L’emergenza carceri nei programmi elettorali dei partiti politici di Kevin Carboni wired.it, 10 settembre 2022 La situazione è disastrosa, come emerge dai rapporti di Associazione Antigone e dalle numerose condanne internazionali. Alcuni partiti propongono riforme serie sull’argomento, altri hanno scelto di ignorarlo. Qualche mese fa Rita Bernardini, esponente del Partito Radicale, presidente dell’associazione Nessuno Tocchi Caino e punto di riferimento da decenni delle battaglie per i diritti dei detenuti, ha detto: “Io un punto così basso per le carceri italiane non l’avevo mai registrato”. Sovraffollamento, suicidi, rivolte, processi e condanne per tortura a carico di agenti penitenziari: gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un drastico peggioramento delle condizioni di detenzione e Covid-19 non ha fatto altro che amplificare queste criticità. Per capirci qualcosa basta dare una lettura all’ultimo rapporto di Associazione Antigone, che snocciola i numeri dell’emergenza. Il tasso di sovraffollamento al 2022 è del 107,4%, un dato che però nasconde la situazione tragica di alcuni istituti come quello di Brescia (185%), Bergamo (165%) e Varese (161%) e che peraltro è arrotondato per difetto, visto che le sezioni di diversi istituti sono chiuse per inagibilità o manutenzione ma vengono comunque conteggiate per i posti disponibili. I detenuti italiani si ritrovano spesso a scontare la pena in condizioni disumane e degradanti, come non mancano di ricordare le numerose pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, come la nota “Torreggiani”. Lo spazio di 3 metri quadri di suolo calpestabile per detenuto non viene rispettato in una cella su quattro e in alcuni casi il wc continua a trovarsi nello stesso ambiente dei letti e non in uno spazio separato, come dovrebbe essere. L’accesso alle attività ricreazionali e trattamentali non è scontato, un problema che si è acutizzato con la pandemia che ha di fatto cancellato la gran parte delle attività interne ed esterne al carcere, oltre che i colloqui in presenza con i familiari, condannando i detenuti a una sorta di isolamento totale. Le rivolte che ci sono state in istituti come quelli di Modena, Milano San Vittore e molti altri sono state un grido d’aiuto, come sono un grido d’aiuto i dati terrificanti sui suicidi in carcere: uno ogni cinque giorni, un trend in costante peggioramento nell’ultimo decennio, a riprova che la situazione delle carceri italiane non sta evolvendo in una direzione positiva. Se a questo si aggiunge la pioggia di processi e condanne per tortura a carico di agenti penitenziari, da Santa Maria Capua Vetere a San Gimignano, passando per Ferrara, Torino e molti altri, il quadro dello stato disastroso delle carceri nell’Italia del 2022 è completo. Di fronte a questa situazione e alle ripetute condanne contro l’Italia da parte della giustizia internazionale, parlare di carceri nel proprio programma elettorale dovrebbe essere un imperativo per i partiti degni di una democrazia del XXI secolo. Se alcuni effettivamente lo fanno, promettendo una riforma più o meno radicale del sistema penitenziario italiano, altri hanno però deciso di ignorare l’argomento. Di carceri e tutela dei diritti dei detenuti non si parla nei programmi di Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia. Se il primo silenzio fa più rumore, visti i frequenti richiami ai diritti fatti dal nuovo corso pentastellato di Giuseppe Conte, meno sorprendente è il disinteresse per i diritti dei detenuti di Giorgia Meloni, icona del giustizialismo duro e puro. Nel programma di Forza Italia invece si parla di un generico “piano carceri”, una promessa priva di dettagli su cui risulta quindi difficile esprimere un giudizio. La riforma penitenziaria secondo la Lega - L’unico partito della destra italiana a dire qualcosa di più concreto (ma comunque molto striminzito) a proposito di carcere è la Lega di Matteo Salvini. Nel programma si promette “una riforma dell’ordinamento penitenziario che garantisca piena dignità al detenuto e sicurezza nelle carceri” e di seguito vengono snocciolate le due modalità con cui si vuole raggiungere questo obiettivo: assunzioni tra le fila della Polizia penitenziaria e la costruzione di nuovi istituti penitenziari, moderni e vivibili. Il piano del Terzo polo sulle carceri - Il programma congiunto redatto da Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi prevede una riforma del sistema penitenziario che garantisca “il rispetto del principio della finalità educativa della pena, coerentemente con quanto previsto dalla Costituzione”. Tra le misure proposte c’è un intervento sulla normativa della custodia cautelare, per evitare un abuso del sistema dal momento che oggi un terzo dei detenuti si trova in carcere pur senza condanna definitiva. Inoltre viene prospettata un’incentivazione nel ricorso alle pene alternative, così da ridurre la pressione sulle carceri, interventi di edilizia carceraria e una nuova legge sulle detenute madri che fermi la pratica dei bambini in carcere (oggi ce ne sono 27). La ricetta del Pd - L’apertura del paragrafo dedicato alle carceri nel programma del Partito democratico di Enrico Letta si caratterizza per una presa di posizione netta: “Vogliamo valorizzare gli strumenti di giustizia riparativa anche per superare l’impostazione di un sistema penale incentrato prevalentemente sul carcere”. Un assunto che non si sa se in maniera più o meno volontaria richiama alle teorie abolizioniste del carcere, quelle che in qualche modo si trovavano già nei testi di Lev Tolstoj di fine Ottocento quando diceva che “queste istituzioni portano la gente al massimo di vizio e corruzione, cioè aumentano il pericolo” e che nel tempo sono state approfondite da intellettuali e pensatori come Altiero Spinelli, Piero Calamandrei, Luigi Manconi e molti altri. Il Partito democratico dice di voler “immaginare nuove modalità di esecuzione della pena che prescindano dalla detenzione in carcere e garantiscano contemporaneamente sicurezza e dignità”. Si parla di rendere strutturali le misure emergenziali applicate durante l’emergenza Covid-19, un probabile riferimento alla garanzia di maggiori spazi per i detenuti e di un più ampio ricorso alle tecnologie per mettersi in contatto con i familiari. Nel programma viene dedicato ampio spazio al lavoro carcerario, sottolineando che l’Italia presenta una delle statistiche peggiori in Europa per quanto riguarda il lavoro dei detenuti con datori diversi dall’amministrazione penitenziaria (4%). Coinvolgere imprenditori responsabili nei percorsi formativi e alleggerire la burocrazia penitenziaria è la ricetta del Pd per riformare il quadro, che passa anche dall’adeguamento dei trattamenti economici e dalla promozione di nuove professionalità tra i detenuti. L’attenzione per i detenuti di Europa verde-Sinistra italiana - Il programma più strutturato sul tema delle carceri e dei diritti dei detenuti è senza dubbio quello di Europa verde-Sinistra italiana. Nel documento programmatico vengono riportate direttamente cinque proposte sulle carceri di Associazione Antigone, il soggetto più credibile quando si parla dell’argomento vista la sua battaglia ultra-trentennale per garantire dignità e rispetto dei diritti per i detenuti. In primis si chiede un intervento drastico sulla legge sulle droghe, dal momento che una delle principali cause del sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani è il proibizionismo: un terzo dei detenuti ha subito condanne legate a reati di droga. Un’altra norma che si promette di cancellare per alleggerire la pressione sulle carceri è la Bossi-Fini sull’immigrazione, fonte di clandestinità che ostacola i percorsi di integrazione e aumenta di conseguenza devianza penale e incarcerazioni. I due partiti chiedono poi, in linea con altri, una riduzione del ricorso alla custodia cautelare, investendo maggiormente nelle misure alternative alla detenzione. Inoltre si prospetta “un nuovo regolamento penitenziario che preveda più possibilità di contatti telefonici e visivi, un maggiore uso delle tecnologie, un sistema disciplinare orientato al rispetto della dignità della persona, una riduzione dell’uso dell’isolamento, forme di prevenzione degli abusi, sorveglianza dinamica”. Questo passa anche attraverso la dotazione di un telefono per ogni cella, in modo da superare lo schema repressivo che va per la maggiore dei 10 minuti di chiamata settimanale per detenuto. Tra gli altri punti sulle carceri c’è la tutela della salute per i detenuti e la tutela diritti dei detenuti Lgbt+. Infine si parla anche di personale penitenziario, che deve essere sostenuto attraverso percorsi di formazione. Anche +Europa e Unione popolare attenti alle carceri - Se nel programma di +Europa si trovano la gran parte delle proposte sulle carceri lette fino a ora, come l’ammodernamento dell’edilizia penitenziaria, nuovi percorsi di reclutamento e formazione del personale penitenziario, il rispetto della pena così come definita in Costituzione e la garanzia di trattamenti psichici per chi ne necessita, su un altro punto si trovano considerazioni ignorate dal restante panorama politico italiano. Il partito di Emma Bonino propone infatti una riforma “che riconosca il diritto all’affettività e alla sessualità in carcere”, un tema troppo spesso sottaciuto e su cui si è espressa anche la Corte Costituzionale, denunciando come la negazione del sesso e dell’amore ai detenuti sia una sorta di pena nella pena che costituisce trattamento disumano e degradante. Unione popolare, il partito guidato dall’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, definisce il sistema carcerario attuale “inadeguato e non degno di un paese civile e democratico”. Per cambiare la situazione propone una riforma dell’istituto della detenzione “soprattutto per i reati minori”, con maggiore ricorso alle misure alternative, investimenti nel reinserimento sociale dei detenuti e stop all’abuso della custodia cautelare. Il carcere deve essere ripensato di Simone Pastorino Il Domani, 10 settembre 2022 Sono un educatore penitenziario del terzo settore nonché criminologo in carcere. La presente per aggiungere un’ulteriore gravissima carenza cronica nella sua lucida e attenta analisi del sistema penitenziario italiano: la scarsissima presenza di personale educativo (gli autentici registi del trattamento penitenziario) a fronte delle esigenze della popolazione detenuta. Ogni anno viene bandito in media un concorso per un migliaio di nuovi allievi agenti di polizia penitenziaria (presenza e professionalità imprescindibile, sia chiaro) e solo l’anno scorso - dopo ben 17 anni (sic!) - un concorso per 210 educatori, che non sono neanche sufficienti a sopperire agli stati di quiescenza del personale educativo. A ciò si aggiunga che dei 210 verranno immessi in servizio un numero minore e che si sta manifestando una preoccupante politica penitenziaria volta a esternalizzare l’intervento del personale civile attraverso, appunto, protocolli col terziario o collaborazioni con professionisti in partita iva, senza mai creare una cultura statale del trattamento. A nulla varranno le eventuali obiezioni alle mie osservazioni, riportando i recenti concorsi dei dirigenti istituti penitenziari (45 unità), dirigenti istituti minorili (cinque), dirigenti Uepe (diciotto), funzionari giuridico-pedagogici (210, appunto) perché rappresentano una goccia nell’oceano per un sistema che deve essere ripensato e rifondato. Dap, in arrivo 200 nuovi educatori nelle carceri italiane gnewsonline.it10 settembre 2022 Sono circa 200 i funzionari giuridico-pedagogici vincitori di concorso che prenderanno servizio negli istituti penitenziari italiani a partire dal prossimo 27 settembre. Nella giornata di ieri sono state definite le procedure per la scelta delle sedi dei nuovi assunti. I nuovi educatori andranno a rinforzare le piante organiche di questo delicato e importante profilo professionale, essenziale per il trattamento e il reinserimento sociale delle persone detenute. Di questi, 9 funzionari – otto vincitori e una ulteriore unità individuata con la mobilità ordinaria – andranno ad unirsi ai 12 già presenti nell’istituto penitenziario di Napoli Poggioreale, dove era segnalata una importante carenza. Proprio nell’istituto campano si recherà presto il Capo del Dap Carlo Renoldi, per fare il punto delle criticità di cui l’Amministrazione si sta facendo carico. Sempre in Campania, 6 nuovi educatori andranno a rafforzare l’organico di Santa Maria Capua Vetere. A Firenze Sollicciano ne arriveranno 5, mentre 4 ciascuno prenderanno servizio negli istituti di Frosinone e Foggia. Tre sono stati destinati a Sassari e 2 a Torino, ai quali si aggiungeranno altre 2 unità individuate con la mobilità. Caos giustizia, i partiti reagiscono all’allarme lanciato da Ermini sul Foglio di Ermes Antonucci Il Foglio, 10 settembre 2022 Le forze politiche intervengono sull’emergenza giudiziaria causata dalla carenza dei magistrati. Tribunali al collasso e processi rinviati al 2024-2025. Interpellati dal Foglio, i partiti reagiscono all’allarme lanciato ieri su queste pagine dal vicepresidente del Csm, David Ermini, sullo stato della giustizia: “C’è una grave carenza di magistrati che investe tutto il sistema giudiziario e che durerà almeno fino al 2024, quando entreranno in ruolo i nuovi giudici reclutati tramite concorso. Fino ad allora, la giustizia italiana vivrà una fase di emergenza”. Il leghista Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia al Senato e candidato per il Carroccio in Veneto, commenta le parole di Ermini così: “Finché gli stanziamenti in favore del sistema giustizia saranno considerati spesa e non investimento la situazione non potrà che essere questa. Una giustizia più giusta, più veloce ed efficiente rende il paese più competitivo e più equo. La Lega è favorevole ad assunzioni di magistrati e specialmente di personale amministrativo”. Più critico, invece, Mario Perantoni, presidente della commissione Giustizia della Camera, candidato per il Movimento 5 stelle nel collegio di Sassari, che si dice d’accordo con le preoccupazioni di Ermini, ma poi aggiunge: “Una vera riforma della giustizia avrebbe dovuto puntare esattamente su questo tasto dolente, la carenza di personale e di magistrati: noi abbiamo molto insistito sul fatto che questo era il nodo per rafforzare la giurisdizione ed andare incontro alle esigenze di una giustizia più celere ed efficiente per tutti ed è la strada che avevamo intrapreso con il ministro Bonafede. Al contrario, la ministra Cartabia e il presidente Draghi hanno privilegiato interventi in altre direzioni, assolutamente irrilevanti per questo fine, e questi sono i risultati”. Polemico, ma nella direzione opposta, il senatore Pierantonio Zanettin, ex membro laico del Csm e candidato al Senato per Forza Italia nel collegio Veneto 2: “Era una emergenza ampiamente prevedibile. Erano anni che personalmente lanciavo allarmi sul fatto che non venivano svolti concorsi. Se per un anno ci può essere l’alibi del Covid, bisogna ricordare che i cinque anni del governo prima gialloverde e poi giallorosso sono stati fallimentari su questo punto. Il bilancio Bonafede è fallimentare, perché non ha fatto i concorsi. E’ inutile aumentare le piante organiche della magistratura, come ha fatto lui. Bisognava fare i concorsi”. Anna Rossomando, vicepresidente del Senato e responsabile giustizia e diritti del Partito democratico (candidata al Senato nelle liste proporzionali del Piemonte 1), dichiara: “Prendiamo sul serio l’alert del vicepresidente Ermini, ma nelle riforme ci sono le soluzioni. Per questo ci opporremo a qualsiasi tentativo di rinvio o snaturamento sui decreti attuativi”. “Un alleggerimento del carico - aggiunge - arriverà nel penale con misure come l’allargamento della messa alla prova e dell’archiviazione per tenuità del fatto, nonché con l’incremento dei riti alternativi attraverso le pene sostitutive al carcere già nel processo, che avranno un effetto deflattivo. Quanto alla necessità di accorciare i tempi della presa di funzione dei magistrati, la riforma dell’ordinamento giudiziario prevede l’accesso al concorso senza obbligo di scuole specializzanti, così come la riduzione delle materie della prova orale, contestualmente alla loro attualizzazione nel contenuto. Dunque nelle riforme approvate le soluzioni ci sono, per questo il nostro impegno è vederle subito concretizzate”. “Fratelli d’Italia da tempo denuncia la carenza devastante di magistrati”, ci dice il deputato e responsabile giustizia di Fratelli d’Italia, Andrea Delmastro Delle Vedove (candidato alla Camera nel collegio uninominale di Biella e Vercelli), che poi attacca: “Attraverso l’istituzione dell’ufficio del processo, che io definisco ‘l’ufficio del paggetto’, la ministra Cartabia ha gradualmente eroso la platea di 5mila magistrati onorari, formati nel corso di vent’anni e che invece andavano stabilizzati per defaticare i togati. Insomma, l’emergenza era ampiamente prevista e prevedibile”. Per il senatore Francesco Bonifazi, candidato di Italia Viva in Toscana, “il problema è reale”: “Come terzo polo proponiamo di potenziare l’organico dei magistrati e ridefinire il ruolo degli onorari, ma anche afforzare l’organico amministrativo, rendere più efficiente e veloce il sistema attraverso un potenziamento del processo telematico, la creazione di una piattaforma unica per tutti i riti e una formazione manageriale dei togati con incarichi direttivi”. “Fa sorridere però - aggiunge Bonifazi - che il vicepresidente Ermini dimentichi un elemento cardine del problema, vale a dire i troppi magistrati collocati fuori ruolo. Noi proponiamo di ridurne nettamente la presenza. Sono certo che le correnti capiranno, visto che sono le prime a denunciare la carenza di organico, ma chiedere a Ermini di intervenire sull’organizzazione della giustizia è davvero chiedere troppo”. Separazione delle carriere e inappellabilità: cosa resterà delle buone intenzioni elettorali? di Gian Domenico Caiazza Il Dubbio, 10 settembre 2022 Numeri alla mano, il nuovo Parlamento potrà riformare nel profondo la giustizia, sarà così? Se stiamo alle parole ed agli impegni proclamati in queste settimane di campagna elettorale, dovremmo trovarci alla vigilia di un nuovo Parlamento in grado, numeri alla mano, di realizzare in un batter d’occhio alcune tra le più agognate riforme liberali della giustizia penale. Riassumiamo. La separazione delle carriere, cioè la madre di tutte le vere riforme del processo penale, sarebbe (stando alle parole di oggi) la priorità assoluta almeno dell’intero centrodestra oltre che, altrettanto certamente, dell’area liberale che fa riferimento a Calenda e Renzi. Vale a dire, sondaggi alla mano, una solida maggioranza assoluta in Parlamento, a prescindere dagli assetti di governo. Lo stesso vale per la inoppugnabilità delle sentenze di assoluzione. Meno chiara la situazione in tema di divieto o forte limitazione del distacco dei magistrati presso l’esecutivo e di ritorno alla prescrizione sostanziale. Quanto al CSM, tutti preannunciano riforme epocali, ma sono parole d’ordine generiche che non aiutano a comprenderne la direzione. Accontentiamoci, forti degli insegnamenti oraziani sul senso della misura. Intendiamoci, noi vogliamo e dobbiamo dare piena fiducia a questi espliciti, inequivocabili impegni elettorali. Ma siamo anche consapevoli, in primo luogo, di quali resistenze fortissime incontreranno queste belle idee riformatrici. Se qualcuno pensa, per capirci, che la magistratura italiana se ne starà li a guardare, umilmente rispettosa (come pure dovrebbe) della volontà popolare espressa in una elezione democratica, beh costui ha vissuto in un altro Paese in questi ultimi trent’anni. Se volete un assaggio, leggete cosa dice e scrive il dott. Scarpinato, ex magistrato, candidato blindato nelle liste dei 5 stelle. Le idee riformiste espresse in ogni sede dall’ex collega, candidato anch’egli, dott. Carlo Nordio, non sono, come sarebbe normale e legittimo sostenere, non condivisibili o socialmente dannose; sono addirittura incostituzionali, insomma grossomodo eversive. Dunque, occorre una politica forte, un Parlamento autenticamente indipendente, capace di rivendicare il primato della propria legittimazione democratica e popolare quale voluta dalla nostra Costituzione. Occorre una classe dirigente orgogliosamente consapevole di essere espressione di un potere (quello legislativo) che nasce dalla volontà popolare, a fronte di un potere -ma meglio sarebbe dire, un ordine- (quello giudiziario) che ha una derivazione puramente burocratica, ancorché di rango costituzionale. I precedenti non sono felicissimi. Quando il corpo elettorale, piaccia o no, elesse una larga maggioranza parlamentare sotto la guida di Silvio Berlusconi, pure si parlava di separazione delle carriere; con in più lo straordinario vantaggio di un referendum servito su un piatto d’argento dal glorioso partito radicale, e dunque pronto per essere plebiscitato dalla schiacciante maggioranza degli italiani. Ma Berlusconi, che guarda caso stava vivendo momenti giudiziari difficilissimi, inopinatamente invitò il proprio elettorato ad andare al mare, invece che a votare SÌ. Alla separazione delle carriere, disse, ci avrebbe pensato il Parlamento, forte in quel momento di una maggioranza prossima, se non ricordo male, al 60%. L’elettorato in buona parte seguì quello sciagurato invito del leader, e non si raggiunse il quorum (mentre tra i votanti il SÌ raggiunse percentuali prossime all’80%). Naturalmente, la separazione delle carriere fu definitivamente seppellita. La morale della favola è molto semplice. È un bene che le intenzioni riformatrici di una così larga fetta delle forze politiche in competizione mostri di avere ben compreso quale sia la strada obbligata di una autentica riforma della giustizia e del suo ordinamento costituzionale, resa cogente dal varo - oltre venti anni fa, ormai! - del nuovo art. 111 della Carta costituzionale, che ha definitivamente sancito la natura accusatoria del nostro processo penale. Ma in questo Paese, sui temi della Giustizia penale, le maggioranze non sono sufficienti, purtroppo. Occorre una Politica forte, indipendente, non intimidita; occorre impegnarsi, culturalmente ancor prima che programmaticamente, per un drastico riequilibrio tra poteri dello Stato. Occorre insomma che la Politica - di ogni colore - trovi la forza di rivendicare il proprio primato democratico. E qui, purtroppo, le buone intenzioni non bastano. “Meloni & C. finiranno di smontare la Giustizia” di Davide Ruffolo La Notizia, 10 settembre 2022 Giustizia, parla il pm Eugenio Albamonte: “Tutte le misure annunciate dal centrodestra indeboliranno la magistratura”. Dopo la cura Cartabia, per la Giustizia si preannuncia una stagione calda. A far capire quale sarà l’andazzo è Marcello Pera, candidato di Fratelli d’Italia, secondo cui con le destre al potere verranno realizzati tutti i sogni di Berlusconi e Craxi in fatto di Giustizia. Dottor Eugenio Albamonte, cosa dobbiamo aspettarci? “Stando ai proclami di Nordio, della Bongiorno e, in ultimo, questo di Pera, non c’è da aspettarsi nulla di buono. Non lo dico dal punto di vista dei magistrati ma da quello dei cittadini perché l’idea che mi sembra uscire fuori da questo susseguirsi di dichiarazioni è quella di una giustizia debole coi forti e forte con i deboli. Un’idea di giustizia che mette insieme il populismo della Meloni e della Bongiorno che chiedono la severità di pene soltanto per alcuni reati di strada e per quelli commessi da soggetti marginali o dagli extracomunitari. Intendiamoci si tratta di crimini odiosi ma non sono gli unici che dobbiamo contrastare e che abbiamo nel nostro Paese. La cosa più preoccupante è che tutte le misure fin qui annunciate dal Centrodestra, a vario titolo e in vario modo, mi pare tendano a indebolire l’azione della magistratura nel contrasto alla criminalità economica e della Pubblica amministrazione”. Nei piani di Pera c’è l’inappellabilità delle sentenze, definita “una questione di civiltà”. È d’accordo? “Vorrei ricordare a tutti che questa riforma fu già fatta da un governo di Centrodestra e fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Una decisione basata sul presupposto dell’articolo 111 della nostra Carta in cui si afferma il principio della parità processuale tra le parti. Questo significa che l’accusa e la difesa devono avere gli stessi poteri e per questo non corrisponde a Costituzione una legge che introduca la possibilità che possa fare appello soltanto l’imputato e non l’accusa. Il problema è che chi sostiene simili argomenti lo fa senza sapere che sono stati introdotti una serie di correttivi. Oggi, differentemente da quanto dicono molti politici che sostengono questi argomenti disinformando l’opinione pubblica, il giudice d’appello può modificare una condanna o una sentenza di assoluzione soltanto se riassume le prove già assunte in primo grado. È completamente falso sostenere, come fanno troppi politici, che un giudice di appello può cambiare una sentenza assolutoria semplicemente leggendo gli atti del processo. Non funziona così”. Tanto Berlusconi quanto Salvini tornano a chiedere la responsabilità civile diretta dei giudici, una stretta sulla custodia cautelare e il ritorno della ex Cirielli. Tutti temi affrontati nei referendum e respinti dagli italiani… “A me sembra che alcune forze politiche, ormai da troppi anni, stanno facendo un uso strumentale dei referendum per chiamare a raccolta gli elettori, spesso su temi fin troppo tecnici, o per sollevare campagne di opinione. Poi se il referendum passa allora viene giustamente tradotto in legge, nel caso contrario si fa finta di niente e gli stessi temi vengono riproposti all’infinito. Insomma per la politica i referendum funzionano a senso unico ma così facendo toglieranno definitivamente qualsiasi interesse dell’opinione pubblica verso uno strumento di democrazia diretta di vitale importanza”. Con Cartabia è stato introdotto un bavaglio all’informazione giudiziaria. Una norma avversata da M5S e Pd, perché lede il diritto all’informazione, ma sostenuta dalle destre in quanto tutela la privacy delle persone coinvolte. Chi ha ragione? “Qui c’è un cortocircuito evidente. In primo luogo è sicuramente giusto evitare processi mediatici che, prima ancora del processo, diano una chiave di lettura definitiva sul caso all’opinione pubblica. Ma non si può pensare di farlo eliminando l’informazione che, è bene ricordarlo, è un diritto. Il secondo effetto di questa legge è che si è venuta a creare un’asimmetria in quanto dei vari protagonisti di un processo, c’è uno che non può parlare - l’accusa -, mentre tutti gli altri - tra cui imputati e difensori - possono farlo. È assurdo perché tutto ciò porta al rischio che quest’ultimi, essendo gli unici legittimati a raccontare la propria versione, convincano l’opinione pubblica della loro innocenza in un processo mediatico ribaltato”. Il Pd punta a confermare l’impianto delle riforme Cartabia. È la strada giusta? “Su numerosi passaggi della riforma Cartabia ho espresso la mia perplessità quindi non credo che questa sia la strada migliore. Tanto per fare qualche esempio le voglio citare l’improcedibilità, la quale è una tagliola che chiude il processo e che ha un effetto più brutale della prescrizione, che è un abominio da eliminare. Per non parlare di questo eccessivo ricorso allo strumento disciplinare nei confronti dei magistrati che rischia di produrre forti condizionamenti nelle loro decisioni. Poi c’è l’idea di una giustizia molto burocratica e orientata a smaltire l’arretrato, per giunta a parità di organico, che rientra all’interno delle tante storture della riforma Cartabia che dovrebbero essere cambiate”. Di lotta alla mafia si parla poco e niente nei programmi dei partiti. Il Movimento 5 Stelle dedica all’argomento un capitolo, il Pd poche frasi mentre il Centrodestra si limita a una riga striminzita. Chi fa ancora peggio è il Terzo polo che non cita mai la parola “mafia” nel programma. Come mai c’è così poca attenzione? “Trovo preoccupante che il tema sia preso tanto sotto gamba. C’è da sottolineare che la politica avrebbe dovuto approfondire molto nei propri programmi il tema delle interferenze tra la criminalità organizzata, la pubblica amministrazione, l’imprenditoria e la politica stessa. E invece preferiscono ignorare l’argomento. La cosa peggiore è che così facendo lasciano il contrasto alle mafie nelle mani della magistratura, la stessa che stanno depotenziando se non smantellando in ogni modo”. Sisto: “Ai colleghi dico: c’è tempo per salvare l’equo compenso” di Simona Musco Il Dubbio, 10 settembre 2022 Il sottosegretario: “Non c’è ragione per non approvare il ddl, la politica deve aiutare i professionisti”. “La campagna elettorale dura 15 giorni, ma le responsabilità per chi non ha voluto l’approvazione del ddl sull’equo compenso resteranno scolpite nella mente dei professionisti. Lo dico non come un anatema, ma perché se qualcuno pensa che i professionisti dimenticano si sbaglia. La politica ha il dovere di aiutare categorie fondamentali quali sono i professionisti. E se qualcuno ritiene di fare diversamente, se ne assumerà la piena responsabilità”. Il sottosegretario alla giustizia Francesco Paolo Sisto non parla solo da politico, ma anche in forza della sua esperienza di avvocato. Ed è proprio per questo che ha particolarmente a cuore il ddl sull’equo compenso, un provvedimento che “dà al professionista più dignità e rispetto” e con il quale la politica non può mancare l’appuntamento. “Sono fiducioso - spiega: c’è ancora tempo per portare a casa questo risultato. Chiedo a tutti responsabilità”. La campagna elettorale in corso ha di fatto stritolato il ddl sull’equo compenso. Cosa dice a questo esercito di persone oggi deluso dalla politica? Credo che i professionisti abbiano diritto a fatti, a comportamenti concludenti che diano l’idea del senso della politica e dei partiti. Ieri (giovedì, ndr) ho lanciato un appello col quale ho chiesto a Pd e M5S di dismettere ogni atteggiamento politicamente inopportuno e di rispettare quanto accaduto alla Camera e in Commissione al Senato, dove il testo sull’equo compenso è stato votato all’unanimità. Non possono essere valutazioni successive a legittimare un cambiamento di parere. A questa legge così importante e così attesa bisogna dare corso, marcando la differenza tra contingenze elettorali e percorsi legislativi, privilegiando solo i bisogni dei cittadini. Facciamo ancóra in tempo. Perché questo provvedimento è importante? La sua importanza è indubbia, perché riguarda una folla di cittadini prima e di professionisti poi. Qualcuno pensa che le professioni siano un “luogo” soltanto dei professionisti, ma io ricordo che i professionisti rappresentano la gente, difendono i cittadini. Qualunque cosa riguarda la correttezza dei rapporti tra cliente (forte) e professionista (debole), con la necessità di un riequilibrio, riguarda in realtà tutti. E basterebbe comprendere questo per portare “in braccio” questa legge oltre il traguardo. Quali sono stati i motivi che hanno fatto saltare l’accordo? I partiti, nella giornata di giovedì, si sono rimpallati le responsabilità, in particolare il Pd e Fratelli d’Italia… Intoniamo la risposta al pragmatismo. Questo è un provvedimento proposto da tre partiti, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Ascrivere a chi propone il provvedimento la responsabilità di non volerlo portare a termine mi sembra davvero un paradosso. Ma sono ottimista: sono convinto che, essendoci altre due settimane per votare e non sapendo se oltre il 25 ci sarà la possibilità ancora di farlo, non escludo, anzi mi auguro, ci sia un revirement per alcune, limitate, perplessità e si possa raggiungere l’obiettivo. Sarebbe un test qualificante per sancire la maturità di questo Parlamento e dei partiti che lo popolano. Sarebbe finalmente un provvedimento scritto specificamente per i professionisti, nell’interesse dei cittadini. Aggiungo che da questo punto di vista non va sottovalutata la pubblicazione, sulla prossima Gazzetta Ufficiale, delle nuove tariffe professionali forensi, attese dal 2014. Una buona dimostrazione di come la politica delle attenzioni e dei fatti possa raggiungere risultati, magari insperati Ora si passerà alle nuove tariffe di altre categorie: come i commercialisti, che come richiesto dal presidente Elbano de Nuccio, ne hanno urgente necessità. È la dimostrazione che se c’è un percorso positivo, quella positività, ad effetto domino, ne muove altre e riattiva un circuito virtuoso, quello della competitività delle e nelle professioni che ritengo, assieme alle imprese, un pilastro per la ripresa dell’economia di casa nostra. La presidente del Cnf Masi teme una strumentalizzazione in campagna elettorale di questo provvedimento. È così o ci sono ragioni tecniche alla base di questo stop? Maria Masi ha espresso un parere giustamente preoccupato sul fatto che la campagna elettorale possa avere avuto un’influenza su queste scelte, che io, onestamente, trovo inspiegabili. Trovo difficile comprendere quali siano le ragioni dello stop di oggi, dopo il voto all’unanimità alla Camera e in Commissione. Sia chiaro: la legge perfetta non esiste, le leggi sono tutte perfettibili. E anche l’equo compenso, certamente lo è. Ma da qui a ritenere che la perfettibilità (secondaria) sia un ostacolo all’approvazione di un passo avanti così importante (primario) ne passa. È difficile pensare che ci sia una legge per la quale non si possa fare di meglio, tenuto conto anche delle grandi mediazioni che il governo Draghi ha avuto in sé, soprattutto per la variegatura delle componenti politiche. Mi sembra che il passo avanti sia straordinario: una volta che la legge entrerà in vigore, se ci sarà da rendere operativo un intervento migliorativo lo si farà, con tranquillità. C’è un’attività post emendativa della legge che è utile per migliorarne la qualità, dopo i primi momenti di sperimentazione. Sono convinto che, con un guizzo di tutti, l’equo compenso potrà vedere la luce. La deputata dem Gribaudo ha evidenziato alcune criticità, definendo il testo dannoso: invece di colpire i committenti inadempienti la norma sanziona i professionisti sottopagati e penalizza i giovani professionisti... Non mi sembrano ostacoli impedienti e meno che mai insormontabili. Come ho detto, si può porre rimedio, ma bisogna considerare il fatto che siamo ormai in zona Cesarini: manca un minuto al fischio dell’arbitro che chiude la partita. Credo che queste obiezioni possano/debbano essere tranquillamente rivalutate dal nuovo Parlamento, laddove ce ne fosse necessità. Perché anche su questo bisogna intendersi: non è che le critiche di un partito siano necessariamente tutte fondate e tutte giustificate; vanno sottoposte alla maggioranza del Parlamento, che, come detto, già si è espressa all’unanimità e all’unanimità in Commissione. Mi sembra che la tipologia delle obiezioni non rimuove l’importanza sostanziale del provvedimento. Sono degli aggiustamenti, ma non toccano il cuore della legge, che riequilibra le posizioni tra cliente forte e contraente debole, ovvero il professionista. Lei ha fatto un appello alle responsabilità. Ha avuto modo di confrontarsi con i gruppi per capire se c’è la possibilità di giungere ad un accordo in questo scampolo di legislatura? Ci sto provando. Al di là dell’appello pubblico, sto cercando di riannodare i fili della trama per provare a raggiungere un obiettivo utile per tutti. A me stanno troppo a cuore i professionisti e non soltanto per la delega, ma perché credo che in un momento di difficoltà del Paese sarebbe veramente assurdo non approfittare di un’occasione di questo genere per dare ai nostri giovani il motivo per essere rispettati. Perché il problema è questo: il rispetto delle professioni. Bisogna dare e al professionista più dignità e più rispetto. E se non non ci pensa il legislatore chi deve pensarci? Oltre all’attenzione ai professionisti, quali saranno le priorità del centrodestra in futuro? Abbiamo stilato un programma molto articolato sulla giustizia, che va dalla separazione delle carriere alla riscrittura dei reati fallimentari, sulla scorta e sul modello della nuova crisi d’impresa, e una revisione del rapporto tra precetto e sanzione, nell’ambito del codice penale, in cui ci sono aumenti e decrementi di pena che vanno sintonizzati perché vi possa essere un unico metro di lettura delle varie fattispecie. Il programma riguarda interventi per la velocizzazione del processo penale, interventi sull’ordinamento penitenziario, sia di carattere strutturale - si pensa a problemi come il sovraffollamento -, sia di carattere sostanziale - laddove si possa intervenire sugli strumenti di deflazione del processo. Il primo problema è la velocità e riteniamo si possa fare qualcosa di più, perché il cittadino ha diritto di sapere velocemente qual è l’esito del suo processo, per esempio con udienze più ravvicinate e un aumento del numero di magistrati. Se il corpo della magistratura non è sufficiente per reggere l’impatto il modo per guadagnare tempo non può essere tagliare le garanzie. Su questo noi non facciamo transazioni. È un dogma: prima diritti e garanzie, poi l’efficienza. No Cassazione a estradizione in Romania: “Detenuti picchiati con i bastoni sulla pianta dei piedi” di Umberto Maiorca perugiatoday.it, 10 settembre 2022 Le autorità giudiziarie rumene hanno chiesto la consegna di un cittadino condannato a 5 anni per droga. Nelle carceri rumene utilizzano la tortura della “falaka”, cioè percuotono le piante dei piedi con dei bastoni. Una pratica che equivale alla tortura e che impedisce l’estradizione dall’Italia. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un cittadino rumeno di 32 anni contro la decisione di consegna all’autorità giudiziaria in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dal Tribunale di Alba in relazione alla sentenza di condanna alla pena di 5 anni e 10 mesi di reclusione per i reati di partecipazione ad associazione dedita al traffico di stupefacenti. I giudici hanno ritenuto non compatibili con i diritti umani le condizioni di detenzione particolarmente negative delle carceri rumene, sia in relazione allo spazio vitale assegnato ai detenuti sia alle condizioni fatiscenti delle carceri e alle denunce di maltrattamenti fisici subite dai detenuti sottoposti a vere e proprie torture fisiche. In particolare nel carcere del distretto giudiziario che ha richiesto la consegna dell’uomo, sono state presentate “denunce credibili di numerose persone ripetutamente percosse sulla pianta dei piedi, metodo di tortura conosciuto con il nome di falaka”. Ne consegue l’annullamento dell’ordine di consegna e il rinvio ad una nuova decisione da parte dei giudici della Corte d’appello di Perugia. Catania. Simone Melardi morto in carcere: i funerali e ancora tanti interrogativi Gazzetta del Sud, 10 settembre 2022 Annunciate diverse iniziative per porre l’attenzione sulla situazione all’interno delle case circondariale e sulle condizioni dei detenuti. L’ultimo saluto a Catania nella chiesa di Santa Maria delle Salette, dove tantissimi hanno voluto stringersi attorno alla famiglia. Simone Melardi ha deciso di togliersi la vita il 25 agosto, all’età di 44 anni, dietro le sbarre della Casa Circondariale di Caltagirone, impiccandosi. E ora sono tanti che si interrogano su questo gesto estremo che si poteva evitare. E per cui è stato presentato un esposto alle autorità giudiziarie al fine di accertare eventuali negligenze da parte del personale dell’istituto penitenziario. La chiesa era gremita di persone che lo avevano incrociato nel suo breve cammino terreno e hanno voluto dimostrare il loro affetto, rompendo il silenzio religioso con uno scrosciante applauso, a tratti commovente, che si è elevato alla fine della cerimonia composta. Intanto, l’avvocata Rita Lucia Faro, presente alla funzione, non si dà pace per quello che reputa un terribile caso di abbandono che deve scuotere la società civile. Il 7 si è svolto il conferimento dell’incarico ai periti per effettuare l’autopsia che dovrà chiarire le cause della morte di Simone. Un passaggio doloroso per la famiglia, che ha potuto rivedere il proprio caro all’obitorio del cimitero di Caltagirone. E in attesa di sviluppi rimane la certezza di un dolore lacerante reso meno pesante dalle carezze piovute in chiesa. “Porteremo avanti questa battaglia, contro l’indifferenza, contro la solitudine e contro la perdita della speranza. Anche per lui. Mai più una/uno di meno”, il commento del gruppo “Sbarre di Zucchero”, che ha voluto salutare così Simone Melardi. Intanto, anche a livello nazionale, fioccano le iniziative. Lunedì 12, dalle 21, su “Radio Radicale” e sulle pagine Facebook di “Nessuno tocchi Caino”, “Folsom Prison Blues” e “Sbarre di Zucchero”, si terrà un evento dal titolo “Mai più uno/a di meno”, organizzato e moderato da Umberto Baccolo (membro del consiglio direttivo di “Nessuno tocchi Caino” e portavoce del “Comitato Riforma Giustizia”) e da Elisa Torresin, per conto del gruppo “Sbarre di Zucchero”, fondato dalle ex compagne di detenzione della suicida Donatela Hodo, per far conoscere il carcere “al femminile”, allo scopo di sostenere lo sciopero della fame di Rita Bernardini, presidente di “Nessuno tocchi Caino”, per l’emergenza-suicidi nelle carceri. E presentare il videoclip della canzone del cantautore Marco Chiavistrelli, dedicata proprio alla storia di Donatela (accompagnato da un commento musicato di Luna Casarotti, ex detenuta, ora attivista). Gli organizzatori hanno voluto ringraziare, in particolare, il presidente della CEI, il cardinale Zuppi, anche a nome di “Sbarre di Zucchero” e “Nessuno tocchi Caino”, per aver accettato di partecipare all’iniziativa, mostrando sensibilità, interesse e partecipazione al dramma dei detenuti e alle battaglie non violente per arginare il dramma dei suicidi dietro le sbarre”. Ferrara. Suicidio in carcere, tre indagati. Il giallo del lenzuolo nella cella di Federico Malavasi Il Resto del Carlino, 10 settembre 2022 La procura ha chiuso l’inchiesta sul decesso di un ragazzo di 29 anni, avvenuta poco dopo l’arresto. Due poliziotti penitenziari e un medico accusati di omicidio colposo. In archivio le posizioni di altri agenti. Due operatori della polizia penitenziaria e un medico. Sono le persone che, secondo la procura, devono rispondere del suicidio di un 29enne di Cento, trovato morto nella sua cella il primo settembre del 2021 a nemmeno 24 ore dal suo arresto. A un anno dalla tragedia, le indagini sono concluse. Inizialmente erano cinque i nomi iscritti nel registro degli indagati. Per due di loro, però, il procuratore capo Andrea Garau e il sostituto Fabrizio Valloni hanno chiesto al giudice l’archiviazione. Sono entrambi agenti di polizia penitenziaria, ma uno non era in servizio quel giorno, mentre per l’altro non sarebbero stati ravvisati elementi tali da portare avanti l’accusa. L’avviso di fine indagine riguarda invece Annalisa Gadaleta, comandante della polizia penitenziaria dell’Arginone, l’ispettore Patrizia Fogli e la dottoressa Giada Sibahi, il secondo medico che ha visitato il 29enne. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. L’obiettivo degli inquirenti è capire in primis se il ragazzo potesse essere salvato, considerando che prima dell’arresto aveva già manifestato intenti suicidi. In secondo luogo, si cerca di comprendere cosa sia andato storto nella catena di gestione e assistenza del detenuto, dal momento in cui è stato arrestato a quello in cui è stato trovato impiccato con un lenzuolo nella sua cella. E proprio quel lenzuolo potrebbe essere un elemento centrale per i prossimi sviluppi. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, infatti, dopo aver visitato il 29enne riscontrando il rischio suicidiario e chiedendo la cosiddetta’Grande sorveglianza’, Sibahi non avrebbe comunicato in maniera esauriente la situazione del detenuto. E in particolare un suo riferimento alle lenzuola come possibile strumento per togliersi la vita. Fogli, incaricata della sorveglianza la sera del 31 agosto 2021, non avrebbe invece attuato adeguatamente la’Grande sorveglianza’, omettendo di ordinare la rimozione delle lenzuola dalla cella del 29enne. La comandante, infine, avrebbe attuato il provvedimento in maniera inadeguata o comunque inefficace. Conclusa la fase delle indagini preliminari ora la palla passa ai legali dei tre indagati, l’avvocato Alberto Bova per Gadaleta e Fogli e l’avvocato Donato La Muscatella per Sibahi.”Siamo fiduciosi di riuscire a dimostrare che non può esserci addebitato nessun profilo di colpa- ha dichiarato l’avvocato Bova, contattato dopo che il Carlino ha appreso la notizia della fine delle indagini-. Chiederemo di essere interrogati per chiarire la nostra posizione”. L’antefatto. Le indagini sulla tragedia sono iniziate all’indomani della morte del giovane, originario di Pieve di Cento ma da tempo domiciliato a Cento. Il 29enne (i cui familiari sono persone offese con l’avvocato Antonio De Rensis) era stato arrestato dai carabinieri per droga e porto abusivo di un’arma ed era all’Arginone in attesa dell’udienza di convalida. Udienza alla quale non arrivò mai. Reggio Calabria. Carcere, il Garante metropolitano ha presentato il comitato “Obiettivo difesa” di Mirko Spadaro strettoweb.com, 10 settembre 2022 “Questa mattina il garante metropolitano dott. Paolo Praticò, accompagnato dal direttore dell’area educativa dott. Mimmo Speranza ha presentato ai detenuti nel plesso di Arghillà gli avvocati Giuseppina Romano e Gemma Cotroneo componenti il comitato “Obiettivo difesa” lo scopo del comitato è quello di tutelare il diritto alla genitorialità delle persone in genere e dei detenuti in particolare, requisito fondamentale per una corretta rieducazione ed un normale inserimento nella società civile, una volta scontata la pena. presente anche il dott. Vincenzo Catalano responsabile del patronato che segue la previdenza delle persone detenute. L’attività è rivolta, oltre che ad Arghillà anche alle strutture di San Pietro e Palmi. Tra le richieste maggiormente interessanti è la possibilità di riattivare lo spazio esterno dove poter incontrare i bambini e poterli riabbracciare cosi come farli assistere alle rappresentazioni teatrali che i detenuti realizzano all’interno delle mura. Noi come ufficio ci impegneremo sempre nella tutela dei diritti e della dignità delle persone”. È quanto si legge in un comunicato a firma del garante metropolitano dott. Paolo Praticò. Firenze. Sollicciano, in carcere arrivano cinque nuovi funzionari giuridico-pedagogici Il Tirreno, 10 settembre 2022 Lo comunica una nota del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia. Nella giornata di giovedì 8 settembre sono state definite le procedure per la scelta delle sedi dei nuovi assunti. Sono circa 200 i funzionari giuridico-pedagogici vincitori di concorso che prenderanno servizio negli istituti penitenziari italiani a partire dal prossimo 27 settembre. Lo comunica una nota del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. Nella giornata di giovedì 8 settembre sono state definite le procedure per la scelta delle sedi dei nuovi assunti. I nuovi educatori andranno a rinforzare le piante organiche di questo delicato e importante profilo professionale, essenziale per il trattamento e il reinserimento sociale delle persone detenute. Di questi, 9 funzionari - otto vincitori e una ulteriore unità individuata con la mobilità ordinaria - andranno ad unirsi ai 12 già presenti nell’istituto penitenziario di Napoli Poggioreale, dove era segnalata una importante carenza. Sempre in Campania, 6 nuovi educatori andranno a rafforzare l’organico di Santa Maria Capua Vetere. A Firenze Sollicciano ne arriveranno 5, mentre 4 ciascuno prenderanno servizio negli istituti di Frosinone e Foggia. Tre sono stati destinati a Sassari e 2 a Torino, ai quali si aggiungeranno altre 2 unità individuate con la mobilità. Cosenza. Avviare un’impresa, la formazione ai detenuti quicosenza.it, 10 settembre 2022 È partito da Corigliano-Rossano il primo corso in Italia “Yes I Start Up” rivolto ai detenuti, nell’ambito del programma Garanzia Giovani. Formazione e promozione dell’auto-impiego, la Calabria continua ad essere pioniera e punto di riferimento nazionale ed europeo, sia per i numeri che per la capacità di avviare percorsi innovativi e progetti pilota. È partito qualche giorno fa da Corigliano-Rossano, nella Casa di Reclusione di Rossano, il primo corso in Italia Yes I Start Up rivolto, nell’ambito del programma Garanzia Giovani, a persone che stanno scontando una pena. Ad esprimere soddisfazione per questo importante risultato che ancora una volta pone la Calabria al vertice di classifiche finalmente positive sono Annarita Lazzarini, responsabile Garanzia Giovani della Regione Calabria e Antonello Rispoli per l’Ente Nazionale Microcredito i quali hanno ufficializzato, insieme alla Direttrice dell’Istituto Maria Luisa Mendicino ed all’amministratore unico del soggetto attuatore Lenin Montesanto, l’avvio di questo importante esperimento di formazione e sensibilizzazione all’avvio d’impresa, unico nel suo genere in una struttura penitenziaria. Con questa iniziativa - dichiara la Lazzarini - la Regione Calabria amplia ulteriormente la platea dei beneficiari nell’attuazione del programma Garanzia Giovani. L’esperienza avviata oggi a Rossano - continua - rappresenta un vero e proprio valore aggiunto per l’intero Programma, trattandosi di una straordinaria opportunità di reinserimento sociale per i detenuti al termine del loro debito con la Giustizia; un percorso nuovo e virtuoso - conclude la Lazzarini ringraziando il Centro per l’Impiego di Rossano per la collaborazione dimostrata - che potrà essere da stimolo ad altre regioni italiane. Con questo progetto - spiega Rispoli - Yes I Start Up Calabria continua consolidarsi come una buona prassi europea per la creazione d’impresa destinata ai giovani calabresi o che vogliono investire in Calabria. I numeri, ad oggi quasi 1600 ragazzi formati e accompagnati nel percorso di consapevolezza rispetto alla propria idea d’impresa e di valutazione della sostenibilità o meno della stessa ed oltre 700 attività già avviate certificano e rafforzano - sottolinea - il primato della nostra regione in questo settore e confermano la validità delle azioni messe in campo, frutto di una collaborazione proficua e modello replicabile tra Regione Calabria, Ente Nazionale Microcredito, Centri per l’Impiego ed oltre 120 soggetti attuatori calabresi. A consacrare l’evento stamani nella Casa di Reclusione di Rossano c’era anche la rivista ufficiale dell’Ente Nazionale Microcredito, MicroFinanza, rappresentata dal direttore responsabile Emma Evangelista e Gianluigi De Angelis i quali hanno raccolto immagini dell’importante struttura calabrese ed interviste alla direttrice dell’Istituto ed alla responsabile formazione del soggetto attuatore, Francesca Felice che ha coordinato l’avvio dei corsi con i detenuti. Attraverso Microcredito e Garanzia Giovani, grazie alla sensibilità della direzione della Casa di Reclusione e la disponibilità del Centro per l’Impiego di Rossano - spiega l’architetto Felice - ci auguriamo di poter contribuire, con questo progetto pilota, sicuramente replicabile in altri territori, alla piena affermazione del diritto costituzionale alla formazione per tutti e soprattutto a quello del futuro inserimento socio-economico dei detenuti, una volta scontata la pena, che rappresenta una vera sfida pedagogica e civiltà giuridica. Un progetto importante che sposa la qualità delle attività, dei servizi ed in generale delle opportunità che caratterizzano e distinguono da anni la proposta socio-culturale ed educativa della Casa di Reclusione di Rossano, soprattutto in termini di contributo prezioso alla umanizzazione della pena, considerato che all’interno della stessa sono già presenti un Polo Universitario Penitenziario con Biblioteca, un laboratorio per la lavorazione della ceramica e un laboratorio di falegnameria con strumentazioni all’avanguardia, diretto da un giovane imprenditore (Carmine Santoro) anch’esso beneficiario di un progetto avviato con Microcredito. Ancona. Il Pergolesi Spontini nel carcere di Montacuto col “Concerto Spirituale” Il Resto del Carlino, 10 settembre 2022 Il Festival Pergolesi Spontini porta la musica persino in carcere. Accadrà oggi (ore 13) a Montacuto, con il’Concerto Spirituale’ dedicato ai detenuti. Protagonista è il pianista italo-sloveno Alexander Gadjiev, secondo all’ultimo Concorso Chopin di Varsavia, che lo ha visto aggiudicarsi anche il ‘Premio speciale Krystian Zimerman’. Gadjiev dona la sua arte ai detenuti, raccogliendo l’invito del festival a aderire a una iniziativa nel nome di Gaspare Spontini, che organizzava ogni anno un’concerto spirituale’, destinando l’incasso”per una cassa di soccorso in pro’ de’ membri del teatro poveri”. Un’intuizione forte e geniale, che ebbe conseguenze concrete a favore dei poveri del suo tempo. “La musica ha un’importante funzione sociale e va portata nei luoghi dove c’ è sofferenza e urgenza di bellezza. Il festival viaggia e come prima tappa va incontro ai detenuti del carcere di Montacuto”, fa sapere la Fondazione Pergolesi Spontini. Saranno eseguiti brani di Kyle Gann (‘Earth Preserving Chant’), Chopin (Prelude Op.45; Barcarolle Op.60; Polonaise-fantasie Op.61) e Schumann (Fantasie Op. 17). Lo stesso programma sarà poi presentato alle ore 21 al Teatro Pergolesi di Jesi. Gadjiev si esibisce per la prima volta con orchestra a 9 anni e tiene il primo recital solistico a 10. Si diploma a 17 anni con il massimo dei voti, lode e menzione speciale. Questo gli consente di partecipare al Premio Venezia, e di vincerlo, primo di una lunga serie di riconoscimenti. In qualità di”BBC New Generation Artist 2019-2021”, titolo di cui pochi giovani si possono fregiare, incide nei più rinomati studi londinesi, e si esibisce in prestigiosi festival e sale. Nominato Ambasciatore di Gorizia Capitale Europea della Cultura 2025, Alexander negli ultimi anni è stato invitato ad esibirsi in Giappone e nei maggiori festival pianistici di tutto il mondo. L’eterno ritorno dell’affaire Moro di Francesco Piccolo La Repubblica, 10 settembre 2022 Dalla serie televisiva di Marco Bellocchio al nuovo libro di Andrea Pomella. Il rapimento del leader della Dc è il Vietnam italiano che continua ad alimentare l’immaginario. Mentre scrive questo libro che ruota intorno ai tre minuti che hanno cambiato l’Italia, il tempo che è durato l’attacco delle Brigate rosse alle auto di Moro e della sua scorta, Andrea Pomella si reca più volte in via Fani per presidiare il luogo dove è accaduto tutto. È una terapia, una ricerca di precisione, un voler essere presente oggi nello spazio esatto di 44 anni fa. E una di queste volte, in pieno luglio, invece di trovare il presente, trova il passato: avendolo ricostruito ossessivamente, riconosce subito auto, targhe, posizioni precise in cui stavano la mattina terribile del marzo del 1978. Riconosce per prima la 128 bianca che frenò per bloccare l’auto dove sedeva il presidente della Democrazia cristiana. Pomella capisce che stanno girando una serie tv. E scrive che il regista è uno dei più importanti in Italia. Dice: si sta occupando di ciò di cui mi sto occupando io. E infatti. In questi giorni esce il suo libro, Il Dio disarmato; la serie tv si chiama Esterno notte, è stata qualche settimana nei cinema dopo il festival di Cannes, e prossimamente si potrà vedere sulla Rai; il regista è Marco Bellocchio. Certo, non c’è bisogno di chiedersi perché si è fermato il tempo - la domanda è un’altra: perché continuare a raccontarlo? Perché Pomella racconta minuziosamente un evento così conosciuto? E perché Bellocchio, in modo ancora più stupefacente, torna ossessivamente su una storia che ha già raccontato e in modo così personale in Buongiorno notte? E perché noi leggiamo, guardiamo e non ci stanchiamo? Quello che si è trovato davanti Pomella, quello che è stato ricostruito da Bellocchio sul suo set, la ricostruzione finta di una verità di tanti anni fa, risulta essere invece la verità più nitida e profonda: via Fani, nonostante la vita del presente, è rimasta bloccata lì in quei tre minuti del 16 marzo del 1978. È tutto fermo: per Bellocchio, per Pomella e per tutti noi. Da parte di tutti è il tentativo di rifare un percorso per cercare di chiarircelo, per cercare di archiviarlo, per cercare di accettarlo, di farci i conti, di imbalsamarlo. Non riuscendoci - quel passato non può passare e non si può chiarire: per questo continuiamo a raccontarlo. Non è un’esigenza giornalistica, né quella del libro di Pomella, né della serie tv di Bellocchio: non ci sono rivelazioni, non ci sono novità, c’è solo l’esigenza di raccontare; e di conseguenza, se non ci sono motivi nuovi, restano due necessità: l’ossessione e la forma. E in tutt’e due le opere l’ossessione e la forma si uniscono. Bellocchio, insieme ai suoi sceneggiatori (Stefano Bises, Ludovica Rampoldi, Davide Serino), fa la scelta di dedicare ogni episodio a un personaggio, e di conseguenza ripassa con vari punti di vista sugli stessi momenti; in Pomella la forma ossessiva è psicotica: tornare di continuo su quei tre minuti, su ciò che precede e segue, su Moro, i brigatisti, i passanti, chiunque - persino su chi era Mario Fani che dà il nome alla strada. Quindi tutt’e due le opere rivivono quei giorni in modo angosciato; Pomella è concentrato sui minuti dell’attentato a Moro, e Bellocchio sui giorni del rapimento. Raccontano l’ansia di Moro, la fissazione di lavarsi e far lavare le mani, il controllo continuo che il gas fosse chiuso; ma raccontano soprattutto questa epica maledetta del destino che sta per arrivare, e qualcosa che è tra quelle che riusciamo a elaborare peggio, e che è ciò che Maria Fida Moro ha continuato a chiedere ai brigatisti ogni volta che negli anni li ha incontrati: voi dormivate, vi svegliavate, bevevate il caffè, vi vestivate mentre sapevate quello che stavate per fare? Com’è possibile? Tutt’e due, il libro e la serie, si soffermano molto sugli istanti; e questo è molto significativo perché vuol dire continuare a non credere che possa essere successo: costruire la narrazione lasciando pensare che è impossibile che dentro la normalità quotidiana sia successo qualcosa di così gigantesco e decisivo. Ecco quindi prendere forma l’esigenza ossessiva, l’idea che tornare su quella vicenda voglia dire tornare su nodi irrisolti - tentare di scioglierli; voglia dire avere la netta percezione che è impossibile scioglierli; e però c’è in tutt’e due le opere una gigantesca speranza che i fatti ripercorrendoli vadano diversamente, la gigantesca speranza che tutto non finisca come è finito. Una speranza del tutto illusoria e impossibile. Questa incredulità Bellocchio l’ha esplicitata in modo indimenticabile in Buongiorno notte, nello splendido finale in cui Moro è liberato e cammina per Roma all’alba; è il desiderio di respingere la tragedia, cercando di ricomporre quella ferita mortale, di far sì che questa storia sia tollerabile in qualche modo. Il risultato è sempre lo stesso, per tutti noi: non sappiamo come sia possibile che sia accaduto tutto quello che è accaduto - è per questo che si continua a raccontare, e queste due opere provano a suggerire un’ipotesi: per quanto avessero studiato le strategie, per quanto fossero coscienti di ciò che stavano per compiere - nonostante ciò, era impossibile per i protagonisti immaginare cosa significasse tutto ciò quando poi sarebbe stato compiuto. Sarebbe sia la verità più umana, sia la più terribile: che nessuno - e dico nessuno, e lo dico a prescindere dalle ipotesi che si fanno - è stato all’altezza di ciò che è accaduto. Nessuno, dopo quei tre minuti, ha potuto controllare, comprendere, ciò che è stata la conseguenza di un gesto insostenibile e incredibile, nonostante - e questo il libro di Pomella riesce a raccontarlo molto bene - si vivesse da anni nella paura che ciò potesse accadere. Adesso, in Esterno notte, Bellocchio fa un passo in più, meno sognante e più cupo: immagina Moro sopravvissuto e ricoverato in ospedale (quindi dopo quella ipotetica passeggiata solitaria); i tre notabili Dc, Cossiga, Andreotti e Zaccagnini, intorno al suo letto, spaventati e orribili (orribili per lo spavento di quell’uomo ancora vivo). Quindi, al contrario di Buongiorno notte, che metteva in scena la nostra speranza più profonda e frustrata, stavolta Bellocchio, chissà quanto involontariamente, mette in scena con una sola inquadratura - i tre intorno al letto di Moro - il pensiero opposto, quello più spaventoso, interpretato dallo sguardo terrorizzato dei tre, e che certo non è lo stesso pensiero della famiglia né di noi italiani: Moro lì, vivo, con quei tre intorno è la prova tangibile che è meglio che Moro non ne sia uscito vivo. È un pensiero impensabile, ma non lo pensiamo noi, lo pensano quei tre. E nella realtà sappiamo che la salvezza di quei grandi uomini della Dc, per il loro prosieguo, è stata che Moro non uscisse vivo. A prescindere da quanto si siano adoperati per farlo o non farlo. Ma questo pensiero è troppo spaventoso, anche se si mette in scena coloro che lo pensano. Di conseguenza, dopo averci mostrato questa ipotesi parallela, dopo averci fatto balenare il pensiero impensabile, Bellocchio lo cancella subito e torna alla realtà ineluttabile di quello che è successo: è l’unico che finora ci ha mostrato per ben due volte che riraccontandola la storia di Moro si può cambiare; ma il risultato è rendere ancora più sconcertante e inchiodante la Storia come si è svolta nella realtà. Il Dio disarmato è un libro significativo, interessante - semplicemente: bello; Esterno notte è per molti aspetti un capolavoro della serialità a cui un regista approda mettendo in scena non un ampliamento di un suo film, ma un approfondimento frutto di anni di ossessione, sua e di altri. Una necessità di rifare i conti. Fare opere sul rapimento di Aldo Moro equivale alle opere che gli americani hanno fatto per decenni sulla guerra in Vietnam: non serve a tenere sveglia la coscienza, perché è del tutto sveglia e addolorata (anche se semplicisticamente si tende a dire che siamo capaci di dimenticare in fretta); ma al contrario a cercare di liberarla, di riscattarne il dolore, a trovare un senso lì dove un senso non si riesce a trovarlo. E alla fine, non si sa se questo libro e questa serie ci aiutino a trovarlo; ma sappiamo almeno che abbiamo ancora bisogno della cura - la cura delle domande. E il tempo poi ristabilisce le proporzioni che allora furono distorte, e restituisce racconto ai singoli individui, e al senso della vita di una persona, non a prescindere dal suo ruolo, ma dentro il suo ruolo. Ogni opera su quei giorni del 1978 aumenta la consapevolezza della grandezza della vita di ogni singolo individuo, perfino di coloro che sappiamo non essere degni. Il libro. “Il dio disarmato”, di Andrea Pomella (Einaudi, pagg. 248, euro 19,50) Chiudere le porte alla rabbia di Linda Laura Sabbadini La Repubblica, 10 settembre 2022 È in gioco la coesione sociale del Paese. E se avanza la disgregazione sociale, la rabbia, la delusione, è a rischio anche la nostra democrazia. Due shock come quelli che abbiamo subito negli ultimi due anni accadono raramente, così ravvicinati. Ma i due shock hanno effetti più drammatici se si innestano su un terreno di già alte diseguaglianze. L’Italia era più vulnerabile della gran parte degli altri Paesi europei alla vigilia del Covid e anche della guerra. E questo ha impedito che le diseguaglianze diminuissero, nonostante l’intervento consistente dei governi che si sono succeduti. Anzi è facile prevedere che cresceranno ulteriormente. Nel 2020 la pandemia, nel 2022 la guerra. Dal primo shock ci stavamo appena rialzando, con le misure adottate dagli ultimi due governi. L’occupazione era istantaneamente crollata nel 2020, specie nella componente precaria e in particolari settori più esposti, ma poi è stata recuperata dalla seconda metà del 2021 fino ai primi mesi del 2022. Ed ecco che interviene la guerra scatenata dalla Russia ad aggravare la situazione. Nel primo caso la crisi è stata più selettiva, ha colpito più certi settori economici che altri, più certi segmenti di popolazione di altri, come donne e giovani. E ha lasciato il segno con l’aumento della povertà nel Sud del Paese. Nel secondo caso più estesa è stata la platea colpita dall’aumento notevole dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari, e anche grave l’entità del danno per cittadini e imprese. Ma dobbiamo guardarci indietro. La povertà era raddoppiata nel 2012 e da quel momento non era mai diminuita tranne nel 2019 con un piccolo calo, a causa dell’introduzione del reddito di cittadinanza, avvenuta a scaglioni nella seconda metà dell’anno. Poi, nel 2020, un milione di poveri in più. Gli interventi massicci del governo hanno fatto sì che la povertà non aumentasse ulteriormente nel 2021. È rimasta stabile, crescendo al Sud e diminuendo al Nord. Sta di fatto che dal 2011 al 2021 abbiamo più che raddoppiato i poveri assoluti, triplicati tra i minori (14,5%) e raggiunto 5 milioni 600 mila poveri assoluti in totale. Sono lontani gli anni 90, quando dopo la recessione, dal 1995 comincia a crescere l’occupazione soprattutto femminile ininterrottamente fino al 2008. Crollo dell’occupazione nel 2009 e poi nel 2013 e ancora nel 2020. Un passo avanti e tre indietro. Diseguaglianze strutturali. Dobbiamo essere coscienti che la battaglia contro le diseguaglianze deve diventare un asse strategico delle politiche future, molto, ma molto di più di quanto non sia stato fatto in passato, quando si è affrontata solo in emergenza. E questo perché il nostro Paese ha una grande fragilità, l’alto livello di diseguaglianze strutturali, che mette in discussione quella coesione sociale che ha sempre retto e potrebbe venir meno. E ostacola la crescita. Qualunque governo si formerà avrà questo nodo fondamentale da sciogliere. Se non sapremo fare questo cambiamento di paradigma come Paese, si aprirà lo spazio per la rabbia, la protesta dura, la disperazione, la violenza da parte di ampi settori di popolazione. Diminuirà anche la cittadinanza attiva. E tante persone diventeranno più facilmente manipolabili. Con gravi conseguenze per tutti, in primis per chi sta peggio. E soprattutto per la nostra democrazia. Parole sagge e di monito, come sempre, quelle del Presidente della Repubblica Mattarella in Macedonia: “Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani, e dei popoli, e per evitare fragilità e cedimenti dovremo rafforzare la nostra coesione interna anche mediante misure che possano alleviare i costi elevati che le nostre economie dovranno sopportare.” Parole che seguono allo splendido discorso di insediamento sulla importanza della difesa della dignità delle persone. Costruire solidarietà sociale, rafforzare il terzo settore, diminuire davvero le diseguaglianze nella formazione, nel lavoro, nella sanità, di genere, di generazione, territoriali. E anche quelle tra imprese. Di questo abbiamo bisogno, se vogliamo difendere le condizioni di vita dei cittadini e la nostra democrazia. “Socialmente” ti è vicino. Una rete a sostegno delle vittime di furti e truffe di Paolo Foschini Corriere della Sera, 10 settembre 2022 Nuovi progetti a tutela degli anziani fragili e a rischio di isolamento. È l’edizione 2022 del programma promosso da Fondazione Caript. Mezzo milione per interventi anche su lavoro, integrazione, disabilità. In effetti va riconosciuto: se è vero che il Terzo settore - in assenza totale o quasi di impegno da parte dello Stato - una certa energia sul fronte del recupero di chi ha commesso reati ce la mette almeno da qualche anno, spesso non si può dire si faccia altrettanto rispetto a coloro che un reato lo hanno subito, insomma le vittime. Intese non necessariamente come quelle dei casi più gravi tipo le famiglie in cui qualcuno è stato ucciso, ma anche solo - si fa per dire - quelle dove ci sono persone anziane che hanno subito un furto o una truffa, purtroppo lasciate sole in moltissimi casi se non sempre. Per questo invece abbiamo deciso di partire proprio da qui dovendo scegliere, a titolo di esempio iniziale, uno tra i tanti progetti del programma “Socialmente” - edizione 2022 - promossi anche quest’anno da Fondazione Caript in provincia di Pistoia. E che a questo giro si occupano di sostegno a vittime di reati, appunto, oltre che di iniziative a favore di anziani a rischio di isolamento, interventi per l’integrazione e il lavoro di donne straniere, attività a favore di persone disabili. In totale sono 36 progetti portati avanti da enti del Terzo settore, onlus, enti religiosi, che la Fondazione sostiene con un investimento complessivo da oltre mezzo milione di euro. Un obiettivo particolarmente importante per i parametri di “Socialmente” è che molte delle iniziative portate a termine sono realizzate da più soggetti che si mettono in rete, con un impegno che va dalla coprogettazione alla concreta attuazione. È il caso del progetto dell’associazione “Noi del Pacini”, che coinvolgerà studenti dell’Istituto tecnico commerciale pistoiese in attività di animazione per gli ospiti delle Rsa di Bonelle e Cantagrillo e per gli assistiti della Fondazione Maic. A cofinanziarlo sono l’associazione Asilo Infantile Regina Margherita e lo stesso Istituto Pacini. Tra le attività in programma ci sono sessioni di musicoterapia per anziani che manifestano i primi segni di demenza. Dedicato alla vicinanza verso chi è vittima di un reato - come si diceva - è invece il progetto presentato dall’Associazione Aleteia, che prevede forme di assistenza, psicologica e non solo, nell’ambito della Rete Dafne, rete cui partecipano con Aleteia la Procura della Repubblica, l’Asl Toscana Centro e il Comune di Pistoia. L’obiettivo è fornire alle vittime di qualsiasi tipo di reato un’assistenza che va dal primo ascolto al sostegno psicologico/psichiatrico, con servizi forniti da équipe di professionisti specializzati. E ancora: dieci giovani disoccupate, italiane o immigrate, saranno le destinatarie del progetto “Protagoniste donne” elaborato dall’Associazione San Martino de Porres in collaborazione con Istituto Pelagia-Romoli e Associazione PortAperta. L’iniziativa prevede corsi della durata di sei mesi in ambiti che vanno dall’apprendimento della lingua al conseguimento dell’attestato Haccp per lavorare con gli alimenti. È invece dedicato agli anziani della montagna pistoiese che sono a rischio di isolamento nella propria abitazione il progetto che sarà realizzato nella Casa Famiglia San Gregorio Magno a Maresca (nel comune di San Marcello Piteglio). Nella struttura saranno organizzati laboratori di cucito, pittura, musica e giardinaggio per persone affette da patologie che limitano fortemente la possibilità di contatti sociali, come avviene per malati di osteoporosi, Alzheimer, Parkinson ma anche per malati di diabete e cardiopatici. Sono solo alcuni esempi degli interventi che Fondazione Caript consente di attuare attraverso il bando e che includono iniziative per aiutare persone di ogni età e nelle situazioni doi fragilità più diverse: a quelle citate si aggiungono iniziative che vanno dal contrasto alla povertà educativa nei giovani alle attività ludico-sportive per persone con disabilità, dal reinserimento di detenuti o ex detenuti all’assistenza domiciliare per malati oncologici. “Con questo bando - sottolinea il presidente della Fondazione, Lorenzo Zogheri - diamo risposte da più punti di vista a tanti bisogni espressi dal territorio e che la pandemia ha messo in luce in modo drammatico. Da un lato infatti consentiamo a molte realtà di proseguire progetti avviati e che, spesso, richiedono tempi prolungati per dispiegare i propri concreti effetti. Dall’altro il nostro sostegno permette anche l’avvio di nuovi progetti che possono aprire prospettive interessanti anche per future attività a favore dei più deboli. Il bando poi ha premiato, in particolare, le iniziative attuate in collaborazione tra soggetti della rete del welfare locale. La risposta in questi termini è stata particolarmente positiva, con impulso dato, dunque, anche all’innovazione e al rafforzamento di questa stessa rete”. La Sanità dimenticata dai partiti di Francesco Cognetti Corriere della Sera, 10 settembre 2022 Inascoltate le proposte avanzate in questi mesi dal “Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani”. Ogni giorno assistiamo al progressivo collasso del Servizio Sanitario Nazionale. Mancano medici, infermieri, posti letto e risorse. I medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila in meno della Germania e 43mila in meno della Francia. L’emorragia dei camici bianchi riguarda anche i medici di medicina generale: sono pochi e nei prossimi anni molti andranno in pensione. E si assiste a un consistente esodo di camici bianchi neolaureati e specializzandi, perché all’estero gli stipendi e le condizioni di lavoro sono migliori. L’attuale crisi dei Pronto soccorso è il risultato di anni di tagli irrazionali e irresponsabili e la punta dell’iceberg di un sistema ospedaliero in affanno. Ciononostante, la sanità resta ai margini dei programmi elettorali delle varie coalizioni, in cui la parola “ospedale” è quasi del tutto assente. Non basta aver registrato la più elevata mortalità da Covid insieme con un maggiore eccesso di mortalità anche per altre patologie rispetto agli anni precedenti la pandemia fra tutti i Paesi dell’Europa Occidentale? E la previsione di un consistente aumento di mortalità per tumori nei prossimi mesi o anni è purtroppo molto realistica per effetto del blocco/rallentamento degli screening e della cancellazione/ritardo delle chirurgie oncologiche. Non basta avere i Pronto soccorso perennemente in tilt per rendersi conto che, ormai, l’ospedale è diventato una vera e propria emergenza nell’emergenza? I programmi elettorali delle principali coalizioni sono tutti molto generici: riforma della sanità territoriale, potenziamento organico degli operatori sanitari e vaghi riferimenti al superamento delle liste di attesa. Ma mancano progetti strutturati di riforma che rispondano a una logica di “sistema”. Come detto, l’ospedale è il grande assente. Il Pnrr destina ingenti risorse alla sanità, ma il piano che è stato predisposto dal nostro governo è privo di una vera e propria strategia che porti alla rifondazione del nostro Servizio sanitario. Di fronte a questa situazione, la risposta delle istituzioni è stata del tutto insufficiente, con una confusa riforma del territorio inadeguata a risolvere i problemi dell’ospedale e tra l’altro di difficilissima attuazione e la cui impostazione vuole rispondere ad una domanda di salute che sarà inevitabilmente sempre più personalizzata ed improntata all’innovazione tecnologica, alla conoscenza della genetica e dei big data con approcci vetusti di decenni che sono l’esatto contrario della medicina moderna. Serve un nuovo modello, in cui territorio e ospedale siano interconnessi. Va superata la storica dualità fra le due realtà, a favore di un unico sistema di servizi continuo e complementare in cui prevalga l’idea di ospedale esteso al territorio. Con l’esclusione di una minima parte di casi, la sede della valutazione dei pazienti acuti deve rimanere l’ospedale, in particolare il Pronto soccorso. Ciò per evitare il rischio che pazienti gravi perdano tempo prezioso nel loro passaggio nelle strutture territoriali. Il “Forum delle società scientifiche dei clinici ospedalieri e universitari italiani” (Fossc) in questi mesi ha avanzato proposte concrete, rimaste però inascoltate nonostante le numerose interlocuzioni con il ministro della Salute, i vertici del dicastero e i responsabili della sanità dei diversi partiti politici. Abbiamo chiesto la completa revisione dei parametri organizzativi degli ospedali, sanciti con il decreto ministeriale 70 del 2015, con un aumento consistente dei posti letto di degenza ordinaria e di terapia intensiva (attualmente occupiamo la 22° posizione in Europa). Servono quindi nuovi finanziamenti anche per aumentare il numero di laureati in medicina e di specialisti soprattutto nelle aree più carenti (ad esempio anestesia, terapia intensiva, medicina d’urgenza). Deve essere condivisa un’elevata considerazione del valore strategico dell’elemento professionale e dello sviluppo delle discipline mediche dal punto di vista scientifico, organizzativo e operativo. Servono, cioè, interventi strutturali, purtroppo del tutto assenti nei programmi elettorali. I rappresentanti delle forze politiche devono essere ben consapevoli che la sanità è un bene prezioso e che il diritto alla salute è in grave pericolo nel nostro Paese. Appello delle comunità terapeutiche al governo di Don Antonio Mazzi Corriere della Sera, 10 settembre 2022 Il sociale esiste solo quando esplode e quando registra misfatti che fanno arrossire anche i protagonisti del malessere. Le nostre comunità vivono ancora di diarie e di stipendi umilianti. Non siamo a chiedere l’elemosina, come spesso si fanno passare tutte le richieste di interventi, per noi seri ed urgentissimi, nel mondo del disagio e delle dipendenze. Nel mezzogiorno d’Italia sono più di tre milioni gli adolescenti che soffrono su tutti i fronti. In Italia oggigiorno sono circa 512.315 gli adolescenti che vivono in condizioni di disagio psichico, di educazione primaria insufficiente e di malattie gastrointestinali. La tossicodipendenza, nel primo semestre del 2022 è aumentata del 56,9% rispetto ai dati dell’anno precedente. Il bullismo e la malavita locale batte tutte le percentuali. Nel contempo la inflazione è arrivata all’8,5%. Dopo queste cifre, dobbiamo solo aggiungere che questo problema così dilaniante non è per nulla presente nei piani governativi. Il sociale esiste solo quando esplode e quando registra misfatti che fanno arrossire anche i protagonisti del malessere. Le nostre comunità vivono ancora di diarie e di stipendi umilianti. Manchiamo di personale e quello che sta vivendo queste realtà è distrutto dalla fatica e dai casi sempre più numerosi e difficili da interpretare e quindi da rieducare. Il nostro appello non può essere sottovalutato, perché oltre che parlare di diritti e di dignità, dovrebbe essere presente nei primi provvedimenti governativi. In una Repubblica democratica le persone fragili non dovrebbero essere davanti ai palazzi delle istituzioni, perché ultimi e mal assistiti. Perciò gli interventi non solo devono essere urgenti, ma mirati e immediati. La conferenza di Genova ha, ancora una volta, moltiplicato le chiacchere, si è soffermata su interventi secondari, e non ha ascoltato l’appello delle comunità. Perciò le nostre richieste, già più volte ripetute sono quattro: - che le comunità siano non solo terapeutiche ma anche educative e rieducative; - la revisione degli stipendi degli operatori e delle diarie dei ragazzi; - l’apertura a figure professionali più varie e più adeguate alle nuove tipologie dei disagi; - la revisione di tutte le norme burocratiche, ferme a decine di anni fa e alle vecchie tipologie di dipendenza. L’appello è ancora una volta, nel segno della speranza, del coraggio e della voglia che la nostra Italia divenga un paese più civile. L’Unhcr ai partiti politici italiani: “Garantire protezione a rifugiati e richiedenti asilo” di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 10 settembre 2022 Fare dell’accoglienza un trampolino di lancio per l’integrazione, rafforzare l’impegno internazionale, garantire il corretto impiego delle risorse destinate all’asilo migliorando la governance e la pianificazione, assicurare i soccorsi in mare, istituire un’agenzia per l’asilo, proteggere e prendersi cura dei più vulnerabili e tanto altro. Parliamo delle proposte pubblicate dall’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) su aspetti rilevanti per la protezione dei rifugiati in Italia che sono state consegnate ai leader delle forze politiche in vista delle elezioni del 25 settembre. Nel documento dell’Unhcr consegnato a tutti i leader di partito, viene evidenziato che il numero di persone costrette a fuggire da conflitti e persecuzioni ha superato la drammatica soglia di 100 milioni. Si tratta di quasi il doppio della popolazione italiana. Da anni l’Italia riceve flussi migratori misti via mare, attraverso le rotte del Mediterraneo centrale e orientale, nonché arrivi via terra attraverso i suoi confini settentrionali. In risposta a questa pressione migratoria, l’agenzia Onu osserva che l’Italia ha sviluppato buone pratiche per garantire il diritto d’asilo e ha svolto un ruolo strategico all’interno dell’Unione europea e a livello globale per la protezione dei rifugiati, nel contesto di crisi internazionali che si protraggono e di nuovi conflitti, come quello in Ucraina. In vista delle prossime elezioni, com’è detto, il documento si propone di fornire a tutti i partiti politici alcune raccomandazioni in materia di protezione dei rifugiati e di asilo. Le raccomandazioni riguardano aree che l’Unhcr considera prioritarie e identificano gli obiettivi generali nella ricerca di soluzioni alla situazione dei rifugiati in Italia e nel mondo. L’Unhcr ha tradizionalmente cooperato in modo proficuo con le istituzioni italiane e con la società civile su questi temi e continuerà a impegnarsi per sostenere il governo italiano nel rispondere alle crisi umanitarie, nel gestire i flussi migratori e migliorare la protezione dei rifugiati nel Paese e all’estero. Il primo punto della proposta è quello di rafforzare l’impegno internazionale nell’affrontare le cause profonde delle migrazioni forzate. Il sostegno ai Paesi fragili e la risposta tempestiva a crisi umanitarie sempre più complesse, aggravate dagli effetti dell’emergenza climatica, secondo l’agenzia Onu costituiscono elementi fondamentali per la prevenzione dei conflitti e la protezione delle popolazioni vulnerabili. La chiave per rafforzare la gestione globale delle migrazioni forzate, quindi, sta nell’affrontarne le cause profonde e nel sostenere le comunità ospitanti nell’accoglienza dei rifugiati. L’Italia, grazie agli interventi umanitari e di cooperazione allo sviluppo, alla partecipazione e al rilevante contributo fornito nei processi multilaterali internazionali come il Patto Globale sui Rifugiati, è un partner fondamentale dell’Unhcr e un importante attore globale. Per questo, il documento osserva che “nei prossimi anni, è fondamentale che l’Italia mantenga un ruolo di primo piano nell’affrontare le cause profonde e nel rispondere alle migrazioni forzate e rafforzi il coinvolgimento di tutti gli attori rilevanti nella promozione dello sviluppo e della pace”. Un altro punto del documento è quello di assicurare il soccorso in mare e l’accesso al territorio per salvare vite umane. Il salvataggio in mare è un imperativo umanitario, e un dovere morale e legale che gli Stati devono rispettare. L’Italia ha una forte tradizione nel salvataggio in mare e nel garantire lo sbarco sicuro e l’accesso al territorio alle persone in fuga dalle persecuzioni. Il rispetto di questa tradizione, saldamente radicata nel diritto internazionale, “non pregiudica in alcun modo - viene sottolineato nel documento - la legittima prerogativa degli Stati di adottare misure di controllo delle frontiere, nel rispetto dei bisogni di protezione, e del dovere di contrastare il traffico e la tratta di esseri umani”. L’Unhcr si dice pronto a sostenere il Governo nell’individuazione di modalità e soluzioni per gestire efficacemente i flussi migratori misti. Altra proposta è quella di fare dell’accoglienza un trampolino di lancio per l’integrazione. L’accesso tempestivo all’accoglienza, il miglioramento dei servizi per i più vulnerabili e la promozione dell’autonomia dei richiedenti asilo e dei rifugiati “possono essere raggiunti - osserva l’Agenzia Onu nel documento - attraverso un sistema di accoglienza unico e monitorato, che faccia sempre maggiore affidamento sui servizi locali orientati a promuovere l’autonomia dei rifugiati. Sulla base dei risultati ottenuti dal sistema Sai negli ultimi vent’anni, un impegno più ampio e sistematico dei Comuni in tutto il Paese dovrebbe essere incluso in qualsiasi agenda politica sull’accoglienza”. L’Unhcr sottolinea che continuerà a sostenere il governo e i rifugiati con una pluralità di programmi volti all’inclusione, tra i quali attività con rifugiati volontari, community- matching, l’accoglienza in famiglia e il supporto all’inserimento lavorativo, in collaborazione con la società civile e il settore privato. L’altro punto, ed è quello che sta particolarmente a cuore a Il Dubbio, è quello di proteggere e prendersi cura dei più vulnerabili. Nel documento si evidenzia che dal momento dell’arrivo e durante tutta la procedura di asilo “è essenziale proteggere le persone più vulnerabili, compresi i minori non accompagnati e separati, le persone sopravvissute alla violenza di genere o alla tortura, le persone con disabilità, gli anziani e altri individui a rischio”. In coordinamento con le autorità competenti, l’Unhcr annuncia che continuerà a fornire il proprio sostegno “per colmare le lacune e costruire un sistema che risponda alle esigenze specifiche delle persone in condizione di vulnerabilità, garantendone l’identificazione immediata, l’invio a servizi di accoglienza adeguati e tutelanti, nonché un’integrazione che sia sensibile ai bisogni di protezione dei singoli”. L’agenzia Onu afferma che è necessario inoltre aumentare la capacità di accoglienza dedicata alle persone vulnerabili, e tutto ciò è in linea con l’interesse superiore del minore e le soluzioni di accoglienza devono essere riformate con l’obiettivo di sviluppare le buone pratiche disponibili a livello internazionale per la minore età, come le famiglie affidatarie. Ma l’Unhcr si rivolge anche alla modalità del dibattito pubblico, o meglio la narrazione che difficilmente risulta equilibrato, obiettivo e costruttivo. In un mondo in cui ogni anno scoppiano nuovi conflitti e quelli esistenti si intensificano, le migrazioni forzate sono destinate a proseguire; è quindi - viene sottolineato nel documento - nell’interesse di tutti i Paesi promuovere una narrativa che favorisca la coesistenza, il dialogo e la valorizzazione delle diversità tra le comunità, oggi e negli anni a venire. L’agenzia Onu indica come punto di riferimento proprio la Carta di Roma, il codice deontologico recepito dal testo unico dei doveri del giornalista. Sri Lanka. Il nuovo presidente sbarra le porte al boia: “Non firmerò condanne a morte” di Sergio D’Elia Il Riformista, 10 settembre 2022 Avvocato di professione da quando l’antica colonia britannica era conosciuta come Ceylon, parlamentare in servizio permanente effettivo dalla metà degli anni 70, sei volte primo ministro in 45 anni di carriera, nel giro di pochi giorni, Ranil Wickremesinghe è diventato Presidente dello Sri Lanka. Il suo predecessore, Gotabaya Rajapaksa, si era dimesso ed era fuggito alle Maldive a metà luglio dopo mesi di proteste di massa per la crisi economica dell’isola. Dopo una settimana, Wickremesinghe era già Capo dello Stato, eletto grazie al voto segreto del Parlamento con 134 voti su 225 parlamentari. E ora, se non l’ammazzano, guiderà il Paese fino al 2024. Ma le proteste non sono finite con la fuga dal Paese dell’ex Presidente. Il nuovo è partito subito con il piede sbagliato. Ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale con l’unico risultato di vederlo sfidato da migliaia di manifestanti che hanno prima dato alle fiamme la sua residenza privata e poi hanno preso d’assa lto il suo ufficio nella capitale, Colombo. L’immagine del nuovo Presidente non è mai stata delle migliori dentro e fuori il Paese. Nel 1994 è diventato leader dello United National Party quando il suo capo è stato ucciso dalle Tigri Tamil. Lui stesso è scampato per un pelo a un tentativo di omicidio quando una bomba è esplosa durante una riunione nella città di Eppawala. Wickremesinghe ha cercato di migliorare l’immagine del suo partito nominando una commissione disciplinare per sbarazzarsi dei membri corrotti. Ha cercato anche di cambiare la sua immagine personale con vari tagli di capelli per darsi un aspetto più attraente. Era di nuovo primo ministro quando la domenica di Pasqua del 2019 è stata insanguinata da attentati che hanno ucciso almeno 250 persone. Nelle ultime elezioni, il suo UNP è stato quasi spazzato via, riuscendo a mettere insieme un solo seggio, da lui occupato, quale unico rappresentante in parlamento. Appena nominato Presidente ad interim, ha fatto l’uomo forte istituendo un nuovo comitato guidato dai capi dell’esercito e della polizia per “fare tutto ciò che è necessario” per ristabilire l’ordine. Ma la vera forza l’ha mostrata i primi di settembre quando ha fatto la prima cosa giusta da Presidente in carica a tutti gli effetti. La Corte suprema era riunita per discutere diverse istanze sui diritti fondamentali depositate per chiedere l’annullamento di una decisione presa dall’ex presidente Maithripala Sirisena nel 2019 di giustiziare quattro imputati condannati a morte per traffico di droga. Senza mezzi termini, tramite il ministro della giustizia ha informato la più alta giurisdizione del Paese che non avrebbe mai firmato condanne a morte. Sarebbe stato un clamoroso passo indietro nella storia dello Sri Lanka dove i tribunali hanno continuato a condannare a morte per crimini gravi come omicidio, stupro e traffico di droga, ma dal 1976 non sono state mai effettuate esecuzioni. Diverse organizzazioni, tra cui l’Associazione degli avvocati dello Sri Lanka, il Center for Policy Alternatives e l’Organizzazione per la protezione dei prigionieri, avevano presentato queste petizioni sui diritti fondamentali alla Corte Suprema contro la decisione dell’ex presidente. Il ritorno all’uso della forca dopo quasi mezzo secolo avrebbe minato l’ordine pubblico del paese e i principi fondamentali del diritto internazionale. Lo Sri Lanka è famoso per le sue antiche rovine buddiste. Il buddismo è la religione predominante del Paese insieme all’induismo. Poi viene il cristianesimo. Il Capo dello Stato è un buddista, ma è stato il primo a raccogliere la preghiera del Capo della Cristianità. Con le intenzioni di preghiera per il mese di settembre, papa Francesco ha ribadito l’inammissibilità della pena capitale. “È moralmente inadeguata. La società non deve privare chi ha commesso un crimine della possibilità di redimersi”. Francesco ha chiamato i cristiani a una mobilitazione spirituale collettiva, per far sì che in tutti i Paesi del mondo sia sradicata questa sanzione penale che - ha detto - “non offre giustizia alle vittime, ma alimenta la vendetta”. Il primo “cristiano” ad accogliere l’appello di Francesco è stato un buddista. Il Presidente dello Sri Lanza, Ranil Wickremesinghe, un “poco di buono” che il primo settembre ha fatto una cosa buona. Ha messo le mani avanti, ha preso carta e penna e ha scritto alla Corte suprema: finché sarò Capo dello Stato non sarò mai capo dei boia. Genocidio in Ruanda, Parigi si autoassolve di Stefano Mauro Il Manifesto, 10 settembre 2022 Operazione Turquoise. Respinto il ricorso di superstiti e associazioni. Dopo 17 anni di indagini sulle complicità francesi arriva il “non luogo a procedere”. L’accusa era di “aver consapevolmente abbandonato i civili tutsi che si erano rifugiati sulle colline di Bisesero” e di “aver consentito alla strage di centinaia di persone tra il 27 e il 30 giugno 1994”. Ci sono voluti 17 anni di indagine giudiziaria per arrivare a un “non luogo a procedere” con l’archiviazione sull’indagine relativa alla presunta inerzia dell’esercito francese durante le stragi di Bisesero alla fine di giugno 1994, durante il genocidio dei tutsi in Ruanda. Secondo quanto riporta l’Afp, nella loro ordinanza del primo settembre, resa pubblica questo mercoledì, i magistrati francesi spiegano che “non è stato possibile stabilire la partecipazione diretta delle forze militari francesi agli abusi commessi nei campi profughi”. di parere opposto le associazioni Survie, Ibuka, la Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh) e sei sopravvissuti di Bisesero che giovedì hanno presentato ricorso, dopo la denuncia presentata nel 2005 in cui si accusavano i soldati dell’Operazione Turquoise di “aver consapevolmente abbandonato i civili tutsi che si erano rifugiati sulle colline di Bisesero”, e di “aver consentito alla strage di centinaia di persone tra il 27 e il 30 giugno 1994”. Tra i membri di Survie il ricercatore François Graner - coautore del libro Lo Stato francese e il genocidio dei tutsi in Ruanda - ha indicato all’Afp che “anche se non vi è stata partecipazione da parte delle autorità francesi, l’abbandono deliberato di civili inermi in estremo pericolo indica colpe indirette da parte di Parigi”. Le associazioni hanno chiesto un processo non solo contro i militari, ma anche contro i membri dell’entourage dell’ex presidente François Mitterrand, mai preso in considerazione dalle indagini. Ma i magistrati inquirenti hanno ritenuto che l’istruttoria non avesse stabilito “la partecipazione diretta delle forze militari francesi agli abusi commessi nei campi profughi, né alcuna complicità di aiuti o assistenza alle forze genocide o complicità di astensione dei soldati francesi sulle colline di Bisesero”, ha dichiarato in una nota la procuratrice di Parigi, Laure Beccau. “La decisione della magistratura francese evidenzia la mancanza di rispetto nei confronti delle vittime del genocidio - continua Graner - come la completa omissione delle conclusioni del Rapporto Duclert, pubblicato lo scorso anno”. I membri della Commissione Duclert, voluta fortemente dal presidente Emmanuel Macron per “far luce sulle implicazioni del governo francese in Ruanda”, avevano classificato la presenza francese come “un’ultima sconfitta coloniale tanto più grave perché Parigi ha avuto una responsabilità politica, istituzionale e morale nel genocidio del 1994”. Critiche soprattutto nei confronti dell’Operazione Turquoise (missione francese a mandato Onu, avviata nel giugno 1994 con l’obiettivo di porre un freno alle violenze in atto nel paese) che fu sempre oggetto di controversie e critiche perché “si dimostrò incapace di porre un limite ai massacri in corso”. Secondo l’Onu, per oltre 100 giorni (tra aprile e luglio 1994) le Forze Armate Ruandesi (Far), insieme ad altri gruppi paramilitari hutu, uccisero e massacrarono (spesso solo con i machete) oltre 800mila Tutsi in una maniera pianificata e capillare. Il genocidio ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria del Fronte Patriottico Ruandese (Rpf) - nato dalla comunità Tutsi che si era rifugiata in Uganda, il cui fondatore è l’attuale presidente ruandese Paul Kagame - contro le forze governative che causò la fuga di oltre un milione di Hutu, quelli più legati agli apparati di potere e alle milizie paramilitari, che scapparono verso i paesi confinanti (Burundi, Zaire, Tanzania e Uganda) per paura di essere giustiziati.