Bonafede: riforma entro l’anno di Vincenzo R. Spagnolo Avvenire, 21 giugno 2019 Nodo intercettazioni, cauta la Lega: “Si usino solo se c’è rilievo penale”. Oggi Mattarella al Csm. Su Palazzo dei Marescialli le nubi fosche sollevate dall’inchiesta giudiziaria di Perugia non si sono ancora diradate. E c’è dunque attesa per il plenum del Csm, convocato per questa mattina e presieduto dal capo dello Stato Sergio Mattarella, che si occuperà fra l’altro di indire le elezioni suppletive per colmare i posti vacanti dei 5 consiglieri togati dimissionari. Ieri, intanto, il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha incontrato in via Arenula i nuovi vertici dell’Associazione nazionale magistrati, guidati dal neopresidente Luca Poniz, in un clima definito da fonti dell’Anm “cordiale e collaborativo”. Sul piano politico, dopo il vertice dell’altra notte a Palazzo Chigi, il governo continua a ragionare sulle riforme in materia di giustizia, che secondo il Guardasigilli pentastellato Alfonso Bonafede arriveranno in porto “entro dicembre”. Riforme dopo l’estate. Il clamore mediatico sollevato dalle rivelazioni su presunti accordi sulle nomine di alcune procure, Roma compresa, ha indotto M5s ad accelerare sulle riforme del processo penale e civile, nonché dei meccanismi che regolano l’attività del Csm. Ma il premier Giuseppe Conte è cauto, per via della delicatezza della materia. E a ciò si sommano i dubbi della Lega, che ha convinto il Guardasigilli a tenere fuori dal pacchetto la questione intercettazioni. “Vanno utilizzate solo quelle con rilievo penale, non il gossip”, considera il vicepremier leghista Matteo Salvini, che comunque riconosce alcuni “punti di comunanza” fra Carroccio e M5s, a partire dalla cancellazione delle “porte girevoli” fra magistratura e politica. In ogni caso, aggiunge la titolare della Pa Giulia Bongiorno, “il confronto continua”. Sulle bozze di proposta ipotizzate da Bonafede e circolate nel vertice dell’altra sera non si sa molto. Potrebbe esserci la modifica delle norme sulle carriere dei magistrati (con un “punteggio” per garantire trasparenza e “meritocrazia”), ma anche una “mini riforma” dell’attività del Csm, da affidare al vaglio del Parlamento e che potrebbe comprendere la modifica del meccanismo di elezione e l’allineamento del tetto di stipendio dei consiglieri ai 240mila previsti per gli alti dirigenti pubblici. I singoli dossier verranno ora esaminati separatamente da Movimento e Carroccio, come conferma Bonafede: “Siamo d’accordo sui settori di intervento, ora dobbiamo confrontarci con le nostre forze politiche, per poi avere un altro incontro nel dettaglio”. Inchiesta anche a Milano? Sul piano giudiziario, l’inchiesta partita da Perugia potrebbe avere altri sviluppi. Secondo alcune anticipazioni del settimanale l’Espresso, diffuse ieri, la procura di Perugia avrebbe trasmesso ai pm di Milano alcune intercettazioni delle indagini sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara: dialoghi, ancora coperti da segreto, tra lui e il deputato dem Luca Lotti nei quali quest’ultimo affermerebbe di aver avuto dall’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, alcuni documenti sul fratello del procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo. Poco più tardi, con una nota, l’Eni ha smentito “in modo categorico” che Descalzi abbia mai consegnato a Lotti documentazione relativa al fratello di Ielo. L ad del colosso energetico si è riservato “di intraprendere le opportune vie legali a tutela della propria reputazione”. Intercettazioni e prescrizione, riparte il duello 5Stelle-Lega di Alberto Gentili Il Messaggero, 21 giugno 2019 Giulia Bongiorno, incaricata da Matteo Salvini di lavorare alla riforma della giustizia e del Csm, non si sbottona. Nel pomeriggio ha riunito gli esperti della Lega per studiare le proposte illustrate dal Guardasigilli Alfonso Bonafede nel vertice notturno di mercoledì. E al termine ha diffuso un comunicato a luci e ombre: “L’altra notte l’incontro è stato utile e interlocutorio. Quando si tratta di materie delicate e tecniche, prima di parlare e decidere bisogna leggere bene i testi. Di certo, tra i punti positivi, la disponibilità a introdurre norme che garantiscano tempi certi e rapidi per i processi penali e che prevedano sanzioni in caso di inerzie. E la volontà di riformare il Csm liberandolo da logiche spartitorie. Sugli altri temi - incluse la separazione delle carriere e le intercettazioni - il confronto continua”. Della serie: non è finita qui. Parole che rivelano punti di contatto, ma anche distanze. Con una premessa fatta filtrare dalla Lega: “Di Maio e Bonafede hanno garantito che rispetteranno il patto, dunque lo stop alla prescrizione non entrerà in vigore il primo gennaio se non sarà stata realizzata la riforma del processo penale”. Chiarita la regola d’ingaggio, tra i punti che a sorpresa avvicinano la Lega ai 5Stelle c’è la disponibilità di Bonafede a “dimezzare i tempi dei processi”, introducendo timing stringenti e sanzioni di disciplinari per i giudici ritardatari. E questo piace a Matteo Salvini e alla Bongiorno che pretendono “tempi certi e perentori”. Altro aspetto gradito al Carroccio è la disponibilità del ministro 5Stelle a introdurre “un muro invalicabile tra magistratura e politica”, stabilendo il divieto “per i magistrati che scendono in politica di tornare a fare i magistrati”. Commento di Salvini: “Con il Guardasigilli ci sono punti di assoluta comunanza, è giusto che un magistrato che fa politica smetta per sempre di fare il magistrato”. Il governo non appare lontano dall’intesa, anche se la trattativa è solo all’inizio, pure sulla riforma del Csm. Piace alla Bongiorno l’idea di introdurre “criteri oggettivi e meritocratici” per l’avanzamento in carriera dei giudici. Ed è gradita la proposta dei “collegi territoriali ristretti” per “togliere potere alle correnti”, come non è lontano l’accordo sul sistema di elezione dei componenti del Csm attraverso un “sorteggio mediato”: i giudici eleggono una rosa di loro rappresentanti e da questa vengono estratti i nomi di chi entrerà a palazzo dei Marescialli. C’è però un ma: la Lega vuole la separazione delle carriere tra pm e giudici e quindi sarebbe pronta a lavorare a una legge costituzionale che dividesse in due il Csm tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. “Da capire cosa vogliono fare i grillini”. Tutto diverso il discorso che riguarda le intercettazioni. Bonafede intende far viaggiare il dossier separato dalla riforma della giustizia: oggi riunirà un tavolo con giornalisti e avvocati a via Arenula. E mostra un approccio diverso da quello di Salvini. Per il Guardasigilli va pubblicato “tutto ciò che ha rilevanza pubblica”, Salvini invece ritiene vada vietata la diffusione degli ascolti che “non hanno rilevanza penale”. Per dirla con la Bongiorno: “Il gossip è inaccettabile”. Ma c’è di più. C’è che la Lega ha messo sotto osservazione il sistema trojan, il virus grazie al quale i telefoni cellulari diventano strumenti di intercettazione ambientale (Palamara e Lotti ne sanno qualcosa...). Così, se per Bonafede “non bisogna arretrare di un millimetro sull’uso il trojan: ci ha dato nuovi mezzi per combattere la corruzione”, per il Carroccio questo strumento “va analizzato e studiato bene, bisogna capire se non nasconde abusi”. Se il pm sbaglia viene punito: ecco la svolta sulla giustizia di Errico Novi Il Dubbio, 21 giugno 2019 Anni di attesa per dare certezza ai tempi delle indagini, per proteggere in modo accettabile le intercettazioni dal volantinaggio mediatico, per riformare il Csm. Anni inutili, tentativi numerosi, eroici, ma inutili. Tutto si sblocca all’improvviso, anche per un motivo: perché ventisette anni dopo, lo schema di Tangentopoli si capovolge e scaraventa le toghe nel cuneo cupissimo di una piramide rovesciata, come nell’iconografia dell’inferno dantesco. C’è voluta cioè una simil-mani pulite della magistratura per spalancare la diga delle riforme. Come se solo la debolezza provocata dagli scandali consentisse di riformare un certo ordine, o potere, dello Stato. Fatto sta che dal vertice dell’altra notte tenuto sulla giustizia dal premier Conte, dai vice Di Maio e Salvini e dai ministri Bonafede e Bongiorno esce fuori un’inedita batteria di conseguenze disciplinari per pm e giudici che sbagliano. A ben guardare è questo il tratto dominante nella riforma della giustizia che comincia a profilarsi. Il guardasigilli Bonafede ha infatti accolto una sollecitazione della collega Bongiorno - titolare della Pa ma figura imprescindibile, nella Lega, quando si tratta di processi e ordinamento giudiziario: ebbene, la ministra del Carroccio ha ottenuto il sì di massima del M5s sulle sanzioni disciplinari per i pm che non rispettano le soglie temporali delle indagini. Già nella scorsa legislatura, Cnf e Ucpi chiesero che venisse assicurato il rigoroso rispetto dei tempi d’iscrizione degli indagati nell’apposito registro, con l’ipotesi che il capo dell’ufficio fosse vincolato a segnalare le violazioni dei suoi sostituti al titolare dell’azione disciplinare. Poi passò la soluzione (di ripiego) delle avocazioni, da parte dei pg, dei fascicoli dormienti. Ora, nella parte “penalistica” della legge delega sul processo messa a punto da Bonafede, il magistrato inquirente dovrà rispettare tre limiti di durata massima (diversi a seconda della gravità del reato) delle indagini preliminari, limiti prorogabili per non più di 6 mesi. Se non trasmettesse l’avviso di chiusura (o se non chiedesse l’archiviazione) nei tempi stabiliti, il fascicolo sarebbe messo a disposizione della difesa così com’è, novanta giorni dopo, e per il pm tardivo scatterebbero appunto le segnalazioni (con eccezioni, motivate in modo specifico, solo in casi di estrema complessità). Un quadro allarmante per le toghe che ora, col clima pesante generato dal caso Palamara, non hanno certo la forza di ribellarsi. Non solo. Perché segnalazioni ai titolari dell’azione disciplinare potrebbero essere previste addirittura di fronte alle violazioni degli uffici in materia di intercettazioni. Sorpresa anche questa. Bonafede insiste sul fatto che “i brani con notizie di interesse pubblico devono poter essere conosciute attraverso i giornali”. Ma ancora ieri Salvini ha detto che sì, si tratta di “uno strumento utile”, ma “le intercettazioni devono essere usate solo se hanno rilievo penale”. E ha aggiunto: “Su questo mi pare che anche Bonafede sia d’accordo: il gossip lo vai a leggere sulla stampa scandalistica”. Dov’è il punto di equilibrio? In parte lo chiarirà il vertice a via Arenula previsto per oggi con il presidente del Cnf Mascherin e il numero uno dell’Ordine dei giornalisti Verna. Ma si profila un limite alla possibilità di richiamare, negli atti, brani che contengano non informazioni penalmente rilevanti ma solo scambi privatissimi. Senza intervenire dunque con sanzioni ai cronisti ma eventualmente con riverberi disciplinari, anche qui, per il magistrato che scambiasse una richiesta o un’ordinanza cautelare per un articolo da magazine rosa. A queste sorprese si aggiungono altri segnali di caduta in disgrazia dei magistrati. Innanzitutto la legge che punirebbe chi, tra loro, fosse responsabile di ingiuste detenzioni, testo in arrivo nell’aula della Camera dopo il voto unanime in commissione. Altro segnale, voluto con forza dal Movimento 5 Stelle, è la versione togata del taglio dei vitalizi: “Compensi non oltre i 240mila euro per i consiglieri Csm: i cittadini non devono considerarli titolari di un privilegio”, spiega sempre il guardasigilli. E mentre le intercettazioni viaggeranno su un ddl delega di Bonafede autonomo da quello sul processo penale e civile, in quest’ultimo confluiranno, come annunciato mercoledì notte, anche la poderosa riforma del Consiglio superiore e le norme che renderanno impossibile il ritorno alla toga per i giudici che entrassero in politica. Qui davvero si conferma l’idea della “svolta epocale” di cui parla il ministro della Giustizia. Non solo le nomine saranno determinate da una griglia “meritocratica”, con punteggi ottenuti, per esempio, in base allo “smaltimento dell’arretrato” e, in negativo, con le segnalazioni disciplinari, comprese quelle per le indagini lunghe. Non solo, perché si riaffaccia con forza l’ipotesi sorteggio per l’elezione dei membri togati. In chiave “mediata”, si lascia intendere da via Arenula: ossia con una prima ampia rosa di candidati selezionata in modo random e una successiva vera e propria elezione, comunque organizzata in collegi ristretti e uninominali. Un argine alle correnti, che riprende schemi di leggi proposte in passato in Parlamento (la più puntuale a opera di Buemi). Fino alla draconiana preclusione ipotizzata dal guardasigilli per i togati uscenti, che non potrebbero assumere incarichi direttivi nel successivo quinquennio. La legge istitutiva del Csm, 61 anni fa, fissò il cuscinetto in “appena” 2 anni, cancellati del tutto a fine 2017. Ora si va oltre il raddoppio. Segno che i tempi, per gli equilibri fra toga e politica, sono proprio cambiati. Caso procure al Csm, condanna di Mattarella: “Ora un nuovo inizio” di Alberto Gentili Il Messaggero, 21 giugno 2019 Oggi alle 9 il plenum sullo scandalo nomine: si insediano due nuovi togati. L’intervento del Capo dello Stato che punta a restituire prestigio al Consiglio. Sergio Mattarella pronuncerà un discorso “energico” e scandirà una “ferma condanna” oggi di fronte al plenum del Csm, colpito al cuore dallo scandalo che ha provocato le dimissioni di ben quattro giudici. Stigmatizzerà le condotte illecite che hanno gravemente “incrinato” il rapporto di fiducia tra magistratura e opinione pubblica e ferito la stragrande maggioranza dei giudici onesti. Denuncerà i veleni e lo stillicidio di rivelazioni. E soprattutto il capo dello Stato, in qualità di presidente dell’organo di autogoverno, inviterà a “voltare pagina”. Darà il là per il “nuovo inizio”. Avvierà, insomma, la ripartenza del Csm che proprio in sua presenza vedrà l’insediamento dei nuovi membri togati, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra, in sostituzione dei dimissionari. Il discorso cui fino a ieri sera ha lavorato Mattarella sarà più o meno di 10-15 minuti. Ma al di là delle parole, della condanna degli illeciti e dei comportamenti opachi ed eticamente discutibili di alcuni giudici, sarà la presenza stessa del capo dello Stato a imprimere una svolta. Presentandosi a palazzo dei Marescialli, il capo dello Stato mette la faccia sulla nuova pagina da scrivere. E certificherà, plasticamente, la legittimità del “nuovo” Csm, depurato da chi è stato coinvolto nel mercimonio delle nomine. In più, evitando di procedere allo scioglimento in attesa delle nuove regole per l’elezione dei suoi componenti, il Presidente offrirà tempo al governo e al Parlamento di preparare la riforma. Che dovrà essere rapida: entro l’autunno. E dovrà contenere, oltre a un ridimensionamento del peso delle correnti, norme che garantiscano un “criterio cronologico” alle nomine, in modo da smantellare il sistema dei “pacchetti” che hanno favorito le spartizioni. Un argomento caro a Mattarella: nei mesi scorsi ne ha parlato riservatamente con alcuni componenti del Csm. Dal Quirinale filtra poco o nulla, ma non è da escludere che il Presidente stigmatizzi anche l’attacco del procuratore di Milano, Francesco Greco, che ha parlato di “logiche romane che non appartengono ai magistrati del Nord”. Giudizio contro cui reagisce Pasquale Grasso, ex presidente dell’Anm: “Osservo molti colleghi rappresentare la propria indignazione per quello che viene percepito come un ulteriore fattore di divisione”. La riunione del plenum del Csm scatterà alle nove. Mattarella prenderà la parola alle 9.30 in punto, appena compiuti gli adempimenti formali: l’immissione in ruolo dei due nuovi consiglieri, l’elezione della commissione elettorale e l’indizione delle suppletive di ottobre. Poi prenderanno la parole per 5 minuti ciascuno sei giudici. E chiuderà David Ermini. Il suo discorso del vicepresidente dovrebbe contenere una dura condanna di ciò che è accaduto e un messaggio di rilancio del Csm. Lo scandalo al Csm e le buone ragioni dell’associazionismo dei magistrati di Gaetano Azzariti Il Manifesto, 21 giugno 2019 Ci allarmiamo spesso per gli sconfinamenti tra i diversi poteri, siamo più distratti quando si tratta di esaminare le degenerazioni che si producono dentro i singoli poteri. Quando scoppia una crisi all’interno di uno di essi rimaniamo spiazzati, spesso privi di adeguati strumenti d’analisi. È il caso della magistratura che è stata frequentemente oggetto di aggressione da parte del potere politico. In questi casi la difesa dell’indipendenza era la reazione naturale, oltre che costituzionalmente obbligata. Ma ora - nel momento in cui si scoprono i legami perversi tra alcuni politici e certi magistrati - le nostre parole risultano incerte, a volte sfuggenti. Non penso si possa minimizzare il significato dei fatti emersi. Non intendo riferirmi alle responsabilità individuali, che verranno accertate dalla magistratura perugina, voglio invece interrogarmi sulle cause che hanno reso possibile tutto ciò. Oggi molti denunciano lo scontro corporativo tra le correnti organizzate della magistratura, altri ricordano il loro ruolo di garanzia del pluralismo associativo interno all’ordine giudiziario. Personalmente ritengo che bisognerebbe porre attenzione alla degenerazione di queste, passate da luoghi di confronto ideale tra diverse concezioni della giurisdizione a gruppi di potere. Non dico che i magistrati oggi si iscrivano alle diverse correnti solo per fare carriera, ma è vero che la distribuzione degli incarichi direttivi segue uno schema di ripartizione tra gruppi. E, in alcuni momenti, sembra essere questo il punto di caduta, che fa venir meno le buone ragioni dell’associazionismo. Sembrerebbe quasi che i motivi collettivi e ideali abbiano lasciato il posto agli interessi personali dei singoli. Può essere che questa sia una visione distorta, determinata dai fatti patologici cui assistiamo e che rischiano di non farci più cogliere le serie motivazioni dell’associazionismo, ma è anche vero che molto attenuata appare la cultura che ne era alla base. Basta pensare al passato quando il forte scontro tra le correnti era spesso all’origine di discriminazioni all’interno della stessa magistratura: gli “ermellini da guardia” contro i “pretori d’assalto” erano espressioni sin troppo agguerrite, ma che denunciavano una ben diversa concezione della giurisdizione. Ed era questa distanza che legittimava l’associazionismo e la necessità del vivace confronto. La storia di Magistratura Democratica nasce e si giustifica per questo, nel tentativo di far prevalere una certa visione del diritto, attenta alle garanzie e alla difesa dei più deboli, ponendo al centro la Costituzione come norma da applicare e far valere contro le arretratezze della legislazione ordinaria. Lo scontro fu forte, la battaglia nobile e senza secondi fini. Quanto è rimasto di quella cultura della giurisdizione? Secondo alcuni - i più ottimisti - essa si è semplicemente diffusa, permeando ormai l’intero ordine della magistratura. Tutti convinti che il valore della costituzione non possa più essere contestato, almeno dai magistrati. sconfitti gli ermellini, ormai anche in cassazione siedono i giudici d’assalto. in fondo, a voler trarre le logiche - ma forse paradossali - conclusioni da questa prospettiva si potrebbe dire che magistratura democratica ha esaurito la sua spinta propulsiva perché ha vinto la sua storica battaglia. e ormai non rimane che amministrare il presente, gestendo al meglio il potere. In quest’ottica la copertura dei posti dirigenziali non può che porsi al centro dell’attenzione. gli stessi criteri di selezione che devono indirizzare i membri eletti del Csm diventano del tutto indeterminati. se nessuno -- neppure l’organo di autogoverno - osa sollevare il velo d’ipocrisia e far valere in modo trasparente le ragioni di una scelta, non ci si può poi stupire se la distribuzione avvenga in base all’affiliazione correntizia. se fossimo convinti che ormai tutti i magistrati sono eguali per cultura e distinti solo per funzioni potremmo tranquillamente accettare le proposte in circolazione: automatismi di carriera e riduzione del Csm ad organo di sola amministrazione, composto da magistrati estratti a sorte. Tanto, uno vale uno. Diversamente potremmo pensare che la scelta dei vertici degli uffici giudiziari non abbia natura esclusivamente amministrativa, ma investa pienamente anche le politiche giudiziarie del paese. Se così dovesse ritenersi dovremmo però anche ammettere che non può essere data per consolidata la cultura della giurisdizione, e che anzi essa oggi sembra registrare una forte divisione e un rischioso regresso. Come in fondo dimostra, in termini patologici, la più recente vicenda: magistrati privi di scrupoli che si incontrano con politici indagati per discutere delle nomine degli uffici direttivi. Affari privati in scelte pubbliche. C’è ancora una lunga battaglia da fare dentro la magistratura per affermare una cultura della giurisdizione attenta ai principi della nostra costituzione. E non è solo un fatto di nomine. Quel che a me pare è che oggi, più di ieri, anche tra i magistrati si registra quella stessa divisione che attraversa il paese. Da un lato una rabbia crescente che induce a negare i diritti degli altri, dall’altro una richiesta di tornare alla costituzione ai suoi ideali di solidarietà e tutela dei diritti fondamentali delle persone, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. per questo oggi avremmo bisogno di una nuova e combattiva magistratura democratica, a nulla invece ci servirebbe una nuova e combattiva Magistratura democratica, a nulla invece ci servirebbe un associazionismo amorfo. Respinti i ricorsi delle Regioni sul decreto sicurezza di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 21 giugno 2019 Inammissibili. La Corte costituzionale “boccia” i numerosi ricorsi presentati dalle Regioni sul decreto sicurezza. Non sono state compromesse le competenze regionali. Discorso diverso per il potere sostitutivo dei prefetti rispetto alle prerogative di Comuni e Province: in questo caso la violazione esiste e la norma (articolo 28 del decreto n. 113 del 2018) è incostituzionale. Le motivazioni della pronuncia arriveranno solo tra qualche settimana, tuttavia, nel comunicato diffuso ieri sera, la Corte annuncia il verdetto contrario ai ricorsi presentati dalle Regioni Calabria, Emilia Romagna, Marche Toscana e Umbria che contestavano la violazione diretta o indiretta delle loro competenze. La Consulta, che precisa come resta “impregiudicata” qualsiasi valutazione sulla legittimità costituzionale dei contenuti delle norme impugnate, ha ritenuto che lo Stato ha rispettato invece le proprie competenze in materia di asilo, immigrazione, condizione giuridica dello straniero e anagrafi. Nel mirino delle Regioni erano infatti finite le disposizioni del decreto su permessi di soggiorno, iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo e Sprar. In particolare, a non convincere, c’era la sostituzione del permesso di soggiorno per motivi umanitari con una pluralità di fattispecie individuate in maniera meticolosa: le previsioni specifiche di permesso di soggiorno per “casi speciali”, circoscritti e tassativi, sarebbero cioè insufficienti, per le Regioni, “ad assicurare la copertura dell’intera area di accoglienza dovuta in esecuzione degli obblighi costituzionali, sovranazionali e internazionali di tutela”. Come pure, nel riformare il sistema Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), gestito dagli enti locali, il decreto sicurezza ha escluso i richiedenti asilo, destinandoli ai centri di accoglienza a gestione governativa. La nuova disciplina avrebbe compromesso così le facoltà delle Regioni di disciplinare le forme dell’assistenza. E ancora, le Regioni avevano denunciato la previsione per cui il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituisce documento di riconoscimento ma non anche titolo per l’iscrizione anagrafica. Ne deriverebbe, affermavano i ricorsi, il divieto di accesso ai servizi erogati da Regioni ed enti locali per i quali la residenza costituisce invece un presupposto indispensabile. Accolte invece le perplessità sulla sostituzione dei prefetti agli amministratori locali nel porre rimedio alle situazioni illecite gravi e ripetute nel tempo in quegli enti locali sospettati di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata ma per i quali non è stato decreto lo scioglimento. La Consulta boccia una parte del decreto sicurezza: “No ai maggiori poteri per i prefetti” di Dino Martirano Corriere della Sera, 21 giugno 2019 La Corte ha anche esaminato i reclami di Calabria, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria, che avevano impugnato numerose disposizioni del decreto, lamentando la violazione delle loro competenze, giudicandoli inammissibili. La Consulta boccia i superpoteri dei prefetti che, in forza del decreto Sicurezza, avrebbero anche potuto sostituire i sindaci, ma dichiara inammissibili ricorsi delle Regioni contro le nuove regole sui permessi di soggiorno e sull’iscrizione all’anagrafe degli stranieri introdotte dal medesimo decreto Salvini. I dispositivi delle decisioni sono stati comunicati dall’ufficio stampa della Corte costituzionale, presieduta dal giudice Giorgio Lattanzi, in attesa della pubblicazione delle motivazioni. In particolare sui prefetti, ai quali il Titolo II del decreto Salvini attribuisce poteri sostitutivi qualora il governo lo ritenga necessario, la Corte ha ritenuto che sia stata violata l’autonomia costituzionalmente garantita a Comuni e Province e, pertanto, ha accolto le censure sull’articolo 28 che prevede tale potere sostitutivo del prefetto. Invece, la Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro il decreto sicurezza presentati dalle regioni Calabria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Umbria, che ne hanno impugnato numerose disposizioni lamentando la violazione diretta o indiretta delle loro competenze. La Consulta ha ritenuto che le nuove regole su permessi di soggiorno, iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo e Sprar sono state adottate nell’ambito delle competenze riservate in via esclusiva allo Stato. “Tanto rumore per nulla”, ha commentato il sottosegretario alla Giustizia Jacopo Morrone: “La materia immigrazione rientra infatti nelle competenze riservate in via esclusiva allo Stato. L’ostilità pregiudiziale delle giunte dem è quindi tutta fuffa propagandistica sollevata ad arte. Ora anche la giunta Bonaccini, che tanto fiato ha sprecato contro il decreto, dovrà fare marcia indietro”. Non si arrende il “governatore” della Toscana Enrico Rossi: “Prendiamo atto della sentenza della Corte Costituzionale, che non è entrata nel merito della legittimità costituzionale delle norme, ma si tratta soltanto del primo tempo della battaglia che abbiamo intenzione di combattere contro chi, come il ministro Salvini, calpesta i diritti umani più elementari”. In consiglio regionale, ha spiegato Rossi, c’è una proposta della giunta “che individua le modalità generali di erogazione dei servizi per garantire livelli minimi di dignità umana a tutti. Li abbiamo chiamati diritti samaritani”. Inammissibile il ricorso del Pm contro la messa alla prova se proposto dopo l’udienza di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 21 giugno 2019 La mancata impugnazione dell’ordinanza di ammissione alla messa alla prova fa scattare una preclusione processuale che impedisce di rimettere in discussione, nell’ulteriore corso del procedimento, la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per applicare l’istituto. Partendo da questo principio la Cassazione, con la sentenza 27532, ha bollato come inammissibile l’impugnazione del pubblico ministero che contestava, fuori tempo massimo, la sentenza con la quale era stata dichiarata, in base all’articolo 464-septies del codice di rito penale l’estinzione del reato. Nello specifico, per la pubblica accusa, non si poteva passare un colpo di spugna, grazie all’esito positivo della probation, sui reati tributari commessi dall’imputato, perché mancava il presupposto del risarcimento del danno richiesto dall’articolo 186bis del Codice penale. La Cassazione ricorda che il regime dei rimedi esperibili contro le ordinanze che decidono sull’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, è improntato, in linea con l’economia processuale, alla finalità di ridurre sensibilmente le ipotesi di regressione del procedimento, se non addirittura ad eliminarle del tutto e di garantire il massimo favore all’istituto della messa alla prova. Sicilia: Apprendi (Antigone) “le carceri sono delle bombe innescate” ilsicilia.it, 21 giugno 2019 “Appena 4 giorni fa abbiamo denunciato ciò che era avvenuto in alcune carceri italiane, come un campanello d’allarme per la Sicilia. Non ci siamo sbagliati, purtroppo. A Pagliarelli nel reparto alta sicurezza é in corso uno sciopero culminato, questa mattina, con una delle forme più gravi di protesta, i familiari dei detenuti non si sono presentati ai colloqui. Ad Agrigento é scoppiata una rivolta sfociata con l’incendio di alcuni materassi. Le cause di questi disagi sono da attribuire, certamente, alle condizioni che continuiamo a denunciare. Sovraffollamento, insufficienti condizioni igienico sanitarie, poca possibilità di cure mediche, disagio psichico non curato adeguatamente. Non é con la repressione che si educa il detenuto. La Costituzione prevede la rieducazione”. Lo dice Pino Apprendi presidente Antigone Sicilia. Toscana: il Garante dei detenuti termina sciopero della fame ilcittadinoonline.it, 21 giugno 2019 Solidarietà a Corleone dalla vicepresidente della Regione Barni. Raccolta di firme per Volterra già oltre quota duemila. Si è chiuso ieri, 20 giugno, lo sciopero della fame, intrapreso da Franco Corleone a sostegno della “Campagna di civiltà. Qualcosa si muove” per ottenere risposte a richieste importanti per la qualità della vita nelle carceri toscane. “Il provveditore dell’amministrazione penitenziaria Antonio Fullone - ha detto Corleone - ha assicurato una risposta ufficiale in tempi brevi per quanto riguarda l’apertura della seconda cucina a Sollicciano e di quella di alta sicurezza a Livorno e per la data di apertura dei servizi igienici ristrutturati della sezione femminile dell’istituto di Pisa”. Corleone ricorda che “tra gli obiettivi di questa prima fase e tra gli impegni da mantenere subito, senza ulteriori ritardi” ci sono quello del Teatro stabile di Volterra, riguardo al quale il garante ha chiesto un tavolo di confronto tra tutti i soggetti che hanno responsabilità. Su questo capitolo, si ricorda che le firme sulla petizione sono arrivate a 2080 https://www.change.org/p/garante-dirittidetenuti-consiglio-regione-toscana-it-costruiamo-il-teatro-stabile-nella-fortezza-di-volterra e si segnalano un’interrogazione alla Camera dei deputati dell’onorevole Susanna Cenni e un’interrogazione della consigliera regionale Irene Galletti. Solidarietà al Garante è stata espressa dalla vicepresidente della Regione Toscana Monica Barni. “La vicepresidente - ha detto Corleone - mi ha comunicato di aver avuto un colloquio con il sovrintendente dei beni architettonici di Pisa, che ha mostrato disponibilità all’esame dei progetti e ad una positiva soluzione”. Nei prossimi giorni saranno illustrate le nuove iniziative su questa campagna. Bologna: a processo a distanza di 20 anni dall’omicidio, si dichiara innocente e si suicida di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 21 giugno 2019 Arrestato nel giugno del 2018, doveva essere giudicato la settimana prossima. Il detenuto che si è suicidato mercoledì scorso nel carcere di Bologna, era in attesa di giudizio di primo grado a distanza di 20 anni dal fatto. Parliamo di Stefano Monti, imputato in Corte d’Assise a Bologna per l’omicidio, avvenuto il 5 dicembre 1999, del buttafuori Valeriano Poli. Aveva 60 anni ed era entrato per la prima volta in carcere a 20 anni dai fatti contestati e si era proclamato, da sempre, innocente. “Vive una situazione particolare - spiega il suo legale Roberto D’Errico -, e nell’inferno del carcere, che è un luogo violento per definizione, evidentemente non ha retto alla pressione del processo”. L’udienza per la decisione dei giudici era in programma per il prossimo 26 giugno: il suo avvocato Roberto D’Errico aveva chiesto l’assoluzione, mentre il procuratore Roberto Ceroni, pm del caso, aveva chiesto l’ergastolo. Monti venne arrestato nel giugno scorso, dopo una svolta investigativa che aveva portato a isolare il suo Dna su una scarpa indossata dalla vittima, e risultata pulita il giorno dopo l’omicidio. Per quei fatti venne già indagato in passato ma la sua posizione venne archiviata. Il movente dell’omicidio - secondo gli inquirenti - sarebbe da ricercare in una vendetta seguita alle percosse subite da Monti da parte di Poli, impiegato come buttafuori dell’allora discoteca Tnt, fuori del locale. L’uomo, che si è suicidato mercoledì scorso, non ce l’ha fatta ad aspettare. “Anche perché - sottolinea l’avvocato - il processo, per cui la sentenza era prevista per mercoledì prossimo, è stato impostato in maniera molto aggressiva dalla Procura, che da giugno del 2018 fino ad ottobre ha negato a Monti i colloqui con i familiari, prima che la Corte decidesse di concederli una volta iniziato il dibattimento”. All’avvocato D’Errico ha replicato il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato: “Francamente parlare di aggressività è parlare di un qualcosa che non appartiene al modo di fare di questo ufficio”. Secondo l’avvocato D’Errico però “può aver influito sulla decisione di Monti di suicidarsi anche la forte pressione mediatica a cui è stato sottoposto dopo il suo arresto”. In sostanza, chiosa il legale, “al di là dei fatti personali, su cui è sempre difficile dare un giudizio, va valutato il contesto che si era creato intorno a Monti nell’ultimo anno”. Al momento, fa poi sapere D’Errico, i familiari non intendono prendere alcuna iniziativa dopo quanto accaduto, perché “sono distrutti dal dolore, per ora si augurano solo che questa vicenda si sia chiusa definitivamente”. I suicidi nelle carceri italiane non si fermano, dall’inizio dell’anno, secondo quanto riportato dall’osservatorio di Ristretti Orizzonti, siamo giunti a 20 detenuti che hanno deciso di togliersi la vita, su un totale di 60 morti. Sì, perché ben 40 reclusi sono morti per malattia o per cause ancora da accertare. Un dramma, quelle delle morti cosiddette “naturali”, che vede come protagonista la salute in carcere. E le condizioni igieniche sanitarie di alcuni istituti non aiutano. Al carcere di Poggioreale, finito nella cronaca per la rivolta dei detenuti per solidarietà al mancato trasferimento in ospedale di un detenuto affetto da febbre alta, è uscito fuori un caso di scabbia contratta da un recluso di 21 anni. La famiglia sarebbe venuta a conoscenza della vicenda il 14 giugno scorso, quando la madre del ragazzo si è recata in visita al proprio figlio, detenuto dal 4 aprile scorso nel padiglione Livorno del penitenziario napoletano su provvedimento della Procura della Repubblica di Modena e ha chiesto di lui. La donna ha saputo, solo allora e per puro caso, dell’allontanamento del giovane a seguito della contrazione di una malattia contagiosa. La famiglia del giovane detenuto ha presentato una denuncia. L’avvocato del ragazzo, Michele Salomone, si è recato immediatamente nel carcere di Poggioreale per saperne di più sulle condizioni di salute del suo assistito. Al legale è stato confermato che il ragazzo è tuttora posto in isolamento a causa di un contagio da scabbia. Bologna: suicida in carcere, la procura reagisce “accuse indegne” di Giuseppe Baldessarro La Repubblica, 21 giugno 2019 Suicida in carcere l’imputato per l’omicidio del buttafuori Poli a 20 anni di distanza. L’avvocato D’Errico contro procura e investigatori: “Hanno agito con eccessiva aggressività”. Per l’accusa “dire che il processo a carico di Stefano Monti è stato condotto in modo aggressivo non è accettabile”. Per la difesa, invece, “ci sono anomalie in una vicenda che è stata trattata in modo aggressivo”. Scoppia la polemica tra il procuratore Giuseppe Amato e l’avvocato Roberto D’Errico, difensore di Monti, l’uomo accusato dell’omicidio del buttafuori Valeriano Poli (commesso il 5 dicembre 1999) che si è tolto la vita alla Dozza mercoledì mattina, una settimana prima della sentenza. Una polemica in punta di penna, ma dai toni fermi per entrambi i protagonisti. Le parole di Amato sono arrivate dopo che il legale aveva parlato “di un processo aggressivo”, che forse ha contribuito ad aggravare lo stato d’animo del detenuto. Per il procuratore si tratta di un “argomento che non si può accettare, perché contrario alla realtà dei fatti e che fa torto alla serietà della Corte di assise e del suo presidente (Stefano Scati, ndr.) che sono stati gli arbitri del processo, condotto in modo assolutamente sereno, lineare e corretto”. Secondo Amato “il procedimento può essere stato la motivazione ultima, ma la scelta suicidaria rientra nell’intimo imperscrutabile delle decisioni umane”. Amato dice inoltre che “si è trattato di un processo che ha avuto il merito di cercare di trovare una risposta a un grave fatto omicidiario risalente a venti anni prima”. Conclude poi affermando: “Francamente parlare di aggressività è parlare di un qualcosa che non appartiene al modo di fare di questo ufficio”. A stretto giro di boa la risposta di D’Errico: “Non intendo alzare il livello delle polemiche, né attaccare la Procura o la Corte di assise, che non c’entra nulla, ma ho il dovere di segnalare alcune anomalie in una vicenda che è stata trattata in modo energico”. Secondo il legale le “anomalie” sono riconducibili a diverse fasi del procedimento, per come emerso durante il dibattimento. La prima questione è legata all’esposizione mediatica: “Monti è stato sbattuto sui giornali e dipinto dagli inquirenti come un criminale violento. Mentre si tratta di una persona incensurata. Inoltre la notizia della riapertura del caso è stata diffusa ad arte per controllare le reazioni dell’indagato. I giornali sono stati usati dalla polizia e questo non mi sembra un atto consueto e corretto. Monti, poi, è stato fotografato con le manette ai polsi il giorno del suo arresto e rivedersi sui giornali in quelle condizioni di certo non lo ha reso sereno”. Inoltre, ricorda ancora, D’Errico: “Per mesi gli è stato impedito di incontrare la sua famiglia, la moglie e i figli, e questo quando l’inchiesta era già chiusa in attesa del processo immediato. Non capisco quali prove potesse inquinare. È un fatto che persino durante il processo la procura si sia opposta ai colloqui”. Per il legale: “Monti sentiva questo accerchiamento. Nessuno può conoscere le ragioni di un gesto tanto estremo. Non faccio polemica con nessuno ed ho rispetto per la procura e, ovviamente per la Corte che ha condotto il processo, tuttavia ho il dovere di segnalare fatti che di certo non hanno tenuto conto che ognuno è innocente fino a prova del contrario. Tanto più un incensurato di 60 anni accusato di un reato che avrebbe commesso 20 anni fa”. Bologna: il Garante dei detenuti “grande amarezza per l’evento tragico alla Dozza” Ristretti Orizzonti, 21 giugno 2019 Si è appreso con grande amarezza dell’evento tragico consumatosi nella mattina di ieri. Sono numerosi i tentativi auto-soppressivi che vengono sventati anche grazie al tempestivo intervento del personale penitenziario, nonostante le difficili condizioni di lavoro e la complessità di un contesto come quello detentivo. Il crescente numero delle persone detenute in rapporto a quello degli operatori dà la misura della sproporzione in campo, si pensi per esempio a livello locale alla grave ed eclatante carenza di educatori, nell’ultimissimo periodo ancor più acuitasi, in ragione della quale, nei fatti, si può non riuscire a garantire la pienezza dell’intervento educativo in favore delle persone detenute. In questi tragici frangenti si avverte anche l’urgenza di elaborare strategie che possano rendere più incisiva l’attuazione del Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie in carcere, coinvolgendo tutti i soggetti, istituzionali e non, che fanno parte della comunità penitenziaria. Per il Piano risulta essenziale garantire la formazione degli operatori locali, in particolare quelli a più diretto contatto con la quotidianità detentiva in un quadro di condivisione del complesso degli interventi fra area penitenziaria e area sanitaria. Ai fini della prevenzione del rischio suicidario possono risultare decisivi anche eventuali contributi atecnici che comunque possono (e auspicabilmente devono) portare tutte le figure che a vario titolo hanno una presenza costante nei settori detentivi e che possono sviluppare una sensibilità finalizzata a cogliere segnali di disagio e a generare soluzioni che limitino la possibilità che i loro portatori rimangano senza una rete di attenzione. Si prevede anche l’ausilio delle persone detenute, addestrate, attraverso attività di gruppo fra area penitenziaria e area sanitaria, a offrire vicinanza e supporto sociale ai soggetti a rischio. Deve esserci cura particolare nel presidiare le (non poche) situazioni che possono essere potenzialmente stressanti in un contesto di privazione della libertà personale, fra le quali rientrano, fra le altre, i processi in corso nelle ipotesi di reati gravi, nel cui caso è necessario prestare particolare attenzione ai giorni prima delle udienze e della condanna e a quelli immediatamente successivi. Antonio Ianniello Garante per i Diritti delle persone private della Libertà personale del Comune di Bologna Bologna: “risse e celle piene qui è una polveriera” di Giuseppe Baldessarro La Repubblica, 21 giugno 2019 I sindacati della Polizia penitenziaria: “Ogni due giorni un atto di autolesionismo. In questa struttura per 500 detenuti ce ne sono 850. Con rischi per tutti. Il Garante: “C’è una grave carenza di operatori e educatori. E serve più cura per gli ospiti sotto processo”. Una rissa tra detenuti ogni due giorni, un atto di autolesionismo ogni trentasei ore. E ancora ventiquattro tentati suicidi (di cui uno riuscito) in dodici mesi. Periodo nel quale si sono registrati anche una ventina di aggressioni ai danni di agenti della Penitenziaria. Benvenuti alla Dozza, il carcere per 500 detenuti che oggi ne contiene oltre 850, in condizioni, secondo i sindacati, “rischiose sia per il personale che per gli ospiti”. Numeri preoccupanti che non riguardano la sola struttura di Bologna, ma che anche nella città delle Torri peggiorano di giorno in giorno. Secondo i dati in possesso del sindacato degli agenti penitenziari Sappe, nel corso del 2018 le colluttazioni tra carcerati sono state 195 a fronte delle 147 dell’anno precedente, mentre calano leggermente gli atti di autolesionismo, passati da 287 a 256. Costanti i tentativi di suicidio (23 sia nel 2017 che nel 2018) con il dramma di un detenuto che nel 2018 è riuscito a togliersi la vita, mentre l’anno prima la Penitenziaria era riuscita a sventare tutti i tentativi. Numeri a cui va però aggiunto l’incremento di aggressioni nei confronti del personale da persone probabilmente esasperate dalle difficili condizioni di vita all’interno dell’istituto bolognese. Se si guarda ai numeri nazionali si nota l’incremento di tutte le tipologie di episodi violenti in carcere. Solo per fare un esempio, tra il 2017 e il 2018 sono cresciuti i suicidi (61 sui 48 dell’anno prima), come anche i tentativi di togliersi la vita, arrivati ormai a 1.200. L’esasperazione si coglie anche dai numeri sulle risse, 7.784, 350 in più che nel 2017. Volano oltre i 10 mila gli atti di autolesionismo. Dati che secondo i primi riscontri non migliorano nel 2019. Secondo Giovanni Battista Durante, segretario del Sappe, i numeri sono legati “a diverse variabili: le attività lavorative, la presenza di figure professionali di sostegno, la tipologia di detenuti e l’organizzazione dell’istituto”. Ed è qui che conta il personale. Per Antonio Ianniello, garante dei detenuti di Bologna, a livello locale esiste “una grave ed eclatante carenza di educatori ed operatori, acuitasi nell’ultimissimo periodo”. Ianniello, pensando al caso del suicidio di Stefano Monti, è convinto che serva “una cura particolare nel presidiare le (non poche) situazioni che possono essere potenzialmente stressanti in un contesto di privazione della libertà personale. Tra queste rientrano i detenuti con un processo in corso con ipotesi di reati gravi: a loro è necessario prestare particolare attenzione nei giorni prima delle udienze e della condanna, e in quelli immediatamente successivi”. Preoccupato Giuseppe Merola, segretario del Sinappe (altra sigla sindacale del settore), che riflette su Monti: “Di fronte a casi come questo viene da chiedersi come scorre la vita in carcere, se alcuni detenuti abbiano bisogno di maggiore supporto”. E aggiunge: “Esistono percorsi dedicati e assistenza psicologica, ma da tempo denunciamo il sovraffollamento. Ripetiamo, c’è una situazione di malessere generale, che incide sia sulla popolazione detenuta, sia sugli operatori di polizia penitenziaria”. Particolarmente critica la situazioni del secondo piano giudiziario della Dozza (dove ci sono i detenuti in attesa di giudizio) e dell’infermeria che, dice Merola, “versa in uno stato emergenziale. Vi sono alloggiati detenuti che non necessitano di cure, perché non ci sono posti nei reparti detentivi”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Salvatore Bianco della FP-Cgil: “Siamo stufi di ripetere sempre le solite cose: sovraffollamento e carenza di personale”. Nessuno può dire se con più guardie e operatori Stefano Monti sarebbe ancora in vita, ma tutti sono concordi nell’affermare che in una situazione di sovraffollamento, che si aggiunge alla già difficile condizione carceraria, la sofferenza dei detenuti aumenta in maniera esponenziale. Sofferenza che nelle persone più fragili si traduce in gesti estremi. Napoli: carcere di Poggioreale, tra rivolte e degrado di Maria Laura Amendola eroicafenice.com, 21 giugno 2019 Il carcere di Poggioreale viene, ancora oggi, definito il “carcere peggiore d’Italia, sia per i diritti umani che per il degrado”. Il carcere di Poggioreale fu costruito nel 1914 nel pieno di un processo che, dalla fine del XVIII secolo, rese la prigione sostitutiva della pena di morte e delle punizioni corporali. Queste ultime, in realtà, persistevano anche nelle carceri e, in Italia, fino a circa cinquant’anni fa erano usate per mantenere “disciplina” e sopprimere eventuali ribellioni tra le celle. La pena di morte, invece, fu abolita nel 1945, con la Liberazione dal nazi-fascismo, e ufficialmente nel 1948, con la Costituzione Repubblicana. Poggioreale fu, però, una “necessità” per affrontare il sovraffollamento delle carceri in funzione all’epoca. Era, ed è tuttora, una “casa circondariale”, i cui detenuti sono in attesa di giudizio o condannati a pene inferiori ai cinque anni. Nel tempo, i reparti hanno preso il nome di città Italiane: Napoli, Milano, Livorno, Genova, Torino, Venezia, Avellino, Firenze, Salerno e Roma. Il punto massimo di sovraffollamento nel carcere di Poggioreale avvenne nella prima metà degli anni ‘40 e nell’immediato dopoguerra, vista la presenza di numerosi prigionieri politici e di commercianti della “borsa nera”. Fu in parte occupato dai tedeschi che, cinque giorni dopo l’armistizio, aiutarono i detenuti a fuggire. Tra le varie rivolte contro le condizioni igieniche del carcere, quella del 31 maggio 1972, quando dal padiglione Genova i detenuti devastarono ogni cosa, abbatterono i cancelli e saccheggiarono i magazzini. Furono due giorni di scontri con la polizia, durante i quali un detenuto di 19 anni fu ucciso da un colpo di pistola. I detenuti furono poi ammassati nei sotterranei e molti furono trasferiti. Ma nel carcere di Poggioreale si è consumata anche una vera e propria faida, durante la guerra di camorra tra i Cutoliani e gli appartenenti alla Nuova Famiglia organizzata, durante la quale era la camorra stessa a stabilire le regole di vita tra le celle. Secondo il rapporto del 2018 dell’associazione “Antigone”, la struttura ospita 2.299 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 1.611 posti. Nonostante le numerosi ristrutturazioni, le condizioni generali sono ancora inadeguate e incompatibili con ciò che prevede l’attuale ordinamento penitenziario. Alcuni esempi: celle che ospitano fino a 12 detenuti, assenza di stanze adibite alla socialità, mancanza di docce, umidità degli ambienti. Tra i più degradanti, il padiglione Roma, che “ospita” detenuti transessuali, tossicodipendenti e sex offender tra muffa, finestre rotte, assenza di intonaco e docce comuni distaccate dalle celle. Ma le criticità presenti nelle celle sono numerosissime: non sono garantiti 3 mq calpestabili per detenuto, non tutte le celle sono riscaldate adeguatamente e dotate di acqua calda, non ci sono schermature alle finestre, non è assicurata la separazione dei giovani dagli adulti. Inoltre, sette reparti su dieci non hanno spazi di socialità all’interno dei padiglioni, comportando una limitazione nei movimenti dei detenuti e la loro permanenza all’interno della cella per moltissime ore. Solo nel 2017, si contano 290 casi di autolesionismo, 2 suicidi, 8 morti e 199 scioperi della fame. I detenuti in terapia psichiatrica sono 600, ma non è presente un reparto per detenuti con infermità psichica. A febbraio di quest’anno, nel carcere di Poggioreale è morto Claudio Volpe, di 34 anni, deceduto ufficialmente per un infarto. In realtà, Claudio soffriva di una febbre molto alta da giorni prima della sua morte e non aveva ricevuto aiuto nonostante le richieste di essere visitato. Le sue condizioni di salute si sono aggravate al punto da non rendere più necessario l’intervento del 118. Ma ciò che più inquieta ancora del Carcere di Poggioreale è la “cella zero”, creata nel 1981, nella quale - stando alle testimonianze degli ex detenuti - gli agenti della polizia penitenziaria sottoponevano i carcerati a pestaggi e maltrattamenti. La storia della “cella zero” è raccontata nel documentario di Salvatore Esposito, fotografo documentarista, in collaborazione con il giornalista Andrea Postiglione e Pietro Ioia, attivista per i diritti dei detenuti. Viterbo: gli agenti della Polizia penitenziaria “in carcere temiamo una rivolta” di Maria Letizia Riganelli Il Messaggero, 21 giugno 2019 “Temiamo una rivolta in carcere e altre aggressioni”. Nel giorno in cui il consiglio comunale di Viterbo affronta la situazione del penitenziario del capoluogo, Danilo Primi, agente e rappresentante sindacale dell’Uspp, lancia l’ennesimo allarme. “Non vogliamo finire sotto scacco, come è successo il mese scorso a Campobasso, con alcuni detenuti si sono barricati nella struttura. Ma il rischio che un’eventualità di questo tipo accada è alto. La situazione a Mammagialla è rovente non abbiamo uomini per mandare avanti l’istituto. Non abbiamo forze giovani e le aggressioni al personale sono sempre più frequenti”. L’ultima solo pochi giorni fa, quando un detenuto ha mandato al pronto soccorso tre poliziotti della Penitenziaria con prognosi di 20, 10 e cinque giorni. Da quel giorni la polizia si è messa in sciopero. “Facciamo astensione dalla mensa ha detto ancora Primi -, un gesto dimostrativo che ovviamente ci costa anche in termini di soldi. Vogliamo far capire all’amministrazione centrale che sta diventando sempre più insostenibile”. Oggi il consiglio comunale parlerà di Mammagialla, della situazione di emergenza, del numero di detenuti e delle molteplici aggressioni. Senza dimenticare l’omicidio avvenuto pochi mesi fa e il suicidio, definito sospetto, di un giovanissimo egiziano. Saranno presenti anche amministratori: hanno dato adesione il senatore Umberto Fusco (Lega), il senatore Vittorio Ferraresi del Movimento 5 Stelle, la senatrice Alessandra Maiorino (sempre M5S). Poi i consiglieri regionali Chiara Colosimo (FdI), quella di 5 Stelle, Silvia Blasi, e di +Europa, Alessandro Capriccioli. E ancora il Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia, i rappresentanti della locale Camera penale. Ancora in forse, invece, la presenza del direttore del carcere Pierpaolo D’Andria. “Siamo contenti dice ancora il sindacalista che l’attenzione su Mammagialla sia massima, ma abbiamo bisogno di segnali concreti e di fatti, prima che la situazione diventi ingestibile. Presto stabiliremo altre forme di astensione e protesta. E in comunale saremo presenti anche noi”. Appuntamento in sala del consiglio è alle 17. Viterbo: carcere di Mammagialla, una task force per il problema sicurezza di Giuseppe Ferlicca tusciaweb.eu, 21 giugno 2019 Vittorio Ferraresi, sottosegretario al ministero di Giustizia prova a dare qualche risposta al termine del consiglio comunale straordinario sulla difficile situazione al carcere di Viterbo. Risposte a volte generali, altre particolari. Problema serio, servono risposte dello stesso tenore. Agenti sotto organico e sicurezza, appunto, anche per la presenza del reparto 41 bis. “La sicurezza è un tasto dolente - osserva Ferraresi - anche a Viterbo, pure per la presenza di detenuti difficili. Abbiamo messo in piedi un tavolo con la polizia penitenziaria, una task force tra istituti che interessa la struttura di questa città”. La mancanza di agenti: “Il vuoto d’organico lo colmiamo con assunzioni - prosegue il sottosegretario - sono 1300 più altri 350. Andranno a colmare il vuoto esistente. Non a coprire il turn over. Poi 260 persone nell’ambito civile e 35 dirigenti, oltre a mediatori culturali. Vogliamo investire sul personale, è una priorità”. Anche attraverso il confronto con i sindacati sulle piante organiche: “Nello studio rientra anche Viterbo”. La Casa circondariale è finita alla ribalta, suo malgrado della cronaca nazionale. “Quando abbiamo notizie, sono partite segnalazioni in procura. Ci sono anche due indagini ispettive interne”. Sul 41 bis Ferraresi la vede in modo diverso, oltre la preoccupazione che amministratori e cittadini possono avere per la sua presenza. “Il reparto è uno strumento imprescindibile per la lotta alla criminalità organizzata, che tende a comandare per mantenere i rapporti fuori ma anche dentro gli istituti”. Un consiglio comunale affollato di presenze, parlamentari, rappresentanti dell’istituto penitenziario, consiglieri regionali, professionisti dell’ambito penale. Dalla seduta è partita la richiesta al sindaco Arena, affinché istituisca la figura del garante dei diritti dei detenuti o delle persone private della libertà personale, per il comune di Viterbo. Proposta presentata da Massimo Erbetti (M5s), sottoscritta da altri esponenti dell’opposizione e avanzata anche da Andrea Micci (Lega). Nel lungo dibattito, durato fino a quasi le 21,30, c’è stato spazio anche per un aspro confronto fra senatori. Da una parte Francesco Battistoni (FI) e dall’altra Alessandra Maiorino (M5s). Battistoni, dopo avere ascoltato diversi interventi si è meravigliato di come non si sia parlato in modo chiaro delle carenze di organico della polizia penitenziaria. Il caso, finito sulle cronache nazionali della morte di un detenuto in cella lo prende a esempio. “Penso allo choc - ricorda Battistoni - della guardia che ha dovuto rilevare la situazione. Nessuno si è posto il problema del perché accada. Ho sentito parole, ho sentito parlare d’indagini, ma il personale che opera all’interno meriterebbe altro trattamento”. Battistoni ha presentato un’interrogazione sul sovraffollamento a Mammagialla e sulla carenza d’organico. Risposte deludenti. Maiorino attacca e sposta l’attenzione: “Quale choc - incalza la senatrice M5s - avrà provato la madre della persona morta, quando si è vista restituire in un sacco dei rifiuti, anonimo, gli effetti del figlio? Senza una parola”. Diritto di replica per Battistoni: “Ho detto di guardare le due facce della medaglia, non solo i detenuti ma anche chi nel carcere ci lavora”. Sull’agente che ha scoperto il ragazzo morto in cella, il sottosegretario rassicura: è stato spostato ad altro incarico. Duro l’intervento di Luca Floris del sindacato Sappe. Riferendosi ai fatti alla ribalta della cronaca nazionale, con al centro il carcere di Viterbo: “Mammagialla non un carcere punitivo - tuona Floris - non è un luogo punitivo. Non si possono sparare ai quattro venti certe cose. Se questo è un carcere punitivo, allora la polizia penitenziaria cosa fa? Sono stufo di essere additato quando giro per la città”. A chiedere la seduta di consiglio, Giacomo Barelli (Viva Viterbo), primo firmatario. Nel suo intervento si è rivolto al sindaco Giovanni Arena. Ha un potere. “Per la legge 102 il sindaco è l’unico all’interno del comune che può effettuare visite di sindacato ispettivo nelle carceri del territorio. Eserciti questa facoltà ogni volta che può. I sindaci sono il primo presidio istituzionale sul territorio ed è giusto che accedano alle carceri, che sono strutture sensibili”. Opera (Mi): Missoni-Fondazione Cannavò, accordo per i corsi ai detenuti gazzetta.it, 21 giugno 2019 Ritorno a casa. È stato principalmente questo il senso della visita di Rosita e Angela Missoni, rispettivamente fondatrice e direttore artistico dell’omonima casa di moda, in via Rizzoli a Milano. La Gazzetta, infatti, è stata uno dei centri affettivi nella vita di Ottavio, marito e padre delle due ospiti illustri, fin da quando, come amava ricordare, era spesso ospite della mensa della Rosea nel 1946, subito dopo il suo rimpatrio dalla prigionia in Africa settentrionale. “Frequentemente mi ha proprio sfamato in quei momenti difficili”, raccontava l’uomo che arrivò sesto all’Olimpiade di Londra 1948 nei 400 ostacoli e che proprio la guerra derubò di una carriera che sarebbe stata straordinaria, date le premesse giovanili. L’episodio fu riscoperto proprio grazie a una lettera di Ottavio a Candido Cannavò, che la pubblicò nella sua rubrica. Del resto Missoni rimase per tutta la vita un appassionato di sport a 360 gradi, gareggiando a lungo anche fra i Master. E la lettura quotidiana della Gazzetta, unita a una curiosità polisportiva, rimase un must della sua giornata, fino alla scomparsa, avvenuta nel 2013. Accolte dal direttore della Gazzetta Andrea Monti, da Raimondo Zanaboni, presidente di Rcs Sport e della Fondazione Candido Cannavò, da Franca Cannavò, vedova di Candido, e da Franco Arturi, direttore della Fondazione, Rosita e Angela hanno ufficializzato un significativo accordo con la Fondazione stessa, in base al quale saranno intitolati a Ottavio Missoni i corsi per detenuti e guardie penitenziarie che si terranno da ottobre 2019 a giugno 2020 nel carcere milanese di Opera. Il legame simbolico è proprio il lungo periodo di detenzione-prigionia che il grande Ottavio, poi divenuto il motore, con la moglie Rosita, di una casa di moda attiva da 66 anni, dovette sopportare. E la sua gratitudine verso il giornale rosa. Augusta (Sr): studenti del Ruiz e detenuti sul palcoscenico del carcere lagazzettaaugustana.it, 21 giugno 2019 Si è conclusa la maratona di tre giorni che ha visto detenuti della Casa di reclusione di Brucoli e alunni dell’Istituto superiore “Arangio Ruiz” di Augusta insieme, sul palcoscenico all’interno del carcere, per rappresentare “Gl’innamorati” di Goldoni, la cui regia è stata curata da Antonino Cicero Santalena, attore proveniente dalla prestigiosa accademia dell’Inda di Siracusa. Lo spettacolo si inserisce nel progetto di educazione alla legalità dal titolo “Il carcere va a scuola”, curato da nove anni dalla docente del “Ruiz”, Giusi Lisi, coadiuvata dai colleghi Marco Cannarella, Daniela Lo Faro, Lino Traina e Concetta Baffo. Obiettivo fondante del progetto è rendere visibile, attraverso il teatro, l’invisibile, ossia la detenzione. Un progetto realizzato anche quest’anno per volontà della dirigente scolastica del “Ruiz”, Maria Concetta Castorina, della direttrice della Casa di reclusione di Brucoli, Angela Lantieri, con la collaborazione della responsabile dell’area educativa dell’istituto di pena, Emilia Spuches. Presenti allo spettacolo diverse autorità e il cast della tragedia “Le Troiane”, in scena in questi giorni al Teatro greco di Siracusa nell’ambito del ciclo delle rappresentazioni classiche. L’attrice Maddalena Crippa, che interpreta “Ecuba” nella tragedia euripidea, ha letto la poesia di un detenuto, dal titolo “Schegge di felicità”, suscitando emozioni fortissime. E quelle stesse schegge di felicità che hanno aiutato il detenuto a sopravvivere all’ergastolo, hanno fatto breccia nell’animo di ciascuno dei presenti. Larino (Cb): tutela dell’ambiente e biodiversità, il progetto nel carcere termolionline.it, 21 giugno 2019 Presso l’Istituto penitenziario di Larino è istituita una sezione dell’Istituto Agrario, frequentata con profitto dai detenuti e, da oltre un quinquennio, si svolge un percorso di discussione su temi filosofici condotto da un volontario. Nasce, con riferimento a queste due peculiarità il progetto “Dalla Conoscenza alla Tutela del patrimonio ambientale”, approvato dall’Arsarp. L’idea è quella di affidare ai detenuti, nel contesto già consolidato degli studi etici, il compito di approfondire la cultura della biodiversità, per adesione a strumentalità vivaistiche predisposte dalla Regione Molise a favore delle specificità del proprio territorio. Il concetto astratto di spazio; verrà sostituito dal concreto vivente, inteso come spazio ambiente, la cui cura, così come la “non cura” determina conseguenze collettive vitali. Il territorio è uno dei settori in cui la malavita coltiva i propri interessi: il progetto vuol far maturare nell’attentatore reale o potenziale, il valore della conservazione e salvaguardia dell’ambiente, perché si renda parte attiva e consapevole di un processo di recupero della biodiversità. Il progetto si articolerà in due fasi, la prima prevalentemente teorica come forma di riflessione filosofica, la seconda eminentemente pratica legata a percorsi coerenti con il vivaismo forestale e agricolo pianificato in ambito regionale. In data 24 c.m. alle ore 10,00 verrà presentato il progetto, gli obiettivi e le modalità per raggiungerli. Sarà presente l’Assessore Regionale all’Agricoltura Nicola Cavaliere, il Dirigente dell’Arsarp, l’Associazione che realizzerà il progetto. Lauro (Av): tele d’ombrelli per i manufatti delle detenute di Giovanni Mura vivicentro.it, 21 giugno 2019 Presentato il nuovo progetto dell’associazione l’Incrocio delle Idee che vedranno gli ombrelli distrutti dal vento trovare una loro seconda vita presso il carcere di Lauro. È stato presentato nei giorni scorsi dall’associazione socio culturale l’Incrocio delle Idee alla comunità, il nuovo progetto che fa seguito alla campagna promossa dalla stessa associazione lo scorso anno, attraverso la quale s’invitavano i cittadini a non abbandonare per strada gli ombrelli distrutti dal vento, ma di portarli in associazione deve gli veniva donata una shopper realizzata da un altro ombrello distrutto. Un obiettivo di tutela dell’ambiente che ha avuto come consequenzialità l’aspetto del riciclo. Un progetto che vedranno gli ombrelli distrutti dal vento trovare una loro seconda vita presso la Casa Circondariale di Lauro in provincia di Avellino. A presentare detto progetto la presidente dell’associazione Giovanna Massafra e la socia coordinatrice dello stesso Teresa Sansone. Sono seguiti gli interventi della psicologa Rosaria Varrella, dell’assessore all’ambiente Gianpaolo Scafarto e il direttore della Casa Circondariale Icam Lauro Paolo Pastena. Gli ombrelli distrutti dal vento, abbandonati ma anche, verranno consegnati alla Casa Circondariale dove saranno lavorate. Le detenute di detta struttura - ha affermato Massafra - realizzeranno, dopo essere state formate dalle volontarie dell’associazione l’Incrocio delle Idee, shopper, grembiulini per bambini, mantelline parapioggia e impermeabili per cani. Il progetto sarà avviato a settembre - ha ancora detto Massafra - e in quest’arco di tempo proveremo a coinvolgere l’intera comunità, in tutte le sue articolazioni, a rendersi disponibili a recuperare le tele degli ombrelli distrutti per essere, appunto, consegnate a Lauro. Con un applauso, i presenti hanno attestato la loro meraviglia quando Teresa Sansone ha mostrato e illustrato quanto è possibile realizzare con le tele degli ombrelli distrutti e che saranno appunto realizzate dalle detenute per essere poi commercializzate. È seguito l’intervento della psicologa Rosaria Varrella che è stata da collegamento tra l’associazione e la direzione della Casa Circondariale, Una opportunità per le detenute, ha affermato Varrella. Il lavoro nel carcere da dignità ma anche la possibilità di imparare regole e percorsi utili e necessari per il processo rieducativo ma anche per acquisire un patrimonio per quando si esce dal carcere. Importante dunque il volontariato, ha ancora affermato, per attestare che la società è vicina ai detenuti e che il carcere è un luogo di riabilitazione. Dopo avere fatto un plauso all’iniziativa, l’assessore all’ambiente Scafarto ha impostato il suo breve intervento sull’aspetto che riguarda la detenzione e la legislazione. Di grande interesse, coinvolgente e addirittura emozionante, l’intervento del direttore della Casa Circondariale Icam Lauro Paolo Pastena, che ha illustrato, a un pubblico attento e incuriosito, la specificità e la particolarità di un carcere di detenute mamme che hanno la possibilità di tenere con loro i bambini. Una struttura differente dalle altre, organizzata per non fare percepire al bambino l’aspetto di detenzione. Una delle cinque strutture esistenti in Italia organizzato dunque in maniera particolarissima e che deve assomigliare il meno possibile a quelli che sono i carceri e le celle che normalmente siamo abituati a vere in televisione. Un intervento ricco di esempi e considerazioni, ma tutte colme di un’importante umanità che è stata trasmessa, e i commenti della dopo iniziativa, l’hanno dimostrato, di una persona che svolge con passione un lavoro difficilissimo e delicatissimo. La pena è una parentesi che prima o poi finisce - ha concluso il direttore - “dallo scarto costruiamo qualcosa di nuovo, ed è un fortissimo messaggio rappresentato da questo progetto che oggi è stato presentato”. Progetto che sicuramente si diffonderà in altri istituti, è stato ancora affermato, per dare concretezza al ruolo del volontariato che attesta vicinanza alle carceri che vuol dire contribuire a combattere la criminalità. Torino: teatro e carcere, la verità della finzione di Claudio Montagna mentelocale.it, 21 giugno 2019 Claudio Montagna, regista e animatore teatrale dagli anni settanta, da anni collabora con il Gruppo Abele, in attività che coinvolgono le famiglie e le comunità migranti. Ha fondato un gruppo di teatro chiamato il Teatro del Noi che intende praticare il teatro privilegiandone la concezione comunitaria, in quanto è luogo di aggregazione sociale. Un luogo in cui teatralità e spettacolarità sono solidali al fine di favorire conoscenza, consapevolezza e un senso di unità in chi partecipa. Ma la sua vera passione è il lavoro in carcere. Nella serata del 28 giugno, ore 19.00, a Binaria presenterà il suo libro Teatro e carcere - la verità della finzione (Effatà editrice) che, scritto sulla base di una lunga e appassionante esperienza sul campo, ci conduce per mano oltre i cancelli di un carcere per mostrarci, quasi in presa diretta, cosa significhi fare teatro con un gruppo di detenuti. Le loro storie di vita, dolenti e al tempo stesso così avide di significati, possono trovare nella “finzione” di uno spettacolo ideato e messo in scena non semplicemente uno svago, ma un tratto di strada in cui poter approdare a nuove verità sulla propria esistenza e sul proprio tempo vissuto. Il teatro, infatti, consente di uscire dal tempo e dallo spazio comuni e farsi veicolo di comunicazione e di arte, a beneficio non solo dei detenuti ma della società tutta. L’autore dialogherà sul libro e sulla sua esperienza con Roberto Falciola, scrittore e responsabile dell’Ufficio Stampa e Comunicazioni Esterne di Effatà Editrice. Alla fine sono previste delle sorprese e un #portatortaparty per condividere un momento di festa insieme. Bologna: nel carcere minorile del Pratello aprirà un’osteria zero.eu, 21 giugno 2019 Non poteva che essere al Pratello la prima osteria in un carcere minorile d’Italia. Già dall’autunno prossimo potremmo, infatti, pranzare e cenare all’interno del noto penitenziario minorile che affaccia sulla strada. La struttura - attualmente in fase di ristrutturazione - sarà in un corridoio e verrà gestita dai detenuti stessi, che da mesi si preparano per lavorare in cucina e servire ai tavoli. Il progetto è sostenuto dalla Fondazione del Monte con un finanziamento di 30 mila euro annue e partirà come esperimento di un anno, che verrà poi ampliato (e magari ripreso da altri penitenziari) se avrà successo. Un intervento per l’inclusione socio lavorativa dei detenuti che si aggiunge all’attività quasi ventennale del Teatro del Pratello con il coinvolgimento di alcuni studenti delle scuole superiori di Bologna e ai corsi di edilizia e falegnameria, ai laboratori musicali con l’Orchestra Mozart alla pallacanestro e alle tante attività formative, professionali, culturali e di animazione destinate al recupero sociale dei ragazzi. Qualcosa di simile è “InGalera”, nell’Istituto penitenziario di Bollate (Milano) dal 2015; mentre a Roma solo per i mesi estivi è aperta “l’osteria degli Uccelli in gabbia”, nell’area verde all’interno della Casa circondariale di Rebibbia “Raffaele Cinotti”. Olbia (Ss): l’arte dei detenuti nello Spazio Faber La Nuova Sardegna, 21 giugno 2019 La mostra racconta l’ambiente esterno attraverso i quadri e i lavori artigianali. Secondo Harari, il giovane storico israeliano le cui opere sono oggi degli autentici best-seller, ciò che ha reso l’uomo quello che in effetti è diventato è l’immaginazione. Per Jean-Paul Sartre, questa non solo qualificherebbe l’homo sapiens, proprio come dice Harari, ma addirittura gli conferirebbe il potere di trasformare il mondo e infrangere le barriere di un presente opprimente. Qualcosa di simile lo hanno sperimentato i detenuti della struttura carceraria di Nuchis realizzando i lavori che saranno in mostra allo Spazio Faber sino al 22 giugno. Per giungere a questo risultato è stato necessario il coinvolgimento di più soggetti, a partire dalle professionalità che operano nel carcere, la stessa direzione e gli enti (Comune, Lions, cooperativa Il piccolo principe) che hanno patrocinato l’evento. L’effetto finale è stato il prodotto di una sinergia collaborativa che ha consentito ai detenuti che si sono cimentati in diverse forme di arte (lavori artigianali, quadri) di raccontare l’ambiente esterno. Non come sarebbe venuto loro in mente di immaginarlo a occhi chiusi, ma con il supporto di un team di fotografi e artisti del territorio che, coordinati da Massimo Masu, hanno fornito materiali su cui riflettere e lavorare. Una sorta di “in & out” all’insegna della massima creatività, verrebbe da dire, perché, come spiega Edy Baldino, garante dei diritti dei detenuti a Tempio, “l’idea guida è stata quella di porre l’arte come ponte tra il dentro e il fuori”. A giudicare dalla qualità di molti dei lavori esposti, il risultato sembra essere stato raggiunto. Lo pensa Massimo Masu, fotografo professionista, curatore dell’esposizione, e così anche Franco Pampiro, che, insieme a Antonello Naitana e Massimo Gobbi, ha “foraggiato” la creatività degli artisti detenuti, fornendo il materiale fotografico che hanno utilizzato per ispirarsi. Tra le opere del “Varco nel muro” (titolo a dir poco eloquente della mostra) sono davvero tante quelle che, per così dire, catturano l’occhio. Tra queste non può non richiamare l’attenzione che merita il quadro di Massimiliano Avesani, il detenuto che in carcere ha affinato il suo estro creativo, diventando scrittore e pittore. Il suo quadro colpisce per il valore emblematico dei contenuti: quattro mezze figure, ritratte senza testa e busto, che percorrono l’atrio di un anonimo edificio che non può non far pensare al carcere, sotto la luce artificiale dei neon e in un involucro spaziale diviso in piccoli quadrati che danno l’idea di un ambiente privo di una vera soglia. Un “dentro” che esclude ermeticamente lo spazio esterno e che, seppure per qualche giorno, è riuscito a gettare un ponte con il mondo di fuori. Teramo: la Festa Europea della Musica approda alla Casa circondariale abruzzolive.it, 21 giugno 2019 La Manada Band si esibirà per i detenuti. La Festa Europea della Musica approda a Castrogno, sede della Casa Circondariale di Teramo. La donna sarà al centro della manifestazione teramana per tutto il programma: dal jazz al rock, dal folk alla classica e al pop saranno dedicati alle voci femminili. Il 21 giugno la Festa Europea della Musica prenderà il via, alle 9, dalla Casa Circondariale di Teramo con una musicista d’eccezione, Nancy Fazzini. Il motto dell’edizione 2019, “Musica fuori centro”, condurrà Nancy e i Manada tra i detenuti della Casa Circondariale con una performance tutta da scoprire. La Manada Band è un gruppo eterogeneo costituito da Nancy Fazzini, Marcello Graduato e Daniel De Donatis. Tre professionisti, tre amici che collaborano da anni scrivendo e rappresentando anche a teatro delle sonorità brillanti e un po’ rock. Legati anche dalla collaborazione con il CSM (Centro di salute mentale) di Teramo, quest’anno si esibiranno per i detenuti del reparto Alta sicurezza della Casa Circondariale di Teramo, ai quali sarà consentito esibirsi al termine del concerto come cantanti o musicisti. Dal 1985, Anno Europeo della Musica, la Festa della Musica si svolge in Europa e nel mondo. Dal 1995, Barcellona, Berlino, Bruxelles, Budapest, Napoli, Parigi, Praga, Roma, Senigallia sono le città fondatrici dell’Associazione Europea Festa della musica. Dal 2002, grazie al lavoro fatto dalla AIPFM (Associazione Italiana per la Promozione della Festa della Musica), in Italia hanno aderito più di 150 città, dando vita a una rete distribuita su tutto il territorio nazionale. Tantissimi concerti di musica dal vivo si svolgono ogni anno, il 21 giugno, in tutte le città, principalmente all’aria aperta, con la partecipazione di musicisti di ogni livello e di ogni genere. Bergamo: il calcio per “uscire” dal carcere di Federico Fumagalli Corriere della Sera, 21 giugno 2019 In via Gleno, venticinque detenuti coinvolti nel torneo organizzato dalla Uisp. Il calcio travalica le barriere. Di età e di genere. Il Mondiale Under 20 e quello femminile in svolgimento in Francia, infatti, sono diventati un successo nazional popolare. L’iniziativa “Oltre il muro, porte aperte allo sport”, il torneo organizzato da Uisp Bergamo nella Casa Circondariale di Via Gleno, prende a pallonate un altro pregiudizio sociale. “Vogliamo riaffermare il bisogno di un senso forte di umanità e di convivenza” anche fra i detenuti, cui viene “restituito l’agire del proprio corpo”. Alcuni di loro scenderanno in campo domenica 30 giugno, per le finali del quadrangolare di calcio a sette. È l’atto conclusivo di stagione, che arriva al termine di un percorso “durato tre mesi. Per due volte a settimana, venticinque detenuti della sezione penale si sono allenati con i mister Guido Proserpi e Giorgio Rota - spiega Fabio Canavesi, fra gli organizzatori della iniziativa -. Io stesso sono stato in galera - continua Canavesi. So per certo di quanto lo sport possa avere una valenza reintegrativa effettiva. E di come favorisca l’abbattimento della recidiva”. Si comincia da piccole cose. Come “imparare a rispettare l’avversario”, una buona prassi che spesso non viene adottata. Sia al di qua, sia al di là del “muro”. Il solco tracciato da Uisp (Unione italiana sport per tutti), oltre al calcio si estende ad altri programmi promossi in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria bergamasca. “Nella sezione femminile abbiamo attivato un corso di pallavolo, con quindici detenute seguite da due allenatori, Eleonora Villa e Luigi Riboli - aggiunge Canavesi -. In futuro, ci piacerebbe organizzare un corso per arbitri”. Come ente di promozione sportiva riconosciuto dal Coni e dal Ministero della giustizia, “negli anni Uisp ha sostenuto attività sportive e ricreative, intervenendo spesso nelle carceri. Il nostro lavoro si rivolge ai detenuti, ma prestiamo attenzione anche alle loro famiglie”. La strada percorsa è quella segnata e illuminata dall’art. 27 della Costituzione della Repubblica Italiana e dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani. Molto si è fatto ma “tanto altro resta da fare. Però, un cambio di passo c’è stato”. Per la finale del 30, tante società sportive affiliate a Uisp “hanno dato disponibilità immediata. Sulle iniziative promosse in carcere c’è attenzione. Senza che si trasformi mai in un interesse morboso”. “Oltre il muro, porte aperte allo sport” si inserisce in un “momento in cui è più facile parlare di esclusione che di inclusione”. Non suonino inopportune allora, aspirazioni come “nuove forme di cittadinanza e partecipazione consapevole, sviluppate grazie alla pratica sportiva”. Così, gli incontri di calcio della Casa Circondariale di Via Gleno vengono infarciti di valori “socio educativi”, capaci di “aprire il carcere” e affermare “il diritto di ognuno alla dignità”. Viene riversata troppa responsabilità sul gioco più amato dagli italiani? Forse. Ma il calcio, come a volte riesce a dimostrare, è in grado di superare le barriere. Il silenzio italiano sull’ambientalismo di Sergio Harari Corriere della Sera, 21 giugno 2019 Così non è in Europa, dove l’avanzata dei movimenti Verdi è stata chiara e la sensibilità dei cittadini è ben diversa. Si sente un gran parlare di questi tempi di ambientalismo, sono in molti a improvvisarsene alfieri e a ricordare come in anni passati già erano stati paladini di questa o quella campagna politica, delle quali però nessuno si ricorda. In realtà con pochissime eccezioni l’ambientalismo nel Belpaese non ha mai fatto notizia né tantomeno attecchito, Verdi e similia non hanno mai avuto gran fortuna e quando hanno avuto un qualche spazio politico se lo sono lasciato accuratamente sfuggire (chi ricorda il ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio?), mentre gli altri partiti non ci hanno mai creduto davvero. Nella appena trascorsa campagna elettorale per le europee, malgrado il successo del movimento Fridays for future e della sua animatrice Greta Thunberg, in Italia non si è praticamente parlato di ambiente, sebbene sia un tema tipicamente comunitario. È una emergenza che può essere seriamente affrontata solo coinvolgendo in strategie e interventi ampie regioni europee, ma da noi è totalmente dimenticato, salvo ricordarsene un po’ opportunisticamente in qualche occasione. Sono anni che si discute sulla necessità di aggiornare le norme comunitarie sui valori soglia per gli inquinanti atmosferici (peraltro regolarmente non rispettate dall’Italia), non allineate con quanto suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e assai meno protettive di quelle americane, ma l’argomento è lontanissimo da qualsiasi agenda politica e latitava nei vari programmi elettorali. Anche alcuni provvedimenti sull’agricoltura e l’inquinamento del suolo che hanno importanti ripercussioni sull’ambiente meriterebbero di essere presi in considerazione, ma tutto tace o quasi. Stessa filosofia del silenzio sulla sicurezza alimentare e la salute pubblica, meno se ne parla e più ci si dimentica dei problemi, anche se non sarà rimuovendoli dalle nostre menti che si risolveranno. Salute, ambiente e sicurezza alimentare non a caso costituiscono un’unica commissione nel Parlamento europeo ma ci si chiede quale ruolo potrà mai avere il nostro Paese nella prossima legislatura visto il nazionale disinteresse. Oggi, in Italia, nessuno sembra minimamente sensibile ai valori più importanti per il nostro futuro. Così non è in Europa, dove l’avanzata dei movimenti Verdi è stata chiara e la sensibilità dei cittadini è ben diversa. Nella bella intervista che ha rilasciato al Corriere Annalena Baerbock, leader di successo dei Verdi tedeschi, pone la questione europea al centro dell’impegno politico in una nazione come la Germania, dove non era per nulla scontato, e dichiara che l’Unione per la difesa del clima è il futuro della Ue. Al successo della Baerbock, futura cancelliera ad alta probabilità, fa da contraltare l’ennesima sconfitta dei Verdi e più in generale dei temi ambientali nel nostro Paese. È venuto il momento che gli italiani decidano di riempire un vuoto che i politici non vedono o non sanno riempire, il successo dei movimenti ambientalisti prova che si può fare anche senza avere dietro particolari partiti, anzi forse meglio. Turchia. La Cedu sul diritto all’istruzione dei detenuti dirittifondamentali.it, 21 giugno 2019 (Cedu, sez. II, sent. 18 giugno 2019, ric. nn. 47121/06, 13988/07 et 34750/07). La Corte europea dei diritti dell’uomo si è pronunciata sul caso di due detenuti condannati all’ergastolo che, desiderando continuare i propri studi superiori, interrotti a causa di tale condanna, avevano chiesto di poter utilizzare un computer ed accedere a Internet durante la reclusione in carcere. Avverso il diniego opposto dalle autorità turche a tali richieste, inutile era risultato l’esperimento delle vie interne di ricorso. Dopo aver esaminato le circostanze, i Giudici di Strasburgo hanno rilevato che i tribunali nazionali non avevano effettuato alcuna dettagliata analisi dei presunti rischi per la sicurezza addotti dalle autorità a sostegno del diniego e, in definitiva, non avevano operato un equo bilanciamento degli interessi dei ricorrenti con gli imperativi d’ordine pubblico. La Corte, dopo aver ribadito che l ‘importanza dell’istruzione in carcere era stata riconosciuta dal Comitato dei Ministri nelle sue raccomandazioni sull’istruzione in carcere e nelle sue European Prison Rules, ha, così riconosciuto, all’unanimità, l’avvenuta violazione dell’articolo 2 del Protocollo n. 1 Cedu che tutela, appunto, il diritto all’istruzione. Libia. Haftar si prepara all’assalto finale al cuore di Tripoli di Rachele Gonnelli Il Manifesto, 21 giugno 2019 Intensa battaglia all’aeroporto mentre le milizie di Serraj si combattono tra loro e Misurata si prepara a una disfatta nella capitale, il generale cerca di rassicurare l’Europa e gli Usa. A due mesi e mezzo dall’inizio dell’offensiva su Tripoli il generale Haftar sembra essere arrivato a un passo dalla conquista della città. La percezione potrebbe essere soggettiva, esplicitata con l’affermazione “la situazione a Tripoli è eccellente” in una lunga intervista in inglese pubblicata giusto due giorni fa dal suo giornale di riferimento, The Libyan Address Journal. Ma a ben vedere potrebbe esserci una realtà oggettiva dietro il suo trionfalismo se anche il sito d’inchiesta Africa Intelligence, di solito non benevolo con le pretese della Cirenaica, scrive che, dopo la recente apertura del secondo fronte a Sirte, le forze della città-Stato di Misurata, che si sono assunte il ruolo di principali difensori della capitale con la controffensiva “Vulcano di rabbia”, sono in difficoltà a Tripoli. Secondo lo stesso giornale, si starebbero già preparando, in caso di disfatta, a trasferire a Misurata il cuore del potere libico, ovvero la sede della Banca centrale. E quindi l’ufficio del suo governatore, quel Sadiq al Kabir, che è l’obiettivo segreto dell’offensiva di Haftar in quanto da lui, membro della Fratellanza musulmana, dipende la distribuzione dei proventi dell’export petrolifero e con esso il finanziamento delle milizie di Tripoli, obiettivo dichiarato dell’offensiva del “feldmaresciallo di Bengasi”. Un’aspra battaglia si è svolta ieri mattina intorno all’aeroporto internazionale e dopo sei ore di intensi combattimenti con armi pesanti i generali sul campo del Libyan national army (Lna), l’esercito di Haftar, si sono detti pronti ad avanzare nel centro urbano, cioè in direzione del mare, lasciando alla Mezzaluna rossa il compito di rimuovere 40 cadaveri dopo aver preso prigionieri 15 miliziani I comandanti aspettano dunque un via libera politico e Haftar, per prepararne le condizioni, ha rilasciato la sua lunga intervista, nella quale rassicura l’Europa sulla sua propensione a favorire un processo democratico, una nuova legge sul referendum costituzionale e infine le elezioni come da impegni presi a Parigi, Palermo e Abu Dhabi. Il tutto però - sottolinea - non prima di aver preso il controllo della capitale e “eliminato la corruzione e le milizie, terroristi e gang di trafficanti”. Le milizie del premier Serraj sono nel frattempo riuscite ulteriore prova di inaffidabilità tornando a combattersi tra di loro, mercoledì, proprio vicino all’aeroporto di Tripoli, per la liberazione di alcuni presunti jihadisti detenuti nel vicino carcere affidato alla Rada, la forza di intervento rapido. Il presidente turco Erdogan, alfiere della Fratellanza musulmana, ieri ha ribadito che continuerà ad appoggiare - e rifornire - militarmente Serraj. O meglio Misurata, visto che Serraj, “non controlla neanche il suo ufficio”, per dirla con le parole di Aguila Saleh. O “sembra un uomo scosso, terrorizzato”, “che ripete come un’eco i discorsi dell’inviato Onu Salamè”, come lo descrive Haftar declinando con ciò, come “nulla”, la proposta di tregua lanciata dal premier domenica scorsa. Venezuela. Unhcr: record di richiedenti asilo di Daniele Mastrogiacomo La Repubblica, 21 giugno 2019 Nel 2018 sono stati quasi 350mila. Più che siriani e afgani. “È il maggior esodo della storia recente in America Latina e una delle maggiori smobilitazioni del pianeta”. Sono i dannati della Terra. Gli ultimi ma i più numerosi. Nel 2018 hanno battuto il record: spiccano in vetta alla classifica dei rifugiati nel mondo. Parliamo dei venezuelani che in base a Tendenze globali, ultimo rapporto che oggi pubblica Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, hanno superato come numero la somma di quelli siriani e afgani. L’anno scorso 341.800 hanno chiesto asilo in diversi paesi del mondo, dando vita a quello che viene definito “il maggior esodo della storia recente in America Latina e una delle maggiori smobilitazioni del pianeta”. Nel giorno del rifugiato, il dossier offre una dettagliata panoramica su questo enorme popolo costretto alla fuga, a spogliarsi di ogni piccolo e grande avere, a sradicarsi dal suo paese e a vagare all’estero per tentare di ricostruirsi una vita. Nel 2018 sono state 70,8 milioni le persone che hanno dovuto abbandonare le proprie terre. È la cifra più alta registrata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ci sono 25,9 milioni di rifugiati, 3,5 richiedenti asilo e 41,3 milioni di sfollati all’interno del loro paese. In America Latina sono i venezuelani quelli più colpiti dalla diaspora. Ogni giorno, secondo gli estensori del rapporto Ancur, fuggono in 5 mila. Se la tendenza non cambierà si stima che saranno 5 milioni quelli andati all’estero entro la fine di quest’anno. “Non esiste al mondo un gruppo tanto grande di persone che sia stato costretto a lascare il proprio paese senza la presenza di una guerra o di una catastrofe”, commenta con il Pais William Spindler, portavoce di Ancur per l’America Latina. La maggioranza si è trasferita in Colombia (1,1 milioni) e in Perù (428.200), senza considerare gli irregolari che restano dei fantasmi. La Colombia confina con il Venezuela e questo dimostra che la maggioranza dei rifugiati spera di tornare presto a casa, anche se le scelte dipendono spesso da fattori economici: molti non hanno nemmeno i soldi per pagarsi il biglietto di un bus e proseguire il viaggio. I paesi ospitanti hanno sopportato il peso più forte di questo esodo. L’anno scorso hanno concesso oltre un milione di permessi di residenza o di permanenza legale, documenti che consentono ai rifugiati e migranti di accedere ai servizi di base, sanitari, scolastici e di assistenza. Il Perù ha tuttavia deciso di stringere le maglie dell’accoglienza: per entrare adesso occorrono un visto e un passaporto. Una condizione quasi impossibile peri venezuelani. Il regime di Maduro non rilascia facilmente passaporti. Cerca di frenare la diaspora. Per non parlare delle ambasciate, travolte dalle richieste. “L’America Latina non era pronta a questo esodo massiccio”, osserva Spindler. “Solo 21 mila venezuelani hanno ottenuto lo status di rifugiato nella regione e sui tre milioni che stavano all’estero nel 2018 solo in 460 mila hanno chiesto asilo”. Per affrontare questa emergenza l’agenzia Onu può contare sul 28 per cento dei fondi necessari. Il resto è affidato a ong e volontari. Nicaragua. Nelle carceri ancora 89 detenuti politici agensir.it, 21 giugno 2019 Mons. Mata (Estelí), “si intensificano persecuzioni contro chiese e fedeli”. In Nicaragua il cartello delle opposizioni Alianza Cívica ha chiesto la liberazione di 89 detenuti politici che sono ancora agli arresti. Si tratta di persone comprese nella lista della Croce Rossa internazionale, ma che non sono riconosciuti come tali dal Governo., che ha invece liberato nei giorni scorsi oltre un centinaio di detenuti. Ma non è questo l’unico segnale che la repressione è ancora in atto nel Paese centroamericano. “Negli ultimi giorni il Governo, attraverso la Polizia e altri gruppi affini, ha intensificato la persecuzione verso i nostri fedeli, filmandoli, fotografandoli, intimorendoli con aggressioni verbali e fisiche e con l’assedio alle chiese durante le celebrazioni liturgiche. Per questo denunciamo gravi violazioni alla libertà di culto, garantita dall’articolo 29 della Costituzione”. Queste le parole del segretario generale della Conferenza episcopale nicaraguense, mons. Abelardo Mata Guevara, vescovo di Estelí, al termine dell’incontro dei vescovi che si è svolto lunedì scorso, dopo che nel weekend di erano registrati attacchi alle cattedrali di León e di Managua. Mons. Mata ha spiegato di parlare a titolo personale, poiché i vescovi non sono riusciti, per il poco tempo a disposizione e perché c’erano altri temi all’ordine del giorno, a elaborare un documento comune sulla situazione. Il vescovo ha proseguito dicendo che la Chiesa “avrà sempre le porte aperte per tutti coloro che si sentano perseguitati ed esclusi”, spiegando che è “proprio di ciascun uomo e donna che si sentano deboli e impotenti di fronte alle armi e al potere dei sistemi ingiusti cercare rifugio in luoghi di pace e tranquillità, nei luoghi dove abita Dio”. Mons. Mata ha detto che i vescovi si sono impegnati a discutere più a fondo della situazione del Paese e della libertà religiosa nel loro prossimo incontro.