Coronavirus, timori per i detenuti di Maria Berlinguer La Stampa, 9 marzo 2020 Rita Bernardini: “Amnistia o indulto per sfoltire le carceri. In Iran lo hanno fatto. Ci sono 8.000 detenuti condannati a 2 o 3 mesi: se uscissero si potrebbero sanificare gli edifici”. Pochi controlli, nessuna sanificazione sanitaria, “nessun presidio medico per i parenti che fino a ieri sono potuti andare a trovare i loro cari almeno in alcune carceri”. Così raccontano le Associazioni. Tant’è che il caso dell’agente penitenziario di Vicenza contagiato dal Covid19 e oggi quello di un altro agente a Torino risultato positivo al test (notizia smentita dal capo del Dap, Francesco Basentini a radio Radicale) riporta di nuovo alla luce la drammatica delle carceri italiane dove il sovraffollamento rischia di gettare benzina sul fuoco della diffusione del virus. Il tutto senza che siano ancora state emanate direttive precise da parte del ministero della Giustizia. Dalla notte del 7 marzo sono state annullate le visite dei familiari ai detenuti non solo nelle Regioni finora più coinvolte dall’emergenza. Ma in tutta Italia. Una misura forse tardiva. La Circolare precedente dal capo Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria è del 26 febbraio. I direttori degli istituti di Pena di alcune regioni del Nord e del Centro erano sollecitati ad avviare una capillare attività di informazione tra i detenuti e sospendere le attività lavorative esterne, a consentire i colloqui con i difensori solo in condizioni di sicurezza sanitaria. Dalle nuove disposizioni contenute nel Ddcm approvato nella notte nessun colloquio con i familiari sarà più consentito. A breve è atteso un decreto legge ministeriale con le nuove disposizioni. Il sovraffollamento - La situazione resta però ad alto rischio. All’ultima rilevazione effettuata, i detenuti erano 61.230, a fronte di una capacità delle carceri di 47.231 posti. “In alcuni istituti di pena come a Taranto il sovraffollamento è del 200 per cento, la media è comunque del 130/100. In alcune celle sono ristrette 9 persone ma anche per gli ergastolani dobbiamo pensare che due persone vivono i 9 metri. Che succede se qualcuno si ammala? Le celle di isolamento sono pochissime”, sottolinea la radicale Rita Bernardini che con Nessuno Tocchi Caino chiede al governo e al ministro di Grazia e Giustizia un provvedimento di amnistia e indulto per sfoltire gli istituti di pena, facendo uscire chi deve è stato condannato a pochi mesi di reclusione. “Persino in Iran l’hanno fatto” dice. “Sono 8.000 i detenuti condannati a due o tre mesi e altrettanti a meno di due anni. Se uscissero si potrebbe almeno sanificare gli edifici che sono in igieniche condizioni drammatiche, è di ieri la foto mandata da alcuni familiari che a Matera hanno incontrato i loro cari tra gli scarafaggi. Una eventuale epidemia sarebbe particolarmente difficile per i molti detenuti che hanno patologie gravi, malati terminali e persone che hanno fatto la chemioterapia”. “E non abbiamo ancora nessuna notizia dal carcere di Lodi, che pure si trova in una zona a rischio. Sono molti i direttori che mi stanno chiamando”, prosegue Bernardini. “Finora infatti ogni decisione da prendere è stata scaricata sulle loro spalle: qualcuno ha stanziato migliaia di euro per dotare i detenuti almeno dei prodotti per igienizzare”. Le visite saranno sostituite dalle telefonate, anche via Skype. “Ma solo il 40% delle carceri ha Skype. Inoltre sarebbe bene che ci fosse una parola chiara anche sulla possibilità di telefonare per tutti per una durata significativa”. Ma non sono solo i parenti a entrare e uscire dalle carceri. Lo fanno gli agenti penitenziari, gli operatori sanitari e i magistrati di sorveglianza. Bernardini sottolinea che ancora in questi giorni di emergenza nazionale da Covid19 “continuano a entrare in carcere detenuti, mentre non esce più neanche chi svolgeva i lavori socialmente utili”. Urgente dotare agenti e detenuti dei presidi medici (mascherine, disinfettanti) e procedere alla sanificazione degli istituti. La Protezione civile monta tendoni per il Triage - Intanto la Protezione Civile sta montando davanti ad alcune carceri i tendoni per il Triage. A quanto pare non saranno disponibili per tutti. La febbre, denuncia l’esponente storica dei radicali, inoltre verrà misurata solo ai nuovi detenuti. Non agli agenti penitenziari. Per Bernardini l’emergenza sanitaria va affrontata sfoltendo la popolazione carceraria. “Andrebbe ripristinata la liberazione speciale abolita nel 2015. Non basta come anticipa il Dpcm favorire misure alternative al carcere, serve un provvedimento serio, come l’indulto o l’amnistia” avverte Bernardini chiedendosi quanti sono ad oggi i braccialetti elettronici disponibili. Una domanda rivolta in diretta anche al capo del Dap che ammette di non conoscere la risposta. Coronavirus, paura del contagio e restrizioni provocano proteste nelle carceri di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 9 marzo 2020 Detenuti in rivolta a Modena, Napoli, Salerno e Frosinone. Rientrata sabato sera la rivolta nel carcere di Salerno, di domenica la protesta si sposta a Modena, Frosinone, Napoli e - denunciano alcuni sindacati di Polizia penitenziaria - Alessandria. Provocando momenti di forte tensione. A Salerno i detenuti sono rientrati nelle celle solo dopo aver causato danni molto ingenti agli arredamenti e a tutto quello che potevano distruggere nelle celle e nei corridoi. L’interruzione volontaria della rivolta ha scongiurato l’intervento della forza pubblica a ristabilire l’ordine. Il motivo della protesta, esplicitato in un documento consegnato alla direzione della prigione, è la sospensione dei colloqui “a vista” con i familiari introdotta con il decreto anti-contagio varato dal governo per fare pronte al diffondersi del coronavirus. E per questa stessa ragione, nella giornata di oggi, le rivolte, anche violente, si sono propagate negli altri istituti. La situazione più preoccupante sembra essere quella di Modena, dove i reclusi hanno “conquistato” gli spazi comuni arrivando fino alla portineria, provocando l’uscita del personale presente: una ventina tra agenti di custodia (due dei quali leggermente feriti) e personale sanitario. Fuori dall’istituto sono arrivati poliziotti in tenuta antisommossa, vigili del fuoco e le autorità di pubblica sicurezza. A Frosinone un centinaio di detenuti hanno scavalcato alcuni muri interni della prigione - senza quindi evadere, come s’era sospettato in un primo momento - e chiesto di parlare con il garante regionale Stefano Anastasia, che è giunto sul posto. Nel carcere napoletano di Poggioreale una trentina di rivoltosi sono saliti sui tetti, inveendo a gran voce contro il provvedimento che limita o sospende i colloqui diretti (sostituiti con quelli via skype o con un maggior numero di telefonate rispetto a quelle consentite), spalleggiati da alcuni parenti che, in strada, hanno bloccato il traffico per propagandare all’esterno la protesta. Tornando a chiedere provvedimenti di amnistia e indulto di cui già da qualche giorno s’è ricominciato a parlare. Anche da parte di alcuni magistrati. Il blocco dei colloqui, così come quello previsto della concessione dei permessi premio e della possibilità di uscire ogni giorno dal carcere per rientravi la sera per chi è assegnato al lavoro esterno, arriva quando la tensione già alta a causa del sovraffollamento degli istituti: 61.230 reclusi al 29 febbraio 2020, a fronte di 50.951 posti (teorici, perché alcune migliaia sono indisponibili). Coronavirus, la rivolta nelle carceri dopo la stretta su permessi e colloqui di Luisiana Gaita Il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2020 Proteste e ribellioni in molte strutture penitenziarie, le più gravi a Modena (sei detenuti morti) e Pavia (due guardie carcerarie sequestrate). L’associazione Antigone: “Situazione difficile anche per i livelli igienico-sanitari. Per rispettare le misure di contenimento un carcere medio può isolare non più di cinque detenuti, poi salta la gestione”. Se il contagio da Covid19 non è ancora entrato nelle carceri, la paura certamente sì. La prima rivolta documentata è stata quella scatenata dai detenuti di Salerno, dopo aver appreso della sospensione dei colloqui con i familiari (che potranno avvenire via Skype nei penitenziari attrezzati). Una protesta scatenata, in realtà, quando hanno iniziato a girare voci su uno stop ai colloqui sul territorio nazionale fino al 31 maggio. Il decreto li blocca invece fino al 3 aprile, ma la tensione resta molto alta. Ci sono state proteste a Frosinone, Napoli e Modena, dove i detenuti del Sant’Anna hanno appiccato il fuoco e tentato la fuga: negli scontri sono morti in tre. A Pavia, nella serata di domenica, i carcerati hanno sequestrato due guardie e solo a tarda notte la rivolta si è placata. La tensione è alta ormai ovunque, mentre a entrare nel carcere è anche il decreto del Governo con le misure di contenimento del Coronavirus: non solo colloqui via video o al telefono fino ad aprile (la misura è adottata già da giorni in Lombardia e Veneto), ma anche stretta sui permessi e la libertà vigilata. Proprio mentre fuori dal carcere c’è chi pensa invece alle misure alternative, come possibili strumenti per limitare il contagio. È il caso dell’associazione Nessuno Tocchi Caino, che ha sottolineato l’importanza di misure come amnistia, indulto e moratoria dell’esecuzione penale. Tra informazioni che arrivano dall’esterno, divieti più stringenti e nuove aspettative, è sempre più difficile gestire la situazione. “È comprensibile - spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio di Antigone - dato che le carceri italiane non hanno una buona reputazione in fatto di livelli igienico sanitari e mi domando ciascuna struttura quanti eventuali contagiati sarà mai in grado di gestire”. Le rivolte nelle carceri - E questo i detenuti lo sanno bene. Così a Salerno per cinque ore, in quasi duecento hanno devastato un’intera sezione dell’istituto di Fuorni, sfondando una cancellata e salendo sul tetto della struttura armati di ferri divelti dalle brande. I detenuti hanno chiesto di sottoporre tutta la popolazione carceraria a tamponi per il test sul coronavirus e di accedere a misure alternative al carcere. Ma si sono registrate tensioni anche in altri istituti. Per esempio, sempre in Campania, a Secondigliano, Poggioreale, dove alcuni familiari dei detenuti hanno esposto striscioni chiedendo indulto, amnistia, o forme alternative al carcere, e nell’istituto casertano di Carinola. Tensioni anche a Foggia. E se a Frosinone, nelle ultime ore, circa cento detenuti hanno inscenato una protesta, distruggendo un intero reparto, una rivolta molto violenta è scoppiata nel carcere Sant’Anna di Modena, dove sono dovuti intervenire i pullman di agenti in tenuta antisommossa, mentre dalla prigione era visibile il fumo nero che si levava in alto. I detenuti si sono barricati dentro la struttura, dove sarebbero stati bruciati i presidi sanitari. Duro il commento di Gennarino De Fazio, della Uil-pa Polizia Penitenziaria nazionale, spiega così la situazione: “Non si dica che quanto sta accadendo è per il coronavirus, ma è con il coronavirus, perché il grave stato emergenziale che attanaglia le carceri, i detenuti e chi vi opera è in essere da troppo tempo e solo l’improvvisazione di chi ha il dovere di gestirle politicamente, per conto dei cittadini, poteva non prevedere quello che sta accadendo in queste ore”. Come ha spiegato Francesco Maisto, garante dei diritti delle persone private della libertà di Milano, solo in Lombardia, regione più colpita dal virus, ci sono ottomila detenuti a fronte di una capienza di 6mila. Le nuove regole - Di fatto il decreto governativo prevede che prima dell’accesso alle carceri ai detenuti sia misurata la febbre e, se necessario, fatto il tampone. Ma ormai tutti sanno che non tutti i contagiati hanno sintomi chiari, come febbre, tosse o problemi respiratori. Una misura che, a chi la subisce, sembra in contraddizione con la possibilità di autorizzare, poi, colloqui personali solo in casi eccezionali e a condizione che sia garantita la distanza di due metri. Oltre alle limitazioni sui colloqui, che sono state la causa scatenante (ma non l’unica) delle proteste, fanno discutere in queste ore le restrizioni per entrare e uscire dal carcere. In realtà si tratta di una raccomandazione, con la quale il Governo Conte, chiede di modificare l’applicazione dei regimi dei permessi e della libertà vigilata. Cosa accade se in carcere entra un detenuto contagiato da Covid19? L’istituto in questione dovrà metterlo in isolamento e, in quel caso, bisognerà valutare la possibilità di applicare misure di detenzione domiciliare alternative al carcere. Le possibili soluzioni - “Il problema - spiega a ilfattoquotidiano.it Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio di Antigone - è che in queste ore la cosa migliore sarebbe cercare di fare qualcosa per far diminuire la popolazione carceraria. Abbattere un po’ aiuterebbe la gestione interna, ma non è semplice”. Si sta parlando di amnistia e indulto. “Tutto ciò alimenta le aspettative che, credo, non potranno essere soddisfatte - aggiunge - perché per queste soluzioni non basta un decreto del governo, bisogna seguire un iter complesso che coinvolge i due rami del Parlamento”. Ci si potrebbe aspettare una spinta maggiore, da parte del governo, sull’utilizzo delle misure alternative al carcere. “Ad oggi, però, gli atti del governo sembrano non dare risposte chiare su molti aspetti e non danno strumenti normativi nuovi, quindi non escludo che nelle prossime 24-48 ore vengano approvate misure che consentano un aumento delle uscite” dice Scandurra. Le preoccupazioni - Ma anche nell’ipotesi che migliaia di detenuti escano dal carcere, cosa accadrà a chi rimane in cella? “Intanto dovrà spiegare cosa accade, che misure si stanno adottando e puntare sulla trasparenza e la conoscenza”. Ma se e quando arriveranno i contagi, il carcere (stando alle misure attuali) dovrà isolare per 14 giorni il detenuto, che si trova comunque in condizioni tali da non necessitare di un ricovero. “Ma per rispettare le misure di contenimento - spiega Scandurra - un carcere medio può isolare non più di cinque detenuti, poi salta la gestione”. Per questa ragione, l’amministrazione penitenziaria si sta organizzando per ampliare le zone che potranno essere dedicate a eventuali isolamenti. “Zone - spiega il coordinatore di Antigone - prima utilizzate per far fronte ad altre tipologie di patologie infettive, la cui diffusione in carcere è frequente”. La paura dei contagi esplode nelle carceri di Antonio Rapisarda Libero, 9 marzo 2020 I detenuti chiedono tutele contro il virus. Salvini: “Non diventi una scusa per aprire le celle”. Dopo il primo focolaio esploso sabato a Salerno, la rivolta delle carceri - alimentata dalla psicosi e dal blocco dei colloqui causati dall’allarme Coronavirus - ha “contagiato” ieri diversi istituti in tutta la penisola: da Frosinone, con una sommossa di cento detenuti barricati in un reparto, alla sollevazione con tanto di incendio avvenuta nel penitenziario di Sant’Anna di Modena, così come a Foggia e a Poggioreale dove i carcerati si sono recati sul tetto di passeggio per protestare contro le decisioni del governo. Una reazione descritta telegraficamente dal Sap: “Decine di detenuti sono saliti sui muri, in alcuni casi bruciando materassi, chiedendo provvedimenti contro il rischio dei contagi dal Coronavirus all’interno della struttura”, ha spiegato il segretario del sindacato autonomo di polizia Aldo Di Giacomo. Nessuna evasione, come era stato ventilato durante la giornata, ma di certo una giornata di grandi tensioni nelle carceri dove la paura dell’epidemia e la frustrazione dei detenuti si accompagnano alle richieste che da tempo la polizia penitenziaria ha lanciato, senza ricevere risposta, al governo e al ministro della giustizia Bonafede. È proprio l’esponente pentastellato - del quale ieri non è giunta nemmeno una parola a commento - a finire sul banco degli imputati: “Dovrebbe rammentare di non aver ricevuto un’investitura divina”, ha sbottato Gennarino De Fazio, responsabile Uil-Pa Polizia Penitenziaria, “non si dica che quanto sta accadendo è per il Coronavirus, ma è con il Coronavirus”. Secondo il sindacalista, insomma, lo stato di emergenza che coinvolge indifferentemente i detenuti e chi opera per la sicurezza nei penitenziari “è in essere da troppo tempo e solo l’improvvisazione di chi ha il dovere di gestirle politicamente poteva non prevedere quello che sta accadendo in queste ore”. Non è mancata la reazione della Lega. “La rivolta, e l’incendio, nel carcere Sant’Anna sono episodi gravissimi” ha attaccato Lucia Borgonzoni che sospetta il tentativo di qualcuno di usare l’emergenza Coronavirus “per provare a destabilizzare i sistemi di sicurezza: “Mi auguro che Bonafede, ancora non pervenuto su questo tema, utilizzi massima fermezza”. Per Matteo Salvini - in riferimento prima di tutto al Dpcm del governo che prevede la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare - l’emergenza Coronavirus “non deve essere la scusa per spalancare le porte delle case circondariali”. Il leader della Lega non ha fatto mancare la sua solidarietà alle forze dell’ordine senza risparmiare la stoccata al ministro: “Bonafede troverà il tempo di occuparsi anche di loro, dopo la terribile riforma della prescrizione e le intercettazioni per tutti?”. Rivolta e morti nelle carceri, i veri motivi di Roberto Galullo Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2020 Il coronavirus o il blocco dei colloqui non sono la (sola) causa dei disordini nelle carceri italiane. C’è anche un’altra strategia. Nello sfondo delle insostenibili condizioni delle celle. Se c’è una falsa ragione per la quale è scoppiata la rivolta nelle carceri italiane, ebbene, quella è proprio il blocco dei colloqui tra detenuti e i loro familiari e avvocati. Ancor di meno è una ragione valida quella che ha portato una trentina di familiari di detenuti reclusi nella casa circondariale di Trapani a chiedere la liberazione dei propri cari, perché preoccupati per un possibile contagio da coronavirus all’interno dell’istituto di pena. Se c’è oggi un posto non sicuro ma più sicuro di molti altri – fino a che saranno rispettate le regole fissate dal Governo, che interrompono momentaneamente colloqui, permessi, lavoro all’esterno e semilibertà – quello è proprio il carcere. Certo, il coronavirus entrerà o, con ogni probabilità, è già entrato nelle celle e nei corridoi delle case di reclusione, ma qui è più facile prevenire, isolare e combatterlo perché, dietro, c’è una rete sanitaria più rodata che altrove. Inutile chiudere gli occhi - C’è una doverosa ammissione da fare, però: le condizioni di vita all’interno delle celle, sono diventate insostenibili. Ma per tutti, non solo per i detenuti, tra i quali sta dilagando – nel silenzio colpevole della politica e dell’opinione pubblica – il numero di soggetti psichiatrici che, da molto tempo, non hanno più un posto pronto ad accoglierli. Condizioni di vita terribili che, in poco meno di 10 anni, hanno stravolto e peggiorato un ecosistema delicatissimo, nel quale direttori di istituto, dirigenza, comandanti di polizia penitenziaria, poliziotti tutti, il corpo degli educatori e l’esercito di volontari e professionisti della sanità, rischia ogni giorno molto di più che un contagio da coronavirus. A cuore la salute - Di più. Se davvero ciò che sta a cuore a tutti è la salute, dovrebbero essere in primis i familiari a chiedere un isolamento dei propri cari e a imporsi un sacrificio di astensione da visite e colloqui. Se davvero ciò che più sta a cuore è la salute, non sarebbero stati devastati e incendiati interi reparti, compresi gli attacchi alle infermerie. Proprio a Modena, dove ci sono stati tre morti e diversi contusi tra agenti e detenuti, il reparto medico è stato devastato e delle medicine è stata fatta razzia. Quello della salute dentro le celle è un fatto di straordinaria urgenza: il traffico di farmaci all’interno delle strutture avviene in modi impensabili. Ne volete sapere uno? I detenuti ai quali è prescritto un farmaco in gocce mettono all’interno delle guance una micro spugna che le assorbe. Usciti dall’infermeria strizzano il contenuto nella bocca del compagno di detenzione che ne ha bisogno per sedare la propria dipendenza da farmaci, pronto a pagare con sigarette o altro, quel medicinale. Qualunque esso sia. Non si muove foglia - Allora, cosa sta davvero spingendo i reclusi a mettere a ferro e fuoco gli istituti penitenziari e a porre a rischio, oltre alla propria vita, quella del personale, a partire da quello di polizia? Una domanda ancor più legittima se si pensa che il tam-tam di “radio carcere” ha facilmente fatto dilagare in tutta Italia l’avviso di rivolta. E attenzione: nessuno all’interno di un qualunque istituto penitenziario italiano muove foglia se, dall’esterno, non arriva a chi “domina” le dinamiche interne della vita carceraria, l’ordine di scatenare la rivolta. Dietro, dunque, c’è un’attenta regia. Nel mondo carcerario italiano nulla inizia, nulla continua e nulla si interrompe per caso. Una scala di priorità tra i motivi che stanno spingendo alla rivolta sanguinaria – almeno fino a quando non sarà passato un più congruo tempo per un’analisi certa – non esiste. Esiste però un insieme di cause che – ripetiamo: al momento – giocano un ruolo. E allora elenchiamole per come ci vengono – per logica – in mente. Clemenza vò cercando - La prima ragione è uscire dal carcere non con una fuga (che pure le rivolte possono agevolare) ma con il timbro della legge. Proprio così. Un obiettivo certo, concreto e conclamato dietro il quale c’è il ferro e il fuoco di queste ore, è un provvedimento legislativo d’urgenza che porti a indulti, amnistie o, comunque, a percorsi agevolati di vita all’esterno come, tanto per non fare nomi e cognomi, gli arresti domiciliari. Un motivo legittimo, l’altro no - Dietro c’è un doppio movimento che sollecita e caldeggia questa via. Uno legittimo, l’altro no. Quello legittimo è quello di una parte della politica e delle associazioni organizzate che, ciclicamente e spesso carsicamente, spingono per far uscire un numero consistenti di reclusi per liberare le carceri dal sovraffollamento. La legittimità di questo movimento – condivisibile o meno, in tutto o in parte – deve fare i conti con una realtà amara: poco dopo l’attuazione dei provvedimenti di clemenza, le celle tornano ad essere piene come un uovo (a partire da extracomunitari e soggetti psichiatrici) e tutto, dunque, ricomincia daccapo. Ancora una volta vengono dunque messe a nudo le carenze di organico, le dissennate politiche di trasferimento o destinazione di parte degli operatori di polizia e di parte del personale civile, la vetustà delle strutture e la carenza di mezzi e risorse. L’altra spinta è quella della rete delinquenziale che ha nel carcere un motore una scuola di vita oltre che di – parlando con la Costituzione in mano – un percorso di recupero. Svuotare le carceri dei soliti noti assicura un ricambio di “pezzi originali” da mettere nel circuito criminale di basse lega o, talvolta, di alto potenziale. Non facciamo scivolare nell’indifferenza le immagini riprese all’esterno del carcere napoletano di Poggioreale, nelle quali si vedono i familiari dei reclusi urlare «de-te-nu-ti de-te-nu-ti» quasi a invocarne un ruolo privo però di un’anima operativa. Qui comando io - Un altro motivo per il quale esiste una filiera abilmente manovrata è quello che porta dritti diritti al comando criminale all’interno delle carceri. Una rivolta, qualunque essa sia, è il momento giusto per far vedere a tutti chi comanda davvero le dinamiche delinquenziali e criminali interne ma può anche rappresentare il momento più opportuno per scardinare le vecchie gerarchie e imporne di nuove. È inoltre il momento per nuove alleanze interne e per regolare conti tra opposte fazioni. Vendette a furor di popolo che, spesso, lasciano vittime sul campo. Non va sottovaluta la facilità con la quale i detenuti hanno preso possesso delle carceri, alcune delle quali hanno boss della criminalità organizzata italiana e straniera. Questo aspetto, oltre a indurre riflessioni sulla sicurezza interna, porta a pensare che, se i reparti dei reclusi in isolamento o al 41-bis venissero o fossero attivamente coinvolti, la miccia dell’esplosione interna potrebbe essere molto più corta di quella che, oggi, si pensa. Coronavirus, le nuove regole per i colloqui scatenano la rivolta nelle carceri di Franco Giubilei La Stampa, 9 marzo 2020 Proteste da Vercelli a Frosinone. I Sindacati: istituti in emergenza da tempo ma il governo non se ne occupa. Carceri in rivolta, dopo le modifiche introdotte dal governo rispetto alle modalità di colloquio detenuti e familiari a causa dell’infezione da coronavirus. Tensione e proteste negli istituti penitenziari di Napoli Poggioreale, Modena, Frosinone, Alessandria San Michele; battiture delle inferriate a Foggia e Vercelli. Mentre questa mattina un centinaio di persone hanno richiesto di effettuare i colloqui presso la Casa Circondariale di Napoli Secondigliano stazionando per alcune ore. Il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, racconta quanto sta accadendo a Frosinone: “La protesta va avanti, sono circa un centinaio i detenuti che hanno occupato la seconda sezione, e sono barricati. Hanno un elenco di richieste che partono dalla questione dei colloqui. Siamo in fase di attesa. C’è anche il provveditore, non si vuole fare alcuna azione di forza per non creare tensioni. Siamo in trattativa”. “Sono momenti drammatici e convulsi - afferma Gennarino De Fazio, per la UilPa Polizia Penitenziaria nazionale - nei quali da donne e uomini di Stato pensiamo per prima cosa a difendere le istituzioni democratiche e la sicurezza dei cittadini, dunque abbiamo notizie del tutto parziali e frammentarie, ma univoche nel raccontare gravi tensioni e disordini in molti istituti penitenziari del Paese. Solo ieri sera, da ultimo, avevamo detto che le carceri finiranno per essere il banco di prova finale del governo, anche perché nessuno che conosca il carcere poteva non sapere quello che si sarebbe verificato”. “Non si dica - conclude il rappresentante sindacale - che quanto sta accadendo è per il coronavirus, ma è con il coronavirus, perché il grave stato emergenziale che attanaglia le carceri, i detenuti e chi vi opera dura da troppo tempo e solo l’improvvisazione di chi ha il dovere di gestirle politicamente, per conto dei cittadini, poteva non prevedere quello che sta accadendo in queste ore. D’altronde le organizzazioni sindacali rappresentative degli operatori del Corpo di polizia penitenziaria, pressoché unanimemente, lo denunciano insistentemente da mesi senza essere degnate della doverosa attenzione del ministro della Giustizia, il quale dovrebbe forse rammentare di non aver ricevuto un’investitura divina. Ora speriamo che si limitino i danni e tutto rientri nella normalità, ma immediatamente dopo nessuno potrà più far finta di niente” Duro anche l’Osapp, il cui segretario generale, Leo Beneduci, accusa: “L’impreparazione del sistema e i disagi ingiustificati del personale in particolare di polizia penitenziaria che si trova a dover correre ai ripari rispetto all’emergenza in atto, trovano motivazione nel disinteresse dell’amministrazione penitenziaria centrale e del ministro Bonafede, che non hanno ritenuto da mesi di prestare attenzione ai molteplici segnali di allarme provenienti dagli istituti penitenziari e che trovano oggi alibi di manifestarsi a seguito delle misure assunte dal governo”. Per l’Osapp, “dovranno invertirsi politiche penitenziarie eccessivamente improntate a favorire la popolazione detenuta indipendentemente dalla natura e dalla gravità dei reati commessi”. Ecco il perché della rivolta nelle carceri italiane di Salvatore Prinzi alganews.it, 9 marzo 2020 Non volevo fare questo post, perché le cose che ho visto ieri pomeriggio non sapevo davvero come metterle per iscritto. Ma, tornato a casa, ho sentito di tre morti a Modena, ho visto sui social tanta cattiveria, e ho deciso di scrivere lo stesso. Perché chi dice certe schifezze deve almeno fare i conti con la realtà. Ero fuori al carcere di Poggioreale oggi. Come in tante carceri d’Italia (Genova, Modena, Pavia, Salerno, Frosinone, Vercelli, Alessandria, Palermo, Bari, Foggia) i detenuti si sono ribellati. Hanno cominciato a battere sulle sbarre, sono saliti sui tetti. Hanno bruciato carta e stoffe, hanno urlato come potevano. La goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’emergenza coronavirus su una popolazione già stressata, ristretta, che vive in condizioni disumane. Se la paura del contagio, la necessità di stare chiusi in casa, il terrore di non vedere i propri cari, fa uscire di testa noi “normali”, vi immaginate cosa può su decine di migliaia di detenuti? Le strutture sono sporche e sovraffollate, si arriva anche a dieci in una stanza, le malattie infettive già di solito sono diffuse, bronchiti date da umidità e scarse cure. Se ti ammali puoi aspettare giorni senza che nessuno venga. E il governo non solo non fa niente, non ti smista in altri spazi, non manda la gente ai domiciliari (l’ha fatto persino il cattivissimo Iran con decine di migliaia di detenuti!), ma ti dice: colloqui sospesi fino al 31 maggio. Mai uno stop così lungo nella storia italiana. E non ci sono mezzi per fare connessioni via skype. Permessi sospesi. Udienze sospese. La tua vita che si blocca, solo che tu sei dentro. E rischi di fare la fine del topo, magari morire di polmonite senza aver detto ciao a tua figlia. Lo riuscite a capire o no? La sentite montare l’ansia di uno che sta sveglio tutta la notte mentre sotto il compagno di cella tossisce senza sosta? Dice: ma lo fanno per il loro bene. Ma vi rendete conto che in carcere ci entrano i secondini che vivono il resto del tempo fuori? Con quella promiscuità, ne basta uno positivo per infettare migliaia di persone. La verità è che non lo fanno per il loro bene, lo fanno come gli viene… brutali, indifferenti. Così i detenuti si ribellano, arrivano lì fuori i parenti, e anche noi compagni per cercare di portare un po’ di solidarietà. Ci troviamo in mezzo a una folla di centinaia di persone che ondeggia fra le diverse entrate del carcere, confusa, arrabbiata, disperata, facendo capannelli e disperdendosi per la pioggia, chiedendo informazioni che non arrivano, senza interlocutori, senza direzione. Il sottofondo è l’elicottero che ci ronza sulla testa per ore, a volte abbassandosi fino a sollevare il vento. La prima cosa che balza agli occhi è il gran numero di donne: e come potrebbe essere diversamente? Dentro ci sono i loro uomini. Per un attimo penso che è ironico, è proprio l’8 marzo, ma in effetti per loro la lotta è tutti i giorni. Le donne urlano, provano a salutare i detenuti, a farsi sentire vicine. Battono sulla cancellata a ritmo con loro. Gridano indulto, libertà. Alcune, soprattutto le più giovani, hanno gli occhi lucidi, avidi di qualche sicurezza: si vede che ancora non gli torna questa vita. Le altre sono già vecchie a 50 anni, capelli in disordine, tuta, decise e convulse, si fanno sotto ai carabinieri. Ma - è difficile spiegare come - non per aggredirli, ma a spiegargli, a convincerli, che è uno schifo, che loro non sono bestie, che non si può campare così. E non si sa da che lato c’è più impotenza. Alcune invece sono vestite da domenica, truccate. Si vede che sono accorse dal pranzo con le famiglie. Bambini di 6 anni appresso, che guardano verso il padiglione dove cascano pezzi di carta che bruciano. Lampade cinesi al contrario, che scendono tristi. Negli occhi dei bambini la stessa traiettoria, tanta innocenza e già tanta ombra, come se questa fosse l’unica vita possibile. Una donna a un certo punto si sente male, accorrono fino a soffocarla. Interviene un pompiere per rianimarla, si fa spazio quasi rassegnato. Un’altra inizia a urlare contro la fila infinita di camionette. Che bisognerebbe appicciarle, dice. Perché siete dei corrotti. “Corrotti, corrotti, mò fanno schifo i detenuti, eh, ma non vi fanno schifo quando vi mettete la 500 euro nella sacca per far passare il telefonino, no?”. Un uomo sui 60 appena uscito di galera fa vedere i lividi dei maltrattamenti subiti. Chiamate i giornalisti, urla. Questo fanno quelli lì dentro. A un certo punto esce il Garante dei Detenuti, che era entrato dentro per vedere la situazione. Rassicura un po’ tutti. Dice che i detenuti sono rientrati nelle celle, spontaneamente. Che per tutto il resto si vedrà, si parlerà… Si alza un boato ma non è chiaro se i detenuti abbiano strappato qualcosa. Non sembra ci sia stata trattativa. Quello che è certo è che non si può andare avanti così. Sapevamo di vivere in un paese fragile, da tutti i punti di vista, economicamente, amministrativamente, emotivamente. Sapevamo che prima o poi sarebbe saltato il sistema. Certo, non ci immaginavamo che sarebbe stato un virus a dirci quanto poco siamo comunità, quanto male funzioni il nostro Stato, quanto è stata distrutta la sanità pubblica. E forse, è per non guardare queste verità, che ci imporrebbero di cambiare, che ora continuiamo con la crisi di nervi: reagiamo sui social senza sforzarci di capire, senza sforzarci di essere umani. Così, tornato a casa, apprendo di ben sei morti a Modena. E leggo i soliti commenti, come domenica scorsa dopo l’omicidio del 15enne Ugo: che i detenuti devono morire tutti, che è meglio se il coronavirus entra e fa una strage. Se, come diceva Dostoevskij, che di anni in galera se n’era fatti quattro, “il grado di civilizzazione di una società si può misurare entrando nelle sue prigioni”, penso che oggi nessuno possa girarsi dall’altra parte. Quello delle carceri non è un altro mondo, non ci sono alieni lì dentro: è solo la radiografia del nostro paese. Dove ormai si vede bene l’infezione. Coronavirus. In caso di contagio tra i detenuti le carceri rischiano il collasso di Luca Cereda lifegate.it, 9 marzo 2020 A causa del grave sovraffollamento, se si verificassero contagi da coronavirus nelle carceri, la situazione potrebbe diventare ingestibile. Forse il Coronavirus non entrerà nelle carceri. Ma se ciò dovesse accadere, le misure di gestione dell’emergenza epidemiologica da coronavirus negli istituti di pena italiani si rivelerebbero di fatto impraticabili per via del grave sovraffollamento. Mentre anche l’Iran ha varato misure alternative fuori dal carcere, da noi le direttive parlano, in caso di contagio, di porre i detenuti in celle singole per l’isolamento sanitario. Difficile, tuttavia, comprendere in che modo ciò possa essere organizzato, tenendo conto del fatto che, secondo gli ultimi dati, in Italia abbiamo circa 61.500 detenuti per un totale di 47.231 posti effettivi. E non ci sono celle vuote, semmai ce ne sono di inagibili. Le misure anti-contagio dei detenuti nel decreto legge del 2 marzo - Il decreto legge emanato il 2 marzo ha disposto, da un lato, che “le articolazioni territoriali del servizio sanitario nazionale assicurano al ministero della Giustizia idoneo supporto per il contenimento della diffusione del contagio da coronavirus”. Ciò accadeva già nei giorni scorsi, “con le tende montate davanti a vari istituti penitenziari lombardi, dove vengono controllati quei detenuti cosiddetti ‘nuovi giunti’ che devono fare ingresso in carcere”, spiega Carlo Lio, garante dei detenuti o privati della libertà della Lombardia. Dall’altro lato, con lo stesso decreto il governo ha stabilito che per 30 giorni negli istituti presenti nelle “zone rosse”, i parenti non possono accedere alle carceri e i colloqui si effettuano via telefono, via skype o con videochiamata. “Dove questo è tecnicamente possibile, e non lo è molto spesso”, racconta Lio. “L’isolamento degli isolati” e i diritti dei detenuti - “Questa emergenza si somma ad una situazione già compromessa - spiega Lio - dal sovraffollamento, con ottomila detenuti a fronte di una capienza di seimila in Lombardia”. Inoltre, spetta al magistrato di sorveglianza, che si dovrà assumere la responsabilità della decisione in ogni caso, anche quelli di contagio, valutare se vadano sospesi e confermati i permessi premio o i provvedimenti di semilibertà, ovvero le uscite diurne dal carcere. “I provvedimenti adottati sono anche comprensibili, ma isolano i detenuti e vanno applicati con la massima attenzione alla specificità delle singole situazioni, così da non rischiare di andare oltre lo stretto necessario, isolando dall’esterno ancor di più chi vive già in modo ristretto”. Sentirsi abbandonati in carcere può essere infatti drammatico. “Per rispettare la normativa vigente”, continua il garante lombardo dei ristretti della libertà, “ho sospeso le mie visite nelle carceri regionali per ascoltare i bisogni dei detenuti”. Eppure da alcuni istituti arrivano segnalazioni di chiusure ingiustificate rispetto all’obiettivo unico di limitare la diffusione del virus. Chiusure che, come segnala anche il garante nazionale dei diritti dei detenuti, “incidono anche sui diritti delle persone incarcerate e che sembrano essere il frutto di un irragionevole allarmismo che retroagisce determinando un allarme sempre crescente che non trova fondamento né giustificazione sul piano dell’efficacia delle misure”. “Bisogna ripensare il carcere, anche al di là dell’emergenza coronavirus” - “Bisogna ripensare il carcere a monte della situazione di emergenza che stiamo vivendo, dobbiamo mettere al centro la dignità dei detenuti riducendo il numero di persone presenti dietro le sbarre”, conclude Carlo Lio. Le misure di semilibertà, che comportano oggi un passaggio quotidiano rischioso da dentro a fuori delle carceri, e viceversa, potrebbero in molti casi essere trasformate in affidamenti in prova al servizio sociale. In tal modo i detenuti vivrebbero le loro giornate interamente in comunità esterne. Una questione di senso civico, con l’obiettivo di cooperare tutti nella stessa direzione. L’intervista al Garante Mauro Palma: “Vanno assicurati i colloqui a distanza” di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 9 marzo 2020 “La situazione è a rischio anche a causa di una cattiva comunicazione. Sta passando il messaggio che i collegamenti del carcere con l’esterno sono completamente interrotti, ma non è così, bisogna riportare un po’ di razionalità e placare gli animi”. Mauro Palma, Garante nazionale dei detenuti, annuncia che anche il suo ufficio cercherà di collaborare per riportare la calma nei penitenziari in rivolta: “Andremo negli istituti per spiegare direttamente la situazione ai detenuti”. E qual è la situazione? “In un contesto molto complicato anche per la società esterna, è giusto prendere precauzioni anche all’interno delle carceri. Il blocco degli incontri diretti fino al 22 marzo, cioè per due settimane, può avere un senso se nel frattempo l’amministrazione penitenziaria si impegna perché siano realmente sostituiti con i colloqui a distanza”. Come? “Con i collegamenti via skype, che però devono essere estesi a tutti, e non riservati ai circuiti della media sicurezza come ora; anche i reclusi in alta sicurezza devono averli. E l’aumento delle telefonate, sempre in sostituzione delle visite, deve essere non solo nel numero delle chiamate, ma anche nella durata. Inoltre va chiarito che la possibilità di sospendere i permessi premio e le uscite in semilibertà è sottoposta al vaglio dei magistrati di sorveglianza, senza automatismi, e questo significa decidere situazione per situazione, distretto per distretto”. In tutto questo il sovraffollamento resta un problema… “Certo, peraltro destinato ad aumentare dopo i trasferimenti in altri istituti a causa delle rivolte che ieri hanno reso inagibili le strutture di Frosinone e Modena. In questo senso credo che si debba ragionare sulla possibilità di concedere una liberazione anticipata speciale, o in detenzione domiciliare, sempre a discrezione del giudice, per chi sta scontando le ultime settimane o gli ultimi mesi di pena, esclusi ovviamente coloro che hanno preso parte agli episodi di violenza”. E l’ipotesi di un’amnistia? “Sono contrario, e credo sia sbagliato persino parlarne. Non ci sono le condizioni, e si rischia di far balenare illusioni che susciterebbero altre situazioni di criticità”. Il Provveditore della Puglia: “Una corretta informazione può disinnescare le rivolte” di Gianluigi De Vito Gazzetta del Mezzogiorno, 9 marzo 2020 Sabato di guerriglia nel carcere di Salerno, ieri tensione altissima quasi ovunque, soprattutto a Modena dove un detenuto a perso la vita. Ma anche Bari e Foggia non costituiscono eccezione. L’annunciata sospensione o limitazione dei colloqui con i parenti ha già scatenato rivolte. E si trema per le nostre carceri. La Puglia è la regione col più alto tasso di sovraffollamento carcerario: legna sul fuoco. Nel carcere di Bari, i detenuti sono 460 su una capienza di 299 (tasso di affollamento al +65%). A Taranto, 600 su 306 (+51 %); a Lecce, 1.105 su 808 (+73%); a Brindisi, 205 su 120 (+58%); a Foggia, 608 su 365 (+60%); a Lucera, 177 su 137 (+77%); a Trani, 363 su 277 (+76%); ad Altamura, 85 su 52 (61 %); a Turi, 149 su 99 (+66%); a Matera, 186 su 132 (+71 %); a Melfi, 206 su 123 (+60%). Solo nel carcere di Potenza e nella sezione femminile di Trani ci sono “posti vuoti”. A questo bisogna aggiungere comunque, per motivi diversi, dagli agenti ai volontari, frequenti le strutture. Un piccolo pianeta è in subbuglio, sotto una ghigliottina che non perdonerebbe perché nel mondo “ristretto” il contagio scoppierebbe veloce e forte come una bomba. È attesa per stamani la direttiva di Giuseppe Martone, provveditore per la Puglia e Basilicata del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Martone, ci sono casi sospetti nelle carceri? “No, al momento nessuna segnalazione di pazienti positivi. E la situazione nelle sezioni è tranquilla. È ovvio che stiamo in campana. Dovremo sospendere i colloqui sostituendoli con Skype e con telefonate più lunghe. Ovviamente dovrà essere fatta un’opera di informazione in tutta la popolazione detentiva”. Telefonate settimanali da 10 a 20 minuti? “L’orientamento è questo”. Il problema è la sospensione dei colloqui. Ha già creato insurrezioni. È difficile farla digerire, no? “Quello che abbiamo già fatto è diminuire l’accesso delle persone in visita e inibirlo ai minori di 12 anni, e garantire il rispetto della distanza”. Le scorte di materiale igienico sanitario sono sufficienti? Amuchina e Lysoform sono un problema: sono banditi per evitare episodi di autolesionismo. E a che punto è il montaggio delle tende pre-triage per gli arrestati prima dell’entrata in cella? “Stiamo interloquendo con la protezione civile che sta montando le tende in tutte le case circondariali. Stanno per arrivare altre forniture di mascherine e tute”. Ci sono stati trasferimenti da carceri del Nord? “No, sono stati tutti bloccati. E per i nuovi ingressi, per gli arrestati, appunto, ci sono le tende del pre-triage”. E prima delle tende, come vi siete attrezzati? “Sono state individuate camere di isolamento. Abbiamo il pre-triage e le camere di isolamento. Non sono un medico, ma reputo che se dovesse entrare una persona che ha i sintomi c’è anche la possibilità di non farlo proprio entrare in carcere e di ospedalizzarlo”. E per gli operatori, quali misure? “Abbiamo fermato tutte le attività, quella scolastica e quella dei volontari, convegni ed eventi. Ci saremmo dovuti occupare del polo universitario da istituire. Sto messaggiando col Rettore, rinvieremo tutto ad aprile”. Giovedì 12 marzo è prevista la riunione dell’Osservatorio regionale per la sanità penitenziaria. Quali saranno le urgenze da affrontare? “Faremo il punto”. Ma l’incubo-rivolta rimane, no? “Sto per diramare una disposizione a tutti i direttori e i comandanti di polizia penitenziaria di fare riunioni con detenuti per una sana comunicazione. Credo che dove non ci sia comunicazione, lì possa scoppiare qualche problema. Ma nella misura in cui si spiega ai detenuti che è per tutela, in una istituzione chiusa dove sarebbe una bomba, non arriveremo alla rivolta. In questo sono cautamente ottimista”. Che fare per il carcere in tempi di coronavirus di Franco Corleone L’Espresso, 9 marzo 2020 Si chiudono le scuole e le università, si annullano iniziative politiche e culturali, si rinvia sine die il referendum sul demagogico “taglio” dei parlamentari e per la sorte delle carceri non si scrive e non si propone nulla, se non qualche balbettio delle circolari dell’Amministrazione penitenziaria. Forse si pensa che i detenuti sono già in quarantena e quindi ci si affida allo stellone d’Italia. Ma il carcere non è chiuso dai muri di cinta. Entrano ogni giorno gli operatori (direttori, polizia penitenziaria, educatori, amministrativi, insegnanti), i volontari, gli avvocati, i magistrati e i familiari per i colloqui; un mondo che merita attenzione. Non vorrei sbagliare ma non mi pare che le Regioni, che hanno la responsabilità del servizio sanitario e il compito di tutelare la salute come diritto fondamentale, abbiano messo in campo un piano efficace di prevenzione. Meno colloqui, più telefonate propone l’amministrazione penitenziaria. Un po’ poco. Si potrebbe almeno cominciare con l’installazione in ogni corridoio di macchinette con gel detergente e poi garantire una visita di primo ingresso per gli arrestati molto approfondita. Per tutti i visitatori si potrebbe prevedere la misurazione della temperatura. Azioni che servirebbero almeno a segnalare la gravità del momento. Questa emergenza nascosta e/o sottovalutata (solo per il carcere) imporrebbe una svolta, una vera discontinuità. Il corpo e lo spazio della pena (titolo di un volume curato da Stefano Anastasia, da chi scrive e da Luca Zevi) dovrebbe diventare il tema di una rivisitazione del modello penitenziario. Una architettura fondata sulla dignità della persona e sulla apertura alla città, abbandonando la prevalenza di una edilizia fatta per contenere e ammassare corpi senza presente e senza futuro. Prendiamo per buono il nuovo metro di misura per i rapporti umani, un metro o un metro e ottanta, come lo si garantisce in una cella con tre, quattro, cinque detenuti? E le norme di igiene con un lavandino accanto alla tazza come possono essere rispettate? Finalmente bisognerebbe sancire che di norma in cella si sta da soli e eccezionalmente in due. E ora? Che si aspetta ad adottare un piano di uscita dal carcere, magari verso misure alternative o verso i domiciliari per tutti coloro che hanno pene sotto i tre anni? In attesa dell’indulto il Presidente Mattarella potrebbe valutare una concessione straordinaria di grazie legate a una vera emergenza umanitaria. Infine il Parlamento potrebbe riprendere alcune misure legate ai diritti costituzionali a cominciare dalla proposta sull’affettività e sessualità in carcere elaborata dalla Conferenza dei garanti regionali e inviata al Senato dal Consiglio Regionale della Toscana. Ultimo punto. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria va radicalmente ripensato e per questo va nominato il vice capo che manca attraverso una discussione pubblica e con criteri di trasparenza che garantiscano una scelta che si ricolleghi al pensiero di Alessandro Margara e di Michele Coiro. Il carcere al tempo del coronavirus di Patrizio Gonnella associazioneantignone.it, 9 marzo 2020 Coniugare la tutela della salute con il rispetto degli altri diritti fondamentali. È questo il compito - non facile - che l’Amministrazione Penitenziaria deve perseguire in questo delicato momento in cui il nostro paese è alle prese con l’epidemia coronavirus. Un contagio in carcere, dove gli spazi sono limitati e c’è una totale promiscuità fra detenuti e personale penitenziario potrebbe trasformarsi in una catastrofe. In questi ultimi giorni abbiamo assistito a provvedimenti di chiusura degli istituti, triage all’ingresso per i nuovi giunti, riduzione o sospensione dei colloqui e dell’ingresso dei volontari. Provvedimenti che se da una parte mirano a salvaguardare la salute dei ristretti, dall’altro possono isolare ancor di più una parte di popolazione che già spesso è fortemente esclusa. Per questo abbiamo chiesto al governo una serie di provvedimenti urgenti: aumentare la possibilità di telefonate a 20 minuti al giorno a fronte degli attuali 10 minuti a settimana, utilizzando anche skype; prevedere misure di detenzione domiciliare e affidamento per chi abbia una pena residua limitata e abbia avuto un percorso penitenziario positivo. È fondamentale infatti diminuire il sovraffollamento penitenziario in questa fase e, per chi rimarrà in carcere, garantire dei contatti costanti con i famigliari. È importante inoltre che i detenuti siano messi a conoscenza di quanto sta accadendo, altrimenti il rischio è che si possano creare disordini come avvenuto ieri nel carcere di Salerno. Per capire cosa sta accadendo, e sollecitati da molti parenti di detenuti che a decine ci hanno chiamato o scritto, abbiamo avviato una mappatura dei provvedimenti assunti carcere per carcere che aggiorneremo costantemente. Per rimanere aggiornati su quanto sta accadendo vi invitiamo a seguirci sul nostro sito e sui nostri canali social. Emergenza coronavirus. Comunicato dell’Associazione Voci di Dentro Onlus Ristretti Orizzonti, 9 marzo 2020 Nelle condizioni in cui si trovano oggi le carceri italiane (scarsità di cure adeguate, sovraffollamento, acqua calda spesso razionata, poca igiene), per evitare epidemie al suo interno anche in considerazione della fragilità della popolazione con il conseguente trasferimento d’urgenza in ospedale di decine di detenuti eventualmente affetti da Coronavirus - aggravando perciò il sistema sanitario nazionale sempre più a corto di posti letto e di sale di rianimazione (dopo i tagli alla sanità di questi ultimi anni) - questi dovrebbero essere i provvedimenti da avviare immediatamente: 1) scarcerazione e invio ai domiciliari di anziani, malati gravi terminali, persone con disfunzioni cardiache o affetti da Aids e epatiti, come del resto dovrebbe essere se davvero si volesse tutelare il diritto alla salute, il rispetto della dignità e l’umanizzazione del trattamento, come è garantito dalla Costituzione, dalla riforma del 1975, dalla legge Gozzini del 1986, dal nuovo regolamento penitenziario del 2000, dalle tante Raccomandazioni del Consiglio d’Europa; 2) indulto per tutti i detenuti con pene inferiori ai tre anni, provvedimento che riguarda ad esempio persone che hanno già scontato 28 anni e ne devono scontare solo due, oppure persone che sono state recentemente incarcerate per un cumulo di pena di uno, due o tre anni e per un fatto magari accaduto dieci anni prima. Per essere precisi: 8.682 le persone che hanno da scontare in carcere ancora un periodo inferiore a un anno, 8.144 con un residuo di pena di due anni e 6.171 persone che devono restare ancora in carcere per un periodo fra i due e i tre anni; 3) scarcerazione di 54 mamme e dei loro 59 bambini attualmente detenuti in 9 istituti, mettendo così in pratica le tante inutile promesse (“mai più bambini in carcere”) che da almeno un decennio hanno fatto tanti ministri, politici, governanti vari, di tutti i partiti, di tutti i colori. Nel frattempo, in carcere, quei 59 bambini la prima parola che hanno imparato a dire non è stata “mamma”, ma “ispettore apri”. 4) blocco dei nuovi ingressi per reati minori, pregressi e cumuli di pena, 5) provvedimenti di detenzione domiciliare, 6) affidamento ai servizi sociali del maggior numero di detenuti. In definitiva un’azione deflattiva che: 1) eviterebbe concretamente un’altra eventuale emergenza oltre a quella che sta già sopportando l’Italia, 2) verrebbe realmente incontro (e non con divieti o palliativi) alle paure che ci sono tra i detenuti e tra i loro familiari, 3) permetterebbe ai detenuti rimasti all’interno degli istituti di avere cure più adeguate e maggiori possibilità di colloqui via skype e via telefono con i loro parenti. Il direttivo dell’Associazione Voci di dentro Chieti, 08/03/2020 Giustizia ferma fino a maggio, avanti solo le udienze urgenti di Michela Allegri Il Messaggero, 9 marzo 2020 Si celebreranno i procedimenti per minorenni e detenuti, sospesi i termini della prescrizione. Udienze rinviate, contatti con il pubblico ridotti il più possibile negli uffici, con l’accesso limitato ad attività urgenti, e lavoro in modalità telematica. Un periodo cuscinetto per entrare a regime e, poi, stretta sulle udienze fino al 31 maggio, in base a quanto verrà deciso dai dirigenti dei tribunali con ordinanze ad hoc. La Giustizia in Italia si ferma, causa coronavirus. Verranno trattati - a porte chiuse - solo i procedimenti urgenti, con minorenni imputati, o con detenuti. Su proposta del presidente del Consiglio dei Ministri e del ministro della Giustizia, è stato firmato il decreto-legge che dispone “misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”. È stato stabilito che ci sarà un periodo di transizione che andrà da oggi fino al 22 marzo. Un lasso di tempo necessario per consentire ai dirigenti di stilare misure specifiche per ogni ufficio. Tranne alcune eccezioni, le udienze civili e penali pendenti in tutti gli uffici giudiziari d’Italia verranno rinviate “a data successiva” e, dunque, non si terranno. C’è un dettaglio importante: verranno sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti rinviati e anche quelli relativi alla prescrizione. Ci sono però alcuni casi particolari che rendono comunque necessaria la celebrazione delle udienze, impossibili da posticipare. Per quanto riguarda il settore civile, si svolgeranno - quando mediante collegamenti da remoto - le cause di competenza del Tribunale per i minorenni che riguardino dichiarazioni di adottabilità, minori stranieri non accompagnati, minori allontanati dalla famiglia, cause di famiglia relative ad alimenti, cause di matrimonio. Si terranno anche i procedimenti cautelari che riguardino “la tutela di diritti fondamentali della persona”, l’adozione di provvedimenti in materia di tutela, di amministrazione di sostegno, di interdizione. La stessa cosa vale per quelli relativi all’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, per quelli di convalida dell’espulsione o allontanamento. La regola è di non rinviare “tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti”, si legge nel testo. Sarà il capo dell’ufficio giudiziario a stabilire l’urgenza dei procedimenti. Il penale - Per quanto riguarda il penale, invece, si terranno regolarmente le udienze di convalida di arresti e fermi, i procedimenti in cui scadano i termini di custodia, quelli in cui siano state richieste o applicate misure di sicurezza detentive. Quando i detenuti, gli imputati o i loro difensori espressamente richiedano che si proceda, inoltre, verranno trattate le udienze a carico di detenuti, quelle relative all’applicazione di misure di prevenzione e quelle a carico di minorenni. Dovranno anche essere trattati i procedimenti in cui sia necessario “assumere prove indifferibili” con incidente probatorio. In questo caso, la dichiarazione di urgenza dovrà essere fatta dal giudice o dal presidente del collegio, su richiesta di parte, con un provvedimento motivato e non impugnabile. I contatti con il pubblico sono ridotti il più possibile: negli uffici attrezzati, gli atti dovranno essere depositati solo in modalità telematiche. Fino alla fine di maggio, inoltre, sono previste restrizioni anche per quanto riguarda i detenuti: potranno partecipare alle udienze in videoconferenza. Mentre i colloqui in carcere con i familiari dovranno essere svolti “a distanza, mediante, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria, o mediante corrispondenza telefonica”. La magistratura di sorveglianza avrà la facoltà di sospendere i permessi premio. Le stesse direttive verranno applicate anche alle commissioni tributarie e alla magistratura militare e contabile. Dimostrare il reato di chi specula sul coronavirus è facile: conta l’ampiezza dei mercati di Guido Camera Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2020 Sfruttare per guadagno l’emergenza sanitaria scatenata dal Coronavirus rischia di avere conseguenze penali. Ad esempio, vendere prodotti di prima necessità, come disinfettanti e mascherine, a prezzi esorbitanti o offrire mascherine protettive prive del marchio CE sono condotte sanzionate dal Codice penale. E i cittadini che si imbattono in situazioni di questo genere possono usare l’arma della denuncia alla Guardia di finanza per fermare gli abusi. Vediamo quali sono quelli penalmente rilevanti e cosa rischia chi li commette. Prezzi eccessivi - Il Codice penale, all’articolo 501-bis, prevede il reato di “manovre speculative su merci”. Lo ha introdotto il decreto legge 704/1976 - dopo la crisi energetica del 1973 - per contrastare manovre speculative dirette alla maggiorazione dei prezzi di alcuni generi alimentari destinati al largo consumo. È procedibile d’ufficio e protegge gli operatori rispettosi delle esigenze economiche e sociali e i diritti dei consumatori. La Cassazione, con una sentenza del 15 maggio 1989 (sezione VI), ha spiegato che basta l’aumento ingiustificato dei prezzi causato da un singolo commerciante, che profitti di particolari contingenze del mercato e, così facendo, determini la possibile influenza sui comportamenti degli altri operatori del settore, che possa tradursi nel concreto pericolo di un rincaro dei prezzi generalizzato, o, comunque, diffuso. La condotta è punibile anche se la manovra speculativa non si riflette sul mercato nazionale, ma soltanto su di un mercato locale, purché riguardi una zona territoriale ampia. I repertori non riportano molte altre decisioni, perché è un reato tipico delle situazioni emergenziali; trovare un giusto punto di equilibrio tra il diritto di iniziativa economica privata e i vincoli di solidarietà sociale previsti dall’articolo 41, comma 2, della Costituzione sarà compito dei processi originati dalle inchieste appena iniziate. La prova del reato - La prova del reato, in una situazione di emergenza come quella attuale, è agevole perché può essere sufficiente dimostrare la messa in vendita di un articolo di prima necessità a prezzi esorbitanti fatta da un singolo commerciante, soprattutto se opera su larga scala. Il comma 2 dell’articolo 501-bis punisce anche chi - in presenza di rarefazione o rincaro sul mercato interno dei beni indicati nel comma precedente e nell’esercizio delle medesime attività - “ne sottrae all’utilizzazione o al consumo rilevanti quantità”. In questo caso, il legislatore ha inteso colpire condotte che possono aggravare le speculazioni sui prezzi. La Cassazione (sezione VI, 2 marzo 1983) ha spiegato che la nozione di “rilevante quantità” può essere colta dal giudice di merito in relazione alla normale presenza sul mercato. Sono reati di pericolo e non è punibile il tentativo. La condanna per l’articolo 501-bis comporta: 1) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, se il fatto è stato commesso in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale; 2) la pubblicazione della sentenza sul sito internet del ministero della Giustizia, nonché nei Comuni dove l’imputato è residente, è stato commesso il delitto e la sentenza è stata pronunciata; 3) l’interdizione dall’esercizio di attività commerciali o industriali per cui sia chiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte dell’autorità. Prodotti senza marchio CE - La frode in commercio (articolo 515 del Codice penale) punisce chi, nell’esercizio di un’attività commerciale, o in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, o una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella pattuita. Il delitto tutela la correttezza e la lealtà degli scambi commerciali, nonché la fiducia che negli stessi devono riporre i consumatori, ed è procedibile di ufficio. La Cassazione ha sancito che “la divergenza qualitativa è data anche dalla contraffazione o assenza del marchio CE, assumendo che la sigla CE è marcatura ed è finalizzata ad attestare la conformità del prodotto a standard minimi di qualità” (sentenza 17686/2019); il delitto scatta anche se l’acquirente non controlla la merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l’atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, sia la possibilità per l’acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta (sentenza 54207/2016). La prova del reato è abbastanza semplice: basta sequestrare il prodotto venduto per compararne le caratteristiche con l’originale. È punita anche la persona giuridica nel cui interesse o vantaggio è stato commesso il reato, in base all’articolo 25-bis1 del decreto legislativo 231/2001; la sanzione è una multa che va da 25.800 a 774.500 euro. Processo penale: omesso esame di una memoria difensiva. Selezione di massime Il Sole 24 Ore, 9 marzo 2020 Atti processuali - Disposizioni generali - Memorie difensive - Omesso esame - Deducibilità in sede di legittimità - Limiti. L’omessa valutazione di una memoria difensiva può essere dedotta in sede di legittimità come vizio di motivazione a condizione che, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso, si rappresenti puntualmente l’efficacia scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronuncia impugnata. • Corte di cassazione, sezione I penale, sentenza 25 febbraio 2020 n. 7420. Atti processuali - Disposizioni generali - Memorie e richieste delle parti - Omessa valutazione di memorie difensive - Deducibilità in sede di legittimità ex art. 325 cod. proc. pen. - Condizioni. L’omesso esame di una memoria difensiva da parte del tribunale del riesame in materia di misure cautelari reali può essere dedotto in sede di ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen. soltanto quando con la memoria sia stato introdotto un tema potenzialmente decisivo e il provvedimento impugnato sia rimasto sul punto del tutto silente. • Corte di cassazione, sezione II penale, sentenza 20 settembre 2019 n. 38834. Atti processuali - Disposizioni generali - Memorie e richieste delle parti - Omessa valutazione di memorie difensive - Deducibilità in sede di legittimità - Condizioni. In tema di ricorso per cassazione, l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una memoria difensiva può essere dedotto in sede di legittimità come vizio di motivazione purché, in virtù del dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, si rappresenti puntualmente la concreta idoneità scardinante dei temi della memoria pretermessa rispetto alla pronunzia avversata, evidenziando il collegamento tra le difese della memoria e gli specifici profili di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa della sentenza impugnata. • Corte di cassazione, sezione V penale, sentenza 29 aprile 2019 n. 17798. Atti processuali - Disposizioni generali - Memorie e richieste delle parti - Omessa valutazione di memorie difensive - Deducibilità in sede di legittimità - Limiti. Qualora le memorie difensive contengano la mera ripetizione di difese già svolte, oppure siano inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio, non può ritenersi che il loro mancato esame invalidi il percorso logico-motivazionale del provvedimento decisorio, poiché altrimenti si costringerebbe il giudice a rispondere a tutti i rilievi avanzati dalle parti, anche se del tutto incongrui o persino formulati con scopi diversivi. • Corte di cassazione, sezione II penale, sentenza 4 aprile 2018 n. 14975. Atti processuali - Disposizioni generali - Memorie e richieste delle parti - Omessa valutazione di memorie difensive - Nullità - Esclusione. L’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive in quanto devono essere attentamente considerate dal giudice cui vengono rivolte. • Corte di cassazione, sezione III penale, sentenza 2 febbraio 2018 n. 5075. Modena. Violenta rivolta nel carcere, morti sei detenuti di Marcello Radighieri La Repubblica, 9 marzo 2020 Danni ingenti alla struttura. Sono sei i detenuti deceduti nel carcere di Modena: lo si apprende da fonti della Questura modenese. Tre decessi in più rispetto a quanto comunicato precedentemente dall’amministrazione penitenziaria, secondo cui allo stato non è risultato alcun segno di lesione sui tre corpi. Due decessi, infatti, sarebbero riconducibili all’uso di stupefacenti, mentre il terzo detenuto è stato rinvenuto in stato cianotico, di cui sono si conoscono le cause. Sono molto importanti i danni nel carcere di Modena. Al momento è in corso la bonifica dei locali e il trasferimento di gran parte dei detenuti in altre strutture. Le tre morti non sarebbero direttamente riconducibili alla rivolta nel carcere, precisano le fonti, anche se gli accertamenti sono appena cominciati e sono tuttora in corso. Anche per quanto riguarda le cause dei tre decessi, le verifiche sono in fase preliminare ed avrebbero evidenziato che uno dei tre è morto per abuso di sostanze oppioidi, l’altro di benzodiazepine, mentre il terzo è stato rinvenuto cianotico, ma non si conosce il motivo di questo stato. Il coronavirus accende la tensione nelle carceri italiane. Una rivolta, definita “molto violenta”, è scoppiata nel primo pomeriggio di domenica in carcere a Modena. Il personale del carcere, una ventina di persone, fra poliziotti e sanitari, è stato fatto uscire. Nelle fasi più concitate due agenti sono rimasti lievemente feriti. Alcuni detenuti si sono barricati dietro la portineria. Sul posto anche il prefetto di Modena Pierluigi Faloni. Non risultano evasioni. A Modena sono stati trasferiti 70/80 detenuti in altre carceri, ovvero quelli che erano riusciti a raggiungere il cortile, per tentare di evadere. Gli altri sono ancora barricati dentro. Lo riferiscono i responsabili del sindacato Sappe, dopo la rivolta scoppiata nel pomeriggio per l’emergenza Coronavirus. L’allarme era stato lanciato anche da l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) attraverso il suo segretario generale Leo Beneduci. “A seguito delle modifiche introdotte dal governo rispetto alle modalità di colloquio nelle carceri tra detenuti e familiari a causa dell’infezione da coronavirus, sono in corso proteste dei detenuti negli istituti penitenziari di Napoli Poggioreale, Modena, Frosinone, Alessandria San Michele; battiture delle inferriate sono inoltre in atto da parte dei detenuti di Foggia e Vercelli. Mentre domenica mattina un centinaio di persone hanno richiesto di effettuare i colloqui presso la Casa Circondariale di Napoli Secondigliano stazionando per alcune ore”. Sono stati invece circa 150 i detenuti coinvolti nella sommossa scoppiata nella serata di domenica nel carcere di Reggio Emilia, protesta legata alle limitazioni dovute alla diffusione del coronavirus. Tre le sezioni coinvolte e danneggiate, con incendi di materassi, lancio di oggetti alla polizia penitenziaria, rottura degli arredi. Per riportare la calma sono intervenuti anche i carabinieri, la polizia e i vigili del fuoco. Il penitenziario non risulta inagibile. Dalle prime informazioni, a Modena sarebbero significativi i danni alla struttura. Per sedare la rivolta - riferisce Aldo Di Giacomo, segretario del Sap, il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria - sono stati chiamati anche gli agenti liberi dal servizio. “Decine di detenuti sono saliti sui muri, e in alcuni casi bruciando materassi, chiedendo provvedimenti contro il rischio dei contagi dal coronavirus all’interno della struttura. Tensioni simili si sarebbero verificare anche negli istituti di detenzione di altre città”. Napoli. A Poggioreale esplode la rivolta dei detenuti di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 9 marzo 2020 Divieto di colloqui fino al 22 marzo. L’ammutinamento in 4 padiglioni ha dato il via: reclusi per ore sui tetti. Solo in serata il rientro nelle celle. Improvvisa - ma non inattesa - la rabbia dei detenuti di Poggioreale esplode alle tre del pomeriggio. A ventiquattr’ore dal caso del carcere salernitano di Fuorni, l’onda lunga della protesta arriva nel carcere più sovraffollato d’Italia: a Poggioreale sono attualmente recluse 2.200 persone. Una bomba ad orologeria, specie nel momento in cui il terrore del contagio da Coronavirus si rafforza. In momenti come quello attuale il contagio più pericoloso resta quello generato dalle psicosi. E dalle voci incontrollate. Non c’è dubbio che quanto accaduto ieri a Poggioreale (come in molte altre carceri italiane) sia frutto di un disegno probabilmente preordinato. Ma a scatenare la furia di oltre 600 detenuti che a Napoli dopo il periodo di “socializzazione” si sono rifiutati di tornare nelle celle e si sono dati a devastazioni e minacce c’è anche dell’altro: tre giorni fa un recluso ha avvertito un malore, è stato immediatamente trasferito al Cardarelli, dove poche ore dopo è morto. La voce si è diffusa con un tam tam immediato di padiglione in padiglione, e ieri è arrivato lo sbocco di rabbia con relativa clamorosa protesta, sedata solo grazie ad una carica della Penitenziaria, quando i riottosi erano ad un passo dagli uffici amministrativi. Inutile dire che al recluso deceduto era stato fatto il tampone, risultato negativo. Questo non ha rassicurato tuttavia gli altri detenuti, e così circa 600 di loro - tutti provenienti dai padiglioni “Napoli”, “Salerno”, “Livorno” e “Milano” - hanno iniziato a devastare sale, bruciare materassi e lenzuola; una quarantina è riuscita a raggiungere il tetto del carcere, mentre la casa circondariale veniva cinturata dal personale della Polizia penitenziaria, oltre che da un robusto rinforzo di poliziotti e carabinieri. A rendere ancor più incandescente la situazione è stato l’arrivo di oltre un centinaio di familiari dei detenuti, soprattutto donne con bambini al seguito. Gridavano: “Indulto! Indulto!”. Sul posto, accanto ai vertici del carcere e della direzione regionale dell’amministrazione penitenziaria, sono giunti anche il procuratore Giovanni Melillo, il coordinatore del Gruppo carceri, Nunzio Fragliasso, il questore Alessandro Giuliano e il comandante provinciale dei carabinieri Giuseppe La Gala. La tensione è durata per oltre tre ore. Poi la protesta è rientrata. Tutti i rivoltosi hanno così fatto rientro nelle rispettive celle. Il bilancio degli scontri è di quattro agenti della Polizia Penitenziaria ed un detenuto contusi. Intorno alle 18 una delegazione di reclusi è stata anche ricevuta dal direttore Carlo Berdini, al quale è stata reiterata una serie di richieste. In nottata sono scattati numerosi trasferimenti di detenuti verso altre destinazioni. Ora le posizioni di chi si è reso responsabile della sommossa sono al vaglio della magistratura inquirente. Ma c’è anche un’altra denuncia da registrare, e a rendersene portavoce per conto degli oltre 2200 detenuti costretti a vivere nell’inferno-Poggioreale è il Garante dei detenuti Samuele Ciambriello: “Nell’incontro - spiega - sono state fatte presenti le condizioni di fortissimo disagio vissute da chi è costretto a convivere in celle di pochi metri quadri anche in 12 persone. Una situazione oggi ancor più drammatica e insostenibile. Ho chiesto al presidente del Tribunale di Sorveglianza di iniziare a decongestionare Secondigliano, dove si potrebbe consentire a 170 detenuti in semilibertà di rientrare la sera, vista l’eccezionalità del momento, nelle proprie abitazioni”. A far sentire la propria voce, sottolineando la grande professionalità della Polizia Penitenziaria, sono intervenuti i sindacati Sappe, Uspp e Sinappe. Palermo. Tensione al carcere Pagliarelli, incendi nelle celle di 300 detenuti di Romina Marceca La Repubblica, 9 marzo 2020 Protesta di 300 detenuti nel carcere Pagliarelli di Palermo per la sospensione dei colloqui nell’area dove si trovano i carcerati di media sicurezza: una misura, questa, contenuta nel decreto emanato dal governo per l’emergenza coronavirus. “Sono anche preoccupati di eventuali casi di contagio all’interno del penitenziario”, dice la direttrice del Pagliarelli, Francesca Vazzana. I detenuti hanno incendiato cuscini, carta e pezzi di stoffa e poi hanno lanciato tutto attraverso le grate delle celle verso l’esterno. La protesta è scoppiata in circa 150 camere detentive ed è ancora in corso. Non ci sono feriti. Oltre a bruciare cartacce e stoffa, i detenuti hanno anche battuto sulle grate. La direttrice del Pagliarelli sta cercando di riportare la calma dentro al penitenziario. “Stiamo dialogando con i detenuti per fare capire che è una emergenza quella che stiamo vivendo e che stiamo applicando la legge”, dice a Repubblica Francesca Vazzana. Alcuni detenuti, durante la protesta, hanno espresso la volontà di cominciare uno sciopero della fame e della sete, a partire da domani. Il traffico in viale Regione siciliana, la circonvallazione di Palermo, è andato in tilt. Molti gli automobilisti che si sono fermati all’altezza del carcere di Pagliarelli, attirati dalle fiamme che uscivano dalle celle. In strada, dove è arrivata la protesta, è stato il caos. Alcune pattuglie della polizia penitenziaria hanno chiuso un tratto di viale Regione siciliana. Il traffico è andato in tilt. I parenti di alcuni detenuti sono arrivati davanti al penitenziario e hanno chiesto, intonando alcuni cori, che i familiari venissero rimessi libertà per evitare il contagio in carcere. Palermo. I parenti dei detenuti bloccano viale Regione con cassonetti e pali di Rosaura Bonfardino palermotoday.it, 9 marzo 2020 Coronavirus, folle notte in viale Regione: parenti dei detenuti bloccano strada con cassonetti e pali. Dentro il Pagliarelli i carcerati hanno battuto oggetti di metallo e bruciato pezzi di stoffa e cuscini contro le misure previste dal Dpcm anti-coronavirus, fuori i familiari hanno ostruito il traffico in circonvallazione: “Qui non passa nessuno”. Stoviglie sbattute contro le grate in ferro delle finestre sbarrate, grida, fischi. Anche al carcere Pagliarelli ieri sera è andata in scena la protesta dei detenuti che sono preoccupati per il Coronavirus. Come accaduto in altre carceri anche a Palermo c’è la rivolta dei carcerati. Al momento la situazione è sotto controllo. Qualche automobilista ha ripreso con il cellulare la scena della protesta. La rivolta è proseguita all’esterno del carcere: ad animarla sono stata i parenti dei detenuti che a lungo hanno bloccato viale Regione Siciliana (il Pagliarelli si affaccia infatti sulla circonvallazione). I detenuti - e i loro familiari - protestano contro le limitazioni imposte nell’ambito delle misure di contenimento del Coronavirus adottate a livello nazionale. La protesta è iniziata ieri sera intorno alle ore 21, con degli incendi appiccati all’interno delle celle, accompagnati dalle urla dei detenuti e di gruppi di familiari che si sono radunati di fronte alla struttura. Sul posto sono intervenute pattuglie di polizia e carabinieri. Altre proteste dello stesso tenore, per le stesse motivazioni, si sono registrate nel fine settimana nelle strutture detentive di Salerno, Napoli e Frosinone, Vercelli, Alessandria, Brindisi, Bari, Foggia e Poggioreale. L’episodio più grave è accaduto a Modena, dove un detenuto ha perso la vita. A Pavia due agenti sono stati tenuti sotto sequestro. Le rivolte sono scaturite in particolare dalla sospensione dei colloqui per scongiurare il rischio di contagi all’interno dei penitenziari. In alternativa si è pensato al ricorso alle videochiamate. Pavia. Rivolta nel carcere, agenti sequestrati, fiamme e detenuti sui tetti di Cesare Giuzzi ed Eleonora Lanzetti Corriere della Sera, 9 marzo 2020 Prima hanno sequestrato due agenti di custodia del penitenziario, poi nella tarda serata sono saliti sul tetto e hanno dato fuoco a parte della struttura. Prima hanno sequestrato due agenti di custodia del penitenziario, poi nella tarda serata sono saliti sul tetto e hanno dato fuoco a parte della struttura. Rivolta nel carcere di Torre del Gallo a Pavia dove una cinquantina di detenuti stanno protestando da ore dopo i fatti avvenuti a Modena e nelle altre carceri di Italia. Ad innescare i disordini è stata la protesta di alcuni familiari dei reclusi che si sono presentati intorno alle 20 davanti ai cancelli del penitenziario lamentandosi contro il blocco dei colloqui imposto dall’emergenza coronavirus. A quel punto alcuni detenuti avrebbero dato fuoco ai materassi delle celle, poi avrebbero rubato le chiavi di alcune celle riuscendo a liberare altri detenuti. Le fiamme dalle finestre, ben visibili dalla tangenziale, sono state domate dai vigili del fuoco di Pavia. A quel punto la folla di parenti in protesta è stata contenuta da polizia e carabinieri. Ma all’interno della struttura i reclusi hanno preso in ostaggio due agenti di custodia. Il sequestro sarebbe durato oltre un’ora. Gli agenti sono stati poi liberati. Uno dei due è stato trasportato in ospedale da un’ambulanza: sembra sia stato ferito dal lancio di un estintore. A Pavia sono arrivati nel frattempo i rinforzi della polizia penitenziaria, del terzo reparto mobile e del battaglione carabinieri di Milano. Intorno alle 23 la situazione sembrava rientrata, ma a mezzanotte i detenuti sono saliti sul tetto del penitenziario e hanno acceso diversi fuochi. Le forze di polizia stanno mediando con i detenuti, ma nell’area continuano ad arrivare rinforzi. Intanto i parenti all’esterno, in buona parte famiglie di nomadi italiani, continuano la loro protesta sostenendo che all’interno del carcere ci sarebbero “casi di positività al coronavirus” e che le condizioni di vita dei detenuti sono “disumane”. Nel pomeriggio, nel super carcere di Opera a Milano, c’era stata un’altra protesta dei detenuti. Danni ad alcune celle ma la situazione era rientrata dopo alcuni minuti. Da tempo i sindacati della polizia penitenziaria denunciano al carcere di Pavia una situazione potenzialmente esplosiva, con carenze di personale e sovraffollamento di detenuti. Ma mai si era arrivati a una rivolta di queste proporzioni. Genova. Covid-19: chiuse le visite, forte e rumorosa protesta dei detenuti a Marassi genovaquotidiana.com, 9 marzo 2020 Come già in quelli di Napoli-Poggioreale, Padova, Milano Salerno, Foggia, Bari, dove in alcuni casi sono stati appiccati incendi e le case circondariali sono state devastate, anche alle Case Rosse di Marassi è cominciata la protesta contro la decisione del Governo di bloccare i colloqui. In un primo tempo era stato limitato il numero dei parenti in visita, imponendo l’uso di presidi di prevenzione come le mascherine. Con nuovo decreto le visite sono state bloccate. A Genova, per adesso, i detenuti si limitano a una feroce battitura delle inferriate mentre altrove è scoppiata la rivolta. “Sono 750 i detenuti a Marassi - spiega Michele Lorenzo, segretario nazionale per la Liguria del Sappe, sindacato di Polizia penitenziaria. Il virus, se arrivasse nella casa circondariale, non si potrebbe contenere: i detenuti sono anche in sei in una cella e sarebbe impossibile applicare le misure sanitarie di sicurezza, come la distanza di un metro tra le persone o il divieto di contatto fisico. Per questo è fondamentale evitare che il virus entri perché in capo a poco tempo colpirebbe tutti. Quello di Marassi è uno dei dieci più problematici in Italia anche proprio per l’affollamento”. “Per fare fronte a quanto sta accadendo e arginare le proteste - continua il segretario Sappe. servono personale e dotazioni anti incendio. Le dotazioni anti sommossa le abbiamo già ed è il momento di usarle. Lo Stato non si può piegare. Anche i cittadini in stato di libertà sono stati assoggettati a regole per contenere il contagio. Lo è il personale di polizia penitenziaria che per entrare in carcere deve essere sottoposto a controlli sanitari, come il controllo della temperatura. Questo per l’incolumità dei detenuti. Lo Stato deve dimostrare tenacia e fermezza e non permettere che si apra una falla nella tutela della salute del detenuto”. Frosinone. Detenuti in rivolta, nel carcere situazione incandescente di Angela Nicoletti frosinonetoday.it, 9 marzo 2020 Le prime notizie trapelate parlano di incendi all’interno delle celle e di agenti di polizia penitenziaria bloccati. La protesta scaturita dall’annullamento dei colloqui settimanali dopo l’allerta Coronavirus. Detenuti in rivolta nel carcere di Frosinone. Dalle 13 di oggi nel penitenziario di via Cerreto è scoppiato il caos. Dalle prime informazioni trapelate sembrerebbe che siano in atto incendi all’interno delle celle e degli agenti della Polizia Penitenziaria siano stato bloccati. La direzione del carcere ha richiamato il personale a riposo o in ferie. La situazione viene seguita in prima persona dal questore di Frosinone Leonardo Biagioli, in costante collegamento con la Prefettura, dal capo della Squadra Mobile, il vice questore Flavio Genovesi, dal tenente colonnello, Andrea Gavazzi vice comandante provinciale dei Carabinieri e dal maggiore Andrea Petrarca, comandante Reparto Operativo Provinciale. La protesta sarebbe scoppiata dopo la decisione di annullare, a causa dell’emergenza Coronavirus, i colloqui settimanali con i familiari. La nota sindacale - Il Segretario Generale Aggiunto Cisl Fns, Massimo Costantino, spiega la situazione all’interno del carcere di Frosinone. “Apprendiamo dì criticità che si stanno svolgendo all’interno dell’istituto penitenziario di Frosinone-spiega Costantino -. Apprendiamo di rinforzi provenienti dagli altri istituti della regione - rinforzi provenienti anche dal personale in servizio presso tale sede ma fatti rientrare dalle ferie o riposi. Sul posto sono accorsi anche personale delle altre forze di polizia con l’ausilio di un elicottero che sorvola l’istituto che è noto per la cronica carenza di personale di polizia penitenziaria e per il sovraffollamento dei detenuti - ultimo dato del 29/02/2020, era di più 94 detenuti -. Come sempre la professionalità del personale di polizia Penitenziaria riuscirà a garantire la sicurezza di tale sede. Al momento sono sconosciti i motivi della protesta - pare per il limite dei colloqui con i familiari - dovuti alla situazione in ambito nazionale dovuti per contenere il contagio per il coronavirus”. Ieri a Cassino - Nel carcere di San Domenico ieri sera, invece, i detenuti si sono limitati a battere per ore oggetti metallici contro le sbarre delle finestre. Poi la situazione è rientrata. Brindisi. Colloqui con i familiari sospesi, protesta nel carcere brindisireport.it, 9 marzo 2020 Rivolte in tutta Italia contro le limitazioni per il contenimento del coronavirus. I detenuti del carcere di Brindisi protestano contro le limitazioni imposte nell’ambito delle misure di contenimento del coronavirus adottate a livello nazionale. La protesta è iniziata intorno alle ore 23 di domenica (8 dicembre), con degli incendi appiccati all’interno delle celle, accompagnati dalle urla dei detenuti e di un gruppo di familiari che si sono radunati nelle vie limitrofe. Sul posto sono intervenute pattuglie di polizia, carabinieri e guardia di finanza”. Altre proteste dello stesso tenore, per la medesima motivazione, si sono registrate nel fine settimana nelle strutture detentive di Salerno, Napoli e Frosinone, Vercelli, Alessandria, Palermo, Bari, Foggia e Napoli Poggioreale. L’episodio più grave è accaduto a Modena, dove un detenuto ha perso la vita. A Pavia due agenti sono stati tenuti sotto sequestro. Le rivolte sono scaturite in particolare dalla sospensione dei colloqui disposta dall’amministrazione, per scongiurare il rischio di contagi all’interno dei penitenziari. In alternativa si è pensato al ricorso alle videochiamate. Cremona. Rivolta nel carcere, un centinaio di detenuti protestano incendiando materassi Cremona Oggi, 9 marzo 2020 Rivolta nel carcere di Cremona. Nella serata di domenica un centinaio di detenuti hanno iniziato una agitazione all’interno della casa circondariale, con azioni dimostrative, come dare fuoco a varie suppellettili presenti nel carcere stesso, oltre ai materassi. Secondo le prime informazioni circolate sono coinvolte tre sezioni. Si tratterebbe dell’ennesima protesta che sta interessando gli istituti penitenziari di tutta Italia a causa dell’epidemia di Coronavirus. Sul posto, ad affiancare gli uomini della Polizia Penitenziaria, sono intervenuti una quarantina di carabinieri in tenuta antisommossa e i Vigili del Fuoco. La situazione per il momento è sotto controllo. Reggio Emilia. Coronavirus: rivolta nel carcere, due sezioni distrutte reggionline.com, 9 marzo 2020 Fino a notte fonda nella casa circondariale di via Settembrini è scoppiata la violenza dei detenuti. Necessario l’intervento di rinforzi dall’esterno e dei vigili del fuoco. Nel pomeriggio e in serata ci sono stati disordini anche in carcere a Reggio Emilia. Una rivolta che ha reso necessario anche l’intervento di rinforzi dall’esterno e dei vigili del fuoco. Al centro della protesta la gestione dell’emergenza coronavirus. Tre i reparti danneggiati seriamente, oltre all’infermeria. Due sezioni sono state distrutte. Anche il questore è arrivato sul posto. La situazione è tornata alla normalità solo intorno all’1,30 di notte. Il magistrato di sorveglianza ha incontrato una delegazione di detenuti. Bari. Carcere in rivolta contro lo stop per le visite dei familiari Gazzetta del Mezzogiorno, 9 marzo 2020 I detenuti si sono ribellati alle disposizioni che fermano le visite dall’esterno. Disordini in corso al carcere di Bari dove sono intervenute le forze dell’ordine per sedare la rabbia dei detenuti. Il motivo della protesta, è la sospensione dei colloqui “a vista” con i familiari introdotta con il decreto anti-contagio varato dal governo per fare pronte al diffondersi del coronavirus. Al momento medesimi disagi si sono registrati nelle carceri di Foggia. I detenuti baresi, come mostrano le immagini, protestano con urla dalle celle. Mentre nelle strutture penitenziaria di altre città la rivolta è avvenuta durante l’ora d’aria, qui ci sono una trentina di persone che all’esterno del carcere si lanciano messaggi a distanza con i detenuti che sono aggrappati alle celle, urlando: “libertà e vergogna”. A tratti i manifestanti hanno anche bloccato la strada. “Liberi, liberi, amnistia” urlano dalle celle in risposta ai familiari per strada battendo oggetti contro le grate e lanciando dalle finestre fazzoletti dati alle fiamme. Fuori dalle mura del carcere, sono intervenuti agenti della Questura di Bari. La situazione sembra, al momento, sotto controllo. Velletri. Detenuti in protesta per le restrizioni ai colloqui coi familiari castellinotizie.it, 9 marzo 2020 Nella serata di domenica 8 marzo i detenuti di alcune sezioni del vecchio reparto del carcere di Velletri, hanno protestato battendo le inferiate e lanciando vari cibi in mezzo al corridoio, compreso della carta incendiata. A denunciare il fatto è il Segretario Generale del Si.P.PE. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Carmine Olanda, e Alessandro De Pasquale presidente del sindacato, che da sempre monitorano e denunciano le problematiche degli Istituti Penitenziari. “La protesta messa in atto - commenta Olanda - sembrerebbe essere scaturita da alcune notizie che i detenuti hanno appreso dai Tg su un provvedimento che dovrebbe sospendere i colloqui con i propri famigliari. Durante la protesta dei detenuti è intervenuto il Direttore ed il Comandante del carcere che hanno cercato il dialogo con i detenuti per spiegare che il provvedimento che avevano appreso era sospeso in attesa di in nuovo provvedimento meno restrittivo. La protesta si è conclusa verso le 22:30 senza danni alle persone. Da un’attenta lettura - conclude De Pasquale - del comunicato stampa del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dopo alcune gravi proteste di alcuni Penitenziari, come Frosinone, Modena, Poggioreale, Bari, si sembra percepire il seguente messaggio: “Fratelli, la messa è finita, andate in pace”. Da non credere! Le definisce “manifestazioni”. Hanno distrutto le carceri. Bonafede, invece, riferisca in parlamento sullo stato della sicurezza delle carceri italiane”. Questo tentativo di minimizzare un fatto grave preoccupa la Polizia penitenziaria e i cittadini che dal Governo si aspettano sicurezza. “Basta! - replica Olanda - è giunta l’ora che il Ministro della Giustizia ci dica quali compiti deve avere la Polizia Penitenziari all’interno degli Istituti, se deve indossare un camice bianco oppure una divisa. Ci vuole una riforma della giustizia che permette di entrare in carcere solo per condanna definitiva - escluso i reati gravi - dando al giudicabile gli obblighi di dimora limitandolo nel suo territorio in attesa di condanna definitiva. Così facendo si risparmierebbero 130.00 euro al giorno a detenuto, oltre al sovraffollamento. Ci aspettiamo fatti, non semplici sorrisini e promesse mai mantenute”. Foggia. Tensione ai massimi livelli nel carcere, sui detenuti gli effetti del coronavirus immediato.net, 9 marzo 2020 Il motivo della protesta sarebbe correlato alla sospensione dei colloqui “a vista” con i familiari. Nervi tesi nei penitenziari italiani per le restrizioni dovute all’emergenza da coronavirus. Il motivo della protesta sarebbe correlato alla sospensione dei colloqui “a vista” con i familiari introdotta con il decreto anti-contagio varato dal governo per fare fronte al diffondersi del Covid-19. In una nota dell’Unione Sindacati di Polizia Penitenziaria Puglia e Basilicata, il segretario Messina, “fa sapere di apprendere il susseguirsi di notizie, su situazioni implosive nelle carceri del distretto, tipo Foggia dove la tensione è ai massimi livelli e a Bari dove sembra che ci sia addirittura una rivolta in atto, invece in altre strutture la situazione è tesa. Comunque - prosegue Messina - vi è la massima allerta ma anche molta preoccupazione”. “L’angoscia è tanta, da tempo come sindacato denunciamo l’assenza totale del ministro della Giustizia - anche in questo momento difficilissimo, come quello attuale, dove le rivolte si stanno propagando a macchia d’olio - che non si è degnato di una dichiarazione. Siamo certi - conclude - che riusciremo a superare anche questa grave crisi, ma ne usciremo sempre più provati, con la consapevolezza che noi difendiamo lo Stato a denti stretti, senza che lo Stato spende una parola a nostro sostegno”. Avellino. Protesta dei detenuti del carcere di Ariano per la sospensione dei colloqui di Monica De Benedetto primativvu.it, 9 marzo 2020 Protesta dei detenuti anche nella Casa Circondariale di Ariano Irpino dopo le sommosse avvenute in diverse carceri italiane come a Poggioreale, Bari, Pavia, Modena, Salerno. Hanno iniziato questa sera dopo le 20 con la battitura delle inferriate e lancio di oggetti dalle finestre, un gran baccano che ha impressionato e spaventato i residenti di via Grignano. Ma gli Agenti di Polizia Penitenziaria hanno subito sedato la piccola rivolta e riportato la calma evitando che la cosa degenerasse. Alla base del forte malcontento dei detenuti, anche in questo caso, la sospensione, da domani mattina, dei colloqui con i familiari a seguito del provvedimento del Governo per scongiurare e ridurre il rischio del contagio da Coronavirus Covid19. Padova. Protesta in carcere, i detenuti danno fuoco agli indumenti Il Gazzettino, 9 marzo 2020 Pegoraro: “Tensioni per il decreto sul Covid”. Incendio nel carcere di Padova. A scatenarlo alcuni detenuti del penale. Avrebbero dato fuoco a degli indumenti utilizzando alcune bombolette di gas. L’allarme è scattato ieri dopo poco le 20. Sono stati chiamati dagli agenti della polizia penitenziaria i vigili del fuoco. Ma quando i pompieri sono giunti al Due Palazzi il rogo era già stato domato. A scatenare la protesta le nuove regole per i colloqui relativi all’emergenza Coronavirus. Tensioni e proteste si sono susseguite già in diversi istituti penitenziari italiani dopo le modifiche introdotte dal Governo rispetto alle modalità di colloquio tra detenuti e familiari a causa dell’infezione da Covid 19. Afferma Gianpietro Pegoraro, coordinatore regionale Funzione pubblica Cgil penitenziari: “Si tratta di una protesta che riguarda la chiusura dei colloqui con il nuovo provvedimento governativo. Ma stanno anche tentando di chiedere la possibilità di un’amnistia, perché i detenuti sono in netto aumento all’interno del carcere”. Attualmente al penale si trovano 700 persone. Ieri sera qualcuno ha preso le bombolette di gas in uso ai detenuti per la cucina. E ha dato fuoco alla biancheria. Sono subito accorsi gli agenti di polizia penitenziaria che hanno spento il rogo. Così al loro arrivo i vigili del fuoco non sono neppure entrati al penale, si sono fermati a scopo cautelativo nel cortile dell’istituto. Poco dopo le 22 sono rientrati in caserma. Padova. Triage in tenda per entrare in carcere, bloccate le visite di familiari e volontari di Luca Preziusi Il Mattino di Padova, 9 marzo 2020 La popolazione carceraria sa bene cosa significhi vivere in una “zona rossa”. Oggi che il paese è sotto attacco di un virus per molti aspetti ancora oscuro, paradossalmente proprio il penitenziario è considerato un posto sicuro. Sicuro però non vuol dire accogliente. Il Covid19 ha più difficoltà a trovare la via d’accesso, ma con lutti i ponti levatoi chiusi i detenuti hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita. Al carcere Due Palazzi di Padova ieri è stato montato il tendone della Protezione Civile, dove da oggi verrà svolto un triage a chiunque acceda alla struttura dall’esterno. Da settimane però sono vietate le visite dei familiari e sospese le attività con i volontari (a cui è proibito l’ingresso). Praticamente gli unici contatti con l’esterno per i reclusi. “Per i detenuti è una situazione molto difficile, ma la stanno vivendo in maniera molto responsabile” racconta Carlo Mazzeo, direttore del Due Palazzi “perché l’idea che fino al 31 marzo non possano avere colloqui con i propri familiari ovviamente li avvilisce. Però sono loro i primi ad essere d’accordo con questo provvedimento, perché temono che il virus possa entrare in carcere. E poi vogliono tutelare le famiglie stesse, che spesso per venirli a trovare partono non proprio da dietro l’angolo”. Per ovviare alla privazione degli affetti, il direttore Mazzeo ha deciso di triplicare le telefonate concesse ai detenuti, che da 4 al mese sono passate a 12. A molti di loro è concessa anche la possibilità di collegarsi via Skype con i propri amici e parenti e di ricevere delle mail attraverso l’associazione Granello di Senape. Sicuramente non basta, perché il tempo passa lentamente, la sensazione di segregazione si moltiplica rispetto a quella che già esiste in tempi di pace, e l’odore dell’abbandono rischia di trasformarsi in dramma per chi vive in una cella. E se fuori sentiamo tutti addosso 1 oppressione di non essere più liberi, figuriamoci dentro il Due Palazzi. “Incontro spesso i rappresentanti dei detenuti, e pur leggendo nei loro occhi la paura e la tensione, non c’è allarme ma grande senso di responsabilità” sostiene il direttore del carcere “tant’è che prima dell’ultimo decreto io non avevo sospeso i colloqui, ma sono venuti loro stessi poi a chiedermi precauzioni. La stanno vivendo in maniera pesante e noi cerchiamo magari di aumentare un po’ le attività sportive per permettere loro di stare un po’ di più all’aria aperta. Nei prossimi giorni cercheremo il modo di riprendere qualche attività con i volontari, rispettando ovviamente tutte le norme”. Al Due Palazzi esiste, per esempio, anche l’associazione Pallalpiede, grazie alla quale è stata messa in piedi una squadra di calcio di detenuti che partecipa al campionato di terza categoria. Sospesa però anche quell’attività. Poi esiste la questione sanitaria. I nuovi decreti governativi impongono di tenere la distanza da un metro l’uno dall’altro, che diventa complicato in una struttura che dovrebbe ospitare 400 detenuti, e invece come la maggior parte dei penitenziari italiani ne accoglie molti di più. “Rispettano il più possibile le norme igieniche e quelle consigliate, ma alla fine sono più protetti loro che noi all’esterno. Non c’è stato nessun contagio e speriamo non arrivi mai perché sarebbe complicato gestirlo, ma grazie ai nostri medici stiamo garantendo il rispetto di tutte le prassi per evitarlo” assicura Mazzeo. Anche in carcere quindi bisogna andare avanti. I soggetti sono più deboli però, e l’idea di non avere più la possibilità di portare dentro quel poco che si può, gli affetti, le relazioni e un po’ di fiducia, li sta devastando più di quanto non stai facendo fuori il maledetto Covid19. Walter Veltroni alle radici dell’odio di oggi: un’eccezionale presunzione di Pierluigi Battista Corriere della Sera, 9 marzo 2020 Il pamphlet “Odiare l’odio”, in uscita il 10 marzo per Rizzoli, esplora le cause di un sentimento diffuso che mina la democrazia: ciascuno di noi crede di essere “tutto”. Walter Veltroni alle radici dell’odio di oggi: un’eccezionale presunzione. Scrivendo il suo pamphlet “Odiare l’odio” (in libreria da martedì 10 marzo con Rizzoli), Walter Veltroni ha corso due rischi. Il primo è l’esortazione predicatoria, destinata peraltro alla frustrazione: moderate i toni, non picchiatevi a sangue, siate meno aggressivi, e così via. Il secondo è l’inganno della nostalgia: che tempi orribili questi dell’odio; ai nostri tempi, invece, come eravamo più bravi e gentili. Rischi ampiamente evitati. La nostalgia, in queste pagine, per fortuna non esiste, e soprattutto non esiste neanche la minimizzazione, tipica del rimpianto nostalgico, delle atrocità del passato, di tutte le atrocità dettate dall’odio, senza distinzioni e giustificazioni. E senza sussiego predicatorio Veltroni, in un libro che stilisticamente del pamphlet riuscito ha il ritmo e l’incisività, vuole soprattutto capire perché in questi anni stiamo vivendo una stagione di odio così veemente. Ne vuole comprendere le ragioni profonde, e raccontare anche che cosa può succedere se l’odio generalizzato, aspro, inarginabile, dovesse malauguratamente averla vinta. L’odio di cui scrive Veltroni “è una forma di eccezionale presunzione, che fa sì che noi, il nostro modo di pensare, il colore della nostra pelle, la nostra cultura o la nostra religione siano considerati l’unica forma legittima di esistenza. Non accettiamo di essere parte. Incoscienti e presuntuosi, pensiamo di essere il tutto”. Ecco, questa “eccezionale presunzione” oggi è in netta crescita, l’unica crescita certa, purtroppo, in un’epoca di decrescita infelice. Ma non dobbiamo solo denunciare un male, dobbiamo capire perché l’odio cresce nelle società dell’Occidente e perché ci sono tanta paura, tanta sfiducia, tanto disincanto, tanto rancore in un mondo dove dilaga la solitudine sociale e, insieme, la fine della speranza che le cose possano cambiare in meglio: incrollabile speranza che dopo la Seconda guerra mondiale ha diffuso nelle nostre società oggi depresse e infelici il più alto livello di benessere e, per un numero incalcolabile di persone, mai conosciuto nella storia. È la solitudine di massa che nutre le nostre paure, che a loro volta alimentano un odio sempre più invasivo e prepotente. Il frutto avvelenato di un decennio e oltre in cui sono diminuiti i consumi delle famiglie, si sono assottigliate e in alcune cose sono scomparse le reti della protezione sociale, si è spezzato l’ascensore sociale che permetteva alle famiglie di immaginare un futuro più prospero per i propri figli, in cui la popolazione continua a invecchiare e non si fanno più figli, mentre si dilata a dismisura quello che Veltroni, citando il Censis, chiama “il dato del part time involontario” e cioè la precarizzazione permanente del lavoro e della vita. Un mondo del malessere paralizzato dal terrore del declassamento (e che poco riesce a gioire se, come nota Veltroni, nelle parti più disgraziate del pianeta globalizzato la povertà assoluta e disumana tende a ridursi) mentre incombe lo spettro per milioni di esseri umani, per lo più giovani, di un futuro in cui sarà un triste orizzonte esistenziale quello di “costruire la propria vita sulle sabbie mobili”. Ma una democrazia non può reggere a lungo sulla totale “assenza di certezze, o se si vuole di garanzie”. Oggi, scrive Veltroni “si aspetta”. “Si aspetta” che il peso schiacciante di una crisi infinita allenti la sua presa, “si aspetta” impotenti, preda delle paure. In un sondaggio italiano su come si immagina la condizione socio-economica del futuro, il 38 per cento prevede che sarà peggiore, e solo il 21 che migliorerà. Così la democrazia si svuota, perché la democrazia deve garantire ai suoi cittadini che le cose possano andar meglio, per tutti e per ciascuno, e se viene meno alla sua missione, finisce per indebolirsi, e forse per svanire, una promessa scolpita nelle sue insegne. La democrazia non è solo un insieme di procedure (importantissime, per carità) ma soprattutto un modo di rispondere alle esigenze sociali. Se viene meno per troppo tempo a questa missione, la democrazia si immiserisce: “La disperazione genera un bisogno di rassicurazione. Se non provvede a garantire la soddisfazione di questo bisogno vitale, la democrazia può soccombere”. E infatti, scrive Veltroni, il pericolo di un indebolimento fatale della democrazia, corrosa e messa in crisi da un aumento esponenziale dell’odio, viene esasperato dalla percezione che con gli strumenti democratici non si decida più niente, alimentando la fallace ma contagiosa convinzione che i regimi autoritari siano più efficaci, offrano risposte più veloci. La democrazia deperisce se il meccanismo della decisione salta e soprattutto se si diffonde la sfiducia nei canali, a cominciare dal voto, che esprimono la sovranità popolare. Chi decide? E che rapporto c’è tra l’espressione della volontà popolare e le sedi dove si decidono le sorti della politica e dell’economia? Lasciare al populismo questa bandiera è - emerge nel libro di Veltroni - il grave errore di chi a cuore le sorti della democrazia. E anche il trionfo del trasformismo, lo spettacolo di cambiamenti repentini e senza serietà che sviliscono l’idea stessa di rappresentanza democratica moltiplicano la sfiducia, intaccano la forza di una democrazia che deve rappresentare le correnti politiche presenti nella società e, insieme, dare loro uno sbocco di governo. Veltroni non si rassegna alla crisi mortale della democrazia. La fine dei luoghi stessi della partecipazione democratica, i partiti, i sindacati, i corpi intermedi, consegna la solitudine sociale allo strapotere di un web in cui i messaggi di odio crescono come uno tsunami che non conosce argini e limiti. Odiare l’odio, secondo Veltroni, non è un esercizio pedagogico, ma è il richiamo a una riscossa per rivitalizzare le forze di una democrazia in crisi, che sappia dare risposte, che comprenda le ragioni del malessere e della paura, che non si chiuda in sé stessa come una fortezza assediata. Altrimenti l’avranno vinta loro, con conseguenze tristi per una società impoverita, sfiduciata e vulnerabile. Coronavirus, nessuno sfugga: non si vive di soli diritti di Antonio Polito Corriere della Sera, 9 marzo 2020 Stiamo commettendo tutti degli errori, alcuni madornali. La nostra giustificazione è la paura. Ma sfidare il virus con esibizioni di ottimismo non ha senso: meglio temerlo. Smettiamola di biasimarci l’un l’altro. Stiamo commettendo tutti degli errori, alcuni madornali. Altrimenti non saremmo a questo punto. Ma tutti abbiamo un’ottima giustificazione: la paura. Ci troviamo di fronte a qualcosa che non avevamo mai visto prima. Un luogo comune retorico, che cita una frase di Roosevelt di fronte alla Depressione, dice che dobbiamo aver paura solo della paura stessa. In questo caso non vale. Sfidare il virus con esibizioni di ottimismo non ha senso. Meglio temerlo. E isolarlo, spezzandone la progressione. I meridionali del Nord che prendono il treno nella notte per tornare a casa certamente sbagliano. Accettano così il rischio di portare il virus a parenti e amici, in comunità che finora ne erano rimaste relativamente immuni. Ma fuggono dal rischio di restare da soli, magari di ammalarsi, lontano da casa. Triste destino quello dell’emigrante, quando diventa straniero anche in patria, e nei luoghi d’origine lo accolgono mettendolo in quarantena. Anche gli abitanti del Nord in fila davanti agli impianti di risalita per godersi l’ultima neve di primavera sbagliano, e forse per più futili motivi. Ma era chiaro fin dall’inizio che per noi italiani la cosa più difficile sarebbe stata rinunciare al nostro “way of life”, trasformarci in animali asociali, adattarci alle regole di un’economia di guerra, soprattutto di fronte a una bella giornata di sole. Stanno sbagliando i nostri giovani. Nelle famiglie è difficile convincerli a non uscire la sera, e ordinarglielo non sappiamo più, perché la nostra generazione di genitori è stata la prima a ribellarsi ai padri, ma anche la prima a obbedire ai figli. I ragazzi si sentono invulnerabili, e sottovalutano quanto possano vulnerare chi è più debole di loro. Ma è colpa nostra. Abbiano detto per settimane che morivano solo i vecchi e i malati, che non c’era da preoccuparsi, e ora chiediamo loro il coprifuoco. Sbagliano le autorità di governo. La confusione di decreti dell’altra notte non è stato il primo passo falso, e c’è da temere che non sarà l’ultimo. Abbiamo regole inadatte a un’emergenza come questa, bisogna consultare centinaia di persone in venti regioni diverse prima di prendere una decisione, le fughe di notizie sono all’ordine del giorno. Se stiamo facendo oggi cose che si potevano fare già ieri, è chiaro che le scelte compiute finora non sono bastate. Le stesse norme adottate sono così eccezionali che non si capisce bene come applicarle: per buona parte della giornata di ieri gli imprenditori si chiedevano se le merci possono viaggiare, i pendolari se possono viaggiare, i lombardi, gli emiliani, i veneti e i piemontesi se tra una provincia e l’altra ci si può spostare. Per non diventare grida manzoniane, i decreti hanno bisogno di norme applicative e di controlli. Ma chi se la sente di litigare mentre la casa brucia? Chi può scagliare la prima pietra? Con l’eccezione dei medici e degli infermieri, che stanno combattendo in prima linea, rischiando la salute e sopperendo alle deficienze di un sistema sanitario impoverito negli anni, ognuno di noi ha qualcosa da correggere nei suoi comportamenti prima di puntare l’indice accusatorio. C’è infatti solo una situazione peggiore di quella che stiamo vivendo; ed è l’esplosione di forme di egoismo sociale e di anarchia, e il dissolversi dell’autorità di chi tiene il timone. Ci sarà tutto il tempo per fare i conti di questa crisi: il panorama politico ne uscirà così stravolto che oggi è inutile per tutti attardarsi nei conflitti di prima. Ora il dovere civico di ognuno di noi è solo di dare una mano, di fare la sua parte, di accettare i sacrifici richiesti. Da molto tempo abbiamo imparato a vivere di soli diritti. È giunto il momento - accade nella storia di una nazione - dei doveri.