Nuovo suicidio in carcere. Cartabia: “Provo dolore, questa è un’estate davvero drammatica” di Liana Milella La Repubblica, 16 agosto 2022 La ministra: “È un’estate drammatica. Ma il ministero e l’amministrazione penitenziaria sono al lavoro per migliorare complessivamente la qualità della vita nei nostri istituti”. Il giorno di Ferragosto segna purtroppo il cinquantunesimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno. È accaduto a Torino, nel carcere delle Vallette. E per una coincidenza, la notizia giunge proprio mentre ad Aosta, nel carcere di Brissogne, la Guardasigilli Marta Cartabia sta per visitare l’istituto, come nelle stesse ore il capo del Dap Carlo Renoldi sta facendo a Rebibbia femminile a Roma, con il vice Carmelo Cantone. E mentre molti altri provveditori si trovano in altrettante prigioni in Italia “per testimoniare la vicinanza dell’amministrazione al mondo dei detenuti”. Cartabia viene informata a Torino: “Apprendo con dolore di un nuovo suicidio in carcere. È un’estate davvero drammatica: il ministero e l’amministrazione penitenziaria stanno facendo molto per migliorare complessivamente la qualità della vita e del lavoro nei nostri istituti, ma il dramma dei 51 suicidi dall’inizio dell’anno riguarda tutti. Tutti siamo chiamati ad occuparci di questa parte importante della nostra Repubblica”. Entrando nel carcere di Brissogne, dove ha incontrato il personale in servizio, alcuni detenuti e ha visitato il panificio e la lavanderia del carcere, la Guardasigilli ha spiegato perché ha deciso di essere qui proprio oggi: “Vuole essere il segno di una presenza in una giornata in cui tutti si fermano e prendono un momento di riposo. Ma noi non ci dimentichiamo di questa parte importante della nostra Repubblica. Sono qui in vacanza, e lo spunto me lo ha dato uno degli ispettori che mi segue come scorta e mi ha detto. “Ministro, ma lei non è ancora stata nel carcere di Brissogne…”. E io mi sono detta perché non essere presente anche io per un segno di attenzione, ma anche perché penso che questo tipo di visite fanno molto bene a chi le compie e non soltanto a chi le riceve”. Appena due giorni fa, nel presentare l’iniziativa della visita nelle carceri, proprio Cartabia era partita dalla realtà dei suicidi: “Questo 2022 è reso ancora più doloroso dal drammatico incremento dei suicidi: ciascun episodio interroga le nostre coscienze di uomini e di operatori del sistema penitenziario su quanto è stato fatto finora e su quanto sia ancora necessario fare”. Anche da qui è nata l’iniziativa della vista dei più stretti collaboratori della ministra nel mondo delle carceri, dai vertici del Dap Renoldi e Cantone (entrambi nominati da Cartabia), ai direttori generali del Dap e ai provveditori regionali. Tra questi, a Palermo, nel carcere di Pagliarelli, c’era Cinzia Calandrino. Mentre a Napoli, nel carcere di Poggioreale è andata Lucia Castellano, ex direttore del carcere di Bollate e oggi direttrice in via Arenula di un settore importante come l’esecuzione penale esterna, che conta ben 73mila persone a fronte delle quasi 55mila detenute in cella. Una visita per Ferragosto che, nelle intenzioni del capo delle carceri Renoldi, è frutto “dell’esigenza di portare un segnale di vicinanza all’intera comunità penitenziaria e ribadire la riconoscenza al personale in servizio”. E che Renoldi spiega così: “Il carcere non va in vacanza. Anche a Ferragosto nei nostri istituti sono ospitate circa 55mila persone e migliaia di operatori penitenziari sono al lavoro. Quest’anno, in un momento difficile per il mondo del carcere, segnato anche dal dramma dei suicidi, la ministra Cartabia e tutti i dirigenti generali dell’amministrazione penitenziaria sono stati, anche oggi, negli istituti penitenziari per dimostrare riconoscenza ai nostri operatori, vicinanza alla popolazione detenuta e per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica tutta verso la realtà penitenziaria”. L’8 agosto Renoldi ha inviato negli istituti una circolare ad hoc per prevenire i suicidi. Nella quale - come scrive Marco Belli su Gnews, il giornale online di via Arenula - si spiega che “saranno gli staff multidisciplinari - composti da direttore, comandante, educatore, medico e psicologo - a svolgere in ogni istituto l’analisi congiunta delle situazioni a rischio, al fine di individuare dei protocolli operativi in grado di far emergere i cosiddetti ‘eventi sentinella’, quei fatti o quelle specifiche circostanze indicative della condizione di marcato disagio della persona detenuta che, scrive la stessa circolare, possono essere intercettati dai componenti dell’Ufficio matricola, dai funzionari giuridico-pedagogici, dal personale di polizia penitenziaria operante nei reparti detentivi, dagli assistenti volontari, dagli insegnanti ed essere rivelatori del rischio di un successivo possibile gesto estremo”. Il sottosegretario Sisto: “Va migliorata la vita nelle carceri” di Michele De Feudis Gazzetta del Mezzogiorno, 16 agosto 2022 Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia con delega alla Polizia penitenziaria e all’Edilizia penitenziaria e deputato di Forza Italia, in visita nel carcere di Bari. Rinnova la tradizione di attenzione ai diritti civili connessi alle carceri del radicale Marco Pannella, in linea con una iniziativa nazionale assunta quest’anno dai vertici dell’Amministrazione penitenziaria. Perché andare nel penitenziario del capoluogo regionale il 15 agosto? “È una iniziativa volta a dare un segnale di vicinanza alla comunità penitenziaria. Il 2022 è stato un anno difficile, con un drammatico incremento dei suicidi. E per questo ci interroghiamo continuamente sui difetti del sistema, al fine di monitorarli e cercare i rimedi necessari”. Come? “Non solo con un gesto fortemente simbolico, ma con una verifica effettiva, sui dati, i luoghi, le persone, al fine di toccare con mano e capire meglio. I nuovi interventi devono essere mirati. Spero ci siano altre adesioni da parte di colleghi parlamentari: sarebbe un bel coro, a prescindere dalle appartenenze”. La condizione dei detenuti: che fare? “La casa circondariale di Bari, ben diretta da Valeria Pirè e coadiuvata dalla comandante Francesca De Musso, dedicata al brigadiere medaglia d’oro Francesco Rucci, risale al 1914. Ha avuto ammodernamenti con la riforma penitenziaria nel 1975. Allo stato è dotata di servizi igienici e docce nelle stanze dei detenuti, nonché sale per i colloqui accettabilmente moderne”. Quindi il problema è il sovraffollamento? “Ci sono 439 detenuti su 283 posti regolamentari: un dato che indica una evidente emergenza. Il secondo profilo critico è quello gravissimo della sanità”. A cosa fa riferimento? “In una palazzina c’è il centro diagnostico terapeutico, a carico della Asl e della Regione Puglia, che dovrebbe essere punto di eccellenza per la sanità penitenziaria per la Puglia e gli altri penitenziari meridionali. Lì mancano 10 medici, 15 infermieri, 5 Oss e 3 ausiliari rispetto all’organico previsto. Ed è la Asl, con la Regione, che deve intervenire e non lo fa, benché nella scorsa visita, personalmente ebbi a segnalarlo ai responsabili. C’è anche un reparto di medicina protetta presso il San Paolo mai avviato, incredibilmente, per mancati stanziamenti regionali”. La polizia penitenziaria reclama organici più corposi... “Abbiamo incrementato quello di Bari per 5 uomini e 4 donne, con un rinforzo straordinario di altre 15 unità nel marzo scorso ed altre unità, appena possibile, arriveranno. Abbiamo dotato l’istituto di strumenti tecnologici come il metal detector e di una avanzatissima macchina di controllo pacchi, oltre a strumenti per prevenire l’introduzione di apparecchi per le telecomunicazioni. La carenza di personale è comunque un nodo nazionale: ci sono più pensionati che assunti, il carico è immenso e bisogna accelerare i tempi di assunzione. Su questi temi c’è un confronto costruttivo, aperto per trovare soluzioni. A partire dalla emergenza suicidi”. Cosa c’è in cantiere? “Con l’arrivo di Carlo Renoldi, capo Dap, vi sono stati numerosi interventi organizzativi; da ultimo due circolari proprio sulla prevenzione dei suicidi e sulla formazione del personale: si prevedono, tra l’altro, procedure per gli agenti della penitenziaria al fine di contenere il fenomeno e frenare le aggressioni, nonché protocolli per gestire eventi critici, con corsi specifici e supporto psico-sanitario. È promossa anche una specifica collaborazione con l’ordine degli avvocati e con il garante dei detenuti”. Si promette sempre in campagna elettorale di costruire nuove carceri... “A Bari abbiamo fatto una serie di interventi di architettura penitenziaria per migliorare le condizioni ambientali e di vita. Abbiamo eseguito importanti opere di ristrutturazione e avviato, dopo l’atteso via libera del Mims, la rigenerazione dell’intera struttura femminile. Il provveditorato poi si è attivato per integrare e completare le video-sorveglianze, un mio pallino da sempre, una garanzia per la polizia penitenziaria e per i detenuti”. C’è il suo contributo rilevante nella riforma Cartabia. La strada del riformismo nella giustizia è però ancora lunga... “La riforma ha mostrato molta attenzione proprio al tema costituzionale della funzione rieducativa della pena, sia nella comminazione, sia nella fase esecutiva. Si è usciti dalla dicotomia libertà o carcere: ora ci sono una serie di sanzioni alternative che, pure afflittive, fanno evitare il carcere, ovviamente per reati non particolarmente gravi. Il carcere va inteso, secondo le regole, come extrema ratio, come da sempre noi di Forza Italia sosteniamo. Abbiamo realizzato una riforma certamente di compromesso, ovviamente migliorabile, a condizione di avere maggiori spazi di manovra. Questo “governo di necessità”, propiziato proprio da Silvio Berlusconi, aveva come pregio la larghezza della maggioranza e come difetto proprio la stessa larghezza: grandi numeri, ma mediazioni difficili e spesso al ribasso. La giustizia merita più coraggio, riforme più decise, forti della legittimazione del consenso popolare”. Si ricandida alle prossime elezioni? “La priorità, al momento, è quella di continuare a fare il mio dovere come sottosegretario alla Giustizia”. Nelle carceri italiane ogni giorno un suicidio di Giulio Petrilli* Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2022 Dall’inizio dell’anno 52 suicidi nelle carceri italiane, in nessun carcere europeo in sette mesi una cosa così. Come suicidi nelle carceri l’Italia sta diventando il paese al mondo con più suicidi. Poi anche drammatica la constatazione che la maggioranza delle donne e uomini che si suicidano sono giovani. La condizione delle nostre carceri è disastrosa. Ci sono carceri invivibili, vecchie, sovraffollate, prive di qualsiasi possibilità’ di vivibilità’. Faccio un esempio chiarificatore San Vittore Milano, dove purtroppo soggiornai per vari anni quando ero giovane, San Vittore come tanti altri e’ rimasto identico come a fine ottocento. È così. Questo per far capire che nel mondo di fuori si cambia c’è’ evoluzione dentro le carceri no. Tutto rimane come all’inizio novecento. È una constatazione vera e drammatica. Parlo a ragion veduta. Poggioreale Napoli, l’Ucciardone Palermo, Marassi Genova, Regina Coeli Roma e tanti altri sono rimasi a cento anni fa. La disattenzione dei governi che si succedono negli anni è impressionante. Non si può rimanere silenti quando oramai ogni giorno nelle nostre carceri si suicidano tanti giovani. L’Italia è uno dei paesi dove il tasso di suicidi delle persone libere è tra i più bassi, delle persone recluse sta assumendo proporzioni incredibili, massime in Europa e nel Mondo. *Portavoce del Comitato per il risarcimento per ingiusta detenzione a tutti gli assolti L’anonimato che uccide di Gemma Brandi* Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2022 Noi vogliamo sapere chi sono quei detenuti che, uno ogni cinque giorni, si sono uccisi nelle patrie galere nel 2022. Quale era il loro nome, quale la loro storia, quale la strada che avevano imboccato; chi era stato chiamato per fornire un parere; chi si era rifiutato di fornirlo, e così via. Forse merita spendere qualche parola sulla inclinazione a generalizzare e insieme sull’anonimato quale principio di ogni cautela protettiva nell’interesse dell’individuo. Il termine individuo è qui usato a bella posta, contro ogni sfilacciamento della fatica di individuarsi di soggetti poco gregari - qualcuno sarebbe tentato di rifarsi alla alternativa tra apocalittici e integrati, guidato dallo scontato e fuorviante pregiudizio che vuole i primi meno propensi a condividere legami socialmente utili-fatica che certa doxa sedicente di sinistra ha travisato, interpretandola come spregevole individualismo. Individuarsi, essere sé stessi, coltivare le proprie irripetibili credenze è il compito alto assegnato ad ogni persona, ben oltre i limiti della genetica, è quanto di meglio il genitore potrebbe augurare al figlio, aiutandolo a inoltrarsi in tale non agevole, ma promettente cammino. Come non condividere al riguardo il pensiero di Hannah Arendt: l’unica cosa che conta per l’individuo è rimanere fedele a sé stesso? In una estate di siccità partecipativa, in un periodo della storia che ha sciorinato tragedie inimmaginate, assottigliando risorse e speranze, danno nell’occhio le scontate grida di coloro che si propugnano difensori della fragilità lato sensu, i quali parlano con anonimo stile di generiche categorie di soggetti che sarebbero bisognosi di sostegno: malati di mente, drogati, barboni, migranti, carcerati. E pretendono anche di fornire le buone soluzioni per evitare, ad esempio, i suicidi di molti individui reclusi, soluzioni che potrebbero parere buone solo a coloro che non conoscono davvero la questione di cui trattano. Dovremmo immaginare, prima di proporre ridicoli pannicelli caldi mutuati da stantii ideologismi, che quanti vengono fatti rientrare nelle citate generiche categorie abbiano certamente fatto i loro bravi sforzi di individuazione, scegliendo, non importa se inconsciamente, una strada per raggiungere l’obiettivo. Andrebbero rispettate maggiormente le storie dei singoli, smettendo di parlare in modo generico di carcerati, per cominciare a cogliere il cuore specifico delle vicende individuali: se intendi aiutare la foresta, devi guardare la foglia. Solo in tal modo si potrà sperare di impegnarsi in un apparentemente immane compito preventivo. Noi vogliamo sapere chi sono quei detenuti che, uno ogni cinque giorni, si sono uccisi nelle patrie galere nel 2022. Quale era il loro nome, quale la loro storia, quale la strada che avevano imboccato; chi era stato chiamato per fornire un parere; chi si era rifiutato di fornirlo, e così via. Ecco di cosa dovrebbe occuparsi una seria ispezione a ritroso. Si scoprirebbe quasi di certo che la condizione di ciascuno di loro era stata segnalata ripetutamente, che una sofferenza si era con prepotenza o in maniera sommessa fatta udire, che gli organi deputati a valutare e curare non erano apparsi poi interessati quanto serve al necessario lavoro di problem solving, che si erano scontrati sostenendo che la questione emergente riguardava qualcun altro, qualcos’altro. Il giorno in cui tutti smetteranno di promuovere ideologie e si sforzeranno di pensare, così maturando convinzioni convincenti e agendo di conseguenza, quel giorno difficoltà non affrontabili diventeranno affrontabili. Non sarà collocandosi dalla parte di proclami che paiono buoni, democratici, permissivi, non sarà gridando che la libertà è terapeutica, che troveremo il modo per andare incontro alla sofferenza dell’altro e intercettarla in tempo. Leggere che un soggetto cui è stata diagnosticata una grave forma di disagio psichico, che si era rivolto qualche giorno prima a un organo della salute mentale pubblica, che aveva subito anche dei ricoveri psichiatrici, leggere che quella persona non era in carico ai servizi preposti alla cura e alla prevenzione del suo problema, giungendo a presentare una omissione come la buona scusa per non valutare approfonditamente la storia di un uomo nel momento in cui chiedeva aiuto, e addirittura a giudicare del tutto imprevedibile e imprevenibile quanto poi è accaduto alla ignara vittima di una sofferenza abbandonata a sé stessa e divenuta cieca rabbia, ebbene leggere un simile parere psichiatrico può renderci davvero disperati quanto alla competenza istituzionale di coloro che dovrebbero contribuire a prevenire il prevedibile. Non resta che guardare con severità e fermezza posizioni istituzionali accidiose, invertire la rotta distorsiva e deresponsabilizzante di tutti gli apparati dello Stato. Viene da suggerire, per quanto da posizione senza autorità -eppure fondata sulla autorevolezza di una documentata competenza preventiva, costruita in quarant’anni di studio e di lavoro nella salute mentale pubblica e in carcere- ebbene viene spontaneo suggerire, a chi riveste compiti di responsabilità piccola, media, alta, altissima, di levare la voce e di rimboccarsi le maniche facendo quello che ognuno deve, a partire da una operazione antifatiscenza delle mura delle galere. Pretendere di tacere sulle disfunzioni che imperversano in carcere e pretendere che tutti gli operatori tacciano, spacciando questa omertà per coraggio e serietà istituzionale, è il primo passo per favorire il suicidio in carcere, tanto degli operatori che dei reclusi, e nessuna circolare servirà ad invertire la rotta. Servirà al contrario ricordare, sempre con Hannah Arendt, l’importanza, per ogni individuo, operatori inclusi, di non fare quello con cui non potrebbe convivere, di cui non potrebbe sopportare il ricordo. Servirà tenere a mente “la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male”, la stessa che indusse, uomini non di necessità malvagi e sciocchi, ma “semplicemente senza idee” proprie, a eseguire quanto venne loro richiesto. E allora si farà davvero quanto serve ed è possibile. Ad esempio, perché non cominciare da una autonomia elettrica ecologica che consenta di avere fresco d’estate e caldo d’inverno in tutte le carceri in cui abbondano tetti e spazi per il fotovoltaico, che permetta di cucinare senza uso del venefico gas; da una revisione generale delle aree igieniche dei prigionieri; da una cura della loro alimentazione; da un impegno lavorativo che, ben prima di soddisfare ambizioni sindacali, non inviti all’ozio, avendo in mente il benessere degli ospiti coatti, avendo in mente una coazione gentile? E farlo con alacrità e impegno, anziché sventolare cartelli libertari senza realistico futuro, anziché compiacere ad ogni costo questa o quella ideologia. Perché non sostituire una attenzione sociologica pregiudiziale sulle carceri con dei servizi sociali efficienti fin dall’arrivo in istituto dei reclusi, servizi ad oggi inesistenti? E così via, passo dopo passo. *Psichiatra psicoanalista, esperta di Salute Mentale applicata al Diritto Il programma del centrodestra sulla giustizia? Già realizzato da Draghi e Cartabia di Paolo Frosina Il Fatto Quotidiano, 16 agosto 2022 Riforma dell’ordinamento giudiziario, separazione delle carriere, riforma del Csm, “giusto processo e ragionevole durata”, “stop ai processi mediatici e diritto alla buona fama”. Le promesse sulla giustizia nel programma della coalizione di centrodestra sembrano riciclate dagli slogan di una volta di Silvio Berlusconi, ossessionato dalla persecuzione giudiziaria, dalle toghe rosse e dagli scandali, che sognava una magistratura controllabile, giornalisti docili e leggi che gli garantissero l’impunità. Nel frattempo, però, c’è qualcuno che ha realizzato quelle promesse al posto suo: tutte le ambizioni proibite di B. si sono in pratica avverate grazie al governo di Mario Draghi. Nell’arco di poco più di un anno, la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha scritto e fatto approvare un trittico di leggi che, messe insieme, somigliano moltissimo all’agenda anti-giudici dell’uomo di Arcore: la riforma del processo penale che ha introdotto l’improcedibilità e consente al Parlamento di stabilire le priorità delle Procure; la riforma dell’ordinamento giudiziario che gerarchizza gli uffici penalizzando i magistrati più liberi e meno allineati; il decreto sulla “presunzione d’innocenza” che impedisce ai pm di parlare con la stampa. E tutto senza l’ondata dell’indignazione dei giornali che in passato accompagnava proposte di riforme simili, presentate dai governi Berlusconi. In particolare, la prima delle riforme Cartabia - quella sul processo penale varata nell’estate 2021 - ricorda una delle leggi-vergogna dell’ultimo governo Berlusconi: il ddl sul “processo breve” redatto nientemeno che da Niccolò Ghedini, storico avvocato dell’uomo di Arcore. Entrambi i testi infatti prevedono l’estinzione del processo (che quindi non può più andare avanti) al superamento di una certa durata temporale. Nel testo Cartabia il termine standard è di due anni per il giudizio d’Appello e uno per quello di Cassazione (prolungabili per alcuni gravi reati), mentre la riforma di Berlusconi, nella maggior parte dei casi, concedeva due anni per ogni grado di giudizio (compreso il primo). Nel caso della Cartabia, poi, è solo grazie all’opposizione del Movimento 5 stelle - e alle prese di posizione di alcuni magistrati in prima linea - se la riforma non rischierà di uccidere anche i processi per mafia, terrorismo, violenze sessuali e altre gravi fattispecie, per cui i termini, grazie alla mediazione trovata da Giuseppe Conte, potranno essere prorogati all’infinito. In ogni caso la riforma incarna appieno lo spirito della “ragionevole durata del processo” come intesa dal verbo berlusconiano: un sinonimo di “processo morto il prima possibile”. Tanto che al momento dell’approvazione gli azzurri avevano esultato in coro: “Archiviamo il fine processo mai e il più cieco giustizialismo”, diceva la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini, parlando di “passo avanti decisivo”. Mentre il coordinatore Antonio Tajani celebrava “la sconfitta della riforma Bonafede (che interrompeva la prescrizione dopo la condanna in primo grado, ndr) e del giustizialismo del Movimento 5 stelle”. Anche lo “stop ai processi mediatici e diritto alla buona fama”, come inteso dai berlusconiani, è un concetto che è diventato legge grazie all’esecutivo Draghi. Lo scorso novembre il governo ha varato un decreto legislativo che, con la scusa di recepire una direttiva europea sulla presunzione d’innocenza, impone pesanti restrizioni ai rapporti tra i magistrati e la stampa. Il testo prevede che i procuratori possano comunicare con i giornalisti “esclusivamente tramite comunicati ufficiali” oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa. Più a monte, “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. Infine, c’è il “divieto di assegnare ai procedimenti denominazioni lesive della presunzione di innocenza”. E se un magistrato non si adegua? Grazie alla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata qualche mese più tardi, rischia sanzioni disciplinari che vanno dall’ammonimento alla censura fino alla radiazione. Norme che per il consigliere Csm ed ex pm antimafia Nino Di Matteo sono un “bavaglio che permette di parlare ai parenti di Riina e Provenzano, ma non a un procuratore o a un questore”. Mentre per sottosegretario berlusconiano alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto, un “significativo passo avanti verso il ripristino effettivo da sempre perseguito dal governo della vigenza dei principi fondamentali della Costituzione”. Infine la separazione delle carriere tra giudici e pm, riproposta per l’ennesima volta nel programma del centrodestra: anche questo antico cavallo di battaglia, però, compare tra le norme volute dalla ministra del governo Draghi. La riforma dell’ordinamento giudiziario infatti prevede un limite drastico ai passaggi di funzioni tra giudici e pm: d’ora in poi sarà possibile esercitare questa facoltà una sola volta (al momento è possibile farlo per quattro volte) e il passaggio dovrà avvenire nei primi dieci anni di carriera. Di fatto si tratta di una separazione quasi totale tra i due ruoli. E in questo senso è diventato concreto anche il pericolo su cui l’Associazione nazionale magistrati ha sempre messo in guardia: il rischio che un pm separato dalla giurisdizione possa essere più facilmente controllato dall’esecutivo: nella riforma penale, infatti, si prevede tra l’altro che sia il Parlamento (e quindi la maggioranza politica del momento) a individuare i criteri per l’esercizio dell’azione penale, cioè quali notizie di reato le Procure dovranno trattare con precedenza. Non solo: nella riforma del Csm si prevede che ogni magistrato sia valutato con un “fascicolo sulla performance” e debba sottostare alle direttive dei capi degli uffici pena sanzioni disciplinari. Cartabia, insomma, ha realizzato riforme che Berlusconi e i suoi avvocati non si azzardavano nemmeno a proporre. Per dirla con Nino Di Matteo, “è incredibile che quel disegno si sia realizzato in un momento in cui al governo non c’è solo il centrodestra, ma una coalizione che arriva fino al Pd e ai 5Stelle, partiti e movimenti che avevano fatto del contrasto a questo tipo di riforme un loro cavallo di battaglia politica”. Femminicidi, in Italia uccise 125 donne in un anno, 68 delle quali da un partner o ex partner di Chiara Severgnini Corriere della Sera, 16 agosto 2022 In Italia, nell’ultimo anno, ogni tre giorni è stata ammazzata una donna. È quanto emerge dal dossier annuale del Viminale, che rileva come, tra il primo agosto 2021 e il 31 luglio 2022, nel nostro Paese siano state uccise 125 donne, in aumento rispetto alla precedente rilevazione. Nello stesso lasso di tempo, sono state registrate anche 15.817 denunce per stalking, oltre a 3.100 ammonimenti del questore e 361 allontanamenti per lo stesso reato. Numeri che mostrano quanto sia ancora radicata, nel nostro Paese, la piaga della violenza di genere, ma che allo stesso tempo non possono, per loro natura, raccontarla per intero: la violenza denunciata è sempre e solo la punta di un iceberg. In Italia, secondo l’Istat, “è elevata la quota di donne che non parlano con nessuno della violenza subita”: “i tassi di denuncia”, prosegue l’istituto di statistica, “riguardano il 12,2% delle violenze da partner e il 6% di quelle da non partner”. Dal dossier annuale del Viminale emerge un altro dato decisivo: 108 vittime su 125 sono state uccise “in ambito familiare o affettivo”. E dunque da fratelli, padri, zii, ma soprattutto da un partner o ex. Sono ben 68 le donne assassinate da un uomo con cui avevano, o avevano avuto in passato, una relazione. Entrambi i dati sono in continuità con le rilevazioni precedenti, al netto di minime oscillazioni, e dimostrano che il seme della violenza si annida in una questione culturale che il nostro Paese non è ancora stato in grado di risolvere. Eppure, la Convenzione di Istanbul - ratificata anche dall’Italia ed entrata in vigore nel 2013 - l’ha messo nero su bianco dal 2011: la violenza contro le donne è diretta conseguenza delle ineguaglianze di genere, dell’asimmetria di potere che ancora oggi caratterizza i rapporti tra i generi. E da lì che nasce l’idea - malata - che amore equivalga a possesso. E lì che affonda le sue radici la visione del mondo - sbagliata - secondo cui una donna non è padrona del suo destino, ma deve obbedire ai voleri del padre, del fratello o del partner. Ed è dunque lì che si deve intervenire, se si vuole davvero combattere il fenomeno della violenza di genere. Milano. A San Vittore caldo, sovraffollamento e meno agenti: per i detenuti i giorni più difficili di Manuela Messina La Repubblica, 16 agosto 2022 La deputata Pd Quartapelle nel carcere milanese. dove oggi saranno anche i Radicali: “Tre donne incinte in attesa di giudizio. Spesso le decisioni tardano ad arrivare”, Tra il caldo eccezionale, le ferie di buona parte del personale e il sovraffollamento, la settimana di Ferragosto in carcere è tra le più difficili dell’anno. Ecco perché il Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) nei giorni scorsi ha diffuso una circolare con le linee guida per la prevenzione dei suicidi, già a quota 42 nel 2022 secondo i dati dell’associazione Antigone. E oggi i vertici del Dap saranno fisicamente in alcune carceri come “segnale di vicinanza agli istituti”, così come alcuni parlamentari. Ieri è stata la deputata Pd Lia Quartapelle a visitare San Vittore e oggi sarà la volta degli esponenti del partito Radicale che saranno nella casa circondariale di piazza Filangieri e in altre 39 strutture. Preoccupano a Milano la struttura vetusta che rende più complicata la convivenza viste le temperature roventi, i sempre maggiori ingressi dovuti alle violenze domestiche e non solo, il tema dei giovani adulti e dei detenuti con problemi psichici che necessitano di personale specializzato. Da sempre il problema principale resta il numero di detenuti nettamente superiore ai posti disponibili. Sempre secondo i recenti dati di Antigone, in Lombardia il tasso di sovraffollamento sfiora 150 per cento, arrivando addirittura al 190,1 per cento proprio a San Vittore. “Il Covid ha rallentato molto il sistema giudiziario - sottolinea ancora la deputata - e molti restano bloccati in carcere a causa di decisioni che tardano ad arrivare”. Un altro problema riscontrato durante la visita è la presenza di detenute in gravidanza, con i conseguenti rischi per le donne e per i loro bambini. Già alla fine di maggio una 34enne rom detenuta a San Vittore ha perso un figlio al nono mese dopo il trasporto d’urgenza in ospedale, e la vicenda è divenuta oggetto di una interrogazione parlamentare. “Ho contato tre donne incinte - continua Quartapelle - tutte in attesa di giudizio. Tra loro c’era una ragazza di appena 20 anni di origine rom, all’ottavo mese, che ha già altri 5 figli. Le altre due avevano 27 e 30 anni, rispettivamente con otto e sei figli”. Altri problemi sono legati alla sempre maggiore presenza di giovani adulti di origine straniera. Si tratta di ragazzi poco più che maggiorenni, per i quali l’obiettivo del reinserimento sociale rischia chiaramente il fallimento. “Per quanto possano seguire programmi durante la loro permanenza nell’istituto - continua - una volta usciti non hanno il permesso di restare in Italia. E questo rischia di vanificare gli sforzi fatti durante la reclusione”. A dimostrazione che gli obiettivi del reinserimento sociale, in situazioni carcerarie come queste, siano spesso aleatori, lo dimostra l’aumento della recidiva. “Anche il tempo intercorso tra l’uscita e il nuovo rientro in carcere è sempre minore - sottolinea ancora la parlamentare del Pd. “Nella settimana di ferragosto si acuisce molto la sofferenza fisica e mentale all’interno delle carceri - ha detto il Garante dei detenuti del comune di Milano Francesco Maisto - è importante essere vicini sia ai detenuti sia agli operatori penitenziari”. Trento. Sovraffollamento in carcere: oltre 80 detenuti in più ildolomiti.it, 16 agosto 2022 Manca personale (anche sanitario), l’allarme della consigliera Demagri: “Situazione molto delicata”. Continua la situazione difficile all’interno del carcere di Trento a causa della carenza di personale, sia sanitario che di polizia penitenziaria, che rende per i detenuti presenti impraticabili anche i progetti per il reintegro nella società Sovraffollamento, carenza di personale e l’assenza di supporto psicologico per il personale come forma preventiva da condizioni di stress e paura. Sono questi solo alcuni dei temi sollevati dalla capogruppo provinciale del Patt, Paola Demagri, che nelle scorse ore, assieme all’avvocato Fabio Valcanover ha effettuato una visita al carcere di Spini di Gardolo per toccare con mano la situazione all’interno della casa circondariale trentina. Continua da un lato il sovraffollamento del carcere e dall’altro la carenza del personale. Per quanto riguarda quest’ultimo la pianta organica prevede la presenza di 259 dipendenti nel ruolo di Polizia Penitenziaria ma oggi sono 170 unità con un ricambio in questi giorni di 23 nuovi assunti e 25 trasferimenti. Un numero totale sottodimensionato considerato fra l’altro il sovraffollamento del carcere. Nella casa circondariale di Trento, infatti, ci sono 322 detenuti di cui 30 donne ed una capienza programmata da accordi Stato e Regione di 240 unità. “La carenza - spiega la consigliera Demagri - mette a rischio sia la vita del personale stesso che dei detenuti rendendo impraticabili anche i progetti che prevedono il reintegro dei detenuti nella società. Ne deriva inoltre un impatto negativo sul funzionamento del carcere. Il sovraffollamento implica l’uso di celle trasformate in stanze da due a tre posti letto con evidenti disagi di convivenza che si trasformano poi in difficoltà gestionali ed organizzative”. Ad oggi all’interno del carcere, secondo quanto riferito dalla consigliera Demagri, è presente un solo detenuto positivo ma l’area sanitaria ha avuto momenti difficilissimi durante la pandemia per la gestione dell’isolamento interno applicato per limitare la diffusione del virus ma anche per la gestione dell’isolamento da parenti e per i trattamenti sanitari nei casi di positività e sintomatologie correlate. “Lo strascico - ha spiegato l’esponente del Patt al termine della visita - delle difficoltà è ancora evidente in termini di stress del personale, reazioni verbali e fisiche dei detenuti, autolesionismo, problemi relazionali e gestionali. Il personale è impegnato a far fronte a moltissime problematiche per le quali non sempre è facile individuare di chi sia la competenza ma chi è in turno cerca di risolvere al meglio il problema attraverso la collaborazione tra Polizia e personale sanitario”. Per la consigliera provinciale Demagri sono evidenti dei macro problemi che riguardano il personale sottodimensionato, l’assenza di supporto psicologico per il personale come forma preventiva da condizioni di stress e paura. Va tenuta in seria considerazione l’impennata di richieste di trasferimento così come le recenti dimissioni in massa dei medici assunti successivamente con contratti migliorativi dal punto di vista economico. “Non va inoltre tralasciato il problema legato alla tossicodipendenza dichiarata e non - conclude la consigliera - alla gestione della stessa con terapie sostitutive. Il 90% dei detenuti assume psicofarmaci”. Rimini. Caos carcere, ecco le richieste dei detenuti di Erika Nanni corriereromagna.it, 16 agosto 2022 La linea telefonica è sempre occupata, non c’è una palestra, stanno in quattro in celle da due, e non c’è nemmeno un direttore “fisso”. I detenuti ai Casetti, oggi 144 anche se la capienza regolamentare è di 112, hanno sottoscritto una lettera per punti in cui hanno indicato le criticità maggiori della vita dietro le sbarre. “L’hanno scritta, la lettera - sottolinea Ivan Innocenti, consigliere del partito radicale riminese che ieri mattina ha visitato le sezioni - dietro all’articolo del Corriere Romagna che denunciava il suicidio in cella del 37enne marocchino. I detenuti della prima sezione, quella più vecchia e degradata, di cui Ausl Romagna stessa ha rilevato la necessità di una ristrutturazione straordinaria, hanno messo nero su bianco le loro richieste, che poi coincidono per la maggior parte con quelle della polizia penitenziaria. Migliori condizioni di detenzione si traducono infatti in minore stress lavorativo per gli operatori. In carcere è tutto connesso”. “Per chi legge possono sembrare piccole cose, - ravvisa - ma quando si è “dentro” fanno la differenza tra la vita e la morte, letteralmente”. Abbandonato a se stesso - Non solo. Nel corso della visita al carcere, i Radicali hanno raccolto anche le testimonianze di altri detenuti, uno dei quali, ristretto nella seconda sezione, ha affidati le sue riflessioni a una lunga lettera. “Come può funzionare il carcere senza direttrice? - si chiede -. Non vengono cambiate le lenzuola per mesi, non vengono dati i prodotti per le prime necessità personali e per la pulizia della cella”. Ha un pensiero anche per l’uomo morto suicida: “Vengono levati lacci e cinture, e la gente si impicca comunque. Lui è stato abbandonato a se stesso, e anche noi detenuti ci sentiamo in colpa per non aver capito realmente il suo star male”. Tra i disagi, il carcerato della seconda sezione ricorda anche quello del cibo, il cui costo di approvvigionamento, altissimo, i detenuti faticano a sopportare. La richiesta è quindi quella di poter ricevere il cibo dai parenti durante le visite famigliari, e di poter svolgere attività lavorative in modo da avere più soldi per acquistare gli alimenti. “Spesso - afferma infatti nella lettera - il cibo dal carrello arriva in scadenza, tanto è vero che più di un detenuto è stato male per intossicazione alimentare”. Insufficienza di fondi - Quella della mancanza di lavoro “per insufficienza di fondi” e la richiesta di ricevere il cibo da casa sono esigenze fatte presenti anche dai detenuti della prima sezione. “Lamentano anche l’insufficienza del personale, - puntualizza Innocenti - l’assenza del garante dei detenuti, ma anche la presenza per soli due giorni a settimana di uno psichiatra che ci vorrebbe tutti i giorni, e di un medico per la reperibilità, al posto della guardia medica”. “Quello che ho a cuore - conclude Ivan Innocenti - è che la nostra città si renda conto che ai Casetti c’è un “buco nero” che è sezione 1. Io sento un dovere come cittadino che mi spinge a muovermi per il rispetto dei diritti umani”. Benevento. Senatrice Lonardo in visita al carcere: “Sovraffollamento problema serio” di Cristiano Vella ottopagine.it, 16 agosto 2022 Risolvere il problema del sovraffollamento che tanti danni crea, ai detenuti e a chi lavora in carcere. È questo il motivo della visita alla casa circondariale di Capodimonte a Benevento della senatrice Sandra Lonardo in mattinata: “In questi giorni c’è un appello a fare in modo di sfoltire le carceri: il sovraffollamento crea difficoltà enormi a detenuti, agenti e operatori. In caso di agitazione questi ultimi sono i primi che corrono rischi. Bisogna fare in modo che le carceri non solo siano adeguate ad accogliere il numero giusto di persone, ma anche di formare i detenuti: perché se impegnati e formati i detenuti possono essere reintegrati in società”. E poi assicura: “Non sono qui per propaganda, per campagna elettorale o per speculazione: ho frequentato spesso il carcere anche da presidente della Croce Rossa, abbiamo fatto tante iniziative qui, dando la possibilità alle famiglie con bambini di passare tempo coi genitori ad esempio. La mia presenza qui a Ferragosto si inquadra in questo contesto: dare un saluto ai detenuti e un ringraziamento agli operatori”. Poi un commento sulle prossime politiche: “Daremo fastidio, posso assicurare questo. C’è una legge elettorale assurda che andava cambiata: è una roulette, perché i seggi possono scattare ovunque dove nessuno può essere eletto. De Caro? Spiace: è una figura che verrà a mancare”. Bari. Sottosegretario alla Giustizia e Vescovo visitano il carcere Bari di Giovanna Bruno norbaonline.it, 16 agosto 2022 Tante le criticità riscontrate: ci sono quasi il doppio dei detenuti rispetto alla capienza massima consentita e manca personale sanitario ed educatori. Sovraffollamento e problemi legati all’assistenza sanitaria. Sono le due emergenze rilevate dal sottosegretario alla giustizia francesco paolo sisto durante la visita nel carcere di bari fatta questa mattina. Rispetto a una capienza di 238 persone al momento sono presenti 440 detenuti, solo 180 dei quali per una condanna definitiva. Inoltre nel centro clinico mancano 10 medici 15 infermieri e 5 operatori sanitari. il potenziamento dipende dalla asl - ha detto Sisto- ed è incredibile che ci siano differenze tra la salute di chi è libero e quella di chi si trova in carcere. In caso di ricoveri in ospedale - ha continuato il sottosegretario - per ciascun detenuto vengono distolti dal lavoro in carcere 9 agenti, mentre se arrivassero i fondi per la realizzazione del centro di medicina protetta all’interno dell’ospedale San Paolo questo non accadrebbe. Sottorganico anche gli educatori: ce ne sono 2 per 400 persone. Questa mattina, oltre al sottosegretario alla giustizia, ha fatto visita ai detenuti anche l’arcivescovo di bari, monsignor Giuseppe Satriano. Un momento di condivisione con chi è lontano dalle famiglie, lo ha definito l’arcivescovo, sottolineando come la civiltà di una società passa attraverso i luoghi della marginalità. Roma. “Loretta a 84 anni portata in carcere di notte senza nemmeno farle prendere la dentiera” di Paolo Foschi Corriere della Sera, 16 agosto 2022 La denuncia di Gabriella Stramaccioni, Garante dei detenuti a Roma: “Ha accoltellato il marito per difendersi. Perché non è stata trovata una misura alternativa?”. La donna è stata sarta di Sofia Loren e Mastroianni. “Mi hanno preso di notte, ero in camicia da notte, non mi hanno dato nemmeno il tempo di vestirmi e mi hanno portato in carcere a Rebibbia”: è il racconto di Loretta, una donna di Roma di 84 anni, ex sarta che in passato ha cucito abiti anche per Sofia Loren e Marcello Mastroianni, arrestata il 9 agosto scorso per aver accoltellato il marito durante una lite familiare. La storia è stata raccolta e resa nota sui social da Gabriella Stramaccioni, Garante dei detenuti del Comune di Roma. “Io parlavo, parlavo, mio marito mi diceva di smettere, ma io continuavo e lui ha cominciato a picchiarmi. Mi sono rifugiata in cucina, ma lui è riuscito a entrare e mi sono difesa con un coltello” ha confidato la donna alla Garante dei detenuti. L’uomo ha riportato ferite varie ed è stato ricoverato in prognosi riservata, ma non è in pericolo di vita. E la donna, per ordine del Gip, è stata trasferita in carcere non avendo altro posto dove andare: “Non ho figli, l’unica parente che è una sorella ma è malata di tumore”. “Oggi Ferragosto nelle Rebibbie” ha scritto Gabriella Stramaccioni su Facebook -. C’è attesa per la visita del capo del Dap - scritto sul social. Fra i vari incontri di questa mattina mi ha colpito quello con Loretta all’ infermeria del femminile. Loretta ha 84 anni. È stata portata in questi giorni. Prelevata dalla sua casa in pigiama senza la possibilità di prendere nulla. Neanche la dentiera. Certo, forse in quel momento non vi erano alternative, ma le alternative vanno pensate a costruite. A partire dai Consigli di aiuto Sociale. In un momento così drammatico per il carcere come si può pensare di recludere una donna di 84 anni? Certo che la faremo uscire. Ho preso impegno con lei per la ricerca di un alloggio. Ma altrettanto vero che la signora non doveva entrare. Della serie: una telefonata allunga la vita. Anche quella che le istituzioni preposte possono fare per attivare i servizi dedicati”. Contattata al telefono dal Corriere, Gabriella Stramaccioni nel pomeriggio ha poi rivelato di aver già individuato una casa di accoglienza di suore pronta a ospitare la donna. “È una storia di solitudine e di disagio sociale, ma la risposta dello Stato non può essere mandare in carcere una donna di 84 anni, che peraltro ha solo cercato di difendersi. Dopo l’accoltellamento era molto agitata e continuava a minacciare il marito e questo ha complicato la situazione, ma non si può trattare così una persona a quell’età e che vive in una condizione di disagio”. E aggiunge: “In carcere per fortuna ha trovato in altre detenute degli angeli che l’accudiscono: nei primi giorni era in isolamento come misura cautelare per il Covid, adesso è in infermeria dove una ragazza se ne prende cura come se fosse sua nonna. E altre detenute le hanno offerto ciò di cui ha bisogno: un maglioncino, il dentifricio e le altre piccole cose indispensabili”. Roma. Presentazione libro “Non tutti sanno. La voce dei detenuti di Rebibbia”, curato da suor Emma Zordan di Roberto Monteforte Ristretti Orizzonti, 16 agosto 2022 Alle ore 21 è quasi piena la basilica della Cattedrale di san Agapio a Palestrina. Chi entra, giustamente si fa il segno della croce, anche se non è prevista una celebrazione religiosa, eppure in calendario c’è qualcosa che ha una sua sacralità. Si presenta il libro “Non tutti sanno. La voce dei detenuti di Rebibbia” edito dalla Lev, la casa editrice vaticana e curato da suor Emma Zordan che da più di otto anni è volontaria al carcere Penale della capitale. Lo ha voluto il giovane e dinamico parroco della Cattedrale, don Ludovico Borzi. La ragione è subito chiara: questa sera si dà la parola agli ultimi, alla fragilità umana che poi è di tutti, di chi paga per i suoi errori e di chi, invece, ha avuto più fortuna ed è fuori le sbarre, come osserverà poi suor Emma. Quello del carcere per molti è un mondo sconosciuto, da tenere lontano, al più da guardare con diffidenza e paura, ma venerdì sera a Palestrina vi è stata l’occasione per superare queste barriere e comprendere come la vita dentro le sbarre sia quella di uomini e di donne come tutti, con i loro sentimenti, i loro bisogni, la loro umanità, il loro bisogno di riscatto, la loro affettività e afflitti da una sofferenza che va ben oltre la pena che sono chiamati a scontare. Sono state le testimonianze degli ospiti chiamati a presentare il libro ad aprire ai presenti le porte di questo mondo: l’ex detenuto Emilio Monti, la Garante dei detenuti del comune di Roma, Gabriella Stramaccioni e la stessa suor Emma. In apertura, dopo il saluto del parroco, è stato trasmesso il video dell’intervista di Tele Pace a suor Emma: in una manciata di minuti si è potuti entrare nelle ragioni più profonde della sua scelta di servizio ai detenuti e con lei si sono varcati i cancelli del carcere di Rebibbia. Poi la parola è a Emilio Monti, un giovane ex detenuto che ha già scontato la sua pena. Mostra meno dei sui 37 anni. Racconta con voce emozionata del suo errore, di come ha incontrato suor Emma e delle sue zie suore, del tempo da recluso dedicato agli altri, in particolare alla cura di un anziano infermo recluso come lui. Nel libro “Non tutti sanno” è raccolta questa sua testimonianza. Una sola pagina che però dice molto della sensibilità di Emilio. Verrà letta prima del suo intervento. Ora è fuori, lavora, è inserito. Emilio c’è l’ha fatta grazie alla sua forza di volontà, alla sua forte fede in Cristo, all’amore della sua famiglia, ai suoi figli piccoli da crescere. La sua giovane moglie Candida, anche lei commossa, racconta brevemente le sofferenze patite e la forza dell’amore per quel ragazzo che è “sempre stato buono e generoso”. Sono una bella coppia, una famiglia che ha diritto al futuro. Suor Emma vede Emilio come rinato, “Ora è un’altra persona rispetto ai tempi di Rebibbia”. Il racconto di questo giovane arriva diretto a chi ascolta. Lo testimonia il caloroso applauso che scoppia al temine del racconto. Dopo prende la parola Gabriella Stramaccioni. Il moderatore dell’incontro, il giornalista Roberto Monteforte, la presenta non solo come “Garante dei diritti dei detenuti”, ma anche come “la garante dell’umanità di ciascuno di noi”, perché difendendo i diritti e la dignità delle persone recluse tutela l’umanità di tutti. Il quadro delle carceri che presenta la Stramaccioni è davvero drammatico, fatto di tante emergenze. Sono quelle con le quali lei ci si scontra ogni giorno: dal sovraffollamento agli organici del personale penitenziario molto al di sotto delle necessità, quindi le condizioni di vita disumane, l’insufficiente assistenza medica e psicologica, tutto reso più drammatico dall’emergenza Covid e dalla conseguente chiusura delle attività dei volontari. E reso ancora più insopportabile dal caldo opprimente di questi mesi. Una vera tortura che è resa eloquente, sottolinea, dal dato dei suicidi di detenuti registrati nel 2022: ben 50 e il numero è destinato crescere. “Molti - sottolinea - sono i giovani tossico dipendenti con pene brevi che in carcere non avrebbero dovuto neanche entrare”. Vi sono i correttivi proposti dalla riforma del sistema penitenziario della ministra Cartabia che come l’annunciata riduzione di pena per il periodo di pandemia, osserva la Garante, è rimasta in forse. La denuncia della Stramaccioni è stata come introdotta dall’intervento del sindaco di Palestrina, Mario Moretti che nel suo saluto ha citato con precisione i numeri dell’emergenza: da quelli del sovraffollamento ai suicidi. Il sindaco ha espresso interesse e sensibilità verso la realtà carceraria, mettendo in guardia da quei politici che in vista delle elezioni agitano strumentalmente il tema della sicurezza. C’è una ragione particolare per questa sensibilità. La racconta lui stesso. Appena poco più che ventenne, era nelle forze di polizia e ha tradotto all’Ucciardone, il carcere di Palermo, un giovane quasi suo coetaneo. Gli è rimasto nel cuore lo sguardo impaurito e smarrito di quel ragazzo quando si sono aperti i cancelli del penitenziario per poi richiudersi alle sue spalle. Un’esperienza umana dura. “Non si può dire mettiamoli dentro e gettiamo la chiave” scandisce e ammette che quello è stato il suo primo e ultimo trasferimento di un detenuto. Da allora si è fatto destinare ad altri incarichi. L’ultima a prendere la parola è suor Emma. Diretta ed efficace denuncia la durezza della vita del recluso. “Si definiscono - afferma con amarezza - “una bara in attesa di sepoltura, senza speranza e senza futuro”. Ricorda l’impegno del suo laboratorio di scrittura per i detenuti con la pubblicazione in questi ultimi otto anni di sei libri di testimonianze su temi decisi insieme ai detenuti. Il prossimo sarà dedicato all’”indifferenza” che offende la dignità umana di chi sconta o ha finito di scontare la sua pena. “Sono come marchiati a vita, rifiutati dalla collettività, privati dall’opportunità di lavorare e integrarsi. È chiaro che questo li riporta in carcere”.L’ultimo invito della religiosa è per i presenti, che ancora numerosi riempiono la Cattedrale. “Siate sensibili, accoglienti e aperti verso questi fratelli che hanno sbagliato. La loro realtà merita attenzione. Per questo pubblichiamo i nostri libri, per superare le barriere dell’indifferenza”. Un invito che pare raccolto dai presenti che numerosi si sono trattenuti anche alla conclusione dell’evento per congratularsi con i relatori. Erano passate le ore 23. Un segno evidente di interesse. Era l’obiettivo degli organizzatori. A Palestrina obiettivo raggiunto. *Giornalista Vaticanista - Impegnato nella redazione del giornale in carcere Napoli. Poggioreale, i detenuti chiedono di vedere le partite del Napoli in chiaro La Stampa, 16 agosto 2022 Il garante: “Avviati i colloqui con Sky”. Tra le richieste emerse dai colloqui con Ciambriello anche la possibilità di poter acquistare prodotti femminili in favore di persone trans, Vedere le partite del Napoli in chiaro. È il sogno dei detenuti del carcere di Poggioreale che potrebbe diventare realtà. La richiesta dall’istituto penitenziario è infatti arrivata direttamente a Samuele Ciambriello, il garante dei detenuti della Regione Campania, che ha annunciato di aver “già avviato l’interlocuzione con i vertici Sky”. “Per il carcere - sono state le parole di Ciambriello - occorre “fare poco, che diventa molto”. Il garante ha visitato ieri la struttura penitenziaria e, tra le richieste emerse dai colloqui con i detenuti per una maggiore vivibilità, oltre alle partite, c’è la possibilità di poter acquistare prodotti femminili in favore di persone trans. “Come mia abitudine nel giorno di Ferragosto - ha raccontato poi Ciambriello - ho visitato il carcere di Poggioreale per un giro di ascolto e perché l’azione dell’Ufficio del Garante non conosce ferie. Ho visitato il padiglione Roma e il centro clinico Sai”. Ringraziando l’amministrazione penitenziaria, il garante ha spiegato di aver “ascoltato le richieste delle persone trans che chiedono giustamente la possibilità di acquistare prodotti femminili in un carcere, che è invece pensato solo al maschile”. Non solo. “Ho poi incontrato un uomo di 90 anni - ha proseguito -, che deve scontare poco più di due anni di pena ma per il quale non si trova una struttura che lo possa ospitare. Come lui ci sono diverse persone di età avanzata che, con pochi accorgimenti, potrebbero terminare di espiare la pena in modalità alternativa”. “Ho anche re-incontrato, nel Centro clinico, un detenuto che pesa oltre 250 chili e che deve muoversi in carrozzella ancora in attesa di una struttura sociosanitaria che possa ospitarlo - racconta Ciambriello -. Ho visto che il campo di calcetto, realizzato molti anni fa grazie a un contributo regionale, ha bisogno di un nuovo manto, affinché possa tornare ad essere utilizzato”. “Per tutte queste storie - è la conclusione del garante -, mi viene dire che per il carcere occorre “fare poco che diventa molto”. Se avessimo il coraggio di investire più risorse per interventi sociali, se fossimo in grado di potenziare e rafforzare il legame esterno con il sistema integrato dei servizi sociali e sanitari, se riuscissimo a rafforzare gli organici degli uffici di sorveglianza, con poco potremmo fare davvero molto riducendo il sovraffollamento penitenziario e rendendo il carcere un luogo più umano per tutti quelli che vi sono ristretti e vi lavorano”. E proprio per dimostrare che “a volte basta poco”, Ciambriello annuncia “l’interlocuzione con i vertici Sky” per le partite del Napoli, “ma faccio appello ad associazioni o sponsor privati che siano disponibili a offrire un supporto economico e li invito a mettersi in contatto con il mio ufficio. Bisogna fare poco affinché diventi molto, ma bisogna farlo presto”. Così è la mafia, il racconto di Giovanni Falcone diventa un Podcast di Francesco Giambertone Corriere della Sera, 16 agosto 2022 “Mi fido di lei” a cura di Luca Lancise e Alessandra Coppola, è la narrazione diretta del magistrato lasciata alla giornalista francese Marcelle Padovani nella quale emerge la sua capacità di decifrare la mafia, anche come fenomeno antropologico, e capire i suoi meccanismi per poterla combattere. Un anno prima di morire, Giovanni Falcone consegnò il suo testamento morale a una donna, la giornalista francese Marcelle Padovani. Al termine dei loro 22 pranzi-intervista, Padovani diede al giudice 190 pagine, che lui corresse con la sua grafia piccola e pulita, e che diventarono il prezioso libro Cose di Cosa Nostra. Da quelle note, e dalla voce ricca della cronista, prende vita il podcast Mi fido di lei (di Corriere della Sera con il sostegno di Fondazione con il Sud) in cui Luca Lancise e Alessandra Coppola, ritrovato il manoscritto originale, ricostruiscono la capacità di Falcone di decifrare la mafia, di capirla antropologicamente per poterla combattere; e passando per le sue intuizioni, il suo rigore e il suo metodo, fanno luce sulla sua eredità. L’amica giornalista - Sono cinque episodi, che durano tra i 30 e i 40 minuti, e partono dal ritrovamento del manoscritto originale sepolto sotto i libri della casa romana di Marcelle Padovani, la giornalista francese in Italia di cui Falcone disse: “È quella di cui mi fido di più”. Si erano incontrati nel 1983 a Palermo: lui è ancora sconosciuto ai più, ma sta già conducendo inchieste innovative in piena guerra di mafia. La giornalista lo vede come un uomo senza paura ma consapevole dei rischi, che vive solitario in un ufficio del Palazzo di Giustizia, dietro due porte blindate, protetto da telecamere che controlla lui stesso. Chi sedeva al suo posto prima di lui è stato eliminato da Cosa Nostra: Falcone è rimasto tra i pochi a combattere la mafia con un metodo in cui a Palermo non credono in molti, fatto - tra le altre cose - di studio dei rapporti e dei flussi di denaro. Il primo articolo di Padovani parla di lui come del “petit juge”, il piccolo giudice, che sfida un grande nemico. Lo stato parallelo - Dopo otto anni di frequentazioni professionali, sarà proprio Padovani a comporre l’ultimo libro del giudice, dalle cui piccole correzioni a penna, con una grafia precisa, emergono il rigore, il rispetto per parole e fatti, la mancanza di protagonismo. Padovani si fa portavoce delle intuizioni di Falcone sulla mafia. Prima tra tutte: per combatterla, bisogna capire che i mafiosi non sono estranei al tessuto sociale in cui sono immersi, “ci somigliano”. Bisogna capire che il loro sistema ha regole e leggi, come fosse uno Stato, e si fonda su una serie di valori, per quanto possa sembrare paradossale: rispetto, dignità, obbligo di dire la verità. Per poterli combattere, Falcone si immedesima nell’uomo d’onore. E solo così si guadagnerà la fiducia dei pentiti, da Tommaso Buscetta ad Antonino Calderone. La solitudine - Una fiducia che non tutti, nemmeno in procura, gli accorderanno. Dopo la sentenza che condanna i 346 imputati a oltre 2600 anni di carcere nel primo maxi-processo alla mafia, il clima intorno a Falcone si deteriora. Marcelle Padovani torna in Sicilia, gira un reportage e sottolinea che il giudice “illuminista”, di cui sta diventando amica, dopo il fallito attentato alla casa di vacanza dell’Addaura è sempre più solo. Invidie, veleni e insinuazioni lo convincono ad accettare il trasferimento a Roma. Quando si incontrano l’ultima volta, il magistrato dice a Marcelle che tornare in Sicilia per lui è sempre più pericoloso, “ma ho voglia di rivedere la pesca del tonno…”. La mafia non glielo permetterà: il 23 maggio 1992 a Capaci, proprio mentre Falcone torna da Roma, 500 chili di tritolo piazzati sotto l’autostrada fermeranno per sempre il suo lavoro. La strada indicata - Dopo i funerali, Padovani racconta come fu scrivere il suo ultimo servizio su Falcone, per il quale “la morte non era un argomento estraneo”. E sceglie di rappresentarlo com’era, ricordando il suo lascito: “Una rete di solidarietà, di amicizia, di comune credo negli stessi ideali - disse lo stesso Falcone-, che sicuramente prescinde dalla mia persona e che non sarà disperso”. Una delle eredità più tangibili è la possibilità di confiscare e riutilizzare i beni della mafia: nel feudo di Verbumcaudo, finito illecitamente nelle mani del boss Michele Greco, oggi ci sono 11 ragazzi siciliani che coltivano pomodori, grano e uva. Protagonisti, raccontano Alessandra Coppola e Luca Lancise alla fine del loro viaggio in audio, dell’Italia diversa che Falcone immaginava. Il voto non sia incosciente, la lezione della pandemia di Montesquieu La Stampa, 16 agosto 2022 Poveri italiani. Popolo sovrano, per titolo direttamente costituzionale, al primo articolo. Scaraventato da una politica incosciente (non tutta, ovviamente, almeno in questo caso) a decidere in una torrida estate il proprio futuro, con elezioni complicate come mai prima. In una grottesca, paradossale inversione dei ruoli tra politica ed elettori. A questi ultimi, la ricerca delle soluzioni, dei rimedi ai guasti di una comunità eletta per perseguire l’interesse del Paese, ma interessata in via esclusiva al proprio. Personale e di partito, in una identificazione estranea alla nostra Costituzione. Alla politica, la liquidazione dell’esperienza di governo guidato da Mario Draghi, considerato in patria e nel mondo l’italiano più capace. Probabilmente, senza esagerazione. Per la sua sostituzione si propongono apprendisti senza esperienza comparabile, ma con inossidabile presunzione di sé e della propria attitudine. O, se possibile peggio, ministri con esperienza, gia visti alla prova. Disgraziato il Paese in cui, da decenni, la politica non produce associazioni anche vagamente ispirate ai partiti disegnati nella Costituzione, ma solo o quasi solo presuntuose incarnazioni di salvatori della patria. Ma fortunato quando dispone di un sistema istituzionale come quello che ha permesso al nostro capo dello Stato di sopperire all’inettitudine della rappresentanza popolare, e di scovare, per l’appunto, Mario Draghi. Chi vagheggia sovvertimenti costituzionali, e maggioranze idonee a realizzarli senza verificare il consenso degli italiani, chiude gli occhi davanti alla fisiologica, dimostrabile inettitudine della coalizione di centrodestra, nata per filiazione del partito personale nella sua versione più estrema e monocratica, e responsabile della decostituzionalizzazione progressiva della nostra politica. Premessa che acuisce, per l’appunto, il timore di un difetto attitudinale di quella coalizione a mettere mano a restauri costituzionali innovativi, quali il passaggio della fisionomia del capo dello Stato da figura garante della Costituzione a direttamente governante, con precisi tratti di una vocazione addirittura antiparlamentare. La presenza, nella coalizione e oggi a guida della stessa, di un partito sorto sulle ceneri e con mai negati richiami al regime fascista, e di un capo partito riconducibile a quella stessa tradizione istituzionale candidato alla guida del governo, evidenzia la rafforzata esigenza di un istituto di garanzia e protezione di una Costituzione sorta con il preciso intento di rendere impraticabili avventure istituzionali di governo di tipo monocratico, e delle conseguenti possibilità di degenerazioni democratiche. Esigenza che richiama l’inquietante, recente degenerazione del sistema presidenziale per definizione, quello degli Stati Uniti. E con la imposizione di dittature e dittatori dove le autodifese sono fragili, e la distribuzione dei poteri manipolabile secondo i rapporti di forza. Da oggi, a questo popolo, resta da scegliere come orientarsi dentro programmi e promesse in cui una fantasia sempre uguale da decenni sostituisce la competenza, e il vero assente è la minima giustificazione delle promesse. Del resto, è ancora in scena un leader che prometteva di eliminare il cancro in un triennio. Manca la promessa della felicità. Compito, quello degli elettori, praticamente impossibile, con la doverosa specificazione che non è tutta uguale questa politica: come non lo era l’incoscienza, sopra citata, quella che ha portato alla fine del governo Draghi. E distinguere i gradi di coscienza e competenza è un altro dei non facili compiti degli elettori. Un consiglio? L’unico appiglio di questa situazione è l’esistenza di uno straordinario, concretissimo pregresso, concentrato negli ultimi due o tre anni, fatto di calamità naturali e bestialità umane: pandemia, perfino una guerra, europea, di aggressione, complessità dei problemi da risolvere, coerenza delle relazioni internazionali. Anche umanità, perché no, almeno con riferimento alla ferocia di questa guerra. L’elettore può decidere ricordando vaccinisti e no vax, e chi sosteneva gli uni e chi gli altri; distinguere tra amici del popolo ucraino e inquietanti anacronistiche fisionomie di un sovietismo che si pensava morto, sovietismo di sinistra ma anche di destra. E accostare le posizioni a quelle dei partiti oggi in campo, che fossero di governo o di opposizione. E via, così sugli altri temi su cui le forze in campo oggi si sono dovute confrontare negli ultimi anni. Pnrr, energia, diritti, inflazione, amicizie europee e altro. Non è un consiglio miracoloso, ma può aprire gli occhi, e praterie da percorrere, su temi concreti e vissuti sulla propria pelle da tutti noi. Noi, poveri italiani, nelle mani il proprio destino. La campagna elettorale si è già dimenticata dei più giovani di Filippo Teoldi Il Domani, 16 agosto 2022 Dopo il dibattito, fin troppo lungo, sulla costruzione delle alleanze si spera sia finalmente arrivato il momento di discutere di come riformare il paese. La crescita economica è in stallo da più di venticinque anni e le opportunità sono sempre meno, soprattutto per i più giovani. Alcuni numeri per capire meglio la tragica condizione di una generazione e per prepararsi all’ennesima fuga dalle urne di chi non è mai stato così poco ascoltato Povertà - I dati sulla povertà assoluta (intesa come l’incapacità di sostenere spese minime) indicano un peggioramento generalizzato della situazione dell’intero paese: le persone in povertà assoluta sono passate da 1,9 milioni nel 2005 a oltre 5 milioni nel 2021. Ma sono i più giovani a registrare la maggiore incidenza. Come si nota dal grafico, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge circa il 15 per cento fra chi ha 17 anni e oltre l’11 per cento fra chi ha 18-34 anni. Resta poco sopra il 5 per cento invece per i più anziani (65 anni e più). Si sono verificati due eventi negli ultimi anni. Innanzitutto, se nel 2005 erano gli anziani la fascia di età a trovarsi più spesso in una situazione di povertà assoluta, oggi è l’opposto: al diminuire dell’età, aumenta l’incidenza della povertà assoluta. Inoltre la distanza fra le varie classi di età è via via aumentata nel corso degli ultimi anni: se nel 2011 tutte le classi registravano un’incidenza della povertà intorno al 5 per cento, nel 2021 la differenza fra la classe più colpita e quella meno colpita è di quasi 10 punti percentuali. Retribuzioni - Analisi dell’Ocse hanno dimostrato che negli ultimi 30 anni i salari reali medi degli italiani sono diminuiti del 3,6 per cento. I giovani sono però quelli che stanno pagando di più questo calo. Secondo stime dell’Inps, fatta 100 la media dei redditi sulla popolazione in ogni anno, i redditi dei giovani si sono ridotti a tal punto che il numero indice passa da 76 nel 1975 a 51 nel 2019. La caduta è solo in parte attribuibile all’aumento del tempo passato in percorsi di studi e formazione. È una dinamica questa che ha fatto sì che negli ultimi anni fosse sempre più evidente nei dati statistici la cosiddetta povertà lavorativa (in sintesi, trovarsi in una situazione di povertà, nonostante si abbia un lavoro). Secondo gli ultimi dati disponibili si è registrato nel tempo un aumento dell’incidenza dei dipendenti con bassa paga: il valore è passato dal 9,5 per cento del 2019 al 10,1 per cento del 2020, con punte massime fra chi ha 15-24 anni (quasi il 30 per cento) e 25-34 anni (13,5 per cento). Indipendenza - In Unione europea l’età media in cui un ragazzo o una ragazza lasciano casa dei propri genitori è 26 anni circa. Croazia, Slovacchia, Italia e Malta registrano l’età media più alta. In Italia per esempio è oltre i 30 anni. Circa il 70 per cento dei ventenni nel nostro paese vive ancora coi genitori. Il ritardo nell’uscire di casa e rendersi indipendenti è dovuto a condizioni economiche che rendono difficile il mercato del lavoro per i giovani italiani. Né studio né lavoro né formazione - Sono oltre il 23 per cento i giovani che non studiano, non frequentano corsi di formazione e non lavorano in Italia (Neet). Circa tre milioni di ragazze e ragazzi fra i 15 e i 29 anni. Il dato più alto tra i paesi europei e 4,2 volte più grande di quello registrato nei Paesi Bassi (il minimo in Europa). Dopo l’Italia vengono la Romania (20,3 per cento), la Serbia (18,8 per cento) e la Bulgaria (17,6 per cento). Osservando la differenza territoriale, nelle regioni del sud Italia la percentuale di Neet sfiora il 30 per cento. Educazione - In Italia il 28 per cento della popolazione che ha fra i 25 e i 34 anni possiede un titolo di studio terziario (laurea triennale o magistrale). Un numero assai basso se messo a confronto con gli altri paesi a noi più simili. La media europea è del 44 per cento: in Francia e Spagna è quasi il 50 per cento, in Germania il 35 per cento. Il dato italiano è dovuto a diversi fattori della nostra economia, ma la mancanza di percorsi terziari professionalizzanti è sicuramente un motivo importante. Il dato è però legato anche a quel concetto economico conosciuto in inglese come “low-skill, bad-job trap”. In paesi in cui gran parte della forza lavoro non è qualificata, le aziende sono poco incentivate a fornire buoni posti di lavoro (che richiedono quindi competenze elevate e forniscono salari elevati). Dall’altro lato, se sono disponibili pochi buoni posti di lavoro, i lavoratori sono poco incentivati ad acquisire competenze. La campagna d’odio contro la Sapienza per il nuovo corso di studi di genere di Francesca Polizzi Il Domani, 16 agosto 2022 Un canale Telegram di estremisti, già attivo nell’ambiente no vax, dà il via a una “shitstorm” contro l’università che da settembre avrà una nuova laurea magistrale. Fra insulti e messaggi anonimi, vengono diffusi i numeri di telefono dell’università. Cosa sono gli studi di genere? In Italia se ne parla poco e ancors meno sono i corsi di laurea che si occupano di questo filone accademico. Per colmare questo vuoto l’università La Sapienza di Roma ha deciso di avviare un corso di laurea magistrale che partirà a settembre. Ma negli ultimi giorni il corso Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione, prima ancora di iniziare, è stato preso di mira dai contestatori. Un post pubblicato sulla pagina Facebook del dipartimento di comunicazione e ricerca sociale (Coris), che insieme al dipartimento di lettere e culture moderne e psicologia promuove il corso, è finito sul canale Telegram “Basta dittatura! Ufficiale” (scritto proprio così). Gli iscritti al canale, quasi 5mila, non hanno risparmiato i loro commenti. Il canale Telegram - Dal 4 all’8 agosto, ultimo giorno in cui sono stati pubblicati contenuti sul canale Telegram, è stata riproposta più volte un’immagine che riprende il post Facebook pubblicato dalla pagina ufficiale dell’università accompagnato da una descrizione, aggiunta da chi gestisce il canale, in cui si legge “Riempiamo di merda la Sapienza”. “Il primo corso di laurea sugli studi di genere per formare coglioni che andranno a fare propaganda a favore del cancro femminista. Non restiamo a guardare mentre il cancro femminista ci sta distruggendo la nostra società! Adesso basta! Bisogna contra-attaccare! Non lasciamoci distruggere da una piccola minoranza malata!”. Questo messaggio, con tanto di storture grammaticali, come spesso accade nei canali Telegram che fanno disinformazione e diffondono teorie complottiste, è accompagnato dai numeri di telefono e indirizzi email dell’università. È un modo, già sperimentato in passato, per costruire una campagna di odio capillare volta a intimidire e ad arrecare danno intasando recapiti telefonici e indirizzi utili a chi cerca informazioni. Le opinioni - Su Telegram ci si può nascondere dietro l’anonimato, così un tale di nome Fabio scrive: “Arrivano a tanto perché sanno che nel gregge di pecoroni molti abboccheranno, e un po’ per volta si porteranno dietro altri imbecilli come loro. Di fatto si stanno comprando il pianeta partendo dalle istituzioni”. Anche sul post Facebook del dipartimento di comunicazione il tenore dei commenti è lo stesso. Anche se, in un certo senso, è mitigato dai commenti di studenti ed ex studenti che si dimostrano invece entusiasti per il nuovo corso. Ma anche se sui social è più facile essere identificati, diverse persone con nome e cognome non si tirano indietro e commentano con frasi come: “Rido solo all’immaginarmi i soggettoni che assisteranno al corso”. O ancora: “Finalmente hanno aperto la scuola per clown”. La risposta delle istituzioni - Sulla questione è intervenuta anche Eleonora Mattia, presidente della commissione regionale Lavoro, formazione, politiche giovanili, pari opportunità, istruzione, diritto allo studio: “Trovo assurde e inaccettabili le minacce ricevute dalla Sapienza per via dell’attivazione del corso Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione. Sembrerebbero provenire da un gruppo di estremisti già attivi nel movimento No Vax”. “A distruggere la società non è il femminismo” dice Mattia “ma l’ignoranza e la violenza, verbale e virtuale, tanto quanto quella fisica, di chi non riconosce nel sapere, nella valorizzazione delle differenze e nella cultura valori fondanti della democrazia e della convivenza sociale”. Gender studies in Italia - Il corso in Gender studies, culture e politiche per i media e la comunicazione è un unicum in Italia. Adottando un approccio multidisciplinare vuole offrire conoscenze e competenze utili per formare professionisti dei media e delle industrie culturali, capaci di promuovere rappresentazioni e narrazioni di genere inclusive e non discriminatorie. È dunque un corso molto specifico e si rivolge a futuri professionisti della comunicazione. In generale in Italia la situazione sui gender studies è frammentaria e poco approfondita. Nel mondo accademico sono poche le opportunità offerte. Secondo un’indagine presentata all’Università di Roma Tre, nel 2012 solo 16 università pubbliche su 57 mettevano a disposizione almeno un corso in studi di genere ed erano sei i master di secondo livello legati a queste materie. Nel 2016, stando ai dati raccolti da Marta Prandelli, ricercatrice all’università di Padova, solo 24 tra le 91 università pubbliche e private presenti in Italia proponevano corsi legati al genere. In questo l’Italia è in ritardo nel contesto europeo. L’attenzione verso questo tipo di studi è in crescita nei paesi del nord, in Germania e Francia. Le droghe ai tempi della pandemia: spaccio su internet e nuove sostanze lanciate sul mercato di Federica Angeli La Repubblica, 16 agosto 2022 A dettagliare come si è mosso il mercato degli stupefacenti nel 2020-2021 la relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze. Non c’è pandemia che tenga: la spaccio e l’uso di droga, come argilla nella ruota del tornio, si modellano al mutare dei tempi. E se i tempi richiedono isolamento nelle mura domestiche causa covid-19, pusher e consumatori cambiano il modo di vendere droga e pure la sostanza stupefacente da immettere sul mercato. A raccontare tutto questo in un report di quasi 600 pagine è l’ultima relazione annuale al Parlamento, sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia redatta dal Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Lo spaccio che non cala con la pandemia - “Durante l’anno 2021 nonostante il protrarsi della pandemia da Covid-19 - si legge nel dossier “Anno 2022” consegnato al Parlamento - il traffico di sostanze stupefacenti non ha subito cali: le forze dell’ordine hanno segnalato la continua disponibilità sul mercato illecito di un’ampia varietà di sostanze psicoattive con elevata purezza”. A darne conferma sono i numeri registrati dai diversi enti convolti, dati da cui si evince che le modalità di assunzione sono sempre più eterogenee e che gli utilizzatori dispongono di un’offerta sempre più aggiornata di nuove molecole. “Il distanziamento sociale ha sicuramente influenzato le dinamiche connesse allo spaccio su strada. Per questo, in molti sono ricorsi ai canali tecnologici per l’approvvigionamento, velocizzando il trend di un mercato sempre più digitalizzato”. Numero di persone in trattamento per uso di stupefacenti - Nella popolazione maschile il tasso di assistiti è di 367 persone in trattamento ogni 100.000 abitanti contro i 59 in quella femminile; tra i 30 e i 49 anni le persone assistite dai SerD risultano 437 ogni 100.000 residenti, valore che risulta pari a 747 e 126 ogni 100.000 abitanti rispettivamente di genere maschile e femminile nella stessa classe di età. La regione col più numero di persone in terapia di disintossicazione è Lombardia con 18.180, seguita da Toscana (11.865) e con uno scarto di appena 30 persone, al terzo posto il Piemonte (11.835). In Valle d’Aosta, Lombardia, Lazio, Puglia e Sicilia oltre il 50% dei nuovi utenti di genere maschile è entrato in trattamento per uso primario di cocaina, la cannabis, invece, risulta la sostanza primaria per oltre il 50 % dei nuovi utenti dei SerD delle regioni Liguria e Friuli Venezia Giulia e della provincia autonoma di Trento. Le 39 nuove sostanze immesse sul mercato - Nel 2021 le 13 Informative provenienti dalle forze dell’ordine hanno riguardato 39 nuove sostanze psicoattive circolanti nel territorio nazionale e appartenenti alle classi dei catinoni sintetici (10), cannabinoidi sintetici (8), fenetilamine (6), aricicloesilamine (4), arilalchilamine (3), piante (n.3), indolalchilamine (2) e altro (3). Delle 20 “allerte” inviate dallo Snap (il sistema nazionale di allerta precoce) durante l’anno 10 hanno riguardato casi di intossicazione/decesso avvenuti sul territorio nazionale, un’allerta ha riguardato il sequestro di un ingente quantitativo di ketamina e le rimanenti 9 hanno riguardato informazioni di particolare importanza per il rischio sanitario e sociale, come nel caso della crescente diffusione di cannabis adulterata con cannabinoidi sintetici, la presenza sul mercato illecito di medicinali contraffatti contenenti NPS (come ossicodone contraffatto con l’oppioide brorfina). Boom di segnalazioni di minorenni trovati con la droga - Nel 2021 sono state 31.914 le segnalazioni per violazione dell’art.75 (possesso ad uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope). Di questi il 40% si riferisce a residenti delle regioni meridionali-insulari, il 34% e il 26% rispettivamente in quelle settentrionali e centrali. “Dal 2014 fino al 2019 si era osservato un aumento del numero di violazioni - si legge nel report - per progressivamente ridursi negli anni successivi: tale riduzione potrebbe essere dovuta, oltre al rallentamento degli inserimenti nel sistema informativo nazionale, alle restrizioni imposte per far fronte alla emergenza sanitaria da covid”. Nell’ultimo anno però, i minorenni di 15-17 anni segnalati per violazione dell’art.75 sono stati 140 ogni 100.000 residenti di pari età, con valori superiori a 250 nelle regioni Valle d’Aosta, Marche, Liguria e inferiori a 100 in Lombardia, Umbria, Friuli Venezia Giulia e Campania. Con la pandemia droga più pura - La pandemia ha avuto un impatto trasversale sull’articolato universo che gira attorno alle droghe. I settori diversi che lo compongono, però, hanno risposto in maniera disomogenea alle sollecitazioni dell’emergenza sanitaria. “E’ aumentata in maniera sensibile la quantità di sostanze intercettate nel nostro Paese, così come la percentuale di principio attivo rilevata nei campioni di hashish, crack e metamfetamine analizzati a seguito di sequestro. Sono inoltre state identificate 62 nuove sostanze psicoattive, di cui 8 mai rilevate prima sul territorio nazionale. Segnali che descrivono un mercato fluido e in movimento che ha saputo riadattarsi alle restrizioni pandemiche in brevissimo tempo. Resta indubbio, inoltre, che le misure di restrizione della mobilità presenti nella prima parte del 2021 abbiano influito sensibilmente sulle attività delle diverse strutture socio-sanitarie dedicate alla cura”. I serD nell’era Covid - Infatti, nel corso del 2021, i SerD e le comunità terapeutiche hanno visto diminuire il numero totale delle persone con disturbo da uso di sostanze in cura. Ciò è avvenuto nonostante la riorganizzazione dell’offerta di trattamento adottando percorsi di telemedicina e concedendo una maggiore flessibilità con l’affidamento delle terapie farmacologiche sostitutive con l’obiettivo di ridurre al minimo le ricadute sulle persone in trattamento. Le operazioni antidroga - La Lombardia è al primo posto con 3.729 operazioni, seguita dal Lazio con 3.471. Ultimo posto in classifica è della Valle d’Aosta con 27 operazioni. Il 37% dei blitz antidroga sono stati rivolte al contrasto del mercato della cocaina, il 25% e il 21% a quello rispettivamente di hashish e marijuana e il 7% a quello di eroina e altri oppiacei. Nel corso del decennio, sul totale delle operazioni antidroga condotte annualmente, si registra un aumento progressivo della incidenza delle azioni rivolte alla riduzione dell’offerta di cocaina a fronte della riduzione per quelle rivolte al contrasto del mercato di eroina/oppiacei. I sequestri - “I sequestri più significativi, in termini quantitativi - recita ancora la Relazione - sono stati effettuati nelle seguenti località: - per la cocaina, kg 2.226 a Catania; - per l’eroina, kg 27,66 a Roma; - per l’hashish, kg 6.000 nelle acque internazionali a largo della Sicilia; - per la marijuana, kg 4.203 a Macomer (NU); - per le droghe sintetiche, kg 60 di DMT (DiMetilTriptamina) a Varese. Il 34,1% delle quantità sequestrate è stato intercettato nelle regioni insulari, prevalentemente in Sardegna (kg 23.676, pari al 28% del totale), il 26,8% e il 25,6% rispettivamente nelle aree meridionali e settentrionali del Paese, in particolare in Calabria e Lombardia, e il 13,4% nelle regioni centrali, soprattutto in Lazio. Russia. L’appello di Navalny: “Mi hanno messo in isolamento, la cella è un canile di cemento di 3 metri quadrati” La Stampa, 16 agosto 2022 Il dissidente “punito” non aver abbottonato un bottone della sua uniforme carceraria. “Mi hanno messo in cella di isolamento, è come stare in un minuscolo canile di cemento di 2,5 per 3 metri”. Alexei Navalny, il critico più accanito del presidente Vladimir Putin, in un post su Twitter tramite i suoi avvocati ha fatto sapere di essere stato “punito” dalle autorità del carcere dove è rinchiuso, la colonia penale IK-6 a Melekhovo di Vladimir, a circa 250 km (155 miglia) a est di Mosca. Il motivo della punizione, stando a quanto ha dichiarato, è irrisorio: non aver abbottonato il bottone in alto della sua uniforme carceraria, di diverse taglie troppo piccole per lui. Accuse, sostiene, inventate come pretesto per incarcerarlo al fine di contrastare le sue ambizioni politiche. Il dissidente ha descritto le condizioni in cui si trova: “La maggior parte delle volte è insopportabile lì dentro perché è sgridato e umido. C’è acqua sul pavimento. Ho preso la versione da spiaggia: fa molto caldo e non c’è quasi aria”, ha scritto. “La finestra è minuscola, ma le pareti sono troppo spesse per qualsiasi flusso d’aria - anche le ragnatele non si muovono. Non c’è ventilazione. Di notte stai sdraiato lì e ti senti come un pesce sulla riva. Alle 5 del mattino ti portano via il materasso e cuscino. C’è un tavolo di ferro, una panca di ferro, un lavandino, un buco nel pavimento e due telecamere sul soffitto”. Navalny, tornato in Russia nel 2021 dalla Germania, dove era stato curato per quello che i test di laboratorio occidentali hanno dimostrato essere un tentativo di avvelenarlo in Siberia, sta scontando una condanna a 11 anni e mezzo dopo essere stato ritenuto colpevole di violazione della libertà vigilata, frode e oltraggio alle accuse. Myanmar. La leader democratica Aung San Suu Kyi condannata ad altri sei anni di carcere La Repubblica, 16 agosto 2022 La sentenza per corruzione comminata da un tribunale della giunta militare che a febbraio del 2021 ha rovesciato con un colpo di Stato il governo democraticamente eletto di Suu Kyi. L’Europa chiede l’immediato rilascio della premio Nobel. L’ex leader birmana Aung San Suu Kyi è stata condannata ad altri sei anni di carcere dopo che un tribunale militare l’ha riconosciuta colpevole in quattro casi di corruzione. Alla 77enne premio Nobel per la Pace finora sono stati inflitti complessivamente 17 anni di prigione da quando un colpo di Stato militare ha deposto il governo civile nel febbraio 2021. Il processo si è svolto a porte chiuse e ai suoi avvocati è stato vietato di rivelare informazioni sul procedimento. Suu Kyi secondo il tribunale avrebbe abusato della sua posizione per affittare terreni pubblici a prezzi inferiori a quelli di mercato e per aver costruito una residenza con donazioni destinate a scopi di beneficenza. L’ex leader birmana ha respinto tutte le accuse: i suoi avvocati dovrebbero presentare ricorso. Suu Kyi era già stata condannata a 11 anni di carcere per sedizione, corruzione e altre accuse in precedenti processi dopo che i militari hanno estromesso il suo governo eletto e l’hanno arrestata nel febbraio 2021. Anche altri membri di spicco del partito Lega Nazionale per la Democrazia di Suu Kyi e del suo governo sono stati arrestati e imprigionati, il partito stesso potrebbe essere sciolto dalla giunta militare prima delle prossime elezioni. Il colpo di Stato - L’esercito ha preso il potere e ha arrestato Suu Kyi il 1° febbraio 2021, il giorno in cui il suo partito avrebbe iniziato un secondo mandato di cinque anni dopo aver ottenuto una schiacciante vittoria alle elezioni generali del novembre 2020. Il colpo di Stato dell’esercito ha innescato proteste di piazza che le forze di sicurezza hanno represso con brutalità. L’opposizione ha dato vita a una vera e propria resistenza armata che alcuni esperti delle Nazioni Unite ora definiscono guerra civile. La giunta militare è accusata di violazioni dei diritti umani, arresti e uccisioni arbitrarie, torture e e attacchi contro civili e incendi di interi villaggi. Suu Kyi, 77 anni, è da più di tre decenni leader dell’opposizione al governo militare in Myanmar. Ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1991 mentre era agli arresti domiciliari. L’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha chiesto l’immediato rilascio di Suu Kyi. “Condanno l’ingiusta sentenza contro Aung San Suu Kyi ad altri sei anni di detenzione e invito il regime in Myanmar a rilasciare immediatamente e incondizionatamente lei, così come tutti i prigionieri politici, e a rispettare la volontà delle persone”.