Le carceri 2017 tra luci e ombre, + 3 mila reclusi Ansa, 1 gennaio 2018 Un prepotente ritorno del carcere e del sovraffollamento e la riforma dell’ordinamento penitenziario che, seppur ancora non conclusa, crea aspettative positive per il futuro. Questo il bilancio tra luci e ombre, dell’anno che sta per concludersi, tracciato dall’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri. “Il 2017 - dice all’Ansa Patrizio Gonnella, presidente di Antigone - è stato un anno che ha visto una crescita nel ricorso al carcere dopo alcuni anni in cui si era assistito ad una contrazione dei numeri e del suo utilizzo. In 12 mesi i detenuti presenti sono circa 3.000 in più rispetto a quelli che si registravano alla fine del 2016. Il tasso di affollamento ha raggiunto il 115%, mentre solo un anno fa era di poco superiore al 108%”. “In aumento anche il numero di coloro che si trovano in carcere in custodia cautelare, che attualmente sono circa il 35%. Una percentuale - aggiunge Gonnella - che si alza nel caso degli stranieri. Tra questi ad essere detenuti senza condanna definitiva sono il 41%. Al 31 dicembre 2016 invece il tasso di detenuti in custodia cautelare era del 34,7% (gli stranieri in custodia cautelare erano il 41,7%), ad ogni modo sempre molto al di sopra della media europea del 22%”. A fronte dell’incremento della percentuale di affollamento e di quella relativa alla custodia cautelare, che interessa in misura ancor maggiore gli stranieri, “la percentuale di detenuti non italiani - sottolinea Gonnella - è praticamente stabile, aggirandosi attorno al 34,2%, mentre era del 34% a fine 2016. In entrambi i casi molto al di sotto di quella che si registrava nel 2009 quando questi rappresentavano il 37% del totale dei reclusi”. “A crescere è anche il numero delle madri detenute con i loro figli - dice ancora - Una situazione per la quale, nonostante la casa protetta inaugurata a Roma, non si riesce a trovare una soluzione definitiva anche a fronte di numeri molto contenuti. Un anno fa le madri erano 34 con i loro 37 bambini, oggi sono 50 con 58 figli”. Altri dati da sottolineare sono quelli che arrivano dalle visite effettuate dall’osservatorio di Antigone in 78 carceri italiane dalle quali emerge che in 7 di esse (9%) c’erano celle senza riscaldamento, in 36 (46%) senza acqua calda, in 4 (5%) il wc non è in un ambiente separato, in 31 (40%) l’istituto non ha un direttore tutto suo in 37 (47%) non ci sono corsi di formazione professionale e che in 4 (5%) non è garantito il limite minimo di 3mq a detenuto. Secondo Gonnella quello che sta per concludersi “è stato un anno di luci e nuove ombre per il sistema penitenziario italiano. Da un lato c’è la riforma dell’ordinamento penitenziario il cui iter non è ancora completamente concluso e che speriamo porti ad un maggior rispetto della dignità delle persone recluse, siano esse adulte o minori, nonché ad una estensione dell’uso delle misure alternative al carcere. Ma ci sono anche le ombre di una crescita della popolazione detenuta che, se non controllata, potrebbe nel giro di qualche anno riportarci alla situazione che determinò la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2013 per il trattamento inumano e degradante nelle carceri”. “Un dato importante da sottolineare - conclude Gonnella - è quello dei detenuti stranieri. Nonostante il clima di intolleranza e di odio che si respira c’è, rispetto a 10 anni fa, una riduzione in termini percentuali del numero degli stranieri reclusi nelle carceri italiane”. Una bussola per i diritti nei nuovi decreti penitenziari di Andreina Corso lavocedivenezia.it, 1 gennaio 2018 Sono trascorsi quattro anni dall’ammonimento imbarazzante della Corte europea dei diritti umani che ha bocciato il sistema carcerario italiano, ritenendolo disumano per le condizioni umilianti di degrado offerte a chi deve scontare una pena in carcere. Incalzato dalla spinta e dal lavoro quotidiano degli esponenti del mondo Radicale, di Marco Pannella, Emma Bonino, Marco Cappato e del mondo del volontariato, il ministro Andrea Orlando ha voluto ottemperare al rispetto dell’Articolo 3 della Convenzione della Corte di Strasburgo del 1950 che proibisce la tortura e i comportamenti inumani degradanti, come quello di vivere in spazi troppo ristretti per lungo tempo e di non essere tutelato nel caso di violazione dei diritti del recluso. Alla fine del 2010 i detenuti nelle nostre carceri sono 68mila e il sovraffollamento supera il tasso del 170%, anche a causa della legge Bossi Fini sull’immigrazione in primis, poi la Fini Giovanardi sulle droghe e infine la Cirielli sulla recidiva. Di fronte ad una situazione insostenibile con persone costrette a vivere ammucchiate in cella, l’associazione Antigone aiuta i detenuti a prendere coscienza della loro condizione e dei loro diritti e a presentare ricorso alla Corte europea, mentre si muovono altre associazioni come Non c’è Pace Senza Giustizia e il meritorio contributo della Rivista Ristretti Orizzonti di Padova, di Radio Carcere e di Rita Bernardini che da anni seguono e denunciano ingiustizie e violazioni e lavorano per il raggiungimento di condizioni di civiltà verso chi sta scontando una pena. Oggi sono 58mila i reclusi nei 190 istituti penitenziari , ottomila in più di fine 2015 (grazie ad una serie di depenalizzazioni), quindi il sovraffollamento attuale corrisponde al 116%, meglio del 170%, ma ancora insufficiente per il rispetto dei criteri di Strasburgo. Che cosa succederà ora? I decreti sono stati approvati e dovranno assumere la giusta dimensione e studiarne l’applicazione e i tempi di realizzazione. I temi della Riforma sono il rilancio delle misure alternative, l’assunzione di personale debitamente ‘formato’ e di oltre 300 assistenti sociali. Il superamento dell’ergastolo ostativo, l’intensificazione e i rapporti fra dentro e fuori il carcere, il lavoro, l’affettività, i legami, l’uso delle tecnologie, la trasformazione degli istituti penitenziari per minori in dipartimenti a indirizzo pedagogico e educativo. La realizzazione di case (Icam - come quella di Milano voluta dall’ex assessore Francesca Corso, modello riconosciuto e imitato in Europa) per le donne detenute con bambini piccoli, perché è inconcepibile pensare a bambini in carcere e indecente che sia stato possibile ed è ancora così in tante situazioni. La ricostruzione dentro questi decreti difesi allo strenuo dal ministro Andrea Orlando che ha avuto il merito di resistere alle pressioni di segno diverso, appoggiato dal senatore Luigi Manconi e deputati democratici (da più pene, più rigore, a buttiamo via le chiavi), purtroppo dichiarate da esponenti del Parlamento della Repubblica, annuncia una nuova bussola che dovrebbe segnare i diritti, la dignità, perché l’uomo rimane sempre un uomo, anche quando sconta i propri errori in carcere. E quando da un istituto penitenziario esce un uomo, una persona migliore, anche noi diventiamo migliori, aumenta la percezione di civiltà che appartiene al nostro essere e sentirci umani. Pisa: detenuta tenta il suicidio, salvata da una poliziotta Il Tirreno, 1 gennaio 2018 Ennesimo dramma sfiorato in carcere, nella serata del 31 dicembre. A salvare la vita a una detenuta che stava tentando di suicidarsi, una giovane donna italiana, è stato l’intervento tempestivo dell’agente della sezione femminile, tirandola prontamente via dal cappio improvvisato. A darne notizia è una nota della segreteria provinciale di Pisa della Uil-Polizia Penitenziaria. “L’intervento della poliziotta, è esempio, di prontezza, lucidità e professionalità della polizia penitenziaria - denuncia la Uil PolPen - Questo tragico avvenimento, è solo una delle spie della quotidiana e ordinaria emergenza che il personale di polizia penitenziaria è costretto ad affrontare. Visto il trascorso 2017, nel carcere Don Bosco, sembra che l’attività preminente della polizia penitenziaria sarà ancora per il 2018 salvare letteralmente vite umane”. Migranti. In mare con le ultime Ong rimaste. “I viaggi? Continuano come prima” di Gilberto Mastromatteo Avvenire, 1 gennaio 2018 L’imbarcazione di Sos Mediterranee è salpata ieri alle 12 dal porto di Augusta, in Sicilia. Il coordinatore delle operazioni di ricerca: con la tregua del tempo a Capodanno, qualcuno potrebbe partire In mare con le ultime Ong rimaste “I viaggi? Continuano come prima”. Lo scafo della Aquarius si allontana dalla banchina alle 12 in punto. Il porto di Augusta rimpicciolisce gradualmente, all’interno del suo golfo. La direzione è sud, ancora una volta, per prestare soccorso a chi continua a gettarsi in mare, per raggiungere l’Italia e l’Europa. Gli ultimi salvataggi portano la data del 26 dicembre. In tutto, 373 persone, tratte in salvo dalla Open Arms di ProActiva e dalla nave militare spagnola Santamaria, del dispositivo Eunavformed. La nave di Sos Mediterranee se ne è fatta carico, accompagnandole al porto di Augusta. Natale in mare. Tra le onde anche il Capodanno. Non c’è tregua per l’equipaggio della Aquarius, sulla quale, oltre al team della Ong Sos Mediterranee opera quello di Medici senza Frontiere, da circa un anno. “Ci sarà mare grosso - spiega Klaus Merkle, search and rescue coordinator, il coordinatore delle operazioni di ricerca e soccorso di Sos Mediterranee - ma è prevista una finestra di tregua proprio a Capodanno. Qualcuno potrebbe tentare di partire”. Dagli oblò, sul lato destro dell’imbarcazione, sfila rapida la costa siciliana, fino a Pozzallo. Lo specchio dell’acqua, calmo come una tavola, comincia a montare, appena dopo Capo Passero. È mare aperto. “Secondo le ultime notizie - spiega Mathilde Auvillain, responsabile della comunicazione per Sos Mediterranee - la nave di Sea Watch sta già incrociando verso la zona di Search and Rescue, di fronte alle coste libiche. Open Arms, invece, è ancora attraccata a Malta”. Sono le tre imbarcazioni private rimaste a prestare soccorso a chi attraversa il Mediterraneo, dopo la tempesta del 2017. Un anno, quello che l’equipaggio della Aquarius si appresta a chiudere in mare, che ha visto la rinuncia da parte di molte Ong, nel proseguire le operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Dalla Moas di Christopher e Regina Catrambone, che per primi avevano preso il mare nel 2013, a Msf, tra le ultime a riportare a terra la propria imbarcazione, proprio quest’anno. “Non abbiamo firmato il codice di condotta - spiega Luca Salerno, project coordinator di Msf sulla nave Aquarius - ma siamo ancora in mare e siamo operativi. Quello che constatiamo, peraltro, è che non è cambiato nulla nel rapporto con le istituzioni che operano in mare. E i flussi non si fermano. A novembre abbiamo salvato 1.400 vite, a dicembre siamo già a 1.164. I numeri parlano da soli. E le storie che ci sono dietro, parlano ancora di più”. Un giovane del Mali ha raccontato ai soccorritori di Sos Mediterranee di avere già tentato tre volte la traversata: “La prima siamo stati arrestati dagli Asma Boys, i banditi”. L’ultima volta, il gommone sul quale viaggiava è stato intercettato dalla Marina libica: “Quando la nave è arrivata e abbiamo visto la bandiera libica, abbiamo tentato di fuggire. Tutti erano preoccupati. Non ci hanno lasciato scappare, ma hanno continuato a seguirci. Per non rischiare la vita delle persone, perché c’erano molte donne e molti bambini in mezzo a noi, li abbiamo lasciati fare. Nessuno è caduto in acqua, grazie a Dio. Un giovane eritreo di 28 anni ha raccontato ai soccorritori della nave Aquarius che l’imbarcazione a bordo della quale si trovava aveva lasciato la costa libica il giorno di Natale: ‘Noi eritrei il 25 dicembre lo chiamiamo “Natale italiano”, dal tempo in cui l’Italia aveva colonizzato l’Eritrea. Forse per questo siamo stati fortunati e siamo stati soccorsi”. “Ho parlato con un ragazzo eritreo di 16 anni - racconta ancora Luca Salerno. Aveva una sospetta tubercolosi. In Libia, lo hanno tenuto chiuso in un container per 3 mesi. Ha perso la mobilità delle gambe e quando è partito in mare, pesava 35 chili. Al di là dei numeri, sono storie come questa che mi fanno capire quanto ancora sia necessario quello che facciamo in mare”. Sulla Aquarius la giornata si avvia al termine. La cena, servita all 18 per equipaggio e ospiti. Poi le operazioni di sempre. In serata un cineforum, “L’ordine delle cose”, il film di Andrea Segre sugli accordi tra Italia e Libia. Lo ha messo a disposizione lo stesso regista, per l’equipaggio. La particolare latitudine ne amplificherà il senso. Ira. Altri 10 morti dopo l’appello di Rohani di Giordano Stabile La Stampa, 1 gennaio 2018 Manifestazioni di protesta in diverse città. Il presidente: sì alle proteste, no ai vandalismi. Negli scontri fra dimostranti e forze dell’ordine di domenica ci sarebbero stati dieci morti. Il bilancio è stato riportato questa mattina dalla tv di Stato: “Negli eventi della scorsa notte, purtroppo, un totale di dieci persone sono rimaste uccise, in numerose città”. La tv ha mostrato edifici e auto danneggiati negli scontri. Le manifestazioni sono continuate ieri in tutto il Paese, nonostante l’appello alla calma in tv del presidente Hassan Rohani, che ha ribadito il “diritto a manifestare” ma senza violenze. Ci sono state sicuramente due vittime nella città di Izeh, nel sud-ovest del Paese: lo ha riferito un deputato locale, Hedayatollah Khademi, a un’agenzia vicina ai riformatori: “Gli abitanti di Izeh hanno dimostrato come altrove nel Paese contro le difficoltà economiche. Purtroppo due persone sono rimaste uccise e altre ferite. Non so - ha aggiunto - se gli spari siano venuti dalle forze dell’ordine o dai manifestanti”. Circa 100 persone sono state arrestate durante le proteste nella città iraniana di Arak. Lo ha detto il governatore della provincia centrale, Ali Aghazadeh, aggiungendo che 12 agenti di polizia sono rimasti feriti negli attacchi all’ufficio del governatorato della stessa città. Sabato altre 200 persone erano state arrestate a Teheran. Un gruppo di manifestanti si è radunato davanti alla prigione di Evin a Teheran per chiedere il rilascio delle persone arrestate durante le proteste dei giorni scorsi, molti dei quali sono stati trasferiti in quel carcere. I dimostranti chiedono anche il rilascio di altri prigionieri politici.