Coronavirus, le testimonianze dei detenuti: “Ora il carcere è come un deserto” di Giorgia Gay Redattore Sociale, 8 marzo 2020 Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, ha raccolto via mail le impressioni dei detenuti del carcere di Padova dove per evitare i contagi sono state sospese le attività dei volontari: “Cresce la tristezza di sentirsi già in parte abbandonati”. L’emergenza Coronavirus non ha risparmiato il mondo del carcere dove, per evitare i contagi, sono state sospese le attività dei volontari che quotidianamente entrano nei luoghi di detenzione per svolgere attività con i detenuti. Ristretti Orizzonti non è da meno: la redazione del carcere di Padova non può più riunirsi ma la direttrice Ornella Favero, Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, non rinuncia all’impegno di informare sulle condizioni dei detenuti. E lo ha fatto raccogliendo, rigorosamente via mail, le testimonianze di chi vive questa emergenza da dietro le sbarre. “Queste testimonianze servono anche a capire cosa vuol dire vivere rinchiusi con l’ansia per le proprie famiglie e le possibilità così limitate che ci sono oggi per comunicare con loro - fa sapere Favero: diventa allora prioritario un piano immediato di ampliamento delle telefonate e diffusione dell’uso di Skype, senza limitazioni per l’Alta Sicurezza, perché tutti hanno il diritto di essere costantemente informati sullo stato di salute dei propri cari. E senza tentazioni di sostituire i colloqui visivi con i colloqui via Skype: nessuna tecnologia vale quanto un abbraccio”. Tra le testimonianze inviate dai detenuti c’è quella di Tommaso Romeo, che racconta come sia cambiata la vita in carcere senza attività: “Oggi si sente la grande differenza tra la detenzione attiva e quella passiva. È come essere ripiombati negli anni lontani dove nelle sezioni si parlava solo di processi o di discorsi negativi”. E continua: “Più incontri e confronti con la società civile esterna non fanno altro che farci crescere in positivo. Una detenzione attiva e aperta agli incontri con le persone dell’esterno è un grande investimento per far diminuire la recidiva”. Andrea Donaglio fa sapere che il timore ora è la chiusura delle camere detentive: “L’ho già vissuta una condizione del genere. Dalle venti alle ventidue ore in tre persone chiusi in uno spazio destinato ad una singola persona detenuta. Questo per quasi quattro anni ininterrottamente. Avrei una comprensibile difficoltà a riadattarmi a una condizione simile”. E aggiunge: “Ma non è solo una questione di orari. I tempi al di fuori del proprio reparto vengono vissuti assieme ai volontari. Per me rappresentano il segnale che una parte della società dedica del suo tempo anche alla parte più reietta di essa”. Amin riferisce che “se la cosa degenera abbiamo anche paura che non facciano più entrare le nostre famiglie e quindi questo vorrebbe dire anche il rischio di perdere gli affetti”. La difficoltà dei detenuti è quella anche di capire perché i volontari siano stati bloccati, mentre altre figure che gravitano intorno al carcere no. Ne parla Giuliano Napoli: “Gli agenti giustamente si recano all’esterno del penitenziario quando finiscono il turno di lavoro e poi fanno rientro, e infermiere, medici, educatrici, psicologi, psichiatri, che hanno un contatto diretto giornaliero con i ristretti, potrebbero essere portatori del virus stesso all’interno, considerando il suo altissimo tasso di contagiosità. Ci piacerebbe soltanto che ci spiegassero il senso di escludere una determinata categoria, ‘i volontari’, dall’ingresso in carcere, mentre gli ipotetici portatori del virus possono essere molti altri, tutto qui: abbiamo bisogno anche noi di capire di più”. Elton Xhoxhi spiega: “Adesso il carcere è come un deserto. Io mi sento un po’ come un orfano. Qui a Padova ci sono delle attività e le giornate sono diverse, ma in questo momento non sappiamo neppure per quanto dobbiamo stare in questo stato di stress, è davvero una cosa che porta una grande tristezza”. E Gabriele Trevisan gli fa eco: “La tristezza sale in maniera esponenziale, al pensiero di passare le ore, le giornate senza dare più un senso al tempo che passa. La speranza è che tutto svanisca come la neve al sole, ma intanto cresce la tristezza di sentirsi già in parte abbandonati, in un luogo dove le emozioni hanno pochissimo spazio”. Giovanni Zito conclude: “Già la reclusione di per sé ci tiene isolati abbastanza dal punto di vista umano, se mettiamo anche un freno alla poca se non scarsissima attività che caratterizza nel nostro Paese la vita detentiva rischiamo di cadere in un vortice di paure incontrollate. Noi esistiamo anche in questo piccolo mondo, non vorremmo essere tagliati ancor di più fuori dal contesto sociale e da ogni rapporto con il resto della società”. Infine, Radouan El Madkouri: “Già di per sé questa espressione “carcere chiuso” ci fa paura perché qui siamo già chiusi, in più essere isolati dal mondo esterno fa entrare dentro di noi quel vuoto e quell’angoscia, che con le parole è duro descrivere”. Stop ai colloqui e timore di contagi, emergenza in carcere di Dario Del Porto La Repubblica, 8 marzo 2020 L’emergenza coronavirus incendia le carceri. L’episodio più grave si registra a Salerno, dove la sospensione dei colloqui con i familiari dei detenuti fino al 31 maggio, una delle misure annunciate per contenere la diffusione del Covid-19, scatena la rivolta. Per cinque ore, poco meno di 200 reclusi protestano devastando un’intera sezione dell’istituto di Fuorni. I ribelli sfondano una cancellata-finestra e salgono sul tetto della struttura armati di ferri divelti dalle brande. Sono momenti di tensione fortissima per il personale di polizia penitenziaria, con il comandante Gianluigi Lancellotta e la direzione guidata da Rita Romano che mettono in campo uno sforzo enorme per evitare il peggio. La direttrice viene addirittura sfiorata da un estintore. L’istituto viene sorvolato da elicottero dei carabinieri e circondato da militari guardia di finanza e polizia in assetto antisommossa. La penitenziaria manda rinforzi, sopraggiungono diversi mezzi dei vigili del fuoco che predispongono i materassi gonfiabili nello spazio esterno. In carcere arrivano il questore di Salerno, Maurizio Ficarra, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Antonio Fullone e il garante regionale per i diritti dei detenuti, Samuele Ciambriello. Anche il procuratore Giuseppe Borrelli segue personalmente l’evolversi della situazione. Intorno alle 20, con la mediazione del provveditore e del questore, la protesta rientra. I detenuti consegnano un documento dove chiedono, tra l’altro, di sottoporre tutta la popolazione carceraria a tamponi per il test sul coronavirus e misure alternative al carcere. Negli istituti il clima resta pesante. Momenti di fibrillazione, sia pure più contenuti, si sono registrati ieri nelle carceri napoletane di Secondigliano e Poggioreale e nell’istituto casertano di Carinola. Fonti del Dap assicurano che non risultano detenuti positivi al Covd-19. Il sindacato Spp segnala però che un poliziotto penitenziario in servizio a Vicenza è ricoverato in terapia intensiva. Il segretario, Aldo Di Giacomo, avverte: “Nelle carceri lombarde ci sono una ventina di persone in isolamento perché hanno la febbre, non il coronavirus, per cautela. A nessuno è stato fatto il tampone”. Il decreto varato dal governo prevede uno spazio “pre-triage” per il controllo prima dell’accesso al penitenziario, con misurazione della febbre e se necessario anche il tampone. A questo scopo sanno realizzate delle tensostrutture, 20 sono già state assegnate alla Lombardia. Operatori e volontari dovranno autocertificare di non provenire da “zone rosse” o di aver avuto contatti con persone che hanno contratto il virus. I colloqui dovrebbero avvenire solo via skype, ma non tutte le carceri sono attrezzate. “Le misure sono necessarie per la prevenzione del contagio - dicono Giuseppe Moretti Ciro Auricchio rispettivamente segretario nazionale e campano del sindacato Uspp - ma la sospensione dei colloqui, pur necessaria, è stata adottata d’urgenza, senza informare e sensibilizzare la popolazione detenuta”. Maurizio Turco e Irene Testa, segretario e tesoriere del Partito radicale, chiedono l’amnistia: “È indispensabile per poter attuare una efficace riforma”. Fino al 31 maggio niente colloqui, sostituiti da telefonate e Skype, ma niente pene alternative di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 8 marzo 2020 Le misure per quanto riguarda gli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni. Nessuna apertura per pene alternative per malati e anziani. Nella bozza dello schema di decreto legge recante “misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica del nuovo coronavirus e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, si contemplano anche le misure per quanto riguarda le carceri italiane. Negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni, a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente e sino alla data del 31 maggio 2020, i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati, saranno svolti a distanza, mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica, che può essere autorizzata anche oltre i limiti previsti dall’ordinamento penitenziario. Quindi divieto di visita, ma ampliamento delle telefonate e utilizzo di Skype. Altra novità è il divieto dei benefici penitenziari. Tenuto conto delle evidenze rappresentate dall’autorità sanitaria, il magistrato di sorveglianza, nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore del decreto ed il 31 maggio 2020, può sospendere la concessione dei permessi premio e del regime di semilibertà. Nel decreto, quindi, nessuna apertura per quanto riguarda la concessione di pene alternative per le persone vulnerabili come malati e anziani che difficilmente in carcere, se dovessero contrarre il coronavirus, potrebbero essere isolate dal resto della popolazione detenuta. Nel frattempo ci sono casi sotto controllo, come nel carcere napoletano di Poggioreale dove risulta un detenuto con sintomi influenzali che è riuscito ad essere isolato e forse, come si spera, faranno un tampone per verificare se abbia contratto o no il coronavirus. C’è il garante dei diritti dei detenuti locale di Napoli Pietro Ioia che ha fatto sapere che organizzerà per lunedì una raccolta firme per chiedere le pene domiciliari per tutte quelle persone che hanno problemi patologici e anziane. Non manca il primo caso di coronavirus riguardante un agente penitenziario 28enne che opera nel carcere di Vicenza. Era finito in rianimazione e fortunatamente ha ripreso a respirare da solo. I sindacati di polizia penitenziaria sono preoccupati e hanno chiesto di controllare tutti gli operatori penitenziari e detenuti del carcere vicentino. Nel carcere di Bologna ci sono difficoltà per utilizzare le postazioni Skype utile per i video-colloqui con i detenuti. È il vice segretario Nicola D’Amore del Sindacato della polizia penitenziaria Sinappe a scrivere alla direttrice del carcere della Dozza Claudia Clementi. “Pur apprezzando la concessione di telefonate straordinarie - si legge nella nota - dirette alla popolazione detenuta, al fine di contenere eventuali reazioni alle limitazioni dei colloqui familiari, come da indicazioni per il contenimento del Covid - 19, il personale di Polizia penitenziaria ha rilevato la difficoltà nella gestione delle telefonate stesse, in quanto il numero delle linee telefoniche, attualmente a disposizione, parrebbero non sufficienti a supportare l’incremento delle suddette telefonate. Si chiede la verifica di tale situazione e, eventualmente, la risoluzione della stessa. Allo stesso modo, si chiede l’incremento di postazioni Skype, per effettuare i video- colloqui”. La quarantena coatta dei carcerati: sospesi visite, permessi, semilibertà, lavori all’esterno di Andrea Sparaciari businessinsider.com, 8 marzo 2020 Una rivolta in un carcere è un evento che in Italia non si vedeva da una buona trentina d’anni. Oggi è accaduto a Salerno-Fuorni, dove un centinaio di detenuti ha danneggiato il primo piano della struttura e poi è salita sul tetto. A far scattare le proteste, l’annunciata sospensione dei colloqui per l’allerta Coronavirus. E, secondo il sindacato degli agenti penitenziari Uspp “Proteste, per fortuna subito rientrate, come quelle in atto nel carcere di Salerno, si sono registrate anche nell’istituto penitenziario di Carinola e nel carcere napoletano di Poggioreale”. Sì, perché l’universo carcerario italiano sta per esplodere a causa delle pesanti restrizioni imposte per contenere il Coronavirus ed evitare che deflagri negli istituti carcerari italiani. “Per adesso la situazione è sotto controllo, ma se dovesse verificarsi un primo caso di positività conclamata al Coronavirus, non so come reagirebbero i detenuti”. A parlare, chiedendo l’anonimato, è un operatore di una delle tre carceri di Milano (San Vittore, Opera e Bollate). Un universo, quello carcerario, dove alla “ordinaria” segregazione, se ne è aggiunta un’altra. Quella stabilita dalle “Note del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria” del 22, 25 e 26 febbraio 2020, che di fatto hanno chiuso le porte delle prigioni nelle zone a forte rischio. Ma anche quelle di alcuni istituti che a “forte rischio” non sono. Una serie di indicazioni che hanno decretato la sospensione di tutti gli Articoli 21 (la possibilità per il detenuto di lavorare all’esterno della struttura), i permessi, le semi-libertà, le visite dei parenti (la norma ora prevede che i colloqui siano svolti a distanza fino al 31 marzo prossimo, mediante un sistema di video-conferenza o l’aumento del numero di telefonate previste), le attività all’interno del carcere portate avanti dai volontari, i quali devono restare fuori. Il primo effetto visibile è stato che la popolazione carceraria milanese residente stabilmente “dietro le mura” è esplosa, triplicando il numero degli “internati”. Una massa di persone che passa le giornate senza nulla da fare e nella quale, temono gli operatori, cresce di giorno in giorno il senso di abbandono. E quindi la tensione. “Qui il rischio non è tanto il contagio - sappiamo tutti che ci sono dei positivi tra i detenuti per fortuna asintomatici - quanto l’incazzatura di chi è costretto a stare dentro. La frustrazione causata dal senso di abbandono. Per ora è tutto sotto controllo, ma cosa succederà quando risulterà un detenuto positivo con problemi respiratori? Come gestiremo panico?”, si chiede il volontario. Che azzarda anche una possibile soluzione: “Ha fatto benissimo l’Iran, che martedì scorso ha fatto uscire dalle carceri 54 mila detenuti, mettendoli ai domiciliari. Servirebbe anche qui da noi un’azione guidata e gestita dalla magistratura. Ma non ce n’è traccia, sfortunatamente”. Una convinzione diffusa tra gli operatori - i quali, bisogna dirlo, in questi giorni di emergenza, si stanno facendo in quattro, basti pensare che nessuno tra la novantina di effettivi in servizio nelle carceri milanesi ha chiesto un solo giorno di malattia - quella della necessità di alleggerire il numero dei reclusi negli istituti. “Per Opera e Bollate sarebbe più difficile, visto che sono carceri dove si scontano pene definitive, ma per San Vittore, dove si trovano oltre 700 detenuti in attesa di giudizio, si deve pensare a un’azione decisa e coraggiosa”, spiega un altro operatore, “collocandone una buona parte ai domiciliari. Attenzione, non stiamo parlando di liberazione, ma di semplice diminuzione del sovraffollamento, con conseguente diminuzione della sensazione di abbandono e reclusione”. Per ora la magistratura, pur interpellata, non ha risposto. In compenso hanno risposto le istituzioni carcerarie, spesso in maniera errata, come mette nero su bianco in una nota ufficiale Il Garante nazionale, Mauto Palma del 3 marzo scorso: “Sono preoccupanti talune decisioni che vanno oltre le indicazioni emanate centralmente e che tendono a configurare un concetto di prevenzione assoluta che, superando i criteri di adeguatezza e proporzionalità, finisce col configurare il mondo recluso come separato dal mondo esterno e portatore di un fattore intrinseco di morbilità”. Per Palma, infatti, molti istituti hanno abbracciato restrizioni - pensate solo per le carceri delle zone rosse e gialle - per allarmismo ingiustificato: “da più parti vengono segnalate restrizioni ingiustificate che incidono anche sui diritti delle persone ristrette e che sembrano essere il frutto di un irragionevole allarmismo che retroagisce determinando un allarme sempre crescente che non trova fondamento né giustificazione sul piano dell’efficacia delle misure”. E, contemporaneamente, secondo Palma non si sta facendo ciò che invece si dovrebbe fare: “Non sembrano essere stati assunti come primi urgenti provvedimenti proprio negli Istituti che maggiormente hanno rivolto l’attenzione alla mera chiusura agli esterni, misure relative alla sanificazione degli ambienti, alla diffusione di norme igieniche, all’autodichiarazione di non aver avuto contatti possibilmente a rischio da parte del personale che entra in Istituto, alla predisposizione di strumenti che possano rilevare la temperatura corporea di tutte le persone che, per qualsiasi ragione, entrano nell’Istituto stesso. In assenza di tali misure, la fisionomia della prevenzione potrebbe essere vista come maggiormente rivolta a evitare il rischio di futura responsabilità che non effettivamente a evitare un contagio certamente molto problematico in ambienti collettivi e chiusi”. Coronavirus: nelle carceri stretta su colloqui, permessi e semilibertà di Marco Mobili Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2020 Fino al prossimo 3 aprile i colloqui in carcere si svolgeranno in video o al telefono e saranno limitati i permessi e la libertà vigilata. Da valutare misure di detenzione domiciliare. Il nuovo decreto del Governo con le misure di contenimento del Coronavirus entra in tutte le carceri d’Italia. L’obiettivo è quello di evitare il diffondersi del virus in strutture già al limite in termini di sicurezza sanitaria. Per alzare il livello di guardia vengono introdotte limitazioni ai colloqui che potranno avvenire solo in video o al telefono così come ai permessi e alla libertà vigilata. La stretta a colloqui e uscite - Fino al prossimo 3 aprile, salvo poi ulteriori proroghe disposte dal Governo, in tutte le carceri italiani i colloqui visivi si devono svolgere in modalità telefonica o a video. E questo anche in deroga alla durata prevista dalle regole attualmente in vigore. Solo in casi eccezionali può essere autorizzato il colloquio personale ma solo a condizione che sia garantita “in modo assoluto” la distanza di due metri. Un tema caldo quello delle restrizioni sui colloqui individuali che già nella giornata di sabato 7 marzo ha fatto registrare la protesta dei detenuti in alcuni istituti penitenziari come quello di Salerno e quello di Carinola (Ce). Restrizioni per entrate e uscite dal carcere - Si tratta solo di una raccomandazione quella con cui il Governo chiede agli istituti penitenziari di limitare i permessi e la semilibertà o quanto meno di modificare i due regimi così da evitare l’uscita e il rientro dalle carceri. Piuttosto sarebbe opportuno valutare “la possibilità di misure alternative di detenzione domiciliare”. Gestione di nuovi ingressi e casi sintomatici - Per gestire i nuovi ingressi nelle carceri, gli istituti penitenziari e quelli penali per i minorenni dovranno adottare i protocolli sanitari elaborati dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute. Inoltre le varie articolazioni territoriali del Servizio sanitario nazionale dovranno assicurare al ministero della Giustizia il supporto necessario per il contenimento della diffusione del Covid-19, anche attraverso specifici presidi. In caso di nuovi ingressi di soggetti positivi al virus l’istituto dovrà provvedere a porre in isolamento il detenuto con la possibilità di valutare misure alternative al carcere di detenzione domiciliare. Coronavirus, si ferma la Giustizia: stop alle attività nei tribunali di Maurizio Caprino e Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2020 In campo un meccanismo che prevede, fino a tutto maggio, una valutazione preliminare dei vertici di Tribunali e Procure con le autorità sanitarie. La giustizia si fermerà. Incertezza però sulla durata del blocco e sulla sua estensione. Il Consiglio dei ministri di venerdì 6 ha affrontato uno dei (tanti) temi urgenti provocati dall’emergenza coronavirus: l’impatto per gli uffici giudiziari. Sul tavolo un decreto legge per disciplinare lo svolgimento dell’attività giudiziaria nelle prossime settimane. A magistrati (con la decisa presa di posizione dell’Anm) e avvocati a favore di un intervento generale di sospensione delle udienze, almeno di quelle non urgenti, la bozza di decreto legge oppone una regolamentazione più articolata dove le decisioni sono prese dai capi degli uffici giudiziari. Non previsto (per ora?) alcun intervento sul fronte della giustizia tributaria. Le misure di emergenza - In campo un meccanismo che prevede, sino a tutto maggio, a monte una valutazione dei vertici di Tribunali e Procure con le autorità sanitarie e il consiglio dell’ordine locale egli avvocati, per decidere poi a valle misure che possono andare dalla limitazione dell’accesso al pubblico all’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e trattazione delle udienze, alla celebrazione a porte chiuse di tutte le udienze penali pubbliche. Cruciale però la possibilità del rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio prossimo. Per tutto il periodo di efficacia dei provvedimenti di rinvio delle udienze civili è sospesa “la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi”. Le udienze escluse - Al rinvio però è ammessa una serie di eccezioni. Innanzitutto non vi potranno rientrare le udienze nelle cause di competenza del tribunale per i minorenni, nelle cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, nei procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, nei procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di tutela, di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione. Come pure, nel penale, le udienze di convalida dell’arresto o del fermo, nei procedimenti nei confronti di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, nei procedimenti a carico di imputati minorenni e, in genere, nei procedimenti che presentano carattere di urgenza. Le scelte locali - Il Dl arriva a dare regole in più in un quadro estremamente frastagliato sul territorio, a prescindere dalle condizioni ambientali delle singole sedi. Se n’è avuta una riprova nella giornata di venerdì 6, quando si trattava di decidere se ritenere l’astensione degli avvocati proclamata dall’Ocf come motivo legittimante per disertare le udienze. A livello nazionale, dopo una videoconferenza tra ministero e presidenti delle Corti di appello, era emerso un orientamento negativo. Ciò non ha impedito eccezioni locali: il presidente della Corte d’appello di Torino, dopo aver sentito i presidenti delle sezioni penali e civili, ha invece scritto che “reputa opportuno che le sezioni (...) prendano in considerazione l’eventuale dichiarazione di astensione dalle udienze” per disporre rinvii “indicativamente in epoca successiva al periodo pasquale”. Intanto, a Sassari è stato l’Ordine degli avvocati a proclamare lo sciopero, fino al 20 marzo. Si moltiplicano le segnalazioni di misure prese anche da presidenti di sezione. A Matera, dopo la notizia che è stato contagiato anche il prefetto, le attività ordinarie a Palazzo di giustizia sono state sospese fino al 14 marzo per sanificare i locali. La giustizia paralizzata fino a giugno di Luca Fazzo Il Giornale, 8 marzo 2020 I dettagli del decreto: udienze sospese, le eccezioni ridotte rispetto alla bozza. Adesso è ufficiale, manca solo la firma del presidente della Repubblica. Il coronavirus fa scattare una paralisi senza precedenti nella storia della giustizia italiana: tribunali blindati, udienze sospese, diritti dei detenuti sospesi per decreto. Il testo portato venerdì sera dal ministro della Giustizia Bonafede al consiglio dei ministri viene ieri limato ma anche inasprito. Viene ridotta di un mese la durata della paralisi sanitaria della giustizia: fino al 31 maggio, anziché il 30 giugno come proponeva il ministro. Ma si tratta comunque dello stop più lungo deciso finora dal governo alla vita quotidiana del paese per fronteggiare l’avanzata del Covid-19. Le udienze, come prevedeva la bozza originaria, vengono rinviate tutte, nel settore civile e penale, con poche eccezioni: nel civile quelle per espulsioni di profughi, trattamenti sanitari obbligatori, richieste di aborto di minorenni. Nel penale saltano tutte le udienze, e qui le poche eccezioni previste dalla bozza originaria si riducono ulteriormente. Si dovranno fare le udienze di convalida degli arresti, mentre quelle con imputati detenuti si faranno solo se a chiedere che si tengano ugualmente saranno gli avvocati difensori: che si vedono in questo modo rifilata la responsabilità di scegliere tra il diritto alla difesa e quello alla sicurezza propria e dei propri assistiti. In ogni caso, le poche udienze che si terranno dovranno tenersi per teleconferenza, con gli arrestati collegati via Internet con l’aula del giudice. Al lungo rinvio delle udienze - che di fatto farà slittare quasi tutta la vita giudiziaria a dopo la pausa estiva - il governo accompagna la sospensione dei termini per istanze, ricorsi, deposito di atti, e anche della prescrizione. Mentre nel settore civile la sospensione dei termini non è destinata ad avere effetti traumatici, nei processi penali il congelamento della prescrizione previsto dalla bozza originaria di Bonafede è suonato a una parte del governo come una compressione inaccettabile dei diritti della difesa. Alla fine, il testo che verrà portato alla firma del capo dello Stato costituisce una sorta di mediazione. Il testo originario stabiliva che la prescrizione restasse congelata fino alla ripresa del processo dopo il rinvio per il coronavirus. In base alla versione definitiva, la sospensione della prescrizione non andrà oltre il 31 maggio. Stesso limite per il congelamento del calcolo della durata del “giusto processo”. Ai capi degli uffici giudiziari vengono dati, come previsto, pieni poteri nel limitare l’accesso dei cittadini ai tribunali di tutta la penisola. Orari ridotti, uffici sbarrati al pubblico, udienze a porte chiuse. Misure draconiane ma necessarie, che renderanno i palazzi di giustizia delle spettrali ghost town. Dove il provvedimento in fase di emanazione è di durezza ancora maggiore è sul fronte carcerario. Questo capitolo, che non compariva nella prima versione, dà la misura del timore estremo con cui il ministero della Giustizia guarda alla eventualità di contaminazione da parte del virus di comunità chiuse e affollate come quelle carcerarie. Per cui: basta colloqui faccia a faccia con i familiari, che verranno sostituiti da collegamenti via internet o da semplici telefonate; e, soprattutto, facoltà per i tribunali di sorveglianza di sospendere con effetto immediato i permessi premio e la semilibertà. Sono misure emergenziali che stanno creando già proteste e rivolte all’interno delle carceri (come ieri a Salerno) ma che per il governo costituiscono l’unico modo per far sì che le prigioni restino incontaminate dal virus. Cecchi Gori passa agli arresti domiciliari di Michela Allegri Il Messaggero, 8 marzo 2020 Il tribunale di Sorveglianza di Roma ne ha disposto il trasferimento dal Gemelli “anche perché rientra nelle categorie a rischio Covid 19”. Un fisico provato dalla malattia, l’età avanzata e, ora, l’emergenza coronavirus che incombe. Quando la sua condanna è diventata definitiva e, la scorsa settimana, i carabinieri si sono presentati in ospedale per notificargli l’ordine di esecuzione per la carcerazione, un coro di proteste si è levato dal mondo dello spettacolo e da quello della politica. In tanti avevano chiesto che Vittorio Cecchi Gori, quasi 78 anni, ricoverato in ospedale, pagasse il suo debito con la giustizia - 8 anni di carcere per bancarotta - ai domiciliari. Ieri, il giudice del tribunale di Sorveglianza di Roma ha accolto l’istanza della difesa: il produttore cinematografico sconterà la pena a casa, nel suo appartamento ai Parioli. Il magistrato ha infatti disposto che, appena le condizioni di salute lo consentiranno, l’ex proprietario della Fiorentina venga trasferito dal Policlinico Gemelli, dove si trova piantonato da 9 giorni, all’abitazione romana. La decisione dovrà essere ratificata dal tribunale di Sorveglianza in seduta collegiale. Il provvedimento del giudice relatore Angela Savio è stata imposto anche dall’emergenza Coronavirus: come ha sottolineato la difesa, Cecchi Gori rientra in una categoria a rischio in caso di contagio, considerando sia l’età che le condizioni di salute. Il produttore nel 2017 ha avuto un ictus e pochi mesi fa, in settembre, è stato operato d’urgenza per una peritonite. Nel dispositivo il magistrato sottolinea che per “l’avanzata età e per le patologie importanti da cui è affetto”, l’imprenditore toscano - che da decenni vive a Roma - “rientra nella categoria di persone più esposte, per le quali le recentissime disposizioni impartite degli organi governativi hanno esplicitamente consigliato la permanenza in ambito domiciliare o comunque l’adozione di comportamenti di distanziamento sociale, sulla base dell’indicazione scientifica, per dette persone, di uno specifico fattore di rischio di complicazioni anche fatali collegato al rischio di contagio derivante dall’epidemia di Coronavirus”. Per il giudice, l’ex patron della Fiorentina “si trova in una condizione fisica tale che necessita di molteplici e costanti interventi terapeutici e riabilitativi non eseguibili efficacemente e tempestivamente in ambito carcerario”. Una decisione che è stata accolta con soddisfazione dal difensore dell’imprenditore, l’avvocato Massimo Biffa: “Esprimo soddisfazione, oltre che per il risultato, anche per la celerità. È la dimostrazione che la giustizia, se vuole, può essere rapida”. L’ultima condanna definita per il produttore - 5 anni e mezzo - è arrivata il 27 febbraio scorso e riguarda il fallimento della Safin Cinematografica. Un crac da 24 milioni di euro che nel 2008 lo aveva già fatto finire in carcere per 4 mesi. Cecchi Gori in passato era stato condannato anche per il fallimento della Fiorentina. La Cassazione nel 2006 aveva infatti reso definitiva la sentenza di 3 anni e 4 mesi - coperta dall’indulto - e nel settembre scorso il tribunale civile di Firenze ha disposto il pagamento di oltre 19 milioni di euro di danni. La settimana scorsa, quando la condanna è diventata esecutiva, in molti hanno protestato. Una delle prime è stata l’ex moglie di Cecchi Gori, Rita Rusic: “In carcere la sua salute verrà compromessa, per lui sarà la morte”. Poi era stato il turno di molti esponenti del mondo dello spettacolo, da Vittorio De Sica a Lino Banfi, fino ai registi Marco Risi e Giovanni Veronesi. Oltre a loro, in tanti hanno firmato una lettera promossa dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici, in cui si chiedeva la fine del carcere per il produttore: Paolo Virzì, Matteo Garrone, Stefania Sandrelli, Gigi Proietti, Diego Abatantuono, Roberto Benigni, Fiorella Infascelli, Fabrizio Bentivoglio, Antonio Albanese, Maurizio Totti e Pino Quartullo, Vito Zagarrio, Italo Moscati, Antonio Frazzi. Ieri, dopo la notizia dei domiciliari, è arrivata una nota di Pupi Avati e dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici, in cui si esprimeva soddisfazione per la fine di un “provvedimento che poteva rivelarsi eccessivamente gravoso” e in cui si ringraziavano i colleghi che hanno sostenuto la campagna di protesta. Lombardia. Il carcere presidio anti contagio. “In cella il virus non è gestibile” di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 8 marzo 2020 Adesso la trincea è il carcere. I 13 istituti lombardi sono la frontiera da difendere a tutti i costi, per scongiurare - o quantomeno ritardare e ammortizzare il più possibile - che il virus Covid 19 contagi qualcuno anche in carcere e rischi così di innescare una catena di infezioni che sarebbe difficilissima da gestire in ambienti e tra persone già di per sé stressati dall’”ordinario” e sempre ignorato sovraffollamento (61.230 reclusi su 47.230 posti disponibili in tutta Italia), dove due metri di distanza tra un detenuto e l’altro sono una amara barzelletta prima ancora che un agognato miraggio, e dove già in situazioni normali l’assistenza sanitaria ha il fiatone. Gli avamposti sono talmente presidiati che un “triage” sanitario è stato allestito all’ingresso di ogni carcere e funziona da sorta di check-point per chiunque debba entrare o uscire dai penitenziari, qualunque sia la sua funzione o il suo motivo (detenuti, agenti di polizia penitenziaria, avvocati, magistrati, proprio tutti). A chiunque viene misurata la temperatura con due termometri elettronici, e l’asticella dell’attenzione è stata portata addirittura ad appena 37 gradi e mezzo: chi li ha, non entra in carcere. Al punto che una giudice delle indagini preliminari del tribunale di Milano, che si era presentata a San Vittore per svolgere l’interrogatorio di garanzia di un arrestato, è stata bloccata e non fatta entrare perché, sebbene uno dei due termometri segnasse 36,2, l’altro indicava invece appunto 37,5: il magistrato ha dovuto rispondere al questionario, non tornare in ufficio, restare a casa per scrupolo e farsi sostituire da un collega per l’interrogatorio. In caso di positività di qualcuno al tampone, se non dovesse essere necessario il ricovero in ospedale, il Dap raccomanda di prevedere un isolamento sanitario all’interno dell’istituto con bagno ad uso esclusivo, isolamento però che in molte carceri le strutture materialmente non permetterebbero. Aumenta la fatica di vivere in cella l’inevitabile blocco di ogni possibilità di uscita esterna, il che fa sì peraltro che il sovraffollamento cresca perché ogni giorno non c’è più neanche quella pattuglia di detenuti che escono temporaneamente in forza di qualche provvedimento (di lavoro esterno o semilibertà) firmato dai giudici di sorveglianza nell’ambito delle tappe di un percorso di avvicinamento a misure di esecuzione della pena alternative al carcere. Stop anche alle visite dei familiari, con i quali si cerca di aumentare da 4 a 6 le telefonate possibili a settimana, anche se l’associazione Antigone chiede al ministro di aumentare a 20 minuti al giorno il tempo della telefonata con i familiari che per ordinamento penitenziario è invece di 10 minuti a settimana. E l’amministrazione penitenziaria cerca di occuparsi di consegnare i pacchi che le famiglie possono continuare a inviare ai detenuti, ritirando la biancheria pulita e consegnando quella usata. Per legge una serie di udienze continuerebbero a richiedere comunque la presenza fisica del detenuto, e dunque o la sua uscita dal carcere o l’entrata di giudici e avvocati in carcere: per cercare di evitarlo nei limiti del possibile, il Tribunale di Sorveglianza, ad esempio, ha già sperimentato una decina di udienze utilizzando Skype con i detenuti in carcere grazie ai collegamenti in uso per i colloqui con i familiari e a un accordo con l’Ordine degli Avvocati, che per garantire la riservatezza dei colloqui tra detenuti e difensori mette a disposizione un telefono cellulare per ciascuna delle 13 carceri e uno per l’aula di udienza del Tribunale. Uno schema che da lunedì tenterà di adottare anche l’Ufficio Gip per le convalide degli arresti operati dalle forze dell’ordine nel turno del giorno prima, con l’accortezza di assicurare ai difensori sia la disponibilità fisica del fascicolo prima dell’udienza (e qui saranno le cancellerie a rendersi disponibili), sia la possibilità di poter prima confrontarsi con i propri assistititi, e in questo saranno le direzioni delle carceri ad allungare le fasce orarie dei colloqui se necessario. Campania. Stop ai colloqui con parenti e avvocati, tra i detenuti esplode la rabbia di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 8 marzo 2020 Il carcere ai tempi del Coronavirus. La decisione di sospendere tutti i colloqui, prima con i parenti e adesso anche con gli avvocati di fiducia, scatena la rabbia dei detenuti in Campania. Da Poggioreale a Secondigliano, fino a Salerno, quella di ieri è stata una giornata ad altissima tensione. La situazione più grave è senza dubbio quella verificatasi nell’istituto penitenziario di Fuorni, a Salerno. Almeno un centinaio di detenuti hanno fatto scattare una rivolta, riuscendo a barricarsi addirittura sul tetto. La protesta è esplosa nel pomeriggio e si sono vissute ore di lunga tensione: mobilitato d’urgenza tutto il personale della Polizia Penitenziaria per fronteggiare l’emergenza. Sul posto sono dovuti intervenire anche i carabinieri, il questore di Salerno e un elicottero. I rivoltosi, circa duecento a quanto si apprende dall’Unione dei sindacati di polizia penitenziaria, sono riusciti a salire sul tetto del carcere di Salerno armandosi di spranghe di ferro ricavate dalle brande e distruggendo tutto quello che capitava a tiro. La rivolta è durata fino a tarda sera, quando i detenuti sono rientrati nelle sezioni. Forti fibrillazioni anche negli istituti penitenziari di Napoli. A Poggioreale e a Secondigliano i reclusi si sono rifiutati di tornare nelle celle dopo il periodo di “socialità”, e c’è voluta tutta la professionalità degli agenti penitenziari per far rientrare la situazione. Un fatto è certo: nella popolazione detenuta, e soprattutto in quella di Poggioreale, che resta il carcere più sovraffollato d’Italia, il malumore comincia a serpeggiare in maniera preoccupante. Niente più incontri con i familiari, e zero colloqui con i propri legali: l’unico filo che li mantiene in contatto con il mondo esterno restano i pacchi che devono essere rigorosamente consegnati ai baschi blu, i quali poi provvedono ai controlli e allo smistamento. Identiche restrizioni valgono naturalmente anche per le strutture di accoglienza per i minori, a cominciare da Nisida e Airola. La sensazione diffusa è che i detenuti, mai come in questo momento, cominciano a sentirsi prigionieri anche di un virus che - ove mai riuscisse a fare ingresso oltre le mura delle carceri - genererebbe un’ondata di panico difficilmente controllabile. Mercoledì i responsabili dell’associazione “Antigone” avevano inviato una lettera al presidente del Consiglio Conte e al Guardasigilli Bonafede sollecitando misure urgenti da adottare per la popolazione carceraria in questi che sono i giorni del grande contagio da Covid 19. E l’altra sera il governo ha deciso. Stop ai colloqui per i detenuti con gli avvocati e uniformazione delle direttive già in vigore al Nord, dove erano stati sospesi anche quelli con i familiari, anche per gli istituti penitenziari del resto d’Italia. In prima linea sono ovviamente impegnati gli uomini del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e un ruolo importante lo stanno svolgendo in queste ore anche tutti i sindacati della Polizia Penitenziaria. Intanto proprio a Napoli si è verificato un caso inatteso e imprevedibile. Tre sere fa la polizia ha arrestato due fratelli padovani: la coppia era arrivata nel capoluogo campano, contravvenendo peraltro ad ogni buona regola dettata dalle necessità di prevenire i contagi, per acquistare una mitraglietta e centinaia di proiettili. I due sono persone già note alle forze dell’ordine, e con ogni probabilità preparavano un assalto in grande stile contro un portavalori in Veneto. Ebbene, una volta finiti in manette i due sono stati tradotti nel carcere di Poggioreale, dove hanno trascorso la prima (e unica) notte: fino a quando il giudice, nel convalidare l’arresto il giorno successivo ha disposto i domiciliari nel comune di residenza. Campania. Il Provveditore: coronavirus, anche la vita all’interno delle carceri va ripensata ansa.it, 8 marzo 2020 “Lo sforzo di adeguamento alle nuove direttive sarà notevole e anche il senso di responsabilità da parte delle persone detenute finora è stato elevatissimo”. Lo sottolinea il Provveditore delle carceri della Campania Antonio Fullone che così commenta le nuove disposizioni varate dal Governo per fronteggiare l’emergenza Coronavirus, anche nelle strutture di detenzione italiane. Adeguamento. “Noi ci stiamo adeguando alle nuove disposizioni - spiega Fullone - e lavoriamo in sinergia con le articolazioni locali del Ministero della Salute. La situazione è sotto monitoraggio. Inoltre le misure di prevenzione hanno retto bene finora: non è emerso alcun caso di positività al Coronavirus nelle nostre strutture detentive”. Nuove misure - Fullone auspica che le nuove disposizioni varate ieri “vengano accolte, accettate ma anche compensate all’interno delle carceri. Ho chiesto una nuova organizzare delle attività trattamentali - informa - in funzione al nuovo scenario che ci troviamo di fronte. Nei prossimi giorni valuteremo una serie di misure, ovviamente nel perimetro della discrezionalità delle nostre leggi, per poter compensare le nuove direttive, che sono sempre più drastiche. Il colloquio visivo con il familiare è la cosa alla quale il detenuto tiene di più e dobbiamo provvedere. Anche la vita all’interno delle carceri va ripensata: le attività scolastiche e universitarie sono state sospese e dobbiamo ripensare a come reimpiegare il tempo di queste persone, che ora sono ancora meno impegnate. Le crisi - conclude Fullone - rappresentano anche occasioni per rivedere certi aspetti della vita dei detenuti in termini qualitativi”. Sardegna. Coronavirus, allarme dei Sindacati per il trasferimento di detenuti nell’isola cagliaripad.it, 8 marzo 2020 Le organizzazioni sindacali degli agenti di Polizia penitenziaria della Sardegna esprimono “forte preoccupazione in quanto ancora oggi non sono state bloccate le traduzioni dei detenuti a livello nazionale e comunque tutte le movimentazioni da e per gli Istituti penitenziari”. Con una nota inviata al Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, al Provveditore regionale, ed ai responsabili della giustizia minorile, Sappe, Osapp, Uil Pa, Sinappe, Uspp, Fns Cisl, Cgil e Cnpp, hanno ricordato che la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha adottato provvedimenti “forti e chiaramente indirizzati al contenimento del contagio del Covid-19 a tutela della popolazione del quale non può e non deve essere esclusa quella parte che per qualsiasi motivo vive il sistema penitenziario, luogo questo facilmente contagiabile ed in cui si è intervenuti insufficientemente fino ad oggi, con poco coraggio”. I sindacati degli agenti di Polizia Penitenziaria sostengono la necessità di “misure urgenti e forti affinché venga immediatamente bloccata la movimentazione dei detenuti in tutta Italia e non solo nelle cosiddette zone rosse in quanto è scientificamente provato che nessuno è immune dal contagio se non si adottano correttamente misure adeguate e quindi atte alla salvaguardia della salute”. E denunciano che “ancora oggi arrivano in Regione detenuti trasferiti dalla penisola, in controtendenza con le Disposizioni impartite a livello regionale dal Provveditorato della Sardegna indirizzata al blocco di tutte le movimentazioni tra i penitenziari sardi, e tale modus operandi non fa che aumentare i rischi del contagio. In Sardegna si sta cercando in tutti i modi, sicuramente come si sta facendo in altre regioni, di arginare un possibile contagio all’interno delle carceri isolane ma questa azione viene annullata dalle scelte imprudenti dell’Amministrazione centrale. “Non vogliamo essere complici di un’Amministrazione poco coraggiosa nell’attuare scelte e provvedimenti forti indirizzati al contenimento del contagio. Per questo - concludono i sindacati chiediamo l’immediata interruzione di tutte le traduzioni e movimentazioni dei detenuti da e per la Regione Sardegna”. Toscana. Coronavirus, tende per il triage davanti a 9 carceri Il Tirreno, 8 marzo 2020 Serviranno a garantire ambienti dove operare un filtraggio sui nuovi detenuti prima del loro ingresso in carcere. Tende mobili dedicate al triage sanitario per l’emergenza Coronavirus sono state allestite all’ingresso di nove carceri della Toscana. Lo rende noto la Regione. Come quelle davanti ai pronto soccorso degli ospedali, spiega una nota, le tende serviranno a garantire ambienti dove operare un filtraggio sui nuovi detenuti prima del loro ingresso in carcere. Le tende, di proprietà del Ministero dell’interno, sono state allestite dalla Protezione civile regionale, grazie al supporto delle associazioni di volontariato, in collaborazione con prefetture, Città metropolitana e Province. Ne sono già stati dotati a Firenze gli istituti di Sollicciano e la casa circondariale a custodia attenuata Gozzini, le carceri di Prato, Porto Azzurro (Livorno) all’Isola d’Elba, San Gimignano (Siena), Livorno, Pisa, Massa (Massa Carrara) e Volterra (Pisa). Salerno. Stop ai colloqui con i familiari, scoppia la rivolta dei detenuti di Felice Naddeo Corriere del Mezzogiorno, 8 marzo 2020 La violenza nel carcere di Fuorni, a Salerno, esplode nel primo pomeriggio di un sabato di visite. All’esterno i familiari in attesa davanti ai cancelli. All’interno della casa circondariale, invece, la notizia della sospensione dei colloqui per l’emergenza Coronavirus si sparge tra i detenuti con una velocità superiore al contagio da Covid 19. Non c’è più nulla che possa contenere l’ira dei reclusi. La rivolta monta in pochi attimi, favorita anche dalla opportunità che hanno i detenuti di muoversi con parziale libertà durante le attività pomeridiane. Circa duecento reclusi - secondo quanto ricostruito dai dirigenti dell’Uspp, l’Unione dei sindacati di polizia penitenziaria - si armano con quanto a disposizione. Bastoni di legno, ottenuti dai piedi dei tavoli, e mazze di ferro recuperate distruggendo i letti nelle celle, diventano strumenti di distruzione. Gli agenti non possono che indietreggiare, cercare di fare azioni di contenimento per evitare lo scontro, mentre si cerca la strada del dialogo e non della repressione. Ma nel frattempo, il gruppo di rivoltosi passa all’azione e devasta un piano del carcere. Annientando tutto ciò che compare lungo il tragitto. Poi la sommossa, che potrebbe aver avuto in alcuni boss la mente lucida nell’adottare una puntuale strategia, si sposta verso il tetto della casa circondariale dopo aver abbattuto le protezioni in ferro che impediscono l’accesso alla parte alta del carcere. Ed è qui che prosegue la contestazione dei detenuti, mentre davanti al cancello dell’istituto di pena, tra i familiari dei reclusi che si sono radunati per protestare ma soprattutto per chiedere chiarimenti sulle condizioni dei propri cari, sfrecciano le auto di polizia e carabinieri arrivate per potenziare il numero di agenti presenti nella struttura. Dopo alcune ore di trattative e di avvertimenti per una possibile un’azione di repressione, i detenuti hanno deciso di rientrare nelle proprie celle. Lasciando alle loro spalle uno scenario di devastazione. “Proteste simili a quella di Salerno, per fortuna subito rientrate, si sono registrate anche nell’istituto penitenziario di Carinola e nel carcere napoletano di Poggioreale - rivelano il segretario regionale e il presidente dell’Uspp, Ciro Auricchio e Giuseppe Moretti - questo ennesimo momento di criticità però connota la precaria realtà del carcere salernitano per il quale sono necessari interventi immediati e un potenziamento dell’organico di agenti”. Chiusa la contestazione, si apre però la polemica politica. Matteo Salvini esprime “massimo sostegno alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria - dice il leader della Lega - legge e pugno di ferro con chi sbaglia”. Gli fa eco il parlamentare di Fratelli d’Italia, Edmondo Cirielli: “Quanto avvenuto a Salerno è l’ennesima dimostrazione che Bonafede non è adeguato per ricoprire la complicata funzione di ministro della Giustizia. Si dimetta subito”. E il sottosegretario alla Difesa, il pentastellato Angelo Tofalo, ribadendo che “malcontento e disagio non possono assolutamente giustificare azioni violente”, plaude al lavoro degli agenti che hanno riportato l’ordine nel carcere di Salerno. Salerno. Antigone: cresce la preoccupazione tra i detenuti e i famigliari degli stessi di Andrea Oleandri* Comunicato stampa, 8 marzo 2020 “Sta crescendo la preoccupazione tra i detenuti e i famigliari degli stessi. Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto decine di chiamate e e-mail da parenti di reclusi. Ci si rende conto che se il coronavirus arrivasse a contagiare qualche detenuto potrebbe in breve tempo diventare un problema enorme e difficilmente gestibile. Di fronte a restrizioni di ogni forma di comunicazione con i famigliari e con l’esterno, come avevano purtroppo previsto, stanno dunque aumentando le tensioni. Ai detenuti va spiegato quello che sta accadendo affinché possano anche loro esserne pienamente consapevoli”. Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. “Quando siamo arrivati a Salerno - commenta Luigi Romano, presidente di Antigone Campania - abbiamo trovato il carcere presidiato dalle forze dell’ordine con anche il Questore sul posto, mentre all’interno stavano operando i reparti antisommossa della celere e dei carabinieri. La rivolta si è scatenata nel padiglione dei comuni, dopo che i detenuti hanno appreso dal tg nazionale la notizia delle restrizioni prevista nei nuovi decreti per i colloqui. Il reparto è stato messo a soqquadro e alcuni detenuti sono saliti sul tetto. Fuori dal carcere - conclude Romano - abbiamo parlato con i detenuti in semilibertà preoccupati per le restrizioni che i decreti farebbero ricadere anche su di loro e sugli articoli 21 (i detenuti che svolgono lavori all’esterno)”. “Anche se non si può giustificare il ricorso alla violenza, la paura dei detenuti va compresa. Per questo non devono esserci ritorsioni verso coloro che sono stati coinvolti nella protesta. Ci appelliamo ancora una volta al governo affinché vari misure d’urgenza per rispondere a questa situazione: portare le telefonate a 20 minuti al giorno, anziché gli attuali 10 minuti a settimana, e favorire la concessione di provvedimenti di detenzione domiciliare e affidamento per tutti coloro che sono a fine pena e hanno fatto un positivo percorso penitenziario”, conclude Gonnella. *Ufficio Stampa Associazione Antigone Vicenza. Positivo al coronavirus agente della Polizia penitenziaria di Emanuela Carucci Il Giornale, 8 marzo 2020 L’uomo, un 28enne, è in coma farmacologico, ma le sue condizioni sono lievemente migliorate. È risultato positivo al coronavirus anche un agente di polizia penitenziaria di 28 anni in servizio presso la casa circondariale di Vicenza. L’uomo aveva da qualche giorno l’influenza, poi aggravatasi. Ora è stato sottoposto alla ventilazione forzata, ma le sue condizioni sono in lieve miglioramento e potrebbe tornare a respirare da solo. Il poliziotto è ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale “San Bortolo” del capoluogo veneto. Al momento della conferma della positività, l’azienda sanitaria, la Ulss n. 8 di Vicenza, si è riunita urgentemente con il direttore ed il comandante dell’istituto di pena e ha immediatamente provveduto a trasmettere all’istituto il vademecum con le indicazioni da adottare “per la gestione dei casi asintomatici di pazienti con ili (patologie polmonari) o di contatti stretti in isolamento domiciliare”. È quanto si legge in una nota del ministero della giustizia che continua “Agli operatori penitenziari è stato raccomandato di segnalare immediatamente all’unità sanitaria dell’istituto eventuali sintomi di malattia, in particolare difficoltà respiratorie e/o febbre superiore a 38 gradi: in tal caso sarà subito avvisato il servizio di igiene pubblica che provvederà ad effettuare il cosiddetto tampone presso appositi ambulatori dell’ospedale civile”. Non si rilevano, al momento, casi di sospetto contagio fra i detenuti del carcere vicentino, secondo quanto dichiarato in una nota dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Non è stato, inoltre, ritenuto necessario sottoporre ad isolamento sanitario il poliziotto penitenziario che condivide la stanza in caserma con l’agente contagiato, poiché quest’ultimo aveva usufruito di congedo ordinario dall’8 al 18 febbraio e il suo compagno di camera, a sua volta, dal 19. Inoltre, dall’unica notte passata insieme nello stesso locale sono già decorsi senza complicazioni i quattordici giorni previsti dalla quarantena, scaduti il 3 marzo scorso. “Il coma farmacologico serve per aiutarlo nella respirazione. È una situazione complessa, siamo seriamente preoccupati”, dice in una nota Luigi Bono, segretario provinciale di Vicenza del Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria). Il carcere di Vicenza ospita circa quattrocento detenuti e vi lavorano duecento agenti penitenziari, come si legge sul sito del sindacato. “Riceviamo tante telefonate da colleghi preoccupati. Chiediamo - conclude Bono - che si proceda a una verifica immediata delle condizioni sanitarie degli operatori penitenziari in servizio a Vicenza e dei detenuti presenti nella struttura”. Gradisca d’Isonzo (Go). Corbatto eletta Garante dei detenuti, si occuperà del Cpr di Luigi Murciano Il Piccolo, 8 marzo 2020 È la gradiscana Giovanna Corbatto la figura professionale scelta dall’assemblea civica di Gradisca per ricoprire il delicato ruolo di Garante comunale per i diritti delle persone private della libertà personale. Sarà il primo garante comunale in Italia ad operare in una cittadina ove è presente un Cpr, il “carcere per migranti” irregolari sito all’ex caserma Polonio. Classe 1981, già capo area immigrazione della Caritas diocesana e oggi componente dell’Ufficio per le politiche Migratorie e Protezione Internazionale e dell’Ufficio Europa di Caritas Italiana, Corbatto riceverà formalmente la nomina dal sindaco della Fortezza, Linda Tomasinsig, grazie all’esito della votazione del consiglio comunale di giovedì sera. “Ringrazio il sindaco ed il consiglio per la fiducia - il primo commento di Corbatto. È un compito di responsabilità, ho la consapevolezza che non verrò lasciata sola. I primi passi saranno con le istituzioni che gestiscono la struttura, poi sarà necessario un primo ingresso per comprendere le dinamiche e la situazione interna”. Corbatto è stata eletta con maggioranza semplice al terzo spoglio della votazione, svoltasi a scrutinio segreto. Nelle prime due tornate non era stata raggiunta la maggioranza richiesta di 2/3 dei consiglieri. Recentemente premiata dall’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, per il suo impegno a favore del progetto per i Corridoi Umanitari, Corbatto ha riportato 10 voti. Totalmente staccati gli altri candidati: un voto per l’avvocato del Lavoro Marco Giovanni Rocco Barone di Ronchi dei Legionari; a secco sia Gianni Cavallini, già direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Aas numero 2, sia Tullio Donda, filosofo e docente isontino; tre invece le schede bianche, riconducibili alla Lega. Il Carroccio inizialmente si era espresso positivamente sulla creazione della figura del garante, provvedimento votato all’unanimità dal consiglio. Ma ha poi preso le distanze, accusando il sindaco Tomasinsig di “avere fatto venire meno i presupposti di collaborazione” a seguito della morte dell’ospite georgiano Vakthang Enukidze. Tre le ragioni espresse dal capogruppo leghista Massimiliano Cattarin: “La visita del Garante nazionale, casualmente e tempestivamente accompagnato dalla parlamentare Serracchiani; quella del deputato Magi, che senza contraddittorio ha fornito una ricostruzione faziosa sull’operato delle forze dell’ordine; e, infine, la visita non istituzionale del sindaco a Zugliano, ove senza consultare il consiglio ha espresso la sua posizione pro chiusura del Cpr che non ci vede concordi. Ci siamo sentiti usati politicamente: inevitabile ora avere dei dubbi sull’imparzialità dei candidati”. Accuse respinte al mittente da Tomasinsig. “Inopportuno e grave fare questo tipo di insinuazioni - ha affermato il sindaco -. Quanto alla posizione espressa a Zugliano, la contrarietà dell’amministrazione al Cpr è nota da tempo e non credo di dover chiedere il permesso di ribadirla”. Teramo. La Cgil lancia l’allarme per il carcere di Castrogno Il Centro, 8 marzo 2020 “Pochi agenti e troppi detenuti: sono 410 ma la capienza del carcere è di 250”. Una delegazione della Fp Cgil, il sindacato della pubblica amministrazione, visita il carcere di Castrogno e lancia l’allarme - come hanno già fatto più volte altri sindacati - per la carenza di agenti della Polizia penitenziaria e per il sovraffollamento dei detenuti. La visita al carcere teramano è stata effettuata, si legge in una nota della Fp Cgil, “al fine di verificare le condizioni lavorative in cui operano i poliziotti penitenziari”. A darne notizia sono Pancrazio Cordone, segretario Generale Fp Cgil Teramo, Stefano Branchi, coordinatore nazionale Fp Cgil Polizia penitenziaria, Giuseppe Merola e Roberto Cerquitelli della Fp Cgil Abruzzo Molise Polizia penitenziaria. “Abbiamo una carenza di circa 68 unità di polizia penitenziaria”, si legge nella nota diffusa ieri dai sindacalisti, “e una presenza di 410 detenuti, per lo più con problematiche psichiatriche, a fronte di una capienza di 250. Su questo servono interventi urgenti in tal senso, affinché vi siano condizioni ottimali lavorative che possano assicurare un discreto assetto organizzativo generale. Il carcere teramano, dicono ancora i sindacalisti, necessiterebbe anche “di attività migliorative e riparative sulla manutenzione ordinaria e straordinaria delle sezioni detentive, visto che vi sono delle discutibili precarietà strutturali e logistiche”. Inoltre, i rappresentanti della Fp Cgil auspicano un intervento per ripristinare le condizioni ottimali del manto della strada che collega l’istituto penitenziario di Castrogno alla città, attualmente piuttosto sconnesso, “anche in ragioni di sicurezza per lo spostamento dei mezzi impiegati in compiti di traduzioni e piantonamenti detenuti. Coinvolgeremo i vertici istituzionali e le varie articolazioni periferiche, essendo fiduciosi nella consueta collaborazione istituzionale”, conclude la nota del sindacato, “affinché vengano sortite le dovute aspettative, nell’interesse collettivo della comunità penitenziaria”. Dal carcere Punzo racconta 30 anni di teatro con i detenuti di Chiara Dino Corriere Fiorentino, 8 marzo 2020 Personaggi Punzo nell’88 ha portato il teatro nel carcere di Volterra, ora racconta la storia in un libro “La Compagnia della Fortezza è un prodotto toscano doc. Adesso lo esporto in altre 12 città d’Italia”. Guardandosi indietro Armando Punzo ha capito che qui e solo qui poteva nascere la sua Compagnia della Fortezza. Qui a Volterra, si intende, e dunque in Toscana. “Quando ci sono arrivato, nell’83, io che ero nato a Napoli, non lo sapevo ancora - ci dice - che a Firenze sarebbe stata scritta la Legge Gozzini (quella firmata dal senatore fiorentino della Sinistra Indipendente Mario Gozzini, nell’86, e volta a individuare nella pena detentiva non solo una limitazione della libertà ma un’occasione di rieducazione ndr.) E non sapevo neanche che la Toscana era stato il primo stato al mondo ad abolire la pena di morte (il 30 novembre del 1786 con l’emanazione del nuovo Codice Penale del Granduca Pietro Leopoldo ndr.)”. Un tale concentrato di attenzione al tema delle carceri, una tale sensibilità legata alla storia politica e sociale di questa terra, sono il presupposto che ha consentito di rendere possibile l’utopia della sua Compagnia. Quella nata nel carcere di Volterra e che da 32 anni fa teatro ogni giorno, mattina e sera con i detenuti, anche la domenica. Quella che gli fa dire: “La mia compagnia è un prodotto doc della Toscana”. Armando Punzo questa storia l’ha scritta nel libro uscito recentemente che s’intitola Un’idea più grande di me, ed è la sua autobiografia, sotto forma di ricordi, trasferita su carta in un dialogo con Rosella Menna (Luca Sossella editore). È un appuntamento importante anche perché di poco l’avvio dei lavori per la realizzazione del teatro stabile dentro il carcere dove finora la Compagnia della Fortezza ha usato locali di fortuna, “in due aree - spiega lui - oggi adibite a zona di passeggio”. Per il progetto il provveditorato alle Opere Pubbliche ha stanziato 1 milione e 200 mila euro. La Regione Toscana ha fatto da capofila del dialogo tra lo stesso Provveditorato, il Comune di Volterra, i ministeri coinvolti e la Soprintendenza. Adesso il piano di interventi parte davvero. E Si inizia dagli scavi preliminari che dovranno dirci se lì non ci sono resti archeologici da tutelare o se mattone dopo mattone potrà, senza ostacoli, nascere il teatro. Il radicamento con la costruzione della struttura stabile, per altro, arriva quando, con il sostegno di 12 fondazioni bancarie, l’esperienza di Punzo sta per trasferirsi in altrettante carceri di città italiane, da Palermo a Torino fino a La Spezia. Un momento di raccolta di tanti frutti, dunque, per il regista napoletano che ha sposato l’utopia con enorme successo - tanti i premi Ubu, le richieste di spettacoli in giro per Festival e teatri d’Italia - ma anche di memorie, perché: “Questo libro io avevo bisogno di scriverlo per me e per dare il giusto senso a un’esperienza che a tratti è stata raccontata in maniera esotica”. Partito nell’88 il lavoro della Compagnia di Punzo ha dato vita a spettacoli memorabili come Marat-Sade di Peter Weiss che gli è valso un Premio Ubu così come I Negri di Jean Genet e La Prigione di Kennet Brown e poi il ciclo Shakespeare. Adesso sta lavorando alla seconda parte dello spettacolo Naturae che coinvolge una compagnia di 87 detenuti. Tappa su tappa un lavoro in crescita condiviso da chi è costretto fuori dal contesto sociale. “Questo libro, per me, significa tante cose, lo considero come un romanzo di formazione, anche per la conversazione che, nelle pagine, prende vita tra me e Rossella Menna, molto più giovane di me. Ed è un romanzo di formazione volto a dimostrare una mia convinzione. Quella che mi fa dire: “non è vero che, crollate le utopie e le ideologie, non c’è spazio per sogni e progetti o per cambiare il mondo. E noi ne siamo la prova”. Punzo ricorda di essere arrivato a Volterra nell’83 per partecipare al Gruppo Internazionale L’avventura. “Finita questa esperienza scelsi di restare qui e di fare una Compagnia dentro il carcere. Ebbi parere favorevole in un mese. Dove sarebbe potuto accadere se non qui? Da allora abbiamo ribaltato la storia di questo luogo trasformandolo da Istituto di pena a Istituto di Cultura. Facendolo diventare parte integrante della città - qui arrivano spettatori, registi, scuole - invece che un corpo a sé come accade a tutti gli altri penitenziari”. Non che questi anni siano stati sempre facili: “di ostacoli - aggiunge - ne ho incontrati tanti, venivano a volte dall’alto, a volte da qualche agente che mal vedeva la nostra esperienza o anche da qualche detenuto. Ma ho sempre pensato che gli ostacoli dovevo trasformarli in opportunità e in progetti”. Grazie a questo ottimismo della volontà oggi Armando Punzo - lo ha fatto anche nel libro - inanella ricordi positivi: “Come quella volta che un detenuto chiese di restare in carcere un giorno in più per prendere parte a uno spettacolo, o la prima tournée fuori nel 2004, o, ancora, la scoperta, meravigliosa, da parte di Matteo Garrone, di Aniello Arena. Lui, Garrone, venne in carcere durante delle prove, che io sono solito filmare. Quando lo vidi interessato gli passai la telecamera e gli dissi “chi meglio di te può filmare?”. In scena c’era Aniello, sudato e vestito da clown. Matteo lo filmò e poi lo portò sul set di Reality. Oggi che Arena è uscito dal carcere è ancora una volta protagonista di un film, Ultras di Francesco Lettieri. Se non è una vittoria questa?”. Migranti. Erdogan ordina alla Guardia costiera di fermare l’esodo verso la Grecia Il Messaggero, 8 marzo 2020 Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ordinato alla Guardia Costiera di fermare i migranti che tentano di attraversare il mar Egeo per raggiungere le isole della Grecia. “Su ordine del presidente non verrà permesso ai migranti di attraversare l’Egeo, perché è pericoloso”, ha fatto sapere la Guardia Costiera turca, citata dall’agenzia Anadolu. Intanto incassata la tregua a Idlib con Vladimir Putin, il Erdogan si rituffa nel braccio di ferro diplomatico con Bruxelles, mentre il confine tra Turchia e Grecia continua a bruciare, con nuovi scontri e accuse di violenze tra le rispettive polizie di frontiera. Gli attuali accordi migratori “non funzionano più”, ha detto Erdogan in una telefonata ad Angela Merkel, chiedendo in sostanza una revisione dell’accordo sui migranti con l’Europa del 2016. Lunedì il presidente turco si recherà in visita a Bruxelles ma non si conoscono ancora i suoi incontri in programma. In Commissione c’è comunque preoccupazione per la questione migranti dopo che Ankara ha deciso di lasciare aperti i confini con l’Europa per consentire il passaggio delle migliaia di profughi in fuga dalle aree in guerra tra Turchia e Grecia. Egitto. Zaky resta nel carcere di massima sicurezza per altri 15 giorni La Repubblica, 8 marzo 2020 Sta bene. Non è stato maltrattato. È detenuto insieme a oppositori del governo e non criminali comuni, come era a Mansoura. Oggi potrà vedere la sua famiglia e ancora una volta di fronte al magistrato che esaminava il suo caso si è detto innocente. Ma Patrick George Zaky resterà in carcere per almeno altri 15 giorni. Per lo studente egiziano dell’Università di Bologna arrestato 1’8 febbraio all’aeroporto del Cairo di ritorno dall’Italia e accusato di aver diffuso informazioni dannose per lo Stato, ieri è stata un’altra giornata di attesa, finita in una delusione. La prima di fronte ai giudici di Tora, il carcere di massima sicurezza alle porte del Cairo dove è stato trasferito giovedì mattina per motivi ancora poco chiari: qui la situazione è più tesa che a Mansoura. Giornalisti e diplomatici - fra cui rappresentanti dell’ambasciata italiana, svizzera e statunitense - sono stati tenuti fuori dall’aula e non hanno potuto vedere il ragazzo. Come la sua famiglia, che ha tentato invano di fargli avere cibo e altri beni di conforto. “Probabilmente è stato spostato a Tora per essere sotto il controllo diretto delle autorità - spiega a Repubblica Hoda Nasrallah, capo del team di avvocati che difendono il ragazzo presto faremo di nuovo appello contro la legittimità della sua detenzione. Ma dubito che avremo risposte rapide”. Il prossimo appuntamento con la speranza è dunque fra 15 giorni, quando i giudici dovranno di nuovo esaminare le accuse contro il ragazzo. Davanti a loro, Patrick ha di nuovo espresso il desiderio di continuare a studiare: e nei prossimi giorni il rettore dell’Università di Bologna, Francesco Ubertini, chiederà ufficialmente all’ambasciata egiziana che gli sia consentito proseguire gli studi. Egitto. L’Alma mater manderà i libri in carcere a Zaki di Andrea Sangermano dire.it, 8 marzo 2020 Lo afferma il rettore Francesco Ubertini, commentando l’ennesima udienza negativa per il ricercatore egiziano ormai da oltre un mese in cella nel suo Paese. L’Alma Mater di Bologna prenderà contatti con l’ambasciatore egiziano perché’ a Patrick Zaki sia permesso di avere i suoi libri e di continuare a studiare anche in carcere. Lo afferma il rettore Francesco Ubertini, commentando così l’ennesima udienza negativa per il ricercatore egiziano ormai da oltre un mese in cella nel suo Paese. “Non ci arrendiamo - afferma Ubertini - continueremo ad andare avanti e a tenere alta l’attenzione sul caso finché Patrick non sarà rilasciato. Lo sconcerto e l’amarezza di aver appreso, ancora una volta, la mancata scarcerazione del nostro studente, non intaccheranno la nostra determinazione”. Il rettore dice di essere stato “molto colpito” dalle parole rivolte da Zaki alla sua famiglia, durante una delle visite in carcere, dicendo di volere i suoi libri per studiare anche in cella. “Sento il dovere, come rettore dell’Università in cui è iscritto, di soddisfare la sua richiesta- dice Ubertini- proprio in questi giorni in cui la didattica è ripresa scriverò all’ambasciatore egiziano perché’ a Patrick sia data la possibilità di proseguire gli studi. Da parte nostra ci rendiamo disponibili come Ateneo a favorire in ogni modo questa sua volontà”. Intanto in Parlamento, la senatrice M5s Michela Montevecchi continua a sollecitare perché’ sia mantenuta alta l’attenzione sulla vicenda di Zaki. Il giovane è tuttora “nel limbo - sottolinea Montevecchi - la cosa certamente preoccupa. Anche questa volta all’udienza erano presenti rappresentanti della Ue e della nostra ambasciata, oltre che i rappresentanti delle ambasciate degli Stati Uniti e della Svizzera”. Per questo, afferma la senatrice M5s, “come membro della commissione Diritti umani rinnovo la richiesta di audizione del funzionario delegato dalla Ue per continuare ad approfondire la conoscenza della vicenda e continuare a monitorarla. Sono certa che la commissione Diritti umani continuerà a tenere i fari puntati su Patrick al quale spero giunga il messaggio che non è solo”.