“Fine pena mai”, sentenza disumana di Luigi Manconi e Valeria Fiorillo La Repubblica, 17 giugno 2019 La Corte europea dei diritti umani ritiene inaccettabile l’ergastolo che esclude ogni possibilità di riabilitazione. Il dottor Santi Consolo è uno che se ne intende. È il magistrato che dal 2014 al 2018 ha guidato il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dichiarandosi favorevole, in più di una circostanza, all’abolizione dell’ergastolo ostativo. Il suo successore, Francesco Basentini, non si è ancora pronunciato sulla questione: non sappiamo se per divergenza di opinione o per sensibilità allo spirito del tempo. Dopodiché è intervenuta una sentenza della Corte europea dei diritti umani (Cedu), che ha messo le cose a posto dal punto di vista del diritto e dei diritti fondamentali della persona. Ma cos’è l’ergastolo ostativo? È quella forma di pena perpetua che non consente al condannato, anche in presenza di prove certe della sua riabilitazione, il ritorno alla vita sociale dopo un congruo periodo di tempo. Il ricorso contro quella pena inflitta a un detenuto italiano, presentato alla Cedu dagli avvocati Onida, Mascia e Randazzo, è stato accolto con una sentenza puntualmente argomentata. Nel ricorso si sosteneva che una pena irriducibile (ovvero non riducibile, non limitabile), prevista dall’art 4bis del regolamento penitenziario del 1975, fosse in contrasto con l’art 3 della Convenzione europea dei diritti umani, che vieta in modo assoluto qualsiasi trattamento inumano o degradante. Di conseguenza la Cedu è stata chiamata a valutare se il diritto interno, quello italiano, assicuri al condannato una prospettiva di liberazione e una possibilità di riesame, in conformità con lo standard di tutela richiesto dalla Convenzione. Sotto il profilo normativo interno, la Corte rileva che la riducibilità della sentenza di condanna all’ergastolo è subordinata alla cooperazione con gli organi inquirenti. In parole povere, l’ergastolano potrà avere la possibilità di uscire dal carcere dopo 26 anni, solo se avrà dato un contributo concreto alle indagini della magistratura. Dunque, sebbene l’ordinamento italiano sembri prevedere un’ipotesi di liberazione condizionale, la Corte manifesta dubbi sulla sua concreta effettività, dal momento che la natura della scelta di cooperare non può definirsi pienamente libera. Infatti, una scelta diversa può comportare uno svantaggio diretto e assai rilevante per l’interessato (la permanenza in carcere). Un ulteriore fattore critico consisterebbe nel dedurre automaticamente dalla mancata cooperazione con la giustizia la continuità del legame con l’organizzazione criminale e, dunque, la persistenza della pericolosità sociale. Cosa che renderebbe superfluo l’accertamento concreto della stessa pericolosità, contrariamente a quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte europea. Inoltre, con l’ergastolo ostativo, verrebbe esclusa una verifica sul percorso “rieducativo” del condannato, contravvenendo alla finalità stessa della pena (articolo 27 della Costituzione italiana): ovvero quella di riabilitare il reo e garantirgli la possibilità di reinserimento sociale attraverso una serie di misure che lo Stato deve prevedere. In conclusione, la Corte afferma che l’ergastolo ostativo viola la Convenzione, risultando di fatto irriducibile. Lo speciale carattere delle offese che determinano la normativa in esame - la gravità dei reati e il ruolo di “capo” attribuiti al condannato - non giustifica una deroga all’articolo 3 della Cedu, che, data la sua natura assoluta, è, appunto, inderogabile. Come si vede, si tratta di una sentenza rilevantissima, alla quale ha contribuito l’impegno del Partito radicale e dell’ergastolano Carmelo Musumeci, di Amnesty International, Radicali italiani e associazioni come Antigone e A Buon Diritto, moltissimi giuristi (tra essi Davide Galliani) e operatori del sistema penitenziario. Sia chiaro: la sentenza non mette in discussione la legittimità costituzionale della pena dell’ergastolo, bensì la sua irreversibilità. E, tuttavia, un’intelligente corrente ideale sostiene il contrasto profondo tra quella pena perpetua e la nostra Carta, anche alla luce di una sentenza della Consulta del 1974. Gli importanti lavori di Andrea Pugiotto vanno in questa direzione e la tesi è sostenuta da tanti, tra i quali un ex magistrato di valore come Gherardo Colombo. Sarebbe assai utile che ci si pensasse con serietà e senza preconcetti: non è questione di sicurezza, bensì di civiltà. E riguarda tutti: anche, forse soprattutto, coloro che in carcere, non ci finiranno mai. “A rischio il Garante dei detenuti” di Katiuscia Guarino Il Mattino, 17 giugno 2019 Il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria sta spingendo per ridurne il raggio di competenza. Appello ai parlamentari di Carlo Mele, che ricopre il ruolo per la provincia di Avellino: impegnatevi per evitare che venga cancellata una figura di tale importanza. La figura del Garante è stata istituita nel 2013, ma ora potrebbe essere stravolta, nonostante i risultati fatti registrare. Il Dap, il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, sta spingendo per ridurne le competenze. Di questo, a breve, se ne discuterà in Parlamento. “Indirizzo, pertanto - scrive Mele - a tutte le forze politiche della provincia di Avellino, ed in particolare ai nostri rappresentanti al Parlamento, la richiesta di adoperarsi a difesa di questa importante figura”. Nella premessa della lettera. Mele evidenzia: “In un paese civile, il rispetto dei diritti umani va sempre salvaguardato, anche quando la persona che abbiamo di fronte ha commesso un reato. Ritengo che in ogni discorso che abbia quale oggetto di trattazione il carcere, è fondamentale partire da quanto sancito dal legislatore nell’articolo 1 dell’ordinamento penitenziario: “Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”. L’obiettivo precipuo della pena detentiva nel sistema giuridico italiano deve essere, dunque, quello di rieducare e di restituire alla società una persona che ha maturato il suo errore e che non sbaglierà più”. Quindi l’analisi della complessità organizzativa della struttura penitenziaria, che spesso, non assicura questo cammino, rendendo di fatto inutile il periodo di detenzione. “Ma quando vengono meno anche i diritti fondamentali le persone maturano la concezione che i comportamenti scorretti sono giustificati perché è lo stesso Stato che lì attua e li fa subire”, riflette Mele. Una premessa per spiegare il ruolo che ricopre il garante: “In questo impegno è inserito il lavoro del Garante, che spesso si sostituisce alla figura del magistrato di sorveglianza, a cui compete la vigilanza sulla pena per ogni singolo detenuto e la funzione di verificare il reale percorso rieducativo e riabilitativo dei detenuti, ma che, di fatto, è metodicamente assente. Il mondo carcerario è una realtà complessa, si pensi ai percorsi professionali, alla cura delle patologie, alla possibilità di difendersi, le relazioni familiari. A livello provinciale, l’impegno di Carlo Mele, che è anche direttore della Caritas diocesana di Avellino, è quotidiano. Appena qualche giorno fa ha promosso nella Casa circondariale di Bellizzi Irpino un confronto con magistrati, avvocati e personale impegnato nei penitenziari, sulla necessità di favorire le pene alternative al carcere. Da quel dibattito, è emerso che l’Irpinia ha compiuto passi in avanti, ma ancora molto può essere fatto. In una delle recenti statistiche elaborate da Mele, è venuto fuori che un terzo dei detenuti ospiti nelle strutture irpine è di origine straniera e buona parte ha commesso reati di minore entità. Una fetta consistente potrebbe espiare la pena lontano dalla cella. Situazioni seguite dal Garante provinciale per i diritti dei detenuti che si sta battendo per i percorsi di re inserimento. “La vita carceraria - conclude - non può continuare ad essere mero oggetto di dibattiti dottrinali, ma deve essere affrontata in un’ottica di sinergia istituzionale: quello che è chiuso nel carcere, il carcere restituisce”. Csm, contropiede della politica per far pagare gli errori alle toghe di Francesco Grignetti La Stampa, 17 giugno 2019 In aula la proposta di legge di Forza Italia: procedimento disciplinare per chi sbaglia. Sì della Lega, grillini possibilisti. I magistrati, alle prese con lo scandalo delle nomine mercanteggiate, temono che la politica approfitti del loro momento di debolezza. Sullo sfondo aleggia il fantasma della separazione delle carriere, proposta d’iniziativa popolare, redatta dagli avvocati penalisti, e su cui sono già confluiti Forza Italia e Lega, più vari altri. Mercoledì ci sarà il primo incontro tra il ministro Alfonso Bonafede e la collega Giulia Bongiorno, con rispettive delegazioni, per confrontarsi sulle riforme approntate dal ministero. Ma neanche a farlo apposta, il 20 giugno approda nell’Aula della Camera una proposta di legge che potrebbe trasformarsi da subito in un incubo per molte toghe. La proposta di legge, firmata da Enrico Costa, esperto di giustizia di Forza Italia, consta di un solo articolo. Dirompente. Qualora sia accertata una “ingiusta detenzione”, oltre all’indennizzo per il cittadino interessato, ogni fascicolo dovrebbe essere girato automaticamente ai titolari dell’azione disciplinare per le valutazioni del caso. E quindi, già in settimana, si vedrà se cambiano i rapporti di forza. Sulla proposta di Costa, oltre lo scontato appoggio di Forza Italia, è sicuro che convergeranno i voti anche della Lega. Possibilisti, ma con una posizione più sfumata sono i grillini. Il principio di collegare la “ingiusta detenzione” a un procedimento disciplinare per i magistrati responsabili dell’errore, non dispiace al M5S. Secondo un emendamento grillino, però, piuttosto che girare i fascicoli automaticamente alla procura generale della Cassazione e al ministero della Giustizia, sarebbe opportuno un vaglio da parte della Corte d’Appello, per chiarire se l’errore è dovuto a “negligenza grave” (e allora la cosa si fermerebbe lì) oppure a “violazione di legge” (e il fascicolo passerebbe al piano superiore). “Sono circa mille ogni anno - spiega Enrico Costa - i casi di ingiusta detenzione. Per dare qualche cifra, lo Stato ha pagato fino a oggi, in indennizzi, oltre 768 milioni di euro. Ma è giusto, mi chiedo, che alla fine a pagare sia soltanto lo Stato, cioè i cittadini, per l’errore di alcuni?”. Se l’intento è invece quello di far pagare i magistrati, la via è semplice: quei mille arresti sbagliati che si effettuano ogni anno, in genere su decisione di un gip, ma possono essere anche arresti in flagranza convalidati da un pubblico ministero, diventeranno altrettanti procedimenti disciplinari. Considerando che in Italia i magistrati sono poco più di novemila, quasi un magistrato su dieci subirà un esame. Che si potrà fermare allo stato di valutazione preliminare da parte di ministro della Giustizia o di procuratore generale della Cassazione. Oppure andrà avanti e approderà alla sezione Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Lì rischieranno sanzioni, che possono essere lievi, e in ogni caso peseranno sugli avanzamenti di carriera, o gravi, fino al licenziamento nei casi gravissimi. Al Csm, finora, di queste “ingiuste detenzioni” si parlava solo in un caso: quando un arrestato resta in cella nonostante la scadenza dei termini perché c’è stato un errore negli uffici giudiziari. In quel caso sì, la Disciplinare veniva investita del problema. In tutti gli altri casi, no. Relatore per la proposta di legge è Pierantonio Zanettin, di Forza Italia, che fino a un anno fa era membro laico del Csm in quota centrodestra. “Secondo i dati forniti dal ministero dell’Economia - spiegava - nel solo 2018 lo Stato ha pagato quasi 48 milioni a titolo di indennizzo per “ingiusta detenzione”. Il dato del ristoro economico è solo sintomatico della gravità del fenomeno di cui si parla. Nessuna somma può mai risarcire chi ingiustamente ha perso magari il lavoro, la famiglia, e comunque sempre la propria credibilità ed il proprio onore”. Nei lavori di commissione, a difendere i magistrati, si era speso Cosimo Ferri, il togato prestato alla politica, il grande amico di Luca Lotti, coinvolto nelle intercettazioni di questi giorni. “Come ben sa chi lavora nella giurisdizione - aveva detto Ferri - la situazione non è quella descritta, essendo la regola l’equilibrio, il buon senso e la centralità della persona”. E però il renzianissimo Carmelo Miceli, deputato Pd anche lui, era già di diverso avviso: “Questo unico articolo della proposta di legge ha una natura strettamente tecnica e assolutamente condivisibile”. Chi vuole smontare il Csm di Armando Spataro La Repubblica, 17 giugno 2019 La vicenda Palamara-Ferri continua, pur con inaccettabili generalizzazioni, ad alimentare duri commenti sui metodi di “gestione” delle nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari a opera del Csm. Le critiche investono anche il partito di cui fanno parte i due parlamentari coinvolti nelle ormai note chiacchierate notturne. Come già si è detto, non sono ammissibili difese corporative da parte della magistratura e della politica: in particolare, al di là dell’esito delle indagini in corso, i magistrati devono essere capaci di una severa autocritica, negandosi alle chiusure corporative ed emarginando quanti tra loro tradiscono regole basilari, disciplinari e deontologiche. Ma i fatti sin qui resi noti hanno scatenato anche una corsa verso inaccettabili proposte di riforma del Csm, delle regole che presidiano la designazione dei dirigenti giudiziari e della stessa vita associativa dei magistrati. Andiamo con ordine, partendo dal metodo di designazione dei componenti togati del Csm. Poiché le degenerazioni correntizie ne hanno alterato lo stesso modo di essere e di operare, si dice, bisogna ricorrere al sorteggio: le correnti, in tal modo, non potranno influenzare la dea bendata che cala la mano nell’urna. Ma, a prescindere da ogni altra considerazione, il sorteggio è un metodo incostituzionale, oltre che il più qualunquista che si possa immaginare. L’art. 104 della Costituzione, infatti, prevede che, al di là dei tre membri di diritto, due terzi dei componenti siano eletti dai magistrati ordinari (e un terzo dal Parlamento in seduta comune tra accademici ed avvocati con almeno 15 anni di servizio alle spalle). Per introdurre il sorteggio, dunque, bisognerebbe modificare la Costituzione. Ma ecco che, di fronte a questo rilievo, si propone il ricorso a indegne furberie, proponendo due fasi distinte: nella prima sarebbero sorteggiati i magistrati disponibili a essere i candidati tra cui i loro colleghi; nella seconda, sceglierebbero con il voto i componenti del Csm. In tal modo sarebbe assicurato il rispetto delle regole della Costituzione. Qualcuno, a dire il vero, ha anche proposto fasi inverse: prima il voto e poi il sorteggio. Sorprende che questa soluzione, già bocciata da molti costituzionalisti di rango, sia auspicata da autorevoli commentatori i quali evidentemente pensano che in tal modo, rinnegando le scelte dei padri costituenti, si possano aggirare precetti costituzionali fondati su un’idea di piena rappresentatività del Csm e sul diritto di elettorato attivo e passivo dei magistrati. Come non vedere che tale proposta apre la strada alle più ardite provocazioni istituzionali? Perché mai, se questa soluzione dovesse valere per la composizione di un organo costituzionale come il Csm, stupirsi se taluno proponesse coerentemente l’ipotesi di sorteggio dei membri del Parlamento, considerata la gravità delle deviazioni correttive e deontologiche che la storia ci ha fatto conoscere? Altra proposta populista di cui si legge è quella di abolire le correnti dei magistrati, non si comprende se con legge o con atto interno dell’Anm. Chi scrive ha già più volte ricordato le ragioni storiche e culturali della nascita e dello sviluppo delle correnti, fondate su diverse visioni del ruolo del Csm e della stessa idea di organizzazione e gestione della giustizia, oltre che dell’impegno a tutela dell’indipendenza della magistratura. Ma, ancora una volta, ci si deve chiedere se chi formula tale ipotesi conosca la Costituzione e il principio dí libertà di associazione previsto nell’art. 18. E, tornando al precedente accostamento, perché non sciogliere i partiti visto che nella vicenda di cui si parla sono coinvolti anche esponenti politici? Come non vedere che per tale via si collocano le istituzioni repubblicane e la vita democratica su un pericoloso piano inclinato? “Il rimedio è la separazione delle carriere e la conseguente creazione di separati Csm”, dicono allora altri. L’argomento è complesso e richiederà analisi articolate e profonde. Ma è certo che, a prescindere dalla assoluta irrilevanza rispetto alla vicenda che ha dato origine all’attuale querelle, si tratterebbe di una riforma assolutamente inutile che aprirebbe la strada a seri e non facilmente parabili pericoli per l’autonomia della magistratura italiana, abbandonando un modello istituzionale - quello che consente, a certe condizioni, di passare dal ruolo di pm a quello di giudice e viceversa che anche il Consiglio d’Europa, sin dal 2000, considera un obiettivo verso cui tutti gli altri ordinamenti giudiziari europei dovrebbero tendere. Un altro argomento che pure occupa le prime pagine è quello della necessità di riscrivere i criteri di valutazione del merito dei magistrati che aspirano a un incarico direttivo o semi-direttivo: occorre “blindare” le valutazioni si dice - ancorandole a parametri oggettivi. Non si sa bene cosa bolle in pentola, ma è certo che anche questo tema è stato oggetto di ripetuti interventi normativi e di successivi, sempre più dettagliati e cogenti, criteri di orientamento del Csm. In realtà, resta evidente che non sarà mai possibile eliminare una quota di discrezionalità nelle scelte operate dal Csm, a meno che non si voglia ritornare al criterio unico e prevalente della maggiore anzianità, che penalizza quelli della specializzazione e della professionalità dei candidati e che tante ingiustizie ha determinato, a partire dalla mancata nomina di Giovanni Falcone a Consigliere istruttore a Palermo. Insomma, si valuterà il contenuto di eventuali disegni di legge in materia, ma nessuno si illuda di poter inventare un “cruscotto”, come affermò circa vent’anni fa un consulente privato del ministro della Giustizia pro tempore, su cui premere un tasto per ottenere dati oggettivi e incontestabili. Cos’è il merito poi? Quello collegato al numero degli arresti e delle operazioni antimafia da prima pagina? Quello della rapidità di trattazione dell’arretrato civile? Quello - per un pm del numero di richieste accolte dai giudici? L’azione che riscuote il consenso del popolo plaudente? La qualità degli interventi scientifici? È evidente che nessuno potrà mai scrivere una legge per attribuire un valore numerico Ovviamente, potranno intervenire provvedimenti correttivi delle norme in vigore: in tema di elezione del Csm, a esempio, ben si potrebbe tornare al sistema proporzionale a liste contrapposte, sostituendo però il collegio unico nazionale con più collegi territoriali, così da valorizzare la conoscenza diretta e la stima professionale dei candidati da parte degli elettori. Le liste, però, dovrebbero essere costituite da un numero minimo di candidati per ogni ruolo così da evitare sgradevoli accordi come quello che, nell’ultima elezione, ha visto le quattro correnti proporre un solo proprio candidato in modo da farli tutti eleggere nei quattro posti di pm in gioco. Si può ovviamente pensare ad altro, purché si usino freddezza e distacco dalle passioni e dalle fazioni nell’analisi della situazione attuale e dei possibili rimedi, recuperando il rispetto tra le istituzioni ed il concetto stesso di rappresentanza del Csm. E chi governa, in particolare, eviti di agire “a furor di popolo”, espressione che costituisce il titolo di un recente testo del professor Ennio Amodio in cui sono efficacemente criticati contenuti e ragioni di recenti riforme (dalla legittima difesa ai decreti sicurezza) ispirate soprattutto dalla ricerca di facili consensi. Il pericolo, insomma, è che le conseguenze di quanto è sotto i nostri occhi diano nuovamente fiato a chi vuol umiliare la magistratura riducendola al rango di un ordine sottoposto agli altri due poteri, teoria costituzionale “innovativa” rispetto ai rudimenti della educazione civica, ma in passato cara persino a due ministri della Giustizia. Anm, lo sfogo di Grasso: “Io ingenuo a non capire subito la portata di questo scandalo” di Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 17 giugno 2019 Lo sfogo del presidente uscente dell’Associazione nazionale magistrati: “Mi dispiace soprattutto che l’Anm abbia perso l’occasione per voltare pagina”. È stato presidente dell’Associazione nazionale magistrati per poco più di due mesi, uno dei mandati più brevi nella storia del “sindacato dei giudici”. Ma non se ne rammarica troppo: “Mi dispiace soprattutto che l’Anm abbia perso un’occasione per voltare pagina; nella mia estromissione ha prevalso ancora una volta il correntismo, hanno contato più i gruppi che le persone”. Pasquale Grasso - cinquantenne di Torre del Greco trapiantato in Liguria, dove ha fatto il giudice penale e ora è passato al civile, sposato e padre di quattro figli - è stato travolto dall’esplosione del “mercato delle toghe”, nel quale la sua ex corrente (Magistratura indipendente, la stessa di Cosimo Ferri che ha continuato ad esserne il faro sia da sottosegretario berlusconiano che da deputato Pd) ha giocato un ruolo primario. Nel tentativo di separare il proprio destino da quello del gruppo e rimanere alla guida dell’Anm, una settimana fa Grasso ha abbandonato Mi. Ma non è bastato. “Avevo proposto una soluzione d’emergenza, restando io alla presidenza e facendo rientrare in Giunta Autonomia e indipendenza (il gruppo di Davigo, ndr), lasciando fuori Mi - racconta mentre sale sull’aereo che lo riporta a casa - ma non ho mai avuto l’illusione che venisse accettata. Conosco le persone e temevo che non avrebbero saputo fare il passo in più che secondo me era necessario. Sono stato preveggente”. Lo è stato un po’ meno un paio di settimane fa, quando in un’intervista a La Stampa disse - a proposito delle riunioni tra consiglieri, magistrati e politici - che bisognava “evitare l’ipocrisia”, poiché “le relazioni di cui trattiamo, soprattutto in riferimento a incarichi particolarmente delicati, sono fisiologiche”. Apriti cielo. A molti, anche dentro l’Anm, parve un’inaccettabile difesa d’ufficio dei colleghi di corrente, poi effettivamente assunta da Mi. Grasso provò a correggere il tiro, ma ormai quelle parole erano rimaste scolpite. “Può darsi che io mi sia espresso male - prova a chiarire ora - ma non credo. Avevo specificato che il confronto con la politica è normale nelle sedi proprie, non certo nel modo che s’è scoperto dopo, che per me è inaccettabile e inammissibile. Volevo solo dire che in quella fase potevamo affermare dei principi, ma da magistrati non potevamo spingerci oltre senza conoscere bene il contenuto delle intercettazioni e come s’erano svolti esattamente i fatti. Altri invece volevano subito una reazione forte”. Visto quello che s’è scoperto dopo, forse avevano ragione gli altri. Grasso sospira: “E sì, forse sono stato un po’ ingenuo io che non ho capito subito. Però adesso voglio dirlo in maniera chiara: che si gridi allo scandalo per i rapporti tra magistratura e politica mi pare esagerato, perché si tratta di relazioni previste addirittura in ambito costituzionale, e penso che tutti i magistrati che hanno svolto attività consiliare abbiano avuto rapporti con la politica. Ma ciò che è accaduto con il caso Ferri-Lotti-Palamara va al di là del bene e del male. È da stigmatizzare in modo non negoziabile”. Una condanna senza appello che rispecchia il pronunciamento dell’Anm quando chiese le dimissioni dei componenti del Csm coinvolti negli incontri notturni in albergo per “indegnità” rispetto al ruolo istituzionale che ricoprivano. Arrivata però con un ritardo che ancora ieri gli esponenti di altri gruppi - soprattutto la sinistra di Area e i centristi Unicost - hanno continuato a rimproverare a Grasso. Che però insiste: “Sfido chiunque a sostenere che ho avuto una reazione morbida”. L’ormai ex presidente si dice “deluso da coloro che anche in questa occasione hanno dimostrato di agire in base a una logica di gruppo, anziché valutare le singole persone e i loro comportamenti. Temo però per l’Anm, non per me, che la scelta fatta tradisca un atteggiamento gattopardesco piuttosto che la volontà di cambiare realmente le cose, e che in breve tempo si tornerà al solito balletto correntizio che comprende relazioni non sempre limpide con la politica”. E secondo Grasso non è solo il suo ex gruppo ad avere questo problema: “Di Unicost abbiamo la certezza, visto che almeno due componenti di quella corrente hanno partecipato agli incontri; per altri penso che una grande differenza sia piuttosto improbabile”. Il sorteggio un’idea strampalata di Vladimiro Zagrebelsky La Stampa, 17 giugno 2019 Quasi ogni ministro della giustizia negli anni scorsi è stato autore di una riforma “epocale”. In realtà si è sempre trattato di bricolage in questo o quel settore della complessa macchina, mai capace di mutare significativamente lo stato dei problemi. Ora è annunciata una nuova iniziativa legislativa. Benvenuta se affrontasse seriamente il problema dei problemi della giustizia italiana: quello gravissimo dei tempi della giustizia civile e penale. Si è chiesto mille volte, da tutti. Il problema però rimane enorme e strutturale. Sono necessari strumenti moderni, qualificato personale delle cancellerie, semplificazione dei pesanti e spesso inutili adempimenti procedurali. E forse occorrerebbe pensare che anche gli oltre 230.000 avvocati italiani sono parte del problema. Ma, inevitabilmente, dei tanti e diversi problemi che affliggono il sistema giudiziario italiano, ora tiene banco quello rivelato dalla vergogna dei traffici notturni tra parlamentari e magistrati per coprire alcuni posti rilevanti in uffici giudiziari. In proposito vorrei non si sottovalutasse il linguaggio sguaiato di quei signori, adatto certo alla natura delle loro trame, ma brutto segno, pensando che si tratta di membri del Parlamento e della Magistratura, una élite - senza offesa - della Repubblica. All’ordine del giorno c’è la riforma della legge elettorale per la parte del Csm composta da magistrati. Di quella eletta dal Parlamento non si parla. Quasi ogni quadriennale elezione si è svolta sotto nuove leggi. Tutte all’insegna della lotta al correntismo nella magistratura. Spesso si trattava di leggi che volevano favorire questa o quella componente della Associazione dei magistrati. Il più delle volte le intenzioni politiche non si sono realizzate. Ciò perché le associazioni di magistrati esistono e non si cancellano per legge. Una volta esse si distinguevano per significative diversità riguardanti il ruolo del giudice giurista, chiamato ad interpretare le leggi prima di applicarle, oppure relative alla visione dell’organizzazione degli uffici giudiziari e delle loro priorità. Visioni diverse, radicate nella storia, fondate sulla Costituzione: legittime, ma diverse. Chi ancor oggi proclama che i giudici non interpretano, ma applicano le leggi, dice una sciocchezza. Nel corso della storia, sembravano crederci personaggi illustri e meno illustri, da Giustiniano a Robespierre. Ma non è mai stato vero. Il sistema delle leggi, con la Costituzione al vertice, è più complesso di quanto costoro mostrino di credere. E le opzioni interpretative, degnamente argomentabili, sono molteplici. In questo contesto la magistratura in particolare a partire dagli anni 60 del secolo scorso - prese a dividersi, dando inizio a forti, talora violente, spesso nobili discussioni. E il Csm, in un modo o nell’altro eletto dai magistrati, ne è stato lo specchio. Con pagine buie o almeno inadeguate, certo. Ma anche con pagine di altro segno. La magistratura, con la Sezione disciplinare del Csm, ha espulso e sanzionato i magistrati iscritti alla P2. Quale altra istituzione della Repubblica lo ha fatto? Associazioni di magistrati, un tempo chiaramente identificabili per la loro impostazione culturale e professionale, progressivamente sono state viste come strumenti di gestione di clientele elettorali. Però le storie che ora emergono sono storie trasversali alle correnti, che vedono capi e capetti gestire interessi loro, forti dei voti ottenuti e che manovrano. Purtroppo la caduta del senso istituzionale che si manifesta anche nella magistratura (eletti e elettori sono tutt’uno), non si cura con espedienti legislativi. Siamo di fronte ad un problema di etica e dignità professionale. Ora circola l’idea strampalata, oltre che incostituzionale, di far eleggere i magistrati del Csm mediante sorteggio. Nel clima creatosi attorno al Csm per l’imperdonabile colpa di quei signori, si parla seriamente di elezione mediante sorteggio! Si dice che si vogliono eliminare le deviazioni clientelari che si nascondono sotto le diversità, che nascono dal dibattito sui caratteri della funzione del magistrato. Pur attenuate esse però esistono ancora, meritano rispetto e valorizzazione. La soluzione del sorteggio tende invece a eliminarle dal luogo in cui, secondo Costituzione, l’autonomia e indipendenza della magistratura dovrebbe essere garantita. Ancora dimissioni: i giudici sono sotto choc di Giuliano Zulin Libero, 17 giugno 2019 I guai della giustizia non si risolvono con un accordo tra correnti, tocca ai partiti darsi una mossa. Ma le idee sono confuse. Premessa non di poco conto. Secondo un sondaggio pubblicato ieri dal Quotidiano Nazionale solamente il 14% degli italiani sa cosa sia il Csm, Consiglio superiore della magistratura. Figuriamoci quanti cittadini hanno contezza invece dell’Anm, Associazione nazionale magistrati. Ancora meno. Incredibile, la giustizia è una materia fondamentale della società, tuttavia la stragrande maggioranza della gente non ne conosce il funzionamento. Immaginiamo poi che solo gli addetti ai lavori siano edotti della differenza tra un pm, pubblico ministero, e un giudice. Tra la procura e il tribunale. Fra chi si occupa delle indagini e coloro i quali hanno il compito di emettere sentenze. Mentre sulla salute ci sentiamo, sbagliando, tutti dottori, e in ambito calcistico ci consideriamo allenatori migliori di Ancelotti o Allegri, quando entriamo in contatto con un magistrato accendiamo invece un cero alla Madonna. Sai come entri, non come ne esci. Come possiamo dunque giudicare quello che sta accadendo al Csm o all’Anm? Ieri si è dimesso il presidente del cosiddetto sindacato delle toghe. Dicono che abbia lasciato in quanto “travolto” dallo scandalo che ha investito il Consiglio superiore, organo di autotutela dei giudici e previsto da più articoli della Costituzione. Pasquale Grasso, presidente fino a ieri mattina, ha mollato il colpo con queste parole: “Vi ho ascoltato e compreso. Ovviamente rassegno le mie dimissioni, lo faccio serenamente, dicendo no a me stesso. Nel ricordo di un grande intellettuale del passato, che ricordava che i moralisti dicono no agli altri, l’uomo morale dice no a se stesso”. E poi: “Vi rispetto più di quanto voi abbiate rispettato me”. Incomprensibile. Qual è stata la colpa di Grasso? Lui faceva parte di una corrente, Magistratura indipendente, che aveva chiesto ai consiglieri togati autosospesi del Csm di non lasciare. L’Anm però ne aveva sollecitato con forza le dimissioni. Tocca fare un’altra premessa: il Consiglio superiore della magistratura è composto da presidente della Repubblica, un vice, due pezzi grossi della Cassazione, 16 membri della magistratura e i cosiddetti laici, ovvero professori o uomini di legge votati dal Parlamento. Neanche trenta persone formano il Plenum, che è la massima autorità all’interno del Csm. Bene, morto un Papa se ne fa un altro. Così alle 16.30 l’Anm ha scelto il nuovo presidente: Luca Poniz, che di mestiere fa il pm a Milano, e fa parte della corrente Area. Vanno invece a un’altra corrente, Unicost, la vicepresidenza e la segreteria dell’associazione. Vicesegretario infine è un membro di Autonomia & Indipendenza, la corrente di Pier Camillo Davigo, che rientra così a fare parte della giunta. Ci avete capito qualcosa? No, ma forse nemmeno i giudici sono consapevoli di essere sotto choc. Di essere fuori dalla realtà. Le correnti? Mettiamoci nei panni di un cittadino. Per quale motivo deve esistere la destra e la sinistra o il centro pure nella magistratura? Come si fa a parlare di indipendenza del giudizio se Anm e Csm si spartiscono i posti, come prevede la legge, in base a chi governa in quel momento il sindacato togato? Poniz, dopo l’elezione ha detto: “C’è una gigantesca questione morale all’interno della magistratura. Il fango non interessa tutti noi, io mi sento estraneo come molti di noi, ma c’è stata una degenerazione delle correnti in carrierismo. Il magistrato deve tornare a fare il suo mestiere”. Giusto. E ancora: “Stop alle porte girevoli tra politica e magistratura”. Bene. Peccato che sia proprio la Costituzione, come abbiamo scritto prima, a imporre una commistione tra politica e magistratura all’interno del Csm e quindi a tutti i livelli della giustizia. È impossibile immaginare un cambiamento se la riforma parte dai giudici. Non spetta a loro proporre o votare leggi. Tocca al Parlamento e al governo escogitare qualcosa. Però quel qualcosa sarà un brodino, dato che Lega e M5S hanno idee opposte su procure e dintorni. Forza Italia ne ha altre ancora e il Pd è l’ultimo partito che può metterci becco, visto che il cosiddetto scandalo è nato proprio dalle cene fra membri del Csm ed esponenti dem. Per cui c’è poco da essere ottimisti. I cittadini sognano di ottenere processi più brevi, meno delinquenti in giro e punizioni per i magistrati che sbagliano. Ma dovranno accontentarsi di belle parole. I problemi quotidiani della gente non interessano più di tanto. Le correnti sono più importanti. Giuliano Caputo: “I magistrati in politica non tornino più indietro” di Francesco Grignetti La Stampa, 17 giugno 2019 Il Segretario Anm: “Necessario anche bloccare il passaggio diretto da incarichi associativi a incarichi istituzionali”. Giuliano Caputo, pubblico ministero della procura di Napoli, è il quarantenne segretario generale dell’associazione nazionale magistrati. “Siamo solo all’inizio”, ha spiegato all’assemblea dei suoi. Che cosa si inizia, Caputo? “Un lungo percorso per recuperare la fiducia dispersa. Dobbiamo ricostruire la nostra immagine davanti ai cittadini, ma anche ai magistrati stessi. Sa, sono migliaia i giovani entrati negli ultimi anni. E non se l’aspettavano proprio una cosa del genere”. Come reagirete? “Con un gran lavoro di ascolto e di coinvolgimento sulle proposte”. Quali proposte? “La base di partenza è nel documento che abbiamo scritto il 5 giugno. Quello che definiva “indegni” i consiglieri del Csm coinvolti negli incontri notturni e ne chiedeva le dimissioni. La prima proposta è stabilire che non si può passare dagli incarichi associativi direttamente a quelli istituzionali. Così come il passaggio dalla giurisdizione alla politica e ritorno. Occorre stabilire delle incompatibilità. Ma c’è anche un male oscuro da combattere: il carrierismo”. In che senso, scusi? “Purtroppo, e mi duole dirlo, tra molti di noi, anche tra i più giovani, si ritiene più importante fare carriera piuttosto che svolgere bene il proprio lavoro giorno per giorno. È un frutto perverso della riforma dell’ordine giudiziario, del 2006”. Forse anche del clima generale che si respira in Italia… “Prendiamo lo stesso Csm: fa mille cose importanti, ma si parla solo delle nomine e sembra che si occupi solo di questo”. E come si combatte il carrierismo? “È da qualche tempo che abbiamo insediato una commissione di studi. Una chiave è l’accesso in magistratura: noi critichiamo quel sistema dei corsi privati a pagamento, che solo pochi si possono permettere. Meglio valorizzare i tirocini formativi, di giovani laureati che affiancano i magistrati. Un contatto sano con la giurisdizione”. Non siete d’accordo, insomma, che il problema si risolva con il test psicologico, come vorrebbe la ministra Giulia Bongiorno… “Se parliamo di test psico-attitudinali, i parametri ovviamente dovrebbero essere esclusivamente medici. Ma basta la normale attenzione ai segnali di disagio odi anomalie comportamentali e la vigilanza c’è e fin dal tirocinio”. A proposito, che pensate delle riforme in arrivo? “Siamo in attesa di conoscere i testi del pacchetto Bonafede. Abbiamo partecipato con alcune nostre proposte e sappiamo che c’è stato un percorso virtuoso di confronto tra noi, l’avvocatura e il ministero della Giustizia. Una migliore efficienza del processo civile e del processo penale sono obiettivi che interessano tutti. Sì, siamo molto soddisfatti del metodo che è stato adottato. Sul merito delle proposte, aspettiamo di leggere”. La Lega però annuncia un pacchetto alternativo. E c’è sullo sfondo una riforma epocale, per la separazione delle carriere. Che voi temete come la peste… “Vero, ma da cittadini prima che da magistrati, temiamo uno stravolgimento degli equilibri costituzionali. L’attuale assetto è una garanzia rispetto alla separazione dei poteri. Vogliamo davvero stravolgere questo assetto? Ricordo che la separazione dei poteri è una garanzia di libertà per tutti i cittadini. Così come per l’obbligatorietà dell’azione penale. E la Corte costituzionale che ci ricorda come quell’obbligatorietà garantisca l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge”. Bonafede: “Niente bavagli, divulgare tutto ciò che è di interesse pubblico” di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2019 “La spazza-corrotti ha dato uno strumento fondamentale come il trojan, che ha fatto scoprire anche lo scandalo del Csm. Va riformata la giustizia, il tempo dei gattopardi è finito”. Terremoto all’Anm: lascia Grasso. Il nuovo segretario Poniz (Area): “Tra le toghe una gigantesca questione morale”. La situazione in cui versa la magistratura è grave, e questa volta pare anche seria. Così il ministro della Giustizia, il 5Stelle Alfonso Bonafede, non usa metafore: “Ora bisogna cambiare tutto per ripartire”. Il neo presidente dell’Anm Luca Poniz parla di “gigantesca questione morale” e “di correnti degenerate in carrierismo”. Condivide? “Adesso più che le parole servono i fatti. Da ministro devo innanzitutto agire come titolare del potere disciplinare nei confronti di chi ha sbagliato. E bisogna avviare un pacchetto di riforme di cui in tanti hanno parlato in passato, senza fare nulla. Non c’è più spazio per i gattopardi”. Le intercettazioni delineano un rapporto distorto tra politici e magistrati che c’è sempre stato, o rappresentano qualcosa di nuovo? “Delle degenerazioni del correntismo si parla da anni, ed è stato su mio impulso che nel contratto di governo è stata inserita la riforma del Csm, proprio per reagire a questo. Però il fatto che alcuni politici discutessero con dei togati delle nomine in procure rappresenta un elemento in più”. L’ex ministro Luca Lotti ha rivendicato di non aver commesso alcun reato parlando con i magistrati… “Sul singolo fatto non entro, visto che ho aperto un procedimento su quella intercettazione. Dopodiché la rilevanza penale non c’entra nulla con quanto accaduto. Qui si pone una questione morale enorme, anche per i politici”. Con il Fatto, il deputato Cosimo Ferri ha sostenuto di essere stato intercettato in modo illegittimo tramite un trojan nel telefono del giudice Palamara: “Ci vuole la preventiva autorizzazione quando il parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione”. Ha ragione? “Non commento. Però rivendico il fatto che la legge spazza-corrotti abbia dato agli inquirenti uno strumento fondamentale come il trojan, che in cinque mesi sta facendo emergere sistemi di corruzione in tutta Italia. E ha fatto scoprire anche lo scandalo del Csm”. Come vuole cambiarlo il Consiglio? Su La Stampa il presidente di Unicost Mariano Sciacca ha sostenuto che scegliere i membri tramite sorteggio favorirebbe le lobby e le massonerie… “Il sorteggio è una delle opzioni. Ma di certo non sarebbe una forma di sorteggio puro, incostituzionale e sbagliato. Uno degli elementi di partenza sarà ridurre le dimensioni dei collegi, così che i magistrati possano votare colleghi bravi e non imposti dalle correnti nazionali. Detto questo, sul metodo di elezione del Csm dovrà avere un ruolo centrale il Parlamento: non può essere un governo a deciderlo da solo. Ma l’attuale sistema non regge più. Lo conferma anche l’ultima elezione dei quattro posti per i pm nel Consiglio, per cui c’erano stati quattro candidati: uno per corrente”. Molti chiedono di mettere fine “alle porte girevoli” dentro la magistratura... “Io voglio ripristinare l’incompatibilità tra la permanenza nel Csm e gli incarichi direttivi. Chi avrà fatto parte del Consiglio per i cinque anni successivi non potrà andare a dirigere una Procura”. Per Matteo Salvini “è indegno leggere intercettazioni senza alcun rilievo penale”. E per la ministra della Lega Giulia Bongiorno servono “sanzioni per chi pubblichi trascrizioni gossip”. Su questo voi del M5S e il Carroccio siete lontanissimi… “Con la Lega ho avuto sempre un rapporto costruttivo: abbiamo approvato assieme la spazza-corrotti. e con Salvini stiamo lavorando per il rientro dei detenuti stranieri nei loro Paesi. Però ogni tanto preferirei ascoltare di persona le loro proposte anziché leggerle sui giornali”. La Lega vuole limitare le intercettazioni, voi no... “Tramite le nuove tecnologie si possono blindare le intercettazioni, evitando la fuga di notizie prima che entrino in possesso delle persone coinvolte. E condivido che non vadano diffusi fatti privati o che riguardano terzi. Ma il diritto all’informazione non può essere limitato”. Come si traccia il confine? “Va pubblicato ciò che ha rilevanza pubblica, e il confine è già tracciato dal diritto. La privacy, per me sacrosanta, è già tutelata dalla legge”. Bongiorno vuole sanzioni... “Non conosco la proposta”. Ciò che sta venendo letto sul Csm andava pubblicato? “È giusto che i giornalisti raccontino quanto accaduto. Qualcuno magari si è spinto troppo oltre citando soggetti palesemente estranei ai fatti”. Lei dirà no a un bavaglio? “Con me non ci sarà. Non si può tornare indietro con le lancette dell’orologio”. Mercoledì è previsto un vertice di governo sulla giustizia. Salvini e Di Maio ci saranno? “Penso che Salvini ci sarà, visto che in Consiglio dei ministri abbiamo discusso assieme di farlo. Vediamo se potrà partecipare anche Luigi”. Processi e intercettazioni, riforma in stand by di Marco Conti Il Messaggero, 17 giugno 2019 M5S non cede e si allarga il solco con la Lega. Tre avvocati al governo, mentre i magistrati sono impegnati a parare i colpi di una bufera senza precedenti, hanno un’occasione non da poco. Ovvero metter mano ad una riforma organica del sistema-giustizia dopo i tanti maquillage dei precedenti governi. I tre avvocati Conte, Bonafede e Bongiorno - nonché premier e ministri, si vedranno mercoledì sera a palazzo Chigi, anche se rischiano di non essere soli visto che Matteo Salvini ha lasciato libera l’agenda e potrebbe quindi “costringere” anche Di Maio alla presenza. Sul tavolo le proposte del Guardasigilli pronte da tempo e, sostengono in via Arenula, note anche alla collega Giulia Bongiorno. Il problema è che l’inchiesta su Palamara e Lotti ha prodotto una tale valanga di intercettazioni a strascico, da cambiare l’ordine delle priorità e scavare un solco ulteriore tra M5S e Lega. Riformare i meccanismi di elezione nel Csm, così come indirettamente auspicato anche dal Quirinale con la convocazione ad ottobre delle suppletive, sarebbe quindi sulla carta il tassello forse più facile di un’intesa molto complicata. Lo scontro tra M5S e Lega sull’uso delle intercettazioni e sulla durata delle indagini preliminari, rivela una concezione della giustizia diametralmente opposta tra leghisti e grillini. I segnali erano già emersi al tempo del varo dello cosiddetto “spazza-corrotti”, e sono destinati ad essere ancora più forti qualora il vicepremier leghista dovesse decidere di proseguire sulla linea dei giorni scorsi e il collega grillino dovesse continuare a strizzare l’occhio alla componente di Davigo tradizionalmente vicina al M5S. La novità è che il ribaltone interno al Csm - dovuto al gioco delle dimissioni - potrebbe spingere i “premiati” e filo-grillini a non avere particolare interesse ad una riforma che li costringerebbe alle dimissioni senza magari aver provveduto alle nomine nelle procure scoperte. Per non toccare il Csm, e quindi il cuore del meccanismo spartitorio, serve quindi scontrarsi su altro e gli argomenti non mancano. Il più caldo resta quello della durata dei processi che il M5S vorrebbe di fatto senza fine anche se nella riforma il ministro Bonafede ha inserito tre scaglioni dentro i quali, a seconda dei reati, le indagini vanno svolte. Il tutto senza toccare l’articolo 407 del codice di procedura penale secondo il quale le indagini possono arrivare a 18 mesi, due anni per alcuni reati, salvo proroghe. La Lega, attraverso la ministra Bongiorno, è invece di tutt’altro avviso e propone la fissazione di “termini perentori” su tutte le fasi del processo e soprattutto per le indagini preliminari. Ancor più ampie le divaricazioni in tema di intercettazioni. Sull’argomento sabato si è esercitato un post del blog grillino in difesa dell’attuale meccanismo che, proprio nell’inchiesta su Palamara, ha dimostrato lacune in grado - per qualcuno - di trasformarsi in arbitrio. Il “divieto assoluto” delle parti di intercettazioni non attinenti all’inchiesta, e relativa sanzione nei confronti dei magistrati, viene chiesto con una certa forza dalla Lega e rappresenta l’elemento più vistoso della spaccatura nella maggioranza. Il vertice di mercoledì a palazzo Chigi convocato dal presidente del Consiglio, rischia quindi di non essere risolutivo e l’argomento rischia di aggiungersi alla lunga serie di questioni da accantonare per evitare che diventino dirompenti. Della questione è probabile che si discuta nel vertice che il vicepremier Di Maio ha in mattinata con tutti i ministri grillini. Eppure nel contratto di governo c’è una parte relativa al Csm dove M5S e Lega hanno scritto che occorre “una revisione del sistema di elezione” per “rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie”. Non solo, dopo l’esplosione dell’inchiesta che riguarda Palamara, tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, ha chiesto una del Csm. Senza contare i propositi che inzeppano i programmi dei partiti nel momento elettorale, di riforma della giustizia che non si fa, per debolezza forse proprio della politica, malgrado continui a rappresentare anche il freno maggiore per gli investimenti italiani e, soprattutto, esteri. Quella riforma grillina che fa tremare il governo di Stefano Zurlo Il Giornale, 17 giugno 2019 Dalla prescrizione bloccata alle intercettazioni a strascico, ecco la giustizia manettara dei Cinque stelle. La prescrizione congelata. Il trojan, il micidiale virus inoculato nel telefonino. E lo spazza-corrotti. Non basta: il programma giustizialista del partito più giustizialista d’Italia è un work in progress. All’orizzonte dei 5 Stelle c’è un’altra strettoia per gli imputati: la reformatio in peius della pena inflitta in primo grado. I grillini non fanno sconti e nel loro “manifesto” sulla giustizia sognano un mondo a misura di manette. Del resto nel programma dei 5 Stelle si fa un riferimento esplicito, quasi una dichiarazione di guerra, ai “colletti bianchi che non pagano per le malefatte commesse”. Ci vorrebbe più galera, se non altro per dare al popolo la soddisfazione di vedere i potenti nella polvere. E allora occorre accelerare per realizzare una rivoluzione che è già a buon punto e che sta già dispiegando i suoi effetti: si pensi all’uso del trojan. “E, importante allargare... l’uso del trojan, ad una platea più vasta di reati e in particolare a quelli contro la pubblica amministrazione”, si legge in un testo scritto in vista delle elezioni del 4 marzo 2018. Detto fatto, il caso Palamara è la dimostrazione di come le nuove tecnologie possano “arare” i dialoghi fra commensali, fino ai sospiri. Per una parte dell’opinione pubblica va bene cosi, anche se le intercettazioni sono per loro natura uno strumento grezzo, avrebbero bisogno di trascrizioni accurate e meditate e non di essere sbattute in tempo reale sui giornali. Ma è cosi un po’ su tutti i temi, con i 5 Stelle che premono sul pedale e i leghisti che frenano o dovrebbero frenare. E ci si chiede come possano coabitare due forze che anche sulla giustizia hanno culture, sensibilità, filosofie opposte. Dunque, mentre Salvini si indigna per le conversazioni pubblicate dai quotidiani, i 5 Stelle invitano i media ad una scorpacciata, divulgando tutto ma proprio tutto quello che c’è nelle reti della polizia giudiziaria. Ed ecco che la cultura del sospetto fa un passo in avanti con le pagine dedicate alla reformatio in peius: “Il diritto di impugnare una sentenza di condanna - scrive il Movimento alla vigilia del 4 marzo 2018 - non può comportare che dall’appello della stessa ne possa conseguire solo un beneficio per l’imputato senza che questo rischi, quando ne sussistono le condizioni, una rivalutazione complessiva dell’entità della pena anche in senso peggiorativo”. Insomma, al peggio, è il caso di dirlo, non c’è limite. Si tratta solo di capire come questa idea possa essere applicata. Ad esempio inasprendo le pene, oppure pagando penali salatissime o, addirittura, in certi casi riformulando in secondo grado il capo d’imputazione. Per gli imputati che cercano di scrollarsi di dosso una condanna, potrebbe diventare pericoloso o addirittura controproducente giocare la carta dell’appello. E tutto questo mentre la riforma in dirittura d’arrivo della prescrizione rischia di complicare in modo infernale anche la vita di chi è stato assolto: si può rimanere in balia dei tempi di un’eventuale impugnazione, dentro una tenaglia per mesi se non per anni. Siamo sul piano inclinato di una giustizia sempre più dura, quasi feroce che taglia le garanzie e i diritti in contrasto con la predicazione leghista e più in generale con il programma del centrodestra che è stato abbandonato e tradito. Ma i 5 Stelle sono già oltre: dopo aver introdotto il whistleblowing (la delazione tra dipendenti pubblici) si studia già il passo successivo. La denuncia anonima fra le toghe. E cosi la delazione potrebbe arrivare fino alla magistratura. Limiti sulle alternative al carcere: “spazza-corrotti” al test della Consulta di Giovanbattista Tona Il Sole 24 Ore, 17 giugno 2019 Con un doppio sospetto di illegittimità costituzionale la Corte d’appello di Palermo spedisce alla Consulta la legge 3 del 2019, la “spazza-corrotti”, mettendo sotto esame le disposizioni che precludono ai condannati in via definitiva per alcuni reati contro la pubblica amministrazione l’accesso a misure alternative alla detenzione. L’ordinanza (presidente e relatore Piras) è del 29 maggio scorso ma segue già diverse altre decisioni di giudici di merito sulla stessa questione. La riforma - L’articolo 1, comma 6, della legge 3 del 2019ha inserito alcuni dei reati contro la pubblica amministrazione nell’elenco di quelli per i quali l’articolo 4-bis della legge 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario esclude la concessione di permessi premio e misure alternative. Questo ha comportato, dal 31 gennaio scorso, data di entrata in vigore della legge spazza-corrotti, che gli ordini di esecuzione delle pene non superiori a quattro anni inflitte per quei reati non sono stati più sospesi per consentire al condannato di formulare richiesta al tribunale di sorveglianza delle oramai precluse misure alternative. Diversi condannati per reati contro la pubblica amministrazione si sono allora rivolti al giudice dell’esecuzione perché dichiarasse temporaneamente inefficace l’ordine di esecuzione e desse loro modo di richiedere una misura alternativa alla detenzione. Tale richiesta viene fondata su due ragioni. La prima attiene all’irragionevolezza della nuova deroga al principio generale della sospensione delle pene brevi. La seconda fa emergere la mancanza di una disciplina transitoria per chi ha commesso il fatto quando la legge ammetteva modalità di esecuzione potenzialmente più favorevoli che in maniera non prevedibile l’introduzione delle nuove norme ha precluso. I?dubbi dei giudici - Un primo provvedimento del Gip di Como dell’8 marzo ha considerato insindacabile la scelta discrezionale del legislatore di ampliare l’elenco dei reati ostativi. Tuttavia, il Gip ha ritenuto la nuova norma a contenuto intrinsecamente afflittivo e sanzionatorio; come tale, in assenza di una disciplina transitoria, non si può applicare ai reati commessi prima della sua entrata in vigore. Il Gip ha quindi sospeso l’ordine di esecuzione, ritenendo che il condannato fosse legittimato a richiedere misure alternative. A questa stessa soluzione è giunta la Corte d’appello di Reggio Calabria con un provvedimento del 2 aprile. Il Gip di Napoli, con ordinanza del 2 aprile, e la Corte d’appello di Lecce, due giorni dopo, hanno invece ritenuto che la modifica attiene a una norma processuale alla quale non si potrebbe applicare la regola dell’irretroattività della legge più sfavorevole. Quindi, senza sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale della modifica dell’articolo 4-bis della legge spazza-corrotti nella parte in cui ha mancato di prevedere un regime intertemporale in contrasto con gli articoli 3, 24, 25, 27, 111 e 117 della Costituzione come integrata dall’articolo 7 della Convenzione europea. In queste ordinanze vengono ripresi argomenti svolti dalla sentenza della Cassazione 12541 del 14 marzo scorso, che ha ritenuto la questione non manifestamente infondata ma non rilevante, perché il giudice di legittimità non può mai assumere il ruolo di giudice dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati nel terzo grado. Con un’ampia e argomentata decisione, la Corte d’appello di Palermo va oltre e solo in via subordinata solleva questione di legittimità costituzionale riguardo la mancanza di disciplina intertemporale. In via principale, invece, sostiene che l’introduzione in sè di tali reati tra quelli ostativi contrasti con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza, perché estende a essi una presunzione assoluta di pericolosità, non fondata su dati di esperienza generalizzati, che prevale irragionevolmente sulla finalità rieducativa della pena e sulla regola del “minimo sacrificio necessario”. È facile prevedere che la decisione della Consulta su tale questione avrà conseguenze sull’interpretazione di tutta la legge 3/2019, tacitando o facendo emergere anche altri dubbi di legittimità costituzionale. Con pagamento del debito o ravvedimento operoso non scatta il patteggiamento di Giuseppe Amato Il Sole 24 Ore, 17 giugno 2019 Cassazione -Sezione III penale -Sentenza 12 marzo 2019 n. 10800. Relativamente ai delitti di cui agli articoli 10-bis, 10-ter, 10-quater, commi 1, 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000, l’estinzione del debito tributario mediante pagamento ovvero il ravvedimento operoso non possono configurare una condizione per accedere al patteggiamento giacché tali evenienze integrano una causa di non punibilità del reato, come tale concettualmente incompatibile con la definibilità con il rito alternativo. Da ciò consegue - chiariscono i giudici della Cassazione con la sentenza 10800/2019 - che l’ammissibilità al rito speciale non presuppone affatto la preventiva verifica dell’essersi realizzate le anzidette condizioni: non a caso l’articolo 13- bis, comma 2, del decreto legislativo n. 74 del 2000, che pone tale regola di verifica per gli altri delitti tributari, fa salvi i casi di cui ai commi 1 e 2 del precedente articolo 13, proprio relativi ai reati suddetti. Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche relativamente al reato di cui all’articolo 10 del decreto legislativo citato, sia pure per ragioni diverse. Infatti, l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili ivi sanzionati non sono correlati all’esistenza di un profitto o di un danno erariale quantificabili, per cui rispetto a tale fattispecie il preventivo accertamento dell’estinzione integrale del debito o del ravvedimento operoso risulta inesigibile, a meno che non si verifichi - e sia oggetto di contestazione - che nei confronti dell’imputato, in relazione alla peculiare condotta illecita descritta dal predetto articolo 10, sia eventualmente maturato uno specifico debito erariale che avrebbe potuto essere estinto dal contribuente con gli istituti all’uopo previsti dal sistema tributario. Sulla questione, cfr., peraltro sezione III, 26 febbraio 2019, Proc. gen. App. Perugia in proc. Di Cristina, secondo la quale, per il reato di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000 (occultamento o sottrazione di documenti contabili), la possibilità di richiedere il patteggiamento, giusta la disciplina dettata dall’articolo 13-bis, comma 2, dello stesso decreto, è necessariamente subordinata, laddove possibile, al ravvedimento operoso (nella specie, consistente nell’esibizione, sia pure tardiva, delle scritture contabili e dei documenti eventualmente occultati e tuttavia non distrutti) e, in ogni caso, all’integrale estinzione del debito per imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto, compresi interessi e sanzioni amministrative, riferito alle annualità oggetto di accertamento e in relazione alle quali la condotta illecita è stata tenuta. In generale, sulla disposizione di cui all’articolo 13-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 74 del 2000, come inserito dall’articolo 12 del decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158, che introduce condizioni all’accesso al “patteggiamento” per i reati tributari, subordinando tale accesso all’integrale pagamento del debito tributario o al ravvedimento operoso, cfr. sezione III, 16 ottobre 2018, Proc. gen. App. Brescia in proc. Demiri, che l’ha ritenuta senz’altro applicabile al reato di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000, a differenza di quanto invece previsto per il reato di cui all’articolo 10-ter dello stesso decreto legislativo, giacché per tale reato, come per quelli di cui agli articoli 10-bis e 10-quater, l’estinzione del debito tributario mediante integrale pagamento, da effettuarsi prima dell’apertura del dibattimento, con costituisce presupposto di legittimità del patteggiamento per l’empirico rilievo che per tali reati l’integrale pagamento del debito tributario configura, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 4 del 2000, una causa di non punibilità, onde il patteggiamento non sarebbe tout court configurabile rispetto a reati non punibili. Campania: “le carceri stanno scoppiando, subito un super-commissario” Metropolis, 17 giugno 2019 Ciambriello, Garante dei detenuti: “sbloccare i lavori di adeguamento”. “I fondi per adeguare il carcere ci sono, ma il rischio e che i lavori vengano fatti tra due anni. Serve un commissario ad acta”. Samuele Ciambriello Garante dei diritti dei detenuti in Campania, e stato tra i primi ad arrivare al carcere di Poggioreale appena appresa la notizia del la rivolta in atto nel padiglione Salerno. “Una vera e propria rivolta”, racconta all’uscita spiegando che “il pretesto iniziale è stata la condizione sanitaria di un giovane detenuto al secondo piano, Luciano Do Luca - continua. Poi le con dizioni igieniche sanitarie, il sovraffollamento, le condizioni delle singole celle, intonaci consumati dall’umidità e dalla muffa, perdite di acqua che rischiano di andare a contatto con fili elettrici scoperti”. Una serie di criticità già note e per le quali da tempo si chiede un intervento. “Sono disponibili da tempo dal Provveditore Regionale delle Opere pubbliche del Ministero delle Infrastrutture 12 milioni dì euro per lavori sia al padiglione Salerno che Livorno, Milano e Napoli - spiega Ciambriello - Si sono fatti dei sopralluoghi. Il rischio è che i lavori siano fatti tra due anni”. Per il garante dei detenuti della Campania: “Ci vuole un commissario ad acta per questi lavori, prima che sia troppo tardi - continua - Lo spazio fisico, sensibile e significativo, spazi vitali aggregativi e ricreativi, la mancanza di vuoti comunicativi e relazionali con la famiglia sono stati già oggetto di sanzione della Corte Europea. Alla persona che sbaglia va tolto il diritto alla libertà, ma non alla dignità”. Ciambriello ha discusso anche con i rappresentanti delle istituzioni presenti sul posto al momento della rivolta: “Ai magistrati presenti Fragliasso e Brunetti, al provveditore Martone ho riferito della situazione drammatica in cui versano i detenuti - racconta - Fragliasso ha parlato con una delegazione che protestava ed ha visto da vicino. La situazione è stata incandescente e solo la bravura degli agenti di polizia penitenziaria ha evitato il peggio. In serata, prima della mia uscita, il detenuto Luciano De Luca è stato trasferito in ospedale per accertamenti”. E proprio per quanto riguarda la situazione dei poliziotti chiede un intervento il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli: “Il Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, chiede tutele per gli agenti, per i quali, incolumità e sicurezza sono sempre più a rischio dal momento in cui i focolai di tensione nel penitenziario partenopeo sono continui e crescenti - dice. Non si abbassi la guardia e non si scenda a patti con i criminali, necessario il carcere duro e lavori forzati per domare queste belve”. I detenuti che hanno guidato la rivolta invece “devono lavorare per sistemare i danni arrecati alla struttura”, conclude Borrelli. La malasanità dietro le sbarre Solo 36 in tutta la Campania i posti lotto negli ospedali per 7.400 detenuti. È il dato choc -non l’unico - sullo stato della sanità penitenziaria nella nostra regione. In Campania finire in carcere non significa solo perdere la libertà, ma anche un diritto fondamentale e innegabile: quello alla cura e alla salute. Solo dieci i posti letto destinati ai carcerati all’ospedale Cardarelli per gli interventi chirurgici, otto al Ruggì D’Aragona a Salerno e se si guarda al Cotugno la situazione peggiora: 4 i posti per patologie infettive. Se non ci sono posti negli otto ospedali “riservati” (Cardarelli, Cotugno, San Paolo, Sant’Agata dei Goti, Ruggì D’Aragona, Sessa Arunca, Moscati di Avellino e Ariano Irpino) i detenuti non possono essere ricoverati altrove perché le altre strutture non sono ritenute idonee alla sicurezza. Al calvario della malattia per loro si unisce così quello del ricovero: quando stanno male devono sperare che uno di quei 36 posti sia libero. Il paradosso si raggiunge nell’impianto di Radiologia di Poggioreale recentemente acquistato ed utilizzabile anche dai detenuti delle carceri vicine. La struttura in questo caso esiste ma mancano i macchinari utili e necessari per effettuare una tac o una risonanza magnetica. Campania: nelle carceri acqua razionata e giallastra, scoppia il caso Di Giampiero Casoni cisiamo.info, 17 giugno 2019 Nelle carceri italiane si muore di caldo e l’acqua è troppo spesso razionata, quando non carente in sé per annosi e irrisolti problemi di distribuzione. Nelle carceri italiane si muore di caldo e l’acqua è troppo spesso razionata, quando non carente in sé per annosi e irrisolti problemi di distribuzione, e il meteo torrido di questi giorni non migliora certo la situazione, con sempre più detenuti vittime di malori, disidratazione e patologie figlie della scarsissima igiene, alla faccia dell’articolo 27 della Costituzione. È il caso del carcere di Santa Maria Capua Vetere, preso in esame da un ottimo approfondimento di Caserta News, in cui “i detenuti devono fare ancora i conti con la carenza idrica, che li costringe ad avere solo 2 litri di acqua, a volte di un colore giallastro”. La denuncia è arrivata senza mezzi termini dal deputato del M5S Antonio Del Monaco, reduce da una visita presso la Casa circondariale campana. “Rispetto a un cronoprogramma - si legge nella nota - che prevedeva il termine del collaudo (e quindi l’effettiva conclusione dei lavori) a luglio 2019 la realtà riscontrata appare completamente diversa: ad oggi non c’è ancora una ditta vincitrice di una gara di appalto che possa dare il via ai lavori; lavori che, ovviamente necessiteranno di altro tempo. Perché siamo ancora a questo punto? Perché si è sprecato un anno? Scriverò una lettera - a questo punto Del Monaco fa i nomi e i cognomi - ai sindaci di Santa Maria Capua Vetere (Antonio Mirra) e San Tammaro (Ernesto Stellato) perché è una situazione vergognosa. La direzione del carcere al momento riesce a fornire gratuitamente ogni detenuto di una bottiglia da 2 litri di acqua in più per le loro esigenze; l’acqua dei rubinetti viene da un pozzo, una cisterna periodicamente sottoposta a controllo, ma piuttosto inadeguata, poiché molto spesso l’acqua erogata ha un colore giallo scuro, indice di detriti ferrosi e non solo. Ma non è tutto - chiosa il deputato pentastellato - altre due questioni vanno risolte: il nauseante olezzo che rende l’aria irrespirabile proveniente dall’impianto di trattamento dei rifiuti (Stir), ubicato proprio dinanzi al carcere, nel quale vivono più di 1.000 detenuti, oltre al personale penitenziario che vi lavora”. Napoli: rivolta a Poggioreale dopo il no al ricovero di un detenuto malato di Daniela De Crescenzo Il Mattino, 17 giugno 2019 Celle a soqquadro, sale allagate, la protesta sedata dopo tre ore. Carcere di Poggioreale, padiglione Salerno in rivolta: letti divelti e usati come armi, scope e piedi di tavolini trasformati in corpi contundenti, sale allagate, guardie accerchiate. Per ore, in uno degli istituti di pena più affollati di Italia, si è vissuto l’inferno. Alla fine il reparto, che ospita 244 detenuti, tutti “comuni”, vale a dire non appartenenti ai clan, è risultato gravemente danneggiato. La protesta sarebbe cominciata perché i reclusi chiedevano che uno di loro, ricoverato in infermeria con la febbre alta, venisse portato in ospedale temendo che potesse trattarsi di una malattia infettiva. Ma è subito risultato evidente che la protesta affondava le radici nelle pessime condizioni di vita nei padiglioni. Già lo scorso sabato il garante per i detenuti, Samuele Ciambriello, aveva lanciato l’allarme: “Nelle carceri si sta consumando un’altra emergenza, la carenza idrica, che in questi giorni di caldo sta gettando nel caos diversi istituti penitenziari. Le strutture che ospitano i detenuti, spesso antichissime, hanno tubature e condotte usurate dal tempo che non riescono a rifornire di acqua tutti i piani degli edifici, a far fronte a una popolazione carceraria così massiccia”. E dal report dell’associazione Antigone, nell’aprile 2018, risultò che l’istituto dovrebbe ospitare 1.611 posti: attualmente ha più di 600 detenuti in eccesso. E non solo. Si legge ancora nel report: “Il carcere, costruito nel 1918, presenta condizioni generali inadeguate, incompatibili con quanto previsto dall’attuale ordinamento penitenziario, soprattutto da un punto di vista architettonico”. Una situazione difficilissima, dunque: i detenuti hanno chiesto un confronto con il provveditore Giuseppe Martone - sul posto con il procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso e il magistrato di turno Walter Brunetti in stretto contatto con il procuratore Giovanni Melillo. Tutti hanno ascoltato i detenuti e ne hanno visitato le celle. In pochissimo tempo sono arrivati anche il commissario coordinatore della polizia penitenziaria, Gaetano Diglio, il vice direttore dell’istituto di pena Stefano Martone e il garante per i detenuti, Samuele Ciambriello. Finalmente nel tardo pomeriggio la protesta è rientrata, il detenuto ammalato è stato portato in ambulanza in ospedale per accertamenti e gli altri si sono impegnati a tentare di riparare i danni, a partire dall’allagamento che avevano provocato. E domani dovrebbe arrivare a Poggioreale il capo del Dap Francesco Basentini. “E urgente impegnare i 12 milioni già stanziati per ristrutturare i tanti padiglioni antichi e fatiscenti del carcere, Livorno, Napoli, Milano, Salerno, dove le celle sono piene di muffa e di umidità - ha sostenuto Ciambriello al termine della visita - bisogna dire basta ai rinvii e commissariare il provveditorato alle opere pubbliche”. In campo sono scesi subito i sindacati della polizia penitenziaria. “Basta col regime aperto in un carcere con quasi 2.500 detenuti, dove ogni giorno l’incolumità dei colleghi è messa seriamente a rischio. Basta con questo immobilismo - protesta il segretario regionale dell’Uspp, Ciro Auricchio - c’è bisogno di misure urgenti per decongestionare il sovraffollamento, inoltre è necessario implementare la pianta organica dell’istituto dove si registrano carenze di oltre 200 agenti”. “La situazione è molto grave - dice Emilio Fattorello, segretario nazionale per la Campania del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe. Mi sembra evidente che c’è la necessità di interventi immediati da parte degli organi ministeriali e regionali dell’Amministrazione della giustizia minorile, che assicurino l’ordine e la sicurezza in carcere a Poggioreale tutelando gli agenti di polizia penitenziaria che vi prestano servizio. Ed è grave che non siano stati raccolti, nel corso del tempo, i segnali lanciati dal Sappe sui costanti e continui focolai di tensione del carcere napoletano”. E Gennarino De Fazio, per la Uil-Pa Polizia penitenziaria nazionale interviene dicendo: “Solo pochi giorni fa, nel corso del confronto in atto fra amministrazione penitenziaria e organizzazioni sindacali sul dilagare dei disordini, dei tumulti e delle aggressioni alle donne e agli uomini della polizia penitenziaria, l’abbiamo detto al capo del Dap Basentini: la fase di studio, analisi e proposte deve essere serrata e rapida e, parallelamente, è indispensabile introdurre misure che elevino gli standard di sicurezza e correggano le falle nei sistemi di custodia, altrimenti si rischia di arrivare troppo tardi esattamente come nel detto popolare: mentre il medico si istruisce, il malato muore”. Salerno: emergenza idrica in carcere, l’appello del Garante dei detenuti salernotoday.it, 17 giugno 2019 Ciambriello: “Le strutture che ospitano i detenuti, spesso antichissime, hanno tubature e condotte usurate dal tempo che non riescono a rifornire di acqua tutti i piani degli edifici e a far fronte a una popolazione carceraria così massicci”. Al carcere di Salerno manca l’acqua: a lanciare l’allarme, Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania. “Nelle carceri si sta consumando un’altra emergenza, non meno preoccupante: la carenza idrica, che in questi giorni di caldo rovente sta gettando nel caos diversi istituti penitenziari - ha fatto sapere il Garante. Le strutture che ospitano i detenuti, spesso antichissime, hanno tubature e condotte usurate dal tempo che non riescono a rifornire di acqua tutti i piani degli edifici e a far fronte a una popolazione carceraria così massiccia. Per risparmiare in qualche Istituto si pensa a limitare la fornitura d’acqua nelle ore notturne. Scelta inadeguata e improduttiva”. L’allarme - Le segnalazioni e le proteste sono giunte da Salerno, da Santa Maria Capua Vetere, Ariano Irpino, Napoli e Bellizzi Irpino. Ovviamente, la carenza idrica provoca tensioni ed emergenze sanitarie: Ciambriello lancia il suo appello alle società che gestiscono i servizi idrici, al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria affinché, con lavori urgenti di adeguamento della rete idrica, provvedano a scongiurare l’emergenza. Sassari: il percorso di studio come via di salvezza dalla vita in carcere di Luca Fiori La Nuova Sardegna, 17 giugno 2019 Due giornate ricche di spunti, curiosità e qualche emozione La storia di un ex recluso: “Studiare mi ha salvato la vita”. “La prima volta che entri in un carcere i tuoi sensi vengono stravolti. Dietro le sbarre si respira un odore forte, fastidioso che fuori non ho mai più sentito. E poi tocca alla vista subire l’assenza di colori, una vera e propria violenza. E subito dopo all’udito abituarsi a quei silenzi inquietanti e a quel rumore di cancelli e di serrature che dopo un po’ che sei dentro inizi a interpretare. Proprio come i passi dell’agente che si fanno più vicini. Dopo un po’ riesci quasi a capire se l’imminente arrivo del poliziotto penitenziario porterà una bella o una cattiva notizia”. Il racconto di un ex detenuto che durante i 14 anni trascorsi dentro una cella ha trovato la salvezza nello studio e poi ha scritto un libro per raccontare la sua esperienza, è stato uno dei momenti più significati della due giorni ribattezzata “Dentro & Fuori”, il workshop organizzato dal Polo Universitario Penitenziario dell’Università di Sassari, assieme alla Conferenza Nazionale Universitaria dei Poli Penitenziari Cnupp della Crui, al Provveditorato Regionale dell’amministrazione Penitenziaria Prap, al Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità - Dgmc del Ministero della Giustizia, al Centro Giustizia Minorile Cgm di Cagliari, all’Ufficio Interdistrettuale per l’Esecuzione Penale Esterna Uiepe di Cagliari. “L’udito in carcere diventa la tua vista - ha raccontato Federico Caputo, ex detenuto e autore del libro “Sensi ristretti” - perché per 22 ore stai dentro la tua cella e puoi solo immaginare quello che accade fuori provando a interpretare i rumori che arrivano da fuori o dalle altre celle. La mia salvezza sono state le lettere di mia moglie, nelle quali riuscivo quasi a sentire l’odore di casa - ha raccontato l’ex carcerato - e lo studio, portato avanti nonostante i continui trasferimenti da un penitenziario all’altro d’Italia”. Sassari - è stato detto durante il workshop al polo universitario di viale Mancini - è la settima realtà italiana per numero di iscritti all’università (51 nel 2018-19, con un incremento del +47 percento rispetto al 2017-18), ma quarta per incidenza sulla popolazione carceraria locale (6,2% contro una media nazionale dell’1% nel 2018-19). Gli studenti in regime di detenzione iscritti all’Università di Sassari studiano in 16 corsi di laurea differenti, ripartiti in 5 dipartimenti. Ma il carcere tempiese di Nuchis - ha spiegato Giovanni Gelsomino giornalista e operatore carcerario autore del libro “La luna del pomeriggio” presentato al workshop - ha un primato ancora più invidiabile. “Addirittura la metà dei detenuti del carcere gallurese - ha detto Gelsomino - frequentano la scuola e se si considera che la media italiana è appena del 5 percento si può arrivare a dire che quello di Nuchis è forse un primato a livello europeo”. Grazie alla struttura del workshop, pensato con una sessione plenaria e tre parallele durante ogni mezza giornata la varietà è stata tale, che gli studenti e gli addetti ai lavori hanno avuto l’imbarazzo della scelta. Il menù della due giorni è stato ricchissimo e pieno di spunti, grazie al coinvolgimento di associazioni, ordini professionali, istituzioni e case editrici. L’intervento degli ex detenuti e il racconto delle loro storie vere è stato però più forte di qualsiasi dato o percentuale proiettata sulle lavagne luminose dell’università. “La persona non è solo il reato che ha commesso - ha detto un ex detenuto durante il convegno - è giusto pagare per gli errori fatti, ma la possibilità di studiare e di costruirsi un futuro fuori dal carcere devono essere un diritto sacrosanto per tutti”. Sassari: dentiere gratis anche per i detenuti di Luca Fiori La Nuova Sardegna, 17 giugno 2019 Il progetto della Casa della Fraterna Solidarietà ha raggiunto le celle di Bancali. Il miracolo delle dentiere ha spezzato le sbarre del carcere e raggiunto anche i detenuti di Bancali. In attesa di impiantare la millesima protesi dentaria gratuita ai bisognosi - che ormai arrivano in città da ogni angolo della provincia - la Casa della Fraterna Solidarietà da qualche mese sta provando a restituire il sorriso anche a chi è costretto a vivere dentro una cella. L’idea di chiedere aiuto alla Onlus creata 13 anni fa da Aldo Meloni l’ha avuto il garante dei detenuti Mario Dussoni, il dentista Giuseppe Siddi e l’odontotecnico Gavino Dettori hanno fatto il resto senza chiedere niente in cambio. In tre mesi sono stati già otto i detenuti dell’istituto penitenziario sassarese (uomini e donne) che hanno potuto riprendere a sorridere senza vergogna grazie alle dentiere realizzare e impiantate gratuitamente con il supporto finanziario della Casa della Fraterna Solidarietà. Dopo aver messo su una rete di volontari capace di sfamare ogni giorno almeno 200 famiglie bisognose e una vera e propria struttura di assistenza medica e sociale che si sostituisce in alcuni casi al Comune e in altri all’azienda sanitaria, la Onlus di Aldo Meloni di recente ha iniziato a offrire anche le visite oculistiche gratuite e gli occhiali ai bambini dai 4 ai 13 anni delle famiglie in difficoltà. Ma evidentemente non era abbastanza. “Molte delle persone che aiutiamo nella nostra sede di corso Margherita di Savoia - spiega Aldo Meloni - hanno avuto esperienza diretta o indiretta con la detenzione e dunque sappiamo bene quanto bisogno di aiuto ci sia anche tra i carcerati”. Ma i miracoli continuano a verificarsi anche fuori dalle celle e l’ultimo in ordine di tempo è accaduto qualche mattina fa nell’ambulatorio dentistico di Paolo Usai in via Roma. Il dentista - che da anni impianta le dentiere gratuite realizzate in collaborazione con l’odontotecnico Gavino Dettori - per la prima volta ha impiantato un bite dentale a un paziente di 42 anni a cui le strutture pubbliche avevano fatto una richiesta economicamente inaccessibile alle sue tasche. “Questa persona stava soffrendo le pene dell’inferno - spiega Paolo Usai - a causa di una patologia dell’articolazione temporo-mandibolare. Quando Aldo Meloni ci ha segnalato il suo caso con Gavino Dettori ci siamo detti che non potevano non aiutarlo. Cosa ci guadagniamo? Vedere una persona sofferente o in difficoltà riprendere a sorridere - conclude il dentista - non ha prezzo”. Saluzzo (Cn): l’impegno dell’associazione “Liberi dentro” per i detenuti di Bruna Aimar targatocn.it, 17 giugno 2019 Intervista a Biba Bonardi, Presidente dell’associazione che svolge la sua attività di volontariato all’interno del carcere Morandi di Saluzzo. “Liberi dentro” è un’associazione di volontariato che opera all’interno della Casa circondariale Rodolfo Morandi di Saluzzo; nasce alla fine degli anni Novanta da un gruppo di persone desiderose di esercitare il proprio impegno civile aiutando chi si trova in regime di restrizione della libertà e spesso lontano da familiari e amici. All’epoca il volontariato penitenziario non era ancora molto sviluppato. L’associazione viene poi riconosciuta come Onlus nel 2009, e oggi ne è Presidente Biba Bonardi. - Come sei entrata a far parte di questa associazione e con quale motivazione? Ho aderito all’associazione dopo qualche anno dalla sua costituzione, nel 2000; sono venuta a contatto con il mondo carcerario perché chiamata, in qualità di docente di lingua francese, a dare un supporto volontario e gratuito ai detenuti che sostenevano la maturità come privatisti, e da lì ho conosciuto i volontari di “Liberi dentro” diventando con gli anni Presidente della Onlus; è un’associazione apartitica e aconfessionale. - Quali sono gli obiettivi della Onlus? Dare supporto materiale e sostegno morale ai detenuti e ai loro familiari, e stare vicino a chi ha sbagliato, senza giudicare. Senza mai dimenticare che queste persone hanno commesso reato, e senza mai dimenticare il male patito dalle vittime, crediamo che nessun uomo coincida con il suo errore, e siamo convinti che a ognuno debba essere data una possibilità di riscatto; un tema che ci interessa molto sviluppare nel futuro è quello della giustizia riparativa, cioè di come una persona che ha commesso reato possa in qualche modo fare qualcosa per riparare il danno compiuto. All’interno di un carcere vi sono tante persone in stato di necessità e non sono molte le associazioni che si occupano di questo settore. In carcere si instaurano relazioni cariche di umanità, anche se non è sempre facile resistere alle frustrazioni e alle delusioni. - Conosciamo tutti le criticità delle carceri italiane ovvero sovraffollamento, carenze strutturali, mancanza di opportunità di lavoro e formazione, elevata presenza di stranieri, problematiche sanitarie, in particolare forme di disagio psichico con un tasso elevato di suicidi, scarso investimento di risorse e di personale per progetti di rieducazione: su quali di questi aspetti i volontari di Liberi dentro supportano i detenuti? I detenuti vengono informati della nostra presenza tramite il passaparola fra di loro o la segnalazione degli Educatori, e hanno la possibilità di incontrarci con una semplice richiesta scritta, la famosa “domandina”. Il nostro campo d’azione è molto vasto: si va dal sostegno concreto per il rinnovo della patente, dei documenti, per le pratiche fiscali e assistenziali, all’aiuto scolastico per gli studenti dei corsi interni o privatisti, alla collaborazione con la biblioteca di Saluzzo per far entrare e uscire i volumi imprestati, alla partecipazione alla redazione interna (articolo quindicinale sul Corriere di Saluzzo), all’organizzazione di una partita di calcio, di una conferenza, o di uno spettacolo teatrale, al colloquio di sostegno personale vero e proprio…ultimamente si è unita a noi una giovane psicologa, che segue lo sportello di ascolto tenuto da detenuti verso altri detenuti. L’aiuto in queste attività è la base per instaurare una relazione con i detenuti fondata sul rispetto reciproco. L’elevata presenza di stranieri è una realtà anche nel carcere di Saluzzo; con alcuni di loro è difficile il dialogo, sia per motivi culturali che linguistici. - Quanti sono i volontari e come si sono formati? Al momento siamo una quindicina, di entrambi i sessi, non sono molti i giovani che si avvicinano a questo mondo e alcuni, anche se ben inseriti, hanno dovuto interrompere l’attività per impegni di lavoro. Sono necessari maturità ed equilibrio psicologico uniti ad una forte motivazione. Pochi i pensionati, quasi tutti noi lavoriamo e dedichiamo all’associazione il nostro tempo libero, garantendo ciascuno la presenza da una a tre o più ore settimanali. Alcuni di noi hanno fatto corsi di formazione a Torino in quanto esiste un coordinamento regionale Piemonte e Valle d’Aosta delle associazioni di volontari penitenziari. È importante mantenere i contatti fra di noi. Molto stretta a questo proposito la collaborazione con la Garante cittadina. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ci sono problemi legati alla sicurezza! In quasi 20 anni, ho avuto paura una volta sola, per l’atteggiamento aggressivo di un detenuto. - Hai organizzato incontri rivolti alla popolazione per sensibilizzare e riflettere sulla condizione delle persone recluse, come pensi sia sentito il tema del perdono? Sicuramente è più sentito di come possa sembrare, perché tocca il cuore di tutti. Lo scorso anno abbiamo organizzato a Saluzzo un incontro sul perdono, molto partecipato, a cui è poi seguito il corso sul perdono. Ottima affluenza c’è stata anche quest’anno alla serata di proiezione del docu-film “Spes contra Spem”. Raccontaci del progetto “Casa di Donatella”, nato come - importante supporto al percorso di cambiamento e reinserimento del detenuto. “La Casa di Donatella” è stata inaugurata nel 2016; intitolata ad una volontaria scomparsa, è un alloggetto adiacente al Cimitero, che ci è stato dato in comodato gratuito dal Comune di Saluzzo, aperto per dare ospitalità temporanea ai detenuti in permesso premio, a quelli che hanno ottenuto un lavoro all’esterno o sono in regime di semilibertà. Questa Casa è nata come cosa piccola, ma è diventata grande, in quanto punto di incontro del detenuto con la famiglia, strumento di coesione sociale e di ritorno alla normalità nel percorso di recupero della persona. Al momento la Casa di Donatella è sempre occupata, a volte anche dai familiari che vengono da lontano e non possono permettersi un albergo. Molto spesso è anche elemento indispensabile per ottenere il permesso dal magistrato di sorveglianza, in quanto occorre un domicilio a cui appoggiarsi e chi abita lontano non ce l’ha. - Che cos’è il progetto genitorialità, quando e come è nato? È un progetto nato due anni fa con la consulenza del professor Antonio De Salvia, e consiste in questo: un detenuto insieme ad un volontario si impegna ad ideare e creare manualmente un oggetto da regalare al figlio che lo verrà a trovare e, con questa semplice modalità, viene stimolato a raccontare la sua esperienza di papà. Siamo un gruppo di 4-5 volontarie, anche del gruppo Crivop, che ci ritroviamo con una decina di detenuti un pomeriggio alla settimana…è sempre un momento di dialogo familiare e sereno. - L’ingresso in un carcere per la prima volta, anche solo come visitatore, ha un forte impatto emotivo su chiunque; dal vostro punto di vista, come vivono i bambini, figli di detenuti, questa esperienza? Sicuramente si tratta di un momento molto delicato, non sempre però l’esperienza è traumatica: pochi giorni fa un detenuto, a proposito dell’incontro con il suo bimbo di cinque anni, venuto da Roma, mi ha raccontato che è stato bellissimo; tutto il merito è stato però della mamma, che lo ha preparato all’incontro con il papà in modo che non fosse traumatizzato dal contesto. Da qualche anno è disponibile una saletta colorata, con libri e giocattoli, per ricostruire, sia pure solo per un paio d’ore, un ambiente familiare e sereno. - Rispetto all’associazione, quali sono le problematiche allo stato attuale? Le criticità dell’associazione sono legate al fatto che siamo pochi e abbiamo difficoltà a fare rete, anche se ci riuniamo almeno una volta al mese. Da punto di vista economico ci sono da coprire le spese di manutenzione e miglioria della “Casa di Donatella”. - Ci vuoi parlare delle prossime iniziative di “Liberi dentro” che coinvolgeranno la popolazione? A settembre parteciperemo alla Tre giorni “La città scopre il carcere” organizzata dal Liceo Soleri Bertoni e le Scuole ristrette. In questo ambito organizzeremo anche, in collaborazione con la Garante cittadina Bruna Chiotti, una conferenza dello scrittore Pino Roveredo, Garante dei Detenuti per il Friuli Venezia Giulia. - Come vi fate conoscere? Avete un sito o una pagina FB? Non abbiamo un sito, se qualcuno ci aiutasse in questo, sarebbe molto ben accetto; esiste una pagina FB del gruppo, ma ci facciamo conoscere soprattutto con il passaparola. Siamo aperti a nuovi ingressi, la realtà del carcere non deve spaventare, anzi è un’esperienza che arricchisce. - Come raccogliete i fondi? Con il 5 per mille, con le donazioni da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo e con la raccolta fondi nelle giornate organizzate con l’associazione di Guide turistiche Gaia. Quest’anno abbiamo scelto la Valle Grana, domenica 23 giugno andremo a visitare antiche cappelle, chiese affrescate, il maestoso Santuario di San Magno e non solo. Prevista anche la possibilità di pranzare presso il Santuario con gli gnocchi al Castelmagno. Vi aspettiamo! Occorre prenotarsi entro il 16 giugno, per il pranzo, o entro il 21 per la visita, tramite i seguenti contatti: bibaeangelo@libero.it, cell. 3335297775. - Ci vuoi ricordare il Codice Fiscale della Onlus? Con molto piacere! Assistenti Volontari Penitenziari “Liberi dentro” Onlus Saluzzo C.F. 94035300048 …grazie a tutti in anticipo! Bari: da detenuti a clown, il riscatto è nel sorriso di Annadelia Turi Gazzetta del Mezzogiorno, 17 giugno 2019 Impareranno a sorridere perché “la medicina non è divertente ma c’è molta medicina nel divertimento”. Da detenuti a clown: donare un sorriso a chi soffre tra le corsie d’ospedale per aiutare i pazienti piccoli e grandi ad affrontare meglio la malattia e a combatterla con la forza del sorriso. È il progetto inedito dell’associazione nazionale di clownterapia “Teniamoci per mano Onlus” dedicato a 14 detenuti della casa circondariale di Bari. L’iniziativa prenderà il via oggi e si concluderà mercoledì 19. I detenuti sono stati scelti direttamente dall’amministrazione penitenziaria per un’iniziativa interamente finanziata dall’associazione, con il patrocinio della Regione Puglia. L’obiettivo - come si legge in una nota - è costruire un momento di riflessione basato sui principi della “terapia del sorriso” per contribuire allo sviluppo personale dei detenuti e al loro ottimale reinserimento nella società. Il corso tenuto da un formatore specializzato dell’associazione, prevede varie fasi. La prima definita “emozionale” è basata sulla ricerca introspettiva del proprio carattere clown. Successivamente, si passerà alla parte ludica che include: yoga della risata, improvvisazione teatrale e tecniche di clownerie. “L’idea di realizzazione un progetto che coinvolga i detenuti - spiega Paolo D’Amobrosio, clown Professor Pallino, responsabile del Distretto Puglia che ha organizzato l’iniziativa - nasce grazie al successo delle collaudate ed apprezzate iniziative di clownterapia già svolte nella casa circondariale di Bari e dedicate ai figli dei detenuti in attesa dei colloqui con i propri genitori, ma soprattutto grazie alla sensibilità mostra dalla direttrice dell’Istituto Penitenziario, Valeria Pirè che ha voluto inserire i volontari di Teniamoci per Mano Onlus nei progetti di recupero sociale dei detenuti”. Attualmente l’associazione di volontariato è operativa in oltre 40 strutture ospedaliere di tutta Italia. Conta circa 700 volontari su tutto il territorio nazionale, di cui 70 in Puglia operativi nell’ospedale Giovanni XXIII, negli Ospedali Riuniti di Foggia, in varie case di riposo e case-famiglia. Un bel numero che si possa crescere sempre di più. È l’appello dell’associazione che invita chiunque fosse interessato a diventare clown di corsia a collegarsi al sito teniamocipermanoonlus.net. Decreto sicurezza-bis. Nel mirino il transito delle navi di Andrea Magagnoli Italia Oggi, 17 giugno 2019 Dalla lotta all’immigrazione clandestina alla tutela delle forze dell’ordine: le novità del dl. Freni alla violenza in manifestazioni sportive e di piazza Per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, il ministro dell’interno può limitare o vietare transito e sosta, in acque nazionali, di imbarcazioni non in regola. È questa una delle misure di stretta contro l’immigrazione clandestina, contenuta nel decreto legge sicurezza bis, approvato dal consiglio dei ministri l’11 giugno scorso. Il decreto, diviso in 18 articoli, prevede disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica e segue il precedente provvedimento (il dl n. 113/2018 convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 281 del 3 dicembre 2018) anch’esso avente a oggetto la sicurezza. Immigrazione nuovi poteri per il ministro dell’Interno. Il decreto legge si apre con le disposizioni relative all’immigrazione: si tratta di norme dirette a reprimere l’ingresso di migranti clandestini. A questo scopo, l’articolo 1 riguarda i poteri attribuiti al ministro dell’interno che, in qualità di Autorità nazionale di pubblica sicurezza, acquisisce il potere di limitare o addirittura vietare il transito e la sosta in acque nazionali dei natanti non in regola con la normativa vigente. Il provvedimento del ministro dell’interno dovrà comunque essere motivato da ragioni relative alla sicurezza o all’ordine pubblico e adottato di concerto con il ministro della difesa e con quello delle infrastrutture e dei trasporti, dandone informazione alla presidenza del consiglio dei ministri. In concreto potranno essere bloccate le navi quando, in una specifica ottica di prevenzione, il ministro ritenga necessario impedire il cosiddetto “passaggio pregiudizievole” o “non inoffensivo” di una specifica nave impegnata in una delle attività elencate dalla Convenzione delle nazioni unite sul diritto del mare, o nel carico e scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti. Fa eccezione il passaggio del cosiddetto naviglio militare (ossia le navi militari e le navi da guerra) e delle navi in servizio governativo non commerciale. Previste poi sanzioni salate per chi favorisce gli ingressi illegali in territorio nazionale. Destinatari saranno capitano, armatore e proprietario dell’imbarcazione usata per l’ingresso illegale. Alle sanzioni pecuniarie amministrative si affiancheranno anche quelle penali qualora le condotte di tali soggetti costituiscano reato. L’articolo 2 del decreto sicurezza bis consente, infatti al Prefetto territorialmente competente di comminare una sanzione di carattere amministrativo, la cui entità varierà tra 10 mila e 50 mila euro, e che potrà essere accompagnata da una misura accessoria anch’essa di competenza del Prefetto, costituita dalla confisca del natante utilizzato per compiere la traversata. Il provvedimento di confisca a sua volta potrà essere preceduto dal sequestro del mezzo in forma cautelare. Si estende, poi, alle fattispecie associative realizzate al fine di favorire l’immigrazione clandestina, la competenza delle procure distrettuali e la disciplina delle intercettazioni preventive. L’immigrazione clandestina in Italia viene contrastata anche attraverso il rafforzamento dell’azione delle forze di polizia, attraverso l’incremento di operazioni sotto copertura. Inoltre il testo introduce inoltre misure volte a chiarire che la comunicazione alle questure, da parte dei titolari di strutture ricettive (hotel, pensioni, B&B ecc.), delle persone alloggiate per un solo giorno vada effettuata “con immediatezza”. Il decreto legge prevede infatti l’istituzione di un fondo diretto a potenziare e a rafforzare l’attività delle forze dell’ordine dirette ad assicurare alla giustizia le organizzazioni criminali che favoriscono, al fine di trarne profitto, gli ingressi clandestini nel territorio nazionale. Inoltre sulla stessa linea si colloca un ulteriore disposizione del decreto, l’articolo 4, il quale prevede che i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina divengano di competenza delle procure antimafia. Manifestazioni pubbliche e sportive. Giro di vite anche per i reati commessi nel corso di manifestazioni pubbliche. Obiettivo è evitare condotte violente od oltraggiose nei confronti degli appartenenti alle forze dell’ordine. Così è introdotta una norma ad hoc che prevede, per i comportamenti violenti tenuti in tali occasioni, un automatico aggravamento delle pene. Non solo, ma la risposta punitiva è rafforzata con l’introduzione di un nuovo illecito: si tratta di un reato vero e proprio, previsto dall’art.6 del decreto sicurezza bis, applicato alle sole condotte tenute nel corso di manifestazioni pubbliche. Si tratta dell’uso di mezzi pericolosi come mazze o bastoni, comunque di strumenti idonei a offendere, in modo da creare pericolo per le cose o le persone. Sarà sanzionato con una pena che va da uno a quattro anni chi, nel corso delle manifestazioni, lanci o utilizzi illegittimamente appunto razzi, oggetti contundenti o gas. Sono state introdotte poi specifiche circostanze aggravanti per reati commessi nel corso delle manifestazioni quali violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, nonché per le condotte di devastazione e saccheggio e di danneggiamento. Più in particolare è in arrivo l’inasprimento delle sanzioni previste per chi contravvenga al divieto di fare uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona. Non manca poi la disciplina anti violenza durante le manifestazioni sportive: viene previsto l’ampliamento della possibilità per gli organi di pubblica sicurezza di vietare l’accesso a eventi, attraverso il provvedimento cosiddetto di Daspo (acronimo per Divieto di accedere alle manifestazioni sportive), e che consente ai questori competenti per territorio di inibire l’accesso alle manifestazioni sportive a soggetti ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico. L’applicabilità del provvedimento viene estesa anche agli eventi sportivi al di fuori del territorio nazionale, con la previsione di un potere per gli organi di pubblica sicurezza di vietarne l’accesso a coloro che abbiano tenuto comportamenti violenti nel corso di manifestazioni sportive. Non solo: saranno destinatari del provvedimento di divieto coloro che nel corso di eventi sportivi abbiano inneggiato alla violenza, coloro che abbiano commesso all’estero atti di violenza in forma individuale o associata, e infine i condannati anche in via non definitiva nei precedenti cinque anni. Infine è previsto un aumento di pena per i reati commessi in occasione di manifestazioni sportive, attraverso l’inserimento nel codice penale di una apposita aggravante. Altre disposizioni vedono come destinatari le società sportive alle quali viene assai spesso contestato di tenere comportamenti equivoci nei confronti di soggetti che gravitano attorno agli eventi organizzati. A esse, viene infatti vietata ogni condotta agevolatoria nei confronti di chi sia stato destinatario dei provvedimenti previsti dalla legislazione antimafia o abbia commesso reati nel corso di manifestazioni sportive, in particolare la norma inibisce la corresponsione di ogni forma di agevolazione o sovvenzione ai predetti soggetti. Personale aggiuntivo. Per dare effettiva esecuzione delle sentenze di condanna, è previsto un aumento del personale pari a 800 unità per un incarico con contratto a tempo determinato non superiore a un anno, nel settore giustizia, da realizzarsi attraverso l’utilizzo di un apposito fondo a ciò preposto e del quale viene previsto il finanziamento. Migranti. Sea Watch, è scontro sul divieto di sbarco L’Unione Sarda, 17 giugno 2019 Va avanti da giorni al largo di Lampedusa lo stallo per la nave Sea Watch3 dove restano 43 persone fra cui 3 minori, dopo il salvataggio a 47 miglia dalle coste libiche e lo sbarco autorizzato di io migranti. Al comandante è stato notificato il Decreto sicurezza. E c’è chi parla di “emergenza umanitaria che persiste” come il deputato Riccardo Magi di +Europa. Mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che sabato ha firmato il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane per la nave della ong tedesca, in un tweet cita Papa Giovanni Paolo “È responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune”, sono le parole di Wojtyla citate dal leader leghista e titolare del Viminale, quasi a cercare un endorsement postumo. “L’accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi”, prosegue la citazione di Salvini, prima di Dalla Germania Sarebbero 4.602 i profughi trasferiti in Italia dal Governo tedesco nel 2019 partire per Washington per incontrare il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence e il segretario di Stato Mike Pompeo per parlare anche di immigrazione. Intanto emerge che la Germania avrebbe accompagnato in Italia migliaia di profughi che secondo le regole Ue dovrebbero essere trasferiti nei Paesi di primo approdo. Nel primo trimestre del 2019 sono stati ben 4.602, il 33% del totale delle domande fate arrivare a tutti i partner Ue. Soprattutto, un boom del 50% rispetto al trimestre precedente (tra ottobre e dicembre erano state 2.979 le richieste a Roma, il 25,4%). Dati che si prestano a un affondo immediato dell’opposizione contro il governo. Per il deputato dem Filippo Sensi numeri svelano “il fallimento della politica di Salvini sui trasferimenti dei profughi dalla Germania all’Italia. Effetto perverso dell’accordo dello scorso giugno a Bruxelles che ha penalizzato il nostro Paese”. A tuonare con toni anti Ue è il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. “La Germania aumenta i rimpatri degli immigrati clandestini. Come? Li sedano, li ammanettano e li spediscono in Italia. Ecco la strategia dell’idolo degli europeisti Angela Merkel: scaricare il problema sicurezza e immigrazione della Germania sulla nostra nazione”. Profughi dalla Germania, Salvini sotto attacco. “È il fallimento del governo” di Alessandra Ziniti La Repubblica, 17 giugno 2019 Polemiche dal Pd a Forza Italia sui 1.200 migranti che Berlino ha rispedito indietro. Ma il Viminale tace. Le associazioni: è l’Italia che non ha voluto cambiare le regole. Altroché, se ne arrivano tanti. “Vittime di Dublino” li chiamano i volontari di Baobab che qualche settimana fa, al loro presidio sulla Tiburtina, si sono visti arrivare Adel, 53 anni, ipovedente algerino rimandato indietro dalla Germania a Roma e privato del suo passaporto dalle autorità tedesche. “Voglio tornare a casa, non voglio chiedere asilo. Ero venuto in Europa per curarmi. Visto che è impossibile, aiutatemi a tornare a casa dai miei figli”. Mica facile: al suo arrivo a Fiumicino, la polizia di frontiera lo ha messo sul primo treno per Roma e Adel è finito al Baobab. “Se non ci fossimo noi - dice Andrea Costa - il suo destino, come quello di tanti altri dublinanti, sarebbe stato quello di andare a ingrossare l’esercito dei fantasmi. E molti raccontano di aver subito maltrattamenti durante i respingimenti”. Anche l’Arci ha aumentato la sua attività di supporto e accoglienza ai dublinanti. “Andiamo a prenderne molti direttamente in aeroporto - dice il responsabile del settore immigrazione, Filippo Miraglia - L’Italia è il Paese che riceve più immigrati di ritorno. Dal 2011, almeno 300 mila persone sbarcate qui non hanno chiesto asilo e sono andate altrove. L’unica soluzione era riformare il regolamento di Dublino, ma Lega e M5S non hanno voluto farlo. Adesso Salvini dovrebbe solo stare zitto”. Il ministro dell’Interno tace. In partenza per New York, Matteo Salvini ieri non ha voluto dire nulla né sul considerevole aumento dei dublinanti di ritorno dalla Germania (1.200 negli ultimi sei mesi, tanti quanti gli sbarcati nel 2019) né sui metodi di rimpatrio forzato (fino alla sedizione) rivelati da Repubblica. Ma al suo ritorno dovrà dare spiegazioni in Parlamento attaccato da tutto lo schieramento politico, dal Pd al centrodestra. E proprio da Forza Italia sono partite le bordate più pesanti: “Invece di combattere una guerra ai mulini a vento sul deficit, il governo avrebbe dovuto fare pressioni per modificare il regolamento di Dublino grazie al quale la Germania ci ha restituito 1.200 migranti”, dice Annamaria Bernini, presidente dei senatori. Osvaldo Napoli, anche lui forzista, chiede al ministro di riferire in Parlamento: “È una vicenda molto brutta sulla quale il governo dovrà dare spiegazioni”. “Lo scoop di Repubblica fa venire i brividi, il sistema tedesco è violento e ci riporta al secolo scorso. Salvini deve reagire con furore”, auspica il senatore Mario Giro. All’attacco anche Giorgia Meloni (FdI), che invita il governo a “farsi rispettare in Europa. La soluzione è non far arrivare i clandestini in Italia con un blocco navale europeo. Cosa aspetta l’Italia a chiederlo?”. Per il Pd, parla Filippo Sensi: “È il fallimento della politica di Salvini sui trasferimenti dei profughi dalla Germania all’Italia. Effetto perverso dell’accordo di giugno a Bruxelles che ci ha penalizzato”. Libia. “Salvati 91 migranti, ora sono detenuti” rainews.it, 17 giugno 2019 La Guardia costiera libica annuncia di aver “salvato” ieri 91 migranti di “diverse nazionalità africane” che erano su un gommone a 35 miglia a nord-est di Gasr Garabulli. Nell’intervento compiuto a est di Tripoli, sono state tratte in salvo anche “tre donne e due bambini”. Dopo aver ricevuto “assistenza umanitaria e medica”, i migranti sono stati rinchiusi in un centro di detenzione, si desume dal testo: si tratterrebbe di una consegna al “Centro di controllo dell’immigrazione illegale”. Hong Kong. Rilasciato Joshua Wong il leader della “protesta degli ombrelli” di Filippo Santelli La Repubblica, 17 giugno 2019 L’attivista, che ha scontato la sua pena di due mesi di carcere, ha preso subito posizione sulle proteste di questi giorni: “Il capo dell’esecutivo si deve dimettere”. La protesta continua. “Forse viene qui, pare che venga. Ci aiuterebbe molto”. Lo stavano aspettando in tanti, tra i ragazzi reduci dalla notte di protesta, accampati sotto il portico del parlamento di Hong Kong. Lo aspettava anche questa studentessa di Sociologia, che ha in mano una copia del Time con il suo editoriale. “Una vittoria di Pechino è una vittoria per l’autoritarismo in tutto il mondo”, scriveva qualche giorno fa il 21enne Joshua Wong dal carcere, dove stava scontando una pena di due mesi per il suo ruolo di leader nella rivolta degli ombrelli. Ma stamattina Joshua è uscito, portandosi fuori con un sorriso dal penitenziario di Lai Chi Kok un pacco di libri. E tuffandosi subito su Twitter, quasi volesse recuperare il tempo perduto: “Ciao mondo, ciao libertà. Forza Hong Kong! Ritirare la legge sull’estradizione. Carrie Lam dimettiti. Stop alle persecuzioni politiche”, ha scritto ai suoi 200 mila follower. Sono gli slogan che hanno animato le proteste di questi giorni, la marcia dei due milioni di ieri ma soprattutto la sua avanguardia studentesca che oggi è ancora qui attorno ai palazzi del potere. “Ha carisma, ha energia, è capace di trascinare. Credo che potrebbe essere un leader per questa protesta”, dice una studentessa del liceo di 17 anni. Ma non è così semplice. Perché questo movimento delle mascherine è diverso da quello degli ombrelli di cinque anni fa che aveva in Joshua e altre figure carismatiche, molte delle quali oggi in prigione, dei volti e dei capi. Ma è fallito. Questo invece nasce orizzontale, a volto coperto e senza gerarchie: “Io vorrei che le decisioni venissero prese sempre in maniera collettiva - spiega un ragazzo di 22 anni con il berretto - Durante il movimento degli ombrelli non potevi dire nulla che ti guardavano male”. Eppure di un leader, di una voce capace di trascinare, di dire ai ragazzi cosa volere, c’è bisogno. È stato evidente ieri, nella lunga giornata della marcia in nero. I momenti in cui la folla si accendeva erano quelli in cui qualcuno urlava in un megafono, per esempio uno degli studenti feriti negli scontri di mercoledì. Ed è evidente anche questa mattina di fronte al parlamento, dove quello che era annunciato come uno sciopero ha raccolto poche adesioni. Molti si limitano a stare qui, giocando a carte o sullo smartphone, dormendo. Aspettando qualcosa, qualcuno. Hong Kong, rilasciato Joshua Wong il leader della “protesta degli ombrelli” Ci ha provato qualche parlamentare democratico, anche per prendere voti, a mostrarsi in mezzo ai ragazzi, al loro fianco se non alla loro testa. Ieri Roy Kwong ha fatto un giro della piazza con il megafono, dicendo: “Se voi stanotte restate resto anche io” Ma l’imbarazzo dei deputati in carica è evidente, nel raccomandare la prudenza, nell’invitare a darsi degli obiettivi realistici: il ritiro della legge e la testa di Carrie Lam. Joshua Wong, con la sua feroce determinazione su una faccia ancora da ragazzino, è tutt’altra cosa: lucido idealismo che il carcere non sembra avere piegato, retorica trascinante con il microfono. Il partito che ha fondato, Demosisto, vuole l’autodeterminazione, compreso un voto per restare o meno parte della Cina. Per questo i suoi parlamentari sono stati squalificati dalle ultime elezioni. Ma con Joshua, già paladino della stampa internazionale, teenager candidato al Nobel, nessuna richiesta è irrealistica, neppure la democrazia. “Molti qui non vogliono un leader, ma per tenere viva la partecipazione di due milioni di persone figure come la sua ci vogliono”.