Affossata la riforma, i problemi delle carceri incancreniscono di Valter Vecellio lindro.it, 7 giugno 2018 Crisi della giustizia? Costruiamo nuove carceri. Citare Fedor Dostoevskij e Aleksandr Puskin è certamente elegante, ma non sufficiente. Per i cultori della materia. Il neo-presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel discorso con il quale ha chiesto la fiducia in Senato ha utilizzato il termine “governo” 33 volte; 25 “Paese”; “nostro”: 30 volte, “cittadini: 27; la parola “anche”, ricorre ben 41 volte; e ci assicurano che aver adoperato ben 7 volte viene l’espressione “ma anche”, sta a sottolineare la natura quanto più possibile “inclusiva” del programma di governo. Non è stata citata la questione dell’Iva e dell’incombere delle clausole di salvaguardia; nessun cenno alla delicata questione dell’Ilva di Taranto; mai menzionata neanche la parola “scuola”. Chi scrive è rimasto colpito da altre cose. Conte annuncia che ci sarà un potenziamento della legittima difesa. In cosa consisterà questo “potenziamento”? Altre promesse di cambiamento: si metterà fine al business dell’immigrazione che sarebbe cresciuta a dismisura “sotto il mantello della finta solidarietà”. Si lotterà contro la corruzione. Si vuole “un paese a misura di cittadini diversamente abili che si ritrovano abbandonati, soli con le loro famiglie”. Va tutto bene, appena ci si spiegherà come e quando. E la madre di tutte le questioni, la Giustizia, il Diritto, il Diritto di tutti al diritto? “Ove necessario”, promette Conte, “aumenteremo il numero di istituti penitenziari anche al fine di assicurare migliori condizioni alle persone detenute, ferma restando la funzione riabilitativa costituzionalmente prevista per la pena, che impone di individuare adeguati percorsi formativi e lavorativi”. Tutto qui? Tutto qui. Questo “ove necessario” vuol dir tutto e vuol dire nulla. E tutto e nulla vuol dire “ferma restando la funzione riabilitativa costituzionalmente prevista per la pena”. La vaghezza e la genericità del discorso programmatico del presidente del Consiglio, non autorizzano ottimismo. Laicamente vanno giudicati i fatti, i comportamenti concreti, e una parola di dialogo non va negata a nessuno. Però non ci si può neppure nascondere scetticismo, perplessità, inquietudine: per quello che si è detto, per quel che si annuncia di voler fare; soprattutto per quel che non si dice e si vuole o si deve tacere. Il governo Conte, dunque, prevede di costruire nuove carcere. Rispunta l’ennesimo piano carceri. Il neo ministro della Giustizia Alfonso Bonafede dichiara di essere nettamente contrario alla riforma penitenziaria; con buona pace delle ripetute condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti in relazione al fenomeno del sovraffollamento delle carceri. Scenari già visti: è accaduto negli anni 80, poi nel 2008, infine nel 2010. Di fronte all’emergenza la politica, la risposta classica è costruire nuove carceri che puntualmente non bastano mai. Attualmente sono 190 gli istituti penitenziari con un sovraffollamento di circa 8000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. Già questo dato fa capire che costruire nuove carceri non serve: si riempirebbero subito senza risolvere il problema. Per questo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (Cpt) ha avvertito l’Italia che costruire nuove carceri per risolvere il problema del sovraffollamento non è la strada giusta, perché “gli Stati europei che hanno lanciato ampi programmi di costruzione di nuovi istituti hanno infatti scoperto che la loro popolazione detenuta aumentava di concerto con la crescita della capienza penitenziaria…gli Stati che riescono a contenere il sovraffollamento sono quelli che hanno dato avvio a politiche che limitano drasticamente il ricorso alla detenzione”. Costruire nuove carceri non è la soluzione. I numeri lo confermano. Come si evince dall’ultimo rapporto di Antigone, il tasso di sovraffollamento è pari al 115,2 per cento. Dei 57.608 detenuti al 31 dicembre scorso, solo 22.253, meno del 37 per cento, non avevano alle spalle precedenti carcerazioni. Oltre 7.000 ne avevano addirittura un numero che spazia dalle 5 alle 9. Le misure alternative garantiscono assai di più l’abbattimento della recidiva e dunque la sicurezza della società. E costano anche assai di meno del carcere. Un costo, quello relativo alla creazione di nuovi istituti, moderni e confortevoli che siano, del tutto inutile e anche dannoso, perché incrementa il ricorso alla carcerizzazione. La riforma dell’ordinamento penitenziario puntava alle pene alternative, avrebbe dato la possibilità ai magistrati di sorveglianza di poter decidere anche nei confronti di quei detenuti finora esclusi dai benefici. A proposito di carcere, il Partito Radicale, nel frattempo, ha depositato in Cassazione otto proposte di legge di iniziativa popolare. Tra le quali c’è la modifica di approvazione dell’amnistia (il quorum di 2/3 del Parlamento dal 1992 rende impossibili questi provvedimenti), il superamento dell’ergastolo ostativo e del regime del 41bis. Bisognerà ritornarci. Dai suicidi alla politica: è il lavoro che salva il carcere di Martino Iannone ansa.it, 7 giugno 2018 Dati su suicidi e affollamento sempre più allarmanti, la riforma del sistema penitenziario arenata tra i meandri di Camera e Senato. Una situazione per certi versi fuori controllo quella delle carceri italiane. Tra problemi di tossicodipendenze, la difficile gestione dei migranti, gli appelli anche ad alto livello sembra restino inascoltati. In questa giungla di dolore, solitudine e sofferenza, nelle case di detenzione maschili, femminili e minorili. si fanno sempre più strada realtà associative, Onlus di volontariato che offrono agli ospiti opportunità di lavoro creative e valide. Questo magazine cerca di raccontarne alcune protagoniste di una mission: unire le forze sfruttando le risorse delle piattaforme Social per far sentire più alta la propria voce. L’ultimo appello per la riforma arriva dai magistrati Lo scorso 19 maggio l’Anm ha rinnovato l’appello per l’approvazione della riforma penitenziaria. “L’associazione - ha detto il suo segretario Alcide Maritati al Comitato direttivo centrale - si è spesa per sollecitare la rapida definizione dell’iter della riforma penitenziaria, che purtroppo è appesa a un filo e rischia di naufragare. Le prospettive politiche, con il contratto di governo di cui abbiamo letto, lasciano immaginare che questa riforma non si farà”. “Noi - ha aggiunto - speriamo che si possa approvare un lavoro che ha richiesto un impegno di tre anni e che rispetta il quadro costituzionale”. Il Festival dell’Economia Carceraria Il Festival dell’Economia Carceraria, promosso ed organizzato da Semi di Libertà Onlus a Roma, ha dato vita a un laboratorio di idee e progetti utili a dare un segnale forte per ripensare in modo efficace le attività svolte nelle strutture detentive, che spinga la vita ristretta e le sue vicende umane ad appartenere a contesti sociali più ampi. L’iniziativa ha voluto dimostrare la forza riabilitativa del lavoro e dei percorsi di formazione e istruzione come strumenti di valore legati alla dignità della persona. È per questo motivo che è nata l’idea di aggregare modelli portatori di virtù, professionalità e voglia di fare nel sistema penitenziario del nostro Paese. “Perché l’economia carceraria - dice Paolo Strano, responsabile della Onlus - ha tutto il potenziale produttivo per contribuire alla crescita del paese. È un business virtuoso, pulito, solidale, dall’alto valore sociale e rigenerativo. Perché ogni cosa che viene generata nel carcere è sinonimo di qualità ed ha nella sua anima un valore aggiunto, quello del riscatto sociale e della scommessa su se stesso, è un prodotto di valore, e valori”. Antigone, 39% detenuti torna dentro entro 10 anni Il 39% delle persone uscite dal carcere nel 2007 vi ha fatto rientro, una o più volte, negli ultimi 10 anni. Il dato è contenuto nel rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, che rileva come “troppo spesso il carcere non aiuta la sicurezza dei cittadini”. Il 37% dei circa 58 mila detenuti attualmente in carcere non ha alle spalle precedenti carcerazioni, oltre 7 mila sono, invece, detenuti abituali, già stati in carcere più di 5 volte. Circa la metà degli italiani in carcere (il 49,6%) e il 38,8% degli stranieri hanno fino a quattro precedenti penali. Secondo l’associazione, quindi, questo tipo di detenzione non basta a scongiurare la recidiva. Antigone rileva, invece, con soddisfazione, che sono in aumento le persone che usufruiscono della messa alla prova, una delle riforme sperimentate per evitare il sovraffollamento: sono attualmente 12.278. “Ci vorrebbe ora - osserva l’associazione nel suo ultimo rapporto - un grande investimento in risorse umane e sociali per far sì che i progetti vadano a buon fine”. Sono 724 i detenuti sottoposti al 41bis, l’1,2% del totale, quelli in Alta Sicurezza 8862, il 15% del totale. Il Garante: già 20 suicidi nel 2018, bisogna riflettere “Nei giorni in cui si sancisce la definitiva non emanazione del decreto di riforma dell’ordinamento penitenziario frutto di analisi di tutto il mondo che riflette attorno all’esecuzione penale, è grave e doloroso dover registrare il ventesimo suicidio di un detenuto dall’inizio di quest’anno”. Lo dice il Garante nazionale per le persone detenute, Mauro Palma. “Un suicidio - spiega il Garante - avvenuto nella Casa circondariale di Pescara, messo in atto da una persona detenuta con molti precedenti di autolesionismo, anche recentissimi e che rispondeva di reati con un cumulo di pena non alto e che entro un anno si sarebbe portato a termine”. Il Garante nazionale, mentre registra “questo ulteriore episodio di criticità del sistema che coinvolge chi è ristretto e chi in esso opera, invita a riflettere sull’esecuzione penale in termini non ideologici o dettati dalla volontà di trasferire sul carcere le insicurezze sociali. Invita a non abbandonare il cammino intrapreso di pieno rispetto della finalità costituzionale della pene perché esso rappresenta l’unico percorso per garantire l’effettiva sicurezza della società esterna e al contempo la tutela dei diritti fondamentali delle persone recluse”. “Cotti in Fragranza”, start-up a vocazione sociale Cotti in Fragranza è un laboratorio per la preparazione di prodotti da forno di alta qualità, commercializzati nel territorio locale e nazionale. È gestito dalla giovane cooperativa sociale Rigenerazioni Onlus che da giugno 2016 definisce percorsi professionalizzanti efficaci e sostenibili nell’ottica dell’impresa sociale a governance partecipata. Nasce a Palermo ed è una realtà innovativa nel territorio del sud Italia, prima realtà imprenditoriale all’interno di un Istituto Penale per i Minorenni del sud (terza in tutta Italia). L’obiettivo ambizioso è quello di promuovere una stabile inclusione dei giovani del Malaspina che, previa formazione, potranno diventare lavoratori specializzati e autonomi, anche al di fuori del percorso detentivo. “Siamo ormai certi - affermano - che la persona che prende coscienza delle responsabilità verso se stesso, gli altri ed il mondo acquisisce di pari grado la consapevolezza di essere l’artefice della storia, ha chiaro che ciò che farà avrà effetto su se stesso e gli altri. Utilizziamo l’apprendimento reciproco come condizione necessaria ed unica strategia vincente. L’idea è buona perché “noi” vogliamo diventare insieme persone competenti, capaci di operare scelte precise per il proprio benessere e quello altrui, capaci di cogliere il significato delle cose, valutare e decidere. In grado di utilizzare strategie adeguate nei diversi contesti per trovare nuovi adattamenti e soluzioni creative”. In carcere con Rosa, camorrista poi collaboratrice di Giustizia per amore della figlia Una donna di camorra, la sua vita tra violenza e omertà fino al suo pentimento. È uscito in libreria “Omissis 01”, il nuovo libro del giornalista Fabrizio Capecelatro, già autore de “Lo Spallone - Io, Ciro Mazzarella, re del contrabbando” e “Il Sangue non si lava - Il clan dei Casalesi raccontato da Domenico Bidognetti”. “Omissis 01” (Tralerighe Editore, 160 pagine, 13 euro) racconta, dalla sua diretta testimonianza, la storia di Rosa Amato, studentessa di giurisprudenza che voleva diventare avvocato, la cui vita è cambiata in una notte. Il 19 marzo 1999 suo fratello Carlo, appena ventunenne, viene ucciso durante una rissa in discoteca, a Santa Maria Capua Vetere. I responsabili di quell’omicidio non sono mai stati individuati: nessun testimone, nemmeno i suoi amici, sono disposti a raccontare. Tutti hanno paura dei “Casalesi”. L’unica certezza, infatti, è che in quella discoteca c’era anche il figlio di Francesco Schiavone, “Sandokan”, il capo assoluto del clan dei Casalesi. La famiglia di Rosa cerca giustizia, inutilmente. E quando la giustizia latita, resta spazio solo per la rassegnazione. O per la vendetta. È così che gli Amato decidono di giocare sullo stesso terreno. Con l’obiettivo di contrastare una delle più potenti organizzazioni criminali del mondo nasce il clan Amato. E da quel momento Rosa diventa una camorrista. L’organizzazione cresce, diventa sempre più forte e temuta. Ma nel 2009 scattano gli arresti: prima il padre, poi Rosa e sua madre. Trasferita da un carcere all’altro, allontanata dalla figlia di pochi anni, Rosa rivede con dolore e lucidità la sua storia e le sue scelte. E alla fine decide di collaborare con la giustizia. Quella di Rosa Amato è una storia di omertà. Dell’omertà che uccide più delle pistole. È una storia di violenza, di inutile violenza. Di una violenza che ha generato soltanto altra violenza. È una storia che dimostra come la criminalità organizzata possa entrare, da un momento all’altro, nella vita di ciascuno e cambiarla, fino a distruggerla. Detenuti Avezzano protagonisti nel foto-progetto “Luci e Ombre” Un progetto fotografico per raccontare l’essere umano, i rischi e gli inganni della sua libertà, i momenti più o meno bui in cerca di una luce che possa rischiararlo dalle sue ombre. Ombre che spesso offuscano la mente, tolgono la cognizione affettiva e creano incertezze. “Luci e Ombre” è il tema del progetto che gli allievi del corso di Reportage dell’Associazione Inforidea Idee In Movimento hanno sviluppato in collaborazione con il Ministero di Giustizia e il carcere di Avezzano. Gli insegnanti di fotografia sono stati Francesco Scipioni per il Carcere Avezzano e Cristiana Reali per allievi Inforidea. “L’idea - spiega Cristina Mura, responsabile dell’iniziativa - oltre ad avere avuto come uno degli obiettivi l’insegnamento della professione di fotografo ai reclusi del carcere, ha anche come finalità la realizzazione di un reportage fotografico narrativo prodotto non solo dagli stessi reclusi, ma anche da un nostro gruppo di allievi della scuola di fotografia, che hanno voluto mettersi in gioco nel proporre tematiche diverse su questo argomento. In una società dove tutto sembra basarsi ormai sulle certezze e sul successo, sembra non esserci più posto per gli incerti e per gli sconfitti. È così che spesso diventano gli emarginati della società, esuli nelle stesse loro strade, costretti a percorrere vie contorte e impervie che spesso li portano a uscire da quei binari che la società impone”. I lavori esterni, realizzati dagli allievi amatoriali della scuola di fotografia di Inforidea, hanno affrontato temi di primo piano come la tragedia di Rigopiano, l’immigrazione, l’Ilva di Taranto, il mondo giovanile e il mondo delle sette sataniche, la Costituzione della Repubblica italiana in riferimento alla dignità della persona, soprattutto per la condizione della donna e della guerra e, non ultimo, tragedie come quella degli internati delle Fraschette di Alatri. Più complesso, per certi versi, è stato interpretare il lavoro dei carcerati di Avezzano che attraverso le loro foto e gli scritti hanno preferito toccare corde più intime mettendosi in gioco loro stessi in prima persona. I promotori del progetto hanno infine selezionato gli scatti migliori, per la realizzazione di due mostre: la prima ad Avezzano, che sarà inaugurata sabato 9 giugno alle 16,30 presso la Sala Montessori in via G. Fontana 6, e la seconda a Roma martedì 3 luglio alle 16,30 presso il palazzo della Cassazione in Piazza Cavour. La visione delle mostre sarà accompagnata da due tavole rotonde. Ad Avezzano saranno relatori la dott.ssa Anna Angeletti Direttrice del Carcere di Avezzano, il Sindaco del Comune di Avezzano il dott. Gabriele De Angelis, l’assessore alle Politiche Sociali avv. Leonardo Cascere, la dott.ssa Maria Teresa Letta Presidentessa della CRI del Comitato di Avezzano, il dott Michele Sidoti funzionario del carcere di Avezzano, il Commissario Capo il dott. Cristiano Laureti, il Sostituto Commissario il Dott. Giovanni Luccitti, il prof. Arnaldo Mariani del Liceo Scientifico Vitruvio di Avezzano come moderatore. Alla tavola rotonda di Roma parteciperanno esponenti del mondo della magistratura e del giornalismo come il magistrato dott. Anastasia Garante dei diritti dei detenuti per il Lazio, il dott. Giulio Bacosi presidente dell’associazione Democrazia nelle Regole, la dott.ssa Anna Angeletti direttrice del carcere di Avezzano, il dott. Angelo Maria Polimeno Bottai giornalista del TG1. Durante l’inaugurazione delle mostre sarà presentato anche il libro fotografico edito dalla Herald Editore - Info Carcere a cura del Dott. Roberto Boiardi. Cani e gatti amici dei detenuti Quello di inserire cani nelle carceri per portare compagnia ai detenuti è un progetto lanciato fin dagli anni ottanta e in particolare negli Usa nel 1981, quando si pensò di aiutare animali e detenuti. Gli amici a quattro zampe arrivano da canili sovraffollati o dalla strada e vengono curati dai carcerati che in cambio di servizi di tolettatura e pensione ottengono coccole e affetto. Il programma di inserimento dei cani nelle carceri si sta affermando sempre di più tanto che un numero crescente di prigioni statunitensi chiede di aderire all’iniziativa. Alla base vi è l’intento di far incontrare detenuti dal passato difficile con cani abbandonati, provenienti da canili sovraffollati: si è notato che sia gli animali che le persone vivono una vita più serena. Accudendoli e addestrandoli i carcerati, soprattutto donne, oltre a ricevere un supporto psicologico e affettivo si mantengono occupati, ricevono e imparano un mestiere come quello del toelettatore. I detenuti non solo trovano un sostegno terapeutico nei cani ma anche l’opportunità di guadagnare qualcosa Quando anche il caffè diventa “Galeotto” Il Caffè Galeotto è prodotto e confezionato nella nostra torrefazione situata all’interno dell’Istituto Penitenziario Rebibbia Nuovo Complesso di Roma, da persone prive di libertà. I ragazzi che lavorano all’interno dello stabilimento hanno frequentato regolarmente corsi di formazione tenuti da esperti del settore, che hanno trasmesso loro una professione spendibile al momento del reinserimento nella società civile. Il Caffè Galeotto è un eccellente prodotto solidale, miscelato con i migliori crudi, provenienti da continenti lontani. Tostato con grande maestria e passione dalla Cooperativa sociale Pantacoop, il Caffè Galeotto si riconosce a prima vista per una crema color nocciola tendente al testa di moro, all’olfatto un profumo intenso che evidenzia note di fiori, frutta, pane tostato e cioccolato, tutte sensazioni che si avvertono anche dopo la deglutizione. Il suo gusto è rotondo, consistente e vellutato, l’acido e l’amaro risultano bilanciati, senza che vi sia prevalenza dell’uno sull’altro. Caratteristiche tipiche di un eccellente espresso italiano. La mission della cooperativa Pantacoop di Mauro Pellegrino è quella di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso lo svolgimento delle sue molteplici attività che spaziano dall’edilizia, alla formazione, dal data entry alla progettazione e costruzione di infissi in alluminio per concludersi con la torrefazione del caffè. Noi donne di Pozzuoli, le “Lazzarelle” del caffè Coop Lazzarelle è una cooperativa di sole donne nata nel 2010. Producono caffè artigianale, secondo l’antica tradizione napoletana, all’interno del più grande carcere femminile di Pozzuoli - Napoli. Con loro lavorano le donne detenute che vogliono essere protagoniste attive del loro cambiamento, perché come insegna Simone de Beauvoir “donne non si nasce si diventa”“. Da donne libere hanno scelto di impegnarsi attivamente in una impresa tutta femminile che valorizzi i saperi artigianali e generi inclusione sociale. Perché solo il lavoro offre dignità e possibilità di riscatto reale. Il caffè delle Lazzarelle è nato mettendo insieme due soggetti deboli: le donne detenute e i piccoli produttori di caffè del sud del mondo. Acquistano i grani di caffè dalla cooperativa Shadilly che promuove progetti di cooperazione con i piccoli produttori. Poi hanno aggiunto alla produzione di caffè artigianale quella di tè, infusi e tisane. Nella cooperativa si sono avvicendate sino ad oggi 56 donne, ognuna con la propria storia, diversa ed identica alle altre. Molte di loro, prima di lavorare con noi, non avevano mai avuto un regolare contratto di lavoro. Ora imparano un mestiere, ma soprattutto acquisiscono coscienza dei loro diritti e delle loro possibilità. Il caffè è prodotto, in ogni fase del suo procedimento di lavorazione, senza aggiunta di additivi, rispettando i tempi naturali di preparazione della antica scuola artigiana napoletana. Le confezioni di caffè sono realizzate in materiale plastico senza alluminio in modo da poter essere riciclate con la plastica nella raccolta differenziata. “Buoni dentro”, la sfida del carcere minorile Beccaria “Buoni Dentro” è un progetto Co.A.Fra Consorzio Cascina Nibai, patrocinato da Centro Giustizia Minorile, Fondazione Enaip Lombardia, un laboratorio di panificazione e pasticceria all’interno del carcere minorile “C. Beccaria” di Milano Il laboratorio è strutturato in forma di bottega di produzione artigiana, dove i giovani attivi nel laboratorio sono affiancati da un formatore sotto la supervisione di un maestro artigiano. Il laboratorio sforna quotidianamente pane, focaccia biscotti, destinati al consumo interno dell’istituto. In occasione delle festività realizza la produzione artigianale di dolci tradizionali: panettone per Natale e colomba per Pasqua. Dal febbraio 2015 è attivo anche il laboratorio di panificazione con punto vendita “Pezzi di pane” in Piazza Bettini a Milano, che impiega alcuni giovani detenuti sotto la guida e la supervisione di un maestro artigiano. Il lavoro costituisce un fattore cruciale per favorire il cambiamento nei giovani sottoposti a restrizione della libertà e rappresenta un fattore determinante per il successo dei progetti di reinserimento sociale. Ai ragazzi viene offerta un’opportunità concreta di supporto al cambiamento e alla ri-costruzione dell’identità personale attraverso il lavoro che nasce dalle loro capacità e dal loro impegno. Esiste nella società una “terra di confine” della cittadinanza, quella dei giovani a rischio di marginalità, nella quale i diritti sanciti dalla Costituzione si rimettono alle opportunità che i giovani incontrano nel loro percorso penale. Giovani non più adolescenti e non ancora adulti; biografie spesso segnate da situazioni personali e familiari problematiche, percorsi di vita tortuosi, battute d’arresto. Il Pane dalla terza bottega - Fine Pane Mai Nel 2012, la Panifici Lariano Srl, iniziò un progetto per aumentare l’attività produttiva e lavorativa inter-muraria del detenuti della 3° casa Circondariale di Roma Rebibbia. Nasce così Il Pane dalla terza bottega - Fine Pane Mai. Il pane dalla terza bottega a Roma, produce molte varietà: pane, focacce e prodotti di pasticceria con la cura di un forno artigianale, con la capacità del forno industriale. Con la loro farina producono dal pane classico al pane 10 cereali e a lievitazione naturale. Nel punto vendita presso la 3° Casa Circondariale di Rebibbia in via Bartolo Longo 82 troverete molte specialità di pane e non solo.... L’accoglienza sempre ottima: all’interno del negozio potete assaggiare gli stuzzichini per ingannare l’attesa al vostro turno, avrete quindi modo di constatare immediatamente la bontà dei prodotti. “La giustizia riparativa contro il populismo penale” di Damiano Aliprandi Il Dubbio La “giustizia riparativa” non è contemplata dall’attuale Ordinamento penitenziario. Era inserita nella riforma rimasta oramai al palo. Un incontro nell’aula Bachelet del Csm, introdotto dal consigliere Renato Balduzzi. La giustizia riparativa come alternativa al populismo penale. Questo è in sintesi il messaggio di saluto introduttivo di Renato Balduzzi, presidente dell’Associazione “Vittorio Bachelet”, che riunisce i componenti del Consiglio superiore della magistratura. Parliamo di un incontro che si è tenuto nell’aula Bachelet del Csm. Il primo di una serie di incontri che si terranno ogni martedì, dedicati ad approfondire il tema della giustizia riparativa, analizzando l’attuale situazione e le prospettive future. Costano 137 euro al giorno, ma “appena 95 centesimi vanno per la rieducazione”. Le cifre riferite al costo dei detenuti sono impietose e le ricorda padre Francesco Occhetta, che fa parte del Collegio degli scrittori di Civiltà Cattolica, aprendo l’incontro, dopo l’introduzione di Renato Balduzzi, presidente dell’associazione, i saluti di Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm, e prima degli interventi di Celestina Tinelli del Consiglio nazionale forense e del presidente aggiunto della Cassazione Domenico Carcano. Ancora padre Occhetta: “Fra le mille persone che ogni giorno entrano ed escono dalle nostre carceri, il 69 per cento cade nella recidiva”. Perciò, con le parole di Claudia Mazzucato, docente alla Cattolica di Milano, è necessaria “la giustizia dell’incontro, riparativa, non riparatoria”. Una giustizia che “ricucia”, che si realizzi “mettendo “scandalosamente” insieme reo, vittima e comunità”. Ed è riparativo solo “l’incontro che nasce volontariamente”. Cita proprio l’assassinio di Vittorio Bachelet e quanto disse suo figlio Giovanni al funerale del padre: “Mai la vendetta, sempre la vita, mai la richiesta della morte di qualcuno”. Una frase - sottolinea Mazzucato “emblematica di cosa sia la giustizia riparativa”. Una giustizia tanto “alternativa al populismo penale” - aveva spiegato Balduzzi durante il saluto introduttivo, quanto “modello di creatività giuridica”. Per il quale, tornando a padre Occhetta, bisogna smettere di considerare “le carceri come discariche sociali”, bisogna “dare giustizia alle vittime, non “giustiziare” il colpevole”. C’è una convinzione collettiva che il crimine sia un’offesa contro lo Stato, che le persone che commettono un reato debbano essere punite esclusivamente con la detenzione carceraria e che le decisioni sul come trattare gli autori di reato debbano essere eseguite da parte di amministratori della giustizia attraverso un procedimento legale formale. Ciò che è incredibile della “giustizia riparativa” è che modifica tutte queste assunzioni: essa vede infatti il crimine non come un’offesa contro lo Stato, ma come un danno alle persone e alle relazioni e, invece di punire gli autori del reato esclusivamente con la galera, si preoccupa di riparare il dolore inflitto dalla commissione del crimine. Non solo viene presa in considerazione la vittima, ma anche tutte le vittime del reato specifico. La “giustizia riparativa” non è esplicitamente contemplata dall’attuale ordinamento penitenziario, quindi è ancora di nicchia. Per questo era stata inserita nella riforma dell’ordinamento penitenziario rimasta oramai al palo e che difficilmente, con il nuovo governo, vedrà luce. Se a livello internazionale i riferimenti normativi più importanti sono la Raccomandazione del 1999 del Consiglio d’Europa sulla mediazione in materia penale, la Risoluzione dell’Onu del 2002 e la direttiva europea del 2012, anche in Italia qualcosa si è mosso nel recente passato. Nel 2002 il ministero della Giustizia ha istituito una Commissione di studio sulla “Mediazione penale e la giustizia riparativa” che nel 2005 ha emanato le Linee di indirizzo sull’applicazione della “giustizia riparativa” e della mediazione reo/ vittima nell’ambito dell’esecuzione penale di condannati adulti. In Italia le pratiche di “giustizia riparativa” nell’ambito dell’esecuzione della pena sono ancora in via di sperimentazione. Concretamente, da qualche anno sono in corso alcune sperimentazioni di incontri di mediazione reo/ vittima mediante l’intervento di un terzo indipendente rispetto agli operatori deputati al trattamento, su autorizzazione specifica del ministero attraverso la stipula di convenzioni ad hoc con centri e uffici di mediazione sparsi sul territorio nazionale. Queste attività devono necessariamente conservare le caratteristiche loro proprie legate ai principi di confidenzialità, volontarietà e gratuità degli interventi. Un esempio virtuoso è il “Progetto Sicomoro”, patrocinato dal ministero della Giustizia. Il nome si ispira al brano evangelico in cui Zaccheo si nasconde fra i rami dell’albero, ma viene riconosciuto da Gesù, che lo chiama per nome e suscita in lui un ravvedimento. Parliamo di una iniziativa promossa dalla Prison Fellowship Italia Onlus, che dal 2009 intende supportare migliaia di detenuti di alcune carceri italiane per favorirne il reinserimento sociale. Concetti chiave per una completa descrizione del Progetto sono quelli di avvicinamento e di comprensione reciproca. In concreto, esso si è sostanziato in otto incontri settimanali tra condannati definitivi e vittime non dirette. In ogni occasione è stato promosso l’approfondimento di tematiche quali quella del perdono, del pentimento, della responsabilità, della riparazione e della riconciliazione, che si sono ritenute utili a favorire un sincero confronto tra le parti coinvolte. Le sessioni hanno consentito a vittime e rei di raccontarsi, di mostrarsi nell’intimità delle loro ferite e delle loro debolezze, e dunque di conoscersi e di riconoscersi l’uno nell’altro. “Stop ai decreti su intercettazioni e svuota-carceri” di Luca De Carolis Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2018 Alfonso Bonafede, neo-ministro della Giustizia, indica le sue priorità. Interverrà sul decreto sulle intercettazioni. Riscriverà il decreto attuativo della riforma penitenziaria, “perché mina la certezza della pena”. E sulla riforma della prescrizione promette che “si farà”. In pillole, i primi obiettivi del neo-ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Uno dei maggiorenti dei Cinque Stelle, dimaiano di ferro. L’avvocato che ha portato nel Movimento un collega, l’attuale premier Giuseppe Conte. Bonafede, il Guardasigilli a 5Stelle. Bel peso, no? Appena arrivato in ministero venerdì ho voluto incontrate tutti i dipendenti, per far capire che ci deve essere un nuovo rapporto tra la politica e chi lavora nell’amministrazione. Qual è la prima cosa da fare? La prima urgenza che mi sono ritrovato è quella di Bari, dove le udienze del tribunale penale si tengono nelle tende (per il crollo della sede del tribunale e della procura, ndr). Domani (oggi, ndr) sarò in città per ascoltare tutti e far sentire ai cittadini e agli operatori la vicinanza dello Stato. Mentre in giro qualcuno blatera di giustizialismo, io mi occupo dei tribunali. Di cosa parla? Nel dibattito sulla fiducia i partiti ci hanno solo accusato di giustizialismo, senza entrare nel merito delle nostre proposte di governo. E allora entriamoci nel merito. L’Associazione nazionale magistrati le chiede di fermare l’entrata in vigore del decreto sulle intercettazioni, fissata per il 21 luglio, “perché mancano le strutture”. Ed è contraria alla forma, proprio come Lega e M5S. Cosa farà? Noi come 5Stelle, e anche la Lega, siamo stati critici rispetto al decreto, perché porre come unico filtro alla raccolta delle informazioni la polizia giudiziaria crea una lacuna, che non tutela né gli indagati né gli inquirenti. Di fatto, quel decreto non piace a nessuno degli operatori del diritto. E poi manca la strumentazione, come le sale d’ascolto. Quindi cosa farà? Sicuramente interverremo nei prossimi giorni. Rinvierete l’entrata in vigore del testo? Valuteremo come intervenire. E di sicuro mi confronterò sul tema con i gruppi parlamentari. Lo farò su tutte le grandi questioni, almeno con i capigruppo. Non pensa che si sia anche abusato dell’uso delle intercettazioni in questi anni? C’è gente che ne è uscita devastata. Una regolamentazione più chiara può essere utile. Ma questo non può mai comprimere la libera informazione. Un altro nodo è il decreto attuativo della riforma penitenziaria, che estende le misure alternative al carcere… Quel provvedimento mina alla base il principio della certezza della pena. Interverremo sicuramente. Ma dobbiamo capire se si può riscrivere il decreto attuativo, non incorrendo nell’eccesso di delega, oppure se sarà necessaria rifare l’intera legge delega. Che punti toccherebbe? Innanzitutto, l’allargamento della platea con l’estensione della sospensione della pena ai condannati fino a 4 anni di carcere (ora ne possono beneficiare i condannati fino a 3 anni, ndr). Allargare l’applicazione delle misure alternative è una misura di civiltà, nonché un modo per decongestionare le carceri, non crede? Sono solo interventi deflattivi. Servono provvedimenti strutturali. Ne costruirete di nuove, promette il contratto. Quante e con quali soldi? La priorità sarà ristrutturare gli istituti attuali, che spesso hanno settori chiusi per assenza di manutenzione. E faremo presto delle stime dei costi. Ma questo non è fatto in ottica punitiva. Vogliamo garantire l’umanità della pena, e crediamo nella sua funzione rieducativa, che per noi passa innanzitutto attraverso il lavoro in carcere. Parliamo di prescrizione. Voi la vorreste far partire dal rinvio a giudizio, ma la Lega ha moltissimi dubbi.. Nel contratto di governo prevediamo di riformarla. Sarà un nodo enorme. L’abbiamo messa nel contratto. Quindi c’è la volontà comune di lavorarci. Lei si lamentava delle accuse di giustizialismo. Ma voler cancellare la proporzionalità tra offesa e reazione nella legittima difesa scatenerà un Far West… Nessun Far West. Ma nell’attuale legge ci sono zone d’ombra che costringono molti cittadini che si sono difesi a essere sottoposti a tre gradi di giudizio. Vanno cancellate. È vero che chiamerà i magistrati Nino Di Matteo e Piercamillo Davigo a collaborare con lei… È prematuro parlare di nomi, devo costruire la squadra. Ma delle correnti nella magistratura cosa ne pensa? Penso che l’associazionismo sia un bene, ma che le distorsioni del correntismo vadano combattute. E lo dico da avvocato che conosce le aule di giustizia. Oggi Conte ha attaccato l’Anac, parlando di risultati deludenti. Condivide? A mio avviso voleva solo dire che servono norme più chiare per facilitarne il lavoro. Lei è soddisfatto del lavoro dell’Anac? Assolutamente sì. “Presunzione di colpevolezza”. Il lapsus di Conte non è un lapsus: è il programma di governo di Luciano Capone Il Foglio, 7 giugno 2018 È come se Matteo Salvini, da neo ministro dell’Interno, avesse detto nel suo discorso sull’immigrazione: “Agiremo nel rispetto della Costituzione, non discrimineremo nessuno, neppure i negri”. E d’altronde è proprio come la prima uscita da ministro della Famiglia del leghista Lorenzo Fontana, che dice che lui è contro le famiglie omosessuali anche se ha “tanti amici gay”. Ecco, se c’è qualcosa su cui un premier del Movimento 5 stelle non deve fare gaffe è proprio la giustizia, dove le accuse di giustizialismo hanno un minimo di fondamento come quelle di razzismo e omofobia per la Lega. E invece Giuseppe Conte, che tra l’altro secondo il suo fitto curriculum è giurista e anche avvocato, nell’aula di Montecitorio dove era a chiedere la fiducia al Parlamento, ha detto che il suo governo agirà “nel rispetto dei principi costituzionali: presunzione della colpevolezza e diritto a un processo giusto”. Naturalmente si tratta di un lapsus, che però ribalta il senso dell’articolo 27 della Costituzione, quello che parla della presunzione di innocenza (non colpevolezza): “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Ed è un lapsus che però, per puro caso, mostra chiaramente che l’ispiratore del programma e della filosofia del diritto della nuova maggioranza è Piercamillo Davigo, colui che in un certo senso ha teorizzato la presunzione di colpevolezza: “Non esistono innocenti; esistono solo colpevoli non ancora scoperti”, è una delle sue massime più famose. Come quella secondo cui gli errori giudiziari più che “gli innocenti messi in carcere” riguardano “i colpevoli che la fanno franca”, un concetto che estende la presunzione di colpevolezza anche oltre l’assoluzione definitiva, oltre ogni ragionevole dubbio. E la mano, o quantomeno le manette, dell’ex presidente dell’Anm e capocorrente Davigo si vede in tutto il “contratto di governo” che è pieno di populismo penale, aumento delle pene e riduzione delle garanzie, agenti provocatori e sterilizzazione della prescrizione, repressione e intercettazione. È questa la cultura politica dei grillini, vista all’opera in anni di opposizione parlamentare e linciaggio pubblico, e ora visibile anche sui banchi del governo, dove siede in qualità di ministro della Sanità Giulia Grillo, che in passato insieme al suo gruppo aveva chiesto le dimissioni di Ilaria Capua, la scienziata di Scelta Civica ingiustamente accusata e messa alla gogna per l’inchiesta sulla “grande truffa del traffico di virus per vendere i vaccini”. Non era una grande truffa, ma una grande fuffa, che il M5S ha cavalcato senza rispetto della presunzione di innocenza e di una persona che era solo indagata sul nulla. In un altro passaggio sulla giustizia Conte ha detto che in Italia “gli stessi gruppi politici, delle volte, vengono accusati di giustizialismo e, delle volte, invece, di garantismo”. In realtà per quanto riguarda il suo partito, mai a nessuno è venuto in mente di “accusarlo” di garantismo. Tutti sanno che per il M5s la presunzione d’innocenza è un lapsus, e l’articolo 27 della Costituzione un apostrofo negro tra le parole “t’arresto”. Colpevole fino a prova contraria (Il Dubbio) Il Presidente del Consiglio, nel suo discorso alla Camera, ha detto che il governo, per riformare la giustizia, si atterrà alla Costituzione e ai suoi principi fondamentali. Ha detto che soprattutto rispetterà la presunzione di colpevolezza. proprio così: di colpevolezza. Non si è corretto, nessuno lo ha corretto. Di Maio non ha mosso un solo muscolo della faccia. Lapsus? Gli è saltato un “non”? Beh, speriamo. Però sapete cosa diceva un certo Freud del lapsus, no? Non c’è mica da stare tanto tranquilli... Priorità (con lapsus) ai principi costituzionali (Il Sole 24 Ore) “Questo esecutivo è consapevole che esistono principi costituzionali: oltre il contratto di governo ha ben presente la Costituzione”. Il premier Conte nel suo intervento ieri alla Camera è sembrato voler dissipare i dubbi su un eccessivo sbilanciamento del suo esecutivo sul fronte del giustizialismo. La divisione tra “giustizialisti e garantisti” è una “rappresentazione manichea”, ha precisato. Tuttavia, lo stesso premier è poi scivolato su un lapsus elencando i principi costituzionali: “Presunzione della colpevolezza (invece di innocenza, ndr), diritto a un processo giusto, durata ragionevole con tutte le garanzie, funzione riabilitativa della pena”. Conte premier giustizialista e il tesoro di Ali Baba di Lucio Ferro La Gente d’Italia, 7 giugno 2018 Giustizialismo è il sentimento molto pop del “tutti in galera”... gli altri. È giustizialismo la certezza della pena? No, la certezza della pena è ovviamente giustizia. Giustizialismo è altra cosa, è credere, raccontare e agire in modo da tenere una società più o meno tutta e sempre sotto sospetto e indagine più o meno perenni. In modo da renderla pura e al fine di sottrarre ai ladroni il maltolto e restituirlo ai cittadini. Giustizialismo è avallare l’idea che ciascuno regala gratis e senza impegno a se stesso: tutti ladri, gli altri. Giustizialismo è il sentimento molto pop del “tutti in galera”... gli altri. L’eleganza espositiva dell’avvocato Giuseppe Conte è intessuta di queste fibre semplici e dozzinali. Il look del premier è stato scritto sia da dandy e attento e ricercato è anche l’intercalar forbito. Ma la trama ideologica, sì ideologica, è da tuta acrilica. Più o meno tutti in galera, gli altri e tutti ladri, gli altri e piove, governo ladro. Anzi, non proprio, adesso che il governo sono io caccia ai ladri. E se piove, pazienza, sarà il giustizialismo l’ombrello che ci riparerà e consolerà. Giustizialismo eccolo: gli agenti provocatori sotto copertura. Insomma uno/a che prepara, simula, istiga a prendere bustarelle o truccare appalti o qualunque altro reato di corruzione. Un diavolo tentatore che altri non è che un poliziotto o carabiniere o guardia di finanza o reparto speciale che va in giro a vedere chi ci casca nella tentazione. Il cui obiettivo e scopo è che il potenziale corrotto ci caschi nel reato. Insomma un creatore di reati per poter poi arrestare, arrestare, arrestare. Giustizialismo eccolo: il Daspo ai corrotti. E che vuol dire? Ci sono per i corrotti le sentenze e le pene erogate dai Tribunali. Il Daspo cosa è? L’allontanamento dalla Pubblica Amministrazione o dalla professione o dalla cattedra o dall’ufficio per un sospetto o indagine? Allontanamento impartito prima della sentenza? La punizione al sospettato che quella al condannato non soddisfa e basta più? Una punizione suppletiva alla sentenza? Chi lo eroga il Daspo, il governo a nome del Tribunale del Popolo? Giustizialismo eccolo: indagini senza limiti di tempo e di ambito, l’idea da comunicare ad ogni cittadino che c’è sempre un magistrato che lo guarda e che il suo nome e la sua attività sono sempre un potenziale fascicolo giudiziario. C’è chi attribuisce la fonte e l’animo del giustizialismo alla cosiddetta invidia sociale e alla eterna voglia di popolo di punire, punire, punire. Non pare sia questo l’ideal tipo del giustizialismo di Giuseppe Conte. È qualcosa di più profondo, di per così dire più animato da buone intenzioni. È un giustizialismo che nasce da una sorta di fede. E fede va chiamata perché è una credenza appassionata che non tollera verifiche empiriche e che ama dividere tra fedeli puri e trasparenti e infedeli per definizione impuri e peccatori. La fede è quella nella favola di Ali Baba e i 40 ladroni. E Giuseppe Conte premier, insieme a milioni e milioni di italiani di cui lui stesso e il governo tutto sono legittima e piena espressione, nella favola di Ali Baba ci crede, basta leggersi il suo discorso in Parlamento. Discorso in cui non c’è una cifra, un numero che è uno su quanto costano e come si pagano e dove si trovano i soldi per redditi e pensioni cittadinanza, più spese per sanità e scuola, pensioni a 64 anni invece che a 67, Irpef tagliata… Non c’è una cifra e non c’è un numero perché, è ovvio nella mente e nel cuore di Conte come nella favola, tutto si paga con il tesoro che sta nella Grande Caverna di Ali Baba. Una volta tolti di mezzo i 40 ladroni… tutto sgorgherà, gemme, collane, monete, monili. Fatti fuori i 40 ladroni (al secolo ceti, caste, banche, euro-burocrati, corrotti vari e a vario titolo, multinazionali e Fondi Monetari e roba del genere e… magari anche un po’di professori e scienziati, insomma intellettuali gente sospetta) il popolo riavrà il suo tesoro (chiamato da Conte “diritti”, ma declinato da Conte in svariata e moltiplicata promessa di soldi per tutti). Una volta tolti di mezzo i 40 ladroni… è in fondo l’ideologia fondativa, il pilastro emotivo e l’architrave ideale di M5S dagli albori al trionfo. Una volta tolti di mezzo i 40 ladroni il popolo potrà avere pensioni, posti di lavoro, meno tasse, più scuole, tutta la sanità che vuole e anche sussidi, appoggi, meno tasse. Perché ci saranno soldi a piovere, anzi a strafottere come ama dire il popolo. Perché i soldi non ci sono, non si vedono solo perché i 40 ladroni li nascondono. Sia per mangiarseli loro, sia per puro dispetto al popolo. I soldi sono lì, è il Grande Tesoro nella grotta di Ali Baba. Basta andarselo a prendere. Questa è la fede di Giuseppe Conte premier, esposta in Parlamento. Un giustizialismo che è quasi… teoria economica. Giuseppe Conte determinato, sicuro, orgoglioso e deciso nel fare da premier l’avvocato del popolo contro il potere. E altrettanto determinato, sicuro, orgoglioso e deciso nel non voler prendere atto che il potere oggi è lui, il suo governo e Di Maio e Salvini e la Lega e M5S. La favola-fede della caverna del Grande Tesoro esige che ci sia sempre un potere altro che tenta di sbarrare l’accesso e di nascondere, camuffare la porta magica della caverna. Ci deve essere sempre un potere che è altro, perché Conte e i partiti che fanno il suo governo si dicono il popolo. Attenzione, un popolo e uno solo. Un esponente M5S nei giorni scorsi ha detto: “I partiti sono gli interessi particolari, noi siamo il popolo tutto”. Parole e di Morra dentro le quali Conte premier sta tutto. Un solo popolo e gli altri potenzialmente se non già traditori, infedeli, corrotti. È un gran bel credere nella favola di Ali Baba, i 40 ladroni e la caverna del Grande Tesoro: mette infatti al riparo da ogni inciucio con la realtà. Quindi Conte premier conseguentemente ha esposta alla Camere che gli hanno votato la sua fiducia il suo programma: nessun patteggiamento con il reale. Davigo a sorpresa contro la Lega: “Italia paese più sicuro d’Europa” di Piero Sansonetti Il Dubbio, 7 giugno 2018 E Davigo si è destreggiato, con prudenza, sui temi che gli sono più congeniali - come la prescrizione, o la corruzione, o l’agente provocatore, o il dilagare dei reati economici - senza smentire nulla delle sue posizioni note, ma anche senza forzare, senza frasi ad effetto. Si è difeso in modo abbastanza ragionevole dall’accusa di essere uno che divide il mondo in colpevoli e innocenti (accusa che Floris ha attribuito a Berlusconi) spiegando che siccome lui di mestiere fa il magistrato, più o meno il suo compito è quello lì: condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti. Poi ha parlato della “convenienza” in Italia ad essere fuorilegge piuttosto che legalitari. E ha dato una versione un po’ più moderna del solito di questa sua vecchia idea. Ha detto che è molto difficile far valere i propri diritti, garantiti dalla legge, e dunque violare la legge può essere più conveniente. Poi ha chiamato in causa sant’Agostino (non esattamente il più progressista tra i santi eredi di Cristo) per sostenere che la giustizia e solo la giustizia fa la differenza tra uno Stato e una banda di ribaldi. Ho notato, in questa fase dell’intervista, che Davigo ha difficoltà ad usare la parola Diritto e preferisce sempre usare la parola giustizia. È una sfumatura, certo, ma è una di quelle sfumature che possono nascondere delle abissali differenze di idee. La differenza, nell’uso dei due termini, potrebbe essere quella tra chi sostiene lo Stato di Diritto e chi il giustizialismo. A proposito del giustizialismo Davigo ha negato che esista. Ha detto che l’unico movimento giustizialista realmente esistito è quello argentino, di Peron, che però chiedeva giustizia, sì, ma giustizia sociale. E con il quale hanno poco a che fare le istanze legalitarie delle quali si sta parlando in Italia. Subito dopo i due colpi a sorpresa. Il primo addirittura a difesa di Berlusconi. Davigo (che pure ha annunciato una querela contro il cav per qualche frase polemica che Berlusconi ha pronunciato contro di lui) ha dichiarato che la riabilitazione decisa dai magistrati milanesi è pienamente legale e giusta. Il secondo colpo a sorpresa è stata l’assalto alla Lega. E soprattutto alla proposta della Lega di modificare la legge sulla legittima difesa, ampliando le possibilità di sparare ai ladri. È stato l’unico momento nel quale Davigo ha perso la pazienza ed ha iniziato una polemica fero- ce contro quelli che sostengono a ogni piè sospinto che l’Italia è un paese insicuro. Ha gridato che l’Italia è il paese più sicuro d’Europa, che gli omicidi e le rapine sono in calo netto da anni e anni, e che la storiella che bisogna difendersi dal crimine dilagante, e armarsi, è una fandonia ed è pura propaganda. Noi queste cose le abbiamo scritte cento volte sul giornale. Però di sentirsele ripetere da Davigo proprio non ce l’aspettavamo. Poi Davigo deve avere avuto una specie di ripensamento: il timore di passare per garantista - che immagino sia una situazione che gli fa orrore - lo ha spinto a cambiare tono e ha iniziato a protestare contro le scarcerazioni facili. Ha sostenuto che in Italia la custodia cautelare è uno strumento molto difficile da utilizzare, e quindi i ladri restano a piede libero, mentre dovrebbero stare in cella. Ha detto che invece è meglio tenerli in cella, i ladri, che lasciarli liberi e poi lasciare libera la gente di sparargli. E poi ha spiegato che comunque è impossibile fare una legge che permetta di sparare a un ladro in fuga, legge che non esiste peraltro in nessun paese del mondo. E se uno spara a un ladro non per difendersi ma per attaccare, in ogni caso è omicidio. L’ultimo capitolo dell’intervista è stato sulla Daspo per i corrotti e sull’agente provocatore. Sulla Daspo si è detto molto critico (mentre ha sollecitato misure premiali più forti per i reati di corruzione, fino a garantire l’impunità); dell’agente provocatore ha dato una sua versione (e cioè la versione non del provocatore ma del semplice infiltrato) che modifica parecchio il contratto penta-leghista. Probabilmente il Presidente Conte gli ha dato retta, perché ieri, nel suo discorso conclusivo del dibattito sulla fiducia, ha cambiato anche lui gli impegni del contratto, limitandosi a parlare di agenti sotto copertura. Può anche darsi che l’intervento di Davigo sia casuale. O può darsi che sia da mettere in relazione alla campagna elettorale per il Csm. Però è abbastanza probabile che nella magistratura, anche nella sua ala più oltranzista, sia sorto un certo sentimento di timore per la baldanza forcaiola della nuova maggioranza, e per la facilità con la quale il loro programma elettorale offende il diritto. E che Davigo abbia voluto assumere questo ruolo - come dire? - di addetti ai freni. Il pm anti-corrotti in bilico, paga la nomina del Pd di Liana Milella La Repubblica, 7 giugno 2018 Conte contro Cantone. Il neo premier con simpatie grilline attacca l’ex pm che la camorra voleva uccidere e che Renzi, da capo del governo, nel 2014 ha messo ai vertici dell’Anac, l’Autorità contro la corruzione. Lo stesso Renzi che, due anni dopo, ha portato Cantone con sé dal presidente Obama presentandolo nel team degli italiani illustri. Ma d’improvviso la situazione cambia. Prima al Senato, durante la replica al dibattito, e poi ieri alla Camera, Giuseppe Conte pronuncia parole critiche verso l’Anac che, come tutti sanno, è una creatura di Raffaele Cantone. Lievitata in 4 anni fino a diventare un vero e proprio ministero nella lotta agli appalti truccati. Un “modello” che lo stesso Cantone ha tante volte portato all’estero, rivelando che più di uno Stato straniero ha chiesto quale fosse la sua formula di successo. Ma ora Conte butta Cantone giù dalla torre. Spoil system? Un magistrato troppo potente e quindi ingombrante per il neo governo? Forse ritenuto troppo in simbiosi con Renzi prima e Gentiloni poi, una sorta di “agente nemico” in quota Pd? Stiamo ai fatti. Rileggiamo cos’ha detto Conte di Cantone. Al Senato martedì tutti sono stanchi quando il premier dice testualmente: “Stiamo studiando un’iniziativa che riguarda il ruolo dell’Anac. Se riusciremo a potenziare la sua fase di precontenzioso avremo una sorta di certificazione autorevole per gli amministratori”. E ancora: “Se non riusciamo a superare la stasi generata dall’approvazione del codice degli appalti pubblici non andiamo da nessuna parte”. È noto quanto Cantone sia stato un fautore del nuovo codice, anche se non nega la necessità di migliorie. E sul codice Cantone s’è trovato sul fronte opposto rispetto a Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani pulite, la cui visione della giustizia è condivisa dal neo Guardasigilli Alfonso Bonafede. Per Davigo quel codice “è solo un ostacolo per le persone per bene, mentre chi vuole delinquere continua a farlo”. C’è stato del freddo tra Davigo e Cantone, il primo a ripetere che “la corruzione non si combatte con l’Anac perché non ha poteri di repressione”. Ma sull’ultimo libro di Davigo (“In Italia violare la legge conviene. Vero!”, Laterza) Cantone ha avuto parole di apprezzamento del tipo “l’ho letto e in molti punti mi sono trovato d’accordo, vedo che non parla più dell’agente infiltrato, ma di quello sotto copertura...”. E dunque, solo un buffetto quello di Conte? O c’è di più? L’incarico dell’ex pm, di sei anni, scade nell’aprile 2020, e non è rinnovabile. Ma nelle parole del premier alla Camera c’è un giudizio negativo. Testualmente Conte dice dell’Anac: “Cercheremo di valutare bene il suo ruolo che non va depotenziato, ma non abbiamo in questo momento i risultati che ci attendevamo. Forse avevamo investito troppo. Possiamo valorizzare l’Anac, ma in una funzione e in una prospettiva diverse, di prevenzione. Per quanto riguarda il precontenzioso che oggi è davanti all’Anac possiamo rafforzare questa fase, per avere una sorta di certificazione anticipata per i funzionari, per gli amministratori pubblici e poter procedere alle gare più speditamente”. Le frasi di Conte sono una doccia gelata per l’Anac. Le considerazioni del giorno prima erano passate del tutto inosservate. Ma ieri quando le agenzie battono quelle parole - “Non abbiamo dall’Anac i risultati che ci attendevamo” - e Cantone ha modo di leggerle il suo “stupore” è immediato. Lo consegna ai suoi collaboratori, poi si chiude nel più totale riserbo. Dall’Anac non filtra più nulla, tranne la volontà di “non fare polemiche” e la garbata notazione che, forse, “il presidente del Consiglio non conosce tutto ciò che l’Anac fa per prevenire la corruzione”. Da qui l’invito a essere presente il 14 giugno alla relazione 2018 sul lavoro dell’Authority. Chissà. Rifiuti tossici e segreti: la pista della fabbrica nel delitto di Sacko di Carlo Macrì Corriere della Sera, 7 giugno 2018 Vibo, il procuratore: “Chi ha sparato non voleva intrusi”. Dietro il delitto del maliano Soumaila Sacko, ucciso a “lupara” sabato sera, a San Calogero, nei pressi di una fabbrica di laterizi abbandonata, ci sarebbero interessi legati proprio all’area dove sorge il capannone industriale. Ecco perché nessuno poteva avvicinarsi a quel posto. Il procuratore di Vibo Valentia, Bruno Giordano spiega così quello che è accaduto: “Noi non sappiamo cosa ci sia dietro la decisione di allontanare gli intrusi, ma è certo, però, che chi ha sparato ha voluto dare un segnale chiaro: qui gli estranei non sono ammessi. Questa è “cosa nostra” e nessuno deve metterci piede”. Per l’omicidio dell’immigrato c’è un indagato, Antonio Pontoriero, un agricoltore del posto, nipote di uno dei soci della fabbrica. I carabinieri gli hanno sequestrato abiti e auto che saranno sottoposti ad accertamenti tecnici da parte del Ris di Messina. Ieri l’esame autoptico ha accertato che l’immigrato, padre di una bimba di cinque anni, è stato colpito alla testa da una sola fucilata. Il cecchino ha sparato da una distanza di cento metri quattro colpi di “lupara” all’indirizzo del gruppo composto, oltre che da Sacko, da altri due suoi connazionali, rimasti illesi. L’area dove sorge la struttura ormai dismessa, circa 100 mila metri quadrati, è stata sequestrata dalla procura di Vibo nel 2011 perché la Guardia di Finanza aveva accertato che in quel posto sono state sotterrate 130 mila tonnellate di fanghi e ceneri industriali, provenienti dalla centrale termoelettrica dell’Enel di Brindisi. Da quel momento quella zona è diventata inaccessibile non per il divieto giudiziario, ma per una decisione di chi in quella zona vi abita o ha possedimenti agricoli. Un territorio off-limits per tutti. Più volte la fabbrica è stata “visitata” da persone che si sono portati via ferro, lamiere, alluminio. Qualcuno del posto li avrebbe anche avvisati del pericolo cui andavano incontro se fossero ritornati dalle parti della “Fornace Tranquilla”, si chiama proprio così la struttura sequestrata. Certo, il divieto di avvicinarsi alla fabbrica non sarebbe legato alla presenza dei rifiuti tossici, ben visibili, come spiega l’avvocato Angelo Calzone del Wwf. “Nei tratti non coperti da vegetazione è visibile il colore grigio che ha assunto il terreno, dove emerge la cenere industriale”. E allora perché il divieto ad avvicinarsi alla “Fornace Tranquilla”? Nessuno in questi anni sembra aver voluto risolvere l’arcano. Il processo ai dodici indagati tra cui i titolari della fabbrica, che devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata al traffico e all’illecito smaltimento di rifiuti pericolosi, disastro ambientale, inquinamento delle acque, iniziato nel 2012, non si è mai concluso. Per una serie di cavilli e giudici astenuti. Addirittura una volta un’udienza è stata fissata il giorno di Pasqua. Il 28 giugno potrebbe intervenire la prescrizione. E così i vecchi proprietari potrebbero rientrare in possesso della fabbrica. Tutti tranne Antonino Romeo, 78 anni, di Taurianova, morto in circostanze misteriose alcuni anni fa. Secondo le indagini del tempo, l’auto con dentro Romeo sarebbe stata fatta precipitare da un costone per poi finire sotto la scogliera di Joppolo. I carabinieri trovarono l’uomo svestito e con la maglietta infilata in testa. Patrocinio a spese dello Stato: al legale compenso da commisurare all’impegno di Giampaolo Piagnerelli Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2018 Corte di cassazione - Sezione II civile - Ordinanza 6 giugno 2018 n. 14485. Va accolta la richiesta dell’avvocato che - chiamato a svolgere attività professionale in regime di patrocinio a spese dello Stato - si veda riconoscere il diritto a una maggiore liquidazione del compenso senza però che il giudice abbia provveduto a un’adeguata quantificazione. La vicenda - La Cassazione, con l’ordinanza n. 14485/18, ha accolto l’appello proposto da un legale che come detto aveva svolto la professione prestando gratuito patrocinio. Il legale ha inizialmente proposto appello contro la liquidazione effettuata dal giudice di pace ritenuta riduttiva rispetto all’impegno professionale profuso e per il mancato riconoscimento delle spese borsuali effettuate in favore del cliente. L’avvocato a suo tempo, infatti, aveva adito il tribunale di Tivoli che si era pronunciato a favore della richiesta di maggiorazione del compenso professionale. In sede di legittimità il professionista ha eccepito come ci fosse una palese violazione delle norme a disciplina delle spese di lite nel procedimento di opposizione al decreto di liquidazione del compenso spettante al difensore in dipendenza dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato poiché il Tribunale di Tivoli, pur accogliendo la sua opposizione e senza alcuna motivazione, non aveva provveduto anche a disciplinare le spese di lite afferenti al procedimento di opposizione. La Cassazione ha accolto l’appello del legale evidenziando come il collegio tiburtino si fosse limitato a nuova liquidazione del compenso dovuto mediante utilizzo di modulo a tal proposito predisposto contenente generico richiamo, quale criterio di liquidazione, alla tariffa professionale vigente, senza anche esternare la necessaria valutazione circa l’effettuazione delle attività professionali indicate e la valutazione dell’impegno professionale richiesto dalla questione giuridica trattata e l’indicazione della ragione fondante la modifica della statuizione adottata dal primo giudice. Le conclusioni - La Corte ha rimesso la questione al tribunale di Tivoli che in diversa composizione esaminerà la questione per un nuovo esame e per la quantificazione delle spese del giudizio di legittimità ex articolo 385, comma 3 del cpc. In attesa della protezione internazionale sì alla proroga del trattenimento presso il Cie di Giampaolo Piagnerelli Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2018 Pienamente legittimo il provvedimento che dispone la prosecuzione della permanenza presso il centro di identificazione ed espulsione nel caso in cui al soggetto straniero non sia stato ancora riconosciuto il diritto di protezione internazionale. Questo in estrema sintesi il contenuto della sentenza della Cassazione n. 14668/18. La vicenda - Alla base della decisione un provvedimento del Questore di Torino che aveva emesso un nuovo provvedimento di trattenimento presso il Cie in base all’articolo 6, comma 2, lettera c) del Dlgs 142/2015 che è stato convalidato dal Tribunale di Torino il 30 dicembre 2015 per il periodo di sessanta giorni. La questura torinese, peraltro, nell’approssimarsi della scadenza del periodo di trattenimento, ne ha richiesto la proroga che è stata disposta con il decreto del Tribunale di Torino che è stato impugnato per Cassazione dallo straniero. In particolare il soggetto aveva eccepito come nel suo caso non sussistessero i requisiti previsti dal Dlgs 142/2015 per la prosecuzione di una misura cautelare in assenza di ricorso sistematico alle false generalità; violazione delle misure e obblighi disposti a garanzia delle misure alternative al trattenimento nel Cie; violazione del divieto di reingresso. Secondo i Supremi giudici il trattenimento nel centro e, in particolare la sua prosecuzione, è stata disposta non come misura in qualche modo punitiva nei confronti dello straniero ma era una condizione obbligatoria in attesa del definitivo accertamento del diritto alla protezione internazionale. La Corte ha rilevato, inoltre, la genericità ed astrattezza della censura in riferimento alla mancanza della forma scritta della richiesta del Questore. L’appello dello straniero - Respinto anche l’appello quanto alla mancata traduzione del provvedimento in lingua comprensibile al ricorrente dal momento che il giudice di merito aveva già evidenziato come ciò non potesse costituire causa di nullità del procedimento e non ha impedito la partecipazione all’udienza e la difesa da parte del ricorrente il quale, anche nel giudizio di legittimità, ha omesso ogni specificazione in merito alla lesione del suo diritto di difesa. Violazione privacy, i termini per la contestazione decorrono da fine indagini di Francesco Machina Grifeo Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2018 Corte di cassazione -Sentenza 6 giugno 2018 n. 14678. In caso di mancato rispetto della privacy, il termine di 90 giorni previsto per la notifica della violazione decorre dal momento in cui l’Autorità Garante, all’esito della attività istruttoria, abbia acquisito piena conoscenza della condotta illecita. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 6 giugno 20181 n. 14678, fissando un parallelo con quanto già previsto per gli accertamenti e le sanzioni Consob, e respingendo il ricorso di Edipro. La vicenda riguardava la cessione di oltre 15milioni di anagrafiche, contenute nella banca dati DB Consumer Italia, a Fastweb senza aver prima raccolto il consenso degli interessati. Proposto ricorso contro la sanzione di 100mila euro, il Tribunale di Treviso lo ha rigettato considerando che il momento dell’effettivo accertamento della violazione coincidesse con il giorno di adozione del provvedimento, il 28 gennaio 2010, e non con l’accesso ispettivo, avvenuto nell’aprile del 2009. Per cui anche la notifica, il 20 aprile 2010, era avvenuta nel rispetto dei tempi. Una lettura condivisa dalla Suprema corte che, richiamando un precedente, ha affermato: “Nel caso di mancata contestazione immediata della violazione, l’attività di accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità, ma deve essere intesa come comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti ed afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e, quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita si da valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della contestazione”. Al giudice di merito invece spetta determinare “il tempo ragionevolmente necessario all’Amministrazione per giungere a una simile completa conoscenza individuando il dies a quo di decorrenza del termine, tenendo conto della maggiore o minore difficoltà del caso concreto”. Dunque, prosegue la decisione, coerentemente con tali principi, il giudice di merito “rilevato che non si era proceduto alla contestazione immediata delle violazioni ipotizzate”, ha ritenuto che il Garante ha avuto piena consapevolezza delle norme violate “quando è stato definitivamente ricostruito il rapporto tra Fastweb ed Edipro e sono state ricostruite le operazioni eseguite dagli stessi”. “La mera acquisizione di documentazione, infatti non coincide con il momento dell’accertamento, atteso che i dati acquisiti devono essere elaborati”. In questo senso, conclude la Corte, “il controllo di violazioni relative alla cessione da Edipro a Fastweb di 15.600.000 anagrafiche contenute nel server deve ritenersi logicamente aver richiesto un’attività istruttoria complessa anche tenuto conto che deve presumersi che Edipro non sia l’unico soggetto sottoposto ad accertamento dal Garante della Privacy”. Guida in stato di ebbrezza: nel caso di incidente è esclusa la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità Il Sole 24 Ore, 7 giugno 2018 Guida in stato di ebbrezza aggravata - Sanzione sostitutiva - Lavoro di pubblica utilità - Operatività - Circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale - Esclusione. Qualsiasi tipologia d’incidente stradale, provocato dal conducente in stato di ebbrezza alcolica ovvero dal conducente in stato di intossicazione da stupefacenti, impone l’applicazione del comma 2 bis dell’articolo 186 e dunque esclude l’applicabilità della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, prevista dal comma 9 bis dell’articolo 186 C.d.S. A tal fine per incidente si intende qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione stradale, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l’avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli. • Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 30 maggio 2018 n. 24433. Guida in stato di ebbrezza aggravata - Sanzione sostitutiva - Lavoro di pubblica utilità - Operatività - Circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale - Esclusione - Influenza sul trattamento sanzionatorio - Irrilevante. In tema di reato di guida in stato di ebbrezza ai fini dell’ operatività del divieto di sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità, previsto dall’articolo 186 C.d.S., comma 9 bis, è sufficiente che ricorra la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale essendo, invece, irrilevante che, all’esito del giudizio di comparazione con circostanza attenuante, essa non influisca sul trattamento sanzionatorio. • Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 1 aprile 2015 n. 13853. Guida in stato di ebbrezza - Sanzione sostitutiva - Lavoro di pubblica utilità - Incidente - Nozione - Esclusione della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità. Nel caso di guida in stato di ebbrezza la condizione che preclude la possibilità di sostituire la pena sia detentiva che pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità è quella di aver provocato un incidente, inteso come qualsiasi avvenimento inatteso che interrompe il normale svolgimento della circolazione stradale e che proprio per tale ragione è portatore di pericolo per la collettività. • Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 6 dice,ìmbre 2012 n. 47276. Circolazione stradale - Guida in stato di ebbrezza - Aggravante di aver causato un incidente (articolo 186, c. 2 bis, C.d.S.) - Nozione di incidente. Affinché ricorra l’aggravante di cui all’articolo 186, c. 2 bis, C.d.S. nella nozione di incidente sono da ricomprendersi sia l’urto del veicolo contro un ostacolo, sia la fuoriuscita del veicolo dalla sede stradale. A tale fine non è previsto quale presupposto nè i danni alle persone nè i danni alle cose; deve trattarsi dunque di una qualsiasi, purché significativa, turbativa del traffico, potenzialmente idonea a determinare danni: (Secondo la Suprema Corte questa situazione era assolutamente riscontrabile nella fattispecie esaminata, in quanto ritenuta evidentemente dal legislatore rivelatrice di effetti particolarmente pericolosi derivati dall’uso di bevande alcoliche (articolo 186 C.d.S.) o sostanze stupefacenti (articolo 187 C.d.S.). • Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 31 ottobre 2012 n. 42488. Toscana: dal Consiglio Regionale ok a mozione su diritti e reinserimento dei detenuti luccaindiretta.it, 7 giugno 2018 È stata approvata a maggioranza una proposta di risoluzione che impegna l’assemblea regionale ad assicurare, attraverso il garante dei detenuti Franco Corleone, la finalità rieducativa della pena e il reinserimento sociale dei condannati. Nell’atto si chiede, inoltre, che venga sostenuta e rafforzata l’efficienza dell’ufficio del garante regionale nel compimento delle funzioni assegnategli dalla legge 69/2009 Norme per l’istituzione del garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, anche con un incremento di personale. Approvato anche un ordine del giorno, presentato dal Partito democratico, per sollecitare l’istituzione di Garanti dei detenuti in tutti quei comuni dove sono presenti strutture carcerarie. Su 28 presenti in aula 21 hanno votato a favore e 7 contro. Il presidente della commissione affari istituzionali, Giacomo Bugliani, ha illustrato in aula la relazione annuale svolta nel 2017 e fornito alcuni numeri: nell’anno passato si registra una tendenza all’aumento dei detenuti a livello nazionale mentre in Toscana c’è stabilità nell’ordine delle 3mila 300unità, ma nonostante non ci siano punte di sovraffollamento, la condizione di vita quotidiana nelle carceri non è migliorata in maniera significativa. Tra le carenze più evidenti spicca quella di Arezzo dove la casa circondariale è ancora semichiusa, Pisa dove il Don Bosco presenta una situazione intollerabile e Livorno dove Le Sughere sono ancora in fase di ristrutturazione. Tra gli aspetti positivi, è stato ricordato che nel 2018-2019 saranno realizzati alcuni lavori negli istituti toscani per il ripristino degli impianti e l’installazione di pannelli fotovoltaici per la generazione di energia e per la realizzazione del nuovo spazio trattamentale nel carcere di Lucca. Nella geografia penitenziaria toscana si sono consolidati i cambiamenti avvenuti nel 2016: la Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Volterra è ormai a pieno regime, mentre stanno prendendo avvio i lavori per realizzare la seconda Rems provvisoria nella struttura che ospitava il carcere femminile di Empoli. Ancora numeri sulla composizione della popolazione detenuta: resta bassa la presenza di detenute femminili al 3,7 per cento, inferiore alla media nazionale del 4,2 per cento. Alla fine di marzo 2018 le donne detenute erano in tutto 124, di cui 92 a Firenze Sollicciano e 32 a Pisa. Molto alta, invece, la percentuale di popolazione detenuta straniera in Toscana, il 49,5 per cento rispetto ad una media nazionale del 34 per cento. Nel 2017 sono diminuiti i suicidi in carcere, da 6 ad 1, e anche i tentati suicidi, da 125 a 104, e gli atti di autolesionismo da 1103 a 854. Per quanto riguarda la posizione giuridica dei detenuti, la Toscana presenta un quadro migliore di quello nazionale: la percentuale dei detenuti condannati in via definitiva è del 72,5 per cento a livello regionale, mentre è del 64,8 per cento a livello nazionale. Alta la percentuale di detenuti tossicodipendenti, il 30 per cento al 31 dicembre 2017, con 988 presenze e quella dei detenuti condannati per violazione dell’art. 73 della Legge sulle droghe il 35 per cento del totale. Per gli interventi di esecuzione penale esterna al 31 marzo 2018 si avevano 7mila414 soggetti in carico agli uffici di esecuzione penale esterna con un incremento notevole rispetto all’anno precedente (6.420 in carico al Uepe nel 2016); complessivamente nel 2017 si sono avuti 1.824 affidati in prova al servizio sociale, 1.445 detenuti domiciliari, 227 semiliberi, oltre a 2.388 messi alla prova e 1.576 lavori di pubblica utilità. Tra gli impegni programmatici per il 2018, anche il rinnovo del patto siglato due anni fa con l’Amministrazione penitenziaria, per collaborare al miglioramento delle condizioni di detenzione negli istituti toscani e la diffusione della conoscenza sui rimpatri assistiti. Riguardo alla salute, il livello di attenzione deve rimanere alto sulle problematiche psichiche e sui trattamenti sanitari obbligatori. Calabria: Garante dei detenuti, al via la presentazione delle candidature Giornale di Calabria, 7 giugno 2018 La Regione Calabria presto potrà dotarsi del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. L’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale, guidato dal presidente Nicola Irto, ha approvato nei giorni scorsi l’avviso pubblico per la presentazione delle candidature per l’elezione della figura istituita dalla legge regionale 1/2018. Possono candidarsi, inoltrando domanda entro un mese dalla pubblicazione dell’avviso sul Bollettino ufficiale della Regione, avvenuta martedì, coloro che - precisa la legge istitutiva del Garante dei detenuti - “possiedono specifica e comprovata formazione, competenza ed esperienza, almeno quinquennale, nel campo giuridico - amministrativo e nelle discipline afferenti alla promozione e tutela dei diritti umani o che si siano comunque distinte in attività di impegno sociale, con particolare riguardo ai temi della detenzione, e che offrano garanzie di probità, indipendenza e obiettività”. Una volta espletate le procedure relative alla presentazione delle candidature, l’elezione del Garante spetterà al Consiglio regionale con deliberazione a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti. Il Garante dei diritti dei detenuti - si legge ancora nella legge istitutiva - è “un organismo di monitoraggio indipendente che contribuisca a garantire i diritti, promuovendone e assicurandone il rispetto, delle persone detenute e di coloro che sono sottoposti a misure comunque restrittive o limitative della liberta personale, favorendone, altresì, il recupero e il reinserimento nella società”. Livorno: ergastolano di 58 anni si impicca nel carcere delle Sughere Il Tirreno, 7 giugno 2018 Livorno, a scoprire il corpo dell’uomo nel bagno della cella gli agenti della penitenziaria. Il sindaco Nogarin e il garante De Peppo: “Struttura inadeguata, questa morte poteva essere evitata”. Un detenuto di 58 anni si è tolto la vita nella serata di martedì 5 giugno nel bagno della sua cella del circuito Alta sicurezza della casa circondariale Le Sughere di Livorno. L’uomo, originario della Puglia, che stava scontando una condanna all’ergastolo, è stato soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria ma non c’era più nulla da fare. Secondo quanto si è appreso, si è impiccato utilizzando un pezzo di stoffa ricavato. Da quanto appreso il 58enne era recluso da oltre vent’anni per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di sostanze stupefacenti oltre a una serie di altri reati. Era stato da qualche tempo trasferito a Livorno perché necessitava di assistenza psichiatrica. “Davanti a un fatto così grave provo un dolore immenso - commenta il sindaco di Livorno, Filippo Nogarin. Il suicidio di un detenuto in carcere rappresenta una sconfitta per l’intero sistema penitenziario nazionale. Sono anni che, insieme al Garante per i diritti dei detenuti, denunciamo le criticità e l’inadeguatezza delle Sughere - attacca Nogarin. Lo scorso anno ho portato addirittura il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, a fare un sopralluogo all’interno della struttura. Dopo le rassicurazioni iniziali, non abbiamo saputo più nulla, ma noi non ci siamo fermati”. Lunedì 4 giugno, infatti, il sindaco e il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Livorno, Giovanni De Peppo, sono stati ricevuti a Firenze da Antonio Fullone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Toscana e dell’Umbria, per porgli le problematiche delle Sughere. “Si è trattato di un incontro estremamente produttivo - sottolinea il Sindaco. Il Provveditore ha già previsto un sopralluogo alle Sughere insieme ai responsabili della parte strutturale. A quel punto ci verrà fornito un cronoprogramma dei lavori di messa in sicurezza e ripristino delle zone maggiormente disastrate. Questo però non basta. Alle Sughere ci sono altri due problemi gravi: i programmi di reinserimento e le attività organizzate all’interno della casa circondariale sono del tutto insufficienti, e la polizia penitenziaria è sotto organico di almeno 25 agenti. È fondamentale che il nuovo Guardasigilli agisca al più presto”. “Questa è una tragedia che si poteva e doveva evitare - aggiunge il Garante per i diritti dei detenuti del Comune di Livorno -. Non dimentichiamoci che questa persona solo pochi giorni fa è stata trasferita d’imperio da un altro carcere dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di Roma. Il Dap, quasi sempre disattento alle segnalazioni relative ai detenuti più fragili, in questo caso sembra aver agito su richiesta dei penitenziario, senza però le conseguenze che questo trasferimento avrebbe avuto sull’equilibrio psicofisico di un detenuto che già aveva manifestato atteggiamenti a rischio suicidario. E questo è molto grave. Più in generale, è indispensabile predisporre, all’interno delle carceri, sezioni dedicate in grado di accogliere, custodire e curare adeguatamente chi si trova in una condizione di rischio e precarietà psichica particolare”. San Gimignano (Si): carcere di Ranza, obiettivo abbattimento isolamento agenziaimpress.it, 7 giugno 2018 Abbattere l’isolamento della Casa di Reclusione di Ranza garantendo ai detenuti e al personale di sicurezza i servizi essenziali pur nel rispetto delle normative in materia di sicurezza. È questo l’obiettivo del Comune di San Gimignano secondo quanto emerso dal consiglio comunale aperto che si è tenuto martedì 5 giugno in carcere e al quale hanno partecipato anche i rappresentanti del mondo del volontariato, l’Assessore Regionale alla Salute Stefania Saccardi ed il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Antonio Fullone. Gli amministratori hanno preso atto del percorso virtuoso intrapreso negli ultimi anni in merito al calo del numero dei detenuti e alla collaborazione con enti e associazioni nelle azioni trattamentali dei detenuti. La seduta si è poi concentrata su quelle che sono le maggiori criticità legate a comunicazione, approvvigionamento idrico, accesso ad alcuni servizi sanitari e trasporti da e per la Casa di Reclusione. Senza dimenticare l’annoso problema della mancanza di una dirigenza stabile. Per quanto riguarda la carenza idrica l’amministrazione penitenziaria ha calendarizzato l’impegno per l’intervento su un secondo pozzo. Proficua poi la collaborazione con la Regione Toscana e con gli enti locali che porterà il 12 giugno all’inaugurazione del marciapiede che collega l’ingresso del carcere al parcheggio. L’amministrazione comunale di San Gimignano è già al lavoro, inoltre, per implementare il servizio di trasporto da e per la Casa di reclusione. Sul tema del difficile accesso ad alcuni servizi sanitari la Regione Toscana si è impegnata a monitorare la questione delle visite specialistiche favorendo l’uso del centro clinico del carcere di Pisa per velocizzare l’accesso dei degenti. Non solo, al vaglio dell’amministrazione comunale la previsione urbanistica che possa permettere la realizzazione di alloggi destinati alla Polizia Penitenziaria e, in collaborazione con la Regione, un progetto per portare la banda larga fino a Ranza. “Dobbiamo abbattere le barriere ideologiche per poter inquadrare Ranza come una frazione da 400 abitanti del comune di San Gimignano - ha sottolineato il sindaco Giacomo Bassi. Tra istituzioni, ognuna per propria competenza, abbiamo il dovere di garantire sicurezza ma al tempo stesso dignità nel percorso di riabilitazione dei detenuti”. “Il Comune, per quanto non abbia competenza diretta in materia, si è fatto portavoce di una necessità, quella di non lasciare il carcere “lontano dagli occhi e dal cuore” ma di far sentire tutti parte di una comunità; i problemi non si risolvono se non sentendoci tutti responsabili, ognuno per la propria parte - ha evidenziato l’assessore alle politiche sociali Ilaria Garosi -. A ciascuno di noi spetta il compito di rompere l’isolamento. L’isolamento fisico dato dall’assenza dei trasporti, quello frutto dei collegamenti telefonici ed internet che vanno e vengono, quello dato dal senso di abbandono che talvolta vive chi ci lavora, quello accresciuto dalla mancanza di una dirigenza stabile”. Bolzano: racconta il carcere a 13 anni e vince un premio nazionale di Sara Martinello Alto Adige, 7 giugno 2018 Alessia Delpero è stata la nota lieta del concorso letterario. Proposta la storia - dietro le sbarre - di uno spacciatore. Un giovane in carcere per spaccio, una storia come tante, di quelle che sembrano un catalogo delle miserie personali, familiari, sociali. A raccontare una vicenda “da adulti” è però una giovanissima meranese, Alessia Delpero, studente della 3B delle medie Segantini, che col suo tema ha vinto il concorso indetto dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia nell’ambito dell’iniziativa “A scuola di libertà”. Ieri la premiazione davanti al papà, alla nonna e alla classe, insieme alla preside Patrizia Corrà, alla vicaria Mariarosa Lombardo, alla professoressa Enzina Cutrone e ad Alessandro Pedrotti, vicepresidente nazionale della Conferenza. Il tema con cui Alessia ha vinto un soggiorno di 3 giorni in una meta europea a scelta si intitola “Lo scorcio dalla prigione” ed è una scrittura sorvegliata, adulta nonostante l’età dell’autrice. Nel raccontare di Daniel, spacciatore 22enne diviso tra la nostalgia per il tempo in cui era libero da una dipendenza sempre più torbida e la scelta di rimanere “nel giro”, Alessia sospende il giudizio e cala la propria sensibilità in un percorso che per Daniel, ingabbiato in un carcere da cui vede una piccola spiaggia, diventa un percorso di speranza e di redenzione autonoma. Daniel si redime davanti alla propria fidanzata di sempre (“Lei si è sciupata per me, per tirarmi fuori da questa trappola”, scrive Alessia) e a se stesso, mosso da una fiducia assalita da mille dubbi, tanto che all’uscita dalla prigione pensa: “Non c’è nessuno di quelli che credevo amici, che mi hanno spinto sulla via sbagliata. Invece c’è Silvia. Mi si riempiono gli occhi di lacrime”. Stupisce che una ragazza così giovane abbia potuto esprimere tanta vicinanza a persone lontanissime: “Solo un corridoio con tante stanze. A vederlo potrebbe sembrare una scuola. Ma in quelle camere sono rinchiusi i prigionieri, alcuni arrabbiati, altri tristi, tutti accomunati da una sola cosa. Il rimorso. È il migliore “amico” di tutti noi, malvagio e fedele, non ci lascia mai. Ci pensa lui a ricordarci perché siamo qui”. Al di là della forma linguistica e dell’ottima capacità immaginativa, il primo premio le è stato assegnato per la forza e per il contenuto del testo. Fatto notevole è che anche Rebecca Tacconi, una studente della 3B dell’anno scorso, sia stata insignita del primo premio di questo concorso a cui aderiscono scuole di tutto lo Stivale, sempre col sostegno della professoressa Cutrone. Come fa presente la preside Corrà, gli alunni delle Segantini sono seguiti anche in un percorso di crescita personale in modo da potersi sviluppare appieno potenziando le proprie capacità. E “A scuola di libertà” è un progetto che a partire da novembre aiuta i giovanissimi delle scuole medie e superiori a ragionare sui temi della legalità in un’ottica tutta umana. Intanto, Alessia (che, manco a dirlo, ama leggere) abbraccia felice il papà e la nonna. “Il viaggio premio vorrei passarlo in Spagna con mia madre, a cui credo proprio che si aggiungeranno mio padre, la mia nonna e mio fratello. L’anno prossimo andrò al liceo delle scienze umane. Da grande? Vorrei scrivere un libro”, commenta. Ora non resta che augurare di realizzare i propri sogni a questa giovane promessa meranese. “A scuola di libertà”. Incontri tra gli studenti e i detenuti “A scuola di libertà” è una campagna organizzata dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia alla quale aderiscono 15mila studenti di 185 scuole in tutta Italia e che porta agli alunni delle scuole medie e superiori iniziative per ragionare sul tema della reclusione e dell’esclusione sociale. Tra queste ci sono anche incontri tra i ragazzi e detenuti o ex detenuti volti a raccogliere testimonianze su cui riflettere insieme, oltre che il concorso letterario che quest’anno è stato vinto, per la sezione delle scuole medie inferiori, da Alessia Delpero (il cui tema comparirà nel prossimo numero del giornale della Conferenza). Scopo della Conferenza è promuovere politiche di giustizia e coinvolgere nel confronto gli organismi locali. Asti: “Scappa”, lo spettacolo che ha per protagonisti 12 detenuti lanuovaprovincia.it, 7 giugno 2018 Aperte le prenotazioni per assistere alla rappresentazione che si terrà alla casa circondariale di Quarto nell’ambito di AstiTeatro 40. Sono aperte le prenotazioni per assistere a “Scappa”, lo spettacolo scritto e diretto da Mimmo Sorrentino che si terrà martedì 26 e mercoledì 27 giugno alle 18 alla Casa circondariale di Quarto, con protagonisti 12 detenuti nel reparto di alta sicurezza. Lo spettacolo fa parte del cartellone di AstiTeatro40 (sezione AstiTeatro per la Città) ed è prodotto dalla cooperativa sociale Teatroincontro nell’ambito del progetto “Educarsi alla libertà”. Racconta le storie di alcuni detenuti: è crudo, privo di retorica, parla di un passato perso nella violenza, che si mescola al presente e che si proietta minaccioso nel futuro. La cooperativa Teatroincontro - La cooperativa Teatroincontro, ispirandosi a un metodo proprio delle scienze sociali, ha coinvolto nella sua ricerca teatrale attori, studenti, docenti, disabili, tossicodipendenti in recupero, alcolisti, anziani, extracomunitari. E ancora abitanti delle periferie del Nord Italia, Rom, detenuti, vigili del fuoco, giudici, magistrati, medici, infermieri, commercianti ambulanti, pendolari, malati terminali, malati di Alzheimer, alpini, persone uscite dal coma. Persone molto lontane dalle accademie teatrali, come non teatrale è la loro formazione. Mimmo Sorrentino - Il direttore artistico della compagnia Mimmo Sorrentino è docente di teatro partecipato alla Scuola Paolo Grassi di Milano e conduce stage di alta formazione presso numerose università italiane. Nel 2014 gli è stato assegnato il premio Anct-Teatri della diversità. Nel 2009 il premio “Enriquez” per l’impegno civile svolto con il suo teatro. Lo spettacolo “Fratello Clandestino è stato segnalato al premio Internazionale “Teresa Pomodoro, un teatro per l’inclusione”, e “Ave Maria per una gatta morta” al Premio Ater Riccione e al Premio Ubu. Biglietti - Biglietti: 5 euro, con prenotazione obbligatoria presso la biglietteria del Teatro Alfieri (tel. 0141.399057) dal martedì al giovedì dalle 10.30 alle 16.30. Ingresso riservato a massimo 70 spettatori. Le prenotazioni dovranno essere fatte entro e non oltre il 14 giugno. Sarà attivo un servizio bus in partenza alle 16.30 da Piazza Alfieri (lato Teatro Alfieri); il pubblico dovrà arrivare alla Casa Circondariale entro le 17 per permettere le procedure di controllo. Augusta (Sr): al carcere applausi per detenuti e studenti webmarte.tv, 7 giugno 2018 Studenti e detenuti ancora insieme sul palco per regalare emozioni al pubblico che ha applaudito la rappresentazione teatrale che hanno messo in scena nell’auditorium “Enzo Maiorca” della casa di reclusione del direttore Antonio Gelardi. Con la serata di ieri si è conclusa la rappresentazione teatrale de Il Signor di Pourceaugnac messo in scena da giovani attori dell’Istituto di istruzione superiore Arangio Ruiz e i detenuti della casa di reclusione di Augusta, nell’ambito del progetto di tutela della legalità Il carcere a scuola giunto al suo ottavo anno. Quasi mille spettatori, di cui settecento esterni hanno assistito al singolare esperimento che mette insieme arte ed integrazione. Fra questi autorità civili e militari, magistrati, il noto conduttore televisivo Salvo La Rosa, l’attrice Francesca Caronia (Antigone ne L’Edipo a Colono in questi giorni in scena l teatro greco di Siracusa), e numerosi attori di Edipo a Colono ed Eracle. Ventinove gli attori sul palco, dieci dei quali detenuti, arrivati alla messa in scena dopo sei mesi di prove settimanali, che hanno fatto degli studenti dei frequentatori dell’istituto di pena, in linea con il principio di risocializzazione contenuto dall’articolo 27 della Costituzione. La serata è iniziata con i ringraziamenti da parte della direzione a tutto lo staff della polizia penitenziaria con in testa il comandante, commissario Di Vita, l’assistente capo Marino, l’assistente capo Di Carlo, il personale dei colloqui, e l’ufficio educatori fra cui in particolare gli educatori Spuches e Mirabella. Ha preso poi la parola il dirigente scolastico Maria Concetta Castorina che ha espresso gratitudine nei confronti dei tutor del progetto, Giusi Lisi, Marco Cannarella, Concetta Baffo, Daniela Lo Faro e il regista Davide Sbrogio. Applausi in tutte le quattro giornate in cui si è svolta la rappresentazione. Presenza particolare nella serata di venerdì scorso quella dei familiari degli attori detenuti che in prima fila hanno assistito alla performances dei loro congiunti con i quali hanno trascorso ore diverse e liete. Un particolare ringraziamento è andato poi per i costumi all’Inda di Siracusa, al laboratorio Victoria Victoria di Catania e alla compagnia La Cianciana di Augusta. Dopo l’estate dell’istituto scolastico e degli studenti, che ogni anno si presentano numerosissimi alle selezioni, si ricomincerà, questo l’augurio intendimento della casa di reclusione, diretta da Antonio Gelardi. Fake news e “discorsi d’odio”, rispetto al 2017 cala l’attenzione degli italiani di Corrado Zunino La Repubblica, 7 giugno 2018 Secondo un sondaggio realizzato da Swg per l’associazione Parole Ostili, il 53% degli intervistati ritiene che l’hate speech sia un problema: un anno fa erano 7 su 10 a pensarlo. L’assuefazione degli italiani ai discorsi d’odio, e alle notizie false, sono più di un rischio. Sono un dato con cui fare i conti. Lo dice la ricerca di Swg “Odio e falsità in rete. La percezione dei cittadini”, realizzata per conto dell’Associazione Parole Ostili e che domani sarà presentata a Trieste. Tra i cittadini, “i cittadini” tornati al centro del linguaggio di governo, è fortemente calato il livello di allarme e attenzione su “hate speech” e “fake news”. Rispetto a un’inchiesta omologa sviluppata un anno fa, il 53 per cento degli intervistati ritiene la questione del “discorso d’odio” un problema. È ancora una maggioranza, ma in calo del 17 per cento. Il 23 per cento (+2) ritiene che si parli troppo di “linguaggio aggressivo” e per due persone su tre l’hate speech è semplicemente un nuovo modo di comunicare, “una realtà con cui convivere”. Anche in azienda - lo dirà una seconda ricerca - la comunicazione d’odio è entrata a far parte della vita quotidiana. A proposito delle “false notizie”, le persone che ritengono adeguato il livello del dibattito in corso - che si è sviluppato dopo la vittoria elettorale di Donald Trump e la Brexit - sono il 59 per cento, il sei per cento in meno rispetto alla precedente rilevazione. E il 28 per cento (+ 3) crede che della questione si parli in modo esagerato. Ecco, cala l’attenzione di massa. I dati presentano un legame tra la percezione di questi toni e il livello d’istruzione degli intervistati: sono infatti le persone laureate le più preoccupate, mentre chi non supera la licenza media percepisce minor odio nelle comunicazioni. Anche l’età incide sulla percezione: sono le generazioni più anziane a mostrare maggiori segni di preoccupazione e sfiducia riguardo ai toni aggressivi frequenti nelle conversazioni. I “millennials” che comunicano quasi esclusivamente via social percepiscono poco il problema (-6 per cento sull’anno scorso). Politica ed economia alimentano le due degenerazioni per il 31 per cento degli intervistati. Esteri e migrazioni per il 50 per cento. Il 58 per cento dei lavoratori dipendenti intervistati sostiene che l’uso di un linguaggio aggressivo e irrispettoso sia diffuso in ambito lavorativo e che lo sia di più rispetto a dieci anni fa (lo crede il 47 per cento). Anche i dirigenti ritengono cambiata la comunicazione negli ultimi dieci anni e oltre un terzo dichiara di sentirsi a disagio con il nuovo modello (36 per cento) i cui ingredienti principali sono protagonismo e aggressività, prevalenti rispetto ad assertività ed empatia. Il 43 per cento degli intervistati afferma che una pubblicità, per essere efficace, deve usare toni forti. L’Associazione Parole Ostili è nata per ridefinire lo stile con cui stare in rete. L’indagine è stata svolta su tre campioni: uno di 1.000 italiani maggiorenni, uno di 400 lavoratori dipendenti e subordinati e infine uno di 100 dirigenti d’azienda. Migranti. Salvini: “basta immigrati a spasso, i Centri saranno chiusi” di Alessandra Ziniti La Repubblica, 7 giugno 2018 Il ministro dell’Interno torna ad annunciare più espulsioni. Pronto un provvedimento per garantire “spiagge sicure” in vista dell’estate. Basta “gente a spasso”, basta migranti in giro per le strade “che non si sa cosa fanno o fanno casino”: i Centri per i rimpatri saranno “chiusi” e verranno allungati i tempi di permanenza, perché tre mesi non sono sufficienti ad identificare i soggetti che vanno espulsi. Fedele alla linea della “tolleranza zero” ripetuta all’infinito in campagna elettorale, Matteo Salvini ribadisce le prime mosse in tema di immigrazione e annuncia quello che potrebbe essere il suo primo intervento da ministro dell’Interno sul fronte della sicurezza: un provvedimento per garantire spiagge sicure in vista dell’estate e combattere così il “dramma dell’abusivismo che colpisce commercianti e bagnanti”. Salvini arriva alla Camera per il voto di fiducia al governo Conte dopo una mattinata al Viminale, passata a leggere i dossier che i tecnici e i capi dipartimento gli hanno lasciato sulla scrivania. Ed infatti parla dei provvedimenti in materia di sicurezza: le spiagge sicure ma anche la lotta alla mafia “senza se e senza ma”; la battaglia “senza quartiere e ovunque” alla droga e il reinvestimento dei beni confiscati alle mafie. “Perché vedremo alla fine quante ville e appartamenti tolti ai mafiosi avremo restituito ai cittadini”. Una parentesi prima di tornare al tema con cui ha vinto le elezioni. “La gente - dice ai cronisti - non vuole avere posti dove uno esce alle 8 di mattina, rientra alle 10 di sera e di giorno non si sa cosa fa. Servono centri chiusi, per evitare che la gente vada a spasso per le città e per ospitare momentaneamente chi deve essere espulso”. Mano tesa, invece, agli immigrati “regolari e per bene”, che sono “i benvenuti e non hanno niente da temere: chi scappa dalla guerra ha in casa mia, casa sua”. L’altro punto cruciale è allungare i tempi di trattenimento dei migranti nei Centri. “È evidente che ci sono dei Paesi africani con grossi problemi anagrafici - risponde infatti Salvini a chi gli chiede se il governo riporterà dagli attuali 90 giorni a 18 mesi, i tempi di permanenza nei Cpr - 2 o 3 mesi non sono sufficienti per l’identificazione. Serve più tempo”. Il problema è che ai Centri - già previsti nel piano dell’ex ministro Marco Minniti, uno per ogni Regione per un totale di 1.600 posti - si sono opposti governatori e decine sindaci, molti dei quali proprio della Lega. Un problema che, sostiene il ministro, oggi però non esiste più. “Un conto sono dei Centri aperti e un conto sono quelli chiusi. Ho parlato con tutti i governatori leghisti e tutti non vedono l’ora di avere dei Centri chiusi. Tutti gli amministratori della Lega non chiedono altro”. Nelle prossime settimane si vedrà se i governatori hanno dunque cambiato davvero idea, perché anche i Cpr ipotizzati dal governo precedente erano strutture dalle quali non era possibile uscire. Al momento sono 5 i Centri a Torino, Roma, Bari, Brindisi e Caltanissetta, mentre altri erano già stati individuati ma non ancora allestiti: da Iglesias e Bologna, da Potenza a Santa Maria Capua Vetere. Ma a Brindisi Salvini ha annunciato che l’obiettivo è “aumentare i Centri” anche se non ha indicato né quale sarà il numero né dove intende realizzarli. Quel che è certo è che, a prescindere dalle scelte nazionali, è sui tavoli internazionali che si gioca la partita migratoria. Per questo Salvini ha ribadito la volontà di incontrare al più presto il suo omologo tunisino, che proprio oggi è stato però silurato e sostituito con il ministro della Giustizia. Spero “già entro la fine della settimana” ha detto, “per aiutarci reciprocamente”. Il no alla riforma di Dublino, inoltre, “ha aperto un dibattito che fino alla settimana scorsa era sotterraneo” e che ora potrebbe avere un ulteriore stop dall’iniziativa di Austria e altri paesi europei: dare protezione ai migranti fuori dall’Europa, ha spiegato il premier Sebastian Kurz, senza però che abbiano “la possibilità di scegliere il Paese a loro più congeniale per presentare la loro richiesta d’asilo”. Populismi senza padri. Dalla Lega a Podemos di Guido Liguori Il Manifesto, 7 giugno 2018 Non esiste, nella storia del pensiero politico, una teoria populista o un teorico del populismo. Siamo populisti, ha detto con orgoglio Giuseppe Conte. Peccato che, a parte semplificazioni giornalistiche, il populismo in realtà non esista. Vuol dire tutto e niente. Un “significante” vuoto, al pari del “popolo” di Laclau. Una parola a cui possono essere dati significati più diversi. O, se vogliamo, una ideologia così debole da dover chiedere in prestito pezzi di discorso ad altre teorie, senza di cui non può “presentarsi in pubblico”. E infatti non esiste, nella storia del pensiero politico, una teoria populista o un teorico del populismo, né vi sono uno o più libri di riferimento, militanti e non di descrizione analitica e di studio del fenomeno. Al contrario di quanto accade per il liberalismo o il socialismo, che ne hanno a iosa. Come ve ne sono persino per il fascismo, che pure metteva al primo posto l’azione, e solo poi il pensiero, la teoria. Il primo populismo è stato il populismo di tipo agrario. I populisti della Russia zarista di fine ‘800, contro cui Lenin scriverà il suo libello Cosa sono gli “amici del popolo”?, fanno dei contadini poveri il soggetto rivoluzionario. Ugualmente il Peoplès Party che nasce nello stesso periodo negli Stati Uniti, vuole difendere in primo luogo gli agricoltori e i coltivatori più poveri. Diverso il caso dei populismi latinoamericani. Il più famoso e importante è il peronismo, movimento politico creato da Juan Domingo Peron, controverso uomo politico e dittatore argentino, nazionalista e ammiratore dei fascismi negli anni ‘40 e ‘50. Un sovranista ante-litteram, terzaforzista tra capitalismo e socialismo. Che del resto sono caratteristiche della destra del ‘900, una destra moderna che nasce nella società di massa, che sa mobilitare le masse anche rubando simboli, parole e rivendicazioni tipiche della sinistra. Così il dittatore argentino seppe conquistare le masse, ergersi ambiguamente a loro paladino, contro i ricchi e l’imperialismo statunitense, ma anche con un congruo programma in favore dei lavoratori e dei meno abbienti. Che gli assicura l’appoggio dei sindacati. Il populismo infatti è quasi sempre caratterizzato da un leader forte, a volte autoritario, che sa dialogare direttamente col popolo, conquistarne la fiducia, e dunque ama procedere a colpi di plebisciti e referendum su un discorso semplificato, ambiguo, poco definito, spesso ingenuo. Esisterà, con e dopo Peron, un peronismo di destra e uno di sinistra, l’uno contro l’altro armati. E dunque, in fondo, il peronismo è né di destra né di sinistra. Populismo inizia allora a essere una parola che può voler dire cose molto diverse. Il termine populismo torna in auge, dopo decenni di oblio, negli ultimi anni, man mano che la sinistra rinuncia a essere se stessa, sedotta dalla “terza via” blairiana, e che gli effetti della mondializzazione neoliberista peggiorano la vita delle masse. Alto/basso, popolo contro élite, diviene la nuova rappresentazione del conflitto sociale, da parte di chi pretende essere superata la contrapposizione destra\sinistra, il vecchio conflitto di classe. Essa esprime la rabbia e i bisogni della “gente”, o del “popolo”. Nell’Italia degli ultimi lustri il populismo nasce con le canottiere e le volgarità di Umberto Bossi. Ma il discorso populista è anche usato da chi è al governo in nome del “nuovo”, o di una mitica “società civile” che in primo luogo deve dequalificare e disprezzare la politica e i politici per prenderne il posto. Populismo allora, nella narrazione del nuovo governo che nasce in questi giorni, diviene non a caso l’assunzione dei discorsi dell’uomo qualunque, pardon: dell’uomo comune, anche se ciò significa dire no ai diritti, no alla solidarietà, egoismo del “noi “contro “loro”. Esiste dunque, oggi, un populismo di sinistra: quello di Podemos in Spagna, ad esempio. Che dopo aver rotto gli schemi e accumulato le forze si è alleato con Izquierda Unida ed è entrato a pieno titolo nel Partito della sinistra europea. Ed esiste un populismo di destra: di quest’ultima schiera sembra far parte il populismo oggi prevalente in Italia, il populismo andato al governo. Che continuerà ad avere una quota non insignificante di intrinseca ambiguità e a ipotizzare e\o realizzare provvedimenti anche “progressivi”. Ma che sembra destinato a mostrare anche una sua faccia conservatrice e reazionaria, inaccettabile per la sinistra. Turchia. Il direttore di Amnesty da un anno rinchiuso nelle prigioni turche Il Dubbio, 7 giugno 2018 Appello per Taner Kilic, accusato dal regime di “terrorismo”. Contro il silenzio e la repressione, Amnesty International si impegna a moltiplicare gli sforzi per ottenere la liberazione del presidente dell’organizzazione in Turchia, Taner Kilic, in carcere da un anno. Un arresto simbolico in sintonia con la campagna di repressione messa in atto dal regime del presidente- sultano Erdogan che in quasi due anni ha fatto arrestate e licenziare centinaia di migliaia di persone, tra oppositori politici, giornalisti e presunti “fiancheggiatori” del tentato colpo di Stato del luglio 2016 Kilic è stato arrestato con l’accusa di appartenere a “un’organizzazione terroristica” e rischia 15 anni di carcere. “Oggi piangiamo l’anno di vita tolto ingiustamente dal governo turco a Taner Kilic - ha dichiarato il segretario generale di Amnesty Salil Shetty - Ma è anche il momento di raddoppiare gli sforzi per ottenere la sua liberazione e quella dei molti altri attivisti della società civile il cui lavoro è costato loro la libertà”. Amnesty promette che gli attivisti per la giustizia e la libertà non verranno “messi a tacere” nonostante “le autorità turche abbiano favorito un clima di paura, perseguitando in modo spietato coloro che osano parlare”. “Taner è stato incarcerato solo perché è un sostenitore convinto dei diritti umani - ha detto Shetty - Deve essere rimesso in libertà, scagionato dalle accuse infondate mosse contro di lui e autorizzato a riprendere il suo lavoro”. Il processo a Kilic, avvocato di professione, riprenderà il 21, a tre giorni dalle elezioni presidenziali e parlamentari del 24 giugno. Kilic, arrestato il 6 giugno del 2017 a Izmir, è accusato di appartenere al movimento dell’imam Fetullah Gulen, ritenuto dal governo di Ankara la mente del fallito golpe del luglio 2016. Sotto processo ci sono anche altri dieci attivisti per i diritti umani, compresa la direttrice di Amnesty in Turchia, Idil Eser, accusati di appartenere a un’organizzazione terroristica armata. Amnesty ha già denunciato come sia la prima volta che due dei suoi leader vengono arrestati e processati contemporaneamente in un Paese. Intanto è iniziato ieri a Istanbul il processo a 21 studenti di una delle più quotate università della Turchia, accusati di “propaganda a favore di organizzazione terroristica” per aver organizzato una manifestazione universitaria in cui si contestava l’intervento dell’esercito turco ad Afrin, enclave nel nord ovest della Siria sottratta lo scorso marzo ai curdi siriani del Pyd-Ypg. Ben 14 dei 21 studenti si presenteranno in aula in condizioni di detenzione preventiva, dopo l’arresto avvenuto lo scorso marzo da parte delle polizia turca in seguito a un’irruzione nell’università di Bogazici e rischiano ora pene fino a cinque anni di carcere. Turchia. Demirtas, il leader curdo che dal carcere sfida lo strapotere di Erdogan globalist.it, 7 giugno 2018 Non sono bastati processi, appelli, mobilitazioni, Selattin resta in prigione con accuse al limite del ridicolo. Ma da dietro le sbarre lancia un messaggio di gioia e rivoluzione: non arrendiamoci. È ancora in carcere il leader del partito filo curdo Hdp, Selattin Demirtas, ma da dalla sua cella imposta ha lanciato un messaggio elettorale, di speranza, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo 24 giugno, quando sfiderà Recep Tayyip Erdogan. “È arrivato il momento di prenderci per mano e costruire una Turchia più democratica e una nuova vita più libera e felice”, ha dichiarato Demirtas, il Gramsci turco come è stato soprannominato. “Mi trovo rinchiuso tra quattro mura, ma so che qui fuori ci sono migliaia di Demirtas - ha proseguito il leader curdo - Demirtas siete voi, credete in voi stessi, date valore alle vostre azioni e al vostro voto. Non dimenticate che con il voto le cose possono cambiare. Prepariamoci a giorni migliori, prepariamoci a vincere”. Non sono bastati processi, appelli, mobilitazioni, Selattin resta in carcere. Tuttavia in base a quanto deciso dall’authority che vigila sulle elezioni in Turchia, dopo la registrazione di oggi una equipe della tv di stato Trt si recherà presso la prigione di Edirne, dove si trova Demirtas, per filmarlo mentre parla agli elettori per 10 minuti complessivi. Nonostante si trovi in carcere dal 4 novembre 2016 Demirtas è stato scelto dal proprio partito come candidato alla presidenza della repubblica: da dietro le sbarre sfiderà l’attuale presidente, il repubblicano Muharrem Ince, da sempre contrario alla carcerazione dell’ex segretario Hdp, e la sfidante di destra Meral Aksener. Russia. Sciopero della fame del regista ucraino “il Cremlino liberi i prigionieri politici” di Giuseppe Agliastro La Stampa, 7 giugno 2018 La sfida tra Mosca e Kiev si svolge anche nelle carceri e nelle aule di tribunale, tra condanne di matrice politica, appelli, scioperi della fame e scambi di prigionieri. Usare il pugno di ferro però a volte può essere controproducente. Lo dimostra il caso del regista ucraino Oleg Sentsov, che non tocca cibo da 24 giorni per protestare contro la sua detenzione e chiede al Cremlino il rilascio di “tutti i prigionieri politici ucraini”. Un modo pericoloso di esprimere il proprio dissenso, ma che ha il sicuro vantaggio di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale e potrebbe mettere in difficoltà Putin proprio mentre la Russia si prepara a ospitare i Mondiali. Sentsov sa bene che Mosca è adesso sotto i riflettori mediatici e ha colto l’occasione per scrivere un breve ma incisivo messaggio ai leader del G7 che domani si incontreranno in Canada: sostenete l’Ucraina nella “guerra ibrida” contro la Russia - ha chiesto - e aiutateci nella liberazione dei “prigionieri politici”. Il regista include anche se stesso in questa categoria. E del resto sono in molti a sospettare che dietro la condanna a 20 anni inflittagli in Russia ci sia la sua avversione all’annessione russa della Crimea, la terra in cui è nato. Secondo gli investigatori, Sentsov avrebbe tentato di “organizzare atti terroristici” nella penisola. In particolare, sarebbe stato a capo di un gruppo che nel 2014 cercava di far saltare in aria una statua di Lenin. Ma le prove non sono schiaccianti e lui si è sempre detto innocente. Adesso prova il tutto per tutto. “Che cosa accadrebbe se Oleg morisse? Una nuova ondata di sanzioni e d’indignazione, forse persino il collasso dei Mondiali”, ha detto sua cugina Natalia Kaplan in un’intervista. Glucosio e vitamine in prigione - Per evitarlo, i medici del carcere di massima sicurezza Orso Bianco, nell’Artico russo, monitorano Sentsov e gli somministrano glucosio e vitamine. Ma le condizioni di salute del regista, pur non essendo ancora critiche, sono sempre più delicate. La situazione potrebbe essere risolta con uno “scambio di prigionieri” come quello che ha riportato in Ucraina l’ex top gun Nadia Savchenko. D’al tronde, anche Kiev è accusata di arresti ingiusti, come quello del giornalista russo Kirill Vyshinsky, dietro le sbarre per le sue posizioni filo Cremlino. Anche qui pare si tratti per uno scambio: Vyshynsky potrebbe essere liberato in cambio del reporter ucraino Roman Sushchenko, condannato a 12 anni in Russia con l’accusa di essere una spia.