Viminale, effetto Covid per i delitti: in un anno calati del 18% ilfattoquotidiano.it, 16 agosto 2020 Più femminicidi col lockdown. Aumentano gli sbarchi: “Tunisia in crisi”. I dati contenuti nel rapporto del Viminale presentato in occasione della tradizionale conferenza stampa di Ferragosto: in un anno si è passati da 2.338.073 reati a 1.912.344. In controtendenza i reati informatici (+20%). Sul fronte degli sbarchi si registra una crescita degli arrivi nell’ultimo anno: sono 21.618 contro gli 8.691 del periodo precedente. La ministra Lamorgese: "lunedì sarò in Tunisia col ministro Di Maio per parlare del problema dei piccoli sbarchi" Effetto coronavirus per i delitti in Italia: tre mesi di lockdown hanno fatto crollare quasi tutti i tipi di reati commessi sul territorio nazionale. Un dato atteso, quello diffuso nel Viminale in occasione della tradizionale conferenza stampa di Ferragosto, ma con due novità. La prima: gli unici reati aumentati durante il lockdown sono quelli informatici e i femminicidi. la seconda: dall’anno scorso il numero dei giornalisti minacciati è aumentato di più del 50 percento. Ma andiamo con ordine. Calano tutti i reati tranne quelli informatici e i femminicidi - Dal rapporto annuale presentato dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese durante il comitato per l’ordine e la sicurezza convocato a Milano (e durante il quale ha assegnato al viceministro Matteo Mauri la delega alla pubblica sicurezza) che dai 2.338.073 reati registrati nel periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 si è passati ai 1.912.344 registrati dall’1 agosto 2019 al 31 luglio di quest’anno. Una flessione evidentemente legata la lockdown per il Covid. Il decremento ha riguardato quasi tutte le tipologie di delitto: dagli omicidi (-16,8%) alle rapine (-21,1%), dai furti (-26,6%) alle truffe (-11,3%). In controtendenza i reati informatici (+20%). Il Viminale evidenzia anche che il 70% dei 149 omicidi commessi in ambito familiare ha avuto donne come vittime; una quota salita al 75,9% durante il periodo di lockdown. Aumentano le minacce ai giornalisti - In più negli ultimi mesi il Viminale ha registrato un +51,6% rispetto all’anno precedente del numero di giornalisti minacciati: 185, di cui 62 tramite web. Sono 13.579 le denunce per stalking presentate (per il 75% da donne) tra il 1 agosto 2019 e il 31 luglio 2020, l’11,7% in meno rispetto a quelle presentate tra il 1 agosto 2018 e il 31 luglio 2019 (15.370). Del totale delle denunce 4.967 si riferiscono al periodo di lockdown, pari al 36,5% del totale. Calano anche gli ammonimenti del questore 1.198 tra il 1 agosto e il 31 luglio 2020 (-6%), di cui 433 durante il lockdown mentre aumentano gli allontanamenti (+33,6%) che sono 398 di cui 156, pari al 39% durante il lockdown. Aumenta l’autoriciclaggio, raddoppiati i soldi al fondo antiusura - Calano i reati finanziari, fallimentari e societari (-23%) in genere tra il 1 agosto 2019 e il 31 luglio 2020 rispetto allo stesso periodo precedente ma mentre si registra un calo dell’usura (-5,6%) aumenta l’autoriciclaggio (+24,6%). I reati tributari (2.193) calano del 38%, quelli relativi alla disciplina fallimentare del 18,7% e il riciclaggio scende del 14,4%. Va considerato che il calo dell’usura è su base annuale e andrà verificato nel breve periodo l’impatto del numero di denunce che deriveranno dalla crisi finanziaria provocata dal lockdown conseguente all’esplosione della pandemia da coronavirus. Ammontano a 24 milioni di euro il totale delle somme deliberate dal Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, su 1.952 domande esaminate, tra il 1 agosto 2019 e il 31 luglio 2020, pari al doppio della somma deliberata nell’anno precedente (13,2 mln su 2.043 domande). Del totale deliberato nell’ultimo anno la metà (12,5 mln) è stata deliberata durante il lockdown. Nel periodo di lockdown sono state esaminate 327 domande per l’estorsione e 257 per l’usura. In particolare 20,7 milioni del totale del fondo sono stati assegnati per le vittime di estorsione e 3,3 mln per le vittime di usura. Mafia, Lamorgese: “Prefetti ascoltino territori e segnalino anomalie” - Sono 79 i latitanti arrestati tra il 1 agosto 2019 e il 31 luglio 2020, il 49,1% in più rispetto ai 53 arrestati tra il 1 agosto 2018 e il 31 luglio 2019. Calano invece del 13,5% le operazioni di polizia giudiziaria che passano da 155 a 134 dell’ultimo anno. Sono 5.891 i sequestri nell’ultimo anno per un totale di beni da 1.447 milioni di euro e 1.793 le confische per un totale di 371 milioni di euro. La ministra Lamorgese ha spiegato che l’emergenza coronavirus “è un periodo particolare, perché la criminalità organizzata e le mafie hanno facile capacità di adattamento e di inserirsi nei circuiti dell’economia legale. Su questo ho dato ai prefetti una precisa direttiva affinché ascoltino il territorio e si allertino con tavoli di confronto dedicati per segnalare eventuali operazioni non chiare”. “Dal punto di vista normativo - ha aggiunto - come governo abbiamo fatto tanto, dando risorse con la necessaria celerità senza tuttavia far venir meno i controlli necessari, facendo protocolli di legalità con l’Agenzia delle entrate e con la Sace”. Meno incidenti stradali, 1.177 denunciati per aver violato la quarantena - Il lockdown per il Covid ha inciso anche sugli incidenti stradali: dall’1 agosto 2019 al 31 luglio di quest’anno se ne sono registrati 58.475 (il 20% in meno rispetto al periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019), con 1.319 morti contro i 1.719 dell’anno precedente (-23,3%) e 37.241 feriti (-22,6%). Sono invece 20.395.302 i controlli svolti dalle forze di polizia tra l’11 marzo e il 31 luglio per il contenimento della diffusione del virus covid-19. Di questi 12.360.197 sono stati eseguiti nella fase 1 e quindi durante il lockdown, 4.260.583 nella fase 2 (4 maggio-2 giugno) e 3.774.522 nella fase 3 (3 giugno-31 luglio). Sono 454.933 le persone sanzionate (418.222 nella fase 1, 34.276 nella fase 2 e 2.435 nella fase 3), 5.684 i denunciati per false attestazioni (5.280 solo durante il lockdown), 1.177 le persone denunciate per aver violato la quarantena (886 nella fase 1). Aumentano gli sbarchi autonomi: “Tunisia nel caos” - Sul fronte degli sbarchi si registra una forte crescita degli arrivi di migranti nell’ultimo anno: sono 21.618 tra l’1 agosto 2019 ed il 31 luglio 2020 contro gli 8.691 del periodo 1 agosto 2018-31 luglio 2019 (+148,7%). I minori non accompagnati sbarcati sono stati 2.886 (+157,9%). La maggioranza dei migranti sono arrivati con sbarchi autonomi (16.347), mentre quelli soccorsi in area sar italiana sono stati 5.271 (4.066 recuperati da navi ong). Tunisia (8.984) e Libia (8.746) i principali Paesi di partenza. Tunisini (34,3%) e bengalesi (11,9%) i più numerosi tra gli sbarcati. “I numeri non sono elevatissimi, certamente sono più alti dell’anno scorso però bisogna contestualizzare: c’è una Tunisia in grave crisi, abbiamo visto famiglie intere partire per arrivare sul territorio italiano”, ha detto la ministra Lamorgese. “Gli arrivi, così numerosi, sono stati causati da sbarchi autonomi”, con “delle piccole imbarcazioni, dei gommoni”, ha sottolineato Lamorgese. Il suo predecessore, Matteo Salvini, ne ha approfittato per attaccare l’attuale esecutivo: “15.406 sbarchi dall’inizio dell’anno a oggi, contro i 4.261 dello stesso periodo di un anno fa: il fallimento di questo governo è nei numeri, mentre il ministro Lamorgese si vanta di aver controllato più di 20 milioni di italiani durante l’emergenza Covid. Pugno duro con i cittadini, inseguimenti e multe per chi va in spiaggia, balla o fa l’aperitivo, carezze e porti aperti per Ong, trafficanti e clandestini. E nessun segnale contro le mafie: con la Lega al governo, a Ferragosto lo Stato si presentava a San Luca in Calabria e a Castel Volturno in Campania. La Lamorgese dice che Milano è sicura: allora perché ha organizzato il Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza in città?”. Lamorgese: “Lunedì in Tunisia per il problema dei piccoli sbarchi” - Proprio per risolvere il problema dei piccoli sbarchi, la titolare dell’Interno ha in agenda una missione a Tunisi. “Lunedì 17 agosto andrò in Tunisia con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e con i commissari europei Oliver Varhelyi e Ylva Johansson per far sentire la vicinanza dell’Europa” e affrontare il problema dei piccoli sbarchi“” ha aggiunto la titolare del Viminale. Il ministro ha ricordato che sono ricominciati i rimpatri come nell’epoca per Covid, circa 80 al giorno Nello stesso anno considerato sono stati ricollocati presso altri Paesi europei 622 richiedenti asilo (+167% rispetto all’anno precedente). Francia e Germania i principali Stati di destinazione. In calo invece i rimpatri (4.408, il 35,8% in meno rispetto all’anno precedente). Ma sul dato, sottolinea il Viminale, influisce la parziale sospensione delle procedure di rimpatrio dal 31 gennaio al 31 maggio 2020 per l’emergenza Covid-19 che ha consentito il rimpatrio di soli 592 espulsi. Al 31 luglio gli stranieri ospitati nel sistema di accoglienza sono 86.330 (-17% rispetto al 31 luglio 2019): 949 in hotspot, 61.972 in Centri di accoglienza, 23.409 nel sistema Siproimi. In forte calo - anche qui per il Covid - le richieste di asilo esaminate (da 121.064 a 71.695): lo status di rifugiato è stato concesso solo all’11,6% dei richiedenti; per il 53,2% c’è stato il diniego. Complessivamente, gli stranieri presenti regolarmente in Italia sono 4.016.129 (-4,2%). Cresce anche il numero degli scafisti arrestati (+10,8%) che passano da 120 a 133. Perché nell’elezione del Csm i “pregi” del maggioritario sono da evitare di Edmondo Bruti Liberati ilfoglio.it, 16 agosto 2020 La credibilità della giustizia non passa per le alchimie dei sistemi elettorali, ma è nelle mani dei magistrati che sapranno ritrovare l’orgoglio del confronto. Nel clima segnato dallo sconcerto per quanto emerso dalla indagine di Perugia il dibattito sul Csm ha finito per concentrarsi sul sistema elettorale e la fantasia si è scatenata nel proporre i più diversi “toccasana”, non pochi dei quali francamente stravaganti. I sistemi elettorali sono materia tecnicamente complicata. Anche al sistema elettorale del Csm può applicarsi il monito di Alexander Hamilton (Federalist n. 51): “Se gli uomini fossero angeli, non sarebbe necessario un governo. Se i governanti fossero angeli, non sarebbe necessario alcun controllo né interno né esterno sul governo. Ma in un quadro in cui uomini governano uomini sorge un grande problema: in primo luogo lo stato deve controllare i governati, ma in secondo luogo occorre obbligare il governo a porre in essere forme di controllo di sé stesso. La dipendenza dal popolo del governo è senza dubbio il primo tipo di controllo, ma l’esperienza ha insegnato al genere umano che sono necessarie alcune precauzioni ausiliarie”. Gli uomini non sono angeli, i magistrati sono uomini e dunque non essendo angeli è bene che il sistema elettorale non li esponga ad eccessive tentazioni, come avvenne nel 1967 con il sistema maggioritario o nel 2002 con l’attuale sistema che ha prodotto i risultati ben noti, all’opposto di quello che il malaccorto legislatore si proponeva. Le “precauzioni ausiliarie” devono tener conto della specificità dell’elettorato e dell’organo di cui si eleggono i componenti. I magistrati in servizio all’11 agosto 2020 sono 9.707: un piccolo paese, supera non di molto il numero di abitanti di San Gimignano. I componenti magistrati da eleggere al Csm sono oggi 16, in passato, e in futuro forse, 20. Nei sistemi politici maggioritari può capitare che la maggioranza dei voti espressi a livello nazionale dagli elettori non si traduca in maggioranza dei seggi, ma l’evento non è frequente e la distanza tra i due dati non è rilevante. Nel piccolo paese, suddiviso in piccoli collegi le distorsioni possono essere rilevantissime. La legittimazione di un organo in cui la totalità o quasi dei componenti sia espressa da una minoranza degli elettori è soggetta a forti tensioni, come accadde per il Csm del 1972, al punto da indurre il Parlamento a mutare radicalmente, a larghissima maggioranza, il sistema che aveva consentito quel risultato. A seconda del numero, 16 o 20 dei componenti da eleggere in collegi uninominali, ciascun collegio è formato tra 500 e 600 elettori, un quartiere di un piccolo paese, ma le realtà sono molto diverse. A Milano città 537 magistrati lavorano nello stesso palazzo di Giustizia. Nella intera regione Umbria i magistrati sono 135. A Milano il mitico “magistrato della porta accanto” lavora ogni giorno nei diversi piani al civico 20123 Via Freguglia 1. In altri collegi il vicino della porta a fianco si trova a decine, talora a più di un centinaio di chilometri di distanza. Il maggioritario uninominale “1 collegio = 1 eletto” non assicura, nella maggioranza delle situazioni, la vicinanza eletto/elettore. Questa è peraltro un valore ove l’eletto legittimamente sia portatore delle istanze del territorio, ciò che avviene per le amministrazioni locali e anche per il Parlamento, sia pure con il temperamento previsto dall’art. 67 della Costituzione: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Non lo è per il Csm, che deve svolgere il suo compito avendo di mira l’organizzazione della giustizia a livello nazionale, rifuggendo anzi dalle pressioni ed istanze localistiche. Ad assicurare il canale informativo e di proposta delle realtà territoriali sono previsti ed operano i Consigli Giudiziari presso ciascuna Corte di Appello. Il “vicino della porta accanto” potrebbe essere piuttosto il collega che opera nello stesso settore di specializzazione, in altri uffici e in altri distretti, ma con il quale si è venuti in contatto nei seminari, nei convegni e nello scambio quotidiano di opinioni, che a maggior ragione oggi internet rende possibile superando ogni distanza fisica. Il “vicino della porta accanto” potrebbe essere piuttosto, horresco referens, il collega del quale condivido le opinioni sul sistema di giustizia e sulle riforme necessarie, al quale magari mi accomuna l’adesione ad un gruppo che opera nell’associazionismo giudiziario. Quelle che chiamiamo “correnti”, ma si può usare una denominazione diversa, sono libere, trasparenti associazioni di magistrati, che si formano sulla base di una concezione del sistema di giustizia e delle riforme da proporre. Con il collegio unico nazionale posso scegliermi il “vicino della porta accanto”. Il sistema proporzionale per liste concorrenti rispetta la mia volontà di elettore di contribuire alla elezione dei “colleghi della porta accanto” con i quali condivido le idee sulla giustizia, anche se la “porta accanto” è fisicamente molto distante. Il candidato che abbia molti “colleghi della porta accanto” declinata in questo modo, ha chances di essere eletto anche se opera in una realtà territoriale in cui il suo gruppo di riferimento raccolga un consenso limitato. Ciò che avvenne nelle elezioni del 1981. Per altro verso anche un piccolo raggruppamento di nuova costituzione può ottenere almeno un seggio come accadde nelle elezioni del 1986. È vero che le dirigenze dei gruppi formano la lista secondo le regole interne, ma nessun apparato potrebbe praticare scelte di esclusione in una lista ampia di 16 o 20 candidati e l’elettore, che possa esprimere un numero limitato di preferenze, ha un’ampia possibilità di scelta. La rigidità del meccanismo delle liste concorrenti, può essere poi attenuata in diversi modi. Si potrebbe sperimentare il sistema del Voto Singolo Trasferibile: altrimenti il cosiddetto panachage consente di esprimere una preferenza ulteriore per candidato di altra lista. Oggi di fronte alla frammentazione del sistema politico anche i sistemi maggioritari stentano a perseguire quelli che sono ritenuti i loro “pregi”: una maggioranza stabile che assicuri la governabilità, conoscere chi governerà appena finito lo spoglio. Per di più se i “pregi” fondamentali del maggioritario sono proprio quelli che per il Csm si devono comunque evitare, occorrerebbe essere molto cauti nel “giocare” con varie combinazioni incentrate sul maggioritario. I “pregi” che si attribuiscono ai sistemi maggioritari nelle elezioni politiche o amministrative sono esattamente ciò che per il Csm si deve cercare di evitare. I componenti del Csm eletti dalle “correnti” possono pervertire il confronto delle posizioni ideali per indulgere, come purtroppo è accaduto, a logiche clientelari e a pratiche di scambio. I notabili eletti dai colleghi della porta accanto, anche se continuano a far riferimento ad un gruppo associativo, tendono a rispondere al loro elettorato e per assicurare gli interessi del proprio collegio devono entrare in pratiche di scambio con gli eletti di altri collegi. A sistemi che hanno insiti i rischi del notabilato, delle visioni localistiche e delle pratiche di scambio, si contrappongono sistemi che operando per la rappresentanza del pluralismo di posizioni culturali e professionali, hanno in sé gli antidoti per quelle derive. Si tratta allora di operare per valorizzare quegli antidoti. Oggi il corpo elettorale della magistratura è composto per il 54 per cento da donne e per il 46 per cento da uomini. Negli ultimi anni la discriminazione di genere si è fortemente attenuata, anche se ai due incarichi di vertici della magistratura, presidente e procuratore generale della Cassazione finora non sono mai arrivate donne. È però un fatto la perdurante sotto-rappresentazione delle donne tra i componenti del Csm: si giustifica quindi tentare, attraverso una “azione positiva” nel sistema elettorale, di indurre un riequilibrio. Ma ancora una volta operando su piccoli numeri i meccanismi correttivi possono produrre distorsioni così rilevanti della volontà degli elettori da porre problemi di rappresentatività e anche di compatibilità costituzionale. Questi rischi sono evidenti nei sistemi maggioritari, mentre la finalità del riequilibrio può essere invece perseguita agevolmente, e senza distorsioni eccessive, in un sistema proporzionale in collegio unico nazionale ed è facilitata dall’aumento degli eletti da 16 a 20. Il pluralismo culturale e professionale caratterizza la magistratura, come qualunque altro gruppo professionale. Nonostante le degenerazioni questo pluralismo è insieme un valore positivo e una realtà che nessuna alchimia elettorale può eliminare. Ovunque vi è una elezione libera si confrontano diverse opinioni e si formano aggregazioni, nuove o preesistenti. Avviene anche nel Conclave per eleggere il Papa; lì il risultato finale è guidato dall’alto dal Padreterno. Per il Csm deve valere solo il libero confronto delle diverse opzioni evitando l’errore di proporre sistemi che lasciano mano libera alle manovre di piccoli “padreterni” nella raccolta del consenso. Si è parlato sin qui di “tecnicismi” sui sistemi elettorali. Il recupero di credibilità della giustizia, il “voltare pagina” richiesto dal presidente Mattarella già il 21 giugno 2019 non passa per le alchimie dei sistemi elettorali, ma è nelle mani dei magistrati se saranno capaci di rifuggire da pratiche deteriori e ritrovare l’orgoglio del confronto tra posizioni ideali nell’associazionismo giudiziario, rivitalizzandone una storia non priva di momenti elevati, e nel Csm, valorizzando tutte le potenzialità del modello voluto dalla Costituzione. All’Anticorruzione servono persone esperte e indipendenti di Nando dalla Chiesa ilfattoquotidiano.it, 16 agosto 2020 Il Parlamento ribalti il grave errore del governo. Con la corruzione non si può scherzare. Avremmo dovuto impararlo, con i prezzi che le abbiamo pagato, economici e civili, oltre che di qualità delle istituzioni. Meno che mai ci si può scherzare oggi, con i rischi che la crisi porta con sé, i bisogni estremi di liquidità e le necessità di rendere più agili i meccanismi di investimento. C’è bisogno più di prima di organismi di vigilanza prestigiosi, competenti e incisivi. Un’Anac senza autorevolezza, che già in partenza non rispetta i requisiti di nomina stabiliti per legge per i suoi membri, incapace di mettere in campo persone che si siano distinte nella lotta al malaffare e alla corruzione come sta scritto nella norma istitutiva, non è solo inutile. È dannosa. Dannosa perché, come tante inutili authorities degli scorsi decenni, coprirà con i suoi pareri conformi tutte le scelte discutibili o clientelari o suicide del potere politico. Asseconderà tutte le “manine” pronte a creare condizioni di privilegio per chi dovrebbe magari essere tenuto fuori dalla porta. Eppure le persone capaci in Italia ci sono. Nella magistratura, nell’amministrazione pubblica, nelle professioni. Era così difficile pensare ad Antonella De Miro, che a Reggio Emilia da prefetto fece vedere finalmente i sorci verdi ai clan calabresi? Era così difficile pensare a qualcuno dei magistrati migliori che hanno appena lasciato il servizio? Così difficile prendere il meglio dalla Finanza, dai Carabinieri, dalla Polizia? O avvocati che si siano distinti nella difesa delle vittime della corruzione? Ma che Paese è quello che quando ha bisogno delle sue migliori competenze e biografie decide di buttarle nel cestino? O per capirsi meglio: che cosa diremmo se la nazionale di calcio, dovendo giocare una finalissima, non convocasse i campioni e mettesse a centrocampo un carneade e il cugino pingue dell’allenatore? Risposta: faremmo la rivoluzione. Appunto… Che almeno non si dica che tutti hanno taciuto… Mentre l’opinione pubblica internazionale, e tutti gli italiani onesti e responsabili, si interrogano sul ruolo che giocheranno le mafie nell’economia post-Covid a partire dal nostro Paese, il governo italiano avvia il rinnovo dei vertici dell’Anac, l’autorità anticorruzione: e la corruzione è notoriamente l’autostrada della criminalità organizzata. Come non mai, avremmo oggi bisogno di esperti di lotta alla corruzione, e di personalità indipendenti dal potere politico. Perché quando, invece, la scelta non avviene per competenza ma solo per appartenenza, è proprio allora che la corruzione inizia a trovare un terreno propizio. E non è solo questione di opportunità, è la legge a imporre che presidente e membri dell’Anac siano scelti tra esperti “di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione”. Ebbene, noi domandiamo: nelle recenti designazioni del governo, sono stati rispettati questi criteri di selezione? Evidentemente no. La scelta è avvenuta in base a criteri che, nella gran parte dei casi, paiono di vicinanza personale e di spartizione politica: criteri che minano alla radice l’indipendenza dei componenti. E poi: di quali competenze sono portatori i nuovi membri designati dell’Autorità? Tutti hanno un profilo giuridico, ma solo in pochi casi è presente la prevista “comprovata esperienza” in tema di contrasto alla corruzione. L’Anac si occupa di trasparenza, integrità dei funzionari, prevenzione della corruzione, contratti pubblici: in quali di questi campi si collocano le competenze effettive dei membri designati? Anac svolge attività di vigilanza, consultiva e di regolazione, ma anche di tipo conoscitivo e “culturale”. Servirebbero profili in grado di assicurare queste diverse specializzazioni e competenze: i membri designati rispettano queste esigenze? La fiducia nell’Autorità è condizione per l’effettività delle sue funzioni: quale dipendente pubblico segnalerà fatti illeciti sapendo di rivolgersi ad un’Autorità troppo vicina alla politica? Che effetto avranno i provvedimenti dell’Anac, il cui rispetto dipende dall’autorevolezza di cui gode nella Pubblica Amministrazione e fra i cittadini? Il Parlamento può e deve ribaltare il grave errore del governo. Le commissioni parlamentari devono esigere che i componenti dell’Anac siano scelti attraverso una procedura di selezione trasparente. Sarebbe utile, al fine di valutare la loro idoneità al ruolo, un passaggio attraverso audizioni pubbliche tra più aspiranti, per un confronto aperto sulla loro indipendenza, integrità, competenza, esperienza. Da qualche tempo cogliamo, da parte della politica, i segnali di un minore impegno nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Dai palazzi del potere si guarda con crescente fastidio alle normative sulla trasparenza, e si invocano deroghe e de-regolamentazione: altri sono i valori, le esigenze, le urgenze da anteporre all’anticorruzione, spesso interpretata come un intralcio allo sviluppo economico. Ma meno regolamentazione è possibile solo e rigorosamente in presenza di autorità di vigilanza autorevoli e incisive. Integrità e trasparenza sono condizioni di eguaglianza, garanzia dei diritti, tutela del merito e della concorrenza, e sono ancora più importanti nel momento in cui la spesa pubblica si annuncia come fattore decisivo per il superamento della crisi economica. Sta alla politica non ammainare questa bandiera, sta alla società civile vigilare perché questo non avvenga. Come gli altri governi che lo hanno preceduto, anche questo pensa che il Paese riparta con meno controlli e più grandi opere: noi invece pensiamo che ciò che frena l’Italia sia proprio la corruzione. Ora la parola è al Parlamento: con umiltà e fermezza chiediamo che sia una parola forte, indipendente, ponderata e lungimirante. Perché se, dopo la pandemia, l’Italia sprofondasse nel contagio della corruzione sarebbe un secondo più grave colpo per il nostro tessuto economico-civile. E questa volta senza più speranze di ripresa. Ferragosto, cocomerata solidale nelle carceri abruzzesi ilcapoluogo.it, 16 agosto 2020 L'iniziativa del Garante dei detenuti in collaborazione con le associazioni regionali per il Ferragosto nelle carceri abruzzesi: la Cocomerata Solidale. Si è tenuta il 15 agosto in contemporanea nelle carceri di L’Aquila, Sulmona, Chieti e Pescara l’iniziativa “La Cocomerata Solidale” promossa dal Garante dei detenuti della regione Abruzzo in collaborazione con l’Associazione Roccaraso Futura e l’Associazione L’Isola Solidale. Saranno oltre 300 le angurie che verranno distribuite per offrire anche a chi sta in carcere un giorno di Ferragosto diverso. Dopo l’emergenza Covid 19 che ha colpito duramente tutto il mondo del carcere questa iniziativa rappresenta un nuovo impegno dell’associazionismo nel mondo del carcere abruzzese con uno spirito solidale e inclusivo. “Un Ferragosto diverso con la Cocomerata Solidale - dichiara il Garante dei Detenuti della Regione Abruzzo, Gianmarco Cifaldi - per portare nelle carceri abruzzesi una ventata di speranza e di solidarietà. Stiamo costruendo in Abruzzo una rete di associazioni impegnate nel mondo carcerario per essere sempre più presenti e vicini a chi è in difficoltà”. “Questa iniziativa - spiegano congiuntamente Alessandro Amicone e Alessandro Pinna, rispettivamente presidente di Roccaraso e Futura e dell’Isola Solidale - fa parte di un percorso che abbiamo iniziato con il Garanate regionale abruzzese, prof. Gianmarco Cifaldi, con il lancio del numero verde «Oltre il carcere». Anche a Ferragosto abbiamo voluto dare un segno di presenza e vicinanza a chi si trova in stato di detenzione perché siamo convinti che occorra puntare sull’integrazione e la riabilitazione”. Caserta. Gaetano morto due volte: ucciso dal cancro, abbandonato dallo Stato casertanews.it, 16 agosto 2020 Gaetano Tolosa si è spento a 65 anni da detenuto ai domiciliari nonostante un tumore al quarto stadio. Da 6 mesi la richiesta di differimento della pena è pendente davanti al magistrato. Ha atteso invano un provvedimento del giudice di sorveglianza che non è mai arrivato. Si è spento nel giorno di Ferragosto Gaetano Tolosa, 65 anni di Caserta. È morto da detenuto, privato della libertà e della dignità da un magistrato di sorveglianza che ha preferito non rispondere ad un'istanza di differimento della pena presentata 6 mesi fa dal suo legale, l'avvocato Marco Alois. La richiesta al giudice - Lo scorso mese di febbraio erano stati i familiari del 65enne, detenuto fino a qualche mese fa al carcere di Carinola, a segnalare una forte preoccupazione per il suo stato di salute. Si presentava ai colloqui accompagnato a braccio, non si reggeva in piedi, in uno stato psicofisico confuso ed alterato oltre ad apparire fortemente dimagrito. Viene presentata un’istanza di differimento dell'esecuzione della pena, per verificare lo stato di salute del 65enne. Istanza a cui non ci sarà mai una risposta. Scarcerato per l’emergenza Covid - Intanto, arriva il Covid. Tolosa rientra tra i detenuti che possono beneficiare della detenzione domiciliare per effetto del decreto del Governo. Nel frattempo, vengono avanzate diverse richieste di autorizzazione per il suo grave stato di salute, mentre la richiesta di rinvio dell'esecuzione della pena resta pendente. Il ricovero in ospedale - Ha dolori lancinanti, al punto che interviene anche il 118. Tolosa finisce in ospedale. Al Sant'Anna e San Sebastiano la diagnosi è di quelle che non lasciano scampo: "tumore avanzato al quarto stadio". Una patologia mai rilevata durante lo stato di detenzione nonostante uno stato di salute evidentemente compromesso. I controlli anche di notte - Dopo la diagnosi il 65enne è costretto a recarsi al Centro Morrone per alcuni cicli di radioterapia. Vengono presentate istanze di autorizzazione - corredate di tanto di documentazione - ma ancora non c'è una risposta alla richiesta di febbraio. Nonostante sia in fin di vita per lo Stato (assente) Tolosa è detenuto e quindi va controllato, anche di notte. Le forze dell'ordine, in mancanza di un provvedimento del giudice, sono costrette a verificare lo stato di detenzione domiciliare, interrompendo quei rari momenti di riposo che la malattia gli concedeva. Una vera e propria tortura. I familiari annunciano azioni legali - Pochi giorni fa un nuovo sollecito da parte del legale Alois. Oggi, giorno di Ferragosto, Tolosa si è spento, abbandonato da uno Stato che si preoccupa di tutelare la salute dei boss ma non quella della povera gente. Una storia triste, una vergogna tutta italiana, che non mancherà strascichi. I familiari preannunciano un'azione legale sia nei confronti del penitenziario Novelli di Carinola, dove non è stato rilevato lo stato precario di salute, sia contro il Ministero di Giustizia, per la mancata decisione del magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere. Santa Maria Capua Vetere. Rete idrica per il carcere, affidati i lavori alla ditta aggiudicatrice gazzettadicaserta.it, 16 agosto 2020 Inizieranno probabilmente il prossimo autunno i lavori per la realizzazione della condotta idrica che dovrà portare finalmente l’acqua nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Due mesi fa, esattamente il 10 giugno scorso, sono stati affidati i lavori alla ditta che si è aggiudicato l’appalto. Giusto il tempo delle verifiche amministrative e inizieranno i lavori. Intanto per questo grande caldo che affligge anche i reclusi del penitenziario la direzione garantisce sono due bottiglie da due litri di acqua minerale al giorno, quindi da una bottiglia si è passati a due oltre le cisterne di acqua che ogni giorno arrivando per le cucine dei detenuti e le cucine del personale. Inoltre, viene sempre attuata manutenzione all’impianto di potabilizzazione della acqua con interventi anche straordinari per renderne la qualità buona sia per l’igiene che per la pulizia. Nonostante ciò si è registrato un nuovo intervento del Garante della Regione Samuele Ciambriello che ha sollevato nuovamente la questione affermando che «Dal 1996, anno di costruzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere, non è ancora stato realizzato l’allacciamento per la rete idrica. Eppure la giunta regionale della Campania, nel 2016, ha stanziato un notevole finanziamento, consegnando tali risorse al Comune di Santa Maria Capua Vetere». La Regione Campania, fa sapere ancora Ciambriello, con delibera della giunta regionale numero 142 dell’aprile del 2016 ha stanziato, in favore del Comune di Santa Maria Capua Vetere per la costruzione di una condotta idrica a servizio della casa circondariale, 2 milioni e 190mila euro. Successivamente, su questo tema, la stessa giunta, il 4 agosto dello stesso anno, ha firmato un protocollo d’intesa col Comune. Attualmente i detenuti presenti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, rendono noto dall’ufficio del Garante, sono 886, di cui 68 donne nel reparto Senna di alta sicurezza. Ogni giorno due autobotti portano l’acqua per la mensa dei detenuti e degli agenti, da decenni i detenuti usufruiscono gratuitamente di due bottiglie d’acqua minerale al giorno. Parma. Il Garante: "Dal numero dei detenuti alla carenza di personale, tanti punti critici" gazzettadiparma.it, 16 agosto 2020 Una nota positiva: "Meno episodi di auto-aggressività: funzionano le azioni di prevenzione". Il Garante dei detenuti del Comune di Parma Roberto Cavalieri questa mattina ha visitato le sezioni di isolamento, il reparto di transito, il centro clinico, la sezione paraplegici e la sezione nuovi giunti detenuti comuni in isolamento sanitario preventivo degli Istituti penitenziari. Alla data di oggi - questi sono i numeri forniti - sono presenti 625 detenuti: 315 detenuti comuni, 203 detenuti di Alta Sicurezza, 40 detenuti ex vertici dei cartelli mafiosi e 67 detenuti sottoposti al regime del 41 bis. Considerevole il numero dei detenuti ergastolani che ammontano a 127 pari al 20% dei reclusi. "51 sono i detenuti collocati nelle sezioni di interesse della visita del Garante - si legge in una nota - ma si contano purtroppo 130 detenuti assegnati dagli uffici centrali dell’Amministrazione penitenziaria al carcere di Parma per la presenza di un centro clinico che però si trovano in celle ordinarie. Le durate delle collocazioni nel centro clinico oltrepassano i 18 mesi di media, un detenuto è presente da 5 anni, quando la funzione del reparto è quella di offrire un’alta intensità assistenziale per poi dimettere i detenuti che dovrebbero rientrare nel carcere di provenienza. La sezione paraplegici conta invece 9 detenuti. La popolazione detenuta si caratterizza anche per altri dati importanti che connotano la struttura di Parma come complessa e critica: 36 detenuti sono costretti all’uso della carrozzina per deambulare e 50 sono non autosufficienti. Per ciascun detenuto recluso a Parma sono state diagnosticate in media dalle 4 o alle 5 patologie". Secondo quanto registrato dal Garante, le sezioni per l’accoglienza dei detenuti nuovi giunti in isolamento precauzionale per l'emergenza Covid "sono apparse adeguate con celle occupate da un solo detenuto. Preoccupa invece la registrazione dell’arrivo di un significativo numero di detenuti dei circuiti di alta sicurezza dagli istituti di Voghera, San Gimignano e della Sardegna che rendono decisamente critica la situazione sotto il profilo della collocazione nelle celle. Ridotto il numero dei detenuti in isolamento disciplinare, 4 detenuti di cui uno sottoposto all’art 14 bis O.P. ovvero di sorveglianza particolare in quanto attore di disordini nel carcere di Opera". "Nonostante il notevole carico di criticità del carcere di Parma, amplificate anche dalla cronica mancanza di personale della Polizia penitenziaria e dell’Area trattamentale, si registra una contrazione degli eventi critici rispetto allo scorso anno ed in particolare per quello che riguarda i fenomeni auto-aggressivi possibile effetto delle azioni di prevenzione e presidio realizzato dagli operatori penitenziari quali gli educatori e la Polizia penitenziaria - sottolinea Cavalieri -. Infine si segnala la necessità di mettere in atto procedure e modalità di lavoro che permettano ai detenuti con patologie e/o disabili di accedere alle attività trattamentali e che queste siano progettate per rispondere ai bisogni di persone che sono portatrici di disabilità e altri tipi di deficit psico-fisici." Reggio Calabria. Il Garante dei detenuti a ferragosto in visita agli istituti penitenziari strill.it, 16 agosto 2020 ll Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Reggio Calabria avv. Giovanna Russo e l’Assessore alle Politiche sociali Lucia Anita Nucera, in occasione del Ferragosto e della festività dell’Assunta, si sono recate in visita agli istituti penitenziari di Reggio Calabria, Arghillà e “G. Panzera”. “Dovere istituzionale, oltre che umano e personale - dichiara il Garante - di recarsi presso gli istituti penitenziari di Reggio Calabria, Arghillà e “Panzera”. Il 15 agosto sarà per molti un momento di convivio familiare, occasione per stare con amici (pur sempre nel rispetto delle regole e restrizioni Covid). Proprio sulla scorta di un pensiero soprattutto umano oltre che in qualità di garante del comune di Reggio Calabria in ragione delle funzioni che esercito al fine di dare un segno di non dimenticanza, di presenza e vicinanza a quanti si trovano nei due istituti penitenziari reggini oggi si è volutamente dedicato un momento di attenzione agli “ultimi” agli “invisibili” della società. La visita in carcere nel giorno di ferragosto è una consuetudine consolidata in seno al coordinamento nazionale dei garanti territoriali, sulla scorta delle iniziative promosse dai radicali. Ringrazio, innanzitutto, la dottoressa Patrizia Delfino in rappresentanza del Dott. Calogero Tessitore ed il personale di sorveglianza penitenziario tutto di Arghillà per l’accoglienza riservataci, l’ispettore del plesso “Panzera” di Reggio Calabria che ci ha accompagnate durante la visita odierna. Silenzio, isolamento e solitudine dei cuori, perfino di chi sa di avere sbagliato, sono stati i sentimenti che anno accompagnato questo prima visita ufficiale all’interno degli Istituti penitenziari”. La visita é senz’altro un gesto di umanità, nel solco senso cristallizzato dall’art.27 del dettato costituzionale: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. “Certo le situazioni dei detenuti dei due istituti reggini -prosegue l’avv. Russo -meritano un approfondimento di analisi e d’ individuazione del trattamento rieducativo più efficace al fine di poter garantire a tutti un concreto e reale reinserimento sociale una volta esaurito il periodo di detenzione. L’occasione della visita odierna è stata proficua al fine ascoltare una serie di istanze, già note all’Ufficio del Garante di cui si è fatto carico il collega Avv. Agostino Siviglia durante tutto il suo mandato. Da donna sento di voler dedicare un pensiero e particolare attenzione alla sezione femminile del “Panzera” per il quale sono già state realizzate negli scorsi anni attività mirare alla realizzazione di percorsi di reinserimento delle stesse nella società. Infine sento di cuore di voler ricordare e ringraziare il segno di una presenza costante e momento di preghiera grazie al cappellano e ad una sorella della Fraternità Maria Immacolata - Piccoli Fratelli e Sorelle dell’Immacolata di Bagnara Calabra (nel braccio femminile) proprio in un caldo giorno festivo a testimoniare supporto e vicinanza ai detenuti. É qui che cogliamo l’importanza dei gesti. Azioni per le quali forse una nuova strada rieducativa è possibile: quella per cui il carcere non sia una parte sconnessa dalla società quanto piuttosto una parte della stessa. Oggi più che mai - conclude il Garante - risulta necessario vincere la sfida della rieducazione penale, creando opportunità di vita alternative”. Genova. "Marassi, carcere sovraffollato e anno zero per test sierologici e tamponi" repubblica.it, 16 agosto 2020 La denuncia di Lunardon, consigliere Pd, che ha trascorso la mattina di Ferragosto in vista a Marassi col militante radicale Stefano Petrella. Il carcere di Marassi ha una capienza di 550 detenuti ma ne ospita 700. "Troppe ancora le celle con sei detenuti laddove dovrebbero essere in quattro. Un problema per i detenuti ma anche per la Polizia penitenziaria. Ricorrere di più alle pene alternative è una necessità impellente, non un riflesso condizionato dei presunti buonisti. Poi occorre sbloccare i progetti di nuovi carceri: a Savona se ne parla invano da vent’anni". Lo scrive su Facebok il consigliere Pd Giovanni Lunardon che ha trascorso la mattinata al carcere di Marassi facendo visita ai detenuti e al personale penitenziario, accompagnato da Stefano Petrella, militante del Partito Radicale. I radicali da sempre sono attivi nella battaglia per i diritti dei detenuti e anche a Ferragosto scelgono di testimoniare la loro attenzione al tema, questa volta si è unito anche Lunardon. "Siamo come al solito all’anno zero sui test sierologici e sui tamponi - la denuncia di Lunardon. Per fortuna in Liguria nella fase acuta del covid non vi sono stati focolai nelle carceri e anche i casi positivi o non si sono verificati o ci sono stati in modo tangenziale. Dopo di che nonostante la solita grancassa della Viale a Marassi si è fatta una sola campagna di test a maggio su detenuti e agenti. Quasi nessun tampone. Poi più nulla. È questa la prevenzione nelle carceri e più in generale in Liguria? Polizia penitenziaria, polizia di stato, vigili del fuoco aspettano i test. La Regione ha il compito di farli. Lo faccia. E così anche sui detenuti, che sono cittadini come tutti gli altri e devono avere gli stessi diritti, a partire da quello alla salute". Pesaro. Il Garante: "I problemi dell'area sanitaria oggetto di intervento con i vertici Asur" viverepesaro.it, 16 agosto 2020 Visita all’istituto penitenziario pesarese anche nel periodo di ferragosto. Preoccupa la situazione dei detenuti con patologie di carattere psichiatrico o legate alla tossicodipendenza. Al centro dell’attenzione anche i problemi derivanti da sovraffollamento, carenze negli organici, necessità di manutenzione in diversi settori dell’edificio. Appuntamento a Villa Fastiggi di Pesaro per le visite in carcere del Garante regionale, Andrea Nobili, anche nel periodo di ferragosto. Conclusa la fase di monitoraggio per verificare la situazione complessiva dopo il periodo di lockdown, si è ritenuto opportuno, infatti, formulare un nuovo calendario di incontri, considerate le criticità presenti in alcuni istituti penitenziari e la possibilità del loro acuirsi durante il periodo estivo. Presso la Casa circondariale pesarese visita e numerosi colloqui con i detenuti, mentre in precedenza il Garante ha avuto un confronto costante con la direzione della struttura ed i responsabili della polizia penitenziaria. Al centro dell’attenzione i problemi derivanti da sovraffollamento, situazione sanitaria (con un numero significativo di soggetti con patologie di carattere psichiatrico o legate alla tossicodipendenza), carenze negli organici, necessità di manutenzione in diversi settori dell’edificio che ospita il carcere. Un quadro d’insieme che ha rischiato di aggravarsi durante il periodo dell’emergenza epidemiologica e più volte rappresentato dal Garante che, proprio per questo motivo, ha sempre mantenuto attiva l’interlocuzione con i vertici della struttura e dell’amministrazione penitenziaria. “Siamo consapevoli che la situazione - sottolinea Nobili - deve essere doverosamente attenzionata sotto diversi punti di vista e che sono necessari interventi non più rinviabili, a partire dalla questione degli organici. Fino ad oggi si è riusciti a fronteggiare le criticità dell’esistente, ma questo stato di cose non può protrarsi all’infinito. Nelle prossime settimane i problemi legati all’area sanitaria saranno oggetto di un intervento approfondito con i vertici Asur”. Il Garante rinnova l’auspicio per una collaborazione attiva di tutte le componenti chiamate ad intervenire direttamente nella realtà degli istituti penitenziari marchigiani. “Nelle scorse settimane - conclude - abbiamo salutato con soddisfazione l’arrivo di un nuovo Presidente per il Tribunale di sorveglianza di Ancona. Oggi rinnoviamo l’invito a chi di competenza per una presenza effettiva del Prap sul territorio regionale, che come sappiamo è invece chiamato a intervenire su Emilia Romagna e Marche con tutte le difficoltà del caso”. Palermo. “Cotti in fragranza”, il made in Sicily d’eccellenza arriva dal carcere di Rossella Avella interris.it, 16 agosto 2020 Un laboratorio per la preparazione di prodotti da forno all’interno di un carcere minorile? Si può! Si chiama “Cotti in Fragranza” e si trova nel Malaspina di Palermo. Un progetto buono, basato su una precisa etica della responsabilità, in cui i giovani coinvolti sono protagonisti di tutte le scelte, dai nomi dei prodotti alle strategie di marketing. Anche dopo aver concluso il proprio percorso detentivo, i ragazzi continuano a lavorare al progetto. Un made in Sicily d’eccellenza - Cotti in Fragranza è un’impresa sociale all’avanguardia che utilizza materie prime di alta qualità per una produzione made in Sicily d’eccellenza. La sua storia comincia con il Buonicuore, un frollino dall’inconfondibile sapore di mandarino ideato da uno dei migliori pasticceri della Sicilia, Giovanni Catalano. É sua la ricetta donata al laboratorio insieme alle prime “lezioni” di cucina. Sotto la sua guida viene completato il laboratorio, ed è qui che i ragazzi - affiancati da uno chef formatore - cominciano il proprio percorso di formazione. La produzione si espande - Nel frattempo le competenze crescono e anche la voglia di sperimentare: è così che si creano le ricette per gli altri due frollini agli agrumi, il Parrapicca e il Coccitacca, e per gli snack salati, i Picciottelli. Grazie al supporto di una squadra di esperti esterni e sempre affiancati dalle insuperabili educatrici coordinatrici del progetto, Lucia Lauro e Nadia Lodato, i ragazzi si confrontano con le quotidiane scelte imprenditoriali: studio del mercato, perfezionamento dell’offerta, strategie di marketing. I frollini superano i confini dell’isola - Col passare dei mesi i frollini Cotti in Fragranza raggiungono le botteghe equosolidali, i bar, e grazie al supporto di Legacoop Sicilia Occidentale anche i supermercati della grande distribuzione, superando i confini della Sicilia e portando il proprio messaggio di riscatto sociale in tutta la Penisola. Il progetto è promosso e sostenuto dall’Istituto Penale per i Minorenni di Palermo, Opera Don Calabria, Associazione Nazionale Magistrati Fondazione San Zeno e Unicredit. Interris.it ha incontrato Lucia Lauro che ha raccontato in prima persona cosa significa vivere una realtà come “Cotti in fragranza”. Da dove nasce l’idea di creare un laboratorio sociale all’interno di un carcere? E soprattutto qual è la vostra idea di sociale? “L’idea nasce dall’allora direttore dell’istituto sociale per i Michelangelo Capitano e del nostro direttore dell’Istituto Don Calabria Alessandro Padovani. L’idea era di creare un’azienda dentro l’istituto come già avviene per gli adulti in alcune città d’Italia. Cosa rappresenta cotti in flagranza nel mondo del made in Italy? Quali sono i vostri progetti odierni e quelli futuri? “Siamo stati il secondo progetto dentro un IPM in Italia, il primo al sud, quindi penso che rappresentiamo una speranza per altre cooperative ed altri istituti in Italia che vogliono intraprendere quest’avventura. Certamente siamo riusciti a sviluppare un modello aziendale che ci permette oggi di avere due/tre ragazzi che lavorano dentro l’istituto e sette ragazzi che lavorano nella cucina esterna”. “Il nostro progetto futuro è creare sempre più settori, più attività, perché solo così potremo impiegare molti più ragazzi. Già da due anni oltre al biscottificio abbiamo un settore catering e un settore dedicato ai laboratori di cucina per scolaresche o gruppi di adulti. Al momento stiamo lanciando il nostro Al Fresco Giardino e Bistrot, un giardino nel centro di Palermo in cui i ragazzi si stanno sperimentando nella piccola ristorazione. Per i prossimi 2 anni saremo impegnati nella ristrutturazione del Palazzo seicentesco in cui si trova il nostro Giardino per fare il Bistrot invernale, un centro di formazione professionale e un centro di accoglienza turistica. Questi progetti sono realizzabili grazie al sostegno della Fondazione San Zeno e della Fondazione con il sud”. Cosa significa aderire a questo progetto? “Significa decidere di dare spazio ai sogni e di essere disposti a faticare per realizzarli. Il nostro è un progetto corale, ogni adulto e ragazzo che entra a farne parte diventa partecipe di ogni processo decisionale, deve portare il suo contributo in termini di creatività e della responsabilità che ne consegue”. Che aria si respira nel laboratorio? Come vengono coinvolti, preparati e inseriti nel progetto gli ex detenuti? “Il laboratorio è un luogo di energia all’interno di un luogo complesso, spesso statico, certamente delimitato che si chiama carcere. Nonostante anche il laboratorio sia tra quattro mura, li si crea un prodotto che viaggia in tutta l’Italia, si immagina il lavoro fuori, si raccontano le altre parti del progetto. Quindi l’atmosfera è certamente positiva. Poi il lavoro in sè da dignità, da la possibilità di aiutare le famiglie, di cominciare a costruire un fuori. I ragazzi detenuti vengono formati da uno chef all’interno del laboratorio e poi quando escono vengono seguiti nel laboratorio esterno. Si impara facendo, ma soprattutto i ragazzi entrano a far parte subito di quell’intelligenza collettiva che secondo noi è la grande differenza del nostro progetto. I giovani non sono destinatari, sono realmente protagonisti”. Qual è il messaggio che vuole lanciare Cotti in Flagranza in un territorio in un cui purtroppo la criminalità organizzata ha lasciato il segno? “Il messaggio è emblematico: non siamo malacarne ma veri buonicuore. Noi puntiamo sulla scelta, la possibilità di scegliere un altro contesto di riferimento, un’azienda che è una “famiglia”, in cui i bisogni sono ascoltati, in cui crescere è possibile, in cui tutti mostriamo ferite e debolezze e tendiamo mani per risalire la china”. Quanto e come aiuta i ragazzi? “Per chi fa questa scelta, non sono tutti chiaramente, comincia una nuova vita: lo stipendio, la casa da affittare, il motorino, la prima vacanza con gli amici all’estero. Tutte quelle cose normali che tutti viviamo dai 15 ai 24 anni e che loro hanno inesorabilmente perso”. Qual è stato il momento più bello di questi anni? Un ricordo o un aneddoto che ti ha particolarmente colpita? “I momenti belli sono troppi, sicuramente i più belli sono i momenti in cui i ragazzi escono in affidamento e possiamo vederli fuori dall’Istituto. Un aneddoto divertente è legato ad uno dei nostri biscotti il Parrapicca. In siciliano il Parrapicca è un oggetto metaforico per chiudere la bocca a chi ti denigra. Quando iniziammo in carcere molti dubitavano sulla capacità dei ragazzi di impegnarsi. Così dopo i risultati di vendita del primo semestre che furono oltre le nostre aspettative e il primo Natale frenetico, uno dei ragazzi disse “Ora si comprano tutti un Parrapicca”. Il loro orgoglio per avercela fatta è un’emozione indelebile, che per fortuna rivedo ogni volta che intraprendiamo una nuova sfida e la portiamo a termine”. Gorgona (Li). Liberazione di massa dall’isola-carcere, 588 animali salvati dal macello ilfattoquotidiano.it, 16 agosto 2020 Sui due chilometri quadrati in mezzo al mare di fronte a Livorno c'erano quasi 600 tra vitelli, maiali, conigli, capre, galline e cavalli. Molti di loro erano destinati alla macellazione in cui lavoravano i reclusi del penitenziario modello. Ma dopo un protocollo tra Comune, ministero e Lav tre quarti saranno riaffidati sulla terraferma e la prima "arca della libertà" ne ha portati via alcune decine. Altri 180 continueranno ad essere accuditi per i percorsi di rieducazione. Ora la loro storia è finita sul Guardian. Il garante: "Mi sentivo responsabile anche dei loro diritti: quel progetto di 'salvezza' può salvare anche la riabilitazione" A Gorgona, l’ultima isola-carcere rimasta in Italia, è in corso una “liberazione di massa“. Ad andarsene non sono i detenuti ma la maggior parte dei 588 animali che fino a qualche mese fa, dopo l’allevamento da parte dei detenuti, erano destinati al macello. Dopo un accordo tra il Comune di Livorno, direzione del penitenziario e Lav il mattatoio è stato chiuso e una parte è tornata sulla terraferma, mentre 180 esemplari di varie specie tra capre, conigli, maiali, galline e altre ancora resteranno sull’isola e saranno accuditi dai detenuti. Una storia che rilancia il “modello Gorgona”, per fare dell’istituto di detenzione nel mare di Livorno un “laboratorio di buone pratiche per la rieducazione”. La “fuga per la salvezza” degli animali di Gorgona è finita sulle pagine del Guardian che con un reportage ha raccontato sia l’impegno delle associazioni animaliste per la chiusura del mattatoio, sia il ruolo fondamentale che la pratica dell’allevamento ha nella rieducazione dei carcerati. La battaglia per la liberazione degli animali di Gorgona andava avanti da anni. In prima linea non solo le associazioni animaliste (e in particolare la Lav che si occuperà del trasferimento dei 400 animali), ma anche i detenuti, come spiega il garante per il Comune di Livorno Giovanni De Peppo: “Alcuni detenuti avevano chiesto la grazia per gli animali, spiegando che in un carcere non poteva scorrere sangue, fosse anche quello degli animali. E poi proprio dopo che, erano stati accuditi, protetti, chiamati per nome”. Una simbolica “Arca della Libertà”, con a bordo i primi 85 animali, è salpata il 25 giugno, in direzione del porto di Livorno, che dista 34 chilometri e un’ora di navigazione. Vitelli, maiali, conigli, capre, pecore, galline e cavalli sono stati trasferiti sulla terraferma e destinati una parte all’adozione diretta della Lav e una parte a chi vorrà prendersene cura. Se la Lav si occuperò del salvataggio e del trasferimento degli animali (aiutando il carcere a trovargli una casa, l’attività terapeutica con i 180 che rimarranno sarà coordinata dalla cattedra di diritto penitenziario dell’Università Bicocca di Milano, con un contributo di 45mila euro in due anni. La Lega antivivisezione aiuterà anche il carcere a trovare una casa agli animali liberati interventi educativi, campagne di adozione a distanza, o visite guidate sull’isola. Racconta lo stesso De Peppo a ilfatto.it: “Da garante, attraversando il tratto di mare che divide Livorno dall’isola di Gorgona, per incontrare i cento detenuti che lì vivono e lavorano per il tempo della pena, non riuscivo, ogni volta, a non pensare, tra il biancore della schiuma della motovedetta che mi portava sull’isola, anche alle altre creature ristrette e che, pur accudite, non avrebbero potuto avere conservato il dono della vita”. Così “mi resi conto di poter essere e dover essere garante anche di quelle creature - continua De Peppo - pensando che quel progetto di ‘salvezza’ avrebbe salvato anche le strategie di riabilitazione dei detenuti”. “Per poter rientrare nella società, un prigioniero deve essere in grado di sviluppare empatia e, se stiamo uccidendo animali, di sicuro non possono sviluppare connessioni positive con altri umani. È molto importante che apprendano il concetto di cura, con l’obiettivo di essere in grado di prendersi cura di sé stessi” ha spiegato al Guardian Giacomo Bottinelli, attivista della Lav. E proprio da questo principio negli anni sono nate le lotte dell’associazione, in collaborazione con Essere Animali e Ippoasi. La storia del “modello Gorgona” parte da lontano: il carcere venne istituito dal giovane Regno d’Italia nel 1869 e già nei primi decenni su questo piccolo appezzamento di fronte a Livorno i detenuti scontavano la pena in semilibertà occupandosi degli animali da fattoria. Negli ultimi anni però si è fatta strada - grazie al veterinario dell’isola Marco Verdone e al direttore del penitenziario Carlo Mazzerbo - una nuova idea di convivenza uomo-animale, abbandonando il macello come destinazione dell’allevamento. Alla fine è arrivato il protocollo, anche grazie all’interessamento del ministero della Giustizia. “Ed è ripartita la speranza e la possibilità di trasformare Gorgona nell’isola dei diritti di tutti - dice De Peppo - Se succede nella piccola isola nel cuore del santuario dei cetacei, nel Parco dell’Arcipelago Toscano, tutto e ovunque può succedere”. I vantaggi saranno anche per l’ambiente perché sarà ridotto l’inquinamento e lo sfruttamento dei due chilometri quadrati dell’isola che si trasformerà in un “laboratorio delle buone prassi etiche, ambientali, energetiche”. Il garante ricorda un vecchio proverbio indiano: “La terra ci è stata dato in prestito dai nostri figli”: “Ma probabilmente un’isola dove la non violenza è reale può essere un buon inizio”. Gradisca d’Isonzo (Go). Disordini nel Cpr, arrestati tre migranti La Repubblica, 16 agosto 2020 Ieri in serata, dopo un tentativo di fuga è stato appiccato il fuoco a materassi e altri oggetti. In un video la repressione della rivolta. Nel Centro morto lo scorso gennaio un migrante georgiano. Tre migranti di nazionalità tunisina trattenuti nel Cpr di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) sono stati arrestati dalla Polizia dopo i disordini di ieri sera all'interno della struttura. Dovranno rispondere di lesioni personali, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato e danneggiamento a seguito di incendio. Secondo una ricostruzione, ieri sera all'interno del Centro di permanenza per il rimpatrio c'è stato un tentativo di fuga da parte di un gruppo di ospiti e sono stati appiccati incendi a materassi e altri oggetti. Sul posto sono intervenute le forze dell'ordine, con i vigili del fuoco, per bloccare la rivolta e mettere in sicurezza gli ospiti dalle fiamme. Un carabiniere, durante un momento di tensione, è stato raggiunto da un pezzo di plexiglass andato in frantumi ed è rimasto lievemente ferito al capo. Portato in ospedale è stato giudicato guaribile in alcuni giorni. Non risulterebbero feriti tra i migranti. Sulla rivolta è stato diffuso un video in cui si vede l'intervento delle forze dell'ordine. Le fonti ufficiali non hanno dato notizia di feriti tra gli ospiti del Centro. All'interno del Cpr al momento si trovano circa 75 persone. I tre cittadini tunisini arrestati sono stati portati nel carcere di Gorizia. Il Cpr è al centro di un'inchiesta per omicidio volontario in seguito alla morte, avvenuta lo scorso gennaio, di un migrante di origine georgiana. Il parlamentare di Europa+, Riccardo Magi, a proposito del Cpr nell'Isontino aveva parlato di "situazione fuori controllo". Non è infatti la prima volta che nel Centro di permanenza si verificano disordini e rivolte, e da più parti arrivano denunce di maltrattamenti e violazioni dei diritti umani. Messina. Un gruppo di minori stranieri non accompagnati detenuti illegalmente nell’hotspot di Antonio Mazzeo imgpress.it, 16 agosto 2020 Due ragazzi di 17 anni, uno di 16 e uno ancora di 15 anni compiuti solo il 10 luglio scorso. Dal 29 luglio 2020, in violazione delle leggi italiane e del diritto internazionale, quattro adolescenti di nazionalità tunisina sono trattenuti in stato di detenzione nell’hotspot per migranti di Messina-Bisconte, un vero e proprio lager realizzato tre anni fa perfino in spregio alle normative urbanistiche. L’ennesimo scandalo della malaccoglienza in Sicilia è stato rilevato dall’avvocato Carmelo Picciotto dell’Associazione per gli Studi sull’Immigrazione (Asgi) in una nota inviata il 12 agosto al Prefetto, al Questore, al Garante regionale delle persone detenute e al Garante dell’infanzia del Comune di Messina. “Sono stato contattato giorno 8 da un cittadino tunisino che risiede e lavora in Italia che mi ha segnalato che nell’hotspot dell’ex Caserma Gasparro sono presenti due suoi cugini minorenni provenienti dalla provincia di Monastir”, spiega il legale. “Ho formalmente fatto richiesta alle autorità competenti di verificare la correttezza delle informazioni e a provvedere per disporre la collocazione dei minori predetti in altre strutture. Mi ha risposto ieri solo il garante dell’infanzia assicurandomi il suo interessamento, ma i minori sono sempre lì a Bisconte, in una struttura di detenzione assieme ad adulti”. Dalle informazioni in nostro possesso, nel lager di Bisconte i cittadini tunisini di minore età provenienti da Monastir sono quattro, a cui si aggiungerebbe un altro ragazzo originario della città di Zarzis. I minori erano giunti a Lampedusa la notte del 25 luglio, dove sono stati trattenuti per tre giorni all’interno dell’altro hotpost-inferno, quello di contrada Imbriacola. Poi la deportazione manu militari in nave sino a Messina. Dal 29 luglio i cinque adolescenti tunisini sono costretti a vivere in promiscuità insieme a una moltitudine di migranti adulti, alcuni dei quali, nei giorni scorsi, sarebbero stati allontanati e messi in isolamento perché risultati positivi ai tamponi anti-Covid 19. Perplessità sugli accorgimenti precauzionali adottati per impedire i contagi all’interno del centro detentivo di Messina-Bisconte e sulle stesse modalità di esecuzione dei test sono state espresse dai congiunti dei minori illegalmente detenuti. “I nostri ragazzi ci hanno detto che con loro c‘è pure un ragazzo minore proveniente dalla Somalia, anch’egli costretto da più di 20 giorni a convivere con centinaia di persone senza il rispetto di alcun distanziamento”. “Aldilà della gravità dell’intera vicenda, quello che preoccupa maggiormente ragazzi minorenni vengano messi in una struttura detentiva con adulti”, aggiunge l’avvocato Carmelo Picciotto. Gravissimo il silenzio e l’immobilismo delle autorità della città di Messina: ancora una volta regna sovrana l’insensibilità e incapacità di garantire tutela e diritti alle categorie protette, prime fra tutte quella dei minori stranieri non accompagnati. Torture, operai in sciopero, donne in marcia: il coraggio dei bielorussi lasciati soli troppe volte di Maria Serena Natale Corriere della Sera, 16 agosto 2020 Ora finalmente si muove anche l’Europa: verso sanzioni contro il regime. Mosca è vicina ma Minsk crede alla svolta. Ragazzi spalle al muro e mani dietro la schiena. Gambe e toraci viola per gli ematomi dopo le violenze. Lacrime e abbracci all’uscita dalle prigioni delle torture. Le immagini che raccontano la brutalità della repressione in Bielorussia amplificano il coraggio di chi resiste. Donne vestite di bianco che offrono fiori ai poliziotti, agenti che abbandonano la divisa, operai in sciopero. Un’onda ideale che guarda ad altre fughe senza ritorno: il 14 agosto 1980 si fermavano i lavoratori dei cantieri Lenin a Danzica e cominciava l’epopea di Solidarnosc che avrebbe sconfitto il comunismo. I bielorussi sfilano uniti e fiduciosi, eppure quante volte sono rimasti soli. Da ventisei anni il Paese è ostaggio del regime di Aleksandr Lukashenko, un tempo energico dirigente di una cooperativa agricola, poi abile equilibrista tra Mosca e l’Occidente. Oggi ultimo dittatore d’Europa. Qualcosa è cambiato dopo il sesto plebiscito farsa, dopo la mobilitazione di un Paese intorno a tre donne, Svetlana, Veronika e Maria ritratte come eroine senza paura, ciascuna con il proprio simbolo: il pugno alzato, la V di vittoria, il cuore. Ma la paura è tanta e dopo il voto Svetlana Tikhanovskaya, l’insegnante moglie di un oppositore in carcere che si è ritrovata candidata alle presidenziali, ha cercato rifugio in Lituania, da dove incita i suoi a tenere vivo lo spirito pacifico della lotta e la comunità internazionale ad aprire un tavolo per il trasferimento dei poteri. Si muove infine l’Unione europea, sempre attenta a denunciare le violazioni dei diritti ma anche a non alterare la pace fredda in quel che resta dello spazio sovietico, tanto da includere la Bielorussia nel Partenariato orientale senza pretendere mai troppo. Solo 700 chilometri corrono tra Minsk e Mosca, Vladimir Putin aspetta. Trainato dalla Germania e dai Paesi dove più brucia il passato dei rapporti con la Russia (Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia e Lituania), a Bruxelles cresce il consenso sulle sanzioni contro il regime. In un sistema blindato dove l’intelligence resta «Kgb» e il passato si ostina a non passare, la Storia si è rimessa in marcia. Egitto. É morto in carcere Essam el-Erian, parlamentare dei Fratelli Musulmani di Riccardo Noury corriere.it, 16 agosto 2020 Essam el-Erian, uno dei più importati esponenti della Fratellanza Musulmana egiziana ed ex parlamentare, è morto giovedì nel complesso carcerario di Tora al Cairo, il 66enne aveva denunciato la negligenza medica delle autorità carcerarie nei suoi confronti e l’impossibilità di ricevere visite. El Erian negli ultimi mesi non aveva potuto ricevere visite a causa della decisione della autorità giustificata con l’epidemia di Coronavirus. Medico di professione, Erian è stato anche vicepresidente del Partito Libertà e Giustizia, l’ala politica del più grande movimento di opposizione egiziano, i Fratelli Musulmani e aveva servito come membro del parlamento dopo la rivoluzione del 2011 che ha rovesciato il regime di Hosni Mubarak. El Erian e altri leader della Fratellanza sono stati arrestati in seguito al colpo di Stato militare del 2013 guidato dall’allora ministro della difesa Abdel Fattah el-Sisi, ora alla guida del regime militare. Il colpo di Stato aveva estromesso Mohamed Morsi presidente democraticamente eletto, candidato da Libertà e Giustizia. Lo stesso Morsi è morto in carcere lo scorso anno all’età di 67 anni, a causa di ciò che gli esperti delle Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani affermano essere stata deliberata negligenza medica da parte delle autorità. Da quando ha raggiunto il potere nel 2014, Sisi ha condotto una repressione implacabile contro i suoi oppositori di ogni tendenza politica. Negligenza medica - El Erian era stato tenuto per sette anni in isolamento presso la famigerata prigione di massima sicurezza Aqrab (Scorpione), parte del complesso carcerario di Tora. In una testimonianza video del gennaio 2018, El Erian ha rivelato a un giudice in un’aula di tribunale di aver sviluppato l’epatite C durante la custodia. Aveva dichiarato che le sue molteplici richieste per essere trasferito in un ospedale specializzato sono state ignorate dalle autorità. El Erian aveva inoltre denunciato il crescente numero di prigionieri morti in carcere a causa delle scarse cure mediche prestate: “a centinaia vanno incontro ad una morte lenta per un motivo: negligenza medica”. Mi è stata diagnosticata l’epatite C mentre ero in prigione. I medici hanno raccomandato di trasferirmi all’istituto per il trattamento del fegato, ma la National Security Agency si è rifiutata. Amr Magdy, ricercatore egiziano presso Human Rights Watch, ha affermato che El Erian viveva “in un isolamento quasi totale” sin dalla sua prigionia risalente a sette anni fa. “I detenuti nella prigione di Scorpion vivono anni o mesi senza contatti con le loro famiglie o avvocati”, ha detto a Middle East Eye. So dalla famiglia di Erian che aveva parecchie malattie croniche, le quali richiedevano un ricovero adeguato, ma l’amministrazione della prigione è stata molto intransigente al riguardo. A Erian non sono state fornite le cure mediche di cui aveva disperatamente bisogno. “Il problema è che questo è un governo di cui non possiamo fidarci. Non esiste un controllo indipendente sulle carceri”, ha affermato. “Sappiamo per certo che ci sono centinaia di casi simili, che non sono stati indagati e di cui nessuno è stato ritenuto responsabile”. Israele, l’intesa sulla Cisgiordania sembra un patto commerciale. E i palestinesi sono la merce di Fabio Scuto ilfattoquotidiano.it, 16 agosto 2020 L’annuncio di un accordo fra gli Emirati Arabi Uniti (Eau) e Israele, con il sostegno di Donald Trump, ha i connotati di una “Summer News”. Una notizia per tenere i titoli dei giornali. Due dei tre personaggi coinvolti sono maestri in quest’arte, uno scambio di tweet e ognuno a casa propria rilascia una dichiarazione carica solo di aspettative. Mai si era visto in Israele che una mossa del genere avvenisse all’oscuro dell’intero governo. Netanyahu ha lasciato una riunione sul bilancio - che se non approvato entro il 24 agosto farà cadere il suo governo - dicendo ai suoi ministri: “Collegatevi su Twitter, ci sono novità importanti”. Né il premier supplente Benny Gantz né il ministro degli Esteri Gabi Askenazi ne sapevano nulla. Simile la situazione alla Casa Bianca dove solo il segretario di Stato Pompeo sapeva quel che stava succedendo. Non ci sono firme su un pezzo di carta ma la promessa che verrà avviato prossimamente un negoziato per i rapporti commerciali, i voli aerei, il turismo, i visti di ingresso. Si parla di scambio di diplomatici ma è tutto in divenire. Più che un accordo fra Stati sembra un accordo fra company di diversi Paesi. E ognuno ci legge dentro quel vuole. Per Mohammed Bin Zayed - il sovrano sodale di Mohammed Bin Salman di Arabia Saudita - è l’occasione per spuntare maggiori aiuti dagli Usa in chiave anti-Iran e consolidare il proficuo scambio di tecnologia già avviato da anni con Israele grazie al Mossad, che agisce come fosse un Ministero degli Esteri di fiducia di Netanyahu. È stato designato infatti Yossi Cohen - direttore dell’agenzia di spionaggio - a guidare i colloqui nelle prossime settimane a Abu Dhabi. Stando a quanto detto dall’erede dell’emirato nell’intesa c’è la rinuncia israeliana all’annessione della Cisgiordania che è stata “annullata”. L’accordo consente anche agli Emirati di rafforzare la propria posizione internazionale, profondamente danneggiata dal suo ruolo centrale in una guerra che ha trasformato lo Yemen in un disastro umanitario e nel conflitto che sta devastando la Libia. E poi c’è la possibilità concreta di ottenere armi avanzate a lungo cercate ma che gli Stati Uniti vendono solo ai Paesi in pace con Israele, per preservare il suo predominio militare nella regione. Israele e Eau non si sono mai affrontati in battaglia e le loro relazioni hanno cessato da tempo di assomigliare a quelle dei nemici: gli Emirati hanno ospitato ministri e atleti israeliani e hanno invitato Israele all’Expo di Dubai 2020, spostato al 2021 a causa della pandemia. Benjamin Netanyahu temendo le ire dei coloni e dell’ultra-destra, sostiene invece che l’annessione è “solo congelata”, più avanti si vedrà. La sua spinta a estendere la sovranità sulla Cisgiordania lo aveva messo all’angolo: criticato dai leader europei, respinto dai suoi partner della coalizione e distratto da una pandemia che stava rapidamente sfuggendo al suo controllo, mentre l’obiettivo dell’annessione diventava sempre più sfuggente. L’accordo permette adesso a Netanyahu di raggiungere un traguardo storico per coronare il suo mandato come leader israeliano più longevo, di classificarsi al fianco di Menachem Begin e Yitzhak Rabin, precursori che hanno raggiunto accordi di pace con gli ex acerrimi nemici della nazione, Egitto e Giordania. E spera che agli Eau si aggiungano presto Oman e Bahrein, ma soprattutto l’Arabia Saudita. È improbabile però che gli elettori israeliani dimentichino adesso le loro preoccupazioni legate alla pandemia per la gioia delle notizie sugli Emirati, anche se lo stop all’annessione è stato accolto con favore dal centro e dalla sinistra. Quasi 1 milione di israeliani è senza lavoro, e i manifestanti hanno inondato le strade e gridato fuori dalla residenza di Netanyahu più volte alla settimana, una dimostrazione di rabbia che la moderna Gerusalemme non aveva mai visto. Con i suoi 3 processi, il primo inizierà il prossimo gennaio, Netanyahu ha minacciato nei giorni scorsi di portare Israele a una quarta elezione, nella speranza di far approvare una legge che lo faccia uscire dal banco degli imputati. Ma un sondaggio di questa settimana ha mostrato che ancora una volta che non raggiungerebbe la maggioranza in Parlamento. I palestinesi in blocco - da Hamas all’Anp - denunciano la “truffa del secolo”, in effetti per loro in quest’intesa non c’è nulla. Sono solo merce di scambio.