Intercettazioni, spazio al Pm per la decisione sulla rilevanza di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 2019 Alla fine per modificare la disciplina delle intercettazioni è servito un decreto legge su misura. Quello approvato ieri al termine di un consiglio dei ministri durato 7 ore. Per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede le intercettazioni sono “uno strumento irrinunciabile per le indagini. Adesso elaboriamo un sistema moderno e digitale: ci saranno maggiori garanzie per trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza delle indagini, la tutela della riservatezza e il diritto di difesa”. Il provvedimento tiene insieme la disciplina della fase transitoria e un pacchetto di modifiche alla riforma Orlando, approvata nel 2017 con il decreto legislativo n. 216. Quanto alla prima si prevede espressamente che tutta la nuova procedura indirizzata a rafforzare la salvaguardia della privacy, attraverso il divieto di pubblicazione anche parziale del contenuto delle intercettazioni non acquisite come materiale probatorio, riguarderà i procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020. Rinviando quindi gli effetti a una data posteriore il compimento di tutto l'iter di conversione del decreto legge stesso, un po' come avvenuto di recente per la revisione del penale tributario. Sugli altri punti, l'intenzione dell'intervento, frutto dell'accordo raggiunto poche ore prima nella maggioranza, è quella di evitare alcuni effetti distorsivi della Orlando, a danno delle garanzie difensive e della funzionalità delle indagini preliminari emersi. Si ripropone così in alcuni passaggi la versione del Codice di procedura penale antecedente all'intervento del 2017, conservando però la disciplina dei trojan e la destinazione all'archivio digitale del materiale intercettato. Si eliminano, così, i rigidi divieti di trascrizione, imposti dal decreto legislativo 216/17, stabilendo che le registrazioni inutilizzabili o manifestamente irrilevanti, come quelle su categorie di dati sensibili, se inutili per le indagini restano custodite in archivio, per effetto del procedimento di stralcio già regolato dall'articolo 268 del Codice, ora riproposto sul punto. A venire cancellato è uno degli aspetti più controversi della riforma Orlando e cioè la prerogativa affidata alla polizia giudiziaria di effettuare la prima selezione del materiale rilevante perle indagini. Una previsione che da subito aveva sollevato perplessità perché ritenuta lesiva delle attribuzioni del pubblico ministero nella valutazione di ciò che è utile per lo sviluppo dell'inchiesta. La necessaria tutela della riservatezza anche in fase di verbalizzazione, tuttavia, ha condotto a sostituire il meccanismo di selezione da parte della polizia giudiziaria delle intercettazioni non utilizzabili con un dovere di vigilanza del pubblico ministero perché non siano trascritte in sede di verbalizzazione conversazioni o comunicazioni contenenti espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali, sempre che non si tratti di intercettazioni rilevanti per le indagini. Se dal deposito delle intercettazioni può derivare un danno grave perle indagini il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardarlo non oltre la chiusura delle indagini preliminari. In ogni caso, quanto ai diritti della difesa, il decreto legge assicura l'accesso degli avvocati al materiale depositato, con la possibilità di ottenerne copia. L'avviso di chiusura delle indagini preliminari conterrà poi l'avvertimento che indagato e difensore hanno facoltà di esaminare e conoscere intercettazioni, registrazioni, flussi di comunicazione informatiche, con possibilità di averne copia. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente in un archivio gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell'ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni. Al Gip e ai difensori dell'imputato per l'esercizio dei loro diritti e facoltà è in ogni caso consentito l'accesso all'archivio e l'ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate. Le registrazioni sono conservate fino a sentenza definitiva, ma gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione, a tutela della privacy, al giudice che ha autorizzato o convalidato l'intercettazione. Il decreto legge mette poi nero su bianco la possibilità di un utilizzo espansivo delle intercettazioni attraverso i trojan, ammettendone il valore probatorio anche per reati diversi da quelli oggetto dell'autorizzazione, a patto che rientrino tra quelli per i quali è possibile l'impiego dei captatori informatici, compresi quelli contro la pubblica amministrazione. Intercettazioni, l’autogol del Governo: decideranno i magistrati Il Riformista, 22 dicembre 2019 Quasi sei ore di Consiglio dei ministri, che partoriscono l’ok al decreto intercettazioni, ma anche solo un disco verde ‘salvo’ intese per il Mille Proroghe. E tensioni inedite sul Piano innovazione. Insomma, la riunione prenatalizia dell’esecutivo diventa emblematica dei problemi tra gli alleati, attesi a gennaio ad una verifica ormai non più rinviabile. La giustizia è sicuramente un tema divisivo, come testimonia il nodo dell’entrata in vigore dello stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado a partire dal primo gennaio. A Palazzo Chigi questa volta si trova un’intesa sul testo delle intercettazioni, che di fatto modifica “tecnicamente” la legge Orlando, e che entrerà in vigore il 29 febbraio. I punti principali? La scelta delle intercettazioni rilevanti o meno non sarà più solo della polizia giudiziaria, ma rientrerà nella sfera decisionale del pubblico ministero e gli avvocati potranno estrarre copia delle intercettazioni rilevanti. Nel nuovo testo il giornalista che pubblica l’intercettazione non rischia più di essere incriminato per violazione di segreto d’ufficio. “Il decreto è uno strumento irrinunciabile per le indagini - commenta soddisfatto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede - Adesso elaboriamo un sistema moderno e digitale: ci saranno maggiori garanzie per trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza delle indagini, la tutela della riservatezza e il diritto di difesa”. E se le opposizioni parlano apertamente di “forzatura delle regole costituzionali”, il Pd mette il suo like: “È norma di civiltà importante, non solo per il Pd ma per il Paese”. Il tiepido passo avanti sulla giustizia - il 7 gennaio è previsto un nuovo vertice per la riforma del processo penale - diventa però il contraltare del Mille Proroghe. La bozza del testo viene approvata salvo intese, formula che evidenzia come l’accordo ancora non ci sia. Il nodo del contendere riguarda le concessioni, perché, si legge, “in caso di revoca, di decadenza o di risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, per il tempo strettamente necessario alla sua individuazione, Anas può assumere la gestione provvisoria”. Un articolo che richiama direttamente la questione Autostrade, dopo il crollo del Ponte Morandi nel Ferragosto 2018. Il M5S da tempo preme perché venga revocata la concessione alla società del Gruppo Atlantia che, proprio per questo clima, avrebbe di fatto frenato il suo coinvolgimento nel dossier Alitalia. E se il Pd sembrava d’accordo a questa norma, in cdm è arrivato il secco stop di Italia Viva, che ha messo a verbale il suo no. Le ministre Teresa Bellanova (Agricoltura) ed Elena Bonetti (Famiglia) “hanno ribadito un principio di civiltà giuridica, non si cambiano le regole in corso d’opera”, perché “l’effetto sugli investimenti internazionali sarebbe stato peggiore dell’emendamento su Ilva”. Nel Mille Proroghe salterebbe invece la norma per garantire la continuità delle attività dell’Anac, mentre vengono prorogati al 31 marzo i vertici di Agcom e Garante Privacy. Le tensioni rimangono fortissime anche sul decreto innovazione della ministra Paola Pisano, al centro di polemiche perché, secondo alcune ricostruzioni di stampa, sarebbe stato scritto con il contributo di Davide Casaleggio. “Oggi non c’erano le condizioni per approvare in Consiglio dei Ministri il Piano per l’Innovazione digitale - frena il capo delegazione Pd Dario Franceschini - C’è bisogno di un approfondimento e le norme, frutto di un’intesa nella maggioranza, potranno essere inserite in un emendamento in sede di conversione del decreto”. Un altro rinvio per l’ennesimo fronte aperto nella maggioranza giallo-rossa. Esteso l'utilizzo del trojan, tensione nella maggioranza di Michela Allegri Il Messaggero, 22 dicembre 2019 Cdm modifica il decreto Orlando. Nuove norme in vigore dal primo marzo. Più potere ai pm, esultano Bonafede e M5S. Altolà dei renziani: cambierà in Parlamento. Più potere al pubblico ministero, che avrà la facoltà di decidere - al posto della polizia giudiziaria - quali siano le intercettazioni rilevanti e quindi da trascrivere. Ma anche più garanzie per i difensori, che potranno chiedere copia delle registrazioni, e non più soltanto ascoltarle. Entrerà in vigore dal marzo 2020 il decreto legge sulle intercettazioni, la riforma dell'ex guardasigilli Andrea Orlando rinviata per tre volte e ora rivisitata e in parte modificata. Un via libera che ottiene il plauso della maggioranza, anche se una certa tensione si legge tra le righe, su un punto in particolare: il trojan, il virus in grado di trasformare gli apparecchi informatici in microspie. Se i pentastellati sottolineano che il suo utilizzo nelle indagini è stato “ampliato”, i dem ci tengono a precisare che, in realtà, le modifiche rispetto al decreto Orlando riguardano dettagli minimi. Attualmente il malware può essere usato in caso di indagini di mafia e terrorismo e, dopo l'entrata in vigore della Spazza-corrotti, anche in caso di reati commessi dai pubblici ufficiali in danno della pubblica amministrazione, con pena prevista superiore ai 5 anni. Con il nuovo testo, l'utilizzo viene esteso, sempre alle stesse condizioni, anche ai reati commessi dagli incaricati di pubblico servizio. Un'aggiunta non da poco, visto che la categoria può comprendere anche autisti degli autobus, postini, netturbini, solo per fare alcuni esempi. Ed è stato raggiunto un compromesso: l'applicazione dei captatori informatici è stata slegata dalla normativa sulle intercettazioni ambientali, ampliandone di fatto la possibilità di uso. La riforma Orlando, infatti, li considerava microspie ambientali ed escludeva la possibilità di utilizzare conversazioni che provassero reati diversi rispetto a quelli per i quali erano state disposte le intercettazioni, tranne in casi particolari. La nuova norma è stata spacchettata dal Mille Proroghe - approvato “salvo intese” - ed è stata inserita in un decreto legge ad hoc, che ne prevede l'entrata in vigore nel marzo 2020. Un tempo che consentirà “agli uffici di adeguarsi”, dice il ministro Alfonso Bonafede, che parla di uno “strumento irrinunciabile per le indagini”, un sistema “moderno e digitale”, con “maggiori garanzie per trovare un punto di equilibrio tra esigenza delle indagini, tutela della riservatezza e diritto di difesa”. Per le indagini in corso fino al 29 febbraio, invece, varranno le regole attualmente in vigore. “Adesso il provvedimento farà il suo iter parlamentare per la conversione - ha aggiunto Bonafede - ma c'erano atti che non potevamo ritardare”. Una delle novità principali è che la selezione tra intercettazioni rilevanti e irrilevanti viene deputata non più solo alla polizia giudiziaria, ma al pm, con l'istituzione di un archivio informatico gestito sotto la diretta vigilanza del Procuratore. “Il pm - spiega il sottosegretario Andrea Giorgis - vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione, o quelle che riguardano dati personali sensibili, salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti”. Inoltre tutte le conversazioni che saranno ritenute non fondamentali dal pm, non entreranno nel fascicolo e resteranno segrete. I difensori, però, potranno ascoltarle e visionare i verbali, e potranno chiedere che altre conversazioni vengano trascritte. In caso di rifiuto da parte del pm, la decisione sarà del giudice, che potrà anche stralciare conversazioni considerate rilevanti dalla Procura ma irrilevanti dall'avvocato. È stato inoltre abrogato il nuovo reato che avrebbe colpito soprattutto i giornalisti, cioè la “diffusione di immagini o registrazioni acquisite fraudolentemente, con l'unico obiettivo di recare danno all'altrui reputazione”: veniva punito chi avesse divulgato il contenuto di registrazioni considerate irrilevanti dalla pg. Oltre a Bonafede, anche il Pd è soddisfatto: “È una riforma importante non solo per il Pd che l'ha sostenuta nella scorsa legislatura, ma per il Paese. Ora subito al lavoro per le norme che garantiscano tempi certi per i processi”, scrive in una nota Walter Verini responsabile giustizia dem. “È importante che sia stato trovato un punto di equilibrio tra l'esigenza delle indagini, la tutela della riservatezza e il diritto di difesa”, dice invece Francesca Businarolo, presidente della commissione Giustizia della Camera. Protesta FI con Enrico Costa, che chiede al presidente della Repubblica di fermare “il violento e incostituzionale aggiramento del Parlamento realizzato con il decreto legge intercettazioni, cui - al di là del merito - difettano totalmente i requisiti di necessità ed urgenza”. E anche Italia Viva annuncia che presenterà emendamenti al testo. “La lotta alle cosche? È nelle mani di tutti” di Saveria Maria Gigliotti Avvenire, 22 dicembre 2019 È un sabato mattina che precede il Natale. Mentre per le strade di Catanzaro si è alle prese con gli acquisti natalizi, Nicola Gratteri è al lavoro nel suo ufficio, seduto alla scrivania piena di fogli, documenti, post it. Non si è fermato un attimo dopo la conclusione dell'operazione, nome in codice “Rinascita-Scott”, che ha inflitto un duro colpo alla cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). Ha chiesto ai calabresi di occupare gli spazi lasciati liberi. Come si può fare? Lo confermo. Questa è la ricetta di lungo periodo. Nel breve periodo dobbiamo essere noi, con gli strumenti normativi che il legislatore ci ha dato, anche se noi sempre ne chiediamo di più e di più efficaci. Nella ricetta di lungo periodo, abbiamo bisogno che la gente prenda consapevolezza che in Calabria la musica è cambiata; che noi stiamo facendo sul serio; che questa volta siamo attrezzati con magistrati e forze dell'ordine di qualità, per fare cose serie. La gente ora deve fare la sua parte. Oggi ampi territori sono liberi. Allora scendiamo in piazza, occupiamo la cosa pubblica, anche fisicamente, anche simbolicamente, creiamo associazioni di volontariato, incominciamo anche fisicamente a pulire le strade, le aiuole, le piazze. Incominciamo a fare associazionismo e a radunarci in assemblee, in incontri, per discutere cosa fare per rendere più bello e per colorare il nostro paese, per togliergli il grigio. Ragioniamo per far tornare il sorriso ai bambini perché non abbiamo più questa cappa della 'ndrangheta. Cosa si può chiedere a chi ci amministra? Incominciamo anche a pensare di impegnarci in politica. Cominciamo a criticare chi in quel momento è al potere. Se le strade sono sporche, se l'acqua non c'è, dobbiamo andare chiedere conto a chi ci amministra. Perché fare il politico, fare l'amministratore non lo ha ordinato il medico: è una nostra scelta. Quindi, se siamo incapaci, se siamo inidonei, dobbiamo dare conto a chi ci ha votato, agli elettori. Il cittadino deve avere la consapevolezza dei diritti: essere felice; sorridere; respirare; camminare per le strade sereno e tranquillo che non ci sarà chi gli conterà i passi, chi gli conterà quante volte ha sorriso o se si è comprato la macchina nuova o se vuole ristrutturare casa o se vuole allargare l'azienda. Deve uscire da questa cappa, da questa angoscia. Ed ora può incominciare a farlo in alcuni territori della Calabria, ancora non dappertutto perché c'è tanto da fare, ma dove ci sono gli spazi liberi iniziamo ad occuparli noi. Si sente più minacciato dalla 'ndrangheta o da una certa politica? Io vivo sotto scorta dall'aprile 1989, quando hanno sparato a casa della mia fidanzata ad altezza d'uomo e poi le hanno telefonato di notte per invitarla a non sposarmi perché avrebbe sposato un uomo morto. Io ho fatto la mia scelta di campo: sono disposto a qualsiasi sacrificio, non vado al mare da anni, non entro in un cinema non so da quanto. Non vado da nessuna parte. Non faccio dieci metri senza scorta. Io sono disposto a stare anche altri dieci anni sotto una pietra, se serve: è un obiettivo, è un progetto, è un sogno. Le minacce, le tragedie greche, le pugnalate alle spalle all'interno dei centri di potere e anche all'interno delle Istituzioni me le aspetto e so anche da dove possono arrivare. Quindi sto attento. Il mio obiettivo in questo momento è quello di rasserenare i colleghi, renderli tranquilli di lavorare. Il mio compito è mettere in condizione i colleghi di esprimere tutta la loro intelligenza e la fantasia nella tecnica di indagine, guidarli, formarli, farli crescere perché sono tutti giovanissimi ma sono persone pulite, splendide, sono ragazzi preparatissimi, con un entusiasmo incredibile. Io mi sento giovane proprio per l'entusiasmo che mi trasmettono. La mia porta è aperta dalla mattina alla sera. Non c'è il distacco burocratico. Io non consento alla segretaria di portami la posta, sono io che vado dalla segretaria per guardare la posta perché devo girare continuamente l'ufficio, devo capire l'aria, il respiro. Io lo so perfettamente che il potere reale non mi vuole qui. So perfettamente che il potere reale trama, ma sono allenato a questo tipo di stress. Ho spalle larghe e nervi di acciaio e li posso tranquillizzare o che si rassegnino perché io falli di reazione non ne commetterò. Aspetterò con calma e con fiducia che le strutture istituzionali si muovano in base alla Costituzione, alle leggi e ai regolamenti. Ma c'è speranza per questa Calabria? Penso di sì. Perché vedo migliaia e migliaia di persone che credono in noi. Migliaia di persone che hanno nuovamente fiducia nella magistratura pulita, nei carabinieri, nella polizia, nella guardia di finanza. Cioè rivedono noi come i liberatori. Questo è importante e lo misuriamo dal fatto che centinaia di persone sono in lista di attesa per chiedere di essere ricevuti da me, per chiedere di parlare. Ci sono un sacco di persone vittime di usura e di estorsione, di gente che subisce vessazioni e ingiustizie dalla pubblica amministrazione. Questa è una speranza. Questo è il seme che la Calabria può cambiare. Però questo cambiamento sta nelle mani di tutti. Il calabrese la deve finire di aspettare che qualcosa accada; deve mettersi in testa che è già accaduto, che sta accadendo, che accadrà. Solo in questo modo potremo cambiare la Calabria. Opera, i vigili e la foto con il fermato in gabbia: bufera social di Cesare Giuzzi Corriere della Sera, 22 dicembre 2019 L’immagine è stata pubblicata sulla pagina social del corpo di polizia locale, anche se la legge lo vieta. Ricorda il caso del presunto killer bendato a Roma. Lo straniero in questione è accusato di aver infastidito i cittadini al mercato. La fotografia pubblicata su Facebook sembra quella di un trofeo di caccia: la preda in gabbia e due vigili, con tanto di divisa, che tengono una mano appoggiata alle sbarre. L’immagine è stata pubblicata sulla pagina social del “Corpo di polizia locale del Comune di Opera”, cittadina alle porte di Milano nota ai più per la presenza del supercarcere. E subito, sotto alla foto, è partita la pioggia di like compiaciuti dei cittadini, e anche qualche commento di sostegno alla polizia locale. Eppure la legge vieta di pubblicare immagini di persone in stato di fermo, per di più ad un appartenente delle forze dell’ordine. Come peraltro ha dimostrato solo pochi mesi fa il caso della foto del presunto killer bendato del carabiniere Cerciello Rega a Roma. A Opera, dove c’è una giunta di centrodestra con la Lega in grande spolvero, evidentemente la pensano diversamente. Ma cosa ha fatto il “fermato” per meritare una simile gogna? Al momento assolutamente nulla, visto che sono gli stessi vigili ad ammettere che si trova lì solo per accertamenti su eventuali reati. Ecco il testo del post: “Stamattina a seguito di segnalazioni da parte di cittadini, che lamentavano un soggetto teso ad infastidire le persone nell'area mercato di Opera, personale del Corpo è intervenuto per le attività di rito. La persona è in stato di fermo e sono in corso gli accertamenti”. Il “fermato” quindi allo stato è accusato di aver infastidito i cittadini al mercato. Se sia reato o no non è chiaro. Nel frattempo il processo social è partito. E senza appello. Alle 18 il post è stato rimosso dalla pagina dei vigili che hanno chiesto scusa e spiegato la dinamica dei fatti: “Scusandoci dell’immagine pubblicata sul post precedente, la stessa viene rimossa immediatamente. Nel merito delle attività compiute la persona veniva fermata, mentre molestava in maniera insistente nell’area mercato alcuni passanti. Alla richiesta degli operatori di esibire i documenti per l’identificazione, la persona ne era sprovvista e poneva resistenza all’accompagnamento presso gli uffici per i dovuti accertamenti. Si è proceduto pertanto al foto-segnalamento per l’identificazione personale. Dall’esito dei controlli, il soggetto aveva a suo carico un ordine di espulsione del Questore già dal 2017, trattenendosi irregolarmente sul territorio italiano. L’indagato successivamente alle attività di P.G. ha aggredito gli operatori di Polizia procurandogli lesioni. Gli stessi sono stati trasportati in ospedale. Pertanto lo stesso su disposizione dell’Autorità Giudiziaria, per resistenza, minacce e lesioni a pubblico ufficiale è in stato di arresto in attesa di convalida”. Il sindaco di Opera Antonino Nucera, già vicesindaco all’epoca del primo cittadino “sceriffo” Ettore Fusco, leghista doc, ha condiviso sul proprio profilo la stessa immagine. In aggiunta ha scritto che il fermato sarebbe un “molestatore seriale, pluripregiudicato e con provvedimento di espulsione a carico”. Secondo il sindaco il “fermato” sabato mattina “molestava alcuni passanti che si rifiutavano di consegnargli soldi”. In un secondo intervento, lo stesso Nucera non solo non ha rimosso la fotografia, ma s’è scagliato contro il Corriere che ha pubblicato la notizia e ha parlato di “agenti vittime di una speculazione giornalistica”: “La mia solidarietà agli agenti della Polizia Locale di Opera, vittime di una speculazione giornalistica a difesa di un molestatore, pluripregiudicato, con in capo un provvedimento di espulsione e accusato di nuove molestie oltre che aggressione a pubblico ufficiale. Se il giornalista non si fosse fermato all’immagine, tra l’altro oscurata e priva di generalità che lascino in qualche modo risalire all’identità del criminale già condannato fino al terzo grado, avrebbe potuto assumere tutte le informazioni necessarie per un pezzo di cronaca (compresa l’aggressione agli agenti) e non di mera speculazione politica - ha scritto. Complimenti agli agenti che in pochi minuti hanno raccolto l’sos lanciato dai cittadini e sono intervenuti aiutandoli. I malintenzionati devono sapere che a Opera la criminalità è un nemico”. Raggiunto al telefono, il sindaco Nucera ha poi chiarito che l’uomo fermato è “un 35enne nigeriano senza documenti e con diversi provvedimenti di espulsione”. Al momento, ha spiegato ancora il primo cittadino, due agenti della polizia locale si trovano all’ospedale Humanitas di Rozzano per farsi medicare dopo essere stati aggrediti, una volta all’interno del comando, con “spintoni, morsi e strattoni”. Nucera ha poi ribadito che a suo parere non c’è stata alcuna violazione delle norme - in dettaglio l’articolo 114 del Codice di procedura penale - in quanto “la persona fermata non è riconoscibile visto che nella fotografia originale è stato coperto il volto dell’uomo e non sono state riportate le sue generalità. E in ogni caso si tratta di una persona che ha aggredito due agenti”. Per il sindaco si Opera si tratta soltanto di una “speculazione politica”. Intanto però sulla pagina social della polizia locale di Opera sono molti i commenti dei cittadini indignati per la spettacolarizzazione dell’arresto da parte dei vigili e per il mancato rispetto della persona fermata: che un uomo “venga messo al gabbio e fotografato tipo animale da esporre al pubblico ludibrio ci riporta alla pre-civiltà - ha scritto un utente di Facebook. Mi domando se il fermato fosse stato bianco di buona famiglia se il pensiero di esporlo come trofeo vi sarebbe balenato lo stesso. Mah. Che tristezza”. Intanto altri utenti hanno chiesto la rimozione immediata della fotografia che “offende la dignità di quest’uomo”. La condanna arriva prima dell'arringa. Ci mancava solo il processo senza difesa di Luca Fano Il Giornale, 22 dicembre 2019 Il legale dell'imputato: “Non avevo parlato, non so cosa sia accaduto”. Incredibilmente, la sentenza è valida. Anche se il giudice l'ha strappata dopo averla letta, rendendosi conto di averla fatta grossa e anzi enorme; e anche se lui e i suoi colleghi si sono precipitati a chiedere di essere sollevati dal processo. Ma il processo è finito. E adesso il giudice Roberto Amerio, presidente di sezione del tribunale di Asti, e i due magistrati che gli stavano accanto, dovranno scrivere le motivazioni più difficili della loro carriera: spiegando come siano riusciti a dichiarare un imputato colpevole prima ancora di ascoltare la parola del suo difensore; come abbiano potuto infliggere undici anni di carcere a un uomo dimenticandosi che il suo avvocato doveva ancora pronunciare l'atto più importante di tutto il processo, l'arringa difensiva. Non era un processo da poco. Davanti a sé i magistrati avevano una vicenda da brividi: un padre e una madre accusati di stupro ai danni della loro figlia. Entrambi i coniugi si sono sempre, ostinatamente, proclamati innocenti, respingendo tutte le accuse. “Il mio assistito - racconta l'avvocato dell'uomo - ha chiesto per due volte di essere interrogato dal pubblico ministero durante le indagini preliminari, e durante il processo sono emersi una lunga serie di elementi a sostegno della sua versione. È una vicenda quantomeno controversa, e io mi preparavo a chiedere l'assoluzione del mio assistito”. Il pubblico ministero, la parte civile e la difesa della madre avevano già parlato nell'udienza precedente. L'arringa del legale del padre, l'imputato principale, si annunciava lunga: per questo giudici e avvocati avevano concordato di rinviare l'udienza al 18 dicembre, ore 12. E il 18 accade l'inverosimile: pochi minuti dopo mezzogiorno i giudici entrano in aula e anziché sedersi e dare la parola al legale dell'imputato, restano in piedi. Amerio ha ìn mano un foglio e inizia a leggerlo: “In nome del popolo italiano, visti gli articoli...”. I presenti impiegano qualche attimo a rendersi conto di quanto sta accadendo. Ma non ci sono dubbi: il giudice sta leggendo la sentenza. Ed è una batosta: quattro anni alla madre, undici anni al padre. Appena Amerio finisce di parlare e fa per andarsene, l'avvocato lo ferma. “Io dovevo ancora parlare”. I giudici si bloccano, si guardano tra loro, poi il presidente cerca di mettere una toppa peggiore del buco: strappa la sentenza e invita l'avvocato a fare la sua arringa, come se nulla fosse. Come se non ci fossero registrazioni, cancellieri ed avvocati a dimostrare che la sentenza era già stata emessa. “Non so cosa sia accaduto dietro le quinte - dice l'avvocato - se si fossero riuniti in camera di consiglio prima dell'udienza per decidere, o se avessero deciso già dopo l'udienza precedente. Sono entrati in aula uscendo dalla camera di consiglio ma non posso sapere da quanto fossero dentro”. Una sola consolazione: l'imputato non era in aula a vedere con i suoi occhi come funziona la giustizia in Italia. Una giustizia dove dei giudici tengono così conto delle parole dei difensori da non ricordarsi se le hanno già sentite. Sassari. Detenuti maltrattati a Bancali: gli episodi confermati dagli operatori di Andrea Busia L'Unione Sarda, 22 dicembre 2019 Cinque casi in pochi mesi, verifiche in corso. Hanno già iniziato a raccogliere informazioni in carcere: gli investigatori sono al lavoro sui presunti maltrattamenti ai danni di alcuni detenuti di Bancali. La Procura di Sassari e il Dap hanno affidato il caso al Nucleo di polizia giudiziaria della Polizia penitenziaria. Stando a indiscrezioni, agenti arrivati da Cagliari hanno sentito come persone informate sui fatti, detenuti e operatori del carcere sassarese. Le verifiche riguardano la gestione dell'ex comandante della Polizia penitenziaria, Gianluca Colella, il cui incarico nell'istituto sardo è stato sospeso in via precauzionale qualche settimana fa. Come era facilmente intuibile dal contenuto del provvedimento di sospensione (che parlava di un atto necessario) l'inchiesta è partita e, sempre stando a quanto trapela dalla Casa circondariale di Bancali, gli investigatori avrebbero già acquisito elementi su cinque episodi avvenuti negli ultimi mesi. Il caso è scoppiato dopo che alcuni detenuti hanno segnalato le modalità particolarmente dure delle perquisizioni nelle celle e, circostanza tutta da verificare, attività di controllo sui reclusi filmate con uno smartphone. Giudice di sorveglianza - I primi a muoversi sono stati i magistrati del tribunale di Sorveglianza di Sassari, che avrebbero sentito subito le presunte vittime dei maltrattamenti. Quindi le segnalazioni sono arrivate alla Procura e al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. A quanto pare, tra le persone sentite nei giorni scorsi ci sarebbero operatori in forze all'Istituto sassarese, soggetti che avrebbero confermato le segnalazioni dei detenuti. L'avvio delle indagini arriva in un momento molto difficile per la casa circondariale di Bancali. Il clima è pesante, il personale della Polizia penitenziaria lavora senza un comandante e con una direttrice costretta ad occuparsi di altri due istituti. Ieri il Garante dei detenuti del Comune di Sassari, Antonello Unida, ha pubblicato un posto sul suo profilo Facebook: “Oggi giornata veramente difficile a Bancali. Qui, in questi giorni di festa, l'aria è “molto pesante”. Qualcuno tempo fa, disse che la città è distante dall'Istituto. Beh, oggi due tentativi di suicidio, prontamente sventati dalle forze di Polizia penitenziaria. Così non si può andare avanti”. Il caso del 41bis - Unida nei giorni scorsi aveva anche denunciato: “Nonostante una forte presenza di persone in stato di detenzione nel 41bis, qui nel nostro territorio non è presente il Servizio di Assistenza Intensiva (S.A.I.) che possa essere utilizzato a tutela della loro salute. Certe situazioni non si possono più procrastinare, non si possono rimandare ulteriormente la nuova nomina del direttore e del comandante”. I sindacati della Polizia penitenziaria continuano a chiedere l'intervento del Dap e in particolare del provveditore regionale. Nei giorni scorsi il delegato del Sappe, Antonio Cannas, aveva lanciato l'ennesimo allarme. E adesso la Casa circondariale di Bancali è al centro di un'inchiesta penale e di una amministrativa. Brescia. In centro apre lo Sportello di ascolto per ex detenuti e familiari bsnews.it, 22 dicembre 2019 È stato inaugurato ieri (venerdì 20 dicembre) lo Sportello di ascolto e consulenza, per ex detenuti e familiari, che Fiducia e Libertà ha voluto aprire in vicolo Paitone n. 47 (traversa di via Capriolo) a Brescia. Un traguardo importante per i volontari dell’Associazione che sono riusciti a realizzare questo spazio nel cuore della città grazie anche al prezioso sostegno ricevuto dall’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Brescia, Roberta Morelli, e al generoso contributo di Ubi Banca, Fondazione Oltre di Cuore Amico, Fondazione Bonoris. Lo sportello ospita i locali dove i volontari lavoreranno e porteranno avanti i progetti rivolti agli ex detenuti e ai loro famigliari, un segno di continuità verso il recupero di chi esce dal carcere e deve affrontare di nuovo la vita oltre le sbarre ricominciando daccapo. “L’idea di realizzare uno Sportello come quello inaugurato oggi - ha detto la Presidente di Fiducia e Libertà, Danila Biglino - è dettata anche alla volontà di dare continuità ai laboratori di genitorialità che si svolgono attualmente per i detenuti in carcere. Un ringraziamento particolare a chi ha contribuito alla realizzazione di questo luogo, al sostegno ricevuto dall’Assessore alle Pari Opportunità del Comune di Brescia, Roberta Morelli, e ai volontari che dedicano il loro tempo per le attività dell’Associazione”. Si tratta di un ulteriore tassello, un proseguimento dei progetti rivolti ai detenuti realizzati dall’Associazione Fi.li, due laboratori che coinvolgono ad oggi 30 detenuti. Lo Sportello di ascolto e consulenza per ex detenuti e loro famigliari è aperto tutti i giorni di martedì e giovedì dalle 9.30 alle 12.30, il sabato si riceve su appuntamento. Per maggiori informazioni 3200004943, assfiduciaeliberta@libero.it. Avellino. Cif, giochi in dono ai figli dei detenuti nuovairpinia.it, 22 dicembre 2019 Questa mattina il Centro Italiano Femminile di Aiello del Sabato e Avellino consegnano 9 giochi personalizzati ai figli delle detenute di Lauro e si preparano a consegnare i doni in vista dell'Epifania alla Casa di Reclusione di Sant'Angelo dei Lombardi. Cif, giochi in dono ai figli dei detenuti. Vola alto la raccolta dei giochi usati aperta dal Centro Italiano Femminile comunale di Aiello del Sabato, tanto che questa mattina ha consentito la consegna di 9 giochi personalizzati ai bambini che vivono nella struttura circondariale di Lauro, insieme ad altri giochi che resteranno a disposizione della struttura di Bellizzi ad Avellino. La consegna è avvenuta da parte delle due presidenti dei Cif di Aiello Costantina Della Sala e di Avellino Francesca Archidiacono, ricevute dal direttore della Casa Circondariale di Avellino Paolo Pastena, e che hanno contribuito a regalare un po’ di serenità ai figli delle detenute. “In qualità di presidente del Cif di Aiello, ho lanciato l’iniziativa della raccolta dei giochi usati sia per strutture adibite alla formazione- che alla socializzazione secondaria e primaria-, sia per il riciclo e riutilizzo dei giochi, tesi alla salvaguardia dell’ambiente, e ad evitare l’acquisto di oggetti nuovi” spiega Costantina Della Sala. “Oltre a queste motivazioni, c’è un gesto di solidarietà di fondo che trovato una grande risposta e disponibilità da parte di famiglie e persone che hanno donato con grande spirito di condivisione. Abbiamo destinato i giochi a famiglie e strutture e, stamattina abbiamo donato ai bambini che vivono nella struttura penitenziaria a Lauro. Sono stati consegnati 9 giochi personalizzati, poi altri sono stati invece consegnati a Bellizzi, presso la Casa Circondariale per i bambini che accedono per i colloqui. L’infanzia è un momento da preservare: tutti i bambini hanno diritto a vivere l’infanzia e il gioco è fondamentale, quindi abbiamo deciso di dedicarci a quelle strutture per alleggerire la condizione di grave disagio di quei bambini che si trovano a vivere certe condizioni” conclude. La solidarietà però, non si esaurisce con le festività natalizie: la raccolta dei giochi proseguirà fino al 6 gennaio, ovvero fino alla consegna dei giochi alla Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi, dove il Cif di Avellino e di Aiello stanno organizzando la consegna per l’Epifania. “Il Cif provinciale ha sposato e supportato la lodevole iniziativa del Cif comunale di Aiello perché incarna la solidarietà e lo spirito cristiano che da sempre sono segno distintivo dell’associazione” spiega la presidente del Centro di Avellino Francesca Archidiacono. “L’azione del Cif è radicata profondamente nel tessuto sociale e interagisce e collabora con le varie istituzioni, operando con competenza, sensibilità e consapevolezza. Pertanto, il progetto promosso dal Cif di Aiello di raccogliere giocattoli da donare ai figli delle detenute, mette la solidarietà al promo posto, nel periodo dell’anno che più di ogni altro parla di amore e vicinanza. Oggi i Cif hanno consegnato questi doni alla Casa Circondariale di Bellizzi, e per l’Epifania consegneremo altri giocattoli alla Casa di Reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi. Le attività di raccolta quindi non si fermano” sottolinea l’avvocato Archidiacono. Il Centro Italiano Femminile di Aiello, intanto, ringrazia le strutture che hanno messo a disposizione i punti raccolta, l’associazione Terra Viva Project, il Cif Avellino nella persona della Presidente Provinciale Francesca Archidiacono e alla Direttrice del Consultorio Familiare del Cif di Avellino Wanda Della Sala, a tutte le volontarie del Cif Aiello che si sono impegnate. Non date il porto d’armi a chi ha problemi psichici di Luca Di Bartolomei L'Espresso, 22 dicembre 2019 Sulle detenzioni e sul porto d’arma c’è meno controllo che sulla patente di guida. E nessuna norma permette di mettere in connessione l’uso di farmaci per i disturbi psichiatrici con la possibilità di avere un revolver o un fucile. Ma quanto disagio e quante angherie siamo in grado di sopportare prima di metter in pausa la razionalità? In un paese dove il declino del senso civico è costante ed orizzontale queste domande restano in attesa di risposta mentre il carico di frustrazione e aggressività cresce e spaventa. Come la scorsa settimana, quando tornando verso casa mi sono imbattuto in un paio di universitari che molestavano un povero cristo addormentato in una strada d’angolo dietro al Verano, il cimitero monumentale di Roma. Due ragazzi così miseri e violenti da prendersela con un disgraziato “per fare serata”. Due ragazzi che di colpo si sono trovati davanti un gruppo di adulti, normali fino un attimo prima e poi d’istinto rabbiosi per quanto avevano visto. Più che la cattiveria di quei due, a colpirmi è stata la violenza della nostra reazione: noi, in gruppo, per poco non prendevamo a botte due ventenni stupidi. E ripensare a quell’istinto di “farsi giustizia” mi produce vergogna. Galleggiamo in una narrazione tossica dove l’unico paradigma sembra l’affermazione di sé, costi quel che costi. La menzogna di un successo inteso come fama, soldi e potere alla portata di tutti quelli che hanno il “coraggio” di prenderselo a scapito dell’altro sta definitivamente annientando quel minimo senso di comunità che era rimasto. E tutta questa distanza fra una falsa percezione di benessere e la mediocre quotidianità di tanti ci peggiora, ci incattivisce. Un paese disgregato, ogni giorno psicologicamente più fragile; e non è un caso se ci confessiamo come una nazione che torna a desiderare l’uomo forte. La nostra intolleranza alla vista del disagio, sia momentaneo o cronicizzato ad esempio per una malattia mentale, dovrebbe preoccuparci molto. Mostriamo sempre maggiore reticenza alla solidarietà, facendo di tutto per rimuovere ogni rappresentazione di malessere, addirittura accettando la rinascita di lager sull’altra sponda del Mediterraneo. Disagio, solitudine, incertezza, rabbia sono sensazioni diffuse come moneta corrente e forse non bastano più a dare le coordinate di un malessere profondo. Il sintomo più drammatico e radicale personalmente lo ritrovo osservando le statistiche di suicidio. Gli ultimi dati dell’Istat parlano di 12.877 fra il 2014 e il 2017. Otto su dieci sono stati compiuti da uomini. Ma cosa ancora peggiore sono giovani: quella dell’abbassamento dell’età nella quale questi tentativi sono messi in atto è forse la più triste delle novità. Tanto la cattiveria si è diffusa fra gli italiani quanto la sensibilità diventata una colpa. Giovani e anziani, ceti sociali fragili nei quali sono più intensi i sentimenti di solitudine, insicurezza e incertezza. E poi, ovviamente, come agnello sacrificale le donne: in questo caso vittime predestinate di ogni fase storica in cui paura e rabbia rendono i maschi ossessionati. Ma se non inserissimo tutto questo in un contesto politico compiremmo un enorme sbaglio: in una cornice sociale ad alta infiammabilità dove il futuro spaventa e la prima preoccupazione riguarda il lavoro come strumento di sopravvivenza e non più di miglioramento viene da chiedersi se la riforma della legislazione sulla legittima difesa e sulle armi non rappresenti un gigantesco fattore di rischio. Una normativa che se da un lato non ha fondamento nei numeri (in costante riduzione) dell’Italia criminale, dall’altro rappresenta la soddisfazione di questa rabbiosità diffusa: la possibilità di farsi una propria “giustizia”. Senza dimenticare un aspetto essenziale: che la paura è un sentimento classista, perché colpisce maggiormente chi non ha gli strumenti culturali per elaborare fatti e contesti che gli consentirebbero di ridimensionare le proprie preoccupazioni. Sulle detenzioni e sui porto d’arma c’è meno controllo che sulla patente di guida. In pochi ad esempio si preoccupano di revocare un porto d’arma a chi è stato oggetto di un Trattamento sanitario obbligatorio e nessuna norma permette di mettere in connessione l’uso di farmaci per il controllo dell’ansia, della depressione o più in generale di disturbi psichiatrici con la possibilità di avere a casa, dentro un cassetto, un revolver o un fucile. Eppure in una società in cui crescono gli elementi di incertezza, di solitudine e di senso di abbandono, maggiore dovrebbe essere il controllo sulle armi, sulla loro diffusione e sul loro uso. E la cronaca settimanale, da Palermo a Udine passando per Esperia e Nettuno, ce lo ricorda visto che già oggi i legali detentori di armi uccidono più della mafia. Per fronteggiare quella che la sanità statunitense considera “un’emergenza di sanità pubblica” (American Medical Association 2018) e che nel prossimo decennio stima “oltre un milione di americani feriti o uccisi da una pistola”, un ruolo speciale (insieme alle forze di polizia) dovrebbero svolgerlo coloro che - come i medici - sono più vicini alle famiglie, alle loro necessità, avendo gli strumenti per cogliere le condizioni di salute della mente, le capacità di comprendere e valutare le situazioni di pericolo e di misurare le proprie reazioni (Bauchner Jama 2017, Taichman 2017). “Medici dei cittadini”, ha detto recentemente Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), “garanti di quei diritti, di quei principi e di quelle libertà che sono alla base della nostra democrazia”. Se il dovere principale del medico è la tutela della vita, tra i tanti fronti aperti per la professione dovrebbe trovare spazio anche questo: in tutti i Paesi dove le armi da fuoco sono più facilmente accessibili, alle persone accade un maggior numero di incidenti, si compiono più omicidi e il tasso di criminalità è più elevato. In un momento in cui la sanità vede anche i propri operatori direttamente colpiti da una escalation di violenza e chiede l’adozione di soluzioni volte a garantire la sicurezza dei medici, riaffermare i valori etici di rispetto e solidarietà domandando una maggiore cautela nell’accesso alle armi da fuoco da parte dei cittadini è un’urgenza non più rinviabile. Decreto sicurezza 1, la borghesia mafiosa ringrazia di Tonino Perna Il Manifesto, 22 dicembre 2019 Cosche e politica. Le norme volute da Matteo Salvini modificano il destino dei beni confiscati alle 'ndrine: quelli di valore superiore a 400 mila euro vengono messi all’asta e quelli di valore inferiore dati a trattativa privata. Prima la maxi-operazione contro la ‘ndrangheta condotta dal Gratteri con 334 arresti e 5 divieti di dimora, il giorno dopo gli arresti eccellenti in Piemonte con gli stessi capi d’imputazione e il solito intreccio tra ‘ndrangheta, politica, imprenditori. Ormai è chiaro: non c’è regione italiana dove non sia penetrata la ‘ndrangheta, dove non abbia messo le mani sul potere economico e politico. Lo sappiamo da anni, ma ogni volta ci stupiamo perché è difficile ammetterlo: il nostro Paese è in buona parte governato da ‘ndrangheta, camorra, mafia e sacra corona unita, che si sono trasformate da arcaiche organizzazioni criminali, legate a vecchi riti e tradizioni locali, in borghesia mafiosa capace di gestire flussi di denaro enormi. Una classe sociale, emergente già negli anni Settanta, che grazie allo straordinario sviluppo nel mercato delle droghe, è riuscita ad accumulare enormi capitali che ha reinvestito in attività legali e nella corruzione degli apparati pubblici. Senza voler giustificare questo fenomeno, si può dire che questa è stata la risposta del Sud, impoverito e abbandonato dallo Stato, una sorta di Nemesi storica. Sicuramente lo è stato per il cuore della ‘ndrangheta più potente, quella del triangolo Africo-Platì-San Luca, dove numerose famiglie di pastori sottoposti allo sfruttamento feroce dei proprietari terrieri (ancora negli anni Cinquanta venivano pagati in natura e vivevano come “sardine” in scatola, in casupole malsane) hanno abbracciato la via criminale al capitalismo, prima con i sequestri di persona (anni Settanta) e poi con il controllo crescente del mercato della droga. La loro forza sta nella rabbia sociale, nella coesione del clan familiare, nella sete di potere. Così in trent’anni sono diventati talmente potenti da aver sostituito la mafia siciliana nel controllo del mercato a più alto tasso di profitto: quello della cocaina. Come ci ha insegnato il grande Fernand Braudel il motore del capitalismo è l’extra-profitto, grandi rischi e grandi profitti, che si basa su uno scarto di informazione tra domanda e offerta. I mercati illegali - droga, armi, rifiuti tossici, beni archeologici - offrono una grande opportunità per accumulare in tempi brevi grandi capitali e quindi guidare, attraverso gli investimenti, il processo di accumulazione capitalistico. Ed è nel nostro Paese che questo processo si è registrato trovando una resistenza ondivaga da parte dello Stato, con alcuni suoi servitori che ci hanno rimesso la vita ed altri che sono entrati in rotta di collusione con le mafie. Come è noto, siamo il Paese che ha la migliore legislazione antimafia, grazie al sacrificio di Pio La Torre (1982) che ha fatto varare dal Parlamento italiano la prima legge al mondo che prevede il sequestro dei beni dei mafiosi. Successivamente, grazie al grande impegno di Libera con la legge 109/96 i beni confiscati alla borghesia mafiosa devono essere utilizzati a fini sociali. Una vera e propria rivoluzione in un Paese capitalistico: una redistribuzione della ricchezza dal capitale mafioso alle cooperative sociali, associazioni, enti pubblici. Complessivamente, in questi ultimi venti anni sono migliaia i beni confiscati per svariati miliardi, in Calabria e nel resto d’Italia, per un valore di circa 30 miliardi al 2018. Questa guerra alla ‘ndrangheta ha portato come primo risultato la fuga dei capitali mafiosi dalla Calabria, che nell’ultimo decennio si sono trasferiti decisamente verso il Nord Italia, Europa, e resto del mondo. Su quello che si stima come fatturato annuo di 55 miliardi, la ‘ndrangheta ne realizza 44 nel Nord Italia ed Europa. Il secondo effetto è stato quello della chiusura in Calabria di ipermercati, alberghi, ristoranti, aziende agricole, ecc. Purtroppo, la lentezza burocratica ha impedito che una parte significativa di questi beni (circa 17.000 devono essere ancora assegnati!) fossero valorizzati e spesso sono stati portati al fallimento, con la relativa perdita di migliaia di posti di lavoro in una terra con un altissimo tasso di disoccupazione. Risultato finale: la benemerita azione repressiva dello Stato da sola non solo non basta, ma è addirittura controproducente sul piano del consenso sociale. Ci vorrebbe un grande intervento pubblico compensativo, con assunzioni in settori chiave della Pa (sanità, servizi sociali, Università, ecc.) e investimenti mirati alla valorizzazione delle imprese “sane” sopravvissute. Ed invece… Arriva il dl 113/18, noto come Decreto Sicurezza 1, con cui i beni confiscati di valore superiore ai 400 mila euro vengono messi all’asta e quelli di valore inferiore dati a trattativa privata. Fantastico! Ecco come e perché la Lega ha riscosso un grande successo elettorale alle ultime elezioni. Siamo ad una svolta storica: o va avanti il contrasto alla borghesia mafiosa attraverso un processo di redistribuzione della ricchezza e un intervento fattivo dello Stato che risponda ai bisogni sociali delle popolazioni meridionali, oppure il capitale mafioso si riprende i beni confiscati e fa una bella pernacchia alle istituzioni. Salvini anti-giudici: “Attaccano il popolo Processateci tutti” di Carmelo Lopapa La Repubblica, 22 dicembre 2019 Il presepe in una mano, la dava nell'altra, soprattutto contro i giudici. Matteo Salvini battezza così la sua nuova, personalissima Lega. Costruita ad hoc per lanciare la corsa a Palazzo Chigi, sotto gli occhi sconfortati e impotenti di Umberto Bossi, comparso a sorpresa nel salone da 500 posti dell'hotel Da Vinci nell'estrema periferia milanese. Tre ore e appena 126 delegati possono bastare per scindere le due leghe, la bad company condannata in processo e debitrice dalla “cosa” di Salvíni. Sarebbe il primo partito d'Italia, il salone è per metà vuoto. Il Senatur entra senza preavviso in sala su sedia a rotelle, spinto dalla vecchia guardia, è accolto da una standing ovation. Salvini gli stringe la mano, non plaude al ruggito del vecchio leone, ma lo abbraccia quando va via. Poi, quando Bossi è già fuori, lo attacca: “Di passato si muore, bisogna guardare avanti”. La minoranza di Gianni Fava ha disertato, Roberto Maroni, non pervenuto, ha avvertito attraverso un'intervista alla Stampa che il Nord non rappresentato rischia di dar vita a un soggetto diverso. La vecchia Lega Nord per l'indipendenza della Padania resta in vita ma, come spiega ai congressisti l'uomo dei cavilli Roberto Calderoli, giusto perché “abbiamo un impegno da rispettare con la procura di Genova”. Appena 49 milioni di euro da restituire allo Stato, come ricordano fuori dall'hotel le poche decine di sardine mobilitate in un flash-mob che è un mezzo flop, complice il maltempo. Dentro, l'approvazione del nuovo statuto è storia di pochi istanti, il tempo di un'alzata di mano, unanimità e via, nel partito del capo funziona così. Del verde Lega old style non c'è più traccia. Sullo sfondo la scritta “Congresso federale” senza nemmeno la parola Lega (per evitare disparità tra vecchia e nuova). Resta un grande Alberto da Giussano, lo stesso che campeggia in oro sul bavero delle giacche delle decine di parlamentari. Non si vedono più nemmeno le cravatte, color verde. Il logo della Lega “Salvini premier” è SU un blu scuro assai trumpiano. Il governatore Luca Zaia prende la parola per insultare i 5 stelle: “Il Paese non può avere i grillini sulle palle, hanno alimentato odio sociale”. Parla e torna in fretta in Emilia l'aspirante governatrice Lucia Borgonzoni. Prende la parola e quasi uccide il congresso con 30 minuti di sermone il nuovo l'ex ideologo M5s e ora sovranista Paolo Becchi. Quando prende la parola Giancarlo Giorgetti, dopo cotanti relatori, sembra De Gasperi. Ma è l'ex vicepremier a monopolizzare la scena e a trasformare la tribuna nel più personale e autoreferenziale dei comizi (in 45 minuti). Show in chiave anti giudici nel solco del primo Berlusconi “perseguitato” dalle toghe. Chi osa processarlo attenta alla “sovranità nazionale e del popolo: se è così, processateci tutti”. Fa votare per alzata di mano il ricorso all'“autodenuncia di massa” per sequestro di persona se il 20 gennaio in giunta al Senato dovessero davvero votare la sua autorizzazione a procedere. Perché “è vergognoso per un Paese civile processare chi ha difeso i confini”. Dunque, “se pensano di impaurirmi con la minaccia del carcere, hanno sbagliato persona”. È la magistratura che non rispetterebbe la separazione dei poteri: “Se qualcuno vuol fare politica, si candidi come sempre col Pd”. Poi, anche qui in pieno stile berlusconiano, sferza un secondo attacco, stavolta alla Corte Costituzionale che a metà gennaio si pronuncerà sulla loro richiesta di referendum per abrogare la parte proporzionale del Rosatellum: “Contiamo che i giudici supremi non scippino questo diritto di democrazia al popolo italiano”. È un crescendo dai toni a tratti inquietanti, in cui la sua battaglia diventa la battaglia della “libertà contro la dittatura”. La Lega, in questa visione onirica, diventa “l'unica ancora di salvezza per il popolo cristiano dell'Occidente”. C'è da preoccuparsi? Ma no, rassicura i giornalisti Giorgetti a fine lavori. “C'è un nuovo conservatorismo occidentale, in stile Trump e Boris Johnson”. Prima di chiudere, Salvini trova il tempo per una strigliata contro i troppi “pigri” e gli “assenti” al congresso, forse stanco di fare tutto da solo. E per minacciare un altro colpo alla Costituzione: “Quando torneremo al governo cancelleremo i senatori a vita”. E infine per una nuova convocazione di piazza, il 18 gennaio, a una settimana dalle regionali, stavolta a Maranello, alle porte di casa Ferrari, “tutti vestiti di rosso, per esaltare l'Italia del sì e dell'ingegno”. Per adesso stop alla campagna elettorale permanente, giusto perché è Natale. Ai governatori e ai parlamentari il dono di un vino “Sforzato della Valtellina”, tra i preferiti del segretario, con tanto di etichetta da lui firmata. Sipario, tutti a casa. La guerra ricomincia a gennaio, dal fronte emiliano. Spari, dolori e prigionia: l’autobiografia di un esule di Eraldo Affinati Il Riformista, 22 dicembre 2019 Sono tante le testimonianze che i migranti ci consegnano dopo aver superato innumerevoli prove, le-gate ai viaggi e alle dolorose traversie che devono affrontare, traumi umani e linguistici, profonde lacerazioni e possibili ricuciture, ma poche quelle destinate a restare, questo perché in letteratura, come sappiamo, il nucleo tematico, per quanto interessante possa essere, conta poco. A incidere è soprattutto lo stile, il timbro di voce. Soltanto lavorando sul respiro della scrittura si può arrivare a comprendere e far comprendere che quanto accade a un essere umano non riguarda soltanto lui, ma chiama in causa tutti noi. Nessuno può sperare di chiudersi a chiave dentro casa per salvaguardare chissà quali proprietà economiche o culturali. Ogni fiore conservato in bacheca è destinato, prima o poi, ad avvizzire. Shahram Khosravi, esule iraniano fuggito dalla sua patria come obiettore di coscienza e, dopo anni di peregrinazioni fra Pakistan e India, giunto in Svezia dove insegna antropologia all’università di Stoccolma, ha scritto un libro, pubblicato nel 2010 e solo oggi tradotto dall’inglese da Elena Cantoni, che ha pochi uguali: in originale s’intitolava ‘Illegal’ Traveller, An Auto-Ethnography of Borders, da noi “Io sono confine” (Elèuthera, pp. 238, 18 euro). Le vicende richiamano quelle tipiche dei profughi: il distacco dalla famiglia, la vita all’addiaccio, gli arresti, le perquisizioni, persino le sparatorie (come il colpo di pistola che il protagonista riceve in pieno viso, vittima di un razzista seriale), reclusioni anche in capo al mondo (la detenzione nel campo di prigionia di Kiruna, oltre il circolo polare artico). Eppure la dimensione riflessiva e speculativa non viene mai meno, al punto che si passa dai toni del romanzo a quelli del saggio. L’autobiografia è ancorata a un ricco corredo bibliografico che comprende i più grandi pensatori occidentali, da Walter Benjamin e Edward Said, ai quali il testo è dedicato, fino a Jacques Derrida e Giorgio Agamben, come se l’autore, dopo aver assorbito gran parte della cultura critica occidentale, avesse fatto ricerca diretta-mente su sé stesso. Ne consegue un’opera per molti versi incasellabile: i librai, lasciandosi guidare dall’etichetta esterna, la collocano negli scaffali delle ricerche etnografiche, accanto a Malinowski e Levi-Strauss, tanto per intenderci, ma in realtà la sua posizione più azzeccata dovrebbe essere nella sezione di narrativa. La tensione emotiva si forma nei giorni trascorsi nelle misere stanze dell’hotel Shalimar di Karachi, in attesa di varcare nuove frontiere, sotto i vecchi ventilatori che ruotano lenti sui soffitti recando poco sollievo dal vento bollente e diventa sempre più forte fra la comunità di nullafacenti che ruota intorno a Defence Colony, quartiere di New Delhi, dove accanto alle prestigiose sedi-fortezza delle più importanti ambasciate, vive e prospera un mondo straccione e disperato ai margini del mercato ortofrutticolo. Shahram si aggira fra trafficanti e spacciatori, poveri vagabondi e guardie doganali, clandestini e poeti, nel tentativo di trovare una casa dove abitare, una lingua in cui esprimersi, una famiglia che possa accoglierlo. Solo in Svezia comincerà ad elaborare ciò che gli è capitato. Non sarà facile ricomporre i pezzi dell’esistenza distrutta. Alla fine due famosi racconti di Franz Kafka lo aiuteranno in questa azione di consapevolezza, non senza lasciar crescere nel suo animo un sentimento amaro e sconsolato. Il primo è Davanti alla Legge: la storia di un contadino il quale trascorre l’intera vita in attesa di varcare la soglia in grado di farlo entrare nel mondo della giustizia, salvo scoprire alla fine dall’usciere che glielo impediva una verità sconcertante: la porta rimasta per sempre chiusa in realtà sarebbe stata destinata solo a lui. Il secondo, La tana, l’ultimo testo di Kafka, evoca un uomo-animale, schiacciato alle pareti del nascondiglio, alle prese con un probabile nemico che, dopo essere riuscito a intrufolarsi, forse vorrebbe ucciderlo. Morti 18 detenuti in Honduras durante una rivolta in carcere L'Osservatore Romano, 22 dicembre 2019 Sono almeno diciotto i detenuti morti e venti quelli rimasti feriti ieri pomeriggio nel corso di un probabile scontro tra bande avvenuto nel carcere di Tela nella regione costiera di Atlàntida in Honduras. Al momento le autorità hanno riferito di non conoscere la motivazione della sparatoria. Dovranno inoltre essere stabilite le modalità dell'ingresso nella prigione delle armi usate nello scontro tra i prigionieri. Martedì scorso il governo del paese caraibico aveva dichiarato lo stato d'emergenza per il sistema carcerario nazionale, dopo diversi episodi di violenza negli ultimi mesi a causa di problemi di sicurezza nelle carceri. Misura che aveva comportato la sospensione dei direttori civili delle carceri, sostituiti da una commissione speciale guidata da ufficiali militari e agenti di polizia. Tuttavia, il trasferimento del controllo alla commissione speciale non era stato ancora completato al momento della sommossa nella prigione di Tela, ha dichiarato José Coello, portavoce del nuovo sistema di comando del penitenziario. Coello ha poi precisato che le forze di sicurezza si sono rapidamente schierate in prigione per ripristinare l'ordine e avviare un'indagine.