d’orgoglio: primo fra tutti l’arricchimento di un ordinamento penitenziario che è una legge costruita molto bene. Grazie al lavoro degli Stati Generali sull’esecuzione della pena, ripreso prima dal ministro Andrea Orlando e poi continuato grazie alla ministra Marta Cartabia, è stato fatto un notevole passo avanti nel corpo normativo dei principi e dell’applicazione degli stessi: per esempio, la norma che assicura l’assistenza sanitaria, quella che stabilisce l’obbligo di somiglianza tra vita interna ed esterna, l’arricchimento della parte normativa sul lavoro. Poi, in questi ultimi anni, ci sono state fondamentali conquiste di civiltà: ovvero l’affermazione dell’esistenza dei diritti delle persone private della libertà. Il fatto che siano private della libertà personale non toglie il fatto che debbano essere garantiti tutti gli altri diritti: questa è la vera grande conquista. Nel 2012 il nostro Paese ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura (Opcat): questo ha determinato l’istituzione del Garante Nazionale come Meccanismo nazionale indipendente di prevenzione, con decreto legge 146 del 2013, insediato concretamente con la nomina del Collegio attuale nel febbraio 2016. Un organo di controllo che controlla lo Stato stesso, per un principio di civiltà, per me è motivo di orgoglio. Anche sul piano della definizione dell’esecuzione penale, si sono ottenuti molti risultati e le condizioni sono migliorate: ci sono meno detenuti rispetto a 10 anni fa, ma sono migliorate anche le condizioni generali complessive. Dobbiamo riconoscere l’impegno delle istituzioni in questo per realizzare i presupposti che consentono la riabilitazione sociale. Come è fondamentale riconoscere i risultati raggiunti a livello giuridico. Le leggi sono “conditio sine qua non” per poter poi realizzare questo percorso. Ma serve tempo, la strada è lunga: i principi vanno affermati, ribaditi e poi applicati... Ovviamente ci sono anche delle criticità evidenti, che però vanno affrontate in modo costruttivo: innanzi tutto, si deve pretendere di non tornare indietro nell’affermazione di questi principi di civiltà così faticosamente conquistati, per esempio in merito alle misure alternative rispetto alla detenzione in carcere. La riforma Cartabia da questo punto di vista ha già introdotto delle sanzioni sostitutive che possono essere comminate dal giudice del processo senza attendere il magistrato di sorveglianza. Vanno arricchite le misure alternative e implementare il ventaglio per accedere a queste misure alternative in modo da evitare che quel tempo diventi vuoto. Pensiamo un momento alla detenzione ordinaria, perché l’ergastolo ostativo richiederebbe un’intervista a sé. Le misure alternative vanno potenziate e arricchite sia in termini giuridici che sostanziali: dobbiamo poter offrire delle opportunità di accesso alle misure alternative. Ci vuole sicuramente molto tempo sia per le riforme che per attuarle, però alcuni passi sarebbero possibili da subito: l’introduzione in carcere di ulteriori professionalità rispetto a quelle che già ci sono, sia per potenziare i percorsi riabilitativi, che avendo consapevolezza della diversa composizione della popolazione detenuta rispetto a 10 anni fa. È vero che la percentuale di stranieri, a livello numerico, è rimasta stabile intorno al 30 per cento, ma è anche vero che è cambiata molto la composizione. Per le comunità straniere, servirebbero nuovi e diversi mediatori culturali. Il carcere è il contenitore di un grande disagio sociale e personale che è alla base di quei disturbi comportamentali che vengono genericamente ed impropriamente definiti disturbi psichici ma che in realtà non sono patologie mentali e/o psichiatriche: sono disturbi comportamentali gravi che creano gravi situazioni di squilibrio, ma vanno trattate nella maniera più idonea. Carlo Renoldi (nuovo capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, ndr) parla anche di questo nella circolare sulla prevenzione dei suicidi. Servono professionalità specifiche e non si può delegare questo lavoro, per esempio, alla polizia penitenziaria perché, come ho già detto, la formazione necessaria ad affrontare queste situazioni è diversa. Va incrementato lo studio in carcere, qualsiasi forma di studio. E poi una delle priorità, la prima criticità, sulla quale intervenire subito è l’assistenza sanitaria: c’è una situazione di crisi a causa della mancanza di medici. Noi chiediamo un investimento da parte della Asl e delle Regioni per arricchire il sistema sanitario ed incentivare il lavoro dei medici in carcere. Serve l’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni già attive. Se volessimo semplificare: servono fondi... Potremmo arricchire con molta aneddotica italiana, ma sì, servono fondi e la volontà di impiegare questi fondi sul carcere. Come si incentiva questa volontà? Io non vorrei banalizzare, ma questo è un discorso culturale: bisogna permeare tutti i sistemi con l’idea che il carcere è un sistema integrato e integrante della società. Quindi, per esempio, le Asl dovrebbero agire come in qualsiasi altro contesto. Perché in un qualsiasi quartiere la Asl va a vedere la composizione della popolazione per proporre le professionalità mediche più idonee e non succede lo stesso in carcere? Pensiamo alle case di reclusione, dove ci sono detenuti che magari hanno l’ergastolo: queste persone invecchiano e necessitano di cure mediche specifiche. Se si incentivasse l’assunzione di qualsiasi tipo di professionista, si potrebbe aiutare a ribadire il legame intrinseco tra la società esterna e il carcere. Anche perché, in questo particolare momento storico, la difficoltà lavorativa è palese in ogni settore. Si potrebbe attivare una sorta di circolo virtuoso. Possiamo dire che la mancanza di volontà di attuare certe cose è imputabile ad un certo tipo di gestione politica che va avanti per contrapposizioni? In realtà, il tema del carcere è totalmente assente dal dibattito politico. Non c’è attenzione effettiva sul carcere e sul tema dell’esecuzione penale. Il tema della giustizia è elemento centrale e simbolico del grado di civiltà di un sistema democratico, ma la giustizia giusta è non solo quella che è giusta nelle garanzie processuali (articolo 111 della Costituzione): quelli sono i presupposti. La giustizia è giusta anche e soprattutto nei risultati. Il risultato dell’esecuzione penale è il risultato della pretesa punitiva dello Stato: questo fronte è totalmente assente dal dibattito politico, che si limita a polarizzare le posizioni di garantisti e giustizialisti per quel che concerne le garanzie processuali, e tra innocentisti e punitivisti per l’esecuzione della pena. Ma, al di là dello scontro ideologico, non c’è una reale riflessione sulle modalità di svolgere la pena: è talmente assente dal dibattito politico e da questa campagna elettorale che il presidente Palma ha fatto un appello. L’ulteriore passo avanti da fare sarebbe parlare dell’esecuzione penale e strutturarla in maniera coerente a quello che stabilisce la Costituzione. Vorrei ricordare che nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato, con la sentenza pilota Torreggiani, l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, ritenendo che le condizioni di vita dei detenuti integrassero i requisiti necessari per la sottoposizione degli stessi a trattamenti inumani e degradanti. Alla fine di una conversazione durata più di un’ora non posso far altro che ringraziare la dottoressa Rossi per la sua analisi pacata quanto puntuale. Non passano nemmeno cinque minuti da quando attacco il telefono che ricevo un suo messaggio: mi conferma che non c’è stata nessuna rivolta nel carcere di Torino. A dimostrazione che esistono professionisti non ideologizzati che, ancora, credono nel valore del proprio lavoro. E, forse, è proprio la percezione ed il significato di questo valore che va incrementato, per tentare di compiere quell’ulteriore passo a livello culturale. Confronto tra i Politici e i Garanti dei detenuti, per carceri più umane di Angela Stella Il Riformista, 19 settembre 2022 Sabato, nel giorno in cui Antigone ha reso noto il 61esimo suicidio dietro le sbarre dall’inizio dell’anno, la Conferenza dei Garanti territoriali dei diritti delle persone private della libertà personale ha organizzato un evento dal titolo “Carcere, Italia - Confronto pubblico sulle proposte per le carceri in Italia” per far uscire dall’oblio della campagna elettorale il tema dell’esecuzione penale. Sono intervenuti rappresentanti di quasi tutti i partiti, tranne la Lega per indisponibilità della senatrice Bongiorno. Tra chi ha rivendicato il lavoro fatto e chi si è impegnato a fare meglio nel futuro, resta la domanda: solo discorsi da campagna elettorale? Il primo è stato Gennaro Migliore (Azione-Italia Viva): “Occorre davvero fare un intervento sull’abito sanitario perché c’è incongruenza anche dal punto di vista normativo e inoltre non è possibile tenere in carcere persone con pene inferiori ai due anni”. Poi Stefania Ascari (M5S): “Dalle visite che ho fatto posso dire che la situazione negli istituti di pena è avvilente, la realtà è peggiore di ciò che i dati raccontano. Si producono più recidive che riabilitazioni. Servono riforme coraggiose per carceri come luoghi di umanità. Noi ci siamo battuti non solo per investire più risorse nel carcere ma anche per potenziare i percorsi di reintegrazione. In ultimo occorre garantire legalità e impermeabilità dall’esterno nei reparti di 41bis”. È stato poi il turno di Federico Mollicone (Fd’I): “Sono urgenti per noi interventi sia per i detenuti sia per la polizia penitenziaria: è vero, Nessuno Tocchi Caino, ma occorre salvaguardare anche Abele. Non solo Santa Maria Capua Vetere, ricordiamo anche le 11 aggressioni, ferimenti, colluttazioni annuali verso chi non è messo più nelle condizioni di poter far rispettare le regole. Il sistema in generale è al collasso, non ci sono spazi vivibili per i detenuti e per le loro attività: in Italia non esiste una politica penitenziaria. Sul sovraffollamento FdI è e sarà a favore di un nuovo piano di edilizia penitenziaria”. Sul fronte opposto Riccardo Magi (+Europa): “Al di là dei programmi e delle promesse elettorali, conta quello che si è già fatto o tentato di fare nella legislatura che sta per finire. Noi, benché piccolo gruppo parlamentare, abbiamo lavorato su più fronti: uno dei principali motivi per cui si entra in carcere è la normativa sugli stupefacenti. Per questo occorre una riforma complessiva del Testo Unico: ci siamo andati vicini, almeno nel ridurre le sanzioni penali per quanto riguarda i reati di lieve entità. Abbiamo tentato di modificare gli articoli della Costituzione in materia di concessione di amnistia e indulto e quelli del cp e cpp in materia di imputabilità e di misure alternative alla detenzione per persone con disabilità psicosociale. Abbiamo anche tentato di modificare quella parte della spazzacorrotti che aveva reso i reati contro la PA ostativi, ma non abbiamo trovato una maggioranza in grado di apportare questa modifica”. Per il Pd è intervenuta Anna Rossomando: “La scriminante è se considerare il carcere come extrema ratio o come prima e fondamentale risposta nei confronti di chi non rispetta la legge. I programmi delle destre sono esattamente ispirati da una visione carcerocentrica, mancando di quella cultura costituzionale che dovrebbe appartenere a tutti. Noi ci battiamo affinché sia condivisa, a partire da trattamenti umani e dignitosi. La risposta punitiva dello Stato non può essere esclusivamente quella carceraria e già nella riforma del processo penale, grazie anche al nostro contributo, c’è un ampliamento dell’utilizzo delle misure alternative e sostitutive del carcere. Per la prossima legislatura dobbiamo investire di più su formazione e lavoro, potenziare la giustizia riparativa, ci prendiamo l’impegno di portare a compimento la nostra legge su ‘mai più bambini in carcere’ e quella sull’ergastolo ostativo e ovviamente fare la riforma dell’ordinamento penitenziario”. A trarre un bilancio del confronto è Stefano Anastasìa, Garante del Lazio, che ci dice: “È stato importante che i politici abbiano accettato il nostro invito, che ci sia stato un confronto su questi temi, e che alcune forze politiche che in passato non si sono impegnate abbastanza su questi temi hanno detto invece di volerlo fare nella prossima legislatura. Certo, gli argomenti e le proposte sono molto diversi, ma lo sapevamo”. Fd’I che si appresta a governare il Paese punta molto sull’edilizia penitenziaria: “A quest’ultima i riferimenti sono stati tanti. Il problema del sovraffollamento non si risolve costruendo più carceri, come ha anche ricordato Mauro Palma. Bisogna pensare a forme di depenalizzazione e alle misure alternative alla detenzione. Mi piace sottolineare che quello che manca al carcere è una decisione politica fondamentale da cui derivano le altre. Dobbiamo chiederci: vogliamo un carcere di 30 mila detenuti, ossia quelli per gravi reati e criminalità organizzata, o vogliamo un carcere di 70 mila detenuti, che è l’ospizio dei poveri? La popolazione detenuta sta aumentando, a breve torneremo ai livelli di sovraffollamento precedenti il Covid”. Presente all’incontro anche il capo del Dap Carlo Renoldi che però non è intervenuto. Per risentire tutti gli interventi rimandiamo a Radio Radicale. Cheli: “La giustizia è sparita dalla campagna elettorale” di Egidio Lorito Panorama, 19 settembre 2022 Per Enzo Cheli, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, “i partiti hanno letteralmente marginalizzato i temi della giustizia, salvo poi rifugiarsi in candidature di autorevoli magistrati”. Abbiamo incontrato l’insigne giurista - tra l’altro Emerito di diritto costituzionale a Firenze, già presidente dell’Autorità garante delle comunicazioni - per capire il motivo per cui il tema-giustizia sia letteralmente sparito dalla campagna elettorale. Professore, di giustizia sembra non occuparsi nessuno in questi giorni... “Sono rimasto sorpreso per questo silenzio delle forze politiche che, invece, in passato facevano a gara per portarlo al centro della loro agenda. Si tratta, però, solo apparentemente di un silenzio ingiustificato, perché ragionando con calma, fuori dalla vivacità della campagna elettorale, anche il cittadino della porta accanto non impiegherà molto per dare una spiegazione. Che io ho provato a sintetizzare lungo almeno tre direttrici”. Partiamo dalla prima direttrice, allora… “La prima ragione riguarda la particolare congiuntura entro la quale si svolge questa strana e anomala campagna elettorale, che per la rapidità dei tempi e per la stagione in cui si svolge rappresenta un /unicum/ nella storia costituzionale del nostro paese. A causa di tutte le varie emergenze che si sono incrociate in questa terribile congiuntura, i temi dell’economia -legati al particolare quadro internazionale- hanno finito per prevalere nettamente sui tempi istituzionali, non solo su quello della giustizia”. Al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica si situano temi economici… “Quegli stessi su cui i partiti insistono nella loro campagna: l’inflazione, la recessione, l’occupazione, la crisi energetica, temi dominanti da quasi sette mesi, ovvero dallo scoppio della guerra in Ucraina. Temi dominanti che hanno assorbito e messo in ombra quelli più spiccatamente istituzionali, proprio in particolare quello della giustizia che, ricordiamolo, appare piuttosto complesso per i suoi aspetti tecnici e che, in tutta franchezza, si presta poco all’analisi di una campagna elettorale veloce come quella in corso in questi giorni”. Quelli legati alla giustizia richiedono meritevoli spiegazioni ed approfondimenti… “L’opinione pubblica, a causa della stessa rapidità della campagna elettorale in corso, ha avvertito la sensazione di esclusione dal dibattito politico. Insomma, la particolare congiuntura di questa campagna elettorale ha finito per escludere la giustizia dall’agenda politica, circostanza assolutamente impossibile in altre epoche”. Lei ha individuato una seconda direttrice… “Questa, sicuramente più sostanziale, riguarda la parallela operatività della riforma Cartabia, ovvero la più incisiva e penetrante normativa che ha riguardato la giustizia dall’avvento della nostra Repubblica: un intervento ancora incompleto, che tocca tutti i settori processuali (civile, penale, ordinamento giudiziario). In realtà le forze politiche hanno già espresso le loro opinioni critiche in sede parlamentare e poiché la riforma va in ogni caso portata a compimento, in quanto legata al noto PNRR, le stesse forze politiche, non se la sentono di prendere posizione definitiva su diritti e interessi legittimi di tale portata”. Tale riforma è stata criticata in sede parlamentare… “Certo, e nonostante ciò le forze politiche, nel momento della presentazione dei rispettivi programmai elettorali, sono intimamente convinti della necessità di portarla a termine, per rispettare gli impegni assunti in sede europea, pur ovviamente, relegata ai margini dell’attuale dibattito politico. In sostanza, la riforma Cartabia, pur nella sua incompletezza e inoperatività, ha finito per togliere terreno alla dialettica politica, visto che tutte le forze politiche ritengono che questo sia un passaggio da concludere nella sede parlamentare”. Professore, lei ha evidenziato anche una terza direttrice… “Di natura patologica, direi. Lo scandalo Palamara e la profonda crisi in cui il sistema giudiziario italiano -nella sua componente più spiccatamente amministrativa - sembra essere precipitato, ha creato nelle forze politiche un atteggiamento di maggiore distacco verso i problemi giudiziari. Cioè la preoccupazione delle forze politiche di non presentarsi al corpo elettorale come forze intrusive del corpo della magistratura, dopo gli accadimenti del giugno del 2019”. Intanto i partiti hanno candidato nomi di assoluto spessore. Nel centrodestra Giulia Bongiorno, avvocato in quota Lega e Carlo Nordio, ex procuratore di Venezia candidato con Fratelli d’Italia, sarebbero in corsa per diventare Ministro della Giustizia… “Eh eh (ride…), perché i vertici dei partiti, nella loro visione totalizzante, pensano ancora di poter condizionare il ruolo decisivo che la magistratura continua ad esercitare in Italia nelle vicende della politica, pur non volendo dichiarare pubblicamente il proprio interesse a mettere le mani nell’intrigata vicenda. È questo il senso di tale atteggiamento: i partiti non rinunciano ad operare sottobanco ma non vogliono dichiarare pubblicamente il loro precipuo interesse sul tema”. Nomi autorevoli spiccano anche tra i 5Stelle: l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho... “Non mi meraviglierei più di tanto, visto che il tema della lotta alle mafie rientra, sin dall’inizio, tra quelli fondativi del Movimento 5Stelle: lotta caricata, inoltre, di elementi legati al tema della moralità della vita pubblica, di cui la stessa magistratura è stata antesignana nel nostro Paese. In questo filone trovo la chiave di lettura della discesa in campo delle personalità in questione. Ripeto, siamo nella fisiologia nella nascita del Movimento: si tratta, in entrambi i casi, di ex pubblici ministeri, figure alle quali l’opinione pubblica ha sempre guardato con occhio moralizzatore”. C’è uno spettro che aleggia sin da ora e che, in caso di vittoria del centrodestra, si materializzerebbe: le leggi ad personam… “Questa ipotesi, legittimamente sollevata da tutti gli avversari del centrodestra, va ben ponderata. Ho l’impressione che il corpo elettorale italiano, anche attraverso il crescente astensionismo, ha dimostrato un pensiero critico nei confronti sistema politico e uno dei motivi che ha allontanato il corpo civico dal proscenio politico è anche la vicenda delle “leggi personali”: infatti, l’opinione pubblica, non appena annusa la possibilità di leggi votate per un esclusivo interesse di parte, reagisce con disgusto e si allontana ulteriormente dal suo ambiente. E se questo rischio fisiologico ci sia sempre, avverto anche che si stia allontanando a causa di una maggiore consapevolezza del corpo sociale stesso”. Taormina: “Contro il retaggio sottoculturale del pregiudizio” di Ruggiero Capone L’Opinione, 19 settembre 2022 Carlo Taormina è ordinario di Procedura penale e titolare di cattedra di Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma Tor Vergata. Ha scritto tanto in materia di diritto, e ha diretto la rivista “La Giustizia Penale”. Già deputato della Repubblica italiana e sottosegretario all’Interno, è stato estensore del testo originale della legge sul legittimo sospetto, altrimenti nota come legge Cirami. Professore, quanto è importante il tema giustizia in campagna elettorale? In tempi lontani chiedevo a Silvio Berlusconi se non fosse il caso di occuparci in maniera determinata di giustizia, di carceri, di processi. E il leader di Forza Italia mi rispondeva che alla gente, al popolo italiano, non importa nulla di chi subisce le distorsioni del sistema giudiziario, anzi l’elettorato benpensante considera che lo Stato assolva così al proprio compito. Quindi, sollevare il problema giustizia per Berlusconi non avrebbe portato consenso. Devo dire che, alla luce del responso della gente agli ultimi quesiti referendari, non si possa certo dare torto al Cavaliere. Quindi il problema carceri lo lasciamo solo ai Radicali? È di fatto così, sono gli unici titolati a occuparsene e lo sanno fare. Le carceri italiane ospitano sempre più gente, si è passati dai 25mila detenuti del 1990 ai 54mila di oggi. In carcere, generalmente, vengono ridotti i più poveri economicamente e culturalmente: la gente sola, a cui la società gira le spalle. Così il sistema affida al carcere la spintarella verso il suicidio, e la classe politica ipocritamente finge di non vedere, anzi l’aumento di detenzioni costituisce vanto per una determinata dirigenza pubblica. Dal 1990 al 1994 il suicidio toccava i personaggi eccellenti, oggi è un fenomeno che abbraccia l’intera popolazione carceraria. Dal carcere è difficile sortire. E la povera gente vi entra con enorme facilità, perché commette gesti di disperazione, follia occasionale. Eppure, quante volte ci siamo detti che la Costituzione considera la pena uno strumento di riabilitazione sociale, e molto prima che una mera sanzione. Invece, nella gente è radicato il concetto che un uomo in più in carcere sarebbe uno in meno a commettere furti ed omicidi. E lo Stato, la stampa, la politica, fanno di tutto per fortificare questa erronea convinzione popolare. Gran parte dei carcerati non dovrebbero essere detenuti. In primo luogo, perché è ingiusto parlare di rieducazione nei confronti di imputati in attesa di giudizio, ovvero rieducare in carcere chi non dovrebbe esserci, e poi perché nelle carceri italiane i percorsi rieducativi per i condannati sono davvero rari. Certo, la società ritiene necessarie delle cautele, ma dovrebbero essere limitate ai veri criminali violenti, ai mafiosi incalliti e agli assassini inguaribili. Ma così la popolazione carceraria si ridurrebbe a uno scarso venti per cento dell’attuale, e gli addetti ai lavori non potrebbero vantarsi dell’utilità delle carceri. Argomento scomodo. Lei così difende il poveraccio costretto a spacciare per portare il pane a casa? Oggi la droga è, per milioni d’italiani che vivono nelle periferie dimenticate, una sorta di fonte di reddito. Forse nemmeno ne fanno uso ma la vendono per pagare bollette, per cercare di non cadere nella povertà assoluta. E i tossicodipendenti che commettono crimini, lo fanno per drogarsi e per pagarsi di che vivere: sono malati da curare. E il carcere peggiora la loro esistenza e non li fa sortire dalla dipendenza. Il trattamento rieducativo è stato introdotto in Italia con trent’anni di ritardo rispetto al Nord Europa, resta comunque solo una chimera sulla carta: per via della sovrappopolazione carceraria che rende impraticabili i percorsi rieducativi, e perché rimane la tendenza del sistema a cercare d’osteggiare forme di lavoro ed istruzione per i detenuti, considerando certi percorsi solo un premio per pochi. Di fatto, la quasi totalità dei carcerati rimane in galera fino all’ultimo giorno di pena, confermando che la restrizione disumana è l’università del crimine. Così uno Stato, che persevera nell’illegalità costituzionale, risponde all’illegalità criminale della povera gente. Oggi, di fatto, l’amnistia e l’indulto sarebbero strumenti utili a limitare i danni della mala gestione carceraria. In Italia, chi esce dal carcere è di fatto più pericoloso. Per quello che ha subito cova rancore contro lo Stato e il prossimo suo che lavora ed è socialmente inserito. Non si sbaglia a dire che nei suoi trattati di Criminologia aveva previsto l’aumento dei crimini per disperazione? Oggi sono aumentati in Italia i reati dettati da momenti di sconforto e ira. Assisto esseri umani che, condotti alla disperazione da gesti e parole, hanno ucciso familiari come anche persone sconosciute. Gente normale, che tutti avrebbero detto incapace d’uccidere, a trasformarli in assassini è bastato l’abbandono del coniuge, il gesto vessatorio d’una Pubblica amministrazione, la raffica di cartelle esattoriali, il licenziamento, la tenzone legale innestata dal vicino di casa, o gli obblighi perentori della società in cui viviamo. Gente che potrebbe benissimo espiare la propria pena tra le mura domestiche, e perché pentita ed incapace di reiterare il reato. Ecco perché necessiterebbe di personalizzare la pena, tenendo conto del delitto, della persona e delle sue modificazioni in melius o in pejus. Questo sistema esige solo che i giudici possano stabilire il minimo e il massimo della pena, ma un altro giudice con un distinto processo dovrebbe accertare, in base alla personalità del condannato, in quale misura la pena debba essere eseguita, considerando gli effetti del trattamento rieducativo. I Tribunali di Sorveglianza dovrebbero assurgere a giudici della personalità del condannato, garantendo detenzione a chi è pericoloso e libertà a chi non lo è. Ma perché ciò succeda necessiterebbe che informazione e politica sconfiggano l’atavico retaggio sottoculturale del pregiudizio. In due sue pubblicazioni, “Criminologia e Prova Penale” e “L’Investigazione”, lei dice chiaramente alle istituzioni di guardare solo al dito e vetustà del nostro sistema penale”? Forse lo Stato ha scarsi strumenti per competere nel contrasto al crimine cibernetico internazionale? Io auspico la Criminologia apra un dibattito all’interno del mondo giuridico, ed in sinergia con il sapere umano, per superare la vetustà del nostro sistema penale, sia sul piano sostanziale che su quello processuale. E per le ovvie derive che abbiamo riassunto ad inizio intervista. Oggi vanno assumendo capitale importanza le esigenze di controllo e prevenzione nei settori della cibernetica e della sicurezza informatica, e sotto due profili: quello del contrasto ad attacchi contro i sistemi dello Stato ma anche per la pesante ipoteca criminale che grava su questi settori, anche prescindendo dai coinvolgimenti di strutture statali e pubbliche. Il dark web costituisce una realtà mondiale già di per sé difficilmente contrastabile, donde l’esigenza d’intervenire preventivamente rispetto a eventi delittuosi che possano sfuggire ad ogni rilevazione, persino quando si sono verificati, mentre agire sui prodromi resta l’unica alternativa. C’è poi la criminalità transazionale, così denominata non già perché riflette particolari fenomeni criminali bensì per essere stata istituita come una circostanza aggravante ad effetto speciale, inerente ad integrare la fattispecie di reato. Insomma, alziamo lo sguardo, la giustizia manichea ed autoreferenziale ci fa sprofondare ancor più nella società disarticolata e disperata. E per spiegare questi percorsi viene d’ausilio il fumetto… Ho accolto di buon grado il progetto d’usare il fumetto per diffondere la cultura criminologica e d’investigazione tra la gente. La prima bozza di fumetto è stata idea di Alessandro Maiorano, che io assisto nella querelle con Matteo Renzi. Il fumetto è uno strumento immediato, che rappresenta i fatti per scene, e questo aiuta molto a far comprendere ai più il processo. Il primo fumetto è “Il Diavolo e l’Acqua Santa”, e tratta di Renzi e Maiorano: ma alla luce dell’attuale politica i due protagonisti si tingono non poco della simpatia narrativa di Don Camillo che si contrapponeva a Peppone nei racconti di Giovannino Guareschi. Detto questo, credo gli avvocati siano oggi il dominus dei processi, e possano far trionfare la giustizia come nei noti legal thriller americani. Perché questo possa accadere deve cambiare la mentalità della gente, fatta di sotterfugi e della ricerca della benevolenza del potere o del potente di turno. L’Italia necessita di riforme umane più che di tecnologia cibernetica. La rarefatta umanità ha incrementato i crimini e sconfitto la speranza, in questo le colpe politiche sono evidenti. Così lo scandalo del “Sistema” è stato riassorbito… di Rosario Russo* Il Dubbio, 19 settembre 2022 Sappiamo, come avrebbe detto Pasolini, ma abbiamo anche le prove documentali del sistema spartitorio da anni attuato tra le correnti della magistratura all’interno del Consiglio superiore della magistratura. Abbiamo anche le prove del modo con cui le istituzioni coinvolte hanno deciso di “trattarlo”. I fatti sono eloquenti. Nessuno dei magistrati ordinari coinvolti nelle chat (neppure Palamara) è stato indagato ai sensi dell’art. 323 c. p. Soltanto Palamara è stato espulso dalla magistratura e dall’Anm. I consiglieri suoi commensali all’Hotel Champagne, nella “notte della Magistratura”, si sono dimessi dal Consiglio superiore della magistratura e (tranne l’on. Ferri, per il quale si attende la decisione della Corte Costituzionale) sono stati puniti in sede disciplinare con sanzioni non espulsive. Eccetto il dott. Criscuolo (sanzionato con l’interdizione per cinque anni), gli altri ex consiglieri si sono sottratti anche al giudizio disciplinare endoassociativo con il commodus discessus delle dimissioni, ammesso dall’Anm in immotivata violazione dell’art. 7 dello statuto. Al pari di una società segreta, l’Anm impedisce perfino ai suoi adepti di conoscere le numerose archiviazioni emesse dal Collegio dei Probiviri. Non si ha notizia neppure dell’attività disciplinare pubblica, in quanto il Procuratore Generale presso la Suprema Corte ha disposto la segretezza di tutte le archiviazioni, dopo avere statuito con improprio editto l’irrilevanza delle autopromozioni (quelle con cui il giudice si raccomanda direttamente con Palamara, senza intermediari), smentita dalla Suprema Corte e dal Consiglio superiore della magistratura. A propria volta il Consiglio superiore della magistratura ha proceduto ai sensi dell’art. 2 della Legge delle Guarentigie nei confronti dei magistrati coinvolti nelle chat (raccomandati e raccomandanti nonché consiglieri del Csm raccomandatari), rassegnandosi (con qualche “salto mortale” giuridico) quasi sempre all’archiviazione, essendo più che evidente l’improprietà del procedimento riservato alle condotte incolpevoli, laddove è arduo rinvenire un atto più doloso della raccomandazione. Dal punto di vista istituzionale, si può pertanto concludere che, tolti Palamara e i suoi commensali (non penalmente sanzionati), la raccomandazione tra magistrati ordinari e Consiglieri del Csm è stata fin qui giuridicamente (se non espressamente ammessa, certamente) irrilevante; giacché come è noto, (parafrasando R. Guastini) se una condotta vietata non è sanzionata, allora quella condotta è legittima. Dopo tre anni dall’esplosione del caso Palamara, lo stato di fatto è dunque l’esatto contrario di quanto autorevolmente dettato dal Presidente della Repubblica. Il quale aveva per tempo avvisato che si era indotto a non sciogliere il Consiglio superiore della magistratura appena nominato (ma così compromesso), soltanto per accelerare, con l’adozione dei pertinenti provvedimenti (non solo) sanzionatori, la rinascita costituzionale del Sistema, (più che minacciato) travolto dall’antisistema Palamara. In definitiva, non sarebbe esagerato affermare che oggettivamente Palamara e i suoi commensali sono stati condannati (soltanto dal Csm)… per graziare i loro tanti correi. A differenza dello scandalo di Mani Pulite (originato dalla c. d. corruzione ambientale), quello delle Toghe Sporche (originato dalla maniacale ambizione personale, che corrode l’indipendenza), invece di provocare la rinascita mediante la necessaria epurazione e “vaccinazione”, è stato fin qui sopito e assorbito. La colonna vertebrale dello Stato, cioè la Magistratura, è stata ritenuta troppo importante per soccombere alla propria domestica scelleratezza (too big to fail: troppo grande per crollare). Le vicende che hanno destabilizzato la magistratura ordinaria trovano un preoccupante pendant in quelle che hanno sconvolto l’ambiente dei professori universitari, sottoposti in grande numero - proprio dai giudici! - a molteplici procedimenti penali ex art. 323 c. p. in ragione delle reciproche interferenze “baronali” (imperdibile Presa Diretta 7 febbraio 2022), mentre per essi - siccome comuni mortali - è sub iudice perfino l’imputazione ex art. 416 c. p. Due mondi, due istituzioni pubbliche fondamentali che addirittura s’intersecano (i giudici applicano ai docenti proprio quel diritto che taluni di essi hanno loro insegnato), una sola iattura. In forza dei principi costituzionali tutti i pubblici dipendenti sono tenuti ad applicare la legge: i giudici in primis non solo a rispettarla, ma anche a farla rispettare. Ma se, morto Dio, nessuno ormai crede al significato valoriale della legge quale espressione del potere sovrano dei cittadini, il nichilismo morale e giuridico ha finito per accreditare (non solo in politica, ma anche) nell’amministrazione pubblica l’idea che le funzioni pubbliche (proprio quelle più prestigiose e socialmente rilevanti) debbano costituire oggetto soltanto di “reciprocità contrattuale” (L. Bruni), cioè del più utilitaristico do ut des. E ciò per farne oggetto sia di venale mercimonio (come è avvenuto tipicamente con “Mani pulite” : la c. d. “corruzione ambientale”), sia (con indebite interferenze) di “autocorruzione propria” non venale (A. Pagliaro) ma negoziata, rilevante quanto meno ai sensi dell’art. 323 c. p. (anche nell’attuale sbiadita formulazione, frattanto apprestata). Sennonché una società che accetta di conferire le cariche pubbliche ai più potenti anziché ai più lodevoli è destinata all’autoconsunzione. E perché mai i cives dovrebbero osservare le leggi violate proprio dai Magistrati e dai loro Docenti? In definitiva il vero problema, quello più vistoso e grave, è la crisi del principio di legalità, su cui si regge l’assetto democratico dello Stato. Una questione che non è sfuggita all’attenzione delle forze politiche! Infatti al tavolo dell’Hotel Champagne, nella “notte della Magistratura”, cospiravano, insieme a Palamara e ai consiglieri del Csm, l’On. Luca Lotti, rinviato a giudizio davanti al Tribunale capitolino e, nell’eccentrica veste di magistrato nonché di parlamentare, anche l’On. Cosimo Ferri! Che altro aggiungere? *Già Sostituto Procuratore generale presso la Suprema Corte Sì al risarcimento per ingiusto processo. Ma se la vittima non fosse stata una toga sarebbe andata nello stesso modo? di Gian Domenico Caiazza Il Riformista, 19 settembre 2022 Occorre certamente salutare con favore la recentissima sentenza con la quale la Corte Costituzionale ha ampliato l’area dei danni risarcibili causati al cittadino indagato/imputato dalla azione ingiusta del magistrato. Senza perderci nei dettagli tecnici, un po’ più complessi di quanto possano apparire, andiamo al punto: il cittadino vittima di un ingiusto processo o di una ingiusta indagine ha diritto, oltre che al risarcimento dei danni patrimoniali, al risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla lesione dei fondamentali diritti della persona anche diversi -ecco la novità- dal diritto alla libertà personale. In altri termini, è incostituzionale la legge sulla responsabilità civile dei magistrati che limitava i danni non patrimoniali risarcibili solo alla ipotesi che il cittadino ingiustamente inquisito fosse stato per di più privato della libertà personale. La Corte dice con chiarezza quanto sia ingiustificata questa limitazione. Un cittadino messo alla gogna da una accusa ingiusta, anche se non raggiunto da una misura cautelare, vede egualmente calpestati diritti non meno importanti di quello alla libertà personale, quali quello alla propria dignità, alla propria reputazione personale e professionale, alla propria salute (fisica e mentale). La notizia mi ha colpito ed al tempo stesso incuriosito, per una ragione molto semplice. Per far sì che la Corte Costituzionale si pronunci sulla costituzionalità di una legge, occorre vi sia stato un magistrato che abbia sollevato la questione. Aggiungo che la legge in discussione è una delle meno applicate e meno digerite dalla magistratura italiana: fu scritta (malissimo, in verità) da Giuliano Vassalli dopo il vergognoso massacro giudiziario di Enzo Tortora ed il conseguente referendum, e poi blandamente rafforzata nel 2015. Quindi ho voluto capire meglio, ed ho appreso che la persona vittima della ingiusta ed infamante inchiesta giudiziaria alle origini della causa di responsabilità civile del magistrato inquirente è …. un magistrato. La vicenda si svolse, manco a dirlo, in Calabria. Protagonista, manco a dirlo, l’allora Pm dott. de Magistris presso la procura di Catanzaro, insieme all’allora Procuratore capo Mariano Lombardi e al Pm Mario Spagnuolo. Alle 5 di mattina (si, accade sempre a quell’ora, soprattutto quando non ce ne è nessun bisogno) dell’11 novembre 2004 costoro mandano la Guardia di Finanza a perquisire l’abitazione del dott. P.A.B., magistrato di origini calabresi in servizio presso la Corte di Cassazione. L’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa, qualunque cosa ciò possa significare. Leggo dalle cronache che il magistrato, non solo perché scioccato, non riuscì nemmeno a comprendere il senso della incolpazione provvisoria confusamente descritta nel decreto di perquisizione e sequestro. Ma anche qui nulla di nuovo, visto che l’estensore era de Magistris, aduso a formulare ipotesi delittuose che forse lui stesso faticava a comprendere. Dopo il tremendo colpo, più nulla, non una convocazione per essere interrogato, nulla di nulla. Anche qui, vi prego di credermi, siamo nell’ambito dei più diffusi costumi giudiziari di questo Paese, e di alcune sue Procure in particolare. Quando finalmente, dopo due anni, la sua posizione viene stralciata e trasmessa al Giudice competente (chiaro? Erano anche territorialmente incompetenti; ma anche questo, è un film visto e stravisto mille volte), cioè la Procura di Roma, che legge le fumisterie incomprensibili della imputazione provvisoria e richiede subito, ottenendola, l’archiviazione. Il dott. P.A.B. cita in giudizio lo Stato per la sua responsabilità sussidiaria ed il Tribunale di Salerno liquida i danni patrimoniali, ma non quelli morali perché il dott. P.A.B. non era stato arrestato. Questi si ribella, ed infine la terza sezione civile della cassazione manda alla Corte Costituzionale, ed ora la vittima di quella ingiustizia avrà diritto anche al risarcimento dei danni non patrimoniali. Ne siamo tutti lietissimi, ed è un buon passo avanti di civiltà. Tuttavia avverto nitidamente che ciascuno di voi, letta questa storia, si stia chiedendo: ma se la vittima non fosse stato un magistrato, sarebbe andata nello stesso modo? Ecco, chissà come mai, me lo stavo chiedendo anche io. Non scatta nullità per la mancata nomina del difensore d’ufficio se non viene inciso il diritto di difesa di Paola Rossi Il Sole 24 Ore, 19 settembre 2022 Il superamento del termine da parte dell’avvocato nominato dal giudice non rileva potendo l’imputato appellare personalmente. Se l’avviso di deposito della sentenza di primo grado viene comunicato al difensore di fiducia che è già stato revocato dal cliente e il giudice non nomina tempestivamente un avvocato d’ufficio i seguenti atti processuali sono nulli - secondo l’orientamento prescelto dalla Cassazione - solo se c’è stata una lesione nell’esercizio legittimo del diritto di difesa dell’imputato. Non può perciò invocare tale nullità chi, condannato in primo grado - e assistito dal difensore d’ufficio nominato non tempestivamente dal giudice - si vede respingere, per superamento dei termini, l’atto di appello che avrebbe comunque potuto presentare personalmente. Tra l’altro - fa notare la Cassazione - la revoca dell’avvocato è equiparata alla rinuncia del mandato difensivo, nel senso che dispiega i suoi effetti solo con la nomina del nuovo difensore. Per cui, anche nel caso di ritardata nomina del difensore d’ufficio da parte del giudice, il professionista revocato ben poteva in pendenza del termine, e fino alla nomina del nuovo difensore, provvedere a iniziative idonee a evitare il superamento del termine decadenziale. In base a tali rilievi la sentenza n. 34387/2022 della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso contro la sentenza di secondo grado che aveva dichiarato tardivo l’appello, in quanto il diritto di difesa poteva essere esercitato direttamente dallo stesso imputato, che lamentava come causa di nullità l’intempestiva nomina del difensore d’ufficio. Calabria. Corbelli: “Nominate il Garante della Salute e quello dei Diritti dei detenuti” La Nuova Calabria, 19 settembre 2022 Il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, da oltre 25 anni, impegnato a denunciare il dramma delle carceri in Italia (e, per queste sue innumerevoli battaglie sulla condizione disumana delle prigioni italiane, intervistato, il 28 febbraio 1995, finanche dal più grande giornale del mondo, The New York Times,) e l’allarmante situazione sanitaria (con le tante lotte fatte, su questo tema, in particolare in Calabria) chiede, alla luce delle drammatiche emergenze che si continuano a vivere su questi due fronti, che il Consiglio regionale calabrese proceda subito con la nomina del Garante della Salute e del Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti”. “Sono due nomine, importanti e indispensabili, che, alla luce di quanto continua purtroppo ad accadere nei due settori (delle carceri e sanitario) vanno fatte subito e non invece ancora disattese. Come purtroppo accade da quattro anni per quella per le persone private della libertà e addirittura da ben 14 anni quella per la salute. La prima infatti è stata approvata dal Consiglio Regionale calabrese nel 2018. La seconda, il Garante della Salute, il lontano 30 giugno 2008. Quest’ultima proposta(Garante della Salute), com’è noto, è stata e continua ad essere una grande battaglia di Diritti Civili che questa legge l’ha ideata, fatta approvare, in prima istanza, dal Consiglio provinciale di Cosenza (dove sedevo come consigliere di minoranza) nel gennaio del 2008 e che poi per competenza è stata trasmessa al Consiglio regionale della Calabria che l’ha definitivamente licenziata, all’unanimità, la fine di giugno del 2008, dopo ero andato personalmente, prosegue Corbelli, ad illustrarla, poche settimane prima, all’apposita commissione regionale di Palazzo Campanella”. Oggi l’attivista di Diritti Civili, ancora una volta, ne chiede la immediata nomina di quella (Garante della Salute) che, ricorda, “non è solo una semplice figura istituzionale ma una grande struttura operativa, 24 ore su 24, con un numero verde, una ventina di sportelli informativi, un coordinamento regionale per i soccorsi ed è a, quasi, costo zero per lo Stato, perché prevede l’utilizzazione di figure professionali che già operano nelle strutture pubbliche e solo un rimborso spese per il Garante”. Corbelli, nel suo intervento, accomuna le due figure di Garante(Salute e Detenuti) e ne chiede, per entrambi, la immediata nomina. “La cronaca di tutti i giorni, con i drammi nella sanità(aggravati purtroppo dalla pandemia) e la situazione esplosiva nelle carceri (dove si susseguono i casi di suicidio, l’ultimo, in queste ore, in Emilia, e i problemi di sovraffollamento), testimonia quanto sia importante, assolutamente indispensabile e urgente la nomina di queste due figure e relative strutture operative. Per questo rivolgo un invito al Presidente del Consiglio Regionale, Filippo Mancuso(che ha nei giorni scorsi annunciato la prossima nomina del Garante dei Detenuti), al Governatore Roberto Occhiuto e a tutte le forze politiche presenti in Consiglio regionale di procedere subito con queste due nomine, che rappresentano una conquista civile per la nostra regione e un riferimento istituzionale e una speranza per migliaia di cittadini che si vedranno in questo modo i loro diritti difesi e tutelati e non invece, come in tanti casi, violati, con conseguenze, spesso purtroppo, anche drammatiche. Le due figure istituzionali avranno un compito preciso da assolvere: far rispettare insieme ai diritti la stessa dignità umana delle persone, nelle strutture sanitarie e nelle carceri”. Padova. La denuncia di 164 detenuti del Due Palazzi: “Costretti a vivere in condizioni disumane” di Alice Ferretti Il Mattino di Padova, 19 settembre 2022 In una lettera inviata al giornale i carcerati mettono sotto accusa servizi e condizioni igienico sanitarie della casa di reclusione. Non si fermano le lamentele dei detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi. A pochi mesi dall’esposto presentato in Procura con la specifica richiesta di “celeri e approfondite indagini” sul sistema sanitario, per cui è stata chiesta però l’archiviazione, gli ospiti del carcere portano avanti la loro battaglia per avere condizioni di vita “più dignitose”. Qualche giorno fa, 164 detenuti dei blocchi 3 e 4, sezioni A e B, della casa di reclusione di via Due Palazzi, hanno mandato al nostro giornale un documento, firmato e sottoscritto da tutti, corredato da una lettera che ancora una volta vuole portare a galla una serie di criticità diventate ormai “insopportabili”. Il documento è suddiviso in 14 punti dove i carcerati snocciolano ogni singolo problema. Si parla del fatto che il tavolo per la preparazione degli alimenti e il frigorifero si trovino proprio di fianco al water, che nelle celle ci sia solo acqua fredda, che le stesse siano infestate dalla presenza di scarafaggi che “in orario notturno circolano sopra i letti”. A nulla, dicono, servirebbero le “sporadiche disinfestazioni”. Il perimetro dell’istituto poi, denunciano, sarebbe “stracolmo di maleodorante immondizia, la quale attira centinaia di gabbiani che sorvolano le aree dedicate ai passaggi, piovono continuamente escrementi”, e di notte “spazio ai ratti”. Non solo. Le celle sarebbero fredde e umide perché “nonostante le proteste e le varie raccolte firme i termosifoni vengono portati a temperatura solo due o tre ore al giorno, nelle restanti ore sono solo tiepidi, la temperatura interna è proibitiva con umidità che causa problemi di salute perfino ai detenuti più giovani”. Con la pioggia e il vento poi “le camere si allagano” e i muri “sono pieni di muffa” e gli impianti elettrici e idraulici “non a norma e possibile causa di infortunio”. La struttura sarebbe “fatiscente” costruita “decenni orsono con pannelli di cemento decompresso con polistirolo espanso utilizzato generalmente in attività industriali, agricole o in locali adibiti al ricovero di animali”. Sempre facendo riferimento agli spazi, i detenuti sottolineano come lo spazio calpestabile nelle celle sia “inferiore a 3 metri quadri per persona” e in più ci siano letti inadeguati che “provocano fortissimi dolori alle articolazioni”. Ci sarebbero poi difficoltà anche per quanto riguarda lavoro e attività all’interno del carcere. Il lavoro offerto dall’amministrazione sarebbe “scarso” e i tempi d’attesa “superiori a un anno”. L’attività ricreativa “in una piccola saletta con possibilità di sedere per solo dieci persona fronte delle quarantacinque unità presenti in ogni sezione”. La comunicazione con gli educatori avverrebbe “a distanza di mesi se non anni” e le sale per i colloqui sarebbero di “piccole dimensioni con effetto doppler generato dalla struttura stessa, conversazioni con estrema difficoltà”. A tutto questo si aggiunge l’ormai nota lamentela per la sanità interna al carcere che viene apostrofata come “di facciata” poiché “per esami che andrebbero fatti con urgenza i tempi di attesa a volte superano anche un anno”, e in caso di emergenza “l’intervento del medico spesso avviene solo dopo lunghe ore di attesa”. Il servizio radiologico interno addirittura sarebbe “inutilizzato in quanto privo di personale specializzato”. Dunque, come sintetizzano nel punto finale della loro denuncia, sarebbero sottoposti a “condizioni disumane che causano anche attriti tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria”. Padova. Il direttore della Casa di reclusione: “Quello che manca è la libertà, per il resto facciamo il massimo” di Alice Ferretti Il Mattino di Padova, 19 settembre 2022 Claudio Mazzeo, direttore della casa di reclusione Due Palazzi dal gennaio de12018, con alle spalle una lunga esperienza di direzione di istituti penitenziari in Italia (da Trapani, a Catania, a Caltagirone a Cuneo), non sembra preoccupato nell’apprendere che 164 dei “suoi” detenuti si sono esposti con tanto di nome e cognome descrivendo condizioni di vita “disumane” nella struttura che lui dirige. “Purtroppo stiamo parlando di persone che sono state private della libertà”, dice Mazzeo. “La libertà è realmente quello che gli manca. Potrebbero vivere anche in camere d’albergo ma non sarebbero comunque contenti. Credo sia comprensibile”. Il direttore cerca poi di dare risposta, punto per punto, alle varie lamentele. “Per quanto riguarda gli scarafaggi è vero che abbiamo avuto questo problema ma facciamo periodicamente la disinfestazione. I letti sono uguali in tutta Italia e le stanze sono da due persone. singole addirittura per gli ergastolani”. Parlando della struttura: “Abbiamo messo l’aria condizionata nella sala della socialità, i ventilatori e i frigoriferi nelle camere. È in atto un piano dì ristrutturazioni delle sezioni con docce in camera e fornelli a induzione. Non solo: “Gli spazi delle cooperative, che fanno lavorare 150 detenuti, sono stati ampliati e così lo sarà anche la biblioteca. A breve verrà inaugurato un parco interno per consentire attività ricreative all’aperto e fruibilità nella bella stagione”. Sulla sanità: “I medici fanno il massimo. Abbiamo avuto un focolaio di Covid poco fa e ora grazie al lavoro dei medici siamo a zero positivi” E infine sulle attività: “Stiamo iniziando le attività scolastiche, abbiamo avviato un, nuovo corso alberghiero con la scuola di Abano con un investimento importante per spazi e cucine. In più ci sono diversi protocolli con le cooperative per il lavoro all’esterno”. Insomma: “Tutto quello che possiamo fare lo facciamo”. Napoli. Detenuto muore per malore a Poggioreale. Ciambriello: perché non una chiamata al 118? Corriere del Mezzogiorno, 19 settembre 2022 Il Garante dei detenuti visita il penitenziario: “I compagni di cella mi hanno riferito che è stato male per giorni, c’erano i sintomi del pre infarto”. “Luigi, 56 anni, è morto, probabilmente per infarto, nella prima mattinata di oggi nel carcere di Poggioreale. Ho incontrato in mattinata i suoi quattro compagni di cella del reparto Livorno che mi hanno raccontato dei suoi dolori, da giorni, dolore al braccio, vomito, degli interventi fatti dal medico di turno in nottata. Ma perché non è stato chiamato il 118 visto che c’erano tutti i sintomi di un preinfarto?”. È la testimonianza del garante campano dei detenuti Samuele Ciambriello a proposito dell’ennesima morte in carcere. “Invoco più sforzi e interventi concreti” - “Dall’inizio dell’anno - ricorda Ciambriello - in Campania ci sono state sei morti per malattia e da accertare e cinque suicidi. Invoco più sforzi ed interventi concreti per migliorare le condizioni di vita nelle carceri, a partire dalla sanità penitenziaria, Intercettando il disagio, gli eventi sentinella, i problemi sanitari prima che accada l’irreparabile”. Gli fa eco Pietro Ioia, garante comunale di Napoli: “Il sovraffollamento e la precarietà della situazione igienica sanitaria sono le costanti della vita in carcere a Poggioreale. Lo Stato non garantisce gli standard minimi di dignità ed assistenza sanitaria”. Autopsia al policlinico - Il corpo del detenuto è stato portato al Policlinico per l’autopsia, il magistrato di turno ha sequestrato la sua cartella clinica. “C’è un allarme silenzioso e silenziato - conclude Ciambriello - sulle morti in carcere e di carcere. Ogni diversamente libero ha alle spalle qualcosa di unico, per questo la pena non deve dimenticare l’unicità di ciascuno. Per il carcere occorre fare di più e fare presto”. Ascoli. Marino del Tronto, sopralluogo del Garante in carcere lanuovariviera.it, 19 settembre 2022 Visita dopo la protesta pacifica di alcuni detenuti dell’alta sicurezza, che terminata l’ora d’aria non hanno fatto rientro nelle celle decidendo di dormire sul pavimento. Sopralluogo del Garante Giancarlo Giulianelli a Marino del Tronto per una verifica della situazione alla luce della protesta pacifica di alcuni detenuti dell’alta sicurezza, che terminata l’ora d’aria non hanno fatto rientro nelle celle decidendo di dormire sul pavimento. La stessa protesta ha preso le mosse in relazione ad una serie di richieste sullo svolgimento di specifiche attività all’interno dell’istituto penitenziario, a partire dai colloqui con i familiari. Nel corso della visita Giulianelli ha incontrato la direzione, il comandante della polizia penitenziaria e una delegazione di detenuti. “Al termine del confronto - sottolinea Giulianelli - la protesta è completamente rientrata. Non mancherà il mio personale impegno per cercare di trovare risposte adeguate ad alcuni problemi posti al centro dell’attenzione. C’è da dire che la struttura carceraria di Marino del Tronto è ancora sottoposta a limitazioni logistiche e presidi previsti dal 41 bis che, dopo in declassamento, non c’è più. In questa direzione è sicuramente necessario un intervento deciso che ristabilisca una situazione di normalità”. Già alcune settimane fa, riferendosi proprio alla Casa circondariale di Ascoli Piceno, il Garante aveva parlato di “situazione ormai insostenibile”, evidenziando diverse problematiche. Busto Arsizio. “Al di là dei muri”, il ruolo del Terzo settore nelle carceri informazioneonline.it, 19 settembre 2022 Il 22 settembre alle ore 17, in carcere a Busto Arsizio, le Acli nazionali, in collaborazione con le Acli Lombardia, le Acli di Varese e la Fondazione Enaip Lombardia, presenteranno la ricerca a cura dell’Iref, “Al di là dei muri”, un’analisi approfondita sul ruolo fondamentale del Terzo settore nel mondo del carcere. L’obiettivo è quello di documentare l’impegno che svolge il non profit con le persone detenute: un lavoro che mira prima di tutto al reinserimento nella società. Nel report sono descritte le attività che il Terzo settore e, in particolare le Acli, hanno avviato per rendere più umano il carcere e accompagnare i detenuti durante il periodo di reclusione e dopo. L’Associazione da anni è impegnata nell’organizzazione e nell’attuazione di progetti formativi, culturali e sportivi negli istituti di pena. La ricerca è solo un primo passo: i futuri rapporti “Al di là dei muri” saranno dedicati a far emergere il valore economico, sociale, culturale, nonché politico del Terzo settore nel sistema di giustizia penale e il ruolo e l’impatto che ha nel reinsediamento nella società degli autori di reato. Durante la presentazione della ricerca interverranno: Orazio Sorrentini, Direttore Casa Circondariale Busto Arsizio, Carmela Tascone, Presidente provinciale Acli Varese, Antonio Russo, Vicepresidente nazionale Acli, Gianfranco Zucca, ricercatore Iref e curatore della ricerca, Martino Troncatti, Presidente regionale Acli Lombardia ed Enaip Lombardia e Sergio Preite, formatore Enaip Lombardia. Le conclusioni sono affidate al Presidente nazionale delle Acli, Emiliano Manfredonia. Pesaro. Tavola rotonda: “Carcere, luogo di privazione della libertà e anche della salute e della vita” viverepesaro.it, 19 settembre 2022 Inizia il 20 settembre, con la visita al carcere di Fossombrone alle ore 10, il “Viaggio della speranza nelle Marche” organizzato da Nessuno tocchi Caino (presenti i dirigenti Rita Bernardini, Sergio D’Elia ed Elisabetta Zamparutti) in collaborazione con il Coordinamento delle Camere Penali Marchigiane di Ancona, Ascoli, Fermo, Macerata, Pesaro ed Urbino e con l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane. Il giro delle Marche prevede tappe in tutti gli istituti di pena della regione dove, nelle intenzioni degli organizzatori, la visita ai carcerati ha lo scopo di verificare le condizioni di vita materiale e infondere fiducia e speranza laddove rischiano di prevalere sfiducia e disperazione, come testimonia il numero dei suicidi che quest’anno hanno raggiunto numeri mai visti prima. Dopo le visite in carcere si svolgeranno conferenze sul superamento di una realtà, quella carceraria, che a chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire sempre più appare fuori dal tempo e fuori dal mondo. La mattina del 21 settembre, alle ore 10, si visiterà il Carcere di Pesaro e nel pomeriggio, alle ore 15.30, presso la Sala del Consiglio Provinciale di Pesaro e Urbino “W. Pierangeli”, si svolgerà la tavola rotonda aperta alla cittadinanza dal titolo “Carcere: luogo di privazione della libertà e anche della salute e della vita”. Interverranno: Rita Bernardini (Presidente di Nessuno Tocchi Caino), Sergio D’Elia (Segretario di Nessuno Tocchi Caino) ed Elisabetta Zamparutti (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura quale componente per conto dell’Italia), Avv. Marco Baietta (Presidente Camera Penale di Pesaro), Avv. Marcello Fagioli (Presidente Camera Penale di Urbino), Dott. Pierluigi Fraternali (ex Responsabile Sanità Penitenziaria Area Vasta 1 Asur Marche), Dott.ssa Silvia Cecchi (Pubblico Ministero Procura Pesaro), Avv. Simone Mancini (Referente regione Marche per l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane), Avv. Gabriele Marra (Professore Associato di Diritto Penale presso l’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”), Avv. Marco Vitali (Amnesty International Italia) e l’Avv. Francesca Darpetti (Associazione Antigone). Le prossime tappe del viaggio della speranza nelle Marche saranno: 22-23 settembre in Ancona, il 28 settembre a Fermo e Macerata, infine il 29 settembre ad Ascoli Piceno. Matera. Cei: “Per Congresso eucaristico nazionale 35mila ostie preparate nelle carceri” Basilicata ansa.it, 19 settembre 2022 Saranno distribuite alle celebrazioni del Congresso eucaristico. Saranno 35mila le ostie preparate dai detenuti delle carceri di Opera (Milano) e di Castelfranco Emilia (Modena) per la distribuzione della comunione nel corso della celebrazione eucaristica del XXVII congresso eucaristico nazionale di Matera, organizzato dalla Cei e che vedrà anche la presenza di Papa Francesco, in programma dal 22 al 25 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Ispettorato dei Cappellani delle Carceri d’Italia, sarà realizzata grazie al sostegno della Fondazione “La Casa dello Spirito e delle Arti” del carcere di Opera e alla Cooperativa sociale “Giorni Nuovi” e “Missione speranza” del Carcere di Castelfranco Emilia. “Il Pane prodotto tra le mura delle carceri, e che sulla mensa diventerà il Corpo di Cristo, vuole essere la voce della speranza rivolta a tutte le comunità ecclesiali e al mondo civile - ha spiegato don Raffaele Grimaldi, (Ispettore Cappellani carceri) - per non dimenticare che anche nelle carceri c’è una comunità bisognosa di ascolto di accoglienza e di riscatto. L’iniziativa vuole essere, inoltre, un invito alla società cristiana e civile affinché tutti si facciano ‘pane spezzato’. Il Congresso Eucaristico ci faccia cogliere e comprendere ancora di più che in quel piccolo pezzo di pane che nutre la nostra fragilità umana, oltre ad esserci Il Cristo Vivente, sono racchiusi i dolori dell’umanità e sono impressi i volti di coloro che vivono nelle carceri”.