Coronavirus, Papa Francesco: “Evitare una tragedia nelle carceri” di Liana Milella La Repubblica, 30 marzo 2020 Durante l’Angelus Bergoglio lancia un appello per risolvere il problema del sovraffollamento nei penitenziari e per un cessate il fuoco globale nelle zone di guerra. Poco prima, nell’omelia in Santa Marta, ha rivolto un pensiero alla “tanta gente che piange” come gli anziani e i ricoverati e a coloro che non riescono a dare da mangiare ai figli a causa della pandemia. “Il mio pensiero va in modo speciale a tutte le persone che patiscono la vulnerabilità per essere costrette a vivere in gruppo” come nel caso delle “case di riposo o caserme”. “In modo speciale vorrei menzionare le persone nelle carceri. Ho letto un appunto ufficiale della Commissione dei diritti umani che parla del problema delle carceri sovraffollate” che con la pandemia del coronavirus “potrebbero diventare una tragedia”. Lo ha detto il Papa all’Angelus chiedendo di “prendere le misure necessarie per evitare” queste tragedie. Papa Francesco al termine dell’Angelus lancia un altro appello, per il cessate il fuoco in tutti i territori di guerra. “Nei giorni scorsi, il Segretario generale dell’Onu ha lanciato un appello per un “cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo”, richiamando l’attuale emergenza per il Covid-19, “che non conosce frontiere!”, ha ricordato. “Mi associo a quanti hanno accolto questo appello ed invito tutti a darvi seguito fermando ogni forma di ostilità bellica, favorendo la creazione di corridoi per l’aiuto umanitario, l’apertura alla diplomazia, l’attenzione a chi si trova in situazione di più grande vulnerabilità”, ha proseguito. “L’impegno congiunto contro la pandemia, possa portare tutti a riconoscere il nostro bisogno di rafforzare i legami fraterni come membri dell’unica famiglia umana”. In particolare il Pontefice ha auspicato da parte dei “responsabili delle Nazioni e nelle altre parti in causa un rinnovato impegno al superamento delle rivalità” perché’ “i conflitti non si risolvono attraverso la guerra”. Anzi, “è necessario superare gli antagonismi e i contrasti, mediante il dialogo e una costruttiva ricerca della pace”. Stamattina prima della messa in Santa Marta il suo pensiero è andato alla gente isolata e a quei genitori che non riescono a dare da mangiare ai figli, pregando per quanti sono nel dolore in questo periodo afflitto dall’epidemia del coronavirus. “Penso a tanta gente che piange: gente isolata, gente in quarantena, gli anziani soli, gente ricoverata e le persone in terapia, i genitori che vedono che, siccome non c’è lo stipendio, non ce la faranno a dare da mangiare ai figli. Tanta gente piange. Anche noi, dal nostro cuore, li accompagniamo. E non ci farà male piangere un po’ con il pianto del Signore per tutto il suo popolo”. Papa Francesco ha ricordato, nella domenica del pianto, che “Gesù non può non vedere la gente e non sentire compassione”. La lettura del Vangelo di oggi è tra quelle che sottolineano con particolare forza l’umanità di Cristo: la morte di Lazzaro, il suo amico, cui lui reagisce con totale umanità prima di compiere uno dei suoi maggiori miracoli, la sua resurrezione. Nell’omelia, ha affermato e ricordato un dato quasi elementare nella sua complessità teologica: “Gesù sentì dolore”. Dolore dell’uomo e dolore di Dio, allo stesso tempo. Nelle carceri senza tamponi né controlli detenuti e agenti finiscono in isolamento di Franco Giubilei La Stampa, 30 marzo 2020 I Sindacati degli agenti chiedono tamponi per chiunque acceda alle carceri. Venti giorni fa le carceri italiane venivano scosse dalle rivolte più violente degli ultimi decenni, innescate dallo stop ai colloqui coi familiari deciso per arginare il coronavirus. Ora i sindacati di polizia penitenziaria lanciano un nuovo allarme, dopo quelli sulla carenza di mascherine e protezioni in dotazione agli agenti, stavolta sul pericolo di contagio all’interno degli istituti: a partire da quello di Parma, dove “un’intera sezione detentiva sarebbe stata sottoposta a quarantena preventiva per la presenza di un detenuto che avrebbe manifestato sintomi para influenzali, verosimilmente riconducibili al Covid-19”, denunciano Sappe, Osapp e Sinappe. I sindacati protestano anche perché “da giorni chiediamo inascoltati di sottopone a tampone tutto il personale che accede in carcere, per la tutela della salute di tutti i lavoratori e degli stessi detenuti”. Solo a Parma, riferiscono le tre organizzazioni, ci sono cinque poliziotti positivi al virus oltre a “un numero assai elevato (si parla di oltre 60) posti in quarantena precauzionale”. Un’altra situazione preoccupante, fanno sapere al Sappe, sarebbe a Piacenza, ma è tutto il sistema carcerario italiano a essere sotto osservazione. Ieri è intervenuto sull’argomento anche Papa Francesco, all’Angelus: “Il mio pensiero va a tutte le persone che patiscono la vulnerabilità per essere costrette a vivere in gruppo”, “in modo speciale vorrei menzionare le persone nelle carceri”. Il Papa fa riferimento al problema del sovraffollamento, con la conseguenza che la pandemia “potrebbe diventare una tragedia”. Finora, stando ai dati del Garante nazionale delle persone private della libertà, la diffusione del coronavirus fra i detenuti sembra limitata: i positivi in tutta Italia sono 15 su poco meno di 58mila reclusi, chi ai domiciliari, chi in cella da solo e chi in ospedale. A questi vanno aggiunte “diverse centinaia di persone che sono state messe in isolamento sanitario perché sono state a contatto con dei positivi, oppure perché hanno qualche sintomo”, spiega Daniela De Robert. Per loro, gli istituti cercano di attrezzarsi allestendo celle o reparti a sé stanti. Nel frattempo, la limitazione ai colloqui che aveva fatto divampare la protesta è scaduta, ma i familiari non si recano nelle carceri per i divieti di spostarsi. A far abbassare la tensione contribuiscono i 1.500 cellulari donati dalla Tim per far dialogare a distanza i reclusi coi parenti. Se ne aggiungeranno altri 1.600 da parte di Fondazione San Paolo. La diminuzione del numero complessivo dei detenuti, dagli oltre 6lmila prima della rivolta ai 58mila attuali, ha allentato il sovraffollamento, osserva Michele Miravalle dell’associazione Antigone, ma serve ben altro per arrivare alla capienza effettiva delle carceri, pari a 50mila posti: “Il provvedimento Cura Italia prevede gli arresti domiciliari per chi ha una pena inferiore ai sei mesi, mentre chi è stato condannato da 6 a 18 mesi può uscire solo coi braccialetti elettronici, che però scarseggiano”. “Il carcere non è un mondo separato”, il Garante dei detenuti cita il Papa di Massimiliano Tamanti italiasera.it, 30 marzo 2020 Chi sbaglia paga, e su questo non ci piove. È anche vero però che, pur esercitando un ruolo punitivo, la detenzione deve saper offrire anche un’opportunità di recupero e di re-inserimento nella società. Non è certo un discorso semplice quello relativo alle carceri tuttavia, è però inumano pensare che 9 persone debbano essere costrette a convivere in una camera che può ospitarne al massimo 5! A maggior ragione in questo momento, con lo Stato che ordina a tutti di mantenere almeno un metro di distanza tra una persona e l’altra, per giunta senza guanti o mascherine, e condividendo per giunta un vissuto di per sé difficile e doloroso. “Dobbiamo ragionare sulla vita, un bene essenziale” - Una situazione al limite, che ha ricordato anche Papa Francesco, e che poco fa ha rilanciato il garante nazionale per i diritti dei detenuti, Mauro Palma: “Le soluzioni sono difficili ma vanno trovate. Chi ha responsabilità politica in questo momento non ha un compito facile: rispetto i tentennamenti, i dubbi, ma le soluzioni vanno trovate, è il momento che ce lo chiede. Non possiamo ragionare come abbiamo fatto finora. I dibattiti teorici sono importanti, ma ora il problema è la crudezza del bene essenziale che è la vita. E il Papa ce lo ha ricordato”. “Urge tutelare la salute di chi vive e lavora dentro” - Come giustamente spiega il Garante dei detenuti, “La collettività è una e non c’è una parte che può rimanere indietro per ciò che ha commesso, perché si trova dietro le sbarre. La collettività deve trovare il modo di aiutarsi reciprocamente. Questo è il primo aspetto del messaggio del Papa, in sintonia con la ricostruzione di una coesione sociale, come già aveva fatto due giorni fa dicendoci che “nessuno si salva da solo”. Il secondo aspetto - aggiunge ancora Palma - è il richiamo al fatto che c’è in gioco il bene della salute, che va al di là di qualunque idea si possa avere delle pene: possiamo essere divisi su tutto, ma ora si tratta di tutelare la salute delle persone detenute, di chi lavora in carcere e della collettività esterna, perché l’esplosione di una situazione in carcere avrebbe ovviamente riflessi sull’intera collettività”. Il Papa: “Il carcere non è un mondo separato” - Quindi, conclude il Granate citando ancora il Pontefice, “Il carcere, ci dice Francesco, non è un mondo separato, ma ci interroga tutti, perché la vicenda drammatica che stiamo vivendo ci richiama all’essere uno e non separati. Un mondo chiuso che va visto come una parte propria a cui prestare un’attenzione particolare”. Carceri sovraffollate, il Governo riuscirà ad ignorare anche l’accorato appello del Pontefice? camerepenali.it, 30 marzo 2020 La Giunta interviene nuovamente sull’emergenza carcere, dopo l’appello odierno di Papa Francesco. Papa Francesco ha voluto oggi esprimere, urbi et orbi, parole chiare sulla necessità indifferibile di interventi immediati ed efficaci sulle carceri italiane, flagellate dal più alto sovraffollamento europeo, e perciò esposte ad un rischio epidemico che solo una miopia politica ottusa ed irresponsabile può ostinarsi ad ignorare. Lo ha fatto, per di più, citando espressamente l’inequivocabile appello del Consiglio d’Europa. Il Governo sa bene che le misure varate sono solo apparenti, perché vanificate da quella ormai grottesca truffa dei braccialetti elettronici che non sono e non saranno mai tempestivamente disponibili. Dopo aver ignorato gli appelli di noi penalisti italiani, della intera magistratura in tutte le sue più autorevoli articolazioni, del Consiglio Superiore della Magistratura, delle Università, degli operatori penitenziari, del volontariato, dello stesso Presidente Mattarella, questo Governo saprà ignorare anche il solenne appello del Pontefice? È mai possibile che il timore della impopolarità prevalga fino a questo azzardo cinico ed irresponsabile? La Politica sappia recuperare, in un momento così grave, la dignità, la forza ed il senso di responsabilità che le dovrebbe competere. La Giunta Coronavirus. Miceli (Pd): affrontare l’emergenza carceri con misure coraggiose deputatipd.it, 30 marzo 2020 “Sull’emergenza carceri il Governo faccia scelte coraggiose. Dopo l’invito di Papa Francesco e le parole del Garante dei diritti dei Detenuti, si abbia la forza di decongestionare i nostri penitenziari senza fare necessariamente ricorso ai braccialetti elettronici. Chi pensa di potere usare questi strumenti per migliaia di detenuti dovrebbe prima verificare se, alle condizioni attuali, le nostre forze di polizia sono in grado di farsi carico dello sforzo connesso ai sopralluoghi preventivi, ai controlli successivi e agli eventuali interventi straordinari connessi ad un numero così elevato di braccialetti. Non considerare questo aspetto significa sottovalutare la possibilità che qualsiasi provvedimento rimanga lettera morta. Se vogliamo davvero evitare il rischio di un contagio di massa tra reclusi e agenti di polizia penitenziaria, senza perdere ulteriore tempo, si adotti una forma speciale di detenzione domiciliare temporanea la cui durata sia direttamente connessa alla durata dell’emergenza epidemiologica”. È quanto dichiarato in una nota da Carmelo Miceli, componente Commissione Giustizia della Camera e Responsabile Sicurezza Pd. Mille e 100 nuovi agenti. Rinforzi nei penitenziari dopo le rivolte di Marzia Paolucci Italia Oggi, 30 marzo 2020 Le misure messe in campo dal ministero per l’emergenza virus. Emergenza coronavirus: nell’eccezionalità del momento e dopo le rivolte dell’8 marzo scorso scoppiate in 27 carceri del paese, al sistema penitenziario italiano arriva un’iniezione di oltre 1.100 nuovi agenti della polizia penitenziaria. Messi in campo dal ministro Bonafede, senza aver avuto neppure il tempo di terminare il proprio periodo di formazione, sono lo specchio di una situazione senza precedenti a cominciare dalle cinque circolari emesse in un mese dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia in tema di procedure sanitarie per i detenuti negli istituti, disposizioni per le traduzioni da e verso gli istituti e misure anti contagio per il personale di polizia penitenziaria. In primo piano un’emergenza nell’emergenza, il carcere con i suoi 61.230 detenuti: oltre dodicimila in più a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 detenuti registrata dalle statistiche del ministero al 29 febbraio 2020. Un sovraffollamento ora reso ancor più pericoloso dal pericolo di diffusione del contagio da Covid-19. Nel decreto legge n. 18 del 17 marzo scorso battezzato Cura Italia, le norme chiave per il nostro sistema penitenziario sono quattro e contenute negli articoli 83, 86, 123 e124. Il primo, l’articolo 83, comma 16, ha sospeso dal 9 marzo al 22 marzo scorso i colloqui negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni tre detenuti e familiari, da svolgersi a distanza con telefonate e videochiamate autorizzabili anche oltre i limiti di legge. Prorogata, invece, al 31 maggio 2020,1a sospensione dei permessi premio da parte della magistratura di sorveglianza. L’articolo 86 destinato a “misure urgenti per il ripristino della funzionalità degli Istituti penitenziari e per la prevenzione della diffusione del Covid-19” autorizza invece la spesa di 20 milioni di euro nell’anno 2020 per la realizzazione di interventi urgenti di ristrutturazione e di rifunzionalizzazione delle strutture e degli impianti danneggiati e per l’attuazione delle misure di prevenzione per il contrasto e il contenimento del virus anche in carcere. E a determinare in concreto i casi di detenzione domiciliare, ci pensa l’articolo 123 in base al quale, fino al 30 giugno 2020, su istanza e previa esclusione di casi particolari, la pena non superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, si sconta presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. Tuttavia, per chi abbia una pena o un residuo inferiore a 18 mesi ma superiore ai 6, è prevista l’applicazione del braccialetto elettronico secondo un programma di disponibilità da definirsi dall’Amministrazione penitenziaria di concerto con il capo della polizia entro dieci giorni dall’entrata in vigore del decreto legge. L’articolo 124 riguarda invece le persone detenute che sono in regime di semilibertà e prevede che siano loro concesse delle licenze fino al 30 giugno 2020 così da liberare spazi per le esigenze interne degli istituti. Nella corsa delle aziende del paese incentivate all’autoproduzione di mascherine chirurgiche, il 23 marzo scorso è partita anche quella dei presidi sanitari autoprodotti dalle sartorie interne alle carceri da Biella a Taranto, laboratori sartoriali riconvertiti per la fabbricazione di questi dispositivi. Una produzione che una volta a regime, stima il Dap, potrebbe sfornare circa 10 mila pezzi al giorno. Per quanto riguarda i tamponi, si prevede invece che i detenuti già presenti in istituto, in caso di sintomatologia compatibile con il Covid-19, siano temporaneamente sistemati in isolamento dove saranno visitati dal medico e, se necessario, sottoposti a tampone. Una nuova circolare Dap del 20 marzo scorso ha poi previsto la temporanea dispensa dal servizio in caso di esposizione al rischio di contagio per la polizia penitenziaria. E in caso di prescrizione del tampone da parte del medico su un detenuto da trasferirsi in altro istituto, prima della traduzione, si dovrà aspettare necessariamente l’esito negativo del tampone. Quanto al triage a cui sottoporre detenuti e personale, al 18 marzo scorso, gli istituti dotati di una tensostruttura per il triage, sono risultati 120, il 63% dei 190 istituti del paese. Nei restanti istituti dove non è presente la tensostruttura, sono stati intanto individuati e resi funzionanti locali idonei allo svolgimento del triage. Ma non finisce qui perché, in aggiunta ai mezzi già previsti, è prevista da parte di Tim la distribuzione di 1600 telefonini con altrettante sim-card ai provveditorati regionali e di lì agli istituti penitenziari territoriali così da ampliare la possibilità di chiamate e videochiamate dei detenuti ai familiari. La prima cosa bella di Gabriele Romagnoli La Repubblica, 30 marzo 2020 I consigli per la quarantena di un ex detenuto, abituato, in molti anni di carcere, a lunghi periodi di isolamento. Me li ha mandati a puntate, per messaggio sul cellulare, ora che è libero e lontano, ma di nuovo chiuso in una stanza. Per lui è un’esperienza già provata e da cui ha tratto insegnamenti. Questi: 1) Ricordati che mentre tu sei recluso, isolato, perfino fossi in infermeria, c’è chi altrove sta nel braccio della morte. 2) Non fare mai il conto alla rovescia, dimentica ogni possibile data di fine pena perché magistrati e destino possono giocare con te, trovare mille ragioni per spostare più avanti la tua liberazione. 3) Le giornate non devono sembrarti tutte uguali, devono essere tutte uguali. Ogni variazione può rendere difficile la seguente. Se leggi: lo stesso numero di pagine ogni giorno. Se fai ginnastica: gli stessi esercizi. Regola il sonno, regola tutto. Rendi la vita ipnotica come una lancetta che scorre. 4) Impara una qualunque cosa che non conoscevi. 5) Non ricordare e non fantasticare, vivi nel presente, anche se è fatto di poco o nulla. 6) Ricordati che non sei innocente, comunque. 7) La fede aiuta, ma o ce l’avevi prima o non vale. 8) Prova con la telepatia, ma con una sola persona. 9) Finirà e quando accadrà abbassa la testa, ringrazia e vai. Appello del Regina Pacis per minori, disabili e detenuti di Carlo Lettieri segnideitempi.it, 30 marzo 2020 “È una crisi sanitaria, ma anche sociale e psicologica”. La crisi che stiamo affrontando non è esclusivamente sanitaria, ma anche sociale, economica, psicologica, soprattutto nel Sud Italia. Dalle realtà impegnate in prima linea a favore dei più bisognosi, che non hanno chiuso le porte per la paura del contagio, ma al contrario hanno potenziato le loro attività di accoglienza e sostegno, arriva un invito ad attivare soluzioni coraggiose ed importanti. Significativo l’appello del direttore della Fondazione Regina Pacis, don Gennaro Pagano, affinché vengano individuate soluzioni “capaci di tener conto del bene integrale della persona e delle fasce più marginali della popolazione”. “Più volte - sottolinea don Gennaro - ho sentito ripetere da qualcuno che l’epidemia da covid-19 è democratica in quanto potenzialmente coinvolge tutti: se lo è dal punto di vista biologico e medico non lo è dal punto di vista sociale. Siamo nel bel mezzo di una crisi che non è più esclusivamente sanitaria ma anche psicologica, sociale, economica. Pertanto credo, con i mezzi che solo chi governa e amministra può immaginare, anche questi altri tre criteri (psicologico, sociale, economico) debbano essere utilizzati con maggior centralità, nell’ambito della riflessione politica e sociale”. Il direttore evidenzia che alcune fasce di “marginalità sociale” soffrono più di altre in questo momento. Fa riferimento ai minori, “bombardati da continui bollettini di guerra, respirano un senso di insicurezza” che impongono la presenza, immediata ed urgente, di adulti che siano per loro punto di riferimento. I genitori devono essere rassicuranti e non trasmettere le loro ansie, seppure comprensibili. Va potenziata l’attività di maestri, insegnanti, educatori, operatori per offrire un sostegno ai genitori nel compito educativo e di cura. Impegnato come cappellano nell’istituto penale minorile di Nisida, don Gennaro parla della situazione dei detenuti: “Privi dei colloqui, delle occasioni ricreative organizzate dal volontariato carcerario, delle attività formative e laboratoriali si troverebbero a fare i conti con un tempo vuoto, generatore di malessere interiore e di dinamiche pericolose”. Poi una riflessione a favore dei disabili. Sono stati chiusi i centri specializzati e sospese le attività socio-educative; in molte zone del paese è stata interrotta l’assistenza domiciliare, questo comporta “un’inevitabile ricaduta psicologica su molte persone con disabilità e lascia sprofondare in un senso di stanchezza e di indicibile solitudine molte delle loro famiglie”: “Occorre fare qualcosa in tal senso - conclude il giovane sacerdote - per evitare delle vere e proprie tragedie familiari” (scarica il testo dell’appello di don Gennaro Pagano). A Quarto la Cittadella dell’Inclusione non ha sospeso l’accoglienza, offrendo ospitalità alle donne immigrate e bisognose d’aiuto; non ha sospeso l’attività di sostegno alle famiglie, organizzando la consegna a domicilio della spesa; ha potenziato l’azione di supporto psicologico; ha attivato diversi laboratori per bambini tramite i social, creando anche “Favole al telefono” (per info su facebook fondazione “centro educativo diocesano regina pacis”). L’apporto dei volontari non manca. Le restrizioni per gli spostamenti, anche tra comuni diversi, non bloccano chi vuole impegnarsi nella solidarietà. L’ordinanza (n. 23 del 25 marzo) del presidente della Regione Campania fa riferimento proprio “agli operatori impegnati nell’assistenza ai singoli cittadini indigenti e/o soli, nonché nelle attività di volontariato per l’aiuto alimentare o farmaceutico”. I servizi sociali e il Terzo Settore non hanno alibi e non devono scoraggiarsi. Come ha sottolineato anche il Papa, “siamo sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari”. Stupefacenti, attenuante della speciale tenuità anche per il “piccolo” spaccio di Andrea Alberto Moramarco Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2020 Tribunale di Genova - Sezione II penale - Sentenza 4 luglio 2019 n. 2693. La circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità, di cui all’articolo 62 n. 4 cod. pen.,è compatibile con la fattispecie di cessione di stupefacenti di lieve entità, prevista dall’articolo 73 comma 5 del D.P.R. n. 309/1990, qualora la condotta del reo abbia procurato un lucro in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale, stante la differente natura giuridica e i diversi presupposti applicativi previsti dalle due norme. A sottolinearlo è il Tribunale di Genova con la sentenza n. 2693/2019. La vicenda - La decisione del giudice ligure riguarda un uomo di nazionalità marocchina il quale veniva sorpreso da alcuni agenti di Polizia mentre cedeva una bustina contenente 0,5 grammi di cocaina verso il corrispettivo di 30 euro. Dopo l’arresto e la convalida, l’uomo veniva processato per rispondere del reato di cessione di stupefacenti, in relazione alla fattispecie attenuata di cui all’articolo 73 comma 5 del D.P.R. n. 309/1990. Alla luce dell’evidente prova dei fatti contestati all’imputato, il Tribunale emette un verdetto di condanna per il reato di lieve entità in materia di stupefacenti ritenendo altresì applicabile, anche in tale ipotesi, la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità. La configurabilità dell’attenuante - Quanto alla fattispecie ex comma 5 dell’articolo 73 del testo unico in materia di stupefacenti, il giudice ribadisce che la condotta di lieve entità è da considerarsi oggi come autonomo titolo di reato, “avuto riguardo alla concreta portata offensiva del fatto accertato, il quale per le sue caratteristiche relative ai “mezzi”, alle “modalità”, alle “circostanze dell’azione” ovvero alla “quantità” e alla “qualità” della sostanza”, si rivela di trascurabile entità e minimamente pericoloso; proprio come avvenuto nel caso di specie ove è stato ceduto un modestissimo quantitativo di cocaina. Quanto, invece, alla circostanza attenuante ex articolo 62 n. 4 cod. pen., il giudice afferma che ormai per consolidato orientamento giurisprudenziale la circostanza attenuante del danno economico di speciale tenuità “può trovare applicazione non solo ai reati che ledono il bene giuridico del patrimonio ma altresì ad ogni tipo di delitto purché commesso con scopo di lucro”. La stessa attenuante, inoltre, trova applicazione anche al delitto di cessione di stupefacenti di cui al comma 5 dell’articolo 73 D.P.R. n. 309/1990 “se la stessa ha procurato un lucro in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato da un ridotto grado di offensività o disvalore sociale”. Peraltro, sottolinea il giudice, tra la lieve entità in tema di stupefacenti e il generale danno di speciale tenuità vi è una differente natura giuridica, ovvero circostanza e titolo autonomo di reato, e la non piena coincidenza dei loro elementi costituivi, posto che l’attenuante prevista nella parte generale del codice penale “richiede, rispetto al “fatto lieve”, un elemento specializzante costituito dall’avere l’agente perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità che esclude che dallo stesso dato materiale discenda una duplicazione di benefici sanzionatori”. Effetti della revoca del mandato al difensore. Selezione di massime Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2020 Difesa e difensori - Rifiuto, rinuncia o revoca - Revoca difensore di fiducia - Esplicazione effetti - Condizioni. La revoca dell’incarico al difensore, così come l’atto di rinuncia, non esplica effetti finché la parte non risulti assistita da un nuovo difensore, di fiducia o nominato d’ufficio, e non sia decorso il termine congruo di cui all’art. 108 c.p.p., non inferiore a sette giorni, previsto per consentire al nuovo difensore di prendere cognizione degli atti e conoscere dei fatti oggetto del procedimento. [Nel caso di specie, dopo la revoca del mandato all’avvocato, non risultava intervenuta alcuna nomina di nuovo difensore, onde nessun effetto è stato riconosciuto alla predetta revoca]. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 17 marzo 2020 n. 10341 Procedimenti speciali - Giudizio abbreviato - In genere - Procura speciale rilasciata al difensore per la richiesta di rito abbreviato - Revoca del mandato - Effetti - Revoca automatica della procura speciale - Esclusione - Ragioni. La procura speciale per la richiesta di rito abbreviato, ancorché conferita al difensore contestualmente nominato, è atto distinto dalla nomina del medesimo a patrocinatore; ne consegue che la revoca del mandato fiduciario non comporta l’automatica revoca della procura speciale, che può essere effettuata soltanto con un atto avente una delle forme prescritte per il conferimento dei poteri, da depositarsi presso la cancelleria del giudice o la segreteria del pubblico ministero procedente. (In motivazione la Corte ha aggiunto che, in caso di dubbio, il giudice potrà, comunque, verificare l’effettiva persistenza della volontà dell’imputato di farsi rappresentare da colui che non è più suo difensore). • Corte di cassazione, sezione I, sentenza 6 agosto 2019 n. 35703. Difesa e difensori - Rifiuto, rinuncia o revoca - Revoca difensore di fiducia - Nomina di nuovo difensore ex art 97 comma 1 cod. proc. pen. - Richiesta di rinvio dell’udienza ex art. 108 cod. proc. pen. - Rigetto - Possibilità - Condizioni - Fattispecie. In materia di diritto di difesa, il giudice legittimamente non accoglie l’istanza di rinvio avanzata ai sensi dell’art. 108 cod. proc. pen. dal nuovo difensore, nominato ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen. in sostituzione di altro revocato, quando l’istanza sia un espediente per procrastinare la definizione del procedimento in violazione dei doveri di lealtà e correttezza che devono orientare l’esercizio del mandato difensivo e delle facoltà processuali. (Nella specie, l’imputato dopo avere saputo che l’udienza del processo, fissata da tempo per la rinnovazione dell’esame da lui stessa richiesta di numerosi testi presenti in aula, era stata rinviata al pomeriggio, in tarda mattinata aveva presentato in cancelleria la revoca del mandato al suo difensore di fiducia). • Corte di cassazione, sezione V, sentenza 29 maggio 2019 n. 23884 Difensore penale - Revoca - Nomina di un nuovo difensore - Concessione del termine a difesa al difensore subentrante - Diritto del difensore - Attività che possono essere compiute durante la decorrenza del termine. L’articolo 108 del Cpp, in uno con il precedente articolo 107, prevede che, in caso di revoca del difensore, la concessione del termine per la difesa sia oggetto di un vero e proprio diritto del nuovo difensore, salva sempre l’operatività effettiva della revoca solo dopo il decorso del termine stesso. Durante la decorrenza di detto termine concesso al difensore subentrato a quello revocato, il giudice, come previsto dall’articolo 107, comma 3, del codice di procedura penale, può legittimamente compiere (continuando ad avvalersi del difensore originario, ovvero sostituendolo ai sensi dell’articolo 97, comma 4, del Cpp) solo le attività processuali il cui svolgimento risulti in concreto compatibile con il decorso del predetto termine, essendo, invece, tenuto al differimento delle altre, in particolare della discussione e della pronuncia della sentenza. • Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 7 novembre 2018 n. 50333. Difesa e difensori - In genere - Rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa - Fatti accaduti nell’immediatezza della celebrazione del giudizio - Diritto alla concessione del termine per la difesa - Sussistenza. Il diritto alla concessione di un congruo termine per la difesa nei casi di rinuncia, revoca, incompatibilità e nel caso di abbandono da parte del precedente difensore può essere esercitato pur quando detti fatti, e la conseguente nomina del nuovo difensore, si siano verificati nell’immediatezza della celebrazione del giudizio. • Corte di cassazione, sezione II, sentenza 11 aprile 2008 n. 15413. Difesa e difensori - Rifiuto, rinuncia o revoca - Mandato al primo difensore. Nel caso in cui, l`imputato, senza revocare espressamente il precedente difensore, nomini durante il giudizio d`appello altro difensore di fiducia, e solo di questi in concreto si avvalga, concentrando su di esso la propria scelta, a lui affidando la propria difesa in ogni atto, adempimento o parte del procedimento di secondo grado, di guisa che il difensore prescelto, e solo questi in modo personale, diretto e autonomo abbia espletato l’incarico affidatogli, deve ritenersi per “facta concludentia” ed inequivocabilmente, l`intento dell`imputato stesso di affidare le attività defensionali al solo difensore che lo ha effettivamente assistito, e quindi, in sostanza, di revocare il mandato all’altro difensore. • Corte di cassazione, sezione V, sentenza 13 agosto 1998 n. 9478. Vita dei detenuti, vita da detenuti di Marcello Matté settimananews.it, 30 marzo 2020 Sono cappellano al carcere della Dozza. In questi giorni mi sento molto “confratello” dei vostri parroci e di quanti esercitano un ministero pastorale verso questa porzione di Chiesa costretta agli “arresti domiciliari”. In questi giorni sentiamo il peso di dover stare in casa. “Loro” sono costretti - senza deroghe - a stare in un edificio che si chiama casa (circondariale) ma casa non è. Voi da innocenti, “loro” a convivenza stretta col proprio rimorso (e a volte anche con la certezza della propria innocenza). (Penso anche ai tanti, troppi, che starebbero volentieri in casa se solo ne avessero una). Ordine e separazione In questi giorni, come le persone detenute, dobbiamo stare al chiuso perché ciascuno può essere una minaccia all’incolumità dell’altro. Benché, a differenza delle persone detenute, voi siate innocenti. Sperimentiamo quanto sia insopportabile sentirsi inclusi dentro una zona rossa dove ciascuno è pericoloso per il semplice fatto di abitarci. E senza nemmeno conoscere la data del “fine pena”. In questi giorni, come i reclusi e le recluse, molti, troppi sperimentano la solitudine e l’isolamento. Il dramma nel dramma di questa pandemia è che separa dai propri cari proprio mentre si avrebbe più bisogno di una vicinanza affettuosa. Si è costretti a soffrire e perfino a morire senza che alcuno possa tenerti per mano, e, viceversa, senza poter tenere la mano della persona amata che soffre. Non poter essere presenti al momento della malattia, dell’agonia, dell’ultimo saluto: esperienza comune (e disumana) del condannato, ora esperienza degli innocenti. In questi giorni, l’impossibilità di incontrare i propri cari a colloquio ha innescato una miscela di rabbie che è esplosa in una violenza senza giustificazione alcuna e, peggio, senza una finalità. Possiamo, in soggettiva, comprendere il dolore per tutti quegli innocenti che devono subire la pena indiscriminata di non poter vedere nemmeno per un’ora il marito, la moglie, il figlio o figlia, il papà o la mamma che si trovano nella zona ancor più rossa del carcere. In questi giorni l’incontro con la porzione di Chiesa, che vive da sempre reclusa, è precluso a me e a quanti - ministri, volontari, semplicemente amici - cercano ogni giorno di tessere la tela di rapporti umani che possano ospitare il desiderio di Dio: lui si accontenta di un quorum molto basso (due o tre) pur di abitare in mezzo a noi. Non ha bisogno di chiese affollate. Tantomeno di carceri sovraffollate. Tela di Penelope, perché a ogni giorno succede una notte nella quale un qualche maligno - cangiante come un virus - semina la zizzania della divisione, del rifiuto, dell’esclusione. Non smettiamo di tessere, perché ad ogni notte succede un giorno. In questi giorni non possiamo celebrare l’eucaristia. La pandemia ci sta costringendo a una forma del nostro essere Chiesa che ci farebbe bene capire comunque. La vita cristiana e la vita di Chiesa nascono molto scarne nelle manifestazioni esteriori e l’eucaristia, che pure è “fonte e culmine” della vita di fede, non si identifica con le forme che nella storia ha assunto e che l’hanno portata, anche nel nostro tempo, a essere “la” forma della liturgia e della vita di Chiesa. Ma “in principio non fu così”. La pandemia ci sta togliendo alcune forme preziose e incastonate (cosa molto positiva in sé) nell’espressione quotidiana e ordinaria della nostra vita di fede. Possiamo vivere questi momenti come invito a riscoprire l’essenza della nostra vita ecclesiale. Ritrovare il significato e il gusto della Chiesa domestica. Riscoprire il valore sacramentale del pane spezzato in casa. Perfino nella cella di un carcere. Perseverare attaccati all’essenziale: la parola di Dio, la comunione, la frazione del pane e la preghiera (cf. At 2,42). I muri fanno le chiese e noi italiani sappiamo quanto siano belle e preziose per la nostra vita spirituale. Ma siamo noi, persone vive, pietre viventi a fare la Chiesa. Anche senza muri, anche dentro ai muri. Io sento che la ferita inferta dalla pandemia non è soltanto il “digiuno eucaristico”, ma il digiuno dall’incontro. La nostra vita di fede si fa ardua senza la vita fraterna, senza l’incontro. Lo dico da cappellano del carcere, che conosce quanto sia difficile mantenere la fede senza l’esperienza ripetuta della comunione. Che non sia solo male - La caratteristica “diabolica” di questa pandemia è che ci isola e ci divide (diàbolon = colui che divide), che trasforma gli incontri in contagi, gli abbracci in epidemia. Non lasciamo che questa pandemia sia soltanto male (perché male è). Come il popolo di Israele, in quell’esodo che la quaresima evoca, non ha lasciato che il deserto fosse soltanto deserto. Con fatiche moltiplicate, si stanno ricostruendo infrastrutture e muri della casa circondariale. Noi Chiesa, casa di Dio, impegniamoci a costruire, nonostante il virus diabolico che ci divide, quel tessuto di rapporti umani che superano i muri. Per riscoprirci Chiesa senza muri. Non sarà stato invano. Campania. Il garante Ciambriello: “Dal Governo misure blande, è il momento del coraggio” di Luigi Nicolosi stylo24.it, 30 marzo 2020 Grazie alle ultime disposizioni del Governo circa seicento detenuti campani dovrebbero presto tornare a casa, ma l’intervento potrebbe non essere ancora sufficiente. Il rischio è che, qualora l’emergenza coronavirus si aggravi ulteriormente, le carceri della regione si trasformino in una bomba sanitaria dagli esiti imprevedibili. A lanciare l’allarme è il garante Samuele Ciambriello, che con un accorato appello chiede: “La politica smetta di essere cinica e pavida, è arrivato il momento di mettere in campo provvedimenti coraggiosi e tempestivi. Non c’è più altro tempo da perdere”. Chiara, dunque, l’impostazione di pensiero del garante dei detenuti della regione Campania, Samuele Ciambriello, che comunque rivolge un plauso a tutti gli addetti ai lavori in questo momento coinvolti nella gestione della pandemia: “Ci tengo a ringraziare pubblicamente medici, sanitari e uomini della penitenziaria. Tutti stanno mostrando grande coraggio, professionalità e umanità, ma soprattutto responsabilità, in questa situazione complessa. Tutti dobbiamo capire, e mi rivolgo anche ai detenuti e ai loro parenti, che stiamo vivendo un’emergenza nazionale”. Stabilito l’incipit, Ciambriello va quindi al nocciolo della questione, o quantomeno degli aspetti ancora irrisolti. Secondo il garante regionale, infatti, nelle carceri di Napoli e del resto della Campania, il problema del sovraffollamento rischia infatti di avere esiti devastanti in caso sorgessero eventuali focolai all’interno degli istituti di pena. Ed ecco dunque che arriva l’attacco nei confronti dell’Esecutivo: “In questo senso non basta il piccolo decreto approvato la scorsa settimana che porterà chi deve scontare pene di un anno e sei mesi a uscire dalle carceri. In Campania questa misura interesserà 600 detenuti, ma non basta. La politica eviti di essere cinica e pavida. Questo è il momento giusto per mettere in campo provvedimenti coraggiosi e tempestivi”. Come a dire, non c’è altro tempo da perdere. Liguria. Quattrocento detenuti in più nelle celle, ma il nuovo carcere resta un miraggio Il Secolo XIX, 30 marzo 2020 I progetti non sono mai decollati e le case circondariali della regione sono sempre in emergenza. I sei istituti di pena da Sanremo alla Spezia sono sovraffollati. Il segretario del Sappe: “La sicurezza è ad alto rischio”. Era il luglio 2013 e l’ex prefetto di Genova Anna Maria Cancellieri, divenuta nel frattempo ministro della Giustizia, parlò con l’allora presidente della Regione Claudio Burlando. La raccomandazione della Guardasigilli: riaprire il progetto di trasloco del carcere di Marassi fuori dal centro abitato di Genova e lontano dallo stadio Ferraris”. Lo rivelò lo stesso governatore: “Il ministro mi ha detto che è preoccupata per la situazione delle carceri italiane, in particolare per Marassi”. Fu così, in quel momento, che riprese quota un vecchio progetto mai accantonato: una nuova struttura lontana dalla città, sulle alture tra i quartieri di Quezzi e di Bavari, al Forte dei Ratti. Zona già ipotizzata anni prima e individuata via via come possibile soluzione di problemi differenti: si parlò anche di un impianto per bruciare i rifiuti ospedalieri. L’idea venne caldeggiata, con opportuni interventi sul territorio, anche dall’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi. Si sa com’è finita. La nuova casa di reclusione non è mai stata realizzata, il progetto è sprofondato nel libro dei sogni dove tante iniziative rimangono relegate e nel frattempo la Liguria ha perso un altro carcere. È il Sant’Agostino di Savona: il 28 dicembre 2015 un decreto firmato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando ne dispose la chiusura, per le condizioni fatiscenti, il degrado dell’edificio, le celle sovraffollate che non consentivano ai detenuti di espiare la pena in modo dignitoso. Anche in questo caso si sono ipotizzate via via nell’ultimo quinquennio ipotesi alternative: la stessa Savona, l’entroterra della Valbormida, Albenga. Anche in questo caso non se n’è fatto nulla e l’appesantimento ha finito per gravare sulle altre strutture della Liguria. Così si arriva all’oggi. La situazione nella regione è quella descritta dai dati riportati nel grafico di questa pagina, che evidenzia le risapute condizioni di sovraffollamento e fa il punto sulla complicata situazione di eventi critici pressoché quotidiani. È evidente che l’emergenza di questo periodo ha riacceso i riflettori sulle emergenze penitenziarie per due motivi. Il primo è il più evidente: le ripetute rivolte esplose nelle settimane passate con violenze, sangue e un allucinante bollettino di 14 morti. La seconda è un’esigenza strettamente correlata al coronavirus. Sta per terminare la disponibilità di celle riservate per chi, arrestato, dev’essere messo in quarantena prima di poter essere immesso tra la popolazione carceraria. Così parte l’appello dei lavoratori: riaprire il Sant’Agostino di Savona almeno per questi casi, almeno con una quindicina di celle, prima che il sistema vada definitivamente in tilt. Problema, anche questo, emerso nell’epoca del virus, che si aggiunge a tutti gli altri compiti che gravano sugli agenti. Spiega Michele Lorenzo, segretario regionale del sindaco Sappe: “La situazione penitenziaria italiana, di conseguenza si riversa su quella ligure, è risultata carente principalmente dal punto di vista della sicurezza. Le rivolte dell’8 e del 9 marzo sono il biglietto da visita di un sistema che è vulnerabile perché la polizia penitenziaria, negli anni, è stata svuotata dei suoi compiti che sono la sicurezza degli istituti”. È il punto di vista dei lavoratori, che evidenziano le distorsioni. Non mancano le proposte. Una su tutte: riqualificare partendo da concetti basilari come le dotazioni di strumenti moderni, tecnologici per arginare i veri fenomeni delinquenziali che arricchiscono il carcere. Anche, semplicemente, l’elettrificazione dei cancelli: “Nessuno dice no a un carcere più moderno, dove sia realizzato il “servizio dinamico”, ossia la possibilità di passare gran parte della giornata detentiva con le celle aperte e liberi di girare per i reparti. Ma se poi a vigilare tutto c’è un solo agente con il mazzo di chiavi, è ovvio che sarà in mano a chi volesse creare disordini, cosi come è successo a Foggia”. Conclusione: impossibile realizzare un carcere moderno senza adeguare i vecchi sistemi. Anche la Liguria, come i dati ben evidenziano, patisce queste difficili contraddizioni. Udine. La tragedia nel carcere e l’appello del Papa. Morire a 22 anni di Franco Corleone L’Espresso, 30 marzo 2020 Il 15 marzo un detenuto è morto nel carcere di Udine. La notizia è rimasta nascosta fino a ora, incredibilmente. Nessuna comunicazione dall’Amministrazione penitenziaria e dalla Procura della Repubblica. L’obbligo della trasparenza è disatteso in maniera assoluta. Un silenzio assordante circonda una tragedia che fa comprendere che cosa sia il carcere. Il giovane era uno dei tanti soggetti definiti “tossicodipendenti”, in realtà persone con tante fragilità e che avrebbero bisogno di politiche sociali e non di repressione. Non sappiamo ancora neppure il nome come per giorni è accaduto ai 13 morti del carcere di Modena. Corpi a perdere. La testimonianza che ha fatto conoscere la vicenda parla di una storia di detenzione difficile, di tanti episodi di autolesionismo, di somministrazione eccessiva di metadone, di subutex e di psicofarmaci. L’autopsia ci dirà qualcosa di più certo. Una storia identica a tante altre che accadono nelle patrie galere con una colpevole assuefazione. Maurizio Battistutta, garante dei detenuti aveva denunciato ossessivamente la ferita aperta del carcere di Udine e i suoi scritti sono eloquenti, di estrema attualità e raccolti nel volume Via Spalato. In questi giorni, in piena crisi determinata dal Corona virus, la situazione delle carceri non spinge a un cambiamento profondo nelle scelte di politica criminale. La bomba è innescata ma nessuno che ha il potere e il dovere di agire, compie scelte coraggiose e responsabili. C’è chi, spudoratamente, paventa l’indulto e l’amnistia. Solo Papa Bergoglio mostra senso di umanità. La Costituzione ammonisce che la giustizia senza umanità è pura vendetta. Parma. Coronavirus: positivi 5 agenti, 60 in quarantena. Isolati una quarantina di reclusi di Roberto Longoni Gazzetta di Parma, 30 marzo 2020 I sindacati: “Test a tutti gli uomini della Penitenziaria”. Appello del Garante e della Camera penale. Loro, i detenuti, chiusi dentro, e lui, il coronavirus, fuori. Finora era andata così, quasi che le sbarre di via Burla proteggessero dal pericolo Covid-19 meglio di quelle di altre carceri vicine, dove l’inizio dell’emergenza ha scatenato rivolte. Ma l’immunità potrebbe non durare. Una decina di giorni fa cinque uomini della Polizia penitenziaria sono risultati positivi dopo il tampone faringeo. Nessuno è stato ricoverato, e a oggi si guarda con ottimismo alle loro condizioni di salute. Compresi i cinque, ora in isolamento volontario c’è una sessantina di agenti. Ma c’è un altro timore. Venerdì pomeriggio è emerso che un detenuto aveva la febbre. Potrebbe non significare nulla: nei giorni scorsi, aveva giocato a calcio e sudato. Ma per escludere sospetti, l’uomo è stato sottoposto al tampone faringeo, il cui esito è atteso domani al massimo. Nel frattempo, in via cautelativa, per una quarantina di detenuti (tutti della media sicurezza: quella che ha maggiori margini di movimento in carcere) è stata disposta la quarantena. Nonostante questo, si è riusciti a garantire loro di usufruire dell’ora d’aria. Di questi sviluppi tre sindacati della Polizia penitenziaria hanno informato Prefettura e Regione. “Da giorni - scrivono Fabio Ruffolo del Sappe, Vincenzo Paparo dell’Osapp e Simona Parma del Sinappe - chiediamo, inascoltati, a ogni livello istituzionale e dell’amministrazione penitenziaria, di sottoporre nel più breve tempo possibile a tampone faringeo tutto il personale che acceda in istituto, per la tutela di lavoratori e detenuti”. I sindacalisti ricordano invece l’esiguo numero dei test compiuti, solo a 10 colleghi (tra i quali i 5 positivi) ospitati in caserma. Un’urgenza, quella dello screening ai 300 agenti in servizio in via Burla, sottolineata anche dal segretario regionale del Sappe, Enrico Maiorisi, che ricorda la necessità di prevenire “i pericoli che possono essere portati in carcere da chi viene da fuori”. Dello stesso avviso Gianluca Giliberti che inoltre chiede “presidi all’altezza della situazione, per qualità e quantità”. Inoltre, il segretario regionale del Sinappe si auspica “un maggior coinvolgimento decisionale dei sindacati”. Anche Roberto Cavalieri, garante dei detenuti, e Valentina Tuccari e Monica Moschioni, rispettivamente presidente e responsabile della commissione carcere della Camera penale, chiedono misure straordinarie alle autorità sanitarie e dell’amministrazione penitenziaria. “Tra queste l’esecuzione del tampone a tutto il personale sanitario e dell’amministrazione che svolge attività nelle sezioni detentive nonché ai detenuti, per circoscrivere il contagio e mettere in atto misure sanitarie adeguate; l’apertura del nuovo padiglione ove collocare esclusivamente i detenuti presenti a Parma e che devono essere messi in quarantena e i positivi per i quali è possibile gestire il decorso della malattia in ambito detentivo; dotare il personale sanitario e dell’amministrazione penitenziaria dei Dpi necessari e effettuare controlli sul loro corretto utilizzo; impedire la circolazione degli agenti da una sezione all’altra e da un reparto all’altro e, questo, in particolare nelle sezioni in cui sono reclusi detenuti anziani e con patologie che compromettono il sistema immunitario”. “Inoltre - proseguono - un appello al Tribunale di sorveglianza, Ufficio di sorveglianza, alle Procure e all’Amministrazione penitenziaria affinché: si accelerino le modalità di lavoro per il riconoscimento delle misure previste dal Decreto legge 18/2000 che prevede la scarcerazione di persone con 18 mesi di pena residua e che si trovano in determinate circostanze; sia concesso il differimento della pena ai detenuti portatori di gravi patologie e per i quali l’autorità sanitaria si è già espressa circa le criticità di una presa in carico sanitaria in carcere; siano posti agli arresti domiciliari i detenuti in carcerazione preventiva e/o che presentano un idoneo domicilio; siano bloccati i trasferimenti di detenuti da altre carceri al fine di preservare la loro salute e quella dei detenuti già reclusi a Parma. Nel corso dell’ultimo mese, e quindi in piena emergenza sanitaria, sono giunti a Parma detenuti trasferiti da Reggio Emilia e Bologna e persone arrestate a Piacenza; si attivino tutte le misure possibili per facilitare i colloqui a distanza dei detenuti con famigliari, avvocati e garanti”. Voghera (Pv). Il carcere di rischia di trasformarsi nella prossima bomba sanitaria di Francesca Fagnani fanpage.it, 30 marzo 2020 Giovanni si è ammalato nel carcere di Voghera. Era in custodia cautelare ed è stato contagiato dal Covid19. Ora è in terapia intensiva e lotta tra la vita e la morte. Chi l’ha contagiato? Perché la famiglia non ha avuto più notizie? Lontano dallo sguardo pietoso di tutti, il carcere di Voghera rischia di trasformarsi nella prossima bomba sanitaria. Un detenuto risultato positivo al Covid19 è stato trasferito in condizioni gravissime al San Carlo di Milano. È in terapia intensiva e lotta per la vita. L’ipotesi più probabile è che si sia contagiato in carcere, anche perché l’ultimo colloquio con i familiari - che vivono lontano dalle regioni più colpite e che stanno bene - risale al 15 febbraio scorso. Chi lo ha contagiato? Le informazioni ufficiali sono pochissime, ma in carcere le notizie in qualche modo passano lo stesso e si è saputo che nei giorni precedenti al ricovero di Giuseppe (nome di fantasia), anche il cappellano del carcere - in contatto per il suo ruolo con molte persone - pare sia stato ricoverato a Milano, sebbene non se ne conosca la causa. Nella cella di 9 mq destinata a due persone, dove viveva Giuseppe erano invece in quattro, il distanziamento fisico, pertanto, impossibile. I suoi compagni sono stati messi in quarantena, ma non si altro. Su questo primo caso di Covid19 in carcere è sceso un’inquietante silenzio, tanto che perfino i familiari del detenuto malato non erano stati avvisati del suo trasferimento in ospedale a Milano: al San Paolo prima, al San Carlo dopo che le sue condizioni si sono aggravate. Nessuno dalla casa circondariale di Voghera, infatti, ha sentito l’obbligo morale né quello umano di avvisare la famiglia del suo ricovero. Il detenuto ha cominciato a star male intorno al 9 marzo. Qualche giorno dopo, il 13, Giuseppe raccontava - a colloquio telefonico con i familiari - di sentirsi male: aveva febbre alta, brividi, tosse e problemi respiratori da almeno quattro giorni. Alla moglie e al figlio Giuseppe ha raccontato di aver chiamato il medico, il quale però si era rifiutato di visitarlo: “stanno giocando con la mia vita” dice al figlio in quell’ultima telefonata. Da quel giorno la famiglia non ha più notizie. Lui non chiama e l’istituto di Voghera non fornisce informazioni. Nel frattempo si viene a sapere che in carcere c’è un caso di Covid19. La famiglia impaurita continua a chiamare, ma nessuno è autorizzato a dare loro notizie, fino all’intervento degli avvocati del detenuto, Giuseppe Alfì e Gaetano Figoli, che si mettono in contatto con il Gip, anche lui incredibilmente ignaro della vicenda. Giuseppe che si trovava nel carcere di Voghera in custodia cautelare, in attesa di giudizio, in queste ore si trova in serie condizioni all’ospedale San Carlo di Milano. Non sappiamo da chi sia stato contagiato e se a sua volta abbia contagiato qualcun altro, ma sarebbe doveroso e necessario conoscere la situazione sanitaria di un istituto che al pari di altri richiederebbe di essere monitorato con scrupolosa attenzione, perché il rischio è che le carceri diventino lazzaretti senza via di uscita per chi ci lavora e per un’umanità dolente, sbagliata, colpevole (anche innocente fino a sentenza definitiva), ma che ha lo stesso diritto alla salute di tutti. “Il governo sorprendente sta tacendo una situazione esplosiva che non è una mera ipotesi ma una certezza razionale” - ci dice il Presidente dell’Unione delle Camere Penali Giandomenico Caiazza - “il governo formalmente ha preso un provvedimento per liberare circa 9000 posti, a condizione di utilizzare i braccialetti elettronici che sanno benissimo non esserci: sono pochissimi e tutti già impiegati nelle custodie cautelari. Esiste un progetto di approvvigionamento dei braccialetti? Se è così perché non lo dicono? Qualcosa davvero non torna”. Bologna. Coronavirus, il Sindacato: “9 medici, 15 infermieri e 2 agenti infetti” bolognatoday.it, 30 marzo 2020 Il segretario di Giacomo: “Sono estremamente preoccupato per il possibile propagarsi del virus tra i poliziotti penitenziari e le loro famiglie ma molto di più mi allarma un contagio di massa tra i detenuti”. Il dato sul personale sanitario con il Covid-19 certificato da tampone nel carcere di Bologna desta la preoccupazione per il propagarsi nell’istituto di pena del virus: a sostenerlo è il segretario generale del Sindacato di Polizia penitenziaria Aldo di Giacomo che dice “risultano essere infetti 9 medici e 15 infermieri che prestano servizio presso il carcere di Bologna e 2 poliziotti penitenziari. Dati confermati dai sindacati dei medici penitenziari. Sono estremamente preoccupato per il possibile propagarsi del virus tra i poliziotti penitenziari e le loro famiglie ma molto di più mi allarma un contagio di massa tra i detenuti, il quale avrebbe effetti devastanti sul carcere che non è in grado di reggere decine di contagi”. Continua Di Giacomo: “il ricovero esterno di detenuti graverebbe sull’economia già precaria delle terapie intensive della regione. Serve con urgenza fare i tamponi a tutti i poliziotti penitenziari ed a tutti i detenuti. Il rischio pandemia nel carcere è più di una semplice supposizione. Occorre tutelare detenuti e poliziotti per questo ho chiamato il prefetto ed ho inviato una lettera urgente al ministro della salute. Questa grave situazione evidenzia ancora una volta l’incapacità di gestire l’emergenza da parte dell’amministrazione penitenziaria la quale sembra affidarsi alla buona sorte”. Bologna. Nel carcere della Dozza predisposte 14 celle per l’isolamento degli infetti di Antonio Ianniello* Ristretti Orizzonti, 30 marzo 2020 Le misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid 19 presso gli Istituti Penitenziari diramate dalla Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare della Regione Emilia-Romagna, anche raccomandando di promuovere attività di informazione nei confronti delle persone detenute per favorire l’esatta conoscenza dell’emergenza sanitaria, prevedono che, in caso di positività al tampone, si dovrà prevedere un isolamento sanitario all’interno dell’istituto in locale adeguato, provvisto di servizio igienico ad uso esclusivo, salvo necessità di ricovero ospedaliero della persona. Sono stati in questo senso predisposti 14 spazi dedicati nel locale istituto penitenziario. Le linee guide dell’OMS per la prevenzione del contagio nei luoghi di restrizione evidenziano come nei luoghi di detenzione possa essere accentuata la vulnerabilità al contagio proprio per l’assenza strutturale di quel distanziamento sociale necessario, ferma restando la necessità di garantire gli stessi standard di assistenza sanitaria previsti per la società esterna. Delicato è il profilo legato alla reazione psicologica delle persone detenute in caso di positività, risultando anche necessari, sempre secondo l’OMS, un sostegno psicologico e un’azione di corretta informazione sulla malattia, garantendo la continuità dei contatti con la famiglia. Per quanto riguarda la gestione dei casi, ancora l’OMS raccomanda che le persone detenute vengano messe in quarantena per 14 giorni dall’ultima volta in cui sono state esposte a un paziente positivo al Covid 19, fornendo uno spazio in cui vi sia un adeguato ricambio d’aria e una disinfezione ordinaria dell’ambiente preferibilmente almeno una volta al giorno. Si pone l’accento sull’adeguatezza della ventilazione nello spazio in cui vengono collocate le persone positive, risultando poi imprescindibile, in termini di numero e qualità, un’adeguata disponibilità di dispositivi di protezione individuale, e anche di prodotti per l’igiene personale e ambientale. E ancora si raccomanda la designazione di una squadra di operatori sanitari e personale penitenziario con il compito di occuparsi esclusivamente di casi sospetti o confermati per ridurre il rischio di trasmissione. Calando nel locale contesto penitenziario, già segnato drammaticamente dai disordini delle settimane scorse, le premesse indicazioni, in questo tempo di emergenza sanitaria che ha reso ancora più ampia la distanza fra l’universo carcerario e la società esterna, emergono limpide, da un lato, in ragione delle condizioni strutturali dell’istituto, le evidenti difficoltà oggettive nell’attivazione delle procedure previste per garantire l’efficacia degli interventi di contenimento della diffusione del contagio; e dall’altro, l’enormità dello sforzo organizzativo e operativo al quale sono chiamati gli operatori sanitari e penitenziari, il cui numero già sta riducendosi per i contagi. Nel mezzo di questa emergenza sanitaria, se si vuole decisamente garantire l’efficacia degli interventi di contenimento della diffusione del contagio all’interno, anche in un’ottica di tutela della salute pubblica, non si può prescindere da un opportuno alleggerimento degli attuali numeri delle presenze in carcere, anche partendo dalle persone con pregresse patologie e anziane. *Garante per i diritti delle Persone private della Libertà personale Pisa. Quattro agenti contagiati, Italia Viva chiede tutele per Polizia penitenziaria e detenuti gonews.it, 30 marzo 2020 “Sono settimane che incalziamo il Ministro Bonafede, invitandolo a non sottovalutare l’emergenza sanitaria nelle Carceri Italiane. Quanto sta succedendo a Pisa conferma la gravità della situazione e la mancanza di una strategia. Chiediamo di tutelare la salute dei detenuti e della Polizia Penitenziaria e di tutto il personale che lavora all’interno. Non è possibile andare avanti così. Ho proposto al Ministro anche una task force straordinaria con le Regioni proprio per gestire la situazione sanitaria, garantendo agli operatori un piano sicurezza per la salute, che sia idoneo a tutelare la loro salute ma anche quella di coloro con cui vengono in contatto: i detenuti all’interno, le stesse famiglie dei poliziotti all’esterno. Non basta collocare le tende fuori dalle carceri ma devono essere fatti i tamponi e i test a i poliziotti e devono essere dotati di mascherine e di dispositivi di sicurezza. L’unica vera soluzione per prevenire il contagio all’interno delle carceri è quella di far eseguire i tamponi a tutti gli operatori penitenziari nonché a tutta la popolazione detenuta. Solo in questo modo si potrà evitare che persone positive ma asintomatiche, possano continuare a trasmettere il virus. Bonafede ha abbandonato la gestione sulle spalle dei Provveditori, dei direttori, della Polizia Penitenziaria che come sempre con grande professionalità stanno svolgendo il loro lavoro con serietà ma non possono essere lasciati soli. Il mondo penitenziario è complesso e la nostra democrazia e sicurezza passa anche da ciò che succede nelle nostre carceri. Il Ministro prenda in mano la situazione o si faccia aiutare, ma dia risposte concrete” Cosimo Maria Ferri Componente Commissione Giustizia Camera dei Deputati Pisa. Processi via Skype: arrestati e detenuti difesi in “remoto” di Pietro Barghigiani Il Tirreno, 30 marzo 2020 Dal 30 marzo e sino alla fine dell’emergenza sanitaria le udienze si terranno in ambienti separati attraverso videoconferenze. Conoscere leggi e procedure non basta più. Gli avvocati devono diventare smart. Non c’è tempo per imparare se qualcuno è a digiuno di nozioni web. Il nuovo corso, senza una scadenza temporale, inizia domani. E il verbo nelle virtuali aule giudiziarie sarà dettato dalla funzionalità di Skype. Abili nel diritto, agili nella tecnologia. Il 30 marzo è il giorno del battesimo dei processi a distanza in provincia di Pisa. Videoconferenze che il legale può affrontare usando tablet e telefonino standosene nel salotto di casa o nel proprio studio. È sempre consentito recarsi in Tribunale, ma rimanendo nella camera di consiglio, mai in aula dove ci sono giudice e cancelliere. L’obiettivo è evitare la condivisione degli stessi spazi. Il difensore può anche presentarsi nel luogo in cui il cliente viene trasferito da chi lo ha arrestato. Sono le opzioni inserite nelle linee guida per la celebrazione delle udienze da remoto per la convalida dell’arresto, del fermo e delle direttissime. È un documento sottoscritto dalla presidente del Tribunale, Maria Giuliana Civinini e dalla Procura con il sostituto procuratore Giancarlo Dominijanni, estensore di gran parte dei contenuti. I programmi, pilastri del processo a distanza, sono due: Skype for Business e Microsoft Teams. Tutti gli operatori dovranno dotare i dispositivi informatici di queste applicazione. In pratica si potrà gestire un’udienza interloquendo con giudice e pm (loro nelle rispettive sedi di lavoro) utilizzando anche un telefonino rimanendo accanto in modo virtuale al cliente piantonato in un altro immobile della provincia. Accorgimento estremo, ma che rende l’idea delle barriere ormai superabili di spazio e luogo. Un esempio pratico. Le forze dell’ordine arrestano nella notte una persona per furto a San Miniato. L’avvocato, d’ufficio o di fiducia, abita a San Giuliano Terme e viene avvertito dalla polizia giudiziaria con una mail. Anche senza installare il programma, cliccando sul link si entra nella cosiddetta “stanza virtuale” che, altro non è, che la partecipazione all’udienza. Basta avere un Pc, uno smartphone o un iPad collegato a Internet. L’avvocato può decidere se andare in Tribunale a Pisa (nella stanza della camera di consiglio), o nel luogo dove si trova il suo assistito. Tre opzioni territoriali: giudici di pace di Pontedera, San Minato e Volterra, se l’arresto viene fatto in quelle zone di pertinenza. Se vuole andare in studio o restare a casa può farlo e così ha inizio la videoconferenza. Anche i pm possono restare nel loro ufficio o andare in Tribunale. Tradotto: dialogando in remoto da quattro posti fisici diversi e lontani (arrestato a San Miniato, avvocato in casa a San Giuliano Terme, pm in Procura e giudice in Tribunale) viene celebrata l’udienza per la convalida dell’arresto. Stessa modalità, con videoconferenza dal carcere, se la convalida o l’udienza con detenuti avviene davanti al gip. L’Ordine degli avvocati e la Camera penale non hanno firmato il documento. Scrive il presidente dell’Ordine, Stefano Pulidori: “Abbiamo fatto presente che il soggetto arrestato o fermato non è in alcun modo assimilabile al detenuto, all’internato e al soggetto sottoposto a custodia cautelare e che la fattispecie restava regolata dalle norme ordinarie, con udienza da svolgersi alla presenza fisica della parte interessata. Da questo conseguiva, pur sempre con non poche riserve, che la partecipazione da remoto dell’arrestato o fermato all’udienza di convalida avrebbe, al più, potuto ammettersi col di lui consenso e quello del suo difensore”. Da domani i processi si fanno a distanza fino alla fine della pandemia. Torino. Il coronavirus è arrivato anche al carcere delle Vallette di Alfredo Di Costanzo iltabloid.it, 30 marzo 2020 La notizia non arriva certo inaspettata: il coronavirus è arrivato anche dentro al carcere delle Vallette a Torino. D’altronde le misure di prevenzione istituite nelle carceri del nostro paese sono state praticamente nulle, anche perché il cronico e noto sovraffollamento rende materialmente impossibile rispettare distanze di sicurezza e norme igienico-sanitarie. Mentre ogni giorno a tutti i cittadini viene detto di #stareacasa e rispettare le distanze di sicurezza, ai detenuti viene negato anche il più basilare diritto alla salute: evidentemente, al di là delle parole, per il ministro Bonafede e per tutto questo governo, i carcerati sono cittadini di “serie B”, a cui si può negare anche il diritto alla salute. Detenuti preoccupati - Solo pochi giorni fa Nicoletta, rinchiusa proprio in quel carcere, raccontava circa la preoccupazione dei detenuti dopo che si era diffusa la notizia della positività di due secondini. Ora, con la positività accertata di due carcerati, la situazione rischia di esplodere. Noi crediamo che l’unica soluzione per evitare che le carceri si trasformino in grandi lazzaretti sia concedere l’amnistia per i reati sociali, l’indulto e le misure alternative come i domiciliari, oltre che dotare dei necessari DPI tutto coloro che rimarranno in carcere. Molti detenuti devono scontare meno di due anni residui, tantissimi sono in carcere per reati minori: a tutti loro bisogna concedere, subito, i domiciliari. Così come bisogna concedere l’amnistia a tutti coloro i quali, come Nicoletta, si trovano in carcere per le loro battaglie in difesa dei diritti di tutti e tutte noi. Ma bisogna fare presto, prima che la situazione degeneri. Cuneo. Coronavirus, tra le carceri della Granda massima attenzione per Saluzzo di Fabrizio Brignone laguida.it, 30 marzo 2020 Dai rappresentanti degli agenti di custodia, la richiesta di maggiori controlli sanitari, anche dopo l’arrivo di detenuti da Modena. Anche in Granda è alta l’attenzione sul sistema carcerario e sulle condizioni dei detenuti e del personale, nelle case di reclusione del territorio ad Alba, Cuneo, Fossano e Saluzzo. E proprio da Saluzzo giunge un allarme, raccolto dai rappresentanti sindacali degli agenti di custodia: nella struttura sono giunti nei giorni scorsi 48 detenuti dalla casa circondariale di Modena, tra quelle in cui le scorse settimane si sono registrate le rivolte più gravi. I rappresentanti sindacali richiedono un intervento delle autorità locali per garantire controlli sanitari e per prevenire eventuali contagi: “Finora il personale in servizio con grande spirito di sacrificio e abnegazione è riuscito a evitare situazioni emergenziali e manifestazioni violente da parte della popolazione detenuta. Oggi, non ci sono più le condizioni per garantire tale clima di tranquillità”. Anche nelle carceri della Granda l’emergenza sanitaria ha comportato l’annullamento di attività didattiche e lavorative, oltre alla sospensione dei colloqui: si è cercato di compensare con videochiamate, ma non sempre le linee fisse consentono di soddisfare le esigenze dei detenuti (sono anche stati assegnati 22 telefoni cellulati tra i 1.600 messi a disposizione da Tim in tutta Italia, tra cui sette a Cuneo e dieci a Saluzzo. Agrigento. Nel carcere “Pasquale Di Lorenzo” un secondo agente positivo al Covid-19 newsicilia.it, 30 marzo 2020 Un secondo agente di Polizia penitenziaria sarebbe risultato positivo al Coronavirus nel carcere “Pasquale Di Lorenzo” di Agrigento. La scorsa settimana era stata diffusa la notizia del contagio di un collega. I due poliziotti sarebbero concittadini, in quanto entrambi residenti a Raffadali (Agrigento). Pare che, fortunatamente, i due non siano stati a contatto con i detenuti. Sono tuttavia in corso ulteriori accertamenti per ricostruire la rete dei contatti dei due presunti contagiati. Negli scorsi giorni, il sindaco di Raffadali, Silvio Cuffaro, aveva donato oltre 400 mascherine alla Polizia penitenziaria e ai vigili del fuoco del comando provinciale di Agrigento. Napoli. Detenuti pronti a donare il sangue: “Ma non dimenticate Poggioreale” di Giuliana Covella Il Mattino, 30 marzo 2020 I detenuti di Poggioreale scendono in campo contro l’emergenza Coronavirus e scrivono a Mattarella: “Sig. Presidente - si legge nella lettera inviata tramite il garante dei detenuti di Napoli Pietro Ioia - vogliamo donare il sangue ai pazienti ricoverati negli ospedali di Napoli e Campania. Ma vogliamo anche tutele per la nostra salute: siamo senza mascherine in celle anguste e non sarebbe dignitoso morire come bestie. Non vediamo più le nostre famiglie ai colloqui, non riceviamo più pacchi e sappiamo che è giusto, ma abbiamo paura e ci sentiamo ancora più isolati”. Un appello per non dimenticare le condizioni di chi vive ai margini e in questo difficile momento, seppure dietro le sbarre, dimostra solidarietà e dignità umana. Questo il senso della lettera che i detenuti del carcere di Poggioreale hanno inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella affidandola al loro garante comunale Pietro Ioia. “Attualmente a Poggioreale siamo in 2mila, rispetto a una capienza di 1.600 - scrivono i carcerati. In una cella viviamo in 8-10 persone ed è giusto che scontiamo la nostra pena per i reati commessi, ma siamo terrorizzati all’idea di ammalarci e fare la fine di topi in trappola”. Paure e preoccupazioni che i reclusi di tutti i padiglioni (incluso il “Sex offender” per i reati sessuali) hanno espresso a Ioia, che continua a effettuare visite in carcere nonostante le sue precarie condizioni di salute (un mese fa ha avuto un infarto): “Vado a Poggioreale tre volte a settimana - dice - con il nuovo direttore Carlo Berdini abbiamo instaurato un fattivo rapporto di collaborazione che mira al dialogo con i detenuti. Molti temono il contagio e grazie all’associazione Fevoss Santa Toscana di Verona con il progetto “Cuci e cura” circa 800 detenuti, per lo più i lavoranti di sezione, quelli che fanno lo spesino o stanno in cucina e i nuovi aggiunti, avranno le mascherine. Ma - sottolinea Ioia - le istituzioni sono sorde di fronte alla tragedia di chi vive in una cella, non ha più colloqui né riceve pacchi dalla famiglia”. Nonostante ciò i carcerati hanno manifestato la volontà di rendersi utili per la collettività contro l’emergenza Covid. Firmatari sono i detenuti dei padiglioni Avellino (Alta sicurezza), che “vogliono donare sangue a tutti gli ospedali campani”; ma anche Roma, Milano e Firenze che “vogliono elargire donazioni in denaro per le strutture sanitarie che hanno reparti Covid”; o ancora il padiglione Napoli che “vuole confezionare in laboratorio mascherine per medici e infermieri in prima linea per salvare vite umane”. Genova. “Nel carcere sospesi tutti i corsi e gli eventi” di Marco Menduni Il Secolo XIX, 30 marzo 2020 “Ora è tutto fermo e non poteva essere diversamente. C’è anche rammarico, perché il lavoro stava proseguendo bene e ormai veleggiavamo verso il debutto. Ma non si poteva fare diversamente: la tutela della salute è il bene primario da difendere, soprattutto dentro le mura di un carcere”. Mirella Cannata è la presidente di una Onlus, Teatro Necessario. Un progetto che dal 2005 ha portato l’esperienza della recitazione all’interno di una casa circondariale importante come quella di Marassi, a Genova. Nel 2016 nasce il Teatro dell’Arca, esempio unico in Europa di un teatro edificato nell’intercinta carceraria. È stata utilizzata un’area in disuso, alla quale dopo la riqualificazione possono accedere sia i detenuti che il pubblico. La struttura ospita duecento posti a sedere e il suo palcoscenico può accogliere spettacoli professionali. Presidente, che cosa sta accadendo in questo momento di emergenza alla vostra attività in carcere? “Abbiamo fermato tutto. Con grande attenzione agli eventi e alla sicurezza, ma anche con rammarico, lo ammetto, perché eravamo ormai in dirittura di arrivo per il debutto, ad aprile, al Teatro della Corte, del nuovo spettacolo”. Che cosa stavate provando in queste settimane, di che pièce di tratta? “Il titolo è Profughi da tre soldi, ispirato a Brecht. Un argomento davvero attuale, visto che l’azione si svolge in una sgangherata struttura di accoglienza e molti tra gli attori sono stranieri. Loro sono i primi a rammaricarsi, ma hanno capito benissimo la situazione. Noi siamo ottimisti, siamo consapevoli che è assurdo parlare di aprile come di un mese praticabile, ma lo spettacolo è soltanto rinviato a quando sarà possibile rappresentarlo”. Queste attività in carcere hanno sicuramente un particolare valore equilibratore di tante tensioni latenti… “È assolutamente così. Purtroppo sono ferme le prove e anche i corsi tenuti dai nostri artisti. Consapevole dell’importanza di queste attività, anche la direzione del carcere non era ostile al fatto che si potesse trovare il modo di andare avanti, anche parzialmente, in totale sicurezza”. Poi la decisione diversa… “Sì, ci siamo parlati, abbiamo capito che bisognava guardare alla salute, tutelare soprattutto loro, i detenuti, in questo periodo non ci si può permettere nessuna sbavatura”. Ora bisogna guardare al futuro… “Ripeto: siamo ottimisti, L’emergenza non può durare in eterno. Così noi siamo pronti a ripartire appena possibile, con tutti i nostri attori”. Emergenza coronavirus, il giudice minorile: “Abbandoni e violenze i bimbi rischiano tanto” di Maria Elena Vincenzi La Repubblica, 30 marzo 2020 “Noi ci siamo. Il tribunale per i minorenni è aperto e attivo. Le misure organizzative adottate in questa prima fase di emergenza ci consentono di continuare a lavorare per dare risposta tempestiva alle richieste di intervento urgente, su questo posso rassicurare tutti. L’impegno di magistrati, giudici onorari e personale amministrativo, ai quali sono personalmente grata, non è tuttavia sufficiente a rendere non solo tempestivo, ma anche efficace l’intervento del giudice minorile nel vasto territorio di competenza, che coincide sostanzialmente con la regione Lazio. Per questo, occorre avere tutti, autorità centrali e territoriali, enti del Terzo settore e privati cittadini, consapevolezza che i minorenni in situazioni critiche sono esposti ad altissimo rischio”. Alida Montaldi da quasi tre anni presiede il tribunale per i minorenni di Roma. Presidente, quali sono le difficoltà che affrontate in questi giorni? “Le attività di vigilanza e sostegno alle famiglie in difficoltà e di tutela di minorenni in abbandono o esposti a pregiudizio non possono certo svolgersi tutte “da remoto”. Vi è stata un’inevitabile riduzione della capacità dei servizi sociosanitari, che già prima si confrontavano con una grave carenza di risorse, di garantire continuità alle loro attività. Lo stesso vale per le case famiglia che faticano a garantire ai loro ospiti tutto ciò cui avrebbero diritto e di cui hanno bisogno (contatti almeno da remoto con le famiglie, attività educativa, assistenza terapeutica etc.). Su questo vorrei richiamare l’attenzione delle istituzioni, ma anche dei cittadini del nostro territorio: tribunale e procura per i minorenni si sono dati un’organizzazione tale da poter garantire un “presidio giudiziario” ma questo non è sufficiente se la rete di tutela, anche emergenziale, avesse punti deboli, o addirittura “rotture”, prima e dopo l’intervento dell’autorità giudiziaria”. Il tribunale come si è organizzato? “Le udienze penali continuano a tenersi regolarmente, nei casi previsti dalla legislazione di urgenza. Nel settore civile, la normativa ha escluso dal rinvio di ufficio quasi tutte le procedure di nostra competenza. Per questo, oltre all’organizzazione necessaria a garantire continuità alle udienze e ad ogni altra attività nelle procedure di adottabilità, in quelle relative a minori allontanati dalla famiglia e stranieri non accompagnati, la situazione ha richiesto e continuerà a richiedere per molto tempo il responsabile impegno di magistrati e giudici onorari per bilanciare, nelle circa 4.500 procedure pendenti, le esigenze di tutela della salute con quelle del minore. Io stessa effettuo una valutazione “dell’urgenza nell’emergenza” per le procedure che arrivano, potendo contare anche sulla valutazione già effettuata dal pubblico ministero. La dirigenza amministrativa ha poi garantito i necessari presidi del personale di cancelleria”. E se l’emergenza dovesse durare? “Abbiamo comunicato i provvedimenti assunti per l’emergenza in modo capillare, raggiungendo tutti i comuni, tramite le prefetture, e tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti. Perdurando le attuali restrizioni, occorrerà organizzare il periodo successivo al 15 aprile, in modo da ripristinare gradualmente l’attività istruttoria che ora è ridotta al minimo. Per le udienze penali già ci siamo organizzati come possibile, date le poche risorse disponibili, ma contiamo sugli interventi di potenziamento tecnologico che il ministero della Giustizia si è impegnato ad attuare. Penso che si debba anche raggiungere i destinatari degli interventi dell’intero sistema di tutela delle relazioni familiari e della condizione minorile, nelle case come nelle comunità in cui si trovano, per far loro sentire che, anche in questa situazione, la rete di tutela “regge” ed è in grado di attivarsi a loro protezione”. Quali sono le situazioni che più la preoccupano? “Penso ai tanti bambini costretti a casa in famiglie già in situazione difficile, che possono essere maltrattati, anche per le condizioni di povertà che andranno accentuandosi. O non adeguatamente curati. Penso ai tanti bimbi e alle loro famiglie nei campi rom, in condizioni spesso inaccettabili a prescindere dall’emergenza. Quella che stiamo vivendo è una condizione che può scatenare e aggravare le situazioni a rischio e rendere sempre più difficile proteggere i più vulnerabili e indifesi e per questo c’è bisogno di particolare attenzione, responsabilità e coesione, delle istituzioni preposte alla tutela come di ogni privato cittadino. Perciò, pur nel rispetto della rigorosa consegna a “stare a casa”, occorre che ciascuno si organizzi per non venir meno alle proprie responsabilità nei confronti dei più vulnerabili”. Covid-19 e contact tracing: l’ipotesi modello Seul anche da noi di Aldo Natalini Il Sole 24 Ore, 30 marzo 2020 Modello Seul anche nel nostro Paese? Da più parti lo si invoca, con i dovuti adattamenti. La tracciabilità digitale dei potenziali contagiati da Covid-19 aprirebbe la strada all’utilizzo, da parte del Governo, dei dati geo-referenziati di flusso telefonico, per fini emergenziali di sanità pubblica. Si attuerebbe così, con app e algoritmi, la regola delle “quattro T” dell’Oms: “Trova il contagiato, isolalo, Testalo, Tratta ogni caso e Traccia ogni contatto”. In applicazione dell’articolo 76 del Dl Cura Italia è nata una task force governativa guidata da Walter Ricciardi per “studiare soluzioni innovative, tecnologiche e di digitalizzazione al fine di contrastare e contenere il diffondersi del coronavirus”. Obiettivo del gruppo di lavoro è emulare, con i dovuti adattamenti, le migliori pratiche internazionali, sperimentando tecnologie digitali di contact tracing attraverso i telefonini che consentono di ricostruire la catena di contatti, prevenire le trasmissioni di contagio. Tutto questo grazie alla geo-referenziazione dei soggetti più esposti al virus - contagiati (asintomatici, paucisintomatici) o a rischio contagio (anziani) - e attraverso l’identificazione dei singoli focolai su mappe molto precise che permettono di controllare il fattore di riproduzione. Parallelamente il ministro per l’Innovazione tecnologica, Paola Pisano, il 23 marzo scorso ha diramato un invito pubblico alle aziende, università, enti e centri di ricerca “che hanno già a disposizione piattaforme o le possono in brevissimo tempo adattare, tecniche e algoritmi di analisi e intelligenza artificiale, robot, droni e altre tecnologie per il monitoraggio, la prevenzione e il controllo del Covid-19 nel rispetto dei principi della privacy, sicurezza ed etica, che possano essere utilizzati per il supporto ai pazienti così come dalla Protezione civile e gli altri Enti interessati”. “Innova per l’Itala” insomma è alla ricerca di tecnologie all’avanguardia: non solo app, ma anche robot che svolgano attività generalmente effettuate dagli operatori sanitari e droni per disinfettare le aree pubbliche e monitorare dall’alto il rispetto dei presidi sanitari. La raccolta dei big data - Ci ha già pensato da tempo la Nso - l’azienda israeliana specializzata in spyware - che ha annunciato di aver sviluppato una tecnologia in grado di dare un contributo importante al contrasto all’epidemia da coronavirus analizzando enormi volumi di dati per mappare i movimenti delle persone contagiate e per identificare con chi sono venute in contatto. I Big data, per l’appunto. Nell’attuale contesto informatizzato in cui pressoché tutti i contenuti media sono resi disponibili in digitale e gran parte delle attività economiche e sociali sono migrate su internet, le interazioni di noi utenti, sia di tipo online che offline, generano grandi quantità di dati (sulle condizioni di legittimità della rilevazione effettuata mediante cookies v. Corte di giustizia, Grande Sezione, 1° ottobre 2019, causa C-673/17). I servizi online, spesso alimentati dagli utenti stessi, costituiscono una fonte enorme di Big data: dalla posta elettronica, alla navigazione satellitare, ai social networks, i cui i fruitori caricano i propri contenuti (foto, video, testi), condividendoli pubblicamente sulle piattaforme, sulle app e sui siti internet. A ciò si aggiunge la raccolta dei dati generati dalle funzionalità dei dispositivi personali (quali smartphone, tablet e pc). Le attività degli utenti, anche in assenza di interazione diretta col dispositivo, generano dati (offline) e possono fornire informazioni rilevanti sui comportamenti e sulle preferenze degli individui: si pensi, per tutti, ai dati di geolocalizzazione degli individui forniti dagli smartphone. I social e molte applicazioni - come Fb, Google maps, mytaxi, Uber, Find-my-phone, Deliveroo - usano il Gps degli smartphone per dare l’esatta posizione del telefonino, autorizzata dal possessore nelle condizioni iniziali. E si tratta di localizzazioni precisissime, che leggono l’indirizzo di casa (numero civico compreso). Allo stesso modo, le videocamere di sorveglianza, nel riprendere la presenza e i movimenti degli individui in una certa zona, acquisiscono dati che poi possono essere elaborati al fine di inferire informazioni sui flussi delle persone. Ma anche gli strumenti di pagamento elettronici consentono di acquisire informazioni sui comportamenti di acquisto e sulle preferenze degli utilizzatori. Dopo la Corea, l’esperimento lombardo - Ora si tratta di capire come poter utilizzare - legittimamente - questa massa di dati per sconfiggere il nemico invisibile che ci attanaglia. La Corea del Sud, dopo aver puntato sui test a tappeto, sfruttando la propria legislazione sanitaria, ha fatto largo impiego delle applicazioni mobili, attingendo a Gps per il contact tracing ei dati delle transazioni delle carte di credito per creare una mappa del contagio in tempo reale, utile anche per allertare le persone che potrebbero aver incrociato un infetto. Da par nostro, nelle scorse settimane la regione Lombardia, dopo il lockdown, per capire quanti abitanti ancora fossero in movimento, ha analizzato gli spostamenti “da cella a cella” dei telefonini usando i dati messi a disposizione dalle compagnie (registrando un calo solo del 60 per cento). In questo caso, a legislazione vigente, sono stati utilizzati dati anonimi sui flussi di mobilità aggregati, offerti da Vodafone e Tim sul numero di cellulari agganciati alle antenne in un dato momento, senza risalire all’identità degli utenti. È stata una versione light rispetto a soluzioni più articolate e delicate che si stanno studiano in questi giorni per controllare la diffusione dell’epidemia. L’acquisizione di trend di mobilità, purché effettivamente anonimi, è la strada più facilmente percorribile e la meno invasiva, ma serve solo per fini di intelligence politica. Tecnologie di contact tracing - Per fini di prevenzione epidemiologica, solo un sistema di tracing dei singoli contagiati e dei loro contatti stretti può essere realmente utile nel contrasto all’epidemia. Nondimeno per poter trattare (legittimamente) i dati identificativi degli utenti, senza il loro consenso, sono necessarie adeguate garanzie che solo una disposizione di legge e per di più a efficacia temporalmente limitata può assicurare. Peraltro la valutazione relativa alla geo-localizzazione, quale strumento di ricostruzione della catena epidemiologica, ha un senso solo se esiste, a monte, un divieto assoluto di spostamento per una certa categoria di persone (ad esempio per quelli isolati individualmente o per quelli residenti in una “zona rossa”); diversamente, potrebbe apparire una misura del tutto sproporzionata se non anche inutile quando dovesse coinvolgere soggetti che, sia pure a certe condizioni, possono muoversi. Si tratta, insomma, di compiere scelte legislative e tecnologiche trasparenti, efficienti, proporzionali e coerenti tra obiettivi perseguiti e strumenti utilizzati, sulla base di progetti concreti fondati su dati e algoritmi, per i quali va garantita esattezza, gradualità, qualità e revisione ove necessario. La cornice sovranazionale - Il margine di manovra normativa per comprimere la privacy, senza annientarla del tutto, è fissato nell’articolo 23 del regolamento Ue n. 679/2016, che prevede “limitazioni”, tra l’altro, per fini di sicurezza pubblica e per importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro quali quelli in materia di sanità pubblica. Lo stesso l’articolo 15 della Direttiva e Privacy n. 58/2002 dà la possibilità agli Stati membri di adottare ogni “misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica per la salvaguardia della [...] della sicurezza pubblica”. Prospettive de iure condendo: la sedes materiae - Entro questa cornice sovranazionale di riferimento, la sedes materiae “domestica” per un possibile intervento sul contact tracking ci sarebbe già: l’articolo 14 del Dl Sanità n. 14/2020 (in “Guida al Diritto”, 2014, n. 14, pagine 77 e 78), in fase di conversione in legge (Atto Camera n. 2428, assegnato alla Commissione affari sociali di Montecitorio). La nuova norma, per garantire la protezione dall’epidemia transfrontaliera del coronavirus, autorizza al trattamento dei dati sanitari dei pazienti gli operatori della protezione civile, i soggetti attuatori, l’Istituto superiore di sanità e le strutture (pubbliche e private) del Ssn; ciò anche allo scopo di una più efficace gestione dei flussi informativi e dell’interscambio dei dati clinici, più che mai indispensabile per fini di medicina preventiva e di indagini epidemiologiche. Potrebbe allora prevedersi, per via emendativa, un’integrazione all’articolo 14 che autorizzi gli stessi operatori della protezione civile, i soggetti attuatori, il ministro della salute e le regioni, fino a cessata emergenza (31 luglio 2020: termine previsto dalla deliberazione del Cdm del 31 gennaio 2020) al trattamento dei dati di traffico telefonico, telematico e di geo-localizzazione, nonché a quelli disponibili sui dispositivi elettronici degli utenti, prevedendo altresì una verifica periodica in ordine alla persistenza della necessità, proporzionalità ed efficacia delle misure di tracciamento digitale che potrebbe essere affidato - sotto forma di parere obbligatorio - all’autorità garante per la privacy, che sarebbe chiamata a valutare in maniera indipendente la coerenza tra l’obiettivo pubblico perseguito e gli strumenti in concreto utilizzati. Dovrebbe poi definirsi, sempre per legge, chi ha il dovere di tenere i dati digitali (provider telefonici, fornitori di servizi), i limiti di tempo della loro conservazione e da quando scatta l’obbligo di cancellazione, sempre nel doveroso rispetto dei principi di ragionevolezza, necessità e di gradualità del trattamento. L’emergenza può implicare una perdita di quota delle nostre libertà costituzionali, purché non avvenga in modo irreversibile e sproporzionato. Coronavirus, la Croce Rossa chiede condizioni umane in campi e prigioni tvsvizzera.it, 30 marzo 2020 Per contenere l’epidemia di coronavirus è necessario mantenere condizioni umane nei campi profughi e nelle prigioni: l’appello giunge dal presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) Peter Maurer. Se invece profughi e detenuti continueranno ad essere costretti a vivere in condizioni miserevoli è probabile che il virus imperverserà rapidamente sia all’interno che all’esterno delle strutture, afferma Maurer in un’intervista alla NZZ am Sonntag. “La pandemia può fermare l’attività in Europa o a New York, ma guerre e violenze non si arrestano”, osserva il 63enne. Il Cicr rimane impegnato, ma la sua attività è resa ulteriormente complicata dalla chiusura delle frontiere. Nell’attuale situazione si vede anche il motivo per cui sono essenziali buone condizioni nelle carceri: non solo perché i detenuti hanno diritto a un trattamento umano, bensì anche perché i problemi dopo si riflettono sull’insieme della società, si dice convinto l’ex alto funzionario della Confederazione. Secondo Maurer è necessaria la piena solidarietà della comunità internazionale. Il Cicr sta cercando di fornire in Siria, ma anche in Yemen, Iraq, Somalia, Sudan meridionale o Nigeria, ciò che è attualmente essenziale nella lotta contro la pandemia. Nella provincia siriana di Idlib la situazione rimane estremamente difficile, continua il presidente del Cicr. Le organizzazioni umanitarie hanno un accesso molto limitato: “voliamo alla cieca”. Anche la protezione del personale del Cicr rappresenta una sfida. “Abbiamo i materiali di base e ne stiamo acquistando altri; ma gli aspetti materiali sono minori rispetto agli ostacoli politici e amministrativi”. Inoltre si deve evitare che chi aiuta porti il virus nei paesi in questione. Maurer dice di non essere sorpreso per lo scoppio della pandemia. Negli ultimi anni si è osservato un ritorno di malattie, come la polio e l’ebola, che si pensava fossero state sconfitte. Il presidente del Cicr conta quindi sulla solidarietà internazionale e spera che gli stati continuino a donare ingenti fondi per l’aiuto umanitario, nonostante la crisi del coronavirus che si trovano a loro volta ad affrontare. Germania. Misure straordinarie nella giustizia penale per fronteggiare l’epidemia Covid-19 di Marco Ruotolo dirittopenitenziarioecostituzione.it, 30 marzo 2020 La sospensione dell’esecuzione della pena in Nordreno-Vestfalia. Come annunciato dal Ministro Biesenbach, il Nordreno-Vestafalia assume un’iniziativa straordinaria, proponendo l’interruzione della espiazione della pena residua per i detenuti con condanne fino a diciotto mesi da scontare entro fine luglio. Esclusi dalla sospensione dell’esecuzione della pena i condannati per reati sessuali, per violenze gravi o in attesa di espulsione. L’applicazione del rinvio o della sospensione della pena è “consigliata” anche per i detenuti non in grado di pagare sanzioni pecuniarie. Pur non risultando al momento casi di Covid-19 negli istituti del Land, il provvedimento intende “liberare” mille posti da destinare quali spazi per l’eventuale quarantena di detenuti che risultino positivi. Non si tratta di un provvedimento clemenziale, né di uno sconto-Corona (“Es gibt keinen Corona-Rabatt”), come afferma il Ministro Biesenbach, ma di una misura prudenziale per fronteggiare il rischio della diffusione del Covid-19 negli Istituti penitenziari. India. Coronavirus, rilasciati oltre 400 detenuti da prigione di Nuova Delhi agenzianova.com, 30 marzo 2020 Le autorità del carcere Tihar di Nuova Delhi hanno rilasciato oltre 400 detenuti nel tentativo di decongestionare una delle più grandi prigioni dell’Asia meridionale nel quadro della pandemia di Covid-19 in corso. Lo riferisce l’emittente “Ndtv”, precisando che come annunciato dalle autorità carcerarie 365 detenuti sono stati rilasciati su cauzione per 45 giorni, mentre 63 altri sono stati dimessi in libertà vigilata. Il tentativo di ridurre il sovraffollamento carcerario cade dopo che nel paese sono stati confermati finora 25 decessi per cause legate al coronavirus, e segue l’indicazione della Corte suprema, che lo scorso 23 marzo ha ordinato a tutti gli Stati e territori indiani di valutare la possibilità di rilasciare in libertà vigilata i detenuti condannati per reati che comportano fino a sette anni di carcere, nel quadro dell’epidemia di coronavirus. La direzione del carcere di Tihar prevede di rilasciare in totale 3 mila detenuti, esclusi i casi considerati più pericolosi. Nel paese, che dal 25 marzo osserva una serrata totale, sono stati confermati finora 987 casi. Il primo ministro Narendra Modi ha annunciato lo scorso 24 marzo che dalla mezzanotte l’intera India, un paese con una popolazione di oltre 1,3 miliardi di persone, si sarebbe sottoposto a “lockdown” per 21 giorni. Il premier ha richiamato l’attenzione su quello che sta succedendo su scala globale e sulla difficoltà, anche nei paesi avanzati, di far fronte all’emergenza: “Questo virus si è diffuso molto rapidamente in tutto il mondo. Si diffonde come un incendio. Guardando l’esperienza di questi paesi e ciò che dicono gli esperti, l’unico modo efficace per contrastare la diffusione del virus è il distanziamento sociale”; non c’è altra strada: la catena del contagio deve essere spezzata Il capo del governo ha precisato che il distanziamento riguarda tutti, non solo i pazienti, come alcuni credono, e che i comportamenti irresponsabili si ripercuotono sugli altri. Modi ha ricordato che già adesso la maggior parte degli Stati e dei Territori dell’Unione hanno disposto il blocco di tutte le attività non essenziali e degli spostamenti delle persone. Da mezzanotte tutto il paese adotterà lo stesso protocollo. Il premier ha spiegato che sarà come il “coprifuoco del popolo” indetto domenica 22 marzo, una sorta di prova generale della capacità di isolamento in casa, ma più stringente, e ha sottolineato che si tratta di una misura necessaria e che i prossimi 21 giorni saranno cruciali per il futuro del paese. Zimbabwe. Un’amnistia contro il sovraffollamento delle carceri, per contenere il contagio di Riccardo Noury* focusonafrica.info, 30 marzo 2020 Il 27 marzo il presidente dello Zimbabwe Emmerson Mnangagwa con un provvedimento ispirato alla necessità di contenere il contagio da coronavirus nelle carceri del Paese, ha disposto la clemenza nei confronti di diverse categorie di detenuti, con eccezioni relative alla lunghezza della pena e alla gravità del reato commesso. Ecco l’elenco: 1. Le detenute che abbiano scontato almeno metà della pena. 2. I detenuti (da qui in avanti di ogni genere) minorenni che abbiano scontato almeno un terzo della pena. 3. I detenuti condannati a pene non superiori a 36 mesi che abbiano scontato almeno metà della pena. 4. I detenuti in cattive condizioni di salute, certificate dalle direzioni sanitarie delle carceri. 5. I detenuti inseriti nel sistema delle “prigioni aperte”, un regime di semi-libertà che prevede periodi di uscita dalle carceri per visite familiari e altre attività di reinserimento sociale. 6. I detenuti ultrasettantenni che abbiano scontato almeno metà della pena. 7. I detenuti condannati all’ergastolo che abbiano trascorso almeno 25 anni in carcere. Nel decreto di clemenza è prevista anche la commutazione in ergastolo della condanna alla pena capitale di chi ha trascorso nel braccio della morte almeno 10 anni.