M5S in trincea sul ddl Bonafede: “Non cederemo su alcuni punti” di Federico Capurso La Stampa, 8 settembre 2019 Ferma la volontà di fissare una durata massima di sei anni nei processi. Giarrusso: “Da Orlando una sparata inattesa”. Se il vicesegretario Pd Andrea Orlando chiede, pur senza ultimatum, che si “ricominci la discussione” sulla riforma della giustizia targata Cinque stelle, è evidente che sul testo non ci sia ancora sintonia tra i nuovi alleati. E infatti nel Movimento hanno aggrottato la fronte, dopo aver letto l’intervista al vicesegretario dem pubblicata ieri su LaStampa. “Prima l’uscita di Paola De Micheli sulle concessioni autostradali, poi questa sparata di Orlando - sbotta il senatore M5S Mario Giarrusso, membro della commissione Giustizia. Mi auguro che il Pd voglia iniziare questa esperienza di governo parlando di ciò che ci unisce, non di quello che ci divide”. E come Giarrusso la pensano in molti, nel Movimento, pronti a dare battaglia: “Su alcuni punti della riforma non arretreremo mai”. Il “mai” in politica è relativo, ma le trincee che il Movimento sta scavando intorno al testo del Guardasigilli Alfonso Bonafede sono già ben delineate. Resterà ferma la volontà di fissare una durata massima dei processi (6 anni, nell’ultima bozza della riforma). E sembra che non si accetteranno passi indietro nemmeno sull’introduzione del meccanismo del sorteggio per la nomina dei membri del Csm. Anche la riforma sulle intercettazioni voluta da Renzi e firmata da Orlando, che i Cinque stelle hanno messo in soffitta prorogandone l’entrata in vigore a dicembre, “non dovrà tornare”, ammoniscono i membri M5S delle commissioni Giustizia di Camera e Senato. Il problema, però, è che all’interno del Pd c’è chi su questi temi solleva delle perplessità. A partire dal limite temporale dei processi. “Una semplificazione populista”, la definisce il deputato Gennaro Migliore, ex sottosegretario alla Giustizia dei governi Renzi e Gentiloni. “Ci sono tribunali che vanno veloci, altri che sono lenti - sottolinea. Non possiamo fissare un limite facendo una media ponderata. Bisogna invece intervenire caso per caso”. Le truppe M5S invece hanno una posizione netta e contraria: “Il testo di partenza deve essere quello - dice il deputato Eugenio Saitta, membro della commissione Giustizia; fissare una durata massima è la strada giusta per assicurare tempi certi alla giustizia. Spero che il Pd non faccia come la Lega”. Se si aprono spiragli per una concorde revisione della riforma sulle intercettazioni, sul meccanismo di sorteggio per il Csm si solleva invece qualche sopracciglio tra i dem. “Un temo al lotto che non può funzionare”, sostengono, chiedendo che si parta da una rosa di nomi selezionati e non “pescati a caso”. Una posizione che non piace ai Cinque stelle, che non mancano mai di ricordare i recenti scandali che hanno scosso il Csm e in cui sono emerse commistioni con la politica per loro “inaccettabili. Quei tempi con noi non possono tornare e il sistema del sorteggio serve proprio a rompere il correntismo. Nessun terno al lotto”. La base di partenza, quindi, è già accidentata. Perché se “Orlando è uno con cui si può trovare un punto di caduta - dice ancora Giarrusso - il problema vero saranno le altre cento correnti del Pd che vorranno dire la loro”. La pensa allo stesso modo il senatore M5 S Gianluigi Paragone, da sempre contrario a questa alleanza: “Le micro-correnti saranno una costante con cui dovrà fronteggiarsi Conte”, avverte. In questo caso il rischio, per come la vede il senatore grillino, “è che una riforma della giustizia fatta con il Pd abbia la loro impronta, non la nostra. Perché è vero che abbiamo più parlamentari di tutti, ma con questo governo i voti alla Camera e in Senato non si contano, si pesano. E oggi i nostri valgono meno di quelli del Pd”. Orlando scava la trincea Pd sulla prescrizione di Gianni Barbacetto Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2019 Il vicesegretario del Nazareno vuole ridiscutere la riforma Bonafede. Nel mirino finiscono anche le intercettazioni. Se il buon giorno si vede dal mattino, la giornata del governo M5s-Pd promette tempesta. I ministri non si sono ancora seduti dietro le loro scrivanie e già dichiarazioni e interviste marcano le differenze e annunciano conflitti. Dopo Paola De Micheli, neo-titolare dem di Trasporti e infrastrutture, che ha subito esternato tutto il suo amore per il cemento, per il Tav, per la Gronda, per i Benetton concessionari autostradali, è Andrea Orlando, vicesegretario del Pd ed ex Guardasigilli, a incendiare un tema ancor più cruciale per i Cinque Stelle: “La riforma della giustizia ora va ridiscussa da capo”. È il titolo del quotidiano La Stampa a un’intervista che, in verità, non ha quella frase tra i virgolettati. Infatti arriva subito la smentita: “Il titolo della mia intervista non corrisponde a quanto ho detto e viene riportato dal giornale”. Comunque sia, il vicesegretario del Pd chiede di ripensare la riforma appena varata dal suo successore, il ministro Cinque Stelle Alfonso Bonafede. “Esistono punti sui quali con il Movimento 5 stelle siamo d’accordo”, spiega Orlando. “Ce ne sono poi altri sui quali dobbiamo invece lavorare per trovare un’intesa”. Orlando incontrerà Bonafede martedì e inizierà la discussione. Non vuole anticipare sui giornali i temi del confronto: per motivi di galateo istituzionale e politico, ma anche per non scoprire le carte di una trattativa che ha come fine (anche) quello di non far apparire il Pd troppo subalterno ai Cinque Stelle. “Su due o tre cose siamo già d’accordo e possiamo cominciare a lavorare subito. Poi possiamo discutere per trovare un’intesa su quello che ci vede più distanti”. I temi su cui l’accordo c’è già sono il processo civile, il decreto sui tribunali fallimentari, il potenziamento delle infrastrutture nel settore giustizia. Più complicato affrontare i temi in cui le posizioni sono più lontane: in primo luogo la prescrizione e le intercettazioni. Anche perché dietro il pacato Orlando si muovono altri esponenti Pd le cui idee sulla giustizia risultano più lontane da quelle dei Cinque Stelle di quanto non lo fossero quelle della Lega. I “negoziatori” Pd Graziano Delrio e Dario Stefano avevano espresso le loro perplessità sulla riforma della prescrizione già negli incontri per decidere le linee del programma comune M5s-Pd, tanto che il tema è rimasto fuori dagli accordi. C’è però tornato il capogruppo Pd in commissione giustizia alla Camera, Alfredo Bazoli, che al Foglio ha dichiarato che “il primo passo da compiere per il nuovo governo è rinviare l’entrata in vigore della riforma della prescrizione”: una “bomba nucleare pronta a esplodere il 1 gennaio 2020 e a consegnare processi eterni ai cittadini”. Ma non basta: “Occorre affrontare in modo organico la riforma del processo penale”. Con anche una forma “morbida” di separazione delle carriere: “L’introduzione di nuove finestre di controllo giurisdizionale sull’attività dei pubblici ministeri”. E con una ferita al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: “Procedure di definizione dei criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale”. Anche Gennaro Migliore, campione del “garantismo” targato Pd, ha chiesto al nuovo governo (sul Dubbio) “una revisione delle politiche della giustizia”, con l’abbandono del “populismo penale”. Per non lasciare spazio a dubbi, ha precisato: “Sono per arrivare a una distinzione sempre più marcata tra inquirenti e giudicanti”. E per affidare ai capi delle Procure il potere di stabilire “una selezione di priorità nell’esercizio dell’azione penale”. Altro tema bollente e di contrasto con il Movimento 5 stelle: le intercettazioni. Il divieto di pubblicare sui giornali intercettazioni telefoniche e ambientali era contenuto in una norma voluta da Orlando quando era ministro della Giustizia. Oggi l’ex ministro nega che si trattasse di “bavaglio all’informazione”: “È enfasi propagandistica, nel mio testo non c’è alcuna sanzione per i giornalisti”. Intanto anche dalla Commissione parlamentare antimafia arriva un segnale al Pd: “I membri del partito democratico hanno finora avuto un atteggiamento ostruzionistico nei confronti dei lavori della Commissione”, dicono i componenti Cinque Stelle. “Sarebbe auspicabile che d’ora in avanti cominciassero a condividere i lavori dell’Antimafia”. Paola Severino: “Non servono liti sulla prescrizione, ma tempi certi nell’azione penale di Marco Zatterin La Stampa, 8 settembre 2019 L’ex Guardasigilli del governo Monti: per una giustizia efficace più investimenti e tribunali specializzati. Una revisione del decreto Giustizia potrebbe generare qualche opportunità interessante. “Questo è un terreno dove le intese sono possibili”, concede Paola Severino, avvocato e vicepresidente della Luiss. Conversando a margine del Forum Ambrosetti, l’ex ministro argomenta che bisognerebbe investire più sulla giustizia, e chiede più tribunali specializzati per accelerare le decisioni nei settori economici. Davanti al rischio che il governo litighi sulla fine della prescrizione, spiega che sarebbe utile ragionare su “tempi predeterminati per l’esercizio dell’azione penale a seconda della gravità del reato”. Il problema dei processi sono i mesi che diventano anni, generando rabbia e sfiducia. Ma la Giustizia non deve essere ragione di scontri, auspica. “Se l’obiettivo è offrire una Giustizia più giusta ai cittadini, e più efficiente per le imprese - confessa - le convergenze si possono trovare. A cominciare dal discorso sui tempi dei processi, perché un onesto cittadino non deve pensare che i prepotenti sfruttano le lentezze della giustizia per avere la meglio”. A quali strumenti pensa? “Alle forme di giustizia alternativa che si stanno rivelando efficaci. Ad esempio, l’arbitro per le controversie finanziarie e per quelle bancarie. E una figura che ha risolto una gran quantità di casi, dando ragione al cittadino nel 70-80% dei casi e in tempi rapidi: si parla di una media di meno di 300 giorni contro una media della giustizia ordinaria di 1.200-1.300. È una soluzione straordinaria ed efficace che deve essere allargata”. In che direzione? “Il sistema assicurativo, per dirne una. Nel ripensare la riforma della giustizia, bisognerebbe occuparsi anche di questo”. Aggiungerebbe altro? “Ampliare le forme di tribunali specializzati nel campo dell’economia. Il governo Monti ha esordito con le sezioni specializzate dei tribunali per le imprese. Nel primo periodo, siamo scesi sotto la media europea quanto a durata del procedimento. Questo, perché la controversia era stata esaminata da un giudice specializzato, più rapido ed esperto”. È una via per ripristinare la fiducia nell’economia? “Una giustizia più prevedibile può contribuire ad un significativo aumento degli investimenti in Italia”. A proposito di investimenti. Tutto questo ha un costo, no? “Certo. Bisogna assumere magistrati, creare centri di formazione e nuovi percorsi di studio per una classe di giuristi preparata alle sfide del futuro, come facciamo alla Luiss. Quando si investe nella Giustizia, non è mai denaro sprecato. Non lo è in termini sostanziali perché si garantisce il cittadino. E non lo è in termini economici perché si invogliano le imprese a impegnarsi in un Paese dove il sistema è efficiente, equilibrato e prevedibile”. Una questione su cui il governo può ballare è il regime della prescrizione in vigore da gennaio. Il Pd non è contento... “È necessario identificare comunque una soluzione che metta in evidenza il fatto che la prescrizione nasce per controbilanciare il tema della obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale. Ora, i faldoni sui tavoli del giudice sono tanti e non tutti i processi possono trovare una soluzione in tempi ragionevoli. La riforma della prescrizione interviene a bilanciare un effetto in desiderato. Tuttavia, sarebbe delicato rinunciare all’azione penale obbligatoria”. E allora? “Si potrebbe rendere più visibili i criteri che le procure più attente stanno elaborando per dare un ordine di trattazione ai processi. Poter fissare delle priorità creerebbe un bilanciamento cruciale per snellire il sistema. Questo metterebbe d’accordo tutti. Anche se si può fare di più”. A cosa pensa? “Alla prescrizione riformata si potrebbe affiancare la definizione di tempi predeterminati per l’esercizio dell’azione penale a seconda della gravità del reato. Sarebbe cruciale. Soprattutto per stringere gli intervalli fra una fase e l’altra del giudizio, che sono la vera ragione dei ritardi, che nascono nella difficoltà di concordare il numero dei processi con il numero insufficiente dei giudici, dei cancellieri e dei segretari giudiziari”. Un terzo orizzonte di attrito per il governo sono le intercettazioni. Bonafede vorrebbe smontare la legge del Pd… “L’equilibrio fra il diritto alla riservatezza e le esigenze investigative è difficile. È chiaro che a seconda della visione politica che si ha della Giustizia, questo confine si può spostare più a favore dell’una o dell’altra. Non so cosa abbia in mente il ministro, ma al di là di questo è una esigenza oggettiva quella di garantire il cittadino e la sua privacy, soprattutto se non è autore di un reato, ma diventa il tramite per acquisire informazioni in una inchiesta. Il tema è l’intercettabilità della persona terza. Occorre il giusto equilibrio”. La giustizia senza giudici, al Sud ma anche al Nord di Antonella Mascali Il Fatto Quotidiano, 8 settembre 2019 In Italia sono 19 gli uffici con una carenza di organico togato superiore al 20%. E nessuno (o quasi) ci vuole andare. In magistratura scarseggiano i giudici. Non dappertutto, ma nei distretti giudiziari storicamente “disagiati” ed evitati da tante toghe per le indagini pericolose e/o per i carichi di lavoro. In questo momento si rischia che il lavoro delle Procure di Catanzaro e di Reggio Calabria venga vanificato dalle scoperture dei rispettivi tribunali. Mancano giudici penali e civili non solo in dibattimento, ma anche quando si è in fase di indagini preliminari e i gip devono decidere sulle misure restrittive. Reggio Calabria ha il 23% di scopertura: mancano 11 giudici su 48 previsti dalla pianta organica; Catanzaro ha il 24% di scopertura: mancano 10 giudici su 42. È solo un esempio di una situazione che non riguarda solo il Sud, come si potrebbe pensare, ma anche il profondo Nord. Ecco perché il Csm, su proposta della competente Terza commissione, ha bandito a luglio diversi posti per giudici e pm in sedi “sofferenti”. Diverse, specie in Calabria e Sicilia, sono considerate dal Consiglio disagiate. Ma ce ne sono anche in Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto. Sono le sedi con scopertura di organico almeno del 20% e che all’ultimo bando di fine 2018 non hanno avuto alcun aspirante. A sua volta, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede nelle prossime settimane dovrà presentare le piante organiche, molto attese, dei vari distretti giudiziari e fare l’elenco delle sedi che ritiene disagiate in modo da concedere incentivi economici ai magistrati che andranno in quegli uffici per 4 anni. Le scoperture più diffuse tra le sedi che il Consiglio considera disagiate riguardano i giudici. Oltre a Reggio Calabria e Catanzaro, in Calabria viene segnalata la criticità di Paola (provincia di Cosenza) che ha una scopertura del 31%: mancano 4 giudici su 13 previsti; Castrovillari ha una scopertura del 28%: mancano 7 giudici su 25. In Campania ha il “bollino rosso” Benevento, con una scopertura di pubblici ministeri del 38%: ne mancano 5 su 13 previsti; In Sicilia mancano diversi pm. A Caltanissetta c’è una scopertura del 25%, ne mancano 4 su 16 previsti; a Palermo la scopertura è de120%, ne mancano 12 su 61; a Caltagirone 20% di scopertura di giudici: ne mancano 2 su 10. In Basilicata, a Potenza, scoperture di pm e giudici: quella dei giudici è del 24%, ne mancano 7 su 29 mentre la scopertura dei pm arriva addirittura al 54%: ne mancano 7 su 13. Dal Sud risaliamo per il Centro. A Perugia, dove la procura ha messo sotto inchiesta Palamara e colleghi, c’è una scopertura del 22% di giudici: ne mancano 6 su 27; Cassino ha il 24% di scopertura di giudici, mancano 4 giudici su 17. In Sardegna, a Tempio Pausania 20% di scopertura dei giudici, ne mancano 2 su 10. E finiamo con il Nord: record negativo per la Procura di Imperia dove c’è una scopertura di pm del 30%, ne mancano 3 su 10; in Piemonte sono diverse le sedi disagiate: Alessandria ha il 24% di scopertura di giudici: ne mancano 6 su 25; Cuneo ha il 22% di scopertura, mancano 5 giudici su 23; a Ivrea c’è il 21% di scopertura di giudici, ne mancano 4 su 19. In Lombardia situazione critica a Bergamo con una scopertura del 21% di giudici: ne mancano 9 su 43 previsti; Brescia ha il 19% di scopertura: mancano 11 giudici su 59. In Veneto, a Padova 22% di scopertura dei giudici, ne mancano 8 su 37. Queste situazioni sono come i corsi e ricorsi storici. Come fare a invertire la tendenza? Secondo Ciccio Zaccaro, togato di Area (progressisti) e membro della Terza commissione “piuttosto che dare incentivi economici per andare nelle sedi non ambite, è opportuno darli per rimanere, altrimenti ogni quattro anni si svuotano. Invece, con gli incentivi a restare si garantirebbe una copertura per un periodo congruo e tempi adeguati per i processi, che altrimenti rischiano periodicamente di ricominciare da zero, e mantenendo, inoltre, la memoria storica delle sedi giudiziarie coinvolte”. Diverse le ragioni per cui i magistrati non chiedono di andare nelle cosiddette sedi disagiate: in primis per il lavoro particolarmente complesso e pericoloso delle sedi siciliane e calabresi, oppure un carico eccessivo. Questo riguarda anche sedi non disagiate, come Bari, per esempio, e che - secondo i magistrati - è determinato da piante organiche non corrispondenti alle reali esigenze di determinati distretti. Qui aumenta sensibilmente il rischio di procedimenti disciplinari per ritardo nel deposito dei fascicoli e vengono evitate dalle toghe. Infine, alcune sedi vengono scartate per motivi più banali, ma non a livello personale: la collocazione geografica che rende difficile raggiungerle. Terrorismo. Sindacato penitenziaria: “carceri luogo privilegiato per reclutamento” abruzzoweb.it, 8 settembre 2019 “L’operazione anti-terrorismo islamico con gli arresti operati tra cui l’imam della moschea Dar Assalam di Martinsicuro, nel Teramano, già condannato in via definitiva per associazione con finalità di terrorismo internazionale, è la semplice conferma dell’allarme che, inascoltati, abbiamo lanciato da molto tempo: le carceri sono diventate il luogo privilegiato per il reclutamento di terroristi”. Ad affermarlo è il segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo per il quale “l’imam arrestato, paradossalmente, è più pericoloso in cella che fuori. Negli istituti penitenziari italiani, dove sono rinchiusi tra i 10 e i 15 mila detenuti islamici, il rischio è fortemente sottovalutato dall’Amministrazione Penitenziaria nonostante abbiamo più volte segnalato questa grave emergenza. Intanto - aggiunge - la cosiddetta classificazione del livello di radicalizzazione dei detenuti islamici si presta a varie interpretazioni e comunque non serve certamente a tranquillizzare il personale penitenziario che è impreparato alla gestione di questo problema e tanto meno i cittadini. La realtà è diversa: sono sempre più numerosi gli episodi di detenuti di fede islamica che in carcere manifestano comportamenti tipici della radicalizzazione islamica, come inneggiare agli attentati di matrice islamica e mostrare apertamente odio verso l’Occidente. Secondo i dati più aggiornati i detenuti sui quali si concentrano timori di radicalizzazione sarebbero circa 500 suddivisi in tre categorie: “segnalati”, “attenzionati” e “monitorati”. Una cinquantina le persone sono incarcerate con l’accusa di terrorismo internazionale nelle sezioni di alta sicurezza riservate a loro (Rossano, Sassari e Nuoro). Per gli altri, che sono ritenuti soggetti a rischio, vengono condotte attività di monitoraggio che puntano a rilevare atteggiamenti di sfida verso le autorità, rifiuto di condividere gli spazi con detenuti di altre fedi religiose, segni di gioia di fronte a catastrofi o attentati in Occidente, esposizione di simboli legati al jihad”. Carcere incompatibile con il diritto di cronaca articolo21.org, 8 settembre 2019 La Consulta tenga conto delle sentenze della Corte europea. Dopo 5 mesi è giunta alla Corte Costituzionale l’ordinanza del tribunale di Salerno sulla incostituzionalità della legge che prevede il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione. Ora spetterà al presidente Giorgio Lattanzi fissare l’udienza dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. È stato l’avvocato Giancarlo Visone a sollevare l’eccezione per il Sindacato unitario dei giornalisti della Campania, anche in relazione alla eventuale violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art.10), in un processo per diffamazione nei confronti del direttore e di un collaboratore del quotidiano “Roma”. “Sono anni che chiediamo al legislatore di intervenire sul carcere per i giornalisti, un limite sostanziale alla libertà di informazione e quindi al sistema democratico del nostro Paese. Su questo tema abbiamo già incassato a Napoli il 18 giugno scorso l’impegno del primo ministro Giuseppe Conte. Sono anni, tuttavia, che proposte di legge sul tema restano nei cassetti delle commissioni parlamentari. Ci auguriamo, per questo, che la Consulta intervenga tenendo conto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha più volte dichiarato il carcere incompatibile con il diritto di cronaca”, affermano il segretario e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il segretario del Sugc, Claudio Silvestri. Napoli. Scendono in piazza i parenti dei detenuti di Giuseppe Crimaldi Il Mattino, 8 settembre 2019 Si sono dati appuntamento ieri in piazza Nazionale per “dare voce a chi non ce l’ha”, come ha spiegato la moglie di un recluso. Una manifestazione - quella organizzata ieri da alcuni movimenti e da semplici cittadini. Una cinquantina di persone - soprattutto donne: madri, moglie e figli di persone che scontano in carcere i loro debiti con la giustizia. Scopo della manifestazione, che si è svolta pacificamente, resta quello di denunciare le drammatiche, talvolta addirittura inumane condizioni di vita dei detenuti di Poggioreale. Un carcere che vanta il triste primato del più elevato sovraffollamento d’Italia e d’Europa. I parenti dei reclusi denunciano anche casi di presunta malasanità, di lentezze esasperanti per chi vive in cella ma ha bisogno di assistenza sanitaria, e di condizioni quotidiane allucinanti: ci sono celle nelle quali vengono ospitate fino a dieci-dodici persone. A Poggioreale, sottolineano i manifestanti, l’obiettivo del recupero umano e sociale del detenuto è solo una chimera. In prima linea tra gli organizzatori c’era Pietro Ioia, che ha fondato l’associazione detenuti organizzati (e denunciato alla magistratura inquirente anche presunti, gravi casi di maltrattamenti a Poggioreale nella cosiddetta “Cella zero”); presenti anche i Radicali, con l’avvocato Raffaele Minieri, e rappresentanti del centro sociale “Iskra” di Bagnoli. Napoli. Ex detenuti e Radicali manifestano per le condizioni delle carceri di Fabrizio Ferrante Ristretti Orizzonti, 8 settembre 2019 Ieri, 7 settembre, gli ex detenuti organizzati di Pietro Ioia e i Radicali per il Mezzogiorno Europeo hanno dato vita a un presidio a Napoli in piazza Nazionale per porre in evidenza le gravi condizioni delle carceri con particolare riferimento alla difficile realtà di Poggioreale. Per l’associazione Ex Don, che riunisce gli ex detenuti organizzati napoletani, ha parlato il presidente Pietro Ioia: “Noi chiediamo maggiore vivibilità nelle carceri - ha dichiarato Ioia - qui ci sono molte persone con tanti problemi, come chi ha figli autistici con genitore in lontananza, detenuto talvolta anche fuori regione; problemi di chi vive in sette o otto in una cella, problemi di malasanità, problemi di ingiusta detenzione. Dunque noi siamo qui per ribadire tutte queste ingiustizie che subiscono i detenuti. Noi non vogliamo la libertà dei detenuti - ha precisato Ioia - ma vogliamo che il detenuto si deve reinserire altrimenti è tutto inutile. È una sconfitta per lo Stato, una sconfitta per noi e una sconfitta per tutti. Questo chiediamo, vivibilità per i detenuti. Questa estate a Poggioreale sono successe molte ingiustizie e noi con i parenti dei detenuti vogliamo che il detenuto sia rieducato e non sconti una ingiusta detenzione. Vogliamo che i detenuti escano cambiati, noi abbiamo qui a pochi metri Poggioreale, che è un inferno dove c’è malasanità e sovraffollamento. Chiediamo massima attenzione al nuovo Governo per le carceri perché esiste l’articolo 27 della Costituzione che stabilisce che le pene devono essere rieducative e non punitive”. Per i Radicali è intervenuto l’avvocato Raffaele Minieri, del comitato nazionale di Radicali Italiani oltre che socio fondatore dei Radicali per il Mezzogiorno Europeo: “Oggi siamo stati qui anche per testimoniare la nostra vicinanza ad un fenomeno gravissimo che è il sovraffollamento carcerario e l’assenza di gestione delle vicende dei familiari e dei detenuti che restano sempre cittadini italiani. Dalla settimana prossima inizieremo a portare avanti un’istanza alle magistrature superiori affinché venga dichiarata incostituzionale la disciplina dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede il rispetto delle condizioni minime di decenza all’interno delle strutture carcerarie e affinché si permetta ai detenuti, anche se definitivi, di scontare la loro pena in carcere o di attendere un momento in cui il carcere non li costringa a condizioni inumane e degradanti. Noi sappiamo tutti com’è la situazione di Poggioreale e così non può andare avanti”. Napoli. Lettera del cardinale Sepe sul carcere come occasione di riscatto ladiscussione.com, 8 settembre 2019 Il 13 settembre prossimo, in occasione della celebrazione per l’inizio del nuovo Anno, sarà presentata la nuova Lettera pastorale del Cardinale Sepe sulla sesta opera di misericordia corporale: “Visitare i Carcerati”. Il pastore della Chiesa napoletana, con estrema lucidità, prende le mosse dall’approccio della gente comune, poco avvezza finanche a parlare di questo mondo quasi come se non esistesse: vi è “la diffusa convinzione che chi si è macchiato di un delitto debba pagare le conseguenze della sua condotta e marcire in galera”. Questa impostazione, contraria alla Carta del 1948, non tiene conto del fatto che “oggi la popolazione carceraria è formata in gran parte da poveri disgraziati e reietti, che non hanno le risorse necessarie per difendersi adeguatamente. Sono sconfitti dalla vita prima di essere delinquenti”. Se a questo si aggiungono le condizioni disumane del carcere si crea un mix esplosivo fatto di “sete di rivalsa” e “sordo rancore per la società”. “La giustizia - spiega l’ex collaboratore di San Giovanni Paolo II, citando l’episodio dell’adultera e del tentativo di lapidazione, scongiurato da Gesù con la celebre sentenza “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8,7) - non consiste semplicemente nel punire i colpevoli. Occorre prendersi cura di loro, creando opportune strutture di prevenzione, mettendo in atto incisive forme di vicinanza e di ascolto”. Visto il clima che si respira i la Lettera pastorale potrebbe innescare qualche polemica. Ma, è bene rimarcarlo a scanso di equivoci, il pastore della seconda Diocesi d’Italia non ha invaso un campo riservato ad altri protagonisti della vita pubblica, né si tratta di un “buonista”: “Il carcere - scrive - è chiesa, perché casa dell’uomo e casa di Dio! È il dolore che rende sacro quello spazio, come rese sacro il colle del Calvario, dove fu eretta la Croce di Cristo, dove sulla Terra fu sparso il sangue del figlio dell’Uomo”. Di qui la scelta di caratterizzare ancora di più l’impegno della Diocesi in questa direzione, non solo attraverso il Centro di Pastorale Carceraria, organizzato per accogliere detenuti in affido e offrire a loro la possibilità di imparare mestieri di artigianato da esercitare una volta rientrati nella vita sociale”, ma anche mediante alcune altre iniziative concrete: provvedere ad un’anagrafe dei reclusi della propria zona pastorale; adottare un detenuto e la sua famiglia, anche di un’altra parrocchia: coinvolgere i detenuti stessi nell’attività di evangelizzazione e di sostegno; sviluppare un piano decanale d’insieme con istituzioni, associazioni, privati disponibili”. Bergamo. Il carcere cerca volontari. Studio e lavoro per i detenuti di Sergio Cotti L’Eco di Bergamo, 8 settembre 2019 La direttrice Mazzotta: “Servono rinforzi, porte aperte”. Sono 511 i carcerati, 300 con pena definitiva a cui proporre attività. Insegnanti, mediatori, tecnici, o semplicemente persone che abbiano sviluppato competenze nelle relazioni umane. Sono le figure (professionali e non) che il carcere di Bergamo sta cercando per dare una nuova spinta all’attività di volontariato alla casa circondariale di via Gleno. L’appello è arrivato direttamente dalla direttrice del carcere, Teresa Mazzotta, nel corso di un incontro sul tema della giustizia organizzato all’oratorio della Celadina, a cui ha partecipato anche don Virgilio Balducchi, storico cappellano del penitenziario cittadino. La presenza di volontari si va assottigliando - ha ammesso la direttrice del carcere. Quelli che ci sono stanno diventando anziani, oppure hanno impegni familiari più pressanti o ancora sono legati a progetti a tempo determinato”. Oggi quelli “fissi” sono appena 30-35, ma ne servirebbero molti di più. “Più persone entrano in carcere, meglio è - ha aggiunto Mazzotta. Abbiamo bisogno di due categorie: quelli che possano dare un sostegno morale alle persone che sono all’interno, penso soprattutto ai giovani tra i 18-25 anni, a chi entra in carcere per la prima volta e a chi è stato allontanato dalla propria famiglia e poi c’è chi può contribuire, con le proprie competenze, a trasmettere cultura e formazione”. Il carcere ha stretto collaborazioni con istituti superiori e università, in particolare con l’istituto alberghiero (“Perché il territorio lombardo chiede in particolare questo tipo di professionalità”, ha rivelato Mazzotta), ma non tutti gli indirizzi sono coperti. “C’è chi, entrando, ha sospeso percorsi di studio tecnico-commerciale o professionale - ha detto ancora la direttrice - che potrebbero essere accompagnati da insegnanti esterni per arrivare poi a sostenere gli esami da privatisti”. Insomma chi ha competenze, ma basta anche una semplice vocazione al volontariato, può bussare alle porte del carcere, attraverso un’associazione oppure anche come privato cittadino; all’amministrazione penitenziaria il compito di vagliare le proposte e di inserire forze nuove tra le fila sempre più scarne dei volontari che operano all’interno della struttura. Una buona notizia arriva invece dal mondo del lavoro: sui 511 detenuti del carcere di via Gleno, oltre 300 sono quelli che stanno scontando una pena definitiva: tutte persone che avrebbero bisogno di studiare o di lavorare. L’amministrazione penitenziaria riesce a provvedere a un’ottantina di loro; per gli altri servono accordi con enti esterni (amministrazioni pubbliche, cooperative, aziende). “Negli ultimi mesi - ha concluso Mazzotta - grazie anche alle attività di informazione che abbiamo promosso all’esterno del carcere, 8-9 aziende si sono fatte avanti, offrendo opportunità di lavoro. In particolare, stiamo vagliando alcune attività di formazione legate all’istituto alberghiero e ai settori dell’assemblaggio e della robotica. C’è qualcuno che si è addirittura proposto di investire all’interno della Casa circondariale per creare piccoli laboratori e professionalizzare queste persone, per poi assumerle una volta che avranno espiato la loro pena”. Bari. Corso di formazione per volontari in carcere agensir.it, 8 settembre 2019 “Oggi più che mai c’è la necessita di operatori adeguatamente preparati per le attività di volontariato con le persone che vivono questa situazione di particolare sofferenza”. Lo dice don Vito Piccinonna, direttore della Caritas diocesana di Bari-Bitonto, presentando il corso di formazione per volontari in carcere dal titolo “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Il corso è organizzato dalla associazione “Insieme per ricominciare”, insieme con Caritas diocesana, Azione cattolica diocesana, Csv San Nicola e Ministero della Giustizia, e prevede dieci giornate di formazione, condotte - tra gli altri - da operatori delle carceri, avvocati e funzionari del Ministero della Giustizia. Gli incontri si svolgeranno a Bari (aula di Azione Cattolica - C.so De Gasperi). Il primo si terrà mercoledì 11 settembre alle 17 sul tema “La Caritas e il volontariato cristiano”. Tra i relatori ci sarà don Piccinonna, che dice: “Il corso potrà contribuire a formare volontari nelle comunità parrocchiali, dove si incontrano famiglie che, avendo un genitore o un figlio detenuto, vivono situazioni ferite dai punti di vista educativo, genitoriale, valoriale” e permetterà, “cosa importante per noi credenti, di mettere in luce la dimensione riconciliativa”. L’iniziativa si inserisce in un contesto in cui, promossa dalla diocesi, “dal 2016 è attiva ‘Casa Freedom’ per le persone detenute in permesso premio”, sottolinea Piccinonna, ed in cui è sperimentata la collaborazione con l’Ufficio di esecuzione penale esterna del Ministero della Giustizia. Andria (Bat). Inaugurazione della cucina donata per il progetto “Senza sbarre” andrialive.it, 8 settembre 2019 Da “oasi” per il recupero di tossicodipendenti a comunità per la riabilitazione di detenuti. Lo stesso comune denominatore: il lavoro, la riscoperta del sacrificio per tornare a una vita dignitosa. La masseria San Vittore, nelle campagne dell’agro di Andria, dopo gli anni di abbandono e degrado seguiti alla chiusura della Comunità Incontro di don Pierino Gelmini, torna a pulsare di vita e di umanità per ospitare ex detenuti e detenuti in regime di custodia attenuata. È il progetto “Senza Sbarre” promosso dalla Diocesi di Andria su impulso di don Riccardo Agresti e don Vincenzo Giannelli, due sacerdoti da sempre impegnati con brillanti risultati nell’azione pastorale in quartieri della città definiti “difficili” sul piano sociale. Il progetto è partito da qualche mese: una dozzina gli ospiti della comunità, che si dedicano ai lavori agricoli (la masseria è circondata da una decina di ettari di terreno coltivabile) e alla produzione della pasta che soddisfa in parte il fabbisogno degli ospiti e in parte finisce nei negozi di commercio equo e solidale con il marchio “A mano libera”. Un contributo importante è stato assicurato dal Rotary International: il Distretto 2120, la Fondazione Rotary e i Club di Puglia e Basilicata hanno donato la cucina, completa di suppellettili e frigoriferi, in grado di sfornare pasti in grande quantità in occasioni importanti. E la seconda occasione importante per mettere alla prova il grande impianto (la prima il giorno dell’inaugurazione della Masseria e del Pastificio, nel maggio scorso) è in programma oggi, quando le autorità rotariane del Distretto 2120, guidate dal Governatore Sergio Sernia, e i dirigenti e i soci dei Club Andria - Castelli Svevi, Barletta, Canosa di Puglia, Trani e Valle dell’Ofanto assisteranno alla benedizione che sarà impartita dal Vescovo di Andria, mons. Luigi Mansi. La giornata sarà aperta dalla celebrazione di una Santa Messa nella parrocchia di San Luigi, a Castel del Monte. Subito dopo, il trasferimento alla Masseria, per i saluti del Presidente del Rotary Club Andria Castelli Svevi, Pietro Marmo, anche in rappresentanza degli altri Club presenti, del Vescovo Mansi e del Governatore Sernia. Dopo la benedizione, un light lunch preparato dagli ospiti della comunità in collaborazione con gli chef di Villa Carafa, la visita alla struttura con la guida di don Agresti e don Giannelli e, infine, la presentazione dei prodotti realizzati dalla coop “A mano libera”. “È un service che riempie di grande orgoglio tutta la famiglia del Rotary - dichiara il Governatore Sergio Sernia - Desidero ringraziare il Presidente della Rotary Foundation distrettuale, il prof. Riccardo Giorgino, e tutti i 57 Club di Puglia e Basilicata per aver aderito senza riserve alla mia proposta di sostegno all’iniziativa. La nostra Associazione ha tra le sue priorità l’attuazione di interventi sostenibili e durevoli per accrescerne l’impatto sui territori e sulle comunità interessate. Mi sembra che l’iniziativa della Diocesi di Andria sposi alla perfezione gli ideali rotariani: oltre all’aspetto umanitario della cura di uomini e donne che hanno sbagliato e stanno pagando o hanno già pagato il conto alla Giustizia, si guarda all’aspetto sociale per restituire alla collettività persone che conoscono e mettono in pratica quei valori che rappresentano la base per la costruzione di un mondo migliore. L’incontro di domenica sarà dunque l’occasione propizia per esprimere gratitudine ai sacerdoti, ai volontari e a tutti gli operatori impegnati nel Progetto e incoraggiarli a non mollare davanti alle difficoltà che dovessero manifestarsi”. Porto Azzurro. Omaggio dei detenuti all’imprenditore Nocentini quinewselba.it, 8 settembre 2019 Il presidente del Nocentini Group di Portoferraio, l’imprenditore Tiziano Nocentini, riceverà dai detenuti del carcere di Porto Azzurro “P. De Santis” un orologio fabbricato dai detenuti stessi. È infatti la direzione della casa di reclusione di Porto Azzurro a rendere noto che il giorno lunedì 9 Settembre 2019, alle ore 9,30, Tiziano Nocentini riceverà, presso gli uffici della direzione della casa di reclusione elbana, un orologio fabbricato nella falegnameria dell’istituto. L’orologio sarà donato direttamente da due detenuti della falegnameria in rappresentanza di tutta la popolazione detenuta, alla presenza del direttore Francesco D’Anselmo. “Tale dono - si legge nella nota del carcere - viene dato quale segno di riconoscenza per la vicinanza e sensibilità sempre dimostrate dal dottor Nocentini all’istituto di Porto Azzurro”. Cuneo. I detenuti del carcere di Saluzzo presentano “Scusate l’attesa” di Giulia Gambaro laguida.it, 8 settembre 2019 Lo spettacolo teatrale prodotto da Voci Erranti va in scena da giovedì 26 a domenica 29 settembre, alle 15 e alle 17. Da giovedì 26 a domenica 29 settembre, alle 15 e alle 17, al carcere di Saluzzo va in scena lo spettacolo teatrale “Scusate l’attesa”, l’ultima produzione di Voci Erranti messa in scena con il gruppo di venti detenuti partecipanti al laboratorio teatrale tenuto da Grazia Isoardi e Marco Mucaria all’interno della casa di reclusione. La messa in scena è una riflessione sul tempo, un tempo che fuori passa troppo veloce e dentro è congelato, eterno. La vera condanna del recluso è questa sospensione temporale, un’attesa vuota come in una sala d’aspetto di una stazione senza luogo e senza tempo dove nessun treno passerà. Diceva Qolet nell’Antico Testamento, e lo ha ripreso Ivano Fossati, che c’è un tempo per tutto eppure quello dell’attesa lo viviamo con ansia e frustrazione, dimenticando che l’attesa è una condizione in cui il tempo trattiene il fiato per ricordarci chi siamo. E non possiamo liberarci facilmente dell’ambiguità della vita con il suo alternarsi di presenza-assenza, “non più-non ancora”. Per assistere allo spettacolo è necessaria la prenotazione, entro il 14 settembre, scrivendo a info@vocierranti.org o telefonando a 380-1758323 / 340-3732192. Firenze. “Spiragli”, il teatro nel carcere minorile di Virginia Landi ungarnofirenze.it, 8 settembre 2019 Nella vita del carcere minorile arriva la nuova edizione di “Spiragli - Teatri dietro le quinte”, il festival che, tramite arte e spettacolo, dà luogo ad un evento importante ed educativo. Dal 9 al 14 settembre “Spiragli” sarà infatti la seconda apertura su un progetto che unisce impegno e positività, per condividere teatro, laboratori ed un momento di festa. L’Istituto Penale Minorile “Meucci” di Firenze, come lo scorso anno, si aprirà alla comunità locale apportando alcune novità al programma che si estenderà anche allo Spazio Alfieri e al Cinema Teatro di Castello, andando ad inserirsi tra gli eventi dell’Estate Fiorentina. Domenica 8 e lunedì 9 settembre due giorni di workshop con il maestro Emmanuel Gallot- Lavallée per i ragazzi del carcere e la partecipazione di 6 attori/danzatori professionisti che realizzeranno una performance finale all’interno dell’Istituto Penale Minorile, con ingresso a offerta libera. Martedì 10 settembre l’incontro con l’ex detenuto Sasà Striano, oggi attore professionista riconosciuto a livello nazionale. Sasà incontrerà i giovani del carcere e la sera presenterà, presso il Teatro Spazio Alfieri di Firenze, il suo monologo “Il Giovane Criminale. Genet/Sasà”. Mercoledì 11 la presentazione del laboratorio di canto e musica dal titolo “Fiori nel Deserto - Saharat Zohra” in collaborazione con i Servizi Sociali Minorili di Firenze, l’Associazione Ancescao e altri partecipanti locali. Giovedì 12 e venerdì 13 settembre lo spettacolo dal titolo “One Man Jail” con la regia di Claudio Suzzi; lo spettacolo verrà realizzato sia dentro il carcere minorile che fuori, presso il Cinema Teatro di Castello di Firenze. Sabato 14 settembre la festa conclusiva con il concerto di Peppe Voltarelli e l’esibizione del Laboratorio musica Rap curato dalla Cooperativa C.A.T. in cui sarà possibile visitare la mostra del Laboratorio di Pittura “Arte e Natura” curato dall’Associazione Progress. Info: Interazioni Elementari 347/6430699, interazionielementariorg@gmail.com. Pescara. Torna il Festival della Melodia nel carcere di San Donato cityrumors.it, 8 settembre 2019 Pomeriggio in musica nella Casa circondariale di San Donato, con il Festival della melodia, la consueta kermesse canora che, per l’occasione, vedrà i detenuti giudici della competizione. L’appuntamento è domenica 13 gennaio alle ore 16:00: lo spettacolo, che si svolge da 25 anni, è organizzato dall’agenzia Promozione Spettacoli in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali e coinvolgerà alcuni interpreti della canzone cantautorale, quali: Gianni Scognamiglio, Maurizio Tocco, Emanuele Cusopoli, Simone D’Annibale, Antonio Di Giosafat, Maria Tacconelli, Surama, Silvia Chiulli, Nicki Giancristoforo, Fabio Luongo ed Emanuela Fanciulli; l’evento sarà presentato da Paolo Minnucci. Ospiti della kermesse canora, gli ex vincitori nazionali del Festival della Melodia: Marco Corneli, Elena Polidoro e Maurizia Sciarretta, mentre il momento della premiazione sarà preceduto dalle gag comiche del barzellettiere Valerio Basilavecchia. Quegli sghignazzi ci avvelenano tutti di Roberto Saviano L’Espresso, 8 settembre 2019 Ridicolizzare l’avversario, sbeffeggiarlo, delegittimarlo. È un metodo diffuso, anche tra gli eletti. Che inquina le istituzioni e il vivere civile. Oggi l’Italia è resa violenta da oltre settant’anni di pace, una pace per la quale la mia generazione e quella dei miei genitori non hanno dovuto lottare, una pace di cui in fondo non sappiamo cosa farci, al cospetto di una oggettiva e inarrestabile erosione delle garanzie e dei diritti che hanno costituito e fortunatamente ancora costituiscono (chi sa per quanto) lo stato sociale. Ma con la crisi di governo tutte queste riflessioni passano in secondo piano, vengono percepite come inutili divagazioni. E invece l’analisi di ciò che accade oggi, e delle modalità con cui accade, ci dovrebbe interessare moltissimo, sempre, a prescindere dalle crisi o probabilmente proprio per comprenderne meglio genesi ed esiti. Sulla credibilità della politica posso fare un esempio: se un ministro promette di cambiare una legge non viene creduto (qui si insinua la diffidenza che ormai avvolge tutta la classe dirigente, nessuno escluso, nemmeno i populisti e i sovranisti). Ma se un politico, fosse pure quello che gode di minore credibilità, prende di mira un giornalista, un cantante, un attore, uno scrittore, un attivista - magari Richard Gere che meritoriamente sale sulla Open Arms o Leonardo Di Caprio che si interessa all’Amazzonia che brucia - incredibilmente la calunnia, l’attacco, spesso lo sbeffeggio diventano virali e si imprimono nella memoria delle persone come fossero dati di fatto, fatti acclarati e incontrovertibilmente veri. Il politico non viene creduto nelle promesse politiche, ma viene creduto se attacca un non politico, se lo ridicolizza compromettendone il messaggio. Queste considerazioni nascono dalla mia esperienza personale che negli anni mi ha consentito di poter leggere più chiaramente alcune dinamiche, anche perché gli attacchi che ho ricevuto e le delegittimazioni al mio lavoro sono stati assolutamente trasversali e hanno riguardato parti politiche che mai vorrebbero - almeno apparentemente - essere accomunate. Ho letto una interessante riflessione di Emanuele Macaluso sull’Huffington Post in cui invitava a non fare paragoni tra le scelte odierne dei politici e le loro trappole, i loro limiti, le loro mediocrità o le loro grandezze, con il periodo fascista. Sono d’accordo, anzi d’accordissimo, difatti credo che non esista alcuna sovrapposizione possibile, se non in un segmento che però, il più delle volte, viene trascurato: la comunicazione. Paradossalmente, il terreno dove si potrebbero trovare maggiori sovrapposizioni tra momenti storici diversissimi tra loro è proprio quello che meno viene indagato, quello della mistificazione della parola. Cosa devi fare per abbattere un avversario politico? Delegittimarlo. E qual è la maniera più utile per farlo? Ridicolizzarlo, coprirlo di vergogna, imporre una sorta di autocensura. Allo stesso tempo, però, la politica che non opera distinzioni tra comunicazione istituzionale e comunicazione politica e personale, mentre attacca personalmente i suoi nemici, sta di fatto creando una confusione da cui sarà sempre più difficile uscire. Una mescola tra ciò che è alto e ciò che è basso, tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, tra ciò che è politico e ciò che è istituzionale. Ci viene continuamente ripetuto che oggi tutto è veloce, che la comunicazione è veloce, che non si può perdere tempo, che bisogna comunicare in ogni istante. Dirsi contrario o in disaccordo è naturalmente anacronistico, ma possiamo almeno ipotizzare che la velocità, l’immediatezza sia subordinata alla correttezza? Chiunque sia stato eletto e abbia una carica istituzionale rappresenta tutti, non più solo la sua parte politica, e dunque la sua comunicazione deve (dovrebbe) essere solo istituzionale. Pretendere che mentre si lavora per gli italiani si smetta di fare campagna elettorale e si governi per tutti vi sembra una richiesta peregrina? Pretendere che un ministro non usi le sue pagine social per fare propaganda è una pretesa assurda? E aspettarsi che non faccia attacchi personali mentre rappresenta anche le persone che quotidianamente attacca, non vi sembra espressione di buon senso? Fatevi un regalo, per un giorno solo tralasciate gli account personali di ministri, presidenti di Regione e sindaci, e leggete solo quelli istituzionali, quelli relativi ai ministeri, ai Comuni, alle Regioni: scoprirete di vivere in un Paese diverso, in un Paese normale, in un Paese migliore. Botte sui bimbi per sfogare la frustrazione di Elena Stancanelli La Stampa, 8 settembre 2019 È il fratello di un pentito di camorra l’uomo che ha preso a calci un bambino di tre anni che si era avvicinato alla carrozzina dove dormiva la figlia. L’hanno subito allontanato da Cosenza, dove è avvenuto il fatto, per questioni di sicurezza. Lo diciamo, anche se nessuno l’avrà presa in considerazione come attenuante. Non credo che abbia pensato che quel bambino, di origine marocchina, fosse affiliato, un sicario, latore di qualche messaggio. Ripetiamolo: tre anni. Né che la sua mano potesse in qualche modo mettere a repentaglio la vita della figlia, rovesciare la carrozzina, compiere un rapimento. E allora cosa? Cosa ti scatta in testa e ti fa compiere un gesto così violento e così inutile? Non sappiamo cosa sia accaduto, se quell’uomo, subito dopo, abbia tentato di minimizzare o se lo abbia rivendicato. Sappiamo però che la moglie era presente e che altri si sono ribellati, lo hanno insultato, hanno testimoniato e permesso così l’identificazione. Di fronte alla violenza sui bambini tutti si indignano, da destra a sinistra. Persino i più razzisti non hanno faticato a rivelare l’incredibile mostruosità di quel gesto. E allora cosa? Il bambino era di origine marocchina, e quindi avrà avuto un colore della pelle, un aspetto leggermente diverso dall’uomo che l’ha preso a calci. Simile a quello delle persone che ci sentiamo in diritto di trattare come fossero inferiori a noi. Non c’entra il denaro, il lavoro, l’invasione. In questo caso non funziona la formula secondo la quale la loro presenza va ostacolata perché toglie spazio. L’ho già detto, stiamo parlando di un bambino di tre anni. C’entra il bisogno di mantenere delle sacche di cieco privilegio, dei luoghi nei quali tutto è permesso perché chi sta dall’altra parte è, semplicemente, in una condizione di inferiorità. Prima le donne e i bambini. Li facciamo scendere dalle navi avanti agli altri, apprestiamo corsie privilegiate nelle code degli aeroporti, se c’è da scegliere chi salvare li mandiamo per primi sulle scialuppe. E poi li pestiamo. Le donne e i bambini. Perché è più facile, si difendono peggio. Sono come scatole, muri. Li prendiamo a pugni e non reagiscono, e noi ci sfoghiamo. Qualche volta muoiono, ma di solito no. Si ammaccano, proprio come i muri, e le scatole. A volte, perché funzioni ancora meglio come sfogo, troviamo delle ragioni. Michele Amitrano, per esempio, protagonista del romanzo di Niccolò Ammaniti “Io non ho paura”, viene picchiato da sua madre perché è rientrato tardi. Poi viene minacciato dal padre che lo avverte: se torni a cercare il bambino nel buco ti ammazzo di botte. Il bambino è Filippo, rapito da una banda di balordi nella quale è coinvolto anche il padre. Ma Michele ci va lo stesso, perché ha promesso a quel mucchio di stracci lurido, coi capelli biondi impiastricciati di terra, che lo aiuterà a uscire da lì. Il finale, a chi non avesse ancora letto il libro, non lo dico. Ma non vince nessuno. Perché diventa sempre più difficile pestare donne e bambini impunemente. Così troviamo dei sotterfugi: le donne le pestiamo ma poi diciamo che è stato un raptus, troppo amore, colpa loro. E per quanto riguarda i bambini, pestiamo quelli degli altri, che è un po’ meno brutto. Ci domandiamo perché la presenza di stranieri ci ha reso peggiori, in che modo ha tirato fuori le nostre paure che tenevamo a bada. Una risposta possibile è che ha creato nuove vittime per carnefici disoccupati, per sfaccendati della violenza. Cosa c’è di più vulnerabile di un bambino con la pelle scura? E pazienza se ha solo tre anni. Cos’è razzismo da stadio? Decidono i giocatori di Beppe Severgnini Corriere della Sera, 8 settembre 2019 Il gioco è il calcio, lo spettro è il razzismo. Sono ricominciati i campionati e diversi giocatori con pelle scura sono stati presi di mira: buuu!, grida animalesche, versi della scimmia. C’è uno spettro che s’infila dentro un gioco. Il gioco è il calcio, lo spettro è il razzismo. Sono ricominciati i campionati e diversi giocatori con pelle scura sono stati presi di mira: buuu!, grida animalesche, versi della scimmia. È successo al centravanti dell’Inter, Romelu Lukaku, a Cagliari; a Pogba (Manchester) e Abraham (Chelsea) in Inghilterra. La scorsa stagione, a Koulibaly (Napoli) a Milano, ad altri giocatori in altri stadi. Tempo fa è accaduto a Balotelli e Muntari. Non scriviamo solo per condannare questi episodi: sarebbe facile e ovvio. Scriviamo per ragionare con quelli che li giustificano. Un gruppo di tifosi della Curva Nord nerazzurra, dopo l’episodio di Cagliari, ha cercato di consolare Lukaku scrivendogli: “In Italia usiamo certi ‘modi’ solo per ‘aiutare la squadra’ e cercare di rendere nervosi gli avversari. Non per razzismo, ma per farli sbagliare”. In sostanza: non prendertela, Romelu, i tifosi fanno così! Posso dirlo, da interista a interisti? È un ragionamento sbagliato. Non siete voi, e certamente non sono io, che dovete giudicare se un comportamento (un verso, un coro) è razzista. Lo stabilisce il destinatario di quei versi e di quei cori. E non c’è dubbio cosa pensino Lukaku e i giocatori africani: quei comportamenti li offendono. Anzi, gli fanno schifo. La questione è chiusa qui. Vale per ogni atteggiamento verso ogni etnia. Quando gli americani di origine africana hanno deciso che non tolleravano più d’essere chiamati “negri” - termine macchiato di tragedie e di dolore - s’è smesso di farlo. Punto. E chi s’attacca a qualche sofisma per sostenere che ‘negro’ è un termine neutro, non è solo insensibile: è razzista. Quanto hanno sofferto, gli italiani nel mondo, per certi epiteti? Negli Usa, in Australia, in Germania? Ed erano bianchi in società prevalentemente bianche: potevano mimetizzarsi. Chi ha la pelle scura non può farlo. Ma può pretendere di essere circondato da persone civili. Gente per cui il colore della pelle non conta niente. Ma proprio niente. Il ragionamento non vale solo per il razzismo. Pensate alle molestie sessuali. Non esiste un criterio oggettivo per definirle; ed è inutile cercarlo. La stessa carezza può essere molesta o affettuosa: una donna lo sa. Quindi, decidono le donne. In uno stadio, decidono i giocatori. Discorso chiuso, buon calcio a tutti. Yemen. 130 cadaveri in carcere bombardato, soccorritori stanno scavando sotto le macerie ansa.it, 8 settembre 2019 Sono almeno 130 i cadaveri recuperati in Yemen dal carcere bombardato dalla Coalizione a guida saudita lo scorso 1 settembre. Lo riferisce la Croce Rossa. I soccorritori stanno ancora scavando sotto le macerie e temono ci possano essere altri corpi: si ritiene vi fossero almeno 170 persone nella struttura, trasformata in carcere dai ribelli Huthi. Russia-Ucraina, scambio prigionieri: è disgelo tra Putin e Zelensky di Fabrizio Dragosei Corriere della Sera, 8 settembre 2019 Rilasciati 70 detenuti, dai marinai catturati davanti alla Crimea al regista Sentsov. Libero un capo militare coinvolto nell’abbattimento dell’aereo civile nel 2014. Lo scambio di prigionieri appena avvenuto segna indubbiamente una svolta importante nelle relazioni tra la Russia e l’Ucraina. Un segnale fondamentale dopo l’elezione plebiscitaria di Volodymyr Zelensky, l’ex comico che in campagna elettorale aveva proprio promesso un mutamento di passo nei rapporti con Mosca. Due capitali - Trentacinque uomini detenuti nelle carceri russe e trentacinque prigionieri nelle mani dell’Ucraina sono stati imbarcati su aerei charter che hanno effettuato le “consegne” nelle due capitali. Hanno lasciato la Russia tutti i 24 marinai ucraini che erano stati catturati di fronte alla Crimea in acque territoriali contese tra i due Paesi dopo l’annessione della penisola da parte della Russia. Ed è stato fatto uscire dalla famigerata prigione moscovita di Lefortovo il regista e militante Oleg Sentsov, condannato a 20 anni con l’accusa di aver organizzato attentati. L’aereo abbattuto - Gli ucraini hanno rilasciato anche il prigioniero più controverso, Volodymyr Tsemakh, un ex comandante separatista sospettato di aver partecipato all’abbattimento con un missile russo dell’aereo civile malese nel 2014. Proprio il suo nome ha ritardato lo scambio che era stato annunciato dal presidente russo Vladimir Putin già la settimana scorsa. Molti in Ucraina erano contrari ad includere Tsemakh, visto che doveva essere giudicato da una corte internazionale. Libero anche il giornalista russo-ucraino Kirll Vyshinsky dell’agenzia Ria-Novosti incriminato di spionaggio. Assieme a lui lasciano l’Ucraina diversi militanti delle repubbliche autoproclamatesi indipendenti nel Donbass, militari della Crimea catturati dopo aver giurato fedeltà alla Russia all’indomani dell’annessione e altri ucraini accusati di spionaggio a favore del nemico. Vedremo ora se dopo questo accordo Mosca e Kiev riusciranno a fare passi concreti sulla strada dell’applicazione degli accordi di pace sottoscritti a Minsk sotto l’egida di Francia e Germania. Le questioni in ballo sono parecchie e di difficile soluzione, se non altro perché i due Paesi ex fratelli sono separati da 13 mila morti provocati dagli scontri di questi anni. Stati Uniti. Texas, esecuzione nel carcere di Huntsville di Caterina Galloni blitzquotidiano.it, 8 settembre 2019 In Texas, Billy Jack Crutsinger, detenuto nel braccio della morte nel penitenziario di Huntsville, e condannato nel 2003 per l’omicidio di Pearl Magouirk, 89 anni e della figlia Patricia Syrenat, 71, è stato giustiziato con un’iniezione letale. Crutsinger, 64 anni, prima che gli inoculassero il liquido letale ha fatto un ultimo discorso di quattro minuti, dicendo che gli sarebbero mancati i “pancakes” ma che “il posto dove andrò è multi colore”, secondo quanto riportato da Houston Chronicle. Crutsinger, infine ha aggiunto: “Ora sono in pace e pronto a raggiungere Gesù e la mia famiglia”. Dopo 13 muniti dall’iniezione letale è stato dichiarato il decesso. Il 6 aprile 2003 dopo essere entrato nella casa di Magouirk e Syrenat, che conoscevano il Crutsinger e gli avevano precedentemente offerto lavoro, aveva ucciso le donne. Era stato arrestato a Galveston mentre in diversi bar utilizzava la carta di credito di Syrenat: aveva confessato di aver ucciso le donne per impossessarsi dei loro beni e aggiunto dove avrebbero trovato le prove. Gli investigatori avevano rilevato il Dna di Crustsinger su un coltello trovato in un bagno della casa delle vittime, all’interno dell’auto di Syrenat e su abiti da uomo trovati in un bidone della spazzatura accanto al veicolo, come era emerso dai documenti del tribunale. Lydia Brandt, avvocato difensore di Crutsinger, aveva chiesto - senza successo - alla U.S. Supreme Court di impedire l’esecuzione. La Brandt aveva affermato che il precedente avvocato difensore era incompetente, non aveva parlato dei problemi di Crutsinger: tre matrimoni falliti, perdita di controllo a causa dell’alcol. Tre mesi prima dell’omicidio era un senzatetto disperato, la moglie lo aveva cacciato da casa e la madre aveva smesso di aiutarlo. Sembra che Crutsinger abbia avuto un attacco d’ira da ubriaco dopo aver realizzato che le vittime non avrebbero potuto offrirgli abbastanza lavoro così da risollevarlo finanziariamente. Nel 2019, Crutsinger è stato il quinto detenuto in Texas, e il quattordicesimo negli Stati Uniti, a essere giustiziato, secondo il Death Penalty Information Center. Da quando nel 1976 la Corte Suprema ha ripristinato la pena di morte, il Texas è lo stato più attivo degli USA nelle esecuzioni, attualmente sono previste altre 10 entro l’anno.