“Due suicidi in 24 ore”, l’allarme del Garante nazionale dei detenuti di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 6 novembre 2018 Due i suicidi: uno nell’istituto laziale e l’altro in quello siciliano. Dall’inizio del 2018 sono 55. Il Garante Nazionale Mauro Palma esprime “forte preoccupazione per il picco raggiunto” dalle persone private della libertà che si sono tolte la vita. Due morti, tra i quali un suicidio, in ventiquattro ore nel carcere di Velletri. Ma al drammatico bilancio va aggiunto un altro suicidio avvenuto nel carcere siciliano del Pagliarelli. Nella serata di domenica nell’istituto laziale, un giovane detenuto italiano si è tolto la vita impiccandosi con una corda (ricavata dalle lenzuola) legata alle sbarre della finestra della propria cella. Era in isolamento da qualche giorno. Tempestivi sono stati i soccorsi dei sanitari del Penitenziario, che hanno immediatamente messo in atto ogni mezzo di rianimazione per di salvargli la vita, ma purtroppo per il 33enne è stato inutile: il detenuto è deceduto quasi sul colpo. A darne notizia è il sindacalista dell’Ugl Polizia Penitenziaria Carmine Olanda. “Il giovane detenuto che ha deciso di togliersi la vita impiccandosi commenta il sindacalista - era ristretto nel reparto isolamento da pochi giorni perché in attesa di un posto in altra sanzione detentiva. Dal primo momento del suo ingresso nel penitenziario ha sempre mostrato avere un comportamento arrogante e poco collaborativo. Non si conoscono le ragioni del brutto gesto messo in atto che gli ha costato la vita”. Sempre nello stesso carcere, nella notte tra sabato e domenica, è invece stato ritrovato morto (cause ancora da accertare) Salvatore Nappi, un 49enne di origini napoletane che era in attesa del riesame pe tentata truffa. Da appena un mese era ristretto nel carcere di Velletri. Eventi drammatici che non si esauriscono. Sì, perché nello stesso giorno, oltre al suicidio avvenuto a Velletri, un altro è da registrare nel carcere siciliano di Pagliarelli. È il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà Mauro Palma a denunciarlo. Esprime “forte preoccupazione per il picco raggiunto dai suicidi di persone private della libertà: 53 detenuti e detenute si sono tolti la vita a partire dall’inizio dell’anno, di cui “due nelle ultime 24 ore negli Istituti di Palermo-Pagliarelli e di Velletri”. Il Garante prosegue spiegando che anche tenendo conto dell’incremento della popolazione carceraria verificatosi negli ultimi mesi, “si tratta comunque di un numero allarmante”, perché “da un lato supera già quello complessivo dei suicidi avvenuti lo scorso anno. E dall’altro perché alcune categorie di detenuti, come le donne o i cittadini stranieri, hanno visto crescere notevolmente il numero di suicidi, sempre rispetto al 2017”. Mauro Palma sottolinea che “pur considerando le difficoltà di ricondurre eventi del genere a un’unica matrice e posto che la privazione della libertà personale inevitabilmente causa notevole sofferenza nella persone coinvolte, compito dello Stato, che dispone secondo la Legge quella stessa privazione, è fare il possibile per ridurre il rischio che la persona in questione non veda alternative rispetto a quella di porre tragicamente fine alla propria esistenza”. Pertanto, il Garante nazionale invita l’Amministrazione penitenziaria “a continuare a tenere alta l’attenzione nei confronti dell’emergenza suicidi e dichiara la propria disponibilità a lavorare insieme su questo tema, con tutta la riservatezza necessaria, anche al fine di evitare fenomeni di emulazione”. Con gli ultimi decessi, siamo giunti a 122 morti dall’inizio dell’anno, tra i quali ben 55 sono suicidi (il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti include nella conta anche due suicidi avvenuti ai domiciliari). Un macabro record visto che l’ultimo anno dove si è raggiunto un numero superiore a quello attuale è il 2012 con 60 suicidi. La lista sarebbe molto più lunga se gli agenti penitenziari non intervenissero per sventare diversi tentati suicidi che sono in aumento in proporzione alla crescita, costante, del numero dei detenuti. Sì, perché al 31 ottobre, secondo i dati aggiornati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, risultano 59.803 ristretti. Un risultato che fa registrare 9.187 detenuti oltre alla capienza regolamentare che risulta, ufficialmente, di 50.616 posti. Al 30 settembre, invece, erano 8.653 i detenuti in più. Ancor prima, ad agosto, erano invece 8.513 i ristretti oltre i posti disponibili. Aumentano i detenuti, di conseguenza anche il numero dei suicidi e gesti di autolesionismo. Così come le inevitabili criticità che rendono difficoltoso anche il lavoro degli agenti penitenziari. Sicurezza, stop dei 5 Stelle al decreto voluto da Salvini di Carlo Lania Il Manifesto, 6 novembre 2018 Al Senato. Slitta a oggi il voto sul provvedimento. Le opposizioni: “Fermi per le beghe del governo”. Mentre alla Camera si litiga sulla prescrizione, al Senato a dir poco si discute sulla sicurezza. Alla fine Salvini e Di Maio diranno come al solito che tutto va bene e che la maggioranza è compatta, ma basta vedere cosa è successo ieri al decreto fortemente voluto dal ministro degli Interni per capire come stanno davvero le cose. Giunto a un passo dalla sua approvazione, il provvedimento con le nuove e più restrittive norme sull’immigrazione ha subìto invece un brusco e improvviso stop. A comunicarlo ci pensa nel pomeriggio il relatore di maggioranza, il leghista Stefano Borghesi, chiedendo una sospensione dei lavori quando ormai tutti davano per scontato di sentire il ministro per i rapporti con il parlamento Riccardo Fraccaro chiedere la fiducia sul maxiemendamento messo a punto dal governo. Invece no. Dall’Algeria si fa sentire anche Giuseppe Conte: “Porre la fiducia è una decisione da non prendere mai a cuor leggero, vengono valutate tutte le circostanze. Domani scioglieremo la riserva”, fa sapere il premier. Dietro lo slittamento ci sarebbe più di un motivo, frutto delle fibrillazioni sempre più forti nella maggioranza giallo verde. A partire dal bisogno, comune a Lega e 5 Stelle, di inserire nel maxi-emendamento almeno qualcuna delle misure che non sono riuscite a passare in Commissione Affari costituzionali. Come la previsione di sanzioni amministrative per chi organizza un blocco stradale, voluta dai grillini, o un incremento dell’utilizzo delle videosorveglianza nelle strade, sponsorizzato dal Carroccio. Tutte cose non particolarmente rilevanti e lontane anni luce dalle modifiche chieste invece da giorni dai senatori Nugnes, Fattori, De Falco e Montero, i quattro dissidenti del M5S che volevano invece una riscrittura delle norme sulla protezione umanitaria e sul sistema di accoglienza dei richiedenti asilo. Punti che se rimarranno invariati, ha ricordato ieri anche la senatrice di +Europa Emma Bonino intervenendo in aula, fanno del decreto un provvedimento “masochista e autolesionista che aumenterà l’illegalità”. Riscritture a parte, quanto accade rappresenta soprattutto uno stop alla Lega e in particolare a Matteo Salvini. Il titolare degli Interni dava per scontato di avere il decreto già in tasca e invece oggi, una volta tornato dal viaggio in Ghana, dovrà provare a sbloccare la situazione. Magari cedendo qualcosa nella trattativa in corso alla Camera sulla prescrizione. “M5S e Lega interrompono i lavori per il loro mercato della vacche”, accusa il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci. “Siamo ormai all’arbitrio più totale e a un ostentato disprezzo nei confronti del parlamento”, rincarano la dose i senatori di LeU Loredana De Petris e Vasco Errani. A far alzare la tensione nel Movimento ci sono poi proprio i quattro senatori decisi a non votare ilo decreto così com’è. Dopo aver assicurato che non ci saranno sanzioni pe r i dissidenti, ieri dalla Cina Di Maio ha rinviato ogni decisione ai probiviri, lasciando così intendere che qualche provvedimento non sarebbe del tutto escluso. Più esplicito del capo politico è stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Stefano Buffagni: “Se il senatore De Falco non si ritrova nella maggioranza, sono certo che si dimetterà e tornerà a fare il suo lavoro”, ha detto. Per la verità il rischio che il provvedimento non passi è davvero basso, anche se la Senato la maggioranza si sostiene grazie a una manciata di voti. Nel caso il governo dovesse porre la fiducia la possibilità di un voto contrario dei quattro senatori dissidenti sembra ormai svanita. Ieri durante il dibattito in aula De Falco ha discusso a lungo con le colleghe Nugnes e Fattori, queste ultime decise a uscire dall’aula al momento del voto. Farà così anche Matteo Montero ed è probabile che alla fine anche De Falco decida di non votare contro il governo. Salvini inoltre può sempre contare sui voti di Fratelli d’Italia, pronti ad andare in soccorso dell’esecutivo a patto che rinunci alla fiducia. Prescrizione, scontro aperto nel governo di Andrea Fabozzi Il Manifesto, 6 novembre 2018 Giustizia. Il Movimento 5 Stelle insiste con l’emendamento che la Lega non vuole, e ne forza l’ammissibilità nelle commissioni alla camere con uno stratagemma. Ma Salvini insiste: non si possono allungare i processi all’infinito e serva una legge ad hoc. Scendono in campo anche le correnti della magistratura. Non trovano un accordo e si scambiano colpi bassi, gli alleati. Lo scontro sulla prescrizione - i 5 Stelle vogliono bloccarla per sempre, dopo il giudizio di primo grado, la Lega non ci sta - è salito troppo di tono perché possa essere risolto con un dietrofront dell’una o dell’altra parte. Per venirne fuori serve il rituale vertice tra Salvini e Di Maio, e avrà un posto anche per Conte. Ma nessuno dei tre nella giornata di ieri era a Roma, dunque appuntamento rimandato, forse, a stasera. Nel frattempo il presidente del Consiglio (il primo a tornare, da Algeri) oggi ne parlerà con il ministro delle giustizia grillino Bonafede. E le commissioni affari sociali e giustizia della camera (a guida grillina) dovranno finalmente decidere sull’ammissibilità dell’emendamento incriminato, quello presentato dai relatori (di nuovo grillini) del disegno di legge anti corruzione. Emendamento vistosamente non ammissibile, fino a che i 5 Stelle ieri pomeriggio non hanno tirato fuori un’idea per camuffarlo e ammetterlo al voto. Se rivoluzionare l’istituto della prescrizione con un semplice emendamento a una legge sulla corruzione - una “bomba sul processo penale” per usare le parole della ministra leghista Bongiorno - pareva davvero troppo, ecco che i relatori Businarolo e Forciniti (M5S) aggiungono alla loro proposta di interrompere la prescrizione dopo il primo grado una modifica al titolo del disegno di legge. Che così diventerebbe sulla corruzione e sulla prescrizione. Un banale trucco, un colpo basso agli alleati. La Lega non nega che sulla prescrizione sia necessario intervenire. Anche se è stato fatto poco più di un anno fa, allungando notevolmente i termini, e non c’è ancora modo di valutare l’impatto di quella riforma perché si tratta di norme che non possono applicarsi ai processi in corso. Solo il partito di Salvini insiste che l’intervento non si può fare per emendamento, serve un disegno di legge ad hoc che avrebbe il valore di una riforma di sistema. Il carroccio fa trapelare di essere disponibile ad allungare i tempi di prescrizione per alcuni reati, intervenendo per il resto sulla velocizzazione dei processi. Ma è una linea che fa acqua, dal momento che proprio la Lega e proprio alla camera sta portando a venti un disegno di legge per limitare il ricorso ai riti alternativi. Eppure in serata Salvini - che è in Ghana - ribadisce questa impostazione: “Riforma della giustizia e anche della prescrizione sono nel contratto di governo e diventeranno realtà, ma l’importante è farle bene, evitando che i processi durino all’infinito anche per gli innocenti”. È la preoccupazione che prevale tra i giuristi e tra gli avvocati, espressa anche da qualche magistrato e ieri dal presidente dell’autorità anti corruzione Raffaele Cantone: “Allungare sine die i processi contrasta con il principio di ragionevole durata, quindi con la Costituzione”. Adesso anche la magistratura associata è in campo. Se il presidente dell’Anm Francesco Minisci (della corrente di destra, Magistratura indipendente) non era andato oltre una timida approvazione delle intenzioni dei grillini, chiede invece un sostegno esplicito al ministro Bonafede la corrente di Piercamillo Davigo, la toga che i deputati M5S indicano esplicitamente come ispiratore dell’emendamento. Occorre che Csm e Anm “si attivino per favorire l’iniziativa legislativa sulla prescrizione”, incalza Autonomia e indipendenza, corrente che proprio dalla scissione di Magistratura indipendente è nata. Forte anche di questo sostegno, con Di Maio che resterà in Cina fino a questa sera, Bonafede decide di alzare ancora lo scontro, pubblicando in serata una sorta di giuramento del legionario in cui ribadisce che lo stop alla prescrizione è un impegno fondativo dei 5 Stelle dal quale non si può tornare indietro. E così i tentativi serali di mediazione di Conte non portano a nulla. Anche perché la soluzione di apparente buonsenso che sin dal mattino, in un vertice al ministero della giustizia, ha offerto la Lega, quella cioè di stralciare e salvare il disegno di legge anti corruzione - e per questo sarebbe disponibile a ritirare i suoi tanti emendamenti - non garantisce abbastanza i grillini. L’imminente apertura della sessione di bilancio alla camera non lascia spazio a nuovi provvedimenti, a meno di non azzardare un altro decreto. Anzi, sarebbe vitale rispettare la scadenza originaria, in base alla quale l’anti corruzione dovrebbe approdare in aula lunedì prossimo (ora tutti i gruppi, tranne i 5 Stelle, chiedono almeno di ampliare i tempi di discussione in commissione). L’ingorgo di Montecitorio offre però a Di Maio anche un argomento a suo favore, da fa pesare nella trattativa con Salvini. In coda all’anti corruzione c’è infatti la seconda e definitiva lettura della legittima difesa. Bandiera che la Lega ha promesso di sventolare entro la fine dell’anno. Prescrizione, la Lega prepara un contro-piano di Emanuele Buzzi Corriere della Sera, 6 novembre 2018 Ma Di Maio: “Nessuna intenzione di cambiare posizione”. Salvini e il capo politico dei 5 Stelle si vedranno al rientro dai rispettivi viaggi insieme con Conte. La Lega contro i pentastellati: “Hanno tirato fuori un emendamento che incarna la dottrina Davigo: uno può stare sotto processo per tutta la vita”. L’immagine è quella delle rette parallele. Che “si incontrano soltanto all’infinito”. La riforma della prescrizione nei processi si manifesta per quello che era sembrato sin dall’inizio: un affare serio. E anche se nella Lega e tra i 5 Stelle tutti si affrettano a chiarire che il governo “non corre rischi”, nei partiti-partner lo si ammette: le posizioni s’incontreranno pure, ma al momento non si vede dove. I leghisti sono seccati: “I 5 Stelle - dice un parlamentare - hanno usato un metodo completamente diverso da quello che avevamo seguito. Sul dl sicurezza abbiamo passato le notti, sviscerando tutto quello che potevamo. Qui, tutto d’un tratto, è apparso un emendamento che ha saltato il Consiglio dei ministri e incarna la dottrina Davigo”. E cioè? “Uno può stare sotto processo per tutta la vita”. Soprattutto, “il colpo di mano rende più difficile a tutti trovare una strada politica”. E così, anche la riunione di ieri mattina convocata dal ministro alla Giustizia Alfonso Bonafede sarebbe “filata via liscia sui 12 articoli del ddl anticorruzione. Ma sulla mina, l’emendamento che dilata la prescrizione, abbiamo preso atto della distanza”. Ne dovranno riparlare Luigi Di Maio e Matteo Salvini al loro ritorno, rispettivamente, dalla Cina e dal Ghana. Forse già martedì sera, con maggiori probabilità mercoledì. L’idea leghista era sospendere la questione per inserirla nella riforma della procedura penale a cui sta lavorando. Ma lo stesso Bonafede si sarebbe opposto, ricordando di essersi “impegnato pubblicamente sul tema a Viareggio” e osservando che lo slittamento, con la legge di bilancio che entra nel vivo, sposterebbe la prescrizione come minimo a gennaio. E così, le proposte leghiste sono rimaste a mezz’aria. La prima era quella di saltare l’udienza preliminare, anche se resta da capire chi decide se mandare un indagato a processo. Seconda ipotesi, applicare l’emendamento stellato soltanto ad alcune tipologie di reato. Altra idea, non computare nei tempi della prescrizione alcune necessità pratiche: l’esempio citato è quello della “sbobinatura, la trascrizione delle intercettazioni telefoniche che in molti casi richiede mesi e in altri addirittura anni”. Alla riunione si è anche parlato della trasparenza dei partiti. In particolare, i leghisti hanno criticato il no alle prestazioni gratuite a favore di un partito, in modo che i contributi siano completamente visibili. Discussa anche la norma dell’anticorruzione secondo cui chi non ha diritto di voto, non può neppure versare contributi alle forze politiche. Ma anche su questi argomenti i problemi non sono sembrati insormontabili: la discussione è stata sulle forme possibili di autocertificazione. Riunioni interlocutorie, appunto, in attesa del ritorno dai viaggi internazionali dei due leader. Un summit che si svolgerà quasi sicuramente con la mediazione del premier Giuseppe Conte, impegnato anche ieri, di ritorno dall’Algeria, in febbrili telefonate per cercare di tessere incontri e attivare la via della diplomazia. Il presidente del Consiglio è impegnato fino a tarda sera in un vertice di maggioranza per dirimere le questioni più urgenti: il voto di fiducia sul dl sicurezza e la prescrizione. Trattative inoltrate in attesa del via libera definitivo. La linea di Di Maio, però, fino a poche ore prima del summit notturno è chiara. “Proposte leghiste? Non abbiamo intenzione di cambiare la nostra posizione. Il nostro emendamento è la nostra posizione”, spiega ai Cinque Stelle. Anche se il capo politico del Movimento lascia aperto uno spiraglio al dialogo: “Finora non abbiamo ancora discusso - confidava ai suoi dalla Cina - ma ne parleremo”. Come a dire: sarà fondamentale il summit tra i leader per sbloccare l’impasse. Sul tavolo rischia di finire anche la riforma della legittima difesa, anche se c’è chi tra i pentastellati getta acqua sul fuoco. “Sono discorsi che attengono per ora più alla sfera delle ipotesi: si possono trovare convergenze nell’interesse di tutti”. Nella battaglia sulla prescrizione torna l’eterno fantasma di Andreotti di Francesco Damato Il Dubbio, 6 novembre 2018 Il Fatto Quotidiano - e chi sennò - si è affrettato a scomodare il fantasma di Giulio Andreotti per cercare di mettere in difficoltà, se non tacitare, Giulia Bongiorno. Che nella doppia veste di ministro e di avvocato ha osato criticare, e pure pesantemente, la guerra alla prescrizione dichiarata dal suo collega di governo, e un po’ anche di professione, Alfonso Bonafede: accusato, in particolare, di voler usare “una bomba atomica” contro la “ragionevole durata” dei processi introdotta nel 1999 nella Costituzione con la modifica dell’articolo 111. Altro che “ragionevole” sarebbe, in effetti, la durata dei processi se la prescrizione valesse solo sino alla prima sentenza, come vorrebbe appunto il guardasigilli condividendo l’emendamento alla legge “spazza-corrotti” predisposto dai due relatori, entrambi colleghi di partito. I processi durerebbero all’infinito, non finendo - come dicono i sostenitori della riforma, o controriforma, secondo i gusti ma semplicemente rovesciandosi, dalla difesa dell’imputato all’accusa, l’interesse presunto o reale a ritardare un giudizio finale, questa volta soltanto perché sgradito, di assoluzione. “Non arretreremo di un millimetro”, ha garantito il guardasigilli replicando proprio ai rilevi della collega di governo, mentre il vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio partiva per la Cina escludendo che l’arretramento possa avvenire anche solo sul piano procedurale. Cioè, con la decisione di scendere dalla legge sulla corruzione per montare su un’altra legge, o presentarne una apposta. La legge spazzacorrotti deve quindi potersi chiamare anche spazzaprescritti. Il più famoso ed emblematico dei quali rimane nella memoria di Travaglio, ma anche di Nino Di Matteo, intervistato nell’occasione proprio dal Fatto Quotidiano, la buonanima di Giulio Andreotti. L’ex presidente del Consiglio fu a suo tempo assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, per la quale era stato mandato a processo, ma prescritto, come si dice in gergo tecnico e dispregiativo, per l’associazione a delinquere configurabile, secondo i giudici, negli incontri compromettenti da lui avuti sino alla primavera del 1980 con esponenti poi rivelatisi mafiosi. Tanto compromettenti furono peraltro quegli incontri che, una volta diventato presidente del Consiglio, Andreotti concorse curiosamente alla nomina di Giovanni Falcone, il magistrato simbolo della lotta alla mafia, sino ad esserne ucciso, a direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia. E poi sfornò, sempre contro la mafia, un decreto legge tanto ai limiti della Costituzione da essere emesso con fatica dal presidente della Repubblica, e non essere votato in Parlamento dall’opposizione comunista. Di Matteo ha ancora rimproverato a Giulia Bongiorno dalle colonne del giornale di Travaglio di avere festosamente gridato tre volte “assolto” all’indirizzo del suo assistito eccellente, nel momento del verdetto d’appello, sorvolando sulla prescrizione che lo aveva ugualmente macchiato. E di cui ancora si vanta ogni volta che può, a voce e per iscritto, Giancarlo Caselli. Il quale alla guida della Procura della Repubblica di Palermo condusse l’offensiva giudiziaria contro Andreotti, il veterano della Dc e del suo potere. La fedeltà al suo antico assistito, o “Divo”, come lo incoronò Paolo Sorrentino col suo famoso film, nella interpretazione di Toni Servillo, non è la sola colpa rinfacciata in questi giorni alla ministra Bongiorno dagli alleati di governo grillini. E recepita anche da Emilio Giannelli, che con quel nome che porta di Giulia l’ha ritratta sulla prima pagina del Corriere della Sera come variante femminile di Andreotti, diventato persino la proiezione della sua ombra. Le viene un po’ rimproverato anche il fresco approdo, dai lidi finiani della Destra, alla Lega. Di cui nei giorni o nelle ore dispari i grilli ricordano i rapporti passati al governo nazionale con l’odiato Silvio Berlusconi, un altro prescritto eccellente, e quelli perduranti a livello locale, dove peraltro il centrodestra continua a presentarsi unito. Di stampo berlusconiano o protoleghista sarebbero appunto la difesa della prescrizione e tutti o quasi gli emendamenti proposti dai parlamentari del Carroccio alla legge “spazza-corrotti”. Vedrete che prima o dopo, compulsando qualche vecchia rassegna stampa, con la stessa ossessione o chirurgica selezione riservata a verbali giudiziari, intercettazioni e quant’altro, i grillini e le loro prolunghe mediatiche scopriranno le pulsioni andreottiane dei leghisti della prima ora, approdati a decine in Parlamento nella legislatura uscita dalle urne del 1992. Quando Francesco Cossiga invertì con le sue improvvise dimissioni da presidente della Repubblica l’ordine degli adempimenti istituzionali delle nuove Camere, dando la precedenza alla sua successione sul Quirinale rispetto alla formazione del governo, Umberto Bossi chiese consigli a Gianfranco Miglio. Che la mattina gli suggeriva di aspettare la candidatura di Andreotti, preferita a quella in arrivo del segretario della Dc Arnaldo Forlani con l’appoggio di Bettino Craxi, e il pomeriggio invece gli perorava la causa di Cossiga, dimessosi secondo lui per tentare astutamente la rielezione dopo il naufragio sia di Forlani sia di Andreotti. Furbo ma non ancora allenato a dovere ai giochi di palazzo, e pur tentato più dall’idea di un ritorno a Cossiga, il cui piccone non aveva certamente danneggiato la Lega negli ultimi due anni della passata legislatura e nella campagna elettorale di quell’anno, Umberto Bossi tagliò la testa al toro sterilizzando i voti dei suoi ottanta e passa parlamentari. Dalla seconda alla sedicesima e ultima votazione tenne ferma la candidatura di bandiera di Miglio, che nel frattempo si era però convinto che convenisse alla Lega più l’elezione di Andreotti che il sempre più improbabile ritorno di Cossiga. La partita del Quirinale era destinata a chiudersi nel modo più imprevisto, a favore di Oscar Luigi Scalfaro, ancora fresco di elezione alla presidenza della Camera. A dargli una mano, facendolo prevalere sul presidente del Senato Giovanni Spadolini come soluzione istituzionale, fu il clima di disorientamento e di emergenza creatosi con la strage mafiosa di Capaci, costata la vita a Falcone, alla moglie e a tre dei quattro uomini della scorta. Col democristianissimo Scalfaro poi Bossi si sarebbe trovato benissimo quando ne fu incoraggiato - solo due anni dopo, pensate - a liquidare anzitempo il primo governo di centrodestra del Cavaliere di Arcore. Tra cronaca e oblio la parola alle Sezioni unite di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 6 novembre 2018 Corte di cassazione - Sentenza 28084/2018. Trovare un punto di equilibrio tra diritto all’oblio e diritto d’informazione. Lo dovranno fare le Sezioni unite civili dopo che l’ordinanza n. 28084 depositata ieri ne ha sollecitato l’intervento. In discussione un caso a suo modo tipico, la pubblicazione ad anni di distanza, nel 2009, di un articolo su un caso di omicidio in ambito familiare verificatosi nel 1982. Il colpevole aveva nel frattempo scontato i 12 anni di reclusione cui era stato condannato e, di fronte alla pubblicazione dell’articolo, aveva lamentato danni sia psicologici sia patrimoniali. La Cassazione ora ripercorre la vicenda e le ultime conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza. E soprattutto da queste ultime, peraltro recentissime (il riferimento è all’ordinanza n. 6919 del marzo di quest’anno), la Corte ora prende le distanze perché pochi mesi fa era stata individuata una serie di punti, cinque per la precisione, che giustificano la compressione del diritto all’oblio a favore di quello di cronaca. Tra questi, l’interesse effettivo e attuale alla diffusione della notizia, la notorietà della persona interessata, le modalità utilizzate per dare l’informazione, la concessione di un dritto di replica. Un elenco non chiarissimo, afferma ora la Cassazione, che potrebbe condurre a un’eccessiva riduzione dei casi di prevalenza dell’oblio, sino a renderlo di fatto inefficace. Tanto più che nel frattempo - sottolinea l’ordinanza depositata ieri - è entrato in vigore il regolamento comunitario sulla protezione dei dati, con una circostanziata disciplina dei casi in cui è possibile, da parte della persona interessata, la richiesta di rimozione dei dati personali che la riguardano. E allora, l’ordinanza conclude osservando che l’assetto assai delicato dei rapporti tra diritto all’oblio e diritto di cronaca o di manifestazione del pensiero rende “ormai indifferibile” l’individuazione di criteri inequivocabili di riferimento, che permettano agli operatori del diritto di conoscere i presupposti che autorizzano la presentazione della domanda per impedire l’ulteriore diffusione di una notizia legittimamente pubblicata in passato. Truffe online: giudice competente è dove la carta postepay viene ricaricata di Giampaolo Piagnerelli Il Sole 24 Ore, 6 novembre 2018 Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 5 novembre 2018 n. 49988. Nelle truffe on line il luogo di consumazione del reato va individuato laddove la carta postepay viene ricaricata. Questo il principio enunciato dalla Cassazione con la sentenza n. 49988/18. La vicenda - Alla base della pronuncia una vicenda in cui il Tribunale di Vasto aveva disposto la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Cosenza, dichiarandosi incompetente in ordine al reato di truffa. Quest’ultima era stata realizzata sul noto sito subito.it in cui era stato messo in vendita un hard top di una vettura. A tal proposito veniva garantita l’immediata disponibilità, ma la consegna non era mai avvenuta nonostante il soggetto avesse effettuato la ricarica dell’inserzionista poco onesto. Sul punto, tuttavia, si era creato un conflitto di giurisprudenza. Chi era quindi a doversi occupare del reato? Il Tribunale di Vasto o quello di Cosenza. La Cassazione si è espressa per il primo alla stregua del principio secondo cui nel delitto di truffa quando il profitto è conseguito mediante postepay, il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente, che ottiene l’immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima. Conclusioni - Ne discende pertanto che in assenza di incertezze sul luogo di consumazione del reato, la competenza a decidere sulla vicenda in esame deve essere individuata ex articolo 8, comma 1, del Cpp, secondo cui “la competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato”. Toscana: un detenuto su due ha una patologia, anche se lieve di Sara Lavorini quotidianosanita.it, 6 novembre 2018 Oltre la metà dei detenuti toscani secondo la rilevazione dell’Agenzia Regionale di Sanità (Ars), è affetto da almeno una patologia, anche se lieve. I disturbi psichiatrici, come nel resto del paese, rappresentano ancora la prima malattia, soprattutto nelle classi di età più bassa a causa di problemi legati alla tossicodipendenza e, nelle strutture toscane queste realtà, sono maggiormente rappresentate rispetto ad altre zone. Nella regione Toscana sono attualmente presenti 18 istituti penitenziari che ospitavano al 30 settembre 2018 (dati del Ministero di Giustizia) 3.432 carcerati rispetto ad una capienza di posti letto di 3.146, corrispondente ad un tasso di sovraffollamento del 109%, anche se con percentuali maggiori in alcune strutture. Il sovraffollamento delle carceri è in progressiva riduzione rispetto agli anni precedenti (nel 2011 furono registrate oltre 4.200 presenze), ma ancora non del tutto risolto. “Dopo i disturbi psichiatrici - afferma Daniele Marri dirigente Malattie Infettive Siena e referente Simspe Toscana- seguono le malattie infettive e parassitarie, sia a trasmissione parenterale che aerogena. Sono in aumento, ovviamente, le patologie del sistema cardiocircolatorio e del metabolismo, legate al tabagismo e all’inattività fisica con manifestazioni in classi di età più giovani rispetto alla popolazione in libertà. Se analizziamo le tipologie di patologia per fasce di età, in quella giovanile fino a 40 anni prevalgono quelle psichiatriche ed infettive, mentre nelle classi tra 40 e 50 e soprattutto over 60 quelle legate al sistema cardiocircolatorio, del tratto genito-urinario e metaboliche. Molto presenti pure le patologie neoplastiche. Tutte comunque con il denominatore comune dell’insorgenza più precoce rispetto a chi non è recluso”. Il sesso femminile in stato di reclusione è maggiormente interessato dai disturbi psichiatrici (72,4% delle detenute rispetto al 37% degli uomini nel 2017 dati ARS) e, dalle patologie del tratto digerente superiore (esofagiti, gastriti, ulcera). Le detenute in Toscana si confermano una netta minoranza rispetto ai maschi (134 al 30 settembre, il 4,25 % del totale), mentre i detenuti stranieri sono attualmente 1688, il 53,6%, una delle percentuali più alte rispetto alla media nazionale, con provenienza prevalente dal Nord-Africa ed Est-Europa in linea con la media nazionale. Dal punto di vista delle condizioni igienico-sanitarie molti passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni con ristrutturazioni in vari istituti, tuttavia ancora il cammino è lungo. Alcune case di detenzione come a Siena e a Lucca sono attualmente situate in vecchi conventi della prima metà dello scorso millennio, altri come a Volterra e a Gorgona sorgono su vecchie fortezze del 1500 e gli altri sono tutti stati costruiti nel secolo scorso (l’unico costruito dopo il 2000 è quello di Massa Marittima (Dati Ministero della Giustizia). Anche i dati a livello nazionale, forniti dall’amministrazione penitenziaria, testimoniano che ogni anno all’interno dei 190 istituti italiani transitano tra i 100mila e i 105mila detenuti. I numeri ufficiali del Ministero della Giustizia indicano che oltre il 50% dei soggetti ha meno di quarant’anni e che un detenuto su tre è straniero. Per quanto riguarda il genere, le donne sono circa il 4% della popolazione carceraria. “Numeri importanti sottolineano una forte precarietà anche da un punto di vista psicologico: si stima che due detenuti su tre, secondo dati Simspe, soffrono di qualche disagio di tipo mentale. Per disagio mentale - spiega Luciano Lucania, Presidente Simspe - Onlus - intendiamo quella sofferenza sia psicologica che clinico-psichiatrica. Sono numeri importanti, con percentuali molto elevate: si stima che riguardi il 60/70% dei detenuti in tutta Italia. Tali problemi rendono questa popolazione a rischio per fenomeni di autolesionismo e di auto soppressione. Se, infatti, la cura delle malattie infettive è legata a una diagnosi e a una conseguente terapia, per quelle mentali occorre non soltanto un approccio clinico e farmacologico, ma anche psicologico e di sistema, sociale e territoriale, che non guardi solo la situazione nelle carceri, ma anche quella esterna”. Grazie ad un finanziamento ministeriale nel 2017 è stata effettuata una campagna in tutti gli istituti gestita dall’Ars e, con la collaborazione dei medici infettivologi è stato incrementato lo screening e la vaccinazione per Epatite B, con l’obiettivo di poter in un futuro portare la copertura vaccinale di questo virus come nel resto della popolazione libera. Sono inoltre disponibili le vaccinazioni per Epatite A, Virus Influenzale, Meningococco, Pneumococco, Morbillo, HPV. Palermo: suicidio al Pagliarelli, 29enne si impicca in cella di isolamento di Pino Apprendi* Ristretti Orizzonti, 6 novembre 2018 Al carcere di Pagliarelli, a Palermo, non si fermano i suicidi. Ormai è routine, non fa più notizia, tanto il detenuto é considerato un rifiuto. Ancora un giovane ventinovenne, sempre con la stessa modalità e con le stesse caratteristiche. In isolamento e con disturbi psichiatrici. Un fastidio in meno per chi avrebbe avuto il compito di sorvegliare su di lui. Ma tanto non succederà nulla, forse qualcuno scriverà qualche rigo, ma chi di competenza, il Ministero di Grazia e Giustizia non penserà nemmeno di fare una ispezione, sarebbe una perdita di tempo inutile secondo qualcuno. Io dico basta, non è giusto che avvengano tanti suicidi nel carcere, qualcosa non funziona. Questo ragazzo ha ricevuto tutte le cure necessarie? I psicologi e gli educatori lo hanno incontrato? Ci sono le relazioni quotidiane dei medici che avevano l’obbligo di visitarlo? Quanti giorni é stato in isolamento e perché non era nel reparto di psichiatria? Possibile che non ci siano responsabili della vita di un uomo o di una donna che entra nel carcere? Non mi rassegnerò mai al silenzio, di fronte all’indifferenza per la morte di una persona che lo Stato avrebbe dovuto tutelare e rieducare. *Presidente di Antigone Sicilia Velletri: detenuto 33 morto suicida in carcere, era stato arrestato pochi giorni fa castellinotizie.it, 6 novembre 2018 Costernazione e dolore, a Velletri, per i parenti ed amici di C.M, il detenuto 33enne morto nella notte appena trascorsa presso il Carcere di Lazzaria, dove era stato ristretto da pochissimi giorni. L’uomo, a quanto pare, si è impiccato con un lenzuolo nella sua cella di isolamento. L’uomo, che era stato arrestato pochi giorni prima dai Carabinieri di Lariano, nell’ambito di un’operazione legata alla ricettazione, era entrato nella Casa circondariale da neppure una settimana ed era in attesa che la giustizia si pronunciasse sul suo conto. Inutili si sono rivelati i soccorsi messi in atto sia dai sanitari del penitenziario che dai sanitari del 118, visto che il malore per il detenuto è stato fulminante. A darne notizia era stato per primo il sindacalista dell’ Ugl Polizia Penitenziaria, Carmine Olanda, che da anni denuncia le difficili condizioni di lavoro che svolgono tutti gli operatori penitenziari, ma anche il concomitante sovraffollamento di detenuti. La salma, dopo tutti gli accertamenti da parte del Comandante, Direttore, medico legale, Polizia Scientifica e su disposizione del magistrato, è stata trasportata presso la camera mortuaria di Tor Vergata per espletare tutti provvedimenti del caso e, con tutta probabilità, procedere con l’autopsia, per far luce sulle cause del decesso. Il 33enne, che abitava nella zona del Cigliolo, lascia la moglie e due figli, nonché i tanti parenti ed amici che ne piangono la scomparsa. Velletri (Rm): muore in carcere detenuto napoletano originario di Forcella cronachedellacampania.it, 6 novembre 2018 Si chiamava Pietro Nappi ed aveva 49 anni. Lo sua morte è stata annunciata sul profilo Facebook da Pietro Ioia il responsabile degli ex detenuti organizzati. “Un’altro morto nelle nostre maledette carceri, Salvatore Nappi, anni 49 napoletano di forcella, era in attesa del riesame per tentata truffa, era detenuto da appena un mese nel carcere di Velletri, nella mia lunga detenzione ho incrociato centinaia di politici e potenti che si sono arricchiti con truffe milionarie, e passavano per la matricola per le impronte digitali e poi andavano a casa, la solita giustizia debole con i potenti, giustizia di merda”. Ha scritto Ioia. Della vicenda si è occupato anche il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, che esprime “forte preoccupazione per il picco raggiunto dai suicidi”. Sono infatti 53 detenuti e detenute si sono tolti la vita a partire dall’inizio dell’anno, di cui due nelle ultime 24 ore negli Istituti di Palermo-Pagliarelli e di Velletri. “Anche tenendo conto dell’incremento della popolazione carceraria verificatosi negli ultimi mesi - spiega Palma - si tratta comunque di un numero allarmante. Da un lato perché supera già quello complessivo dei suicidi avvenuti lo scorso anno. E dall’altro perché alcune categorie di detenuti, come le donne o i cittadini stranieri, hanno visto crescere notevolmente il numero di suicidi, sempre rispetto al 2017. Pur considerando le difficoltà di ricondurre eventi del genere a un’unica matrice e posto che la privazione della libertà personale inevitabilmente causa notevole sofferenza nella persone coinvolte, compito dello Stato, che dispone secondo la Legge quella stessa privazione, è fare il possibile per ridurre il rischio che la persona in questione non veda alternative rispetto a quella di porre tragicamente fine alla propria esistenza, sottolinea il Garante, che invita l’Amministrazione penitenziaria a continuare a tenere alta l’attenzione nei confronti dell’emergenza suicidi e dichiara la propria disponibilità a lavorare insieme su questo tema, con tutta la riservatezza necessaria, anche al fine di evitare fenomeni di emulazione. Comprendere se tale scelta estrema si realizzi maggiormente in alcuni ambienti o in alcune fasi della detenzione potrebbe offrire elementi utili per prevenirla, mettendo in campo azioni mirate”. Salerno: il direttore del carcere sul suicidio di una detenuta “adottati tutti i protocolli” puntoagronews.it, 6 novembre 2018 “Sono stati adottati i protocolli sia nazionali che europei. Di fronte alla volontà di togliersi la vita di una persona, ritengo che non sia automatico dire che abbia fallito il sistema”. Lo ha detto a margine di una conferenza stampa il direttore del carcere di Salerno, Stefano Martone parlando del suicidio di una donna avvenuto nei giorni scorsi all’interno della casa circondariale di Fuorni. “Le misure adottate sono state importanti anche se inefficaci rispetto all’evento ultimo”, ha spiegato Martone, difendendo l’operato svolto all’interno dell’istituto. Il direttore del carcere di Salerno, inoltre, nell’esprimere cordoglio ai familiari della donna ha ricordato che “la nostra struttura è una delle poche in Italia ad avere un protocollo d’intesa per il rischio suicidario” e ha anticipato che “a breve firmeremo con l’Asl un piano locale attraverso il quale si cercherà di fare sempre più rete per la cosiddetta area atecnica per intercettare la stragrande maggioranza dei casi a rischio” Napoli: morto in carcere il boss Vincenzo Mazzarella, era condannato all’ergastolo cronachedellacampania.it, 6 novembre 2018 Il clan Mazzarella in lutto. È ieri in carcere il boss Vincenzo Mazzarella ò pazzo. Uno dei leader storici della camorra napoletana è stato stroncato nel carcere dove era detenuto. La notizia da alcune ore sta facendo il giuro dei vicoli di Poggioreale, piazza Mercato e san Giovanni a Teduccio. Mazzarella era stato condannato all’ergastolo nel marzo scorso quale mandante del duplice omicidio di Vincenzo Rinaldi “ò guappetiello e del cognato Luigi De Marco detto “Ginetto”. L’agguato si consumò il 28 marzo 1996 nel rione Villa a San Giovanni a Teduccio con l’accordo del ras di Ponticelli Vincenzo Sarno, oggi collaboratore di giustizia. Mentre a gennaio scorso con una mossa a sorpresa nel processo di Appello per la strage della famiglia Riera di era dissociato ed aveva evitato l’ergastolo. Per lui arrivo solo una condanna a 21 anni di carcere. La scorso settimana infine per lui era stata avanzata una richiesta di giudizio per aver partecipato insieme ad altri 8 detenuti nel carcere di Salerno nella notte tra il 24 e il 25 dicembre dello scorso anno dal pestaggio del boss di Cava de Tirreni, dante Zullo e di suo figlio Vincenzo. Avellino: malati psichiatrici e giustizia, la riforma incompiuta degli Opg Il Mattino, 6 novembre 2018 Tutelare i malati psichiatrici con un’azione rivolta al rispetto della dignità della persona. L’associazione forense Aiga di Avellino, presieduta da Raffaele Tecce, è la prima, in campo nazionale, a promuovere la costituzione di una rete di avvocati per promuovere il diritto a un’esistenza dignitosa di quanti, detenuti o liberi cittadini, sono affetti da una patologia psichiatrica. “E tu slegalo subito, La tutela dei diritti dei malati psichiatrici” è il convegno che si svolgerà venerdì prossimo 9 novembre, alle 15, al Tribunale di Avellino, per sensibilizzare esperti ed opinione pubblica sul tema. Dopo i saluti di Raffaele Teece, l’introduzione di Roberta D’Aciemo. Interverranno: Roberto Schiaffo, docente di Diritto Penale e Criminologia dell’Università di Salerno, Girolamo Daraio, docente di Diritto Penitenziario dell’ateneo salernitano, Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Regione Campania, Giovanna Del Giudice, psichiatra, idea-trice della campagna nazionale e presidente della Conferenza Basaglia, moderati da Anna Chiara Casillo. “L’idea - commenta il presidente Tecce - è nata dalla condivisione degli obiettivi di “E tu slegalo subito”, per assicurare al paziente psichiatrico, sia libero che detenuto, i diritti fondamentali della persona. Spesso, infatti, questo tipo di malati riceve un trattamento lesivo, essendo legati mani e piedi ad un letto, per l’erronea convinzioni di trovarsi dinanzi ad un soggetto privo di volontà e socialmente pericoloso”. Nonostante l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari e l’istituzione delle Rems per l’esecuzione penale dei detenuti, la prassi di sottoporli a un trattamento coercitivo che impedisce loro i movimenti delle mani e dei piedi continua a esistere “Questi pazienti - continua Tecce - subiscono ancora oggi una contenzione meccanica e farmacologica che, in alcuni circostanze, conduce alla morte. Esemplare è quanto accaduto al venditore ambulante Giuseppe Caso che, legato al letto, è deceduto dopo 7 giorni. Il nostro obiettivo è creare una rete di avvocati che, con il supporto di specialisti, garantiscano la dignità dei malati psichiatrici”. Biella: rafforzato il servizio di assistenza sanitaria in carcere aslbi.piemonte.it, 6 novembre 2018 Conclusa la procedura di gara per l’affidamento, per cinque anni, delle attività dedicate ai detenuti ospiti nella Casa Circondariale. L’Asl di Biella investe circa 400mila euro annui per offrire un’ assistenza completa su più fronti. Per quanto attiene il Personale infermieristico è prevista la presenza di 2 infermieri per un tempo di 12 ore giornaliere. Un’assistenza, quella degli infermieri, pensata per essere orientata non solo alla gestione ed organizzazione dell’intervento con l’applicazione delle prescrizioni diagnostiche - terapeutiche, ma che punta anche ad educare alla salute rafforzando al tempo stesso la relazione con l’utente/ detenuto e con la squadra di lavoro. Un’ attenzione particolare è dedicata a chi è affetto da una dipendenza patologica, con un supporto specifico che viene fornito seguendo le indicazioni del Ser.D. dell’Asl Bi. Per tale attività c’è un Team dedicato composto da 3 psicologi, 2 educatori e 1 assistente sociale. L’obiettivo è infatti quello di strutturare per ogni persona che ne avesse bisogno un progetto terapeutico riabilitativo individualizzato (Ptri) per offrire un percorso di recupero personalizzato, frutto della collaborazione di più figure professionali, con un modello di lavoro in équipe. Il Carcere di viale dei Tigli, 14 a Biella è una struttura a custodia attenuata da circa due anni; qui risiedono detenuti con fine pena entro i 5/6 anni e ha una capienza massima di circa 600 detenuti, mediamente vi soggiornano 420/450 detenuti. “L’esternalizzazione del servizio - ha sottolineato la dottoressa Sonia Caronni, Garante dei diritti delle persone ristrette nella libertà per il Comune di Biella - ha di certo gettato le basi per migliorare il sistema di garanzia dei diritti e di rispetto alla cura in carcere. Ho apprezzato in modo molto particolare questa attenzione alla cura anche sul fronte della gestione delle dipendenze, in collaborazione con il Ser.D.; è la dimostrazione del valore dell’esperienza già avviata nella sezione “Ricominciare” che adesso può trovare continuità”, come riportato nel Genova: “La Corte costituzionale nelle carceri”, il 9 novembre arriva Francesco Viganò Agenparl, 6 novembre 2018 Venerdì 9 novembre 2018, a partire dalle ore 10,00, presso la Casa circondariale Marassi di Genova (Piazzale Marassi n. 2), il Giudice della Corte costituzionale Francesco Viganò incontrerà i detenuti, nell’ambito del progetto “Viaggio in Italia: la Corte costituzionale nelle carceri”. Nel teatro del carcere il Giudice terrà una lezione che si svilupperà attorno al frammento di Costituzione Tendere alla rieducazione. Successivamente risponder alle domande che i detenuti vorranno rivolgergli. Dopo l’incontro, il Giudice Vigan visiterà gli spazi detentivi. Il progetto Viaggio nelle carceri stato deliberato dalla Corte l8 maggio scorso e, in continuità con il Viaggio nelle scuole, risponde anzitutto all’esigenza di aprire sempre di più l’Istituzione alla società per diffondere e consolidare la cultura costituzionale. L’incontro fisico con porzioni del Paese reale esprime poi l’esigenza di uno scambio di conoscenze e di esperienze in funzione di una piena condivisione e attuazione dei valori costituzionali. Infine, con la scelta del carcere, la Corte intende anche testimoniare che la cittadinanza costituzionale non conosce muri perché la Costituzione appartiene a tutti. Il progetto - grazie alla collaborazione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità - prevede un ciclo di incontri in diverse carceri italiane. Dopo Rebibbia Nuovo complesso, San Vittore, Nisida minorile, Terni e Genova-Marassi seguirà, il 16 novembre 2018, Lecce femminile. Il Viaggio proseguirà nel 2019, come quello nelle scuole. I giornalisti e i cineoperatori interessati a seguire di persona l’incontro di Marassi dovranno accreditarsi entro giovedì 8 novembre, ore 12,00. L’accesso al carcere di Marassi sarà consentito tra le 8,45 e le 9.15 di venerdì 9 novembre. Alessandria: Social Wood “I detenuti? Aiutateci a mandarli a lavorare” di Marco Madonia alessandrianews.it, 6 novembre 2018 Il progetto per l’apertura di una bottega all’interno del carcere in città è ormai maturo e ha lanciato una raccolta fondi per dare ancor più solidità al piano, arrivando a coinvolgere nel tempo un numero maggiore di detenuti. Invece di rimanere con le mani in mano verranno realizzati oggetti di arredo e di design. “Bisognerebbe mandarli a lavorare” è una frase utilizzata tante volte quando si parla di chi si trova a scontare una pena all’interno del carcere, alla luce del fatto che viene, di fatto, spesso mantenuto a spese dello Stato ma anche che la detenzione per lunghi periodi senza la possibilità di mantenersi attivi per la società non fa aumentare il rischio di recidività una volta usciti dal carcere. Anche su queste considerazioni si fonda il progetto promosso “Social Wood”, finanziato dalla fondazione Social e promosso da Ises, e che è ormai visibile in città, considerando che è stato da qualche mese ‘bucatò il muro di cinta della Casa Circondariale in piazza Don Soria. Oggi, a pochi giorni ormai dall’inizio vero e proprio dell’apertura del negozio, è in corso una raccolta fondi per sostenere il progetto, dando la possibilità nel tempo a un numero sempre maggiore di detenuti di prendere parte al laboratorio di falegnameria interno al carcere e alle attività legate al negozio. Sulla piattaforma di crowfunding “Eppela” è infatti stata aperta un’apposita pagina dedicata all’attività nata ad Alessandria, che ha già 1680 euro, una bella somma ma non ancora sufficiente per raggiungere il target, che è di 10 mila euro. Il progetto non si limita infatti alla produzione di mobili a partire da pallet e legno da recupero, ma anche alla creazione di un vero e proprie SocialHub, il “primo negozio italiano in carcere:” uno spazio per dare visibilità a tutti gli attori del terzo settore e alle loro produzioni solidali, consentendo anche a realtà del terzo settore di raccogliere così fondi mediante la vendita nello store del carcere, messo a disposizione di chi ne avrà bisogno. Salerno: “La pizza buona dentro e fuori”, ecco la pizzeria sociale in carcere Il Mattino, 6 novembre 2018 “La pizza buona dentro e fuori” è lo slogan che accompagna l’iniziativa presentata questa mattina al Comune di Salerno e che prevede la realizzazione di una pizzeria sociale all’interno del carcere di Fuorni. Un programma di reinserimento per i detenuti che vede protagonista la casa circondariale salernitana, assieme all’assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Salerno, alla Fondazione Casamica e alla Fondazione della Comunità Salernitana. “È un progetto a cui tengo tantissimo perché dà la possibilità ai detenuti di alimentare la speranza e di dare il senso di rieducazione che è il senso vero della pena”, ha affermato il direttore del carcere di Salerno, Stefano Martone a margine della firma del protocollo d’intesa tra tutti i partner. I detenuti saranno coinvolti attivamente in tutte le fasi del progetto. A partire dalla realizzazione del locale, già individuato all’interno del carcere, e nel quale sarà realizzata la pizzeria. Successivamente si formeranno e avranno la possibilità di acquisire il titolo di pizzaiolo che sarà spendibile una volta tornati in libertà. “Il progetto, in carcere, continuerà - ha proseguito Martone - perché sarà favorito il passaggio di testimoni tra i detenuti. E ci sarà anche la possibilità di consegnare la pizza ai detenuti che l’avranno acquistata a prezzi calmierati. Questa idea progettuale deve essere foriera di lavoro, di opportunità trattamentali, di opportunità formative e di attestati spendibili anche all’esterno”. Milano: incontro della Sesta Opera San Fedele “Noi e l’Islam, anche in carcere si prega” Corriere della Sera, 6 novembre 2018 Anche in carcere si prega: in tutte le lingue e con preghiere di tutte le fedi. È l’argomento del prossimo appuntamento - sabato 10 novembre - nell’ambito del ciclo di incontri di formazione sui temi della giustizia, della pena e del volontariato carcerario in corso ogni sabato dalle 9 alle 12.30 nella Sala Ricci di piazza San Fedele 4 a Milano. L’iniziativa, aperta a tutti e finalizzata alla formazione dei volontari che seguono i condannati in carcere e fuori, è promossa da “Sesta Opera San Fedele”: associazione che da quasi 95 anni, ispirandosi alla sesta opera di misericordia del Vangelo di Matteo (“Visitare i carcerati”) si occupa dell’assistenza morale e materiale degli autori di reato in collaborazione con Caritas Ambrosiana e Seac. I relatori di sabato saranno don Giampiero Alberti, collaboratore al servizio per il dialogo interreligioso della Diocesi di Milano (“Noi e l’Islam”), don Roberto Mozzi, cappellano di San Vittore, (“La fede cristiana come risorsa per le persone detenute”) e don Marco Frediani, incaricato diocesano della pastorale per i Rom. Nell’ultimo incontro, sabato 17 novembre, Guido Chiaretti illustrerà alcuni insegnamenti tratti dal magistero di Carlo Maria Martini da cui Sesta Opera trae ispirazione per curare lo stile dei suoi volontari. Milano: creati da un ergastolano del carcere di Opera i francobolli per il Vaticano di Paolo Foschini Corriere della Sera, 6 novembre 2018 Lo Stato di San Pietro sceglie i dipinti di un condannato Marcello D’Agata, da 25 anni in carcere e convertito I soggetti? Una Natività e una Annunciazione La filatelia e i carcerati: gli ultimi a usare la posta “L’arte mi ha ridato la vita persa dietro falsi maestri”. E che effetto le fa? “Di grande gioia. Portare pace anche attraverso un francobollo è un modo di riscattare il mio passato oscuro. Che non sento più appartenermi, ma che non posso ignorare. E mi fa male”. Così ha risposto Marcello D’Agata a chi gli ha chiesto di commentare la notizia che diverrà ufficiale fra tre giorni: e cioè che due dei suoi quadri, una Natività e una Annunciazione, sono stati scelti dall’Ufficio filatelico del Governatorato della Città del Vaticano per illustrare i francobolli di Natale che verranno emessi il 9 novembre in presenza dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini. Con una cerimonia che si terrà nel carcere di Opera. Dove Marcello D’Agata da oltre un quarto di secolo sta scontando l’ergastolo per reati di mafia. Ergastolo ostativo, tecnicamente. Quello con la scritta ufficiale sul foglio: “Fine pena mai”. Eppure. C’è sempre da riscoprire qualcosa degli uomini e cioè di noi quando si scende, si fa per dire, tra i (con)dannati. Per esempio appunto i francobolli, partendo dal piccolo. Perché in questo tempo che parla (quasi) solo a chi è online, dice ti amo (quasi) solo in whatsapp e governa comunque i popoli con un tweet è rimasta un’unica classe sociale - collezionisti a parte - a sapere ancora che i francobolli esistono. Ed è la classe dei carcerati. Una città di poco meno di 60mila abitanti in Italia. Gli ultimi cittadini dell’Occidente che per chiedere a qualcuno “come stai” devono ancora prendere carta e penna, scrivere, imbustare. E affrancare, già. Sarà anche per questo che ha avuto un certo seguito tra diversi di loro, sparsi un po’ qua e là, un protocollo intitolato “Filatelia nelle carceri” siglato ancora nel 2013 tra Ministeri della Giustizia e dello Sviluppo economico con Poste italiane, Unione della stampa filatelica e Federazione delle Società filateliche italiane. A monte c’era già stato tre anni prima un progetto-pilota nel carcere di Bollate ad aver dimostrato l’efficacia - una volta di più - di programmi basati sulla cultura, l’arte e la bellezza ai fini del recupero personale e sociale di chi sta in galera. L’allora presidente della Federazione Danilo Bogoni - tra i firmatari del protocollo insieme con Luigi Pagano in quel periodo era vicecapo dell’Amministrazione penitenziaria in Italia - si impegnò personalmente a seguire il Gruppo filatelico che nel carcere di Opera riunisce oggi dodici detenuti dalla categoria “As1”, alta sicurezza. Riunione settimanale ogni lunedì. Da quattro anni. Il risultato sono state diverse collezioni, dalla prima realizzata in occasione di Expo 2015 a quell’altra inaugurata l’anno dopo dal cardinale Angelo Scola. E il disegno di un carcerato di lunga pena quale Matteo Boe, uscito da Opera l’anno scorso dopo avere scontato i 25 della sua condanna fino all’ultimo, era già stato trasformato in francobollo sempre nel 2015 dal Ministero dello Sviluppo economico. Ma con Marcello D’Agata è la prima volta che il Vaticano sceglie addirittura due dipinti di un ergastolano ostativo quali soggetti per altrettanti francobolli speciali da emettere per Natale come Stato di San Pietro: il cui simbolo con le famose chiavi (del Paradiso) stampato in alto a destra appare qui più significante di quanto non sarebbe una intera conferenza. Ovvio che la scelta di un carcerato come pittore del Natale ha inteso riconoscere da parte della Santa Sede, più dell’aspetto artistico pur non privo di una sua rilevanza, il compimento di un percorso. A prescindere dall’aspetto giudiziario, qui neppure toccato. Come dice Mauro Olivieri, direttore dell’Ufficio filatelico e numismatico del Governatorato del Vaticano: “Affidare la realizzazione dei francobolli di Natale a Marcello D’Agata è stato un segno di speranza, fiducia e fede nel prossimo e nella sua possibilità di comprendere il male fatto e di recuperare. Sono proprio gli ultimi degli ultimi quelli che, secondo l’insegnamento di Gesù, meritano la nostra attenzione”. Già lo scorso luglio D’Agata, attraverso le sue figlie, aveva fatto pervenire a papa Francesco due suoi dipinti tra cui un Crocifisso. L’ispettore generale dei cappellani dell’Amministrazione penitenziaria, don Raffaele Grimaldi, con una lettera da Roma gli fece sapere che il Papa non solo aveva “apprezzato il suo dono” ma sottolineava che “creare opere d’arte” può portare “attraverso il linguaggio della bellezza una scintilla di speranza e fiducia proprio lì dove le persone sembrano arrendersi all’indifferenza e alla bruttezza”. “Qualcosa è scattato in me - ha raccontato lui - in occasione del Giubileo della Misericordia, quando papa Francesco concesse ai detenuti la facoltà, per la prima volta, di attraversare la Porta Santa e ottenere con l’indulgenza plenaria la “certezza del perdono”. Da lì - dice - ho cominciato a prendere in mano i pennelli”. Nella lettera che le sue figlie avrebbero consegnato al Papa più avanti scrive tra le altre cose che “il passaggio della Porta Santa vissuto nella più totale solitudine, Santità, è stato un momento emozionantissimo, difficile da descrivere. Esso mi ha ridato quella vita e quella gioia perse quando, convinto da un falso maestro, avevo lasciato che il male si impadronisse di me”. Poi eccolo “ringraziare le due persone straordinarie, la professoressa Chiara Mantovani e suor Maria Stella De Marchi, che mi hanno accompagnato in questo percorso artistico di crescita personale e spirituale”: che “mai avrebbe avuto uno sbocco senza il sostegno dell’Amministrazione penitenziaria e della Direzione dell’Istituto di Opera”. Proprio all’Amministrazione ha regalato uno dei suoi quadri più grandi, un gigantesco Albero della conoscenza del bene e del male. Dice che della sua “precedente vita” gli sono rimasti quattro piccoli quadretti fatti da ragazzo: ora ce li hanno le figlie. C’è voluta una “altra vita” in carcere prima di ritrovare quella passione. “Quando mi trovo a dipingere - dice - è come se mi guardassi allo specchio. Nella pittura riverso tutte le mie emozioni, per permettere a ciò che ho imprigionato dentro di uscire fuori. E quando non posso dipingere amo sognare a occhi aperti. Il solo modo di arrivare in luoghi per me irraggiungibili”. Cita la frase di Maria all’angelo per descrivere non solo l’attimo ma l’atteggiamento di vita che ha inteso rappresentare in quella sua Annunciazione che da venerdì sarà un francobollo del Vaticano: Avvenga di me quello che hai detto. “Il mio augurio - conclude - è che il francobollo porti nel mondo un segno di pace. E ringrazio tutti coloro che hanno permesso anche a me di dare un messaggio finalmente positivo nei confronti della società civile”. Velletri (Rm): nel carcere la “Cultura alimentare, percorso rieducativo tra cibo e vino” di M. Durante* Ristretti Orizzonti, 6 novembre 2018 Il giorno 30 ottobre presso la Casa circondariale si è tenuto l’evento “Cultura alimentare, un percorso rieducativo tra cibo e vino”, al termine del quale sono stati consegnati a 22 detenuti del Padiglione a Sorveglianza dinamica gli attestati di formazione professionale. Già alla seconda edizione, l’enologo-pedagogista Sergio De Angelis che ha realizzato il Corso di degustazione cibo-vino, nel mese di agosto. La cultura alimentare, diretta al miglioramento delle abitudini alimentari e ad un maggiore apprezzamento della qualità, entra in carcere attraverso un laboratorio enogastronomico. Si intreccia nel percorso di rieducazione per cercare di tirar fuori da ogni persona detenuta, ancora una volta, il meglio che ha da dare. La conoscenza e la cultura del gusto e della qualità, l’acquisizione di competenze specifiche, spendibili nel mondo esterno, rappresentano una premessa importante per un’efficace risocializzazione. Grazie al Direttore M.D. Iannantuono che ha reso possibile la realizzazione del corso e dell’evento finale. *Responsabile Area Trattamentale C.C. Velletri Pozzuoli (Na): il carcere femminile visto con gli occhi di una volontaria di Giovanna Di Francia cronacaflegrea.it, 6 novembre 2018 Il carcere femminile di Pozzuoli è una realtà a noi vicina. Strutturalmente è inserito nel cuore cittadino, ma varcare le sue porte significa attraversare la linea di confine che separa la frenesia della quotidianità, dallo scorrere lento e inesorabile di un tempo che restituirà la libertà. Da questa parte c’è chi vorrebbe che il tempo si fermasse e cristallizzasse una gioventù che sfugge; dall’altra chi conta i giorni e le ore che consentiranno, a donne più mature, di ritornare agli affetti e ai legami improvvisamente interrotti. C’è anche chi aspira a restare all’interno di quel guscio di protezione perché ha perso tutto, perché in fondo la realtà carceraria, anche se con le sbarre, è diventata la propria abitudine, la propria sicurezza. L’operatore carcerario incontra le detenute durante i momenti di comunità, tende loro la mano rubando una briciola di dolore e lasciando in ciascuna una cellula di bene, sperando che metta radice e proliferi. È il ritorno a casa che spesso rivela l’inganno; chi ha pagato il proprio conto spesso cresce e tende al riscatto sociale, ma il nucleo primordiale al quale viene restituito sta quasi sempre là a ricordarle che alternativa non c’è. Tutti gli uomini hanno nel proprio intimo un potenziale di malvagità, ma comprendere la fortuna di essere nati e di aver vissuto la propria vita in un contesto sociale che ci ha liberati da esso, non è un dono da poco. Saperne apprezzare l’essenza significa vincere definitivamente il pregiudizio. Può dirsi il lavoro su se stessi più difficile che il volontario è chiamato ad affrontare. Quando il quadro è dipinto e il compito può dirsi completo, le corde più intime dell’animo di ciascuno rivelano che nella vita nulla è a caso e se la prima volta che hai varcato quella soglia ti sei sentito uno straniero in terra altrui, ora senti che la linea di confine nel tuo cuore è stata cancellata dall’amore che non potresti più non donare. Torino: “se io sapevo che c’era il teatro forse non finivo qui” di Federico Dagostino comune.torino.it, 6 novembre 2018 Il teatro coinvolge, appassiona ed educa culturalmente non solo chi lo frequenta come spettatore ma anche e, forse, soprattutto chi diventa protagonista della scena come attore. Alla Casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino da oltre 25 anni il “Teatro-società” opera con un progetto formativo i cui contenuti, nei giorni scorsi, sono stati illustrati dal direttore Claudio Montagna ai consiglieri della commissione Legalità, presieduta da Carlotta Tevere. Finanziato un tempo dalla Città, oggi può contare sul contributo della Compagnia di San Paolo. Lo scopo, ha spiegato Montagna, non è quello di intrattenere i detenuti, né quello di alleviarne le pene. Lo scopo è quello creare un rapporto con la città utilizzando, come strumento comunicativo, una forma poetica alta. Il finanziamento copre 312 ore di formazione, per 30 detenuti e detenute, divisi in tre gruppi. Le lezioni vertono su storia del teatro, video, fonica, scenotecnica e naturalmente, drammaturgia. Alle donne, alcune delle quali già frequentano corsi di sartoria, sono dedicate corsi dedicati alla realizzazione di costumi da teatro, cosmetica e trucco teatrale. Una specifica formazione infine riguarda anche il personale del carcere: è prevista per gli operatori artistici che lavorano in carcere, formazione e informazione per operatori sociali e per agenti. La Garante per i diritti dei detenuti, Maria Cristina Gallo, presente ai lavori della Commissione, ha sottolineato come i detenuti che frequentano i laboratori di teatro si mostrino, durante i colloqui, più aperti. Un’esperienza, per più di una persona, conosciuta proprio durante il periodo di detenzione. Per molti il rammarico di non averla potuta vivere prima. “Se io sapevo che c’era il teatro forse non finivo qui” è una frase che ricorre spesso tra chi nel carcere si avvicina al teatro che rappresenta una prospettiva per tornare protagonisti, non solo sul palco teatrale ma di fronte alla platea della società, un domani, scontata la pena. Busto Arsizio: Una “sera in galera”, tornano le cene con delitto organizzate dai detenuti varesenews.it, 6 novembre 2018 Torna l’appuntamento con la compagnia teatrale della casa circondariale di Busto. Tre serate aperte a tutti su prenotazione, una scelta alternative anche per i gruppi. Ormai è quasi una tradizione: da novembre a gennaio il carcere di Busto Arsizio e l’associazione L’Oblò organizzano “Una sera in galera”: la cena con delitto dietro le sbarre. Un’occasione divertente all’insegna del crimine e dell’investigazione. La cena è curata da Enaip in collaborazione con cuochi e camerieri detenuti. Tra una portata e l’altra il pubblico assisterà a uno spettacolo con delitto realizzato dagli attori reclusi della compagnia L’Oblò - Liberi dentro. In questo game a squadre, i convitati potranno calarsi nei panni di scaltri detective, avranno indizi da confrontare e potranno interrogare i sospettati, per tentare di scoprire il colpevole del delitto e aggiudicarsi il premio della serata. Sono tre gli appuntamenti in programma fra dicembre e gennaio: 30 novembre, il 14 dicembre, il 18 gennaio. È necessario prenotare: entro il 23-11 per la serata del 30-11; entro il 7-12 per la serata del 14-12; entro l’11-01 per la serata del 18-01. Per informazioni scrivere a: obloteatro@gmail.com. Il ricavato delle serate sosterrà le attività di risocializzazione delle persone detenute e le attività di prevenzione sui temi della legalità dell’associazione. Un’idea diversa per una serata fra amici, ma anche una proposta originale e responsabile per una cena aziendale. “Ci rivolgiamo - spiegano dall’associazione Oblò - ai direttori d’azienda che desiderino organizzare un’occasione sentita e originale di celebrazione natalizia per i proprio dipendenti, un’esperienza di team building, contribuendo allo stesso tempo a sostenere l’impegno sociale della rieducazione carceraria”. Pontremoli (Ms): al carcere minorile la rieducazione si fa con l’arte voceapuana.com, 6 novembre 2018 Ecco un nuovo progetto per le giovani detenute dell’istituto penale. Anche quest’anno, nel mese di ottobre, hanno preso il via i laboratori artistici rivolti alle ragazze ospiti detenute dell’Istituto Penale per Minorenni di Pontremoli organizzati dall’Associazione Culturale La Poltrona Rossa che opera nell’Istituto lunigianese dal 2013. “Officine In arte”, questo il nome del nuovo progetto, è sostenuto con i Fondi Otto Per Mille della Tavola Valdese ed è in partenariato con il Ministero della Giustizia - Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità per il Piemonte, la Val D’Aosta e la Liguria. Attraverso l’utilizzo dei diversi linguaggi artistici (scrittura creativa, pittura, scultura, video-arte, ecc.) le giovani partecipanti agli incontri potranno aprirsi al mondo ed esprimere il segno della propria esistenza, della propria dignità e della propria voglia di riscatto. Non semplici laboratori creativi, quindi, ma vere e proprie esperienze artistiche volte a conoscere autori e pittori che hanno dato un contributo incisivo alla storia dell’arte moderna e contemporanea. “Siamo fortemente convinti che l’arte, intesa come materia, pittura, artigianato, pensiero e riflessione sulla storia, può assumere un ruolo fondamentale nella crescita morale di ogni individuo - ha detto Ivana Parisi presidente dell’Associazione la Poltrona Rossa che opera anche in altre strutture penitenziarie - perché stimola non solo le coscienze del fruitore ma anche di chi decide di sperimentarla. Le ragazze dell’Ipm hanno deciso di intraprendere questo percorso credendo davvero nell’utilità del percorso e con l’obiettivo di stupire attraverso il loro lavoro e impegno”. All’interno dell’Istituto, inoltre, sempre grazie alla disponibilità del direttore e del personale interno, il progetto si avvale di una nuova collaborazione con Archivi della Resistenza - Circolo Edoardo Bassignani. Il progetto prevede, infatti, anche lavoro sperimentale attraverso il quale le ragazze approfondiranno le tematiche della resistenza e della deportazione con incontri e approfondimenti svolti insieme agli operatori di Archivi. Il percorso sulla “memoria” si concluderà a dicembre con una mostra collettiva delle opere realizzate dalle ragazze ed esposte al Museo Audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo. “I limoni non possono entrare”: storie di donne dal carcere di Rebibbia di Emanuela Dei tusciatimes.eu, 6 novembre 2018 È stato presentato presso il “Salone dell’editoria sociale” a Roma il nuovo libro di Ortica Editrice: “I limoni non possono entrare. Storie di donne dal carcere”. Alla presentazione sono intervenute le due autrici Alessandra Caciolo, Stefania Zanda e Susanna Marietti, presidente dell’associazione Antigone, che da anni si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale e giudiziario. Oggi solo il quattro percento della popolazione carceraria appartiene al sesso femminile. Le donne, di solito, sono ospitate in sezioni all’interno degli istituti maschili. Spesso, data l’esiguità dei numeri, queste vengono abbandonate a se stesse. Questo libro è il frutto di incontri settimanali, avvenuti nell’arco di un anno, nel carcere di Rebibbia. Tredici storie di donne, tredici storie di vita vera, raccolte e poi raccontate dalla voce di una narratrice immaginaria che snocciola i vissuti, i ricordi e le emozioni di anime ormai invisibili. “I racconti sono scritti a quattro mani” spiegano le autrici nella premessa, “ma ne abbiamo affidato simbolicamente la narrazione a Maria, in omaggio alla prima donna detenuta nel carcere di Sing Sing, condannata a morte e poi salvata. Una donna che rappresenta la speranza, capace di unire le nostre personalità ed i nostri punti di vista, capace di descrivere i luoghi, le persone, le emozioni perché conosce la carcerazione e l’importanza della libertà. Una donna nata due volte, che ha vissuto due vite, dentro e fuori dal carcere, due mondi opposti e paralleli ma che possono sfiorarsi per giungere a toccarsi.” Il carcere è un luogo di attesa. Si attende sempre che qualcosa accada, si attende che un permesso venga accordato, l’ora d’aria concessa, il desiderato giorno del colloquio con i familiari. Per sanare l’attesa ci sono le attività che scandiscono le ore, si utilizza il tempo per una possibile rieducazione della detenuta. Il fare è un modo per evadere dalla solitudine e fondamentale è ruolo delle associazioni, del volontariato che tentano di portare il mondo esterno all’interno degli istituti in modo che, un domani, ogni donna possa riprendere in mano la propria vita. In cella si vive insieme ad altre, e quando il fare diminuisce, affiora il senso di colpa che solo con un filo è legato alle azioni commesse. Il dolore che annienta l’anima è la consapevolezza di aver disgregato una famiglia. Questa può essere quella di provenienza o quella che si ha con un compagno e figli. I legami con i propri cari vengono ridotti a sei colloqui mensili, di un’ora ciascuno. Gli affetti, gli abbracci, gli sguardi non possono più entrare nel regno della pena. Susanna Marietti nella prefazione al libro afferma: “Gestire una pena breve con la frattura netta che il carcere può produrre significa aggiungere danno al danno. Ancor più che per gli uomini - forse a causa della maggiore stigmatizzazione cui è soggetta la donna detenuta - la carcerazione al femminile può determinare la rottura con la famiglia, con gli affetti, con qualsiasi altro contesto relazionale in cui la donna era prima inserita. Si crea dunque il drammatico circolo che vede un’iniziale esclusione sociale, seguita da un periodo di detenzione, seguito ancora da una nuova e più profonda esclusione sociale. Una spirale che sarebbe folle non cercare di interrompere con tutti gli strumenti che l’istituzione ha a propria disposizione. Questo libro è una polifonia di voci. Non solo Maria ha in verità “quattro mani”, come ci viene svelato nelle prime pagine, ma ogni singola donna, ogni singola sensibilità, ogni singola esperienza non si perde nell’indistinto del racconto, non viene rielaborata e incanalata nell’unico sentire delle autrici, ma anche quando non si esprime in prima persone riesce - seppur filtrata dall’inevitabile percorso di riscrittura - a fare capolino, ad affacciarsi al lettore con quel qualcosa di irriducibile che ogni persona si porta dentro. Ad aggiungere il suo pezzetto di umanità a quel che i numeri già sanno dirci. Ascoltiamole. Ascoltiamo queste voci che ci arrivano da dentro e ringraziamo chi ha saputo portarle fuori. Sapranno darci dei suggerimenti preziosi per ripensare il carcere e il suo ruolo nella società”. “I limoni non possono entrare”, Ortica Editrice, pp. 216, euro 12.00. L’Italia in un’Europa che regredisce ai miti del medioevo di Antonio Polito Corriere della Sera, 6 novembre 2018 Colpisce che i protagonisti di quella che dovrebbe essere un’Unione tra pari, proiettata al futuro, non sappiano invece fare di meglio che riferirsi al passato, in cerca di riscosse nazionali. Se continua così, non possiamo escludere che si arrivi alla caccia alle streghe. La progressiva ma costante regressione dell’Unione Europea ai miti e ai simboli del Medioevo comincia a farsi preoccupante. L’ultima arrivata è la cosiddetta Lega Anseatica, alleanza di dieci paesi del Nord (Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Svezia, Olanda, Slovacchia e Repubblica Ceca), che ovviamente c’è l’ha con noi, e vorrebbe che affondassimo senza aiuti, nel caso di una crisi prodotta dal nostro deficit eccessivo. Anseatica come la Lega delle cento città mercantili che da Lubecca ad Amburgo monopolizzò i traffici nel Mar Baltico a partire dal XII secolo (Hanse in tedesco erano le società tra mercanti). A un evento medievale si riferisce pure un’altra associazione di Stati non propriamente amici dell’Italia, nonostante i corteggiamenti di Salvini: il Gruppo di Visegrad. I quattro paesi che vi appartengono, vera e propria spina nel fianco dell’Unione, hanno infatti simbolicamente scelto come luogo di nascita della loro associazione la cittadina ungherese dove nel 1335 si tenne lo storico congresso tra i re di Ungheria, Polonia e Boemia, culmine di un sogno di gloria. Non che in paesi più europeisti si ricorra meno alla retorica medievale. La Francia, fin dai tempi di de Gaulle, sogna “un’Europa carolingia”, che si ispiri cioè all’impero di Carlo Magno, re dei Franchi, re dei Longobardi, e incoronato la notte di Natale dell’800 “imperatore dei Romani”: quanto di più franco-tedesco si possa immaginare (sul tema bisogna leggere Medioevo militante, un bel saggio dello storico Tommaso di Carpegna Falconieri). Colpisce che i protagonisti di quella che dovrebbe essere un’Unione tra pari, proiettata al futuro, non sappiano invece fare di meglio che riferirsi al passato, in cerca di riscosse nazionali. Quanto a noi, meglio stare alla larga da questa regressione. Il più grande italiano del Medioevo, Dante Alighieri, giudicava così l’Italia frammentata e litigiosa della sua epoca: “Nave senza nocchiere in gran tempesta / non donna di province, ma bordello”.