Un’autorità garante di chi perde la libertà, non solo dei detenuti di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 16 giugno 2018 La relazione al parlamento dell’organismo presieduto da Mauro Palma. Non solo carcere, ma anche ambiti di competenza rispetto al servizio sanitario nazionale o alle residenze per persone portatrici di disabilità e anziani. E ancora, un maggior numero di visite alle strutture di Polizia e Carabinieri, nonché l’accentuazione della funzione di monitoraggio sui rimpatri forzati. Ha un contenuto ricco, dunque, la relazione del secondo anno di attività del Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale, presentata ieri al Senato. Un report corredato da dati, grafici, riflessioni e raccomandazioni in cui emergono nuovi orizzonti e sfide, e sono indicate linee d’azione che il Garante intende aprire o sviluppare. “L’inedito, per il nostro Paese, approccio al mondo della disabilità - si legge nel rapporto, per garantire che non sia considerata di per sé come un fattore giustificativo di qualsiasi forma di limitazione della libertà; il monitoraggio dell’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario; la conoscenza e le visite ai luoghi di ‘ segregazione spontaneà dei migranti; la costruzione di reti nazionali e internazionali; ma anche la crescita dell’Autorità di garanzia verso una dimensione sempre più efficace”, ecco i tratti di un’Authority che non si occupa solo dei detenuti ma è appunto il Garante nazionale di tutte le persone private della libertà. La relazione di 380 pagine, curata collettivamente dal Collegio (il presidente Mauro Palma e le componenti Daniela de Robert ed Emilia Rossi) e dallo staff del Garante nazionale, è particolarmente centrata su due questioni. “La prima - ha spiegato Palma durante la presentazione - riguarda i soggetti maggiormente vulnerabili all’interno di quella intrinseca vulnerabilità che è propria della privazione della libertà. I minori, le donne, gli anziani, le persone di diverso orientamento sessuale, le persone che non hanno strumenti per comprendere regole e prassi delle strutture che li ospitano o li contengono, rappresentano vulnerabilità accentuate, che richiedono attenzioni e azioni specifiche, che rischiano a volte di essere maggiormente isolate proprio all’interno di istituzioni che le dovrebbero proteggere”. La seconda attenzione invece è rivolta alle specialità che ogni settore di privazione della libertà prevede al proprio interno. “Quella che serve - ha spiegato Palma - per affrontare situazioni più difficili, per prevedere interventi più mirati, per garantire al meglio la sicurezza e il necessario ordinato svolgersi della vita collettiva che si realizza nella quotidianità di ogni struttura. Le procedure o i regimi ‘ speciali’ nelle di- verse istituzioni detentive, il ricorso all’esercizio disciplinare, sono oggetto di particolare attenzione nelle pagine e nelle statistiche che la Relazione riporta, e caratterizzano molte delle raccomandazioni rivolte alle Autorità responsabili”. L’anno 2017 è stato definito un anno sospeso. Da prospettive e motivi diversi, le persone private della libertà di ogni ambito hanno atteso un segnale, un mutamento, esprimendo dubbi, incertezze, ma al contempo speranza. Nel mondo della detenzione, l’attesa riguarda l’approvazione del “nuovo” ordinamento penitenziario, frutto di un lungo percorso iniziato con gli Stati generali dell’esecuzione penale, volto all’elaborazione di alcune norme in grado di trasformare la quotidianità detentiva nel solco della maggiore responsabilizzazione delle persone ristrette e del loro graduale accompagnamento verso un positivo ritorno all’esterno. E questo ha creato, appunto, attesa. Il Garante, durante la presentazione, ha quindi esortato il nuovo Parlamento e il governo a recepire il patrimonio di riflessione elaborato. Così come ha chiesto di riflettere sui migranti irregolari che non hanno nessuna condanna da espiare, ma che di fatto vivono in strutture assimilabili al carcere. Anche loro sono in attesa, quella di vivere in strutture - come era stato ordinato per decreto nel 2017 - diverse da quella attuali e rispettose dei diritti. Per quanto riguarda la situazione carceraria, i numeri del sovraffollamento, seppur lontani da quelli allarmanti che avevano portato l’Italia a essere condannata per le condizioni delle sue carceri dalla Corte europea nel 2013, sono in aumento. Nella relazione si legge che nei 191 istituti penitenziari per adulti, distribuiti sul territorio italiano, con una capienza complessiva di 50.619 posti, le persone detenute alla data del 30 aprile 2018 erano 58.285; un anno prima, nel 2017, erano 56.436, mentre nel 2016 erano 53.725. Il Garante nazionale si sente dunque obbligato valutare con attenzione questi dati e il loro effetto in molti istituti o in alcune specifiche sezioni, anche perché esiste ancora una differenza di circa diecimila posti tra la capienza ufficiale e la presenza di detenuti, pur considerando che i parametri italiani per calcolare la capienza sono ben più “generosi” di quelli suggeriti dagli organi di controllo europeo. E la non uniforme distribuzione del dato nel territorio nazionale comporta che in alcune situazioni le presenze raggiungano valori superiori al 150 per cento della capienza regolamentare. “Proprio in ragione dei diversi fattori che non consentono la uniforme e generalizzata distribuzione di detenuti - viene evidenziato nella relazione -, il livello di presenza non dovrebbe essere uguale alla capienza, perché non dovrebbe superare all’incirca il suo 85 per cento, affinché il sistema non presenti una condizione di sovraffollamento”. E poi c’è il richiamo ai suicidi. Sono 23 dall’inizio dell’anno. Viene evidenziato che alcuni suicidi potevano essere evitati. Due sono almeno i casi relativi al 2017: ha riguardato una persona in misura di sicurezza provvisoria e destinata a essere ospitata in una Rems e trattenuta in carcere perché non si era avuta la disponibilità di alcuna struttura; nell’altro, di una persona che, condannata all’ergastolo, era stata trasferita dopo 27 anni scontati in una casa di reclusione, in una distante casa circondariale, “con tutte le differenze di quotidianità che questa sistemazione determina, senza alcuna preventiva valutazione della sua opinione, in contrasto con le Regole penitenziarie europee, e senza riconsiderare il provvedimento alla luce del suo tentato suicidio dopo tre giorni dal trasferimento e due giorni prima dell’evento fatale”. Casi che aprono la discussione sulla gestione della salute mentale e dei trasferimenti. I numeri della vulnerabilità dei detenuti restano allarmanti: 3.665 atti di aggressione, 9.942 casi di autolesionismo e i 1.132 tentati suicidi. Poi c’è la questione dei bambini dietro le sbarre, la segregazione di fatto dei detenuti di diverso orientamento sessuale. Per quanto riguarda il 41 bis, permane la critica alla normativa - infondata - che permette la creazione delle cosiddette “aree riservate”. La relazione affronta i centri di accoglienza per gli immigrati (criticità soprattutto negli hotspot e negli ex Cie dove nel 2017 sono stati accolti 4.087 migranti irregolari, 2396 dei quali sono stati rimpatriati), i monitoraggi dei rimpatri finora eseguiti attraverso 78 voli charter. Un capitolo a parte sui centri per anziani e disabili, ma anche sui trattamenti sanitari obbligatori in cui viene denunciata la mancanza di dati certi che rende molto più difficile l’attività di monitoraggio. Una relazione ricca quella relativa al periodo che spazia tra marzo 2017 e aprile 2018. Un periodo, appunto sospeso, in attesa (o con la speranza) che il nuovo governo concluda e non arresti un percorso iniziato da lontano. Anche se il guardasigilli Bonafede, intervenendo alla presentazione, ha dichiarato che della riforma condivide solo la funzione rieducativa attraverso il lavoro in carcere. Forse cambierà idea leggendo i dati e riflessioni riportate nel rapporto. Il Garante: i detenuti salgono a 58mila. Il ministro Bonafede: 41bis irrinunciabile di Alessia Tripodi Il Sole 24 Ore, 16 giugno 2018 Nei 191 penitenziari per adulti con una capienza complessiva di 50.615 posti, i detenuti al 31 maggio 2018 erano 58.569. Un anno prima erano 56.863, nel 2016 erano 53.495. È quanto emerge dalla relazione al Parlamento del Garante dei detenuti, presentata oggi. Si tratta di numeri in aumento - ma con un andamento negli ultimi mesi meno rapido - che descrivono una situazione “da tenere scrupolosamente sotto controllo”, dice la relazione. Il Garante chiede al nuovo Parlamento e Governo di “non disperdere i passi avanti fatti” finora. E il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, annuncia di voler intervenire sulla riforma valorizzando il lavoro già fatto, precisando che “il 41 bis è strumento irrinunciabile”. Suicidi, 23 da inizio anno - Nel corso della sua attività il Garante ha visitato 71 istituti, in parte con visite ad hoc dovute a particolari circostanze o segnalazioni. Molte le vulnerabilità evidenziate dalla relazione: lo stesso numero di suicidi (23 da inizio anno) ne è per molti aspetti un indicatore. Al 31 dicembre 2017, secondo i dati del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia), il totale dei detenuti “lavoranti” era di 18.404, il 31,95% della popolazione detenuta. Nel 2016 erano 16.252, il 29,73%: c’è un leggero incremento, dice il Garante, ma la quota è sempre ben al di sotto del 50%. Troppi bambini in carcere con le madri - Secondo la relazione, poi, sono ancora tanti i bambini “detenuti” nelle carceri italiane. Al 31 maggio del 2018 i minori sotto i tre anni ristretti all’interno di istituti di pena - in aree denominate “sezioni nido” - sono 8 (con 7 mamme); i bimbi possono restare con le madri fino all’età di 3 anni. Nei cinque Icam, gli istituti a custodia attenuata per detenute madri, presenti a Torino, Milano, Venezia, Senorbì (Cagliari), Lauro (Avellino) ci sono altri 18 minori (con 15 mamme); qui si può restare fino ai 6 anni. La relazione specifica che l’Icam sardo, in realtà, non ha ospiti perché la sua collocazione separata, a 48 km da Cagliari, rende difficile per una madre rinunciare al contesto relazionale per accedere a una situazione di semi-isolamento. Il Garante: nel 2017 avviati percorsi, ora concretezza attuativa - “Confido - ha dichiarato il Garante alla presentazione della relazione - che nel definire gli strumenti che il nuovo Parlamento e Governo riterranno di adottare” nel settore carceri “il patrimonio di riflessione elaborato, anche sulla base delle indicazioni delle alte corti nazionali e sovranazionali, sarà tenuto in dovuto conto come contributo importante per la volontà condivisa di sviluppare un sistema di pene e della loro esecuzione pienamente rispondente ai limiti e alle finalità che la Costituzione assegna alla potestà punitiva del nostro Paese”. “Il 2017 -ha aggiunto - non è stato un anno di inerzia. Tutt’altro, è stato un anno di apertura di interrogativi, di avvio di percorsi, seppure a volte contraddittori, che ora richiedono concretezza attuativa”. Bonafede: cambierò riforma, 41bis irrinunciabile - Intervenuto alla presentazione della relazione, il ministro della Giustizia Bonafede ha annunciato che “in tempi brevissimi dovrò fare delle scelte importanti sulla riforma dell’ordinamento penitenziario, volutamente lasciata alla nuova maggioranza dalla maggioranza precedente”. “È noto che la riforma non mi trovi d’accordo e così com’è non potrà andare avanti - ha continuato - ma si tratta di un intervento vasto al cui interno ci sono anche elementi importanti a cui prestare attenzione, come le garanzie della vita detentiva e il lavoro dei detenuti: su questi punti intendo confrontarmi con il Garante nei prossimi giorni per una nuova partenza”. Bonafede ha poi sottolineato che “il 41 bis è uno strumento irrinunciabile, anche se deve essere compatibile con la funzione risocializzante della pena” e che “per certi reati il carcere è insopprimibile per rompere i legami criminali pericolosi per la nostra democrazia”. L’addio di Bonafede ai decreti per la riforma: “ok solo per il lavoro in carcere” di Damiano Aliprandi Il Dubbio, 16 giugno 2018 L’appello di Palma non fa cambiare idea al guardasigilli. “In tempi brevissimi dovrò fare delle scelte importanti sulla riforma dell’ordinamento penitenziari”. È il passaggio decisivo, e più amaro, dell’intervento del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede durante la presentazione della relazione del Garante delle persone private della libertà, pronunciata poco prima dal presidente dell’Autorità, Mauro Palma, nella Sala Capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva. Bonafede ha spiegato quali saranno, le sue scelte: ribadendo che rimane fortemente critico rispetto a una riforma “volutamente lasciata alla nuova maggioranza dalla maggioranza precedente”, vuole prendere in considerazione il punto relativo alla qualificazione del lavoro in carcere, perché “è la via maestra per il reinserimento sociale dei detenuti”. Ma il guardasigilli ha voluto ribadire chiaro e tondo che va “garantito il principio della certezza della pena”, per lui intesa nell’esecuzione penale in carcere, seppure “nel rispetto della dignità del recluso”. Bonafede ha spiegato che vorrà subito mettersi al lavoro per migliorare le strutture penitenziarie e aumentare i posti per evitare il sovraffollamento. Quindi niente valorizzazione delle pene alternative, ma garantire la finalità rieducativa della pena esclusivamente all’interno del carcere. All’inizio del suo discorso, il guardasigilli ha richiamato diversi dati e raccomandazioni illustrati dal Garante nazionale. Un passaggio significativo riguarda il 41 bis, tema rispetto al quale Bonafede ha fatto propria l’annotazione del Garante sulla condivisione circa la finalità del regime speciale così come delineato dalla norma, e quindi sull’assoluta priorità di interrompere forme di comunicazione con l’esterno. Però ha omesso di riportare la critica avanzata dal Garante per quanto riguarda alcuni divieti al 41 bis che comprimono in maniera ingiustificata dei diritti inviolabili. Il guardasigilli, a conclusione del suo intervento, ha detto che in carcere sono pochi i detenuti per corruzione e quindi intende contrastare questo reato più energicamente. E soprattutto, ha indicato come inderogabile e prioritaria rispetto a tutto il resto non quella “maieutica” che, secondo il Garante, la “politica” deve proporre rispetto alle ansie della collettività, ma “la richiesta di certezza della pena che proviene dai cittadini e a cui siamo convinti di dover dare risposte”. Il fine rieducativo della pena stessa, e la dignità del condannato, si assicurano dunque secondo Bonafede solo con “interventi strutturali” di ampliamento della capienza negli istituti e con il lavoro dentro le carceri, non con misure alternative. Chiarissima, insomma, la rinuncia a esercitare la delega sulla riforma penitenziaria, in scadenza il 3 agosto. È intervenuto, tramite un messaggio inviato al Garante nazionale Mauro Palma, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Tutte le aree di privazione della libertà personale - chiede il Presidente, a cominciare dalle carceri, hanno bisogno di interventi mirati per rendere più coesa, sicura e rispettosa dei diritti delle persone la nostra società”. La legge affida all’ufficio del Garante, spiega il Capo dello Stato, “il compito di vigilanza sui luoghi ove le persone vivono una restrizione della propria libertà, affinché il loro stato non si risolva in un peggioramento delle condizioni di disagio ed esclusione sociale, con rischi accentuati per la convivenza: il consolidamento di migliori condizioni di permanenza è essenziale a questo fine”. Il rapporto circa l’attività del Garante nel 2017, continua Mattarella, “sottolinea il lavoro profuso, sin dalla sua istituzione, nel settore della detenzione penale, anzitutto attraverso la tutela dei diritti inalienabili delle persone in carcere e la costante attenzione alla giustizia minorile. In questo ambito si è registrata una maggiore attenzione ai legami familiari e ai rapporti genitoriali, unitamente all’impegno volto ad attuare un regime detentivo improntato alle finalità che la nostra Costituzione assegna alla pena”. Secondo il presidente della Repubblica “tutte le aree di privazione della libertà, i luoghi di custodia di polizia, i centri di trattenimento di migranti presenti irregolarmente nel territorio, le residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza psichiatriche, i trattamenti sanitari obbligatori e le residenze per anziani e disabili, hanno meritato e meritano attenzione in ragione delle caratteristiche specifiche che le contraddistinguono, imponendo interventi mirati ed un monitoraggio costante dei fenomeni in evoluzione. Questa opera, rivolta a rendere, in ossequio al dettato costituzionale, più coesa, sicura e rispettosa dei diritti delle persone la nostra società, merita - conclude il Capo dello Stato - apprezzamento e incoraggiamento”. Anna Rossomando: “lo stop alla riforma amareggia, ma spero in un ravvedimento” di Errico Novi Il Dubbio, 16 giugno 2018 Intervista alla Vicepresidente del Senato “Sono amareggiata, certo. E preoccupata, perché le parole con cui il ministro Bonafede ha messo in dubbio l’attuazione della delega per la riforma penitenziaria arrivano alle porte dell’estate, quando nelle carceri la situazione è ancora più difficile. Eppure io confido in un ravvedimento. Nella forza dei fatti. E dei numeri, compresi quelli contenuti nella relazione che abbiamo ascoltato dall’Autorità garante dei detenuti”. Anna Rossomando è tra le poche avanguardie garantiste sopravvissute ai vertici delle istituzioni: è vicepresidente del Senato, è un avvocato e nella scorsa legislatura ha sostenuto, dalla commissione Giustizia di Montecitorio, l’opera dell’ex guardasigilli Andrea Orlando. Ieri ha presieduto in Senato all’esposizione, da parte di Mauro Palma, del report sulla condizione delle persone “private della libertà”. E ha dovuto assistere al definitivo pollice verso mostrato dal nuovo ministro della Giustizia sulla delega per la riforma penitenziaria, in scadenza il 3 agosto. Ormai non ci sono più spiragli... Ripeto, l’amarezza, c’è. Ed è accentuata dal constatare come la Costituzione resti un valore celebrato a parole ma purtroppo disatteso proprio da coloro che spesso se ne sono dichiarati estremo baluardo. Eppure voglio sforzarmi intanto di cogliere dei bagliori di speranza, nell’intervento del guardasigilli. Quali? Il ministro ha detto di volersi tenere, sotto diversi profili, su una linea di continuità con l’opera di chi lo ha preceduto, ossia Andrea Orlando. Ecco, io credo che siamo di fronte a una fase nuova, in cui chi afferma determinate posizioni sulla giustizia e sull’esecuzione penale è da pochissimo passato da una lunga opposizione a responsabilità di governo. Siamo a inizio mandato, per il ministro Bonafede, e io confido in un ravvedimento operoso, per così dire. Ma potrà esserci solo su provvedimenti non più riconducibili alla delega. E col rischio che, anziché avere nuove carceri, ci si trovi con un’esplosione del sovraffollamento in quelle esistenti, vecchie e malandate... Da parte del guardasigilli è stato obiettato che gli altri interventi sul carcere approvati nella scorsa legislatura avevano un fine solo deflattivo. Ma quando il ministro Orlando e il Parlamento li predisposero, fu detto con chiarezza che si trattava di una risposta emergenziale non solo alle sanzioni inflitte dalla Cedu con la sentenza Torreggiani, ma anche a un sovraffollamento divenuto oggettivamente insostenibile. Si aggiunse, sempre da parte di Orlando, che quelle norme erano nient’altro che una premessa per mettere mano a misure strutturali. Puntualmente arrivate, attraverso gli Stati generali, con la riforma penitenziaria. Bonafede vuole dati certi sulla recidiva, ma lo steso presidente Mattarella ricorda che condizioni detentive indegne mettono a rischio proprio la sicurezza... Il che rimanda a un punto fermo: le misure alternative alla detenzione inframuraria non possono essere confuse con la rinuncia dello Stato a infliggere la pena. Piuttosto, implicano un percorso per il recupero del condannato, dunque un’assunzione di responsabilità sia da parte di quest’ultimo che dello Stato. Come ho detto alla presentazione del documento del Garante, non ha senso contrapporre la certezza della pena al modo in cui quest’ultima viene scontata. Il motivo è semplice: le persone detenute prima o poi escono, perciò se il sistema dell’esecuzione penale ce le restituisce migliori, superiore sarà la garanzia di sicurezza dei cittadini. Non a caso era questo il principio ispiratore della riforma... Ripeto, mi dispiace che si debba di nuovo mettere in discussione la realizzazione di un modello a cui hanno lavorato le intelligenze migliori e più attente al tema dell’esecuzione penale. Ma proprio perché si è trattato di un lavoro ispirato a un approccio tutt’altro che temerario, casomai ponderato e costruito in base a osservazioni sul campo, confido che se me possa ancora discutere. Che al frutto degli Stati generali si possa attingere come a un patrimonio straordinario, e che la stessa cosa avvenga con la relazione del Garante, uno strumento di indagine basato sui dati e da cui dunque non si potrà prescindere. Radicali: visite in 40 carceri per il 35° anniversario dell’arresto di Enzo Tortora radicali.it, 16 giugno 2018 In occasione del trentacinquennale dell’arresto di Enzo Tortora Radicali Italiani e l’associazione Radicali Milano-Enzo Tortora organizzano una grande mobilitazione con visite in quaranta istituti penitenziari. A partire da domani, infatti, e fino al 22 giugno circa duecento tra militanti e rappresentanti politici si recheranno nelle carceri di quattordici regioni italiane per verificarne le condizioni. “Trentacinque anni dopo, nonostante il costante tentativo di riformare l’ordinamento per una “giustizia giusta”, ci ritroviamo dinnanzi a una spaventosa crisi dei principi dello stato di diritto - dice Riccardo Magi, segretario di Radicali italiani e deputato di +Europa - Il 2018 segna, sotto molteplici aspetti, la reiterata sconfitta della struttura garantista che lo Stato Italiano si era ripromesso di rispettare dopo il fatale errore commesso durante la vicenda giudiziaria Tortora. Solo per fare un esempio: quest’anno verrà ricordato per l’istituzione di un processo speciale per i richiedenti asilo privandoli dei gradi di giudizio che sono invece accordati ad un qualsiasi cittadino. E le premesse del “contratto di governo” tra Lega e 5 stesse ci indicano nettamente che sul piano della giustizia e delle garanzie fondamentali vivremo tempi durissimi, mentre la relazione del Garante nazionale dei detenuti oggi conferma le criticità delle nostre carceri su cui grava la mancata attuazione della tanto attesa riforma dell’ordinamento penitenziario”. Quest’anno particolare attenzione verrà rivolta al focus sui detenuti stranieri, che nel nostro Paese rappresentano un terzo della popolazione detenuta. I risultati della rilevazione verranno elaborati e presentati in una conferenza stampa alla Camera nelle prossime settimane. “Entriamo e continueremo ad entrare nelle carceri e ci faremo carico dei diritti dei più vulnerabili, “per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi” - come diceva Tortora - e che crescono ogni giorno a causa di leggi e politiche dissennate, giustizialiste e miopi”, dichiara Barbara Bonvicini, segretaria di Radicali Milano. Le delegazioni radicali visiteranno le seguenti strutture: Ancona Montacuto, Ariano Irpino, Ascoli Piceno Marino del Tronto, Avellino, Augusta Brucoli, Bari F. Rucci, Bergamo, Biella, Bologna Dozza, Bolzano, Busto Arsizio, Cagliari Uta E. Scalas, Campobasso, Cosenza, Firenze Sollicciano, Genova Marassi, Genova Pontedecimo, Grosseto, Imperia, Lecce Borgo San Nicola, Milano San Vittore, Milano Opera, Monza, Napoli Poggioreale, Novara, Palmi, Paola, Pavia Torre del Gallo, Prato La Dogaia, Ravenna, Rieti Nuovo Complesso, Roma Rebibbia, Roma Regina Coeli, Rossano Nuovo Complesso, Sanremo, Santa Maria Capua Vetere, Taranto e Varese. I Radicali ricordano Tortora a 35 anni dall’arresto di Dimitri Buffa L’Opinione, 16 giugno 2018 Sabato 16 giugno 2018, venerdì 17 giugno 1983. Trentacinque anni dall’arresto in pompa magna mediatica di Enzo Tortora. E non sentirli. Sì, perché la giustizia in Italia è rimasta la stessa. Anzi è peggiorata. Lo stesso dicasi per certo giornalismo. Colpevolista su Tortora ieri, colpevolista su chiunque oggi. In compenso, se è vero come è vero - fonte errorigiudiziari.com - che ogni anno mille nuovi innocenti entrano in carcere per iniziare il viaggio in un girone infernale che chissà quando vedrà la parola fine, il “mostro” è sempre tra noi. Circa tre innocenti al giorno entrano in carcere nel Bel paese. Una macchina seriale di errori giudiziari e di risarcimenti che allo Stato italiano negli ultimi 25 anni sono costati almeno 700 milioni di euro. Anche se il ministero di via Arenula (adesso presidiato dal grillino Alfonso Bonafede, che non ha la fama di essere un garantista) tende a occultare quei dati. Per un malinteso pudore delle malefatte compiute dalla pubblica amministrazione. Come mettere la sporcizia sotto il tappeto insomma. Per parlare di Enzo Tortora a 35 anni dal suo arresto e a trenta dalla sua morte per il cancro che gli “esplose dentro il petto come una bomba”, sabato non sarà da perdere il convegno ad hoc organizzato dal Partito radicale nella sede storica di via di Torre Argentina, 76. Un convegno fortemente voluto (oltre che dallo stato maggiore del partito oggi orfano di Marco Pannella, cioè Rita Bernardini, Sergio D’Elia, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti, Laura Harth, eccetera) da Irene Testa, responsabile de “Il detenuto ignoto”, dall’associazione Enzo Tortora, e dal sito errorigiudiziari.com dei due giornalisti Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi. Che su circa 800 clamorosi casi giudiziari - finiti con un’assoluzione dopo una lunga e travagliata odissea fatta spesso di anni passati in galera - hanno raccolto anche un archivio. Lattanzi e Maimone presenteranno al pubblico dieci persone che rappresentano altrettanti drammi di innocenza profanata e di giustizia negata. Dieci persone che ci metteranno la faccia davanti al pubblico radicale riunito all’uopo anche per la presentazione delle otto leggi di iniziativa popolare su stato di diritto e dintorni: amnistia e indulto, revisione del sistema delle misure di prevenzione, delle informazioni interdittive antimafia e delle procedure di scioglimento dei comuni per mafia, riforma del sistema di ergastolo ostativo e del regime del 41 bis, abolizione dell’isolamento diurno, incarichi extragiudiziari dei magistrati, riforma della Rai, riforma delle leggi elettorali nazionale ed europea. I loro nomi (Anna Maria Manna, Bruno Lago, Stefano Messore, Gerardo De Sapio, Antonio Lattanzi, Daniela Candeloro, Vittorio Gallo, Antonio Perruggini, Angelo Massaro e Diego Olivieri) non diranno molto a chi non si nutre ogni giorno di cronaca giudiziaria. Eppure corrispondono ad altrettanti abbagli della magistratura italiana e dei suoi corifei della carta stampata. Uno per tutti, Angelo Massaro, dopo Giuseppe Gullotta, è la persona che si è fatto più carcere da innocente in Italia: 21 anni e passa. La storia che lo caratterizza ha per protagoniste involontarie le tanto idolatrate intercettazioni telefoniche: quelle in dialetto tarantino interpretate male lo incastrarono in un omicidio da cui venne riconosciuto innocente solo 20 anni dopo l’arresto. Al Corriere della Sera in una clamorosa intervista video disse di essersi salvato dalla depressione e dalla probabile morte in carcere facendo yoga. A Carlo Vulpio, storico inviato del “Corriere”, raccontò: “Non pensavo che... per una intercettazione telefonica in cui dicevo a mia moglie, in dialetto, “tengo stu muert”, cioè “ho questo morto, questo peso morto”, un Bobcat che trasportavo nel carrello agganciato all’auto e che dovevo lasciare prima di andare a prendere mio figlio per accompagnarlo a scuola, sarei finito in carcere per oltre 20 anni”. E invece ha dovuto subire una condanna definitiva e 21 anni di galera. Da cui venne tirato fuori solo dopo l’avvenuta revisione del processo. Massaro era intercettato per questioni di droga essendo stato da essa dipendente, quindi i pm si erano fatti di lui un’idea pregiudizievolmente errata. Purtroppo per lui, a causa del comma primo dell’articolo 314 del codice di procedura penale - “Chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave” - sarà difficile che possa ottenere un’equa riparazione. Siccome si drogava, è il ragionamento che in questi casi fa il legislatore, ben gli sta l’errore giudiziario subito. Sarebbe l’essersi drogato infatti la “colpa grave” di Angelo Massaro. Nonché la probabile esimente che salverà lo Stato dal risarcimento milionario altrimenti dovuto. Una specie di concorso di colpa come per il pedone che attraversa con il semaforo rosso. Ma una giustizia con queste leggi è più da Paesi come la Turchia di Erdogan che per l’Italia di Cesare Beccaria. La rilevanza penale della cella come luogo aperto al pubblico di Veronica Manca giurisprudenzapenale.com, 16 giugno 2018 Cassazione Penale, Sez. VI, 7 giugno (ud. 15 maggio) 2018, n. 26028. L’ossimoro linguistico carcere/luogo aperto non convince la Corte di Cassazione che, con la pronuncia in esame, è tornata nuovamente ad occuparsi della qualifica giuridica del concetto di cella e di altri luoghi penitenziari che sono frequentati (oltre che dai detenuti) da una collettività indeterminata, ma pur sempre circoscritta e qualificata da una ben precisa posizione soggettiva. La qualifica giuridica della cella come luogo aperto al pubblico non è da sottovalutare, dato che da tale collocazione possono conseguire effetti giuridici significativi in termini di responsabilità penale per il detenuto rispetto a fattispecie incriminatrici che presuppongono una condotta offensiva per la reputazione e l’onore del pubblico ufficiale percepita potenzialmente da più persone presenti. Sul punto, la posizione della giurisprudenza di legittimità è pacifica, dato che - già nel 1983 - si riteneva come centrale nella definizione di cella come luogo aperto al pubblico fosse il rilievo che tutte le parti degli stabilimenti carcerari sono aperte ad una quantità indeterminata di persone, cioè a coloro che debbono esercitare la vigilanza sui detenuti stessi. Ciò che rileva - secondo la Corte - è, infatti, unicamente che, “nel rispetto dei criteri che regolano l’accesso e la permanenza, un numero indeterminato di soggetti si trovino a convivere nella struttura” (cfr. atti osceni in C. Cass., Sez. III, 20 maggio 1983, n. 8600; C. Cass., Sez. I, 30 ottobre 1986, n. 1752 per il reato di porto e detenzione illegale di armi). Con riguardo, nello specifico, al delitto di oltraggio, ai fini della sua configurabilità è, quindi, sufficiente che le espressioni offensive dirette al pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, “poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la pubblica amministrazione di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie” (così, anche cfr. Cass. pen., 17 marzo 2016, n. 15440). Campania: nasce il Polo Universitario Penitenziario regionale unina.it, 16 giugno 2018 Sarà inaugurato martedì 19 giugno 2018, alle 10.30, presso il Centro Penitenziario “Pasquale Mandato” di Napoli - Secondigliano il Polo Universitario Penitenziario regionale per i detenuti della Campania, costituito dall’Università degli Studi di Napoli Federico II e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Provveditorato Regionale della Campania. L’obiettivo è favorire lo sviluppo culturale e la formazione universitaria dei detenuti degli istituti penitenziari napoletani e regionali, nonché di supportare nei percorsi di formazione universitaria anche il personale penitenziario. Alla presentazione saranno presenti Gaetano Manfredi, Rettore della Federico II; Giulia Russo, Direttore del Centro Penitenziario di Napoli - Secondigliano; Samuele Ciambriello, Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà; Chiara Marciani, Assessore alla Formazione e Pari Opportunità della Regione Campania; Giuseppe Martone, Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria della Campania. Presentazione dell’A.A. 2018/19: Marella Santangelo, delegata del Rettore per il Polo Universitario Penitenziario; Domenico Schiattone, Direttore dell’Ufficio Detenuti e Trattamento del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Campania. Il Polo Universitario Penitenziario regionale per i detenuti della Campania sarà il primo Polo del Meridione. A riprova del movimento nazionale in atto lo scorso 19 aprile si è costituita presso la CRUI, la Confrenza Nazionale dei Delegati dei Rettori, per i Poli Universitari Penitanziari CNUPP, con 24 Atenei coinvolti, che raccolgono con attività didattiche e formative in poco meno di 50 Istituti penitenziari e circa 600 studenti iscritti. Il responsabile per l’Ateneo Delegato del Rettore è la professoressa Marella Santangelo, membro del Consiglio Direttivo della Conferenza Nazionale, che ha la responsabilità dei rapporti con la Direzione del carcere e con le altre istituzioni coinvolte, per ogni Dipartimento partecipante ci sarà poi un docente responsabile che si occuperà delle diverse richieste e esigenze. I docenti dei Dipartimenti coinvolti garantiscono lezioni, seminari, orientamento per la preparazione degli esami, assistenza alla preparazione delle tesi di laurea, nonché l’effettuazione degli esami e delle sessioni di laurea per quanti pervengono alla fine del loro percorso di studi. La Federico II dispone, inoltre, della piattaforma di e-learning, Federica.eu, che consente di seguire le videolectures, leggere i testi del docente, sottolineare i passaggi interessanti, prendere appunti, commentare. Per il prossimo anno accademico 2018-19, per le attività del Polo Universitario, si prevede, dopo un’attenta consultazione dei dati nazionali, il coinvolgimento in particolare dei Dipartimenti di Scienze Sociali, Scienze Politiche, Giurisprudenza e Studi Umanistici, e della Scuola Politecnica e delle Scienze di base. Per ogni Dipartimento è stato nominato un Delegato del Direttore per il Polo Penitenziario, nei professori Paola Devivo, Luigi Musella, Giovanni Leone, Gianfranco Pecchinenda e la stessa Marella Santangelo per la Scuola Politecnica. Alla giornata inaugurale di oggi seguiranno incontri con i diplomati negli Istituti Penitenziari principali della Campania, tra i quali Napoli Poggioreale, S. Maria Capua Vetere, Pozzuoli e forse Benevento. Taranto: Franzoso (Fi) “nel carcere emergenza per i detenuti psichiatrici” laringhiera.net, 16 giugno 2018 “Peggiorano le condizioni nel carcere di Taranto. Sovraffollamento in aumento, personale di sicurezza ulteriormente ridimensionato, personale sanitario per la cura di pazienti psichiatrici insufficiente”. A riferirlo è Francesca Franzoso, consigliere regionale di Forza Italia, al termine della visita ispettiva, la seconda a distanza di otto mesi, nell’istituto penitenziario Carmelo Magli. Il sopralluogo è avvenuto insieme alla delegazione dei Radicali e segue il recente, tragico, suicidio di un detenuto proprio nell’istituto di via Speziale. “Una criticità, quella della componente di detenuti psichiatrici senza adeguata assistenza sanitaria dedicata - dichiara Franzoso - che ormai ha assunto i contorni di una vera e propria emergenza. Il carcere di Taranto, ospita 567 detenuti a fronte di una capienza di 306. Di questi 246 sono tossicodipendenti, 30 in terapia metadonica, 47 sono stranieri e per loro non esiste la figura di un mediatore culturale. Trenta, infine, sono i detenuti a carattere psichiatrico, alcuni dei quali obbligatoriamente in cella singola, che andrebbero collocati in uno specifico regime terapeutico e sotto osservazione, ma che, invece, rimangono inseriti insieme al resto della comunità carceraria. Le due celle esistenti per detenuti psichiatrici sono inagibili”. I numerosi ospiti con patologie psichiatriche, per ordine del giudice, dovrebbero essere trasferiti in apposite strutture, le Rems. Tuttavia ad oggi, in Puglia, esistono due centri - quelli di Spinazzola e di Carovigno - con posti assolutamente insufficienti rispetto alla portata dell’attuale popolazione carceraria. Un problema, questo, che finisce col gravare anche sul numero degli agenti di polizia penitenziaria. “La mia richiesta di audizione -va avanti Franzoso - depositata otto mesi fa dopo la prima ispezione in carcere, è rimasta lettera morta. E la situazione si è aggravata. Per questo la ripresenterò domani, con richiesta di convocazione dei direttori delle carceri pugliesi, dei direttori generali delle Asl, dei dirigenti regionali per il trasferimento dei detenuti e del Garante, perché riferiscano sulla situazione e indichino con urgenza le soluzioni del caso”. Siracusa: per la morte in carcere di Alfredo Liotta rinviati a giudizio in otto diario1984.it, 16 giugno 2018 L’Associazione Antigone si è costituita parte civile per la morte di Alfredo Liotta. Accogliendo la richiesta del Pubblico Ministero Tommaso Pagano, il Giudice dell’udienza preliminare Anna Pappalardo ha rinviato a giudizio otto medici e un perito nominato dalla Corte d’Assise di Appello di Catania per la morte del detenuto Alfredo Liotta, 41 anni, originario di Adrano, verificatasi all’interno della Casa Circondariale di Cavadonna il 26 luglio 2012. Il detenuto era in attesa dell’udienza innanzi alla Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza di condanna alla pena dell’ergastolo, inflittagli dalla Corte di Assise di Appello di Catania perché riconosciuto colpevole di associazione mafiosa e omicidio aggravato. Nell’attesa che venisse chiamato il processo il quarantunenne accusava dei gravi disturbi fisici che i medici curanti, tutti operatori sanitari presso la Casa Circondariale di Cavadonna, non sarebbero riusciti a debellare. Nonostante l’evidente deperimento fisico del detenuto, i medici non disponevano il suo trasferimento in una struttura ospedaliera per accertare la natura della malattia contratta da Alfredo Liotta che, poveretto, cessava di vivere il 26 luglio del 2012. La moglie del detenuto, signora Patrizia Savoca, presentava una denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa chiedendo che si accertasse la causa della morte del marito e che venissero perseguiti i medici della Casa Circondariale di Cavadonna in quanto, a suo dire, “non venne mai garantita al coniuge nessun tipo di assistenza sanitaria”. Il decesso in carcere del l’ergastolano di Adrano per malasanità, provocò una dura presa di posizione da parte dell’Associazione Antigone che, nel 2013, presentava un’ulteriore denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa nei confronti della direzione sanitaria dell’istituto di pena. Giovedì 14 giugno, si è svolta l’udienza e, dopo gli interventi del rappresentante della pubblica accusa, del difensore dell’Associazione Antigone, avvocato Simona Filippi, e dei difensori degli imputati, il Gup Anna Pappalardo ha emesso il decreto di rinvio a giudizio nei confronti di Emilio Terranova, Giuseppe Bongiorno, Pietro Scamporrino, Riccardo Gionfriddo, Corrado Di Rosa, Emanuele Pistritto, Anna Messina, Marcello Blasco e Vincenzo Milintenda. Medici e perito dovranno presentarsi innanzi al Giudice Monocratico all’udienza del 28 maggio del prossimo anno per rispondere di omicidio colposo in concorso. Sassari: pena detentiva e reinserimento, l’aiuto dello studio universitario La Nuova Sardegna, 16 giugno 2018 “Pena detentiva e reinserimento sociale: il contributo dello studio universitario”. Questo il tema della giornata di studio organizzata dal polo universitario penitenziario dell’università di Sassari. L’evento si terrà martedì dalle 9.30 alle 13 in aula magna. Tra i relatori, il garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, e il coordinatore nazionale della conferenza dei poli universitari penitenziari Franco Prina. La giornata sarà introdotta dai saluti del rettore Massimo Carpinelli e del sindaco di Sassari Nicola Sanna. La riflessione sul ruolo dello studio universitario nei percorsi di reinserimento sociale dei detenuti nelle carceri italiane inizierà con la relazione del garante nazionale per i detenuti Mauro Palma, che affronterà il tema “La pena e le sue aporie nella società complessa”. Successivamente il referente locale dell’associazione Antigone Daniele Pulino, dell’osservatorio sociale sulla criminalità del dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’università, traccerà il bilancio annuale della situazione carceraria italiana e sarda in particolare, con la relazione “Un anno di carcere. La Sardegna nell’attività di osservazione dell’associazione Antigone”. Significativa la presenza del coordinatore nazionale della conferenza dei poli universitari penitenziari, Franco Prina dell’università di Torino, alla prima uscita pubblica dopo la recente costituzione del gruppo di lavoro dei delegati dei rettori per i poli universitari penitenziari in seno alla Crui, della conferenza fa parte anche l’università di Sassari. Seguirà l’intervento del delegato del rettore per il polo universitario penitenziario dell’università di Sassari Emmanuele Farris, con la relazione dal titolo “L’università di Sassari per i detenuti: da 15 anni un’Università inclusiva proiettata verso il futuro” Infine saranno presentati gli atti del convegno “Prigione e Territorio” svoltosi a Sassari a maggio 2017. Sarà una presentazione a più voci, per rimarcare come il polo universitario penitenziario dell’università di Sassari punti a creare una rete di collaborazioni istituzionali e con il terzo settore nel territorio, per affrontare la problematica del reinserimento sociale delle persone detenute in tutta la sua complessità. L’evento è realizzato in collaborazione con l’associazione Antigone e le associazioni studentesche The european law students association (Elsa) Sassari e Associazione scienze politiche (Asp) Sassari, anche per rimarcare l’importanza che i contenuti di questo tipo di eventi vengano veicolati ai giovani e in particolare a quelli impegnati negli studi universitari giuridici e politici. Roma: a Rebibbia detenuti-sarti in passerella Ansa, 16 giugno 2018 Per il progetto “Ricuciamolo insieme” con Accademia dei Sartori. Hafedh, Antonio, Manuel, Andrea, Mirko, Gianluca, Massimo, Stefano Diego: sono i nomi del gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia, protagonisti di un evento di moda che ieri sera ha animato ed emozionato gli spazi verdi della più grande casa circondariale capitolina. Dopo aver frequentato in carcere un corso di taglio e cucito, questi stessi neo-aspiranti sarti hanno sfilato come modelli per presentare “Made in Rebibbia”, la loro prima collezione di abiti sartoriali maschili. L’iniziativa, con lo slogan “Ricuciamolo insieme”, partita il 25 settembre 2017 grazie all’accordo tra l’Accademia Nazionale dei Sartori e l’Istituto penitenziario di Rebibbia, e sostenuta da BMW Roma che ha finanziato l’acquisto di materiale didattico e attrezzature, rientra nel progetto più ampio della rieducazione e del recupero. In passerella i detenuti hanno indossato i risultati del primo anno di corso: giacche, gilet, pantaloni interamente realizzati da loro sotto la guida dei maestri dell’Accademia Giuseppe Bertone e Franco Mariani. Il defilé è stato costituito da venti creazioni “Made in Rebibbia” che racchiudono la proposta stilistica del laboratorio di Alta Sartoria. “La finalità del percorso didattico è formare figure professionali in grado di rispondere alle richieste del mercato e di creare opportunità concrete di reinserimento sociale”, ha detto la direttrice del carcere Rossella Santoro. L’ultima uscita in passerella è stata un omaggio al Maestro Ilario Piscioneri, ex presidente dell’Accademia nazionale dei Sartori, recentemente scomparso. Piscioneri è stato l’ideatore del corso e una guida dei detenuti-studenti che hanno poi concluso la serata, indossando delle t-shirt con il suo volto “in omaggio al primo uomo che ha creduto in una possibilità di riscatto, attraverso l’acquisizione di un antico mestiere” hanno sottolineato gli stessi detenuti. A fine serata il presidente dell’Accademia nazionale dei Sartori Mario Napolitano insieme ai figli del Maestro Piscioneri, Daniele, Alessandro e Manuel, ha consegnato ai detenuti l’attestato del primo anno dei tre anni in cui è strutturato il corso. Presenti all’evento un gruppo di detenuti di Rebibbia insieme ai proprio familiari e, tra gli altri, Andrea Lo Cicero, Claudio Lotito, il vice capo della Polizia Nicolò D’Angelo, il direttore dell’Ufficio legislativo del ministro della Difesa, Salvatore Luongo, l’ad di BMW Roma Andrea Guccia, il direttore del Dap Santi Consolo, il deputato Cosimo Ferri e Daniele Frongia, Assessore allo Sport, Politiche Giovanili e Grandi Eventi cittadini del Comune di Roma. Rovigo: non sono invisibili, detenuti in centro per “Il carcere in piazza” rovigoindiretta.it, 16 giugno 2018 Una serata in cui i protagonisti saranno i ristretti della casa circondariale, venerdì 22 giugno. Un luogo che fa parte della città ma che, rispetto ad essa, è isolato e impenetrabile. E per una volta si apre al mondo esterno per ricordare ai cittadini che c’è, esiste, come esistono le persone che ci vivono e lavorano dentro. Venerdì 22 giugno alle 21 si terrà in piazza Vittorio Emanuele II a Rovigo l’undicesima edizione dell’iniziativa “Il carcere in piazza (per non dimenticare)”, una serata di riflessione, musica, poesia e racconti sulla condizione carceraria. La serata è condotta da Daniela Melle, storica presentatrice della manifestazione, insieme all’attore del Teatro del Lemming Alessio Papa, con le canzoni del cantautore Nevruz, accompagnato da un quartetto, e la regia di Livio Ferrari, ideatore dell’evento. Organizzata dal Coordinamento dei volontari della casa circondariale di Rovigo, dall’associazione Voci per la Libertà e il Teatro del Lemming, con il contributo di Assimpresa Rovigo Nuovo Mondo, Camera Penale e Caritas Diocesana, torna la nuova edizione per puntare ancora una volta i riflettori sulla drammatica situazione delle carceri. La nuova struttura detentiva, situata in periferia della città, rischia di essere dimenticata proprio perché non direttamente visibile e allora è ancora più importante non lasciare le persone ristrette così, più isolate e con il rischio di diventare invisibili, ma far sentire che la città libera non si dimentica di quella reclusa. Questo impegno è portato avanti da anni grazie ai volontari del Centro Francescano di Ascolto, all’Associazione Portaverta e San Vincenzo dè Paoli, insieme al Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Rovigo. Trieste: incontro con la scrittrice Patrizia Rigoni presso la Casa circondariale Ristretti Orizzonti, 16 giugno 2018 Il 16 giugno 2018 ad ore 10.00 Patrizia Rigoni presenterà il suo libro “La parola figlio” presso la Casa Circondariale di Trieste a favore delle persone private della libertà alla presenza - anche - di un gruppo di persone provenienti dalla libertà. L’evento s’inserisce nel ciclo d’incontri letterari organizzati dal Garante Comunale dei Diritti dei Detenuti di Trieste - Elisabetta Burla - “La parola figlio” - un libro, forse una raccolta di racconti, brevi, intensi pregni di significato. L’importanza degli affetti, del vissuto familiare, l’importanza della consapevolezza nel perseguire il progetto genitoriale, il legame con i propri figli e la famiglia, guardare i propri cari crescere, fare le proprie esperienze, imparare a rispettare le proprie e le altrui inclinazioni, il difficile distacco al momento dell’indipendenza, l’importanza dei rapporti amicali sinceri che dopo anni di sogni e desideri si riallacciano per scoprire che i sogni alle volte si avverano, specie se perseguiti con tenacia e determinazione. Il Garante comunale dei diritti dei detenuti di Trieste, Elisabetta Burla Torino: in trasferta alle Vallette, il rugby unisce i detenuti di Lucia Caretti La Stampa, 16 giugno 2018 Quelli del “blocco A” si affacciano alla finestra, sono le uniche celle da cui si vede il campo. Maglietta rossa, pantaloncini della nazionale: i rugbisti delle Vallette si schierano di giovedì, perché è una partita speciale. Torino contro Bologna, “Drola” contro “Giallo Dozza”: dopo l’esperimento del 2016, quando i piemontesi furono invitati per un’amichevole nel carcere bolognese, l’altro ieri al Lorusso e Cutugno sono arrivati i detenuti dall’Emilia-Romagna. Come i piemontesi militano in Serie C e giocano sempre in casa. Questa trasferta - l’unica - è un viaggio che non dimenticheranno più. “Non vedevo le montagne da 9 anni” racconta Fabrizio, che con i “Giallo Dozza” ha perso 50 chili e ritrovato “il rispetto per me stesso e per gli altri”. Nello spogliatoio dei bolognesi si va oltre la tattica: “Voglio vedervi sorridere”, raccomanda l’allenatore. Ma con Rodolfo, dominicano, non ce n’è bisogno: “La cosa più bella del rugby? Tutto”. “Questo sport ti entra nel sangue” spiega Pasquale, il capitano della Drola che sogna di fare il coach quando uscirà. “Da noi non c’è il più forte, la nostra forza è il gruppo”. C’è Eddy, però, che si prende i compagni sulle spalle. Realizza una meta che fa esplodere di gioia gli agenti della Penitenziaria, batte una punizione che non lascia dubbi. In Albania è stato un calciatore di Serie A. I suoi piedi buono non bastano, finisce 42 a 20 per gli ospiti. Finisce con le due squadre abbracciate che urlano insieme: “Libertà, libertà, libertà!”. Migranti. Gli hotspot “una zona grigia da esportare con molta cautela” di Associazione Antigone Il Manifesto, 16 giugno 2018 Diritti. Carceri, Rems, Rsa, Tso, Cpr... nella relazione annuale del Garante nazionale Mauro Palma le troppe “sfumature di grigio” sulle persone private della libertà. Sono 58.569 i detenuti presenti nelle carceri italiane (+2mila circa rispetto all’anno scorso). Sono stati 23 i suicidi in questi primi mesi del 2018 (50 nel 2017) e ben 517 i tentati suicidi. Poco meno di 10.000 gli atti di autolesionismo, segnale di una condizione di vulnerabilità, disperazione, solitudine. Circa 2.000 i casi di persone sottoposte a isolamento disciplinare (la condizione in cui talvolta accadono eventi drammatici). Quasi 500 le persone presenti nelle Rems, nate a seguito della chiusura degli Opg. Negli Hotspot, le strutture di primo soccorso e identificazione dei migranti appena arrivati sul territorio, hanno fatto ingresso ben 40.534 persone nel 2017 (-37% rispetto al 2016). Di questi, 4.956 erano minori e 3.578 donne. 119.369 le persone complessivamente sbarcate, di cui 15.779 minori non accompagnati. Sono 1.081 le camere di sicurezza oggi agibili nelle caserme dei Carabinieri, mentre 328 sono quelle nelle stazioni di polizia. In base agli ultimi dati disponibili (2015) i Tso sono stati quasi 9.000, con punte allarmanti in alcune regioni. Infine sono circa 300.000 i minori, i disabili e soprattutto gli anziani non autosufficienti che risiedono in strutture dove la libertà di movimento, per varie ragioni, è parzialmente impedita. Sono solo una piccolissima parte dei dati raccolti nella seconda Relazione annuale del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, presentata ieri al Senato. In una fase politica e culturale nella quale è sulla pelle delle fasce più deboli - spesso interessate dalla privazione della libertà, penale o amministrativa che sia - che si è stretta quella parte del patto di governo che, sola, si vorrà grossolanamente realizzare per mostrare agli elettori che le truci promesse non erano vane, la voce istituzionale, indipendente e lucida del Garante costituisce una solida àncora da cui ripartire. Mauro Palma - presidente del collegio del Garante, di cui fanno parte Daniela De Robert ed Emilia Rossi - ha raccontato quello che ci lasciamo alle spalle come un anno connotato dall’attesa. Per il mondo della disabilità, cui è dedicato il primo capitolo tematico della Relazione, l’attesa ha riguardato il lavoro dello stesso Garante, che per la prima volta ha assunto l’impegno di monitorare le strutture di residenza dove le persone disabili entrano forse volontariamente ma nel tempo si ritrovano spesso in una situazione di privazione effettiva della libertà. Nel mondo della detenzione penale, l’attesa ha riguardato il nuovo ordinamento penitenziario, che avrebbe concluso e portato a organicità le riforme effettuate dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e le riflessioni degli Stati Generali dell’esecuzione penale. Nel mondo delle migrazioni, l’attesa riguardava il passaggio da emergenza a sistema, attraverso la creazione delle strutture detentive regionali previste per decreto all’inizio del 2017. Ancor più, l’attesa era quella di non vedere una diminuzione degli sbarchi dipendere da una maggiore detenzione nei paesi di partenza. La lettura della relazione - esito solo l’anno scorso di ben 90 visite nelle carceri, nelle stazioni di polizia, nelle Rems, nelle residenze per disabili, nei centri di detenzione per stranieri, sugli aerei dei rimpatri forzati - costituisce uno sguardo lucido e informato sull’Italia contemporanea. L’osservazione e il monitoraggio non sono mai neutri. Sono fattori di cambiamento e trasformazione. Alla presentazione del Rapporto erano presenti il presidente della Camera Roberto Fico, la vice presidente del Senato Anna Rossomando, i vertici della giustizia italiana al completo, dal capo del Dap Santi Consolo al neo-sottosegretario alla giustizia Vittorio Ferraresi al Guardasigilli Alfonso Bonafede. Quest’ultimo, intervenendo in chiusura, ha ribadito la linea (invero costituzionalmente dovuta) della pena tendente alla rieducazione, sottolineando però come i cittadini chiedano certezza delle sanzioni. Una certezza che, a dire del ministro, non sarebbe garantita dalla riforma che il precedente governo non ha voluto portare a termine, che puntava in maniera più decisa sulle misure alternative alla detenzione. Misure erroneamente viste da Bonafede solo come “svuota carceri”, seppur di sanzioni penali sempre si tratti e seppur abbiano garantito maggior successo in termini di sicurezza e abbattimento della recidiva. Di quel decreto, ha aggiunto Bonafede, non tutto è però da buttare, e ha annunciato che riprenderà la parte relativa al miglioramento della vita interna e a un maggiore investimento sul lavoro - retribuito o meno? - quale massimo strumento rieducativo. Ha infine annunciato aperture su un nuovo ordinamento penitenziario minorile (un minore che fa un reato, ha detto, “è una vittima”). Nulla di nuovo invece sul 41bis, definito da Bonafede “uno strumento irrinunciabile”. Migranti (e non solo) detenuti senza reato di Andrea Padellaro Il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2018 Diritti fondamentali e sicurezza, ovvero l’equilibrio dove si misurano le “salde istituzioni democratiche”. La relazione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma, presentata ieri al Senato, va dritta sul fronte più sensibile del Paese. Partendo da un’analisi dettagliata dell’intera filiera del sistema italiano di gestione dei migranti irregolari, per poi arrivare al mondo sommerso delle “detenzioni di fatto” di disabili psichici, anziani e minori con disturbi del comportamento. Nella seconda edizione della relazione annuale non si parla più solo di carceri e detenuti, ma di quel mondo dove la privazione della libertà non deriva da una pena da scontare, ma da uno status sociale, con numeri che di gran lunga superano quelli dei detenuti con condanna da scontare. Un mondo parallelo, coperto spesso da ombre. Sessantatré nazionalità diverse, più di 15 mila minori non accompagnati, per un totale di 119.369 arrivi registrati nel 2017 (numero, come noto, in flessione rispetto all’anno precedente). I migranti, nell’analisi dell’ufficio del Garante, sono oggi il caso più delicato del complesso equilibrio tra esigenze di tutela della sicurezza e garanzia di rispetto dei diritti fondamentali. Con una premessa che il presidente della authority ha voluto sottolineare nella sua relazione di presentazione dell’ultimo rapporto: “Il problema della irregolarità dei migranti che giungono senza documenti dopo questi avventurosi viaggi via mare, deve essere affrontato non con strumenti di eccezione, ma con quelli che attengono ad un problema strutturale, probabilmente destinato ad impegnare il nostro paese per molti anni”. I monitoraggi dell’ufficio del garante delle diverse strutture ha mostrato invece un sistema con molte criticità. Ad iniziare dagli Hotspot, oggetto di una “forte perplessità, che nasce dalla loro configurazione “anfibia”, essendo luoghi di natura giuridica incerta”. Apparentemente con “vocazione umanitaria per le attività di primo soccorso e assistenza”, ma anche luoghi di “svolgimento delle procedure di polizia di pre-identificazione e di avvio delle operazioni di rimpatrio forzato”. Procedure che implicano per gli ospiti il divieto di allontanamento e la “coercizione nell’esecuzione dei provvedimenti”. Un limbo, dove la privazione della libertà non è sorretta da decisioni di magistrati. Problematici sono anche i rimpatri forzati con i voli charter, destinati a riportare nei luoghi d’origine i migranti senza diritto all’asilo (6.514 persone rimpatriate nel 2017). Il garante, tra le altre cose, ha denunciato nella relazione la pratica di tenere per molte ore “i polsi dei rimpatriandi legati con fascette di velcro, indiscriminatamente e in assenza di comportamenti apertamente non collaborativi”, dopo essere stati “lasciati per ore in spazi aperti, sotto il sole”, con viaggi organizzati senza un congruo preavviso. Osservazioni che si sono scontrate con una “inerzia dimostrata dal Ministero dell’Interno nel dare riscontro alle raccomandazioni”. La privazione della libertà non sempre rispetta i diritti anche in altri casi meno eclatanti come trattamenti sanitari obbligatori (7.995 casi nel 2017), dove non esiste un registro nazionale che permetta un accurato monitoraggio. L’attenzione si è poi concentrata anche sulle strutture residenziali per anziani e disabili, di fatto sottoposti a restrizione della libertà personale. Sono 273.316 i disabili in questa situazione, di cui 3.147 minori con disturbi mentali dell’età evolutiva, 51.593 adulti con patologia psichiatrica. Migranti. Nel 2017 in Europa 30mila richieste da minori non accompagnati. Uno su tre in Italia di Riccardo Saporiti Il Sole 24 Ore, 16 giugno 2018 Tra le 629 persone a bordo dell’Aquarius, la nave cui il governo ha negato l’accesso ai porti italiani, ci sono anche 123 minori non accompagnati. Ragazzi e ragazze con meno di 18 anni che hanno tentato di attraversare il Mediterraneo per arrivare in Italia. Un fenomeno tutt’altro che raro: solo lo scorso anno, i numeri arrivano da Eurostat, sono stati più di 30mila i minorenni che hanno chiesto protezione a una cancelleria europea. In un caso su tre, l’istanza è arrivata alla Farnesina. Si tratta per lo più di adolescenti, solo l’1% ha meno di 14 anni, per la maggior parte maschi (il 93% del totale). E rappresentano i due terzi dei minori che hanno chiesto asilo all’Italia, dato che gli altri sono arrivati con almeno un genitore. E sono cresciuti di oltre il 60% rispetto al 2016. Tanto che il nostro Paese è quello che lo scorso anno ha registrato il maggior numero di richieste in termini assoluti: ogni tre minori non accompagnati che hanno chiesto asilo in Europa, uno si è rivolto all’Italia. La situazione, secondo i dati forniti da Eurostat, è questa: l’Italia è il Paese che ha ricevuto il maggior numero di richieste da parte di minori non accompagnati. Al secondo posto la Germania, che ne ha accolti 9mila, contro i 36mila dello scorso anno. Quindi la Grecia, che sta valutando le istanze di circa 2.500 under 18. Più di uno su cinque è arrivato dal Gambia, seguono Bangladesh e Guinea con un migliaio a testa. Per la maggior parte si tratta di giovani di età compresa tra i 16 ed i 17 anni, ovvero prossimi alla maggiore età. Mentre sono appena una cinquantina gli under 14 arrivati in Italia senza i genitori. Di questi 20 arrivano dall’Eritrea. Per tutti loro, a meno di iniziative da parte del nuovo governo, si è attivato il procedimento da parte della Farnesina per verificare se abbiano o meno i requisiti per vedersi riconosciuto l’asilo politico. Rapporto Oxfam: “Alla fontiera con l’Italia la gendarmerie maltratta e respinge i minori” di Adriana Pollice Il Manifesto, 16 giugno 2018 Il dossier sul confine di Ventimiglia. L’Ong accusa la Francia: viola il diritto europeo e interno, i ragazzi soli non sono tutelati. Gli abusi fisici e verbali sono la norma. Da gennaio ad aprile sono stati 4.231 i migranti arrivati a Ventimiglia per attraversare il confine con la Francia, l’unica struttura di accoglienza autorizzata è il Campo Roja gestito dalla Croce rossa: 74 container con appena 444 posti. “All’ingresso c’è un grosso schieramento di polizia, perquisiscono tutti, controllano gli zainetti anche ai bambini. Per poter passare lì la notte bisogna rilasciare le impronte” racconta Chiara Romagno di Oxfam. Tutte misure che allontanano i migranti, che finiscono per accamparsi sul greto del fiume Roja, sotto un cavalcavia, o si disperdono nell’area intorno a via Tenda. Sono bloccati in un imbuto da quando tre anni fa la Francia, con una decisione unilaterale, ha ripristinato i controlli al confine per impedirne il passaggio. In che condizioni vivono è raccontato nel rapporto Se questa è Europa realizzato da Oxfam, Diaconia Valdese e Asgi. Nel 2017 sono stati circa 23mila gli adulti e i minorenni passati da Ventimiglia, provenienti in maggioranza da Eritrea, Afghanistan e Sudan, in particolare dal Darfur. Uno su 4 è un minore, cercano di ricongiungersi con familiari o conoscenti ma spesso viene loro negato il diritto di chiedere asilo previsto dalle norme europee. Ha provato a dare una mano la parrocchia delle Gianchette: prima sono arrivate le proteste di un gruppo di abitanti e poi le minacce, intimidazioni arrivate anche al sindaco Enrico Ioculano. A Ventimiglia la Dda ha documentato la presenza delle Ndrine che non vogliono i migranti, troppa attenzione della stampa e della polizia. La pressione è tale che non si riesce ad aprire un centro per minori non accompagnati e neppure uno per donne. Ad agosto 2016 un’ordinanza del comune ha vietato la distribuzione di cibo ai migranti ad opera di volontari. Il risultato (raccolto in una ricerca di Refugee Rights Europe) è che l’80% di chi vive lungo il fiume non ha abbastanza acqua da bere, quasi il 60% non mangia tutti i giorni. Vorrebbero andare in Francia ma la Francia non li vuole. A febbraio la polizia transalpina respinse Destiny, una nigeriana malata di tumore e incinta al settimo mese: l’hanno abbandonata a Bardonecchia senza avvisare nessuno, la donna si è aggravata ed è morta. Lo stesso mese i gendarmi trascinarono a forza giù dal bus ancora una donna incinta, il video in rete provocò le proteste dai due lati del confine. A marzo l’irruzione di cinque agenti armati delle dogane francesi nella sala della stazione di Bardonecchia è diventata un caso diplomatico. I transalpini respingono persino i bambini, in violazione delle norme interne e internazionali. In base al Regolamento di Dublino, infatti, ai minori non accompagnati non si applica il criterio del paese di primo ingresso. “Eravamo in due, ci hanno fatto scendere dal treno strattonandoci e urlando, poi ci hanno spinti in un furgone nel parcheggio della stazione. Ci hanno dato un foglio (Refus d’entrèe, ndr) e ci hanno rimessi su un treno per l’Italia, senza spiegarci nulla” ricorda un quindicenne del Darfur. I volontari raccontano di guardie di frontiera che tagliano le suole delle scarpe dei bambini. “Dopo le sette di sera - si legge nel rapporto - non è più possibile effettuare respingimenti. Adulti e minori vengono trattenuti illegalmente all’interno di locali della polizia ferroviaria francese fino al mattino in condizioni di promiscuità, senza cibo né acqua, senza coperte o materassi, senza nessuna informazione. A questi locali non accedono né interpreti né legali”. Gli abusi fisici e verbali sono la norma: “Gli urlano, gli ridono in faccia, li spintonano, gli dicono “tanto di qui non passi”. Ad alcuni aprono il cellulare e portano via la scheda con tutti i dati, i contatti della rubrica, dopo non possono nemmeno più telefonare ai genitori” spiega Daniela Zitarosa di Intersos. “Ci hanno fatto stare un pomeriggio e una notte in una stanzetta - racconta una donna fuggita dall’Iraq insieme alla madre, dopo aver subito torture dall’Isis -. Siamo rimaste accasciate sulle sedie, non ci hanno spiegato niente né ci hanno dato cibo o acqua. Ci hanno spinto e strattonato tutto il tempo. Mi hanno pestato con forza i piedi, ho gli alluci tutti neri”. Gli adulti vengono costretti a tornare indietro a piedi, racconta Simone Alterisio di Diaconia Valdese: “Lungo quella strada abbiamo incontrato persone che rientravano anche sotto la pioggia o il sole cocente. L’ultima è stata una ragazza eritrea, giovanissima, con una neonata di quaranta giorni in braccio”. Oxfam, Diaconia Valdese a Asgi chiedono alle autorità francesi di bloccare i respingimenti illegittimi e all’Italia di applicare davvero le norme, soprattutto in tema di minori. Guatemala. Sette difensori dei diritti umani assassinati in un mese di Riccardo Noury Corriere della Sera, 16 giugno 2018 La strage dei difensori dei diritti umani in Guatemala, soprattutto di coloro che si occupano di terra e ambiente, va avanti a un ritmo sempre più spaventoso: dall’inizio dell’anno ne sono stati uccisi 12, sette dei quali solo tra il 9 maggio e l’8 giugno. Il 9 maggio Luis Arturo Marroquín, coordinatore del Comitato per lo sviluppo contadino (Codeca) è assassinato da sconosciuti a San Luis Jilotepeque. Il giorno dopo a Cobán viene ucciso José Can Xol, esponente del Comitato contadino dell’altopiano (Ccda). Il 13 maggio, sempre a Cobán, è la volta di Mateo Chamám Paau, un altro membro del Ccda. Aveva già ricevuto minacce di morte. Il 30 maggio, ancora una volta a Cobán, viene aggredito Ramón Choc Sacrab, leader nativo Q’echi’: muore due giorni dopo per le ferite alla gola e al volto. Il 4 giugno nella regione di Jutiapa vengono ritrovati i cadaveri, con ferite da machete, di due esponenti del Codeca, Florencio Pérez Nájera e Alejandro Hernández García. L’8 giugno, nella zona di Jalapa, viene assassinato sempre a colpi di machete Francisco Munguia, del Codeca. Inutile dirlo, per questi e per i precedenti cinque omicidi di difensori dei diritti umani del 2018 non vi sono indiziati. Quanto sia poco importante assicurare i responsabili alla giustizia lo dimostrano le frasi diffamatorie pronunciate dal presidente Jimmy Morales nelle settimane che avevano preceduto questa ondata di omicidi. L’organizzazione non governativa Unità per la protezione dei difensori dei diritti umani del Guatemala ha registrato lo scorso anno 493 attacchi contro i difensori dei diritti umani.