Populismo, vero o virtuale? camerepenali.it, 16 agosto 2019 In questo preciso momento, nel nostro paese, il populismo non rappresenta più una moda o una corrente di pensiero, ma è divenuta una vera e propria forma di governo. Gli eletti dal popolo sono così profondamente legati al suo sentire da non aver più in mente quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale, ovverosia realizzare il programma che li ha premiati e costretti ad una improbabile ed ibrida coalizione. Ed ecco che è arrivata la crisi, già da tempo preannunciata. E con essa continua la ricerca dello share, la condivisione della gente, coltivando anche il più basso istinto della base elettorale, convinti del fatto che soltanto una propaganda continua, incessante e proficua può salvare seggi e potere. Oggi un “twitt” ed un “post” ministeriale vale più di ogni programma politico organico, ancor più se risulta sovversivo di valori di rango costituzionale, se incita all’odio e getta benzina sul fuoco, perché questa è la vera cartina tornasole del gradimento degli elettori. Se sol potessero, coloro che stanno al governo, salterebbero la mediazione della stampa con i cittadini, per poi riuscire ad esprimere sempre di più una propaganda senza filtri. Il famoso quarto potere ha allora, sulle spalle, una forte responsabilità perché rappresenta uno degli argini principali a questa pericolosa deriva giustizialista ed illiberale che ogni giorno attenta allo stato di diritto. Ciononostante l’ansia da scoop determina sempre più spesso il mancato controllo della notizia, provoca fake news sensazionali, e alimenta l’istinto, la frustrazione e l’odio dell’uomo comune, colpendolo alla pancia, senza più costringerlo a riflettere, esponendolo senza protezione al più becero motto elettorale. Se un povero carabiniere viene ucciso in servizio, si dà immediatamente la colpa agli immigrati e a chi li salva dai flutti, anche se poi risulta che i due principali indagati, siano, in realtà, giovani cittadini americani di buona famiglia. Poco importa, “debbono marcire in galera!” dicono i twitt ministeriali, e così, se viene divulgata un’immagine di uno dei due indagati bendato e ammanettato ad una poltrona prima di aver visto un avvocato e un giudice, si tratta di un gioco innocuo non di un trattamento illegale e disumano, come dicono le leggi sovraordinate. Al diavolo la presunzione di innocenza! È stato ucciso un Carabiniere e c’è sol da sperare che gli avvocati non utilizzino un volgare cavillo per invalidare il processo e che i due americani non la facciano franca come quella…..assassina di Amanda, dice il popolo. Un popolo che da tempo non crede nella giustizia, non rispetta le sentenze di segno contrario a ciò che si aspetta e che in questi giorni vuol sentir parlare, più di quanto si faccia, ovunque, di Bibbiano, teatro di una delle indagini mediatiche dell’anno, quella denominata “Angeli e Demoni”. Il tema è quello, come sappiamo, delicatissimo, attuale e coinvolgente dei bimbi sottratti alle famiglie per intervento degli assistenti sociali, che diventa sconvolgente ed accende l’animo di ogni genitore non appena viene divulgata la prima falsa (e smentita) notizia che alcuni degli indagati somministrassero ai minori la terapia dell’elettroshock per ricordare e riferire gli abusi e i maltrattamenti subiti nel passato. Clamore su clamore, il Sindaco di Bibbiano, colpito da provvedimento cautelare, dai primi spot mediatici appare coinvolto a pieno titolo nella vicenda, quando si scoprirà, grazie alle parole del Procuratore capo di Reggio Emilia, che egli è totalmente estraneo a qualsiasi condotta lesiva, oltre che alla incriminata gestione delle procedure di affidamento dei minori. Costui che, forse, dovrà rispondere davanti alla magistratura di abuso d’ufficio, sicuramente, oggi, davanti all’opinione pubblica, deve rispondere del fatto di essere iscritto ed espressione del proprio partito politico. Dalle fake news di un procedimento penale nasce così una vera e propria questione politica, per cui le forze di maggioranza addebitano alla sinistra la genesi, la paternità di una metodologia invasiva, affrettata ed interessata, nel trattamento di questi delicatissimi casi. Sul banco degli imputati, invece delle persone indagate, si siede una matrice ideologica lesiva dei valori della famiglia, colpevole di aver forzato troppo, e in modo malvagio, la mano dello Stato. E così gli Haters, sui social, affermano che i “comunisti” mangiano i bambini, fotosegnalano i dodici bastardi (gli indagati) di Bibbiano ed il popolo reagisce con fiaccolate, cortei e grida al linciaggio proprio mentre qualcuno dei principali indagati viene scarcerato per carenza di gravità indiziaria, mentre si svolgono gli interrogatori di garanzia e mentre continuano le indagini. E quel qualcuno, per l’opinione pubblica resterà per sempre colpevole, al di là di ogni ragionevole dubbio, al di là di ogni sentenza favorevole. D’accordo, purtroppo ci siamo abituati. Un’inchiesta giornalistica, per quelle che sono le nostre statistiche, è quasi sempre inquinata dalla presunzione di colpevolezza; tuttavia, se fosse condotta con l’intenzione di capire e non di pregiudicare, se fosse svolta attraverso una ricostruzione meticolosa, se si muovesse fra prove, controlli incrociati, fatti verificabili, potrebbe risultare un primo prezioso disinnesco di questi aberranti meccanismi. Se si evitassero almeno le fake news forse lo sport più in voga del momento nel nostro bel paese, tornerebbe ad essere il calcio e non la cultura dell’odio. L’Osservatorio sull’informazione giudiziaria Ucpi Bonafede: “Tempi brevi e riforma prescrizione. Questo interessa ai cittadini” Il Fatto Quotidiano, 16 agosto 2019 La crisi di governo voluta da Salvini ha fatto saltare il banco anche sulla riforma che il ministro M5s aveva elaborato. Ora è lui stesso a sottolineare le priorità e i rischi: “La riforma della prescrizione è già un traguardo di giustizia e civiltà rispetto al quale non si può e non si deve tornare indietro”. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede mette sul piatto anche i rischi sul fronte giustizia. La crisi di governo voluta da Matteo Salvini ha fatto saltare il banco anche sulla riforma che il ministro M5s aveva elaborato: anzi, è stato l’ultimo scontro consumato tra M5s e Lega prima della rottura. “Tempi brevi della giustizia ed eliminazione delle isole di impunità” che la prescrizione può creare: “È questo quello che interessa ai cittadini ed è su questi obiettivi che lo Stato deve continuare a lavorare senza un attimo di sosta”, scrive Bonafede in un post su Facebook. La sua riforma, bloccata dal Carroccio, prevede di accorciare i tempi dei processi, con un limite massimo fissato a 6 anni. Ora quel progetto è finito nel cestino. Resta solamente l’entrata in vigore a gennaio 2020 della riforma della prescrizione che però un nuovo governo contrario potrebbe facilmente bloccare per decreto. Per questo il Guardasigilli avverte: “I cittadini hanno diritto alla verità e alla giustizia e non accettano che la tagliola della prescrizione possa creare isole di impunità”. La riforma della prescrizione “chiaramente si applicherà ai fatti commessi successivamente ma è già un traguardo di giustizia e civiltà rispetto al quale non si può e non si deve tornare indietro”. Salvini e la Lega hanno a lungo osteggiato il testo di riforma della giustizia chiedendo separazione delle carriere e il bavaglio alle intercettazioni. Ma lo stesso Bonafede aveva accusato il Carroccio di voler fermare tutto proprio perché “il vero nodo” era la prescrizione. Nel suo post su Facebook di oggi, il ministro ricorda quindi le parole di Egle Possetti, presidente del comitato dei familiari delle vittime del ponte Morandi: “Ha chiesto pubblicamente alle autorità che hanno partecipato alle cerimonia ‘di modificare le norme affinché i processi siano brevi e le famiglie possano trovare pacè. Poi ha anche parlato della prescrizione dicendo che ‘crediamo che nessun reato grave come questo possa essere prescritto’“. Il giudice e il decreto sicurezza: “Chiaro, ma incostituzionale” di Luigi Ferrarella Corriere della Sera, 16 agosto 2019 Il Tribunale civile di Milano non consente l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo: “Non si può far dire alla legge qualcosa che non dice, sostituendo il legislatore”. Quelle norme vanno prese sul serio: specie se cozzano con i valori costituzionali. Le leggi di Salvini sull’immigrazione? Inutile cercarne un maquillage per renderle giuridicamente commestibili, vanno invece prese sul serio per quello che scrivono e per come lo scrivono: anche (e anzi proprio) se cozzano con i valori costituzionali. in questo caso sottoponendo le ritenute violazioni al vaglio della Consulta. Ed è quanto il Tribunale civile di Milano fa ora, rimettendo alla Corte Costituzionale la norma del primo decreto sicurezza che da ottobre 2018 nega al migrante, in possesso di permesso di soggiorno per richiesta d’asilo, l’iscrizione all’anagrafe comunale: proprio la norma invece disattesa mesi fa da giudici di Firenze e Bologna e Genova che ne avevano ravvisato una possibile interpretazione costituzionalmente orientata, ricevendo in cambio attacchi personali dal ministro dell’Interno. Per la giudice milanese Laura Massari “non è possibile forzare il dato e far dire alla legge qualcosa di ulteriore e diverso rispetto al suo significato linguistico, neppure nell’apprezzabile intento di ricondurlo entro parametri costituzionalmente accettabili”. Altrimenti i ruoli si invertono, e invece “il giudice non può ricorrere a un espediente atto a legittimare decisioni anti-democratiche, sostituendo la valutazione del giurista, non democraticamente legittimato, a quella del legislatore”. Nel ricorso di un 20enne cittadino siriano (dimorante presso don Rigoldi) contro il Comune di Milano e il ministero dell’Interno, il Tribunale constata che in Parlamento “i lavori preparatori alla legge di conversione”, le “dichiarazioni degli esponenti politici” e le “circolari del ministero” forniscono in maniera “incontrovertibile la chiave di lettura” della “volontà politica”. È un auto-limitarsi già praticato dal Tribunale di Trento quando rigettò la questione in applicazione del decreto, “esito però non condiviso” da Milano “dal momento che la disciplina è discriminatoria e presenta profili non conformi ai dettami costituzionali” degli articoli 2, 3, 10, 77 e 117. Perché “negare l’iscrizione anagrafica significa lasciare l’individuo al margine della collettività, confinandolo in un “non luogo” giuridico e sociale sicuramente limite alla libera e dignitosa crescita della sua personalità”. Perché la norma è “contraddittoria” nel “limitare il controllo dell’autorità pubblica su una categoria di stranieri”, e certo “non facilita l’espulsione degli irregolari”. Perché è “irragionevole e irrazionale” nell’introdurre - rispetto agli altri stranieri - una deroga a sfavore dei soli richiedenti protezione internazionale. Adolescenti a metà, baby gang, povertà educative. Prevenzione e proposte dirimenti di Anna Nelli cronachedi.it, 16 agosto 2019 Le cronache, anche di questi giorni, ci parlano di bande di giovanissimi, che in “branco”, picchiano persone indifese, senza un senso, un preciso scopo, picchiano immigrati, anziani, bagnini, altri adolescenti. Giovani con la morte nel cuore e vuoti valoriali alla base dei loro gesti. Voglio dirvi alcune cose, sicuramente provvisorie e parziali, che ho capito a partire dalla mia esperienza nel privato sociale e da due anni come garante dei detenuti, del fenomeno sociale delle cosiddette “baby gang”. Adolescenti a metà, con un blackout cognitivo, una totale assenza di ispirazioni valoriali, incapaci di riconoscere la risonanza emotiva dei loro gesti. La risposta che spesso la politica dà è cruda: sicurezza in carcere (dicono), senza prendere in considerazione che vi è bisogno di organizzare risposte, di prevenire. A mio parere una società che giudica un minore e dopo averlo giudicato lo mette in carcere è una società malata che sta giudicando se stessa e la propria malattia. Bisognerebbe, secondo il mio punto di vista, innanzitutto selezionarli questi minori, non farne di tutta un’erba un fascio come accade oggigiorno: ci sono quelli che evadono l’obbligo scolastico, quelli che vivono conflitti in famiglia, che vivono nel sottosviluppo economico e sociale, vittime di vuoti culturali, di diritti negati, di politiche deboli. Ci sono, poi, i bulli che si sentono importanti e vogliono farsi notare dalla loro “comunità”; ragazzini che commettono violenze solo per affermare se stessi e marcare la propria presenza sul territorio. Negli anni c’è stato un mutamento del reato: prima i minori venivano arrestati per piccoli furti, oggi incontro ragazzi e ragazze condannati a 15/18 anni per omicidio, per rapina a mano armata. Ed ora vi snocciolo un pò di cifre che possono aiutare i lettori a centrare appieno il fenomeno: nel primo trimestre di quest’anno in tutta Italia, c’erano 11.916 minorenni e giovani adulti in carico ai servizi della giustizia minorile, di questi 1.430 donne. Solo in Campania il numero arrivava a 5.000 unità, sotto la diretta responsabilità della Procura presso i Tribunali per i minorenni di Napoli e di Salerno. 3.772 per indagini sociali e progetti trattamentali. I messi alla prova toccavano le 2.157 unità, in Campania trecento adolescenti. Per i minori la detenzione assume carattere di residualità, per lasciare spazio a percorsi sanzionatori alternativi. Negli ultimi anni si sta assistendo ad una sempre maggiore applicazione del collocamento in Comunità, non solo quale misura cautelare, ma anche nell’ambito di altri provvedimenti giudiziari, per la sua capacità di contemperare le esigenze educative con quelle contenitive di controllo. Gli adolescenti di oggi spesso non sanno perché compiono un reato. Vogliono tutto e subito ed hanno la morte dentro, conoscono 50 parole e le conoscono solo in dialetto, rispetto ai loro coetanei, magari, che ne conoscono mille e sanno anche parlare una lingua straniera. Può solo il carcere essere la risposta che mette tranquillità e sicurezza rispetto alla devianza ed alla microcriminalità? Si pensa davvero che abbassare l’età imputabile sia la soluzione? Secondo il mio parere bisognerebbe, invece, sottrarre il minore ad un contesto familiare che lo spinge verso l’illegalità e farlo prima del reato. A questi ragazzi più attori sociali possono aiutarli a percepirsi come persone in grado di mettersi in gioco, ritrovarsi, senza passare ad un livello criminale superiore. Scuole aperte di pomeriggio, parrocchie accoglienti, educazione civica, strutture sportive aiutano e possono e devono essere la soluzione. Io però l’aggravante di “branco” la inserirei nelle sentenze, il predominio del branco giovanile. presi singolarmente sono altra cosa da quando si mettono in gruppo. Una forma dissuasiva. Così come tutto il discorso sulla patria Potestà per genitori di ragazzi al di sotto dei 14 anni, tolta o sospesa. La potestà è l’obbligo per i genitori di mantenere, istruire ed educare la prole nel pieno rispetto della loro personalità. Questo per diffondere nella collettività, l’idea che entrambi i genitori hanno un ruolo di fondamentale importanza per la crescita dei figli, di cui devono sempre condividere, in modo paritario, le responsabilità. Piemonte: da Alessandria a Torino, il sovraffollamento nelle carceri resta cronico di Carlotta Rocci La Repubblica, 16 agosto 2019 La denuncia del garante dei detenuti Mellano dopo la visita alle Vallette. Nel carcere di Torino ci sono oggi 1310 detenuti quando la capienza massima dell’istituto penitenziario è di 1000 persone (un tempo erano 1.480). È quello che emerge dopo la visita di questa mattina del garante regionale Bruno Mellano e della garante comunale Monica Gallo che hanno aderito all’iniziativa lanciata dal partito radicale e dall’Unione Camere Penali in tutte le 190 carceri italiane. “Ci sono problemi strutturali di alcuni locali, come i bagni e le docce, ma anche stanze sui quali servirebbero investimenti - spiega Mellano - Ma gli investimenti dovrebbero riguardare anche il personale di educatori, agenti e mediatori se l’obiettivo è costruire dei percorsi che abbiano un significato in carcere e non siano solo detenzione e attesa”. Ci sono carceri, come quello di Alessandria dove la popolazione straniera tocca il 70 per cento, e una media del 46 per cento in Piemonte, ben al di sopra del dato nazionale. In Piemonte i parlamentari che hanno deciso di accompagnare i garanti nella visita di ferragosto hanno scelto gli istituti di Novara e Cuneo, dove esiste il regime del 41 bis, e quello di Asti, considerato comunque ad alta sicurezza. A Novara sono andati il deputato Pd Roberto Giachetti e a Cuneo il sindaco Federico Borgna e il suo vice Patrizia Manassero, ex senatrice Pd. Domani il garante Marco Revelli sarà ad Alessandria e sabato a Vercelli con la garante Roswhita Flaibani. “A Torino abbiamo visitato la sezione filtro, quella dove stazionano i sospetti ovulatori, il Sestante, che raccoglie le persone con disagio mentale, il reparto medico e i nuovi giunti. Qui Mellano e Gallo hanno incontrato (“un incontro che non avevamo previsto”, precisa Mellano) i quattro uomini arrestati ieri per il sequestro di una donna in piazza San Carlo che hanno chiesto al garante di poter incontrare i loro avvocati, incontro avvenuto in mattinata. Calabria: “Ferragosto in carcere”, i radicali incontrano i detenuti lacnews24.it, 16 agosto 2019 L’iniziativa coinvolge i penitenziari di Catanzaro, Cosenza, Palmi, Vibo Valentia e Reggio Calabria. In riva allo Stretto anche Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane. Porre al centro i diritti dei detenuti. Questo l’obiettivo della mobilitazione dei penalisti per l’iniziativa “Ferragosto in carcere” promossa dal Partito radicale ed abbracciata dall’Osservatorio Carcere Ucpi. Il progetto partirà oggi, 15 agosto e si concluderà il 18. Per l’occasione, in 17 regioni su 20, 70 luoghi di detenzione saranno visitati da oltre 278 tra dirigenti e militanti del Partito radicale, avvocati dell’Unione Camere Penali, parlamentari, garanti delle persone private delle libertà personali. Le tappe in Calabria - Anche in Calabria saranno effettuate diverse visite a Catanzaro, Cosenza, Palmi, Vibo Valentia e Reggio Calabria. In particolare, a Reggio Calabria, alla casa circondariale “Panzera”, il 16 agosto 2019, sarà presente anche l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, unitamente all’avvocato Gianpaolo Catanzariti, responsabile dell’Osservatorio Carcere Ucpi, agli avvocati Emanuele Genovese, Paolo Tommasini, Giuseppe Belcastro e Giuseppe Cherubino. “La presenza in Calabria, e nello specifico a Reggio, del nostro presidente Caiazza, è il segnale della rinnovata attenzione della comunità dei penalisti italiani verso una regione affamata di diritti, di garanzie e del rispetto dello Stato di diritto, precondizioni essenziali per una crescita sociale, civile ed economica dei nostri territori”, specifica in una nota stampa l’Osservatorio. Lecce: i radicali in visita in carcere, ci sono 400 detenuti in più La Repubblica, 16 agosto 2019 Il tour di Anna Briganti nei penitenziari pugliesi: “Critico aspetto sanitario”. Sono 1.060, a fronte di una capienza complessiva di 660, le persone detenute nel carcere di Lecce. Al sovraffollamento si aggiunge la carenza di organico nella polizia penitenziaria, con 581 agenti in servizio rispetto ai 795 del 2011. Sono alcuni dei dati forniti dalla delegazione del Partito Radicale, guidata da Anna Briganti, che giovedì 15 agosto ha visitato il carcere di Lecce nell’ambito dell’iniziativa “Ferragosto in carcere”. Dei 1.060 detenuti, 83 sono donne, 283 sono detenuti nella sezione “alta sicurezza”, altri 225 malati psichiatrici con 20 casi di soggetti autolesionisti e 290 casi di epatite C. Anna Briganti evidenzia che “l’aspetto più critico è proprio quello sanitario”, ma quello di Lecce “nonostante sia un carcere vecchio, costruito nel 1997, ha una buona struttura e funziona bene grazie soprattutto alla collaborazione tra comandante della polizia penitenziaria, direzione e magistratura di sorveglianza”. Ben 235 sono detenuti lavoratori, alcuni dei quali si occupano della manutenzione ordinaria interna della struttura, altri - in semi libertà - sono impiegati in un istituto tecnico o nella manutenzione di aree verdi e le donne prevalentemente nel progetto “Made in carcere”. “Da settembre - annuncia Briganti - quattro detenuti lavoreranno in Procura a Lecce e si aprirà anche un panificio all’interno del carcere”. Venerdì 16 ci sarà la visita al penitenziario di Taranto e sabato alle due strutture di Bari, il carcere Francesco Rucci e l’istituto minorile Fornelli. Alla iniziativa, promossa dal Partito Radicale con l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali, hanno partecipato Anna Briganti, Giovanni Zezza, Augusto Fonseca, Roberto Cavallo, Fabiola Bucarello, Pasquale De Salve e Cosimo Fonseca del Partito Radicale, Mario Barbaro, Coordinatore Associazione Marco Pannella di Torino e Germano Santacroce, presidente del Consiglio Comunale di Taviano. Salerno: protesta dei Radicali Italiani “ai detenuti negano il lavoro” di Salvatore De Napoli La Città di Salerno, 16 agosto 2019 La protesta dei Radicali Italiani contro il tribunale di Sorveglianza. Nelle celle 529 persone su 366 posti. Troppo “duro” il tribunale di Sorveglianza di Salerno. A lamentarsene, ieri, alla fine della visita in carcere di una folta delegazione capeggiata da Donato Salzano dei Radicali Italiani, proprio gli esponenti pannelliani ma non solo. “Abbiamo un problema oggettivo, quella della giurisprudenza del tribunale di Sorveglianza di Salerno, diversa da alti tribunali di Italia, dove si pensa ai diritti umani e non si è insofferenti ad applicare la sentenza Torreggiani, che prevede anche la possibilità di andare a lavoro per i detenuti - sottolinea Salzano. Notiamo che la giurisprudenza del tribunale di Sorveglianza di Salerno è completamente diversa da quella di altri tribunali, dove un permesso al lavoro lo danno. A Salerno non danno un permesso al detenuto per andare a trovare un familiare che sta morendo o per partecipare ai funerali dei genitori”. Di peso particolare è quanto affermato il magistrato in pensione Claudio Tringali, già presidente del Tribunale di Sorveglianza: “A Salerno c’è una resistenza all’applicazione alle misure alternative al carcere, una resistenza culturale evidente nei provvedimenti giudiziari. Una resistenza che personalmente ho incontrato. Evidentemente la pseudo cultura del ministro (Salvini, ndr)che parla di lasciare in carcere i detenuti aveva degli antesignani”. All’uscita dal carcere, Salzano ha tenuto una conferenza stampa alla presenza dei parlamentari Gigi Casciello di Forza Italia e Federico Conte di Leu - che hanno sottolineato i disagi in cui versa il penitenziario, tale da vanificare lo stesso spirito di recupero del detenuto - di Claudio Tringali (ora presidente della Fondazione Menna), del segretario nazionale del Psi, Enzo Maraio, di Margaret Cittadino e Vinicio Colangelo del tribunale del malato, dei consiglieri comunali Ciro Russamando (medico per anni alla sanità penitenziaria) e Antonio Carbonaro, di Ernesto Natella della associazione Maurizio Provenza e Florinda Mirabile del partito radicale. È emerso che a luglio scorso i detenuti erano 512 oggi sono 529, molti in attesa di giudizio, contro una capienza di 366 persone. Aumentati anche gli stranieri nel penitenziario: a luglio erano 40 ora sono 65, di cui 25 marocchini, 11 rumeni, cinque del Gambia e 24 di altri stati. Le maggiori criticità sono per il padiglione dei “comuni”, per il quale partiranno i lavori di ristrutturazione a settembre. Una cinquantina sono i detenuti ad alta sicurezza e 43 della sezione femminile. “Si tratta in genere di persone che vivono in una condizione disumana, fino a sette in una cella”, ha sottolineato Salzano. Pochi anche gli agenti: 243 quelli in pianta organica tarata per 366 detenuti; 42 della Polizia penitenziaria sono addetti alle traduzioni e gli effettivi sono 226, in servizio ieri ce ne erano 184. Il problema maggiore è quello sanitario, è necessario sottoscrivere un protocollo con l’Asl per organizzare visite mediche specialistiche senza che il detenuto in carcere attenda otto mesi. Fondamentale pure un approvvigionamento di farmaci di fascia C che sono a carico dell’utenza. Genova: “Ferragosto in carcere”, anche a Marassi i politici visitano i detenuti genova24.it, 16 agosto 2019 E Forza Italia aderisce all’iniziativa dell’Unione delle Camere penali e del Partito Radicale. L’Osservatorio Carcere, iniziativa promossa da Camere penali e Partito Radicale, visita costantemente nel corso dell’anno gli istituti di pena e la partecipazione al “Ferragosto in Carcere” ha soprattutto il valore simbolico di evidenziare l’importanza che deve avere nell’agenda politica il tema della detenzione. L’iniziativa prevede la visita agli istituti di pena in uno dei giorni tra il 15 e il 18 di agosto. Sono stati invitati a partecipare i parlamentari, italiani ed europei, i consiglieri regionali e i garanti per i diritti dei detenuti, soggetti tutti che godono di un particolare diritto, quello di visitare gli istituti senza necessità di autorizzazione alcuna. Sarà l’occasione per avere un quadro complessivo delle condizioni delle nostre carceri e delle relative criticità che spingono, giorno dopo giorno, i detenuti, ma anche i detenenti, ad assumere condotte a volte disperate. La risposta delle camere penali territoriali e dei penalisti iscritti è stata massiccia, nonostante il periodo feriale. Tra le adesioni anche quelle dei politici di Forza Italia con i parlamentari Roberto Cassinelli e Roberto Bagnasco, membri rispettivamente della Commissione Giustizia e della Commissione Affari Sociali della Camera, e il consigliere regionale Claudio Muzio, segretario dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa della Liguria e membro della Commissione Sanità, faranno visita alla casa circondariale di Genova Marassi. Firenze: il Sindaco Nardella “Sollicciano in emergenza, stiamo sprecando soldi” quinewsfirenze.it, 16 agosto 2019 Dario Nardella nel penitenziario fiorentino rilancia l’idea della demolizione e annuncia iniziative per il reinserimento dei detenuti nella società. Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, è stato in visita al penitenziario di Sollicciano dove ha confermato la proposta della demolizione dei padiglioni perché “già nato con dei limiti, è oggi peggiorato ed è in una condizione che possiamo definire di vera e propria emergenza”. Secondo il sindaco: “I soldi spesi per carceri in queste condizioni sono soldi buttati via, i detenuti stessi ci hanno confermato che la rieducazione e la riabilitazione non funzionano ed escono da qui in una condizione sociale di estrema difficoltà”. “Era un modello, oggi è uno dei carceri peggiori d’Italia” ha evidenziato Nardella. Il sindaco all’uscita dal carcere ha sottolineato l’arrivo di nuovi agenti ma è tornato sulle carenze strutturali già commentate nelle scorse ore e sulla funzione della rieducazione dei detenuti per la quale il Comune di Firenze intende attivarsi “Intendiamo potenziare i programmi di reinserimento lavorativo - ha detto ai cronisti - con lavori socialmente utili come la cura del verde pubblico e delle sponde dei fiumi ed aumentare la formazione professionale”. Con Nardella si è schierato anche il sindaco di Scandicci, Sandro Fallani “Il carcere di Sollicciano va demolito e ricostruito, sono d’accordo con la posizione del sindaco Nardella. È una struttura obsoleta, lesiva dei diritti dei lavoratori e dei detenuti; potremmo avere l’occasione di progettare un modello carcerario innovativo che favorisca il reinserimento sociale e una struttura che si inserisca meglio nell’area di confine con la nostra città, riqualificandola. Abbiamo già fissato un incontro con il garante dei detenuti e proveremo a sostenere Firenze in questa battaglia di civiltà e di recupero urbano. Oggi nel giorno di ferragosto un ringraziamento particolare va a chi è al lavoro al servizio di tutti”. Avellino: “Ferragosto in carcere”, visite di sensibilizzazione nei penitenziari irpini di Mariagrazia Mancuso thewam.net, 16 agosto 2019 Parliamo del Ferragosto in carcere, un’iniziativa promossa dal Partito Radicale e a cui ha aderito l’Osservatorio Carceri dell’Unione Camere Penali Italiane. A tal proposito, abbiamo ascoltato l’Avvocato Giovanna Perna, responsabile regionale dell’Osservatorio Carceri della Campania. Il legale ci dà informazioni su questa iniziativa e sulla situazione attuale degli istituti penitenziari. “Ferragosto in carcere – inizia - è promossa dal Partito Radicale, da sempre vicino alle problematiche delle carceri. Ha aderito l’Osservatorio Carceri dell’Unione Camere Penali Italiane, che sta conducendo una dura battaglia rispetto le norme che continuano a violare i principi umani dei detenuti ristretti nel carcere. Soprattutto in periodi come questo - periodo di gran caldo - in cui le problematiche all’interno delle carceri si amplificano sempre di più, l’Osservatorio Carceri dell’Unione Camere Penali Italiane ha voluto manifestare la propria vicinanza. E lo ha fatto interpellando tutti gli osservatori dell’Italia. In particolare, io che sono la responsabile regionale dell’Osservatorio Carceri della Campania, mi sono subito fatta promotrice di questa iniziativa. Ho voluto visite in tre istituti importanti: l’Icam di Lauro - dove sono ristrette donne con bambini-, l’istituto di Bellizzi Irpino ad Avellino e quello di Ariano Irpino. Lo scopo di questa iniziativa - continua - è quello di sensibilizzare la società civile. Purtroppo oggi il problema del carcere è un problema culturale. Bisognerebbe far capire ai cittadini quali sono le effettive condizioni dei detenuti all’interno del carcere. Questo perché è molto difficile far comprendere che nei penitenziari, spesso, si sta male e invece vanno garantiti una serie di servizi inalienabili ai detenuti, in quanto persone”. Il carcere dovrebbe avere una funzione, prevista dall’articolo 27 della Carta Costituzionale: “L’imputato non può essere considerato colpevole sino ad una condanna definitiva e le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono quindi tendere alla rieducazione del condannato”. Questo principio si deve leggere in combinazione con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti: “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o a trattamenti inumani e degradanti”. Ebbene, questo è il nostro scopo: quello di verificare, monitorare e osservare che all’interno delle carceri che la pena abbia la funzione di rieducazione. L’iniziativa è stata organizzata in settanta istituti penitenziari, sparsi su tutto il territorio nazionale. Circa trecento le persone tra dirigenti, militanti del partito radicale e avvocati che hanno inteso partecipare. In modo particolare, vi è la presenza del Garante dei detenuti. Anche Avellino ha questa figura istituzionale che è appunto il garante provinciale, il quale svolge questa attività quotidianamente. Dunque, il Ferragosto nei penitenziari è un’iniziativa simbolica e per quello che ci riguarda - io sono anche collaboratore del garante dei detenuti - monitoriamo i carceri di Avellino e provincia quotidianamente. Visitiamo, infatti, gli istituti ogni venti giorni per dare un contributo a quelle che sono le esigenze dei detenuti all’interno dei penitenziari”, dice. “Le condizioni dei nostri penitenziari - afferma Perna - sono molto critiche. Sia da un punto di vista strutturale che da un punto di vista dei trattamenti all’interno degli istituti. Riguardo quest’ultimo punto, penso ad Ariano Irpino dove c’è un solo educatore su un numero importante di carcerati, che quindi non riesce a sopperire a tutte le esigenze dei ristretti. Come dicevo, ci sono anche carenze strutturali. Ad esempio l’istituto di Bellizzi Irpino è ristrutturato solo in parte. Ma, negli istituti penitenziari del nostro territorio, abbiamo un’oggettiva difficoltà: assicurare la presenza del medico psichiatra. Il problema sanitario è un problema serio perché tutte le patologie all’interno del carcere si amplificano durante il periodo di detenzione. Di conseguenza, la figura dello psichiatra è di vitale importanza. Questa situazione si verifica, nello specifico, nell’istituto di Sant’Angelo de Lombardi ed è devastante per tutto il sistema carcerario. Il resoconto è che purtroppo, oltre al problema del sovraffollamento che caratterizza tutti gli istituti a livello nazionale, c’è il problema sanitario che comporta una serie di patologie”. “In ultimo, ritengo che per i carcerati ogni giorno è uguale all’altro. Quando si è privati della libertà personale non c’è una cognizione dei giorni da calendario rosso come per chi vive all’esterno. Personalmente, mi sento di dire che il Ferragosto, in queste condizioni, non può essere festeggiato all’interno di istituti penitenziari perché mancano quelle che sono le cose più importanti. Ad esempio, per quanto riguarda la salute mancano gli strumenti, le medicine, le visite specialistiche. E mancano i trattamenti, le uniche che dovrebbero consentire al carcerato di aver maturato il percorso con la consapevolezza del reato commesso. Del resto, come sempre ripete il garante dei detenuti, il carcere ci restituisce quello che c’è dentro. Se fallisce l’attività della rieducazione della pena, è un evidente fallimento di tutta la società”, conclude l’avvocato Perna. Oristano: “Ferragosto in carcere”, le Camere penali in visita a Massama La Nuova Sardegna, 16 agosto 2019 Il Ferragosto lontano dalla spiaggia è quello dell’Unione delle Camere Penali, che con il proprio Osservatorio Carcere e con la partecipazione delle Camere Penali territoriali, ha aderito all’iniziativa “Ferragosto in Carcere” promossa dal Partito Radicale: i delegati Rosaria Manconi, Anna Maria Uras, Franco Villa e Maria Teresa Antonia Pintus visiteranno il carcere di Massama. “È l’occasione per richiamare l’attenzione delle istituzioni sulle molteplici problematiche del sistema carcerario e sulle croniche disfunzioni, a cui non si è voluto porre rimedio con l’approvazione della riforma penitenziaria ed anche per sensibilizzare la società civile circa le condizioni di vita dei detenuti, sulle quali persistono disinformazione e pregiudizi”, spiegano. I problemi restano i soliti, in particolare “la chiusura impermeabile del carcere verso l’esterno e l’isolamento, non solo fisico, in cui la popolazione carceraria è costretta e per altro verso derivati da una politica che tende a creare suggestioni ed e individua nel carcere il tranquillante per l’allarme sociale”. La visita ha poi la finalità di verificare la situazione dei luoghi di detenzione, le condizioni di vita delle persone ristrette, la sussistenza di aspetti critici. Novara: “Ferragosto in carcere”, delegazione in visita alla Casa circondariale di Monica Curino sdnovarese.it, 16 agosto 2019 Una delegazione, composta dall’avvocato Fabio Fazio del foro di Novara, dall’onorevole Roberto Giachetti del Partito democratico e dal garante cittadino dei detenuti, don Dino Campiotti, ha fatto oggi, giovedì 15 agosto, visita alla Casa Circondariale di Novara, per verificare le condizioni di detenzione della popolazione ristretta e sensibilizzare l’opinione pubblica sullo stato delle carceri italiane. La delegazione, spiega una nota della Camera Penale novarese, “da un lato, ha potuto constatare lo stato di sovraffollamento di alcune celle, dove vengono ospitate fino a 6 persone e la inadeguatezza del sistema penitenziario (edilizia obsoleta, regole farraginose, pastoie burocratiche) a fronte di esigenze di sicurezza e recupero sociale sempre nuove; ma, dall’altro, ha potuto anche apprezzare le tante attività di risocializzazione (biblioteca, corsi scolastici, palestra e campo sportivo, lavori di pubblica utilità) che l’Istituto di pena novarese offre per il riscatto dei detenuti, pur nella cronica carenza di personale e fondi. “La civiltà di una società si vede anche dallo stato delle sue prigioni”, conclude la Camera Penale, citando Dostoevskij. Lecco: “Ferragosto in carcere”, i Radicali in visita alla Casa circondariale leccoonline.com, 16 agosto 2019 Ha fatto tappa anche a Lecco l’iniziativa “Ferragosto in carcere”, promossa in tutta Italia dal Partito Radicale con l’Osservatorio sulle carceri dell’Unione Camere Penali e l’adesione di un numero di parlamentari di ogni colore politico, con lo scopo di incontrare i detenuti e il personale che svolge la propria attività lavorativa e conoscere meglio le condizioni della struttura carceraria della città. Una struttura piccola, quella situata in via Beccaria a Pescarenico, ma non priva di criticità, come emerso dalla visita del 2017 con il senatore democratico Roberto Rampi e l’onorevole pentastellato Riccardo Olgiati e nuovamente, a distanza di due anni, da quella effettuata oggi da una delegazione di attivisti radicali composta da Mauro Toffetti di Opera Radicale, Antonella Carenzi e Andrea Consonni del Partito Radicale. Tra le problematiche emerse - come sottolineato da Consonni - quella degli spazi personali, “pressoché assenti”. “Le possibilità di socializzare sono davvero poche”, ha commentato. “Quasi tutti i detenuti si sono lamentati degli spazi per la socialità e dei trattamenti, una vera e propria esigenza per loro. È emerso un forte senso solitudine, la paura di non avere prospettive future e la sensazione di essere stati “abbandonati” dallo Stato”. Il senso di solitudine, oltre alla carenza di attività lavorativa e di tipo ricreativo-culturale, è stato segnalato anche da Carenzi. “I detenuti hanno la necessità di avere un punto di riferimento istituzionale. Vi è inoltre un grande turn-over di medici. Ora, grazie alla Sentenza Torreggiani sul diritto del detenuto a un trattamento penitenziario umano, ci sono diverse uscite a disposizione degli ospiti, ma se le attività mancano e si può solo girovagare per i corridoi, i momenti fuori dalla cella servono a poco. L’istruzione e il lavoro aiuterebbero i carcerati a gestire lo stress di una convivenza forzata e a non far venire loro la paura di pensare a cosa dovranno fare una volta usciti, continuando a formarli e risocializzarli”. Forte anche il problema del sovraffollamento, presente pressoché in tutte le strutture carcerarie italiane, come evidenziato da Mauro Toffetti. “La Casa Circondariale di Pescarenico è piccola, ma la pianta organica dei detenuti superiore alla capacità d’accoglienza è abbastanza ben gestita. Anche in questo caso il supporto alla vita dei detenuti è data dalla polizia penitenziaria, perché c’è una carenza totale di organico della parte educativa e questo si ripercuote sui tempi della chiusura dei fascicoli. Il vero “cancro” di tutte le carceri - compreso quello di Lecco - è però la mancanza di lavoro che impedisce la rieducazione, finalità della pena costituzionalmente riconosciuta dall’articolo 21. Inoltre, non ci sono né spazi né operatori e il tutto è sulle spalle dei volontari, tra i quali il cappellano Don Mario Proserpio”. A Pescarenico, su circa settanta detenuti, sono presenti un solo lavoratore esterno in regime di articolo 21 e due lavoratori interni. “L’ozio la fa da padrone - ha proseguito Toffetti - Un detenuto ha inoltre suggerito la previsione di una serie di agevolazioni alle aziende sulla assunzione di una percentuale di carcerati, individuati naturalmente dal magistrato di sorveglianza per svolgere lavori manuali o che stanno sparendo: è un’idea che facciamo nostra per poterla rilanciare a livello nazionale, istituzionale e legislativo”. Grande “neo” all’interno della giustizia di esecuzione penale sarebbe, secondo l’esponente di Opera Radicale, l’assenza dal carcere del magistrato di sorveglianza. “Colui che deve controllare l’esecuzione penale non entra negli istituti penitenziari e questo è l’ulteriore grande dramma di un mondo che ha bisogno di risposte. La frustrazione è altissima perché passano mesi prima di potere ottenere un colloquio”. Per quanto concerne gli spazi fisici, a Lecco le celle sono “al limite della Torregiani”. “Tuttavia, applicandosi la sorveglianza dinamica, esse rimangono aperte dalle 9 alle 21, permettendo movimento e un minimo di socialità ai detenuti. Se ci limitassimo alle celle chiuse, la situazione sarebbe davvero tragica”. Da quanto emerso dalla visita della delegazione, dunque, il sistema carcerario lecchese “sembra non collassare, seppur con tutte le varie criticità”. Significativi i limiti strutturale e le carenze a livello di attività trattamentale, con la presenza di un solo educatore e di uno psichiatra che effettuano visite settimanali. Buona, nel complesso, la pulizia della struttura, “nonostante la mancanza di ventilatori e di frigoriferi che rende la detenzione particolarmente sofferta nei mesi estivi e le condizioni non proprio ottimali di alcuni servizi igienici”. Un paio i casi di carcerati con disturbi psichiatrici che fanno riferimento all’Ospedale San Paolo di Milano. “La parte specialistica viene drenata in loco, l’urgenza su Lecco”, spiega Toffetti. “Rilevante infine il problema delle liste d’attesa, molto più lunghe del normale”. La delegazione ha dunque fatto il punto della situazione sulla struttura per meglio agire nel richiedere ai consiglieri regionali, ai parlamentari e al Governo una maggiore attenzione sulla condizione dei detenuti e del personale che svolge il proprio lavoro all’interno, proprio come è stato fatto - a livello nazionale - dagli esponenti del partito che fu di Marco Pannella che hanno deciso di trascorrere questo “Ferragosto in carcere”. Catania: prevenzione suicidi nelle carceri, si potenzia la sinergia fra Asp e Istituti ilsolidale.it, 16 agosto 2019 Siglati i protocolli d’intesa fra l’Azienda sanitaria catanese e le Case circondariali della provincia di Catania, finalizzati all’implementazione delle attività per la prevenzione del rischio suicidario nelle carceri. I protocolli, sottoscritti presso la Direzione generale dell’Asp di Catania, si inseriscono nella cornice del Piano regionale per la prevenzione delle condotte suicidarie nel sistema penitenziario adulti e attuano le procedure necessarie per aggiornare i Piani locali di prevenzione del rischio suicidario, già vigenti, uniformandoli alle indicazioni dell’Assessorato regionale alla Salute, dettate con il decreto del 28 novembre 2018. Tutti gli interventi predisposti saranno coordinati dal Dipartimento di Salute mentale, di concerto, per quanto di competenza, con le Amministrazioni penitenziarie e con i servizi della sanità penitenziaria. In applicazione del Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie nel sistema penitenziario per adulti, il Piano regionale intende perseguire l’obiettivo di prevenire le condotte suicidarie nell’ambito degli Istituti penitenziari della Regione Siciliana. Questa finalità impegna le amministrazioni coinvolte nella scelta di strategie operative per l’adozione di metodologie innovative improntate all’integrazione più efficace delle reciproche competenze. All’atto dell’ingresso dei detenuti in ciascun Istituto, anche provenienti da altre strutture penitenziarie, è prevista la valutazione del rischio suicidario e l’attivazione di una fase d’osservazione al fine di individuare potenziali fattori di rischio e di approfondire la conoscenza del detenuto stesso attuando un regolare follow up. I singoli protocolli, siglati questa mattina, sono stati redatti tenendo conto delle specificità di ciascun Istituto di pena, con particolare considerazione per gli aspetti etici e psicologici connessi. Sono stati aggiornati i Piani locali di prevenzione (PLP) di ciascuna Casa Circondariale, sono stati individuati precisi strumenti operativi e sono stati definiti, altrettanto precisi, protocolli operativi clinici, in conformità con le linee guida nazionali e regionali. In continuità con le attività già svolte, grande attenzione è rivolta alla formazione dei care givers della popolazione detenuta e del personale coinvolto nella gestione diretta dei detenuti, secondo modalità integrate concordate dalle Direzioni dei singoli Istituti penitenziari e dalla Direzione generale dell’Asp di Catania. Gli accordi sono stati firmati da: Maurizio Lanza (direttore generale dell’Azienda sanitaria catanese), Elisabetta Zito (direttrice della Casa circondariale di Piazza Lanza), Giuseppe Russo (direttore della Casa circondariale di Bicocca), da Giorgia Gruttadauria (direttrice della Casa circondariale di Caltagirone) e da Milena Mormina (direttrice della Casa circondariale di Giarre). Presenti per l’Asp di Catania: Carmelo Florio (in rappresentanza del direttore del Dipartimento di Salute mentale), Roberto Ortoleva (coordinatore staff del Dsm), Franco Luca (direttore del Distretto sanitario di Catania) e Salvatrice Riillo (responsabile dell’Uos di Sanità penitenziaria). Roma: Giardino della Giustizia nel degrado, i valori si tutelano di Paolo Conti Corriere della Sera, 16 agosto 2019 Colpe all’ex assessora Pinuccia Montanari? Fu scelta da Grillo, non passava per caso. Virginia Raggi non si esprime ufficialmente su un episodio che offende la memoria di quei magistrati che si volevano così ricordare. Almeno questo, dopo giorni di attesa, lo abbiamo saputo. La sindaca Virginia Raggi (ma si tratta di notizie “apprese da fonti del Campidoglio” e apparse informalmente su un’agenzia di stampa) avrebbe espresso “profondo disappunto” dopo la pubblicazione sul nostro giornale delle immagini che testimoniano la morte per incuria del parco e delle 27 querce del Giardino della Giustizia, realizzato nel novembre 2018 alla Romanina per onorare altrettanti magistrati uccisi dalla mafia. Apprendiamo anche che Virginia Raggi sarebbe “adirata” perché l’appalto firmato dall’allora assessora all’Ambiente, Pinuccia Montanari, sarebbe stato “sprovvisto della garanzia di attecchimento degli alberi piantati”. Sappiamo infine da queste voci informali che il Servizio giardini sarebbe stato allertato per intervenire. Qualche breve riflessione. Primo: Virginia Raggi non sente il bisogno di esprimersi ufficialmente su un episodio che, di fatto, offende la memoria di quei magistrati che il Giardino avrebbe voluto onorare. Sarebbe stato obbligatorio ammettere l’errore rivolgendosi alle famiglie di quei Martiri civili che hanno offerto la vita allo Stato. Le famiglie Alessandrini e Scaglione hanno già trasmesso al Corriere della Sera la loro amarezza. Non una parola di Virginia Raggi su di loro. Scelta che, purtroppo, si commenta da sola. Secondo punto: la sindaca attribuisce le colpe all’ex assessora Pinuccia Montanari. Però Pinuccia Montanari non era una sconosciuta di passaggio ma una professionista molto vicina a Beppe Grillo che la “suggerì” proprio alla giunta Raggi. Dunque l’errore nell’appalto non è solo dell’ex assessora ma dell’intera macchina burocratica capitolina, incapace di accorgersi della mancanza di una clausola essenziale. Terzo punto: un altro gravissimo silenzio va registrato dalla presidente del VII Municipio, Monica Lozzi, che apparve con la sua fascia da presidente accanto a Virginia Raggi nella cerimonia di inaugurazione del Giardino della Memoria il 7 novembre 2018. Nessun commento da parte sua sull’incuria, l’abbandono, il disastro del Giardino. Quarto ma non ultimo punto: non si vede cosa possa concretamente fare il Servizio Giardini dal momento che quelle querce sono morte, secche, prive di vita e che l’intero parco è ridotto a una sterpaglia, potata qualche giorno fa solo perché si era trasformata in una piccola, impraticabile giungla urbana. Breve conclusione, amarissima per la dignità della città di Roma: se non arriveranno gesti espliciti, la giunta Raggi non apparirà più credibile nelle prossime occasioni in cui parlerà di tutela della Memoria. Un’amministrazione che si impegna, davanti al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, a onorare con un Giardino della Giustizia il retaggio di 27 magistrati uccisi mentre difendevano le leggi della Repubblica e lascia che tutto muoia e si secchi, non sarà più attendibile se e quando tratterà di nuovo temi tanto delicati. Certi valori essenziali non si tutelano con cerimonie e tagli di nastri ma con la cura quotidiana, l’attenzione costante, il pensiero continuo. E la capacità amministrativa. Reggio Calabria : “Vivere a colori”, concluso il campo di Agape e Piccola Opera avveniredicalabria.it, 16 agosto 2019 Si è tenuto a Melito Porto Salvo ed è stata un’esperienza speciale con ragazzi provenienti da ogni parte del mondo. È appena terminata la settimana di campo promossa dal centro Comunitario Agape e dalla Piccola Opera Papa Giovanni c/o Villa Falco, la comunità che accoglie a Melito Porto Salvo soggetti con disabilità mentale. e quest’anno è stata piuttosto speciale. È stato un campo multietnico a tutti gli effetti, dove ragazzi provenienti da tante parti del mondo hanno condiviso dei momenti importanti, di riflessione, di condivisione, di inclusione, di vita. Sin da subito i ragazzi si sono sentiti accolti e hanno accolto, riuscendo facilmente a donare e allo stesso tempo ricevere, tornando così con una grande voglia di raccontare e di fare. I sorrisi, la spontaneità, le canzoni, i balli, i laboratori, le attività svolte, ma anche il lavare i piatti, lo spazzare per terra, le catene di montaggio per fare i panini e tutto il resto - li hanno resi una famiglia, li hanno resi una comunità. “Siamo partiti da Reggio inconsapevoli di ciò che ci aspettava e siamo arrivati qui che abbiamo creato una comunità” (Marco, Volontario). Un “cammino”- come lo definiscono i volontari stessi - a volte stancante, ma pieno di bellezza, che li ha svuotati dai piccoli pensieri quotidiani e li ha riempiti di bellezza e felicità. Felicità, è proprio la parola chiave di questo cammino, infatti, ad ogni riunione in cui i ragazzi si confrontavano, non è mai mancata. Giornalmente si sono sentiti felici; felici di portare gioia; felici nonostante a volte la stanchezza, consapevoli di aver dato tutto; felici di condividere un cammino con persone nuove, piene di vita, piene di storie; come afferma Silvia - una dei volontari. “Mi porterò dietro le piccole cose di questi giorni: i saluti ripetuti del signor F. Che mi hanno regalato un sorriso ogni giorno, le chiacchierate in giardino con F., la frase di D. “quando siamo felici possiamo fare qualsiasi cosa”, gli abbracci delle famiglie Rom che mi ringraziavano, mi chiedevano i consigli e ripetevano il mio nome con il sorriso sulle labbra, il legame con tutti i volontari, anche i più piccoli che mi hanno reso una persona migliore”. Insieme ai ragazzi ospiti di Villa Falco sono riusciti a creare e realizzare dei momenti unici, ad estenderli e condividerli nelle divertenti serate di balli e musica insieme alle famiglie Rom, ma soprattutto a costruire dei rapporti tanto forti e solidi che dureranno nel tempo. I ragazzi di Villa Falco hanno donato tanto ai volontari presenti, insegnando loro che i momenti belli e i sorrisi permettono di andare avanti qualsiasi cosa accada. A volte ci si preoccupa tanto di qualcosa che non è niente e senza rendersene conto ci si ritrova a non pensare a ciò che conta davvero. A volte si dimentica la gioia della condivisione. Bisogna ripartire da qui, perché il “cammino” dei ragazzi è appena iniziato e non vedono l’ora di ricominciare, come scrive Keita - volontario della Costa D’Avorio alla sua prima esperienza- “ Di questi giorni porterò a casa la gioia e l’amicizia. È stato un piacere far parte di questa comunità, mi avete regalato un’esperienza bellissima, spero che continueremo anche durante l’anno a fare queste attività insieme come una bella squadra, e soprattutto non vedo l’ora di ripetere l’esperienza l’anno prossimo”. Il campo è, dunque, un punto d’inizio, d’incontro, di condivisione, dove i ragazzi hanno imparato che le differenze sono sfumature di colori che riescono a rendere il mondo pieno d’amore, un amore che i ragazzi hanno dato e ricevuto, perché quando tutto si unisce e i colori si mescolano il mondo inizia ad appartenere a tutti e nessuno…sarà escluso mai! I pensieri dei volontari. Sono contentissimo di quello che vedo, di quello che state facendo per la gente. Per me è una lezione di vita. Sono contentissimo. Porterò tutto questo bene che state donando all’umanità. Sentirò tantissimo la mancanza dei ragazzi della comunità. Sono contento, davvero. Grazie. (Moussa) La cosa che mi porto a casa sono i visi delle persone che ho incontrato qui, i momenti passati assieme, i momenti che mi hanno segnato dentro e per questo mi mancheranno. È stata bellissima la comunità che si è creata tra tutti: noi, famiglie rom, ragazzi della villa. È stato bello ieri che tutti mi abbiano salutato ringraziandomi e sono dispiaciuto di tornare a casa e non poter continuare l’esperienza. (Gianluca) Siamo partiti da Reggio inconsapevoli di ciò che ci aspettava e siamo arrivati qui che abbiamo creato una comunità. È stata davvero un’esperienza indimenticabile e voglio ringraziare tutti voi per questo. Mi sento felice. (Marco) Ho appreso tanto e spero di aver lasciato un piccolo pezzettino positivo di me in chiunque ho incontrato. Perché io sono stata egoista e ho voluto prendere tanto da tutti, grazie davvero mi avete regalato tanto. (Silvia) È stata un’esperienza indimenticabile sotto tutti i punti di vista, grazie a voi per avermela regalata, non dimenticherò mai niente e nessuno, mi avete davvero segnato dentro. (Ayub) Vi ringrazio per quello che c’è stato in questi giorni che sono stati belli e intensi. Ho sempre lavorato con piacere e con il sorriso sulle labbra. È stato bello stare con i rom, che hanno un senso di civiltà che non avrei mai immaginato. Spero di tornare l’anno prossimo e ripetere l’esperienza. (Domenico) “Liberi dentro”, note e parole per raccontare il carcere di Paolo Ardovino La Nuova Sardegna, 16 agosto 2019 In un dvd il tour degli Istentales tra i detenuti isolani e quelli in giro per lo stivale. Un’iniziativa della Nuova Sardegna che arriverà nelle edicole in autunno. Un lungo viaggio, musicale ma anche e soprattutto fatto di chilometri, su e giù per l’isola e attraversando il mare. A fare da guida, la lunga barba ormai imbianchita dal tempo di Gigi Sanna e le note degli Istentales, iconiche. “Liberi dentro” è il nome dell’ambizioso progetto portato avanti negli ultimi anni e che allo stesso tempo omaggia il venticinquesimo anniversario della band nuorese. Si tratta della ristampa del libro omonimo, accompagnato da un dvd che raccoglie 16 videoclip tra brani inediti e storici. “Liberi dentro” è espressione di uno stato d’animo, ma è anche la metafora del tour nelle carceri compiuto dai musicisti, tra i detenuti isolani e quelli in giro per lo stivale. “Ogni tappa è stata un’occasione per fotografare un pianeta altrimenti sconosciuto” scrive nelle prime righe Luciano Piras, il giornalista de La Nuova Sardegna che ha seguito gli Istentales e curato il volume. Lettere dal carcere. “Abbiamo da sempre rapporti epistolari con molti detenuti, che ci scrivono le loro storie, sia dalla Sardegna che da chi si trova fuori dall’isola”, Gigi Sanna racconta com’è partita l’idea di organizzare l’insolita tournée. Spoleto, Volterra, Padova, Milano, le carceri sarde, come Buoncammino, Mamone, Bancali, Badu e carros. “Nel libro abbiamo deciso di riportare integralmente anche molte lettere dal carcere, ovviamente con nomi di fantasia per rispettare la privacy di chi ha scritto, ma volevamo portare fuori dalle mura i loro racconti. In maniera integrale, con gli errori e le forme particolari”. Testimonianze di detenuti, ma anche “ex detenuti, che ancora ci scrivono, c’è chi ha cambiato vita e ci racconta come vive questi nuovi giorni”. L’idea. “Mi ha affascinato Volterra, dove ho trovato un’apertura mentale bellissima” continua Gigi Sanna, e racconta l’esperienza: “è un carcere molto permissivo, ogni settimana è previsto un pranzo o una cena regionale, una volta si scelgono i prodotti di una regione e la volta dopo di un’altra, sono le “cene galeotte”“, c’è il lato simpatico e conviviale che caratterizza attività di questo tipo, e c’è l’impatto che hanno sulle giornate dei reclusi, “è un modello bellissimo che ho anche proposto alla direttrice del carcere di Nuoro, non è facile ma ci proveremo. Non solo, durante queste cene lì aprono i cancelli ai turisti e curiosi, e il ricavato delle loro attività va ai detenuti che partecipano, in modo che possano in qualche modo ripartire non da zero”. Il progetto in uscita. La prima edizione del volume uscì nel 2014, a distanza di cinque anni si arricchisce di nuove tappe e nuove immagini, raccontate con la penna di Luciano Piras e con le foto di Donatello Tore. L’istantanea di copertina, in bianco e nero, un uomo anziano a fianco al suo lettino, che guarda fuori dalla finestra con le sbarre, è di Claudio Gualà. In autunno il progetto sarà pubblicato con La Nuova Sardegna, presumibilmente a novembre. Spesso chiamati dai detenuti stessi a esibirsi nel loro carcere - eventi tutti a costo zero -, a oggi l’ultima data è stata lo scorso aprile, nell’istituto di Badu e Carros. Vicini alla causa di queste persone, gli Istentales, attraverso la loro associazione, in passato hanno preso sotto la propria ala protettrice quindici ragazzi provenienti dal carcere minorile di Quartucciu, cercando di dar loro una mano alla ricerca. “Per qualche tempo hanno anche fatto i pastori con noi, poi abbiamo cercato di collocarli nel mondo del lavoro”. La loro musica. “Una bella esperienza che portiamo dietro è quella a Buoncammino - chiosa il leader degli Istentales - dove ci fu permesso di portare 100 litri di latte e i detenuti hanno potuto rivivere le sensazioni di fare il formaggio, la ricotta, le attività alle quali erano abituati in precedenza”. Oltre al cantante, Sandro Canova e Luca Floris sono lo zoccolo duro del gruppo, arricchito da Pierfranco Meloni e Alessandro Damini. Tra i videoclip presenti nel dvd c’è “Naralu tue”, il primo, datato 1995, tra gli altri anche “Promisas” con Pierangelo Bertoli e “Testamento del poeta” dell’anno scorso con Roberto Vecchioni, che ancora non era uscito. In più un altro inedito, “A Gianluca”, canzone composta per la recente scomparsa del fratello di Gigi Sanna. Le speranze (ignorate) di giovani senza voce di Francesco Giavazzi Corriere della Sera, 16 agosto 2019 Una quota elevata della nostra spesa pubblica è spesa sociale e di questa beneficiano soprattutto gli anziani, che infatti nelle elezioni contano più dei ragazzi, ai quali stiamo lasciando in eredità debiti. Non sappiamo se e quando si andrà a nuove elezioni. Ma quando si voterà, dei 60 milioni circa di cittadini italiani, quasi 10 milioni non potranno farlo perché troppo giovani. Eppure con le elezioni un Paese disegna il proprio futuro, quello in cui vivranno proprio quei 10 milioni di cittadini che oggi non votano. Quale Paese vorrebbero questi cittadini se potessero esprimersi e partecipare al voto? Quale sarà la nostra eredità? Rispondere a queste domande dovrebbe essere il principale esercizio di una politica che guarda al futuro e non all’eterno presente nel quale sembriamo immersi. Qualche tempo fa una studentessa quindicenne (chiamiamola Sofia) mi chiese: “Professore, perché dovremmo farci noi carico dei debiti accumulati dalla vostra generazione? Quelle spese vi hanno consentito di vivere al di sopra dei vostri mezzi, mentre noi non ne abbiamo tratto alcun beneficio. Né ci avete lasciato, ad esempio, edifici scolastici o impianti sportivi più moderni”. Sarebbe stato facile rispondere a Sofia che in realtà ciò che conta non è il debito in sé, ma il debito in rapporto al reddito nazionale: se l’economia crescesse, diciamo al ritmo del 3 per cento l’anno, il debito si cancellerebbe da solo. Ma sarebbe una bugia: è improbabile che noi rivedremo mai quei ritmi di crescita. Oppure avrei potuto risponderle che di quei debiti ha beneficiato un po’ anche lei, almeno nei suoi quindici anni di vita. Ma anche questa sarebbe stata una bugia. Una quota elevata della nostra spesa pubblica (circa un quarto del totale) è spesa sociale e di questa beneficiano soprattutto gli anziani, che infatti nelle elezioni contano più dei giovani, come i partiti ben sanno. Questa distorsione a favore degli anziani tende ad allargarsi. Un esempio è la legge cosiddetta Quota 100, che da quest’anno consente ai sessantenni di anticipare la pensione. Un provvedimento che aumenta il nostro “debito pensionistico”. Il debito pensionistico è la differenza fra le pensioni che lo Stato si è impegnato a pagare in futuro e i contributi che lo Stato incasserà da chi lavora. Oggi questo debito è circa il doppio di quello “pubblico” composto da Bot, Btp etc. Ed è anch’esso a carico delle generazioni future, cioè di Sofia e dei suoi coetanei. Solo Quota 100 lo ha accresciuto di circa 100 miliardi, 6 punti di reddito nazionale. Siamo già così a un’eredità composta essenzialmente da due debiti. Ma allargando lo sguardo, ci accorgeremmo che ne stiamo contraendo anche altri. Persino più pesanti. Sofia avrebbe gioco facile a ricordarci l’azione di Greta Thunberg, la sua coetanea svedese che ha annunciato che avrebbe smesso di andare a scuola finché il governo del suo Paese non avesse ridotto le emissioni di anidride carbonica (co2) entro i limiti previsti dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Il riscaldamento della Terra e l’accumulo di CO2 sono un’altra forma di debito che lasciamo alla sua generazione. Un debito, come si osserva da alcuni anni in qua, che causerà siccità, tempeste estreme, inondazioni, aumento del livello del mare, caldo intenso, incendi, desertificazione, diffusione di malattie, terremoti, tsunami, aumento dell’acidità degli oceani, estinzioni di specie vegetali e animali. Il rilascio di carbonio nell’atmosfera è la causa principale dei cambiamenti climatici, ma altrettanto grave è l’uso del suolo e l’abbattimento delle foreste. Tutti questi fenomeni avranno, sulla generazione di Sofia, costi economici elevati: effetti del riscaldamento sul livello del mare e quindi sull’attività produttiva in città costiere, sulla salute delle persone, sulla produttività di chi lavora, sulla domanda di energia, e così via. Il “Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico”, un foro scientifico creato delle Nazioni Unite per studiare il riscaldamento globale, ha recentemente prodotto un rapporto ben illustrato in uno studio di Moody’s Analytics. Aggregando diverse analisi scientifiche questo rapporto stima i costi economici nel 2100 di un innalzamento della temperatura contenuto entro i limiti dell’accordo di Parigi del 2015 (1,5 gradi oltre i livelli di riscaldamento precedenti il 1900) e di scenari più e meno favorevoli. Se gli obiettivi di Parigi fossero raggiunti, il costo economico annuale ammonterebbe nel 2100, ad esempio negli Stati Uniti, a poco meno di un punto di Pil (0,8), circa 200 miliardi di dollari l’anno. In uno scenario di “business as usual” cioè se si facesse poco o nulla, come è appunto il caso degli Usa dopo la decisione di Trump di non sottoscrivere l’accordo di Parigi, il costo salirebbe a 1,2 punti di Pil. Un’accelerazione dell’implementazione dell’accordo ridurrebbe il costo, sempre nel 2100, a mezzo punto di Pil. La paura del futuro ci spinge a discutere solo di quanto abbiamo conquistato in questi anni e come difenderlo da chiunque lo metta in discussione, che si tratti di migranti o di attacchi da parte di altri Paesi. Ma non può essere la paura del futuro, offuscato dai debiti che stiamo lasciando in eredità ai giovani, a guidarci nelle nostre scelte. Dovremmo invece dare voce alle speranze di Sofia e dei suoi coetanei. Basterebbe iniziare ad ascoltarli dando risposte alle loro domande. E non solo a quelle di chi vota. Hong Kong. Blindati e soldati cinesi al confine. Trump chiede un incontro a Xi La Repubblica, 16 agosto 2019 La situazione all’aeroporto torna normale, ma si teme un’escalation. L’ambasciatore cinese a Londra: “Pronti a intervenire”. Migliaia di uomini della polizia militare cinese hanno sfilato in uno stadio a Shenzen, al confine con Hong Kong. Nello stadio, secondo quanto accertato da un cronista dell’agenzia France Presse, ci sono anche veicoli armati per il trasporto di truppe, il che accresce i timori di un intervento militare cinese nel territorio. Questo sfoggio di mezzi e potenza militare - anticipato dallo stesso regime - arriva dopo più di 10 settimane di proteste pro-democrazia nell’ex colonia britannica, spesso sfociate in violenti scontri tra i manifestanti e la polizia. Domenica è prevista una nuova manifestazione e si teme che in quella occasione Pechino possa usare la forza come ha più volte minacciato. La Cina non “starà a guardare” ed è pronta a “reprimere i disordini rapidamente” se la crisi di Hong Kong diventa “incontrollabile”, ha ribadito l’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming. “Se la situazione peggiora ulteriormente in disordini incontrollabili da parte del governo il governo centrale non resterà a guardare. Abbiamo abbastanza soluzioni e abbastanza potere per reprimere i disordini rapidamente”, ha detto. La situazione all’aeroporto internazionale di Hong Kong è tornata alla normalità dopo le proteste di questi ultimi due giorni che hanno costretto alla cancellazione di circa 979 voli. L’Airport Authority, ha spiegato l’amministratore delegato Fred Lam, ha ottenuto un’ingiunzione temporanea che impedisce ai manifestanti di entrare in alcune aree dello scalo. Attualmente non ci sono più manifestanti nel terminal e diversi checkpoint sono stati installati. Solo il personale dell’aeroporto e i passeggeri in partenza con biglietti aerei o carte d’imbarco per le prossime 24 ore e documenti di viaggio validi saranno ammessi nei terminal. Trump chiede incontro a Xi Jinping - E dopo giorni di silenzio sulla crisi è intervenuto il presidente Usa, Donald Trump, che ha chiesto un incontro con l’omologo cinese, Xi Jinping, per parlare di Hong Kong. “Conosco molto bene il presidente cinese Xi. È un grande leader che ha un grande rispetto per il suo popolo. È anche un uomo buono nelle situazioni difficili. Non ho dubbi che se vuole risolvere il problema di Hong Kong in modo rapido e umano, può farlo”, ha twittato il presidente Usa, che conclude il messaggio con una frase, “Personal meeting?”, che sembra una esortazione ad un vertice con il collega cinese. Gli Usa hanno espresso “forte preoccupazione” per la concentrazione di militari cinesi al confine e allo stesso tempo hanno condannato la violenza nelle proteste e hanno esortato le due parti alla “moderazione”: la crisi rischia di danneggiare i delicati negoziati commerciali in corso da settimane fra Pechino e Washington.