Carceri, al più presto una Commissione d’inchiesta contro il sovraffollamento etrurianews.it, 2 aprile 2018 A chiedere un intervento nel settore carcerario è il deputato di Fratelli d’Italia Mauro Rotelli, che ieri si è recato in visita alla Casa circondariale Mammagialla di Viterbo insieme al consigliere comunale di Fratelli d’Italia Claudio Ubertini, al dirigente di Fratelli d’Italia Paolo Bianchini e all’avvocato Donatella Amantini. “Abbiamo potuto toccare con mano le difficoltà con cui deve convivere il personale, troppo spesso relegato in secondo piano. A Mammagialla sussistono varie problematiche. L’istituto presenta criticità strutturali e di carenza di personale. Negli ultimi anni l’organico è calato costantemente, complice il blocco del turnover. A fronte di questa situazione si riscontra, invece, la lodevole professionalità di tutto il personale che, ogni giorno, si impegna a dare il massimo. In questo quadro sussistono poi alcune situazioni che sarebbero, in teoria, anche risolvibili. Nel carcere c’è, ad esempio, una sezione chiusa ed inagibile. Una volta risanata, potrebbe ospitare un buon numero di detenuti, andando ad alleggerire il problema del sovraffollamento. A quel punto però mancherebbe il personale necessario. Per tutti questi motivi, oggi, più di ieri, mi sento di condividere la richiesta dell’istituzione di una specifica Commissione parlamentare di inchiesta. La proposta, avanzata dal collega di Fratelli d’Italia, On Edmondo Cirielli, intende far luce sulle responsabilità del mancato adeguamento degli istituti penitenziari e sul sovraffollamento delle carceri, stigmatizzando il fatto che essa attiene “a quei livelli di civiltà e dignità che il nostro Paese non può lasciar compromettere da ingiustificabili distorsioni e omissioni della politica carceraria e della politica per la giustizia”. La visita, in questa giornata di festa, ha voluto testimoniare la profonda vicinanza ed il convinto sostegno a tutti gli operatori ed alle loro sacrosante necessità. Alessio Zaccaria: “Pronto a fare il guardasigilli” di Giovanni M. Jacobazzi Il Dubbio, 2 aprile 2018 “Che farei se venisse avanzata la mia candidatura per via Arenula? Guardi, fare il ministro della Giustizia sarebbe un grandissimo onore. Un’occasione unica per potere dare forma concreta ad anni di studio e di ricerca, di potere mettere l’esperienza di una vita al servizio del nostro sistema giudiziario. Voglio precisare, però, che ad oggi non sono stato contattato da nessuno”. Il professore Alessio Zaccaria, ordinario di diritto privato all’Università di Verona, è componente laico del Consiglio superiore della magistratura e il suo nome in questi giorni viene fatto per un importante ruolo in un eventuale esecutivo a guida Di Maio. Eletto nel 2014 in quota 5Stelle, per lui votarono anche i parlamentari del Pd. Ferrarese, classe 1955, è stato anche avvocato. Civilista a tutto tondo, vanta una vasta esperienza accademica a livello internazionale. In questi anni a Palazzo dei Marescialli si è distinto per rigore e non comune puntiglio. Attualmente è componente delle Commissioni sesta (ordinamento giudiziario) e nona (rapporti internazionali), della quale lo scorso anno è stato Presidente. Parla correntemente il tedesco e l’inglese. Fra le attività più importati svolte al Csm, la redazione per gli uffici giudiziari delle “Linee guida in materia di equa distribuzione delle deleghe nelle esecuzioni immobiliari”. Professore, è lusingato dell’accostamento del suo nome al ministero della Giustizia? Leggendo i giornali in questi giorni ho visto che molti stanno facendo il mio nome per un ruolo nel prossimo governo. Certamente ciò non può che farmi piacere. Che rapporto ha con il M5S? Le racconterò come avvenne la mia elezione al Csm: nel 2014, due miei ex studenti, mi scrissero di avere saputo che il Movimento era alla ricerca di personalità per ricoprire incarichi istituzionali. E se potevano mandare dunque il mio curriculum. Lei aveva collegamenti con i 5Stelle? Assolutamente no, e neppure i miei due ex studenti. E cosa successe? Ci pensai e, dopo essermi confrontato con mia moglie, decisi di acconsentire. Venni contattato da alcuni esponenti del Movimento. Mi dissero che il mio profilo calzava per il Csm. Venne fatta una scrematura fra i vari curricula e rimanemmo in cinque. E poi? Ci fu la votazione online fra gli iscritti e, con mia sorpresa, il mio cv risultò il più votato. Sempre dal Movimento mi fecero sapere che sarei stato proposto ufficialmente per la candidatura e mi chiesero se, in caso di elezione, avrei accettato. Parlò mai con Beppe Grillo o Gian Roberto Casaleggio? Mai. Gli unici rapporti che ho avuto in questi anni con esponenti del Movimento, per ovvi motivi, sono stati con i componenti delle Commissioni giustizia di Camera e Senato. Quindi è solo per merito del suo cv se adesso si trova al Csm? Direi proprio di sì. Il Csm assomiglia sempre più ad una riserva della Repubblica: dopo Elisabetta Alberti Casellati, consigliere laico di Forza Italia eletto la scorsa settimana alla presidenza del Senato, lei papabile ministro? L’esperienza al Csm è stata molto impegnativa. Confrontarsi dall’interno con il sistema giudiziario italiano e con i suoi problemi non è stato certamente semplice. Personalmente, ho cercato di portate in questi anni, per quanto sono stato capace, un mio costruttivo contributo. Ultimamente, però, al Csm si discute molto di nomine e incompatibilità di magistrati e poco di politica giudiziaria... Bisogna considerare che questi sono mesi importanti per i magistrati. Il Consiglio terminerà a settembre e a luglio ci saranno le elezioni dei componenti togati. È inevitabile che le correnti della magistratura associata cerchino di conservare il consenso degli iscritti e se possibile acquisire ancora maggior consenso. Un’ultima domanda, considerato che ha svolto anche la professione forense. Come valuta la proposta del Cnf di un più esplicito riconoscimento dell’avvocatura in Costituzione? L’avvocatura costituisce ovviamente, inutile dirlo, una parte essenziale della vita giudiziaria. Un suo pieno riconoscimento a livello costituzionale non farebbe altro che fotografare questa circostanza. Per un passo di questo genere, però, occorre tempo, sempre che si riescano a creare le condizioni per compierlo. Vi sono passi più a portata di mano che l’avvocatura potrebbe già oggi compiere, e intorno ai quali si sta discutendo e lavorando: penso, in particolare, al chiaro, generalizzato riconoscimento di un diritto non solo ad assistere ma a partecipare attivamente ai Consigli giudiziari: alle articolazioni territoriali, cioè, del governo autonomo della magistratura. Cyberbullismo. Polizia e Dgm insieme per contrastare il fenomeno di Maria De Paola ondanews.it, 2 aprile 2018 Sottoscritto un accordo per rafforzare il sistema di tutele per i minori dai pericoli del web. È stato infatti firmato, come riporta su Facebook la Polizia Postale, l’accordo tra la Polizia di Stato e il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità diretto a rafforzare il sistema di tutele nei confronti dei minori dai pericoli del web. L’accordo, sottoscritto dal Capo della Polizia e Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, Franco Gabrielli e dal Capo del Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità Gemma Tuccillo, sancisce una collaborazione, avviata da tempo, che si pone in continuità con gli adempimenti recentemente introdotti dalla legge sul cyberbullismo. L’obiettivo primario è il rafforzamento delle tutele dei minori sul web attraverso la costruzione di un capillare sistema di intervento in grado di intercettare e prevenire i fattori di rischio, nonché definire prassi operative e modelli organizzativi idonei a proteggere adeguatamente le fragilità specifiche dei minori. Le linee di azione stabilite dal protocollo prevedono lo sviluppo di studi e ricerche su temi emergenti della devianza minorile online, la realizzazione di iniziative congiunte di sensibilizzazione e trattamento dei fenomeni criminosi, nonché la formazione degli operatori della Giustizia Minorile e della Sicurezza. L’attenzione sarà rivolta non solo al contrasto dei reati ma a tutte le forme di prevaricazione e aggressione connesse a un uso distorto del web e dei social network da parte di minorenni. D’altronde i dati relativi al rischio online sembrano davvero richiedere un impegno integrato e coordinato per realizzare risposte tempestive ed efficaci alla domanda di sicurezza e tutela dei più giovani, così fortemente attratti dalle nuove tecnologie. I fenomeni di prevaricazione in rete, infatti, sono in aumento: nel 2017 la Polizia Postale ha raccolto 325 denunce e sono stati 37 i minori denunciati all’Autorità Giudiziaria. 394, invece, i casi trattati di adescamento in rete a danno di bambini e ragazzi, mentre proliferano i gruppi social su patologie alimentari e comportamenti di autolesionismo. Salerno: cinquantenne muore in carcere, indagini per accertare le cause del decesso di Salvatore De Napoli La Città di Salerno, 2 aprile 2018 Muore in carcere, aperta un’inchiesta. Sarà l’autopsia a stabilire le cause del decesso del cinquantenne A. B. di Angri, pluripregiudicato per rapina ed altri reati, detenuto al carcere di Salerno. L’uomo, ieri, aveva accusato un malore all’addome, molto forte tanto da essere trasportato in ospedale al Ruggi di Salerno. Dopo un esame diagnostico era stato riportato in carcere. Poche ore dopo, questa notte, il drammatico decesso. Stamattina i carabinieri della compagnia di Salerno hanno sequestrato la cartella clinica per stabilire eventuali responsabilità nel decesso del cinquantenne di Angri. Termoli (Cb): inclusione sociale, avviso per detenuti e persone affette da dipendenze molisetabloid.com, 2 aprile 2018 L’obiettivo è quello di aiutare le persone che sono maggiormente a rischio di esclusione sociale, in questo caso i detenuti, le persone sottoposte a misure alternative alla detenzione e le persone affette da dipendenze da alcol e droghe. L’Ufficio di piano dell’Ambito Territoriale di Termoli ha recepito l’Avviso della Regione Molise tramite il quale si intendono fornire nuove opportunità di inserimento sociale con l’attivazione di tirocini di orientamento, formazione e inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro. I tirocini dovranno essere svolti nell’ambito del triennio 2018-2020 e avranno una durata che varia da un minimo di quattro mesi fino ad un massimo di dodici mesi. Il tirocinio prevede una durata di 20 ore settimanali e, a ciascun tirocinante, per il tramite dell’Ambito, verrà corrisposta una indennità di partecipazione pari a € 400,00 lordi mensili. I tirocini saranno attivati presso imprese sociali, cooperative sociali, organismi del Terzo settore, Comuni dell’ATS di Termoli, Istituti scolastici, imprese, enti locali, enti pubblici, imprese pubbliche, organismi di promozione della carità. Gli operatori economici o organismi pubblici, individuati quale soggetti ospitanti, devono avere sede legale o operativa presso uno dei comuni dell’ATS di Termoli e devono stipulare una intesa di partenariato con l’ATS di Termoli per la presa in carico sociale del tirocinante. I destinatari possono beneficiare di un solo tirocinio nell’arco del triennio. L’Ambito Territoriale Sociale di Termoli, procederà alla predisposizione di una graduatoria delle domande di partecipazione ordinata in base all’età anagrafica dei tirocinanti in ordine crescente (dal più giovane al più anziano), in caso di parità in graduatoria sarà assicurata la preferenza di genere femminile. Modalità di partecipazione. Le persone che ritengono di avere i requisiti così come descritto nell’Avviso, dovranno presentare domanda redatta su apposito modulo entro e non oltre il 30 aprile 2018, ore 12,00 al proprio Comune di residenza-Ufficio Protocollo o presso l’Ufficio di Piano dell’Ambito Territoriale Sociale di Termoli. I moduli da compilare sono disponibili presso gli Uffici di Segretariato Sociale dei Comuni e presso l’Ufficio di Piano dell’Ambito Territoriale Sociale di Termoli, nonché sul sito web del Comune Capofila di Termoli e sui siti web dei vari Comuni interessati. Le istanze devono essere indirizzate all’Ufficio di Piano dell’Ambito Territoriale Sociale di Termoli sito in L.go Martiri delle Foibe s.n.c., CAP 86039 Comune Termoli. La domanda potrà essere presentata: mediante consegna a mano presso i predetti Uffici; inoltrata a mezzo raccomandata A/R, spedita all’indirizzo indicato innanzi, utilizzando, una busta chiusa recante, a pena di irricevibilità, la dicitura “POR Molise FSE 2014-2020 - Azione 7.1.2 - Tirocini per l’inclusione sociale”. Le domande trasmesse mediante servizio postale dovranno pervenire, a pena di irricevibilità, entro il termine sopraindicato del 30 aprile 2018, ore 12,00. Non fa fede il timbro postale di spedizione. Pavia: detenuto si rivolge al giudice “il carcere mi paga poco” di Fabrizio Merli La Provincia Pavese, 2 aprile 2018 Impiego dietro le sbarre: la legge prevede due terzi del compenso contrattuale L’uomo lamenta di essere stato retribuito solo a metà e senza tredicesima. Che un detenuto ce l’abbia con il carcere è fisiologico, che gli faccia una causa di lavoro accusandolo di averlo sottopagato è già meno frequente. È il caso di Giuseppe P., un 55enne originario della provincia di Trapani difeso dall’avvocato Pierluigi Vittadini. L’uomo deve scontare 8 anni, 9 mesi e 3 giorni di reclusione e si trova, attualmente, a Torre del Gallo. In carcere, tra il settembre 2012 e il maggio 2016, ha svolto attività lavorative. In particolare, ha fatto lo “scrivano”, aiutando gli altri detenuti a scrivere le loro lettere, le istanze da presentare al tribunale e spiegando il contenuto delle sentenze. Inoltre ha lavorato come magazziniere, organizzando e distribuendo agli altri detenuti i pacchi in entrata, lo “scopino”, occupandosi della pulizia degli ambienti carcerari e il barbiere. A riconoscere l’importanza del lavoro, come tramite per il reinserimento sociale, è lo stesso ordinamento dello Stato italiano. In particolare, una legge del 1975 prevede che il compenso per il lavoro svolto in regime carcerario debba corrispondere almeno ai due terzi della paga fissata dal contratto collettivo nazionale di lavoro riferito alla medesima attività. Ma il 55enne ha conservato tutte le buste paga che gli sono state rilasciate dall’amministrazione penitenziaria e da tali documenti, secondo il ricorso del suo avvocato, risulta che gli sia stata pagata metà della paga oraria giornaliera, anziché i due terzi. Non solo. La medesima legge del 1975 prevede che il compenso (definito con un termine brutto e antiquato “mercede”) sia costituita dalla paga base, dall’indennità di contingenza, dalla tredicesima e dagli scatti di anzianità, oltre alla paga doppia nelle giornate festive e alle ferie retribuite. In base ai calcoli effettuati, il detenuto reclama dallo Stato la somma complessiva di 1.158 euro; un importo che può sembrare non particolarmente significativo, ma che nel “microcosmo” del carcere assume un valore del tutto differente. Per questo, il 55enne si è affidato all’avvocato che lo assiste e il legale ha avviato una causa davanti al giudice del lavoro. La controparte del detenuto è il ministero della Giustizia, la richiesta è quella di condannarlo a pagare la differenza tra quanto pagato e quanto dovuto, inclusi accessori, tredicesime, ferie non retribuite eccetera. La prima udienza è già stata fissata per il prossimo 8 maggio. L’avvocato Vittadini, alla richiesta, ha allegato anche le buste paga e i vari testi normativi. Anche se, per il detenuto, la soddisfazione di vedere condannato il carcere non ha prezzo. Roma: “Ci ha fatto sperare”, gli auguri dei detenuti a Papa Francesco di Emanuela Campanile vaticannews.va, 2 aprile 2018 Con la Santa Pasqua si conclude “Il Vangelo dentro”, il progetto promosso dalla Segreteria per la Comunicazione r curato da Davide Dionisi. La rubrica ha visto protagonisti 12 ospiti della Casa di Reclusione di Rebibbia che, durante il periodo della Quaresima, hanno letto e commentato il Vangelo del giorno. “Il Vangelo dentro”, la striscia quotidiana trasmessa da Radio Vaticana Italia, ha consentito ai ragazzi del carcere romano di esprimere le proprie emozioni e di raccontare “al mondo esterno” cosa rappresenta il quotidiano per chi è recluso. Con le riflessioni ispirate dal Vangelo del giorno e proposte dai detenuti, si è voluta dare agli ascoltatori la possibilità di “guardare oltre le sbarre” e superare - questa la grande speranza - l’equivoco di identificare chi sconta la pena con l’errore che ha commesso. L’intervista al curatore dimostra che, non cedere a questo luogo comune, è possibile. Abbiamo raccolto una serie di voci sconosciute al mondo ma non al cuore di Dio e a quello di Papa Francesco che ha sempre dimostrato particolare attenzione per i reclusi. Con il suo pontificato, ha infatti introdotto nelle carceri il rito della Lavanda dei piedi che quest’anno ha compiuto alla Casa circondariale di Regina Coeli - Roma. Milano: il carcere è fatto di mura, ma di più dalle persone che sono detenute e ci lavorano di Annamaria Braccini chiesadimilano.it, 2 aprile 2018 Nel carcere di Opera, alle porte di Milano, l’Arcivescovo ha iniziato il giorno di Pasqua. 400 i detenuti presenti alla Celebrazione eucaristica, con il direttore dell’Istituto, il Comandante della Polizia penitenziaria e tanti volontari. “Il Signore ha stima di voi e vi vuole figli”. “Il carcere è fatto dalle mura, dai regolamenti, dalle leggi da osservare, ma io ho sempre la speranza che sia fatto, più di tutto, da coloro che vi sono detenuti, da chi ci lavora e chi è volontario, dalle persone che hanno tanta stima di sé da poter dire che sono figli di Dio perché hanno accolto l’invito alla conversione. Vorrei che ci rendessimo conto che abbiamo tutti la responsabilità di seminare uno stile, uno spirito nuovo di vita, in questo luogo dove tanti soffrono, rischiano di avere solo lacrime, con un’aspettativa di rivincita e di impazienza di risultati. Forse noi cristiani, anche in carcere, possiamo essere questo sole di Pasqua, principio in cui tutte le cose vecchie della vita e della società che ci possono pesare addosso, sono superate. È iniziata una storia nuova e noi siamo incaricati di scriverla”. Nella Domenica di Risurrezione del Signore, l’Arcivescovo inizia la giornata nel carcere di Opera, dove si recò anche la mattina del suo ingresso ufficiale in Diocesi, il 24 settembre scorso e dove saluta, prima, gli agenti della Polizia penitenziaria e, poi, nel teatro della struttura, presiede l’Eucaristia cui partecipano circa 400 detenuti dei 1300 che rappresentano la totalità della reclusi. Presenti il neo direttore Silvio Di Gregorio e Amerigo Fusco, comandante dei 700 agenti che quotidianamente svolgono il loro compito di custodia e controllo (nell’Istituto si applicano anche il regime in 41bis e l’ “Alta sicurezza”), accompagnano monsignor Delpini (che nel pomeriggio di ieri ha visitato il carcere “Dei Miogni” di Varese) i due Cappellani, don Antonio Loi e don Francesco Palumbo insieme al diacono Claudio Savi. La Messa con il Vescovo è, ovviamente, il momento più atteso, anche se altre Eucaristie sono state celebrate per i detenuti in “41bis” e, ad esempio, nel Centro Clinico. Alessandro, in apertura, prende la parola a nome di tutti. “È un piacere averla qui oggi. Sappiamo che questa festa non cancella la croce che però è provvisoria e non conclusiva. Anche noi ci sentiamo spesso in croce, ma oggi portiamo i nostri diversi cammini su questo altare. Ci aiuti a conoscere la vita veramente nuova che Gesù ci indica, così potremo ritrovare il cammino con rinnovato entusiasmo”. Parole a cui l’omelia pare un’immediata risposta. “La Pasqua è l’apertura di un orizzonte inesplorato perché Gesù è risorto e quello che sembrava un destino ineluttabile - finire nella tomba - è chiamato a vita nuova. La novità di Pasqua dice che c’è un modo di vivere che è stato superato per coloro che credono nel Risorto”. Tre gli aspetti di tale superamento che Delpini indica, seguendo le Letture: “Gesù rimprovera Maria che, piangendo, rappresenta l’umanità per cui la vita provoca unicamente tristezza. Il Signore contesta che la vita sia solo una storia che finisce in lacrime”. Poi, “l’interpretare la storia come tempo per avere una rivincita, come dicono i discepoli. Al contrario Gesù, morto in croce, perché ha preferito essere tra quelli che subiscono la violenza, è venuto non per la rivincita, ma per la Risurrezione”. E il terzo aspetto: l’impazienza che è spesso dentro di noi, come “tensione che sembra impedire di vivere il presente”. Insomma, la vita non è solo una storia da piangere, una storia di rivincite, una fretta impaziente, “ma è attesa e speranza”. E, naturalmente, ci sono anche i tratti precisi e peculiari della vita nuova: “Disponetevi a ricevere lo Spirito santo, la vita stessa di Dio che vuole che ognuno diventi veramente suo figlio. Proprio voi tutti. Il Padre ha stima di voi e sa che potete trasformarvi da discepoli inaffidabili in apostoli coraggiosi, da gente che rinnega la promessa di amicizia a persone fedeli fino alla fine. Cristo si aspetta del bene da noi, sa che ci sono energie buone: nessuno pensi di essere rovinato”. Del secondo dono parla la I Epistola di san Paolo ai Corinzi che “racconta come il Signore sia apparso anche a lui, il quale, da persecutore, era diventato apostolo. Il peccatore può diventare un santo; chi ha fatto del male puoi divenire persona che fa del bene. Questo è l’appello alla conversione, questa è la Pasqua che vogliamo celebrare”. Infine, il richiamo al carcere, fatto di persone, da edificare con amore e attenzione reciproca proprio per il sole della Pasqua del Signore, che, quasi a farsi concretamente presente, entra nel teatro con una lama di luce che rischiara ogni cosa. A conclusione, dopo le preghiere di intercessione scritte dai detenuti e proclamate nella Liturgia, la Comunione portata anche dall’Arcivescovo a molti detenuti, il saluto di don Palumbo e tante strette di mano, la benedizione: “Abbiate la certezza che la vostra vita è benedetta da Dio”. Pisa: i detenuti portano in scena Aristofane ed Ennio Flaiano di Carlo Venturini Il Terreno, 2 aprile 2018 Applausi per lo spettacolo organizzato sul palco del carcere Don Bosco Il laboratorio teatrale è promosso da Francesca Censi e dai Sacchi di Sabbia. Si apre il sipario al Don Bosco. Diciassette detenuti della sezione maschile e femminile della casa circondariale hanno inscenato, in una sala gremita e brusii di attesa, due pièce teatrali particolarmente apprezzate dagli spettatori: “La Guerra spiegata ai poveri” di Ennio Flaiano e la commedia “Gli uccelli” di Aristofane. È l’evento conclusivo (ma non sarà l’ultimo) di un percorso culturale riabilitativo e rieducativo che hanno preparato con dedizione Francesca Censi, coordinatrice del laboratorio teatrale, e gli attori della compagnia dei Sacchi di Sabbia Gabriele Carli, Carla Buscemi e Giulia Solano. “La performance teatrale cade proprio nella ricorrenza della Giornata mondiale del teatro - dice Censi - ed in scena mettiamo il meglio non solo del nostro laboratorio, ma anche di quello proveniente dai laboratori di pittura e di sartoria”. Nulla di più grave che incorrere nell’errore di pensare che questi due spettacoli teatrali siano solo due “inscenate estemporanee” e questo perché ci sono due fattori determinanti a favore della vera e concreta possibilità di fare teatro vero e di un certo valore attoriale, in carcere. “Abbiamo provato due volte a settimana per almeno sei ore settimanali e questo per mesi, quindi vogliamo creare o, meglio, intraprendere un percorso che ci porterà ad avere in maniera definitiva una scuola teatrale in questa struttura”. Al progetto credono da ormai tre anni anche i Sacchi di Sabbia, che curano tutta la parte scenica ed attoriale con passione e grande professionalità, nonostante le doverose e stringenti normative di sicurezza. Ecco che la scenografia è semplice e ricercata con tele dipinte dai detenuti stessi e sedie disposte a semicerchio. Chi vuol fare veramente teatro lo fa e ci riesce. Difficile infatti rimanere insensibili di fronte alla verve e spigliatezza teatrale dell’attrice-detenuta che nell’opera di Flaiano ha interpretato “Il presidente” suscitando applausi e risate. Per la durata dei due spettacoli, il carcere è rimasto fuori, non ha trovato dimora sul palcoscenico. Il laboratorio teatrale l’anno scorso è stato basato su l’Odissea di Omero, attraverso l’utilizzo sia di rielaborazioni personali di alcuni episodi da parte di detenuti-allievi, sia di passi originali del testo. L’obiettivo del progetto era far diventare quest’esperienza un punto di riferimento stabile e poi di poterla successivamente ampliare anche per la sezione femminile. Obiettivo centrato, dunque. Questa iniziativa, come il percorso teatrale, beneficia dei contributi della Fondazione Pisa e della Regione Toscana ed in platea c’era anche l’assessore alla cultura Andrea Ferrante. Le iniziative al Don Bosco che gravitano intorno al teatro non si fermano. Il prossimo spettacolo sarà incentrato su “La tempesta” di Shakespeare. Pescara: “La locandiera”, Goldoni in scena al carcere con gli studenti del Manthonè ilpescara.it, 2 aprile 2018 Il lavoro è stato curato dalle docenti di italiano Mariadaniela Sfarra e Serena Bono, la regia è stata affidata all’esperto di teatro Marco Fleming. Un aspetto interessante dell’attività è stata la congiunzione delle due sezioni del Manthonè. “La locandiera”, Goldoni in scena al carcere con gli studenti del Manthonè. “La locandiera” di Goldoni in scena nella Casa circondariale San Donato di Pescara. È l’ultimo successo, solo in ordine cronologico, del Corso serale per adulti dell’Istituto Aterno-Manthonè che da anni ha attivato le lezioni all’interno del carcere. Nei giorni scorsi, presso l’aula magna della Casa circondariale, è andata in scena la rappresentazione teatrale della commedia goldoniana. Gli interpreti sono stati alcuni studenti delle classi quarte e degli studenti-detenuti. Il lavoro è stato curato dalle docenti di italiano Mariadaniela Sfarra del corso serale e Serena Bono della Casa circondariale, la regia è stata affidata all’esperto di teatro Marco Fleming. Un aspetto interessante dell’attività è stata la congiunzione delle due sezioni del Manthonè, quella del serale e quella della scuola carceraria. L’appuntamento, promosso con grande entusiasmo dal dirigente scolastico Antonella Sanvitale, dal direttore del carcere Franco Pettinelli, dall’educatrice responsabile dell’area pedagogico-didattica Anna Laura Tiberi, e dalla responsabile del corso serale e della scuola carceraria dell’Aterno-Manthonè, Marina Di Crescenzo, è stato, inoltre, un momento di incontro e di saluto per le feste pasquali tra gli studenti e i docenti delle due realtà, a cui hanno partecipato anche gli studenti-detenuti della scuola elementare e media del Cpia (Centro provinciale per gli adulti) di Pescara, diretto dalla preside Antonella Ascani. “È stata una prima esperienza di avvicinamento al teatro”, dice Serena Bono, docente di lettere del carcere. “Due realtà che si incontrano: gli alunni del serale e gli alunni detenuti che, pur non essendosi mai visti, hanno trovato subito il punto di incontro e la capacità di socializzare e sorridere insieme. Abbiamo potuto apprezzare la gioia pura negli occhi dei detenuti che, forse da tempo o mai finora, avevano provato cosa significhi essere apprezzati e applauditi. Una grande felicità per me che ho potuto prendere parte a questo bel progetto che mi ha coinvolto ed emozionato subito”. Gli studenti-attori coinvolti sono stati: Francesca Giuliano, Davide Di Donato, Antonio Feliciani, Stefano Della Vecchia, Guido Rachini, Matteo Bottazzo del Serale, Rael Cesare Colecchia, Medoro Tavoletta, Kevi Kereci, Giulio Di Pietro, Rudi Ziu della Casa circondariale. “C’è stato l’entusiasmo nel vedere persone che, nonostante vivano una situazione di disagio come è un carcere”, aggiunge il regista Marco Fleming, “si sono sapute mettere in gioco e hanno provato una forte emozione nel salire sul palco davanti a un pubblico esterno”. Spoleto (Pg): il carcere apre le porte al Campionato di scacchi e pensa alla sfida con Chicago rgunotizie.it, 2 aprile 2018 All’istituto penitenziario di Maiano di sfideranno le squadre dell’Asd “Diamoci una mossa” di Foligno e l’Asd “Bobby Fischer” di Viterbo. Nei prossimi mesi il match internazionale. L’appuntamento è per sabato 7 aprile nel carcere di massima sicurezza di Maiano, a Spoleto. Sarà lì che si terrà l’incontro di serie C del Campionato italiano a squadre 2018 di scacchi. A sfidarsi saranno le squadre dell’Asd “Diamoci una mossa” di Foligno e l’Asd “Bobby Fischer” di Viterbo. In scena un match che darà la possibilità ai quattro detenuti, che frequentano il corso di scacchi che si tiene nella struttura spoletina, ed al loro capitano di confrontarsi con atleti esterni. L’obiettivo sarà strappare la vittoria alla squadra ospite, giocandosi lo scontro diretto per la promozione in serie B. Diverse le autorità di spicco che presenzieranno all’evento, a cominciare dal direttore nazionale del Campionato italiano a squadre, nonché consigliere della Federazione Scacchistica Italiana, Fabrizio Frigeri. Ed ancora il presidente del Coni Umbria, Domenico Ignozza il delegato regionale per l’Umbria della Fsi, Egidio Cardinali, l’istruttore Fide (Fédération Internationale des Échecs), Mirko Trasciatti e la direzione della casa circondariale di Spoleto. “Confermo con entusiasmo la mia presenza - ha detto Frigeri, rimarcando il valore del progetto degli scacchi in carcere che sta promuovendo Mirko Trasciatti”. Il progetto del Coni “Sport in carcere”, nato nel 2015, ha infatti dato la possibilità ai detenuti di molte carceri di imparare non solo il gioco degli scacchi, ottimo strumento di reintegro sociale, ma l’opportunità di avere un qualcosa che permetta loro di ragionare, analizzare e soprattutto riflettere. Ogni pomeriggio, i detenuti si incontrano nelle aule scolastiche dell’istituto detentivo e si sfidano in partite a tempo lungo. A loro disposizione sono stati lasciati dei set di legno e degli orologi analogici. “Siamo al terzo anno di corso - ha dichiarato Trasciatti - e in questo periodo ho visto molta gente passare. Chi si fermava per curiosità, chi veniva a qualche lezione, chi era interessato a migliorare e chi lo faceva per non pensare ai problemi. Tutti però alla fine sono rimasti. È anche vero che alcuni detenuti non sono più tornati, ma non per loro volontà. Il tempo in quelle mura per loro era terminato. Il trasferimento o la libertà dopo molti anni di reclusione li attendeva. L’obiettivo che mi sono posto - ha concluso Mirko Trasciatti - è quello di aiutarli nel modo migliore, offrendo loro le conoscenze di cui dispongo e permettergli di giocare a scacchi nel modo che tutti conosciamo, con persone diverse, con l’agonismo, e con i mezzi di aggiornamento a nostra disposizione” Ora alcuni di loro si stanno preparando per il match internazionale in programma nei prossimi mesi. L’evento sarà una partita a squadre tra i detenuti del carcere di Spoleto e quelli del carcere di Chicago che si sfideranno in un doppio incontro (andata e ritorno) su cinque scacchiere. L’istruttore americano Mikhail Korenman è già stato artefice di altri due incontri internazionali, il primo con la Russia e l’ultimo con il Brasile. “Ferro batte ferro”, lo sguardo lirico di Pino Roveredo sul dramma carcerario di Vieri Peroncini artspecialday.com, 2 aprile 2018 La narrativa è una bestia strana: tutti, letteralmente tutti coloro i quali vi si cimentano anelano in sommo grado a giungere ad una propria modalità espressiva che li renda unici da un lato e riconoscibili dall’altro (sebbene enormi delitti letterari siano stati compiuti in nome della riconoscibilità: ora, per fortuna, è subentrato anche il web); ma nel contempo, siamo tutti portati, anche coloro i quali stanno dall’altra parte della barricata, a valutare un’opera di narrativa dalla qualità, e anche dalla qualità, dei riferimenti che ci sovvengono alla lettura. Il che, peraltro, è un processo automatico: ecco quindi, che a leggere Ferro batte ferro (Bottega Errante Edizioni), l’ultimo lavoro di Pino Roveredo, sovvengono titoli e immagini in gran quantità. L’altra parte della barricata, perché l’autore è anche un Garante per le persone private della libertà personale, il che significa “chi entra nelle carceri per capire, parlando con i detenuti, cosa si può fare per migliorarne le condizioni”. Ecco, l’altra parte della barricata: che altra parte non è, perché l’inizio della storia racconta di come Pino Roveredo è stato arrestato, e perché, e racconta le settimane e gli incontri e le storie vissute, raccontate e apprese nelle settimane in cui il carcerato era lui stesso. Ciò premesso, sarebbe facile applicare a Ferro batte ferro (Bee - Bottega Belante Edizioni) qualche etichetta, qualche aggettivo consono: facile almeno quanto lo è farlo alle persone, soprattutto a quelle che il percorso di vita conduce, per periodi più o meno lunghi, alla privazione della libertà. Farlo, naturalmente, sarebbe svilire il senso ed il contenuto di questo centinaio di pagine, nelle quali Pino Roveredo si mette dalla parte degli ultimi, tracciando un percorso da ex detenuto a Garante, e raccontando storie con una prosa lirica. Storie vere e analisi istituzionali, in una commistione da documento, da libro bianco: vi racconto perché il carcere ora è un’istituzione illegale”, si legge in copertina, anticipando il fatto che no, questo non è un libro di narrativa, anche se lo spazio per la fantasia è molto, e in modi che non ti aspetti. “Ferro batte ferro”, quindi, si struttura su piani diversi: storie, umanità, poesia e rabbia, esposti col piglio del narratore naturale, col talento di chi ha saputo vincere il Premio Campiello (2005) con una raccolta di racconti, Mandami a dire; ma anche cronaca, stesa con il mestiere di chi dopo esperienze e lavori fa il giornalista; e ancora, dati e statistiche oggettive ma prese dall’interno, da parte di chi è Garante, d’accordo, ma il primo Garante in Italia che ricopre il ruolo da ex detenuto, a seguito della nomina nel 2014 da parte del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. Quanto detto sinora, basterebbe a rendere Ferro batte ferro uno scritto di sicuro interesse. Non renderebbe però minimamente giustizia a pagine che, quasi giocoforza, riconducono il pensiero alle tematiche di Hugo, Beccaria, de Tocqueville; e ancora, stimolano il ricordo visivo di opere cinematografiche importanti e disturbanti come il dittico italiano Mary per sempre (tratto dal romanzo di Aurelio Grimaldi) - Ragazzi fuori di Marco Risi, o il monumentale Sleepers di Barry Levinson. Ma soprattutto non renderemmo giustizia alla natura più intima del racconto: che è certamente quello della realtà carceraria, ma che indaga a fondo anche nell’animo di quelli che, ancora, stanno dall’altra parte della barricata. In controluce, per sottrazione quasi, vediamo quelli che del carcere parlano senza cognizione di causa e quindi con facilità estrema. Sono gli stessi che vogliono solo buttare la polvere sotto il tappeto, e giudicano i “colpevoli” meno della polvere stessa; sono quelli che, a tutti i livelli sociali, hanno deciso che è assai più morale, oltre che conveniente, fare la guerra ai poveri anziché alla povertà, che è meglio chiudere le frontiere anziché capire le migrazioni, che fanno i distinguo tra “economici” e “di guerra” durante l’happy hour. “Ferro batte ferro”, se leggiamo bene, parla di quelli che stringono le camicie di forza e girano gli interruttori degli elettrochoc, per le quali il problema non va risolto ma rimosso o eliminato: e se il problema è un’altra persona, tanto peggio, ché comunque per mantenere il nostro tenore di vita qualcuno bisogna pur depredare. O eliminare. O internare. Senza immedesimazione, senza empatia, senza tener conto del fatto che, come dice il Joker riguardo alla pazzia, anche l’accattonaggio, l’isolamento, la depressione, il crimine sono come la gravità: basta una piccola spinta. “Ferro batte ferro” (uno di quei libri che si riempie di post-it, di note a matita (rigorosamente, a matita), di segnalibri) è anche intriso di letteratura, che è una via di salvezza, perché in carcere si può anche iniziare a leggere, a leggere veramente: magari Pratolini e le Cronache di poveri amanti, anche se poi a leggere Roveredo viene alla mente Raymond Chandler, quando dice “la sola salvezza di uno scrittore consiste nel continuare a scrivere. Se c’è qualcosa di buono in lui, salterà fuori”. E per quanto incongruo possa sembrare, sovviene Salinger, perché Pino Roveredo fa serate di presentazione di Ferro batte ferro, e se avrete la ventura di andare a sentirlo, potreste trovare a citarvi addosso l’unica cosa buona che Salinger abbia mai scritto, ossia “…vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. “Innocenti. Vite segnate dall’ingiustizia”, di Alberto Matano dasapere.it, 2 aprile 2018 Dal 3 aprile in libreria “Innocenti. Vite segnate dall’ingiustizia”, di Alberto Matano. Prefazione di Daria Bignardi. “L’errore umano esiste in ogni campo, ma dobbiamo ricordarcelo, prima di puntare il dito su chiunque venga anche solo indagato, figuriamoci se viene arrestato. Potrebbe capitare anche a noi. La realtà è complessa, il sistema giudiziario affaticato, la giustizia, parola meravigliosa, a volte sembra un’utopia. Non per questo dobbiamo smettere di crederci e di pretenderla”. (Dalla Prefazione di Daria Bignardi). Gridare la propria innocenza e restare inascoltati. Trovarsi all’improvviso a fare i conti con un marchio indelebile. È l’incubo che ciascuno di noi potrebbe trovarsi a vivere, con le foto segnaletiche, le impronte digitali, i processi, gli sguardi della gente e i titoli sui giornali, l’esperienza atroce del carcere tra pericoli e privazioni. Un inferno, e in mezzo a tutto questo sei innocente. È una ferita che rimane aperta, anche a distanza di anni, nonostante le assoluzioni e - non sempre - le compensazioni economiche. Lo sanno e lo raccontano i protagonisti di questo libro, presunti colpevoli, riconosciuti innocenti. Maria Andò, accusata di una rapina e di un tentato omicidio avvenuti in una città in cui non è mai stata. Giuseppe Gulotta, la cui odissea di processi e detenzioni in seguito a un clamoroso errore giudiziario dura quarant’anni, di cui ventidue in carcere. Diego Olivieri, onesto commerciante che finisce in carcere per una storia di droga, per colpa di un’intercettazione male interpretata. E gli altri protagonisti di queste pagine, che raccontano le loro esperienze e i loro incontri, i loro traumi e la loro ostinata volontà di rinascita. Alberto Matano costruisce in questo libro una narrazione intensa e cruda, in cui ogni singola vicenda è un capitolo avvincente di una storia più grande, quella dell’ordinaria ingiustizia che accade accanto a ognuno di noi, senza che la vediamo. Un invito a esercitare la nostra attenzione e la nostra umanità, ogni giorno. “Quando finisci in carcere e dici di essere innocente non ti crede nessuno, lì sono tutti innocenti”. Immaginatevi, soltanto per qualche secondo, di trovarvi in questa situazione, di finire dietro le sbarre, senza neanche capire perché, e con la consapevolezza di non aver fatto nulla. Gridare la propria innocenza, e restare inascoltati. Trovarsi all’improvviso a fare i conti con quel marchio indelebile, anche a distanza di anni quando tutto è finito, quando la giustizia, che ha sbagliato, alla fine è giusta. È l’incubo che ciascuno di noi può trovarsi a vivere e di cui sappiamo spesso troppo poco. Alberto Matano, giornalista, conduttore del Tg1 delle 20, dal 2017 è autore e conduttore della trasmissione di Rai3 “Sono Innocente”, giunta alla sua seconda edizione. Perché in Italia di lavoro si muore sempre di più di Gloria Riva L’Espresso, 2 aprile 2018 Crescono gli incidenti. E le vittime. Le cause: contratti precari, macchinari vecchi e pochi controlli. Forse un giorno i robot ci porteranno via il lavoro, allontanandoci dalla catena di montaggio, ma nel frattempo, nelle industrie italiane si continua a morire, sempre più frequentemente, al ritmo di tre al giorno. Relazione 2017 dell’Anmil, l’associazione degli invalidi sul lavoro, che lancia l’allarme sulla preoccupante crescita degli incidenti sul posto di lavoro. Nel 2017 sono morte 1.115 persone in cantiere, in fabbrica o in viaggio. Negli ultimi dieci anni il conto è di 13.100 decessi, una mattanza. Se negli anni della crisi più nera, quando l’industria aveva avviato procedure di cassa integrazione, il numero di incidenti era crollato, dal 2015 si è verificata un’inversione di tendenza, finché nel 2017 è cominciata una crescita molto consistente che, nel primo trimestre dello scorso anno, era arrivata fino a toccare un aumento dell’otto per cento. Esistono le morti sul lavoro (peraltro in aumento) che hanno sempre una causa e mai nulla di candido. Proviamo tutti a ricordarcelo, mentre parliamo, mentre scriviamo. I settori che, con la ripresa economica, fanno registrare i maggiori aumenti in termini infortunistici sono proprio quelli legati ad attività industriali in cui si riscontrano più marcati segnali di ripresa produttiva, vale a dire l’industria metallurgica (più 6,1 per cento), la metalmeccanica (più 4,2 per cento), i trasporti (più 3,9 per cento). A livello territoriale si assiste a un netto contrasto tra le regioni produttive e industrializzate del Nord e quelle del Centro-Sud. Infatti nel Nord Ovest, cioè nell’area motore della crescita economica, gli incidenti sono cresciuti del 20,6 per cento. Il fenomeno ha delle cause ben precise, come racconta Franco Bettoni, presidente di Anmil a L’Espresso: “La manodopera è diventata più precaria e quindi meno formata all’utilizzo delle macchine. Manca una cultura della sicurezza che, come in altri paesi europei, dovrebbe essere insegnata nelle scuole professionali”. Ma ci sono anche altre motivazioni. Ad esempio, sempre a causa della crisi, molte aziende hanno rinunciato a investire su nuovi macchinari, mantenendo in funzione impianti datati e con scarsa manutenzione. Inoltre, nonostante un grande impianto legislativo, il 97 per cento delle aziende ha la ragionevole speranza di non ricevere mai alcuna visita di controllo, perché gli ispettori sono mosche bianche, spesso chiamate a rispondere alle emergenze. Non solo la probabilità di un controllo è remota, ma il sistema italiano di prevenzione è talmente frammentato da rendere complessa qualsiasi verifica: il ponteggio è collaudato dall’ispettore del lavoro, i montacarichi dall’Ispels, istituto per la prevenzione, mentre l’Asl si occupa della verifica dell’ascensore dell’ufficio e il ministero dello Sviluppo Economico verifica la regolarità delle miniere, mentre le regioni entrano in scena nel settore dell’industria estrattiva di seconda categoria. Poi ci sono i vigili del fuoco con l’occhio puntato sulle norme anti incendio. E anche nei casi più gravi, in cui le aziende finiscono sotto processo ci si scontra con le lungaggini burocratiche e con le difficoltà di effettuare indagini. A questo si aggiunge il florido business della formazione aziendale che spesso non organizza neppure i corsi ma si limita a consegnare diplomi. Attestati che tuttavia non salvano la vita a chi sta su un ponteggio o in mezzo a una fabbrica. Migranti. Medici senza frontiere: impedito il soccorso, decine di persone riportate in Libia La Stampa, 2 aprile 2018 “Negli ultimi mesi in più occasioni ci sono state reazioni violente da parte della Guardia costiera libica verso le poche organizzazioni umanitarie ancora impegnate in attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo”. La nave di Medici senza frontiere allontanata da un’area del Mediterraneo dove c’era un’imbarcazione in difficoltà e decine di migranti riportati in Libia. La denuncia arriva da Msf che racconta come, ieri, alle 10.32, il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo (Mrcc) di Roma abbia allertato la nave Aquarius, gestita in collaborazione da Medici Senza Frontiere (Msf) e SOS Mediterranee, e la Guardia costiera libica, di un gommone in difficoltà con a bordo circa 120 persone, in acque internazionali a 23-24 miglia nautiche dalla costa libica. Il gommone è stato identificato per primo da un aereo militare europeo. Sebbene la Aquarius sia arrivata sulla scena per prima, intorno alle 11.00, il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo ha informato la nave che sarebbe stata la Guardia costiera libica a occuparsi del soccorso, per questo alla Aquarius è stato indicato di rimanere in standby e di non avviare nessuna operazione. Mentre era in standby, la Aquarius ha visto la situazione peggiorare perché il gommone sovraffollato iniziava a imbarcare acqua. Alle 12.45, MSF e SOS Mediterranee sono riuscite a negoziare con l’MRCC, il comando della Guardia costiera libica e la nave della Guardia costiera libica che stava raggiungendo l’area, e hanno ottenuto di poter almeno stabilizzare la situazione distribuendo giubbotti di salvataggio a tutte le persone a bordo e valutare le loro condizioni mediche. L’infermiera di MSF a bordo del motoscafo veloce (RHIB) che si è avvicinato al gommone ha individuato 39 casi medici e vulnerabili - tra cui un neonato, donne incinte, bambini e le loro famiglie - che sono stati evacuati sull’Aquarius. “Negli ultimi mesi in più occasioni ci sono state reazioni violente da parte della Guardia costiera libica verso le poche organizzazioni umanitarie ancora impegnate in attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, e la sicurezza del nostro team, così come delle 253 persone soccorse che si trovavano già a bordo dopo due giorni di salvataggi, era una preoccupazione cruciale. Mentre siamo riusciti a negoziare l’evacuazione sulla Aquarius di 39 casi medici e vulnerabili, per la sicurezza delle persone a bordo e del team dell’Aquarius, non abbiamo potuto completare il soccorso”. Alle 13.52 la Guardia costiera libica ha ordinato alla Aquarius di allontanarsi dalla scena, con decine di persone ancora sul gommone. Alle 14.09 queste persone sono state prese dalla Guardia costiera libica e riportate in Libia. Msf ribadisce ancora una volta che la Libia “non è un luogo sicuro e per nessun motivo rifugiati e migranti dovrebbero esservi riportati”. L’organizzazione “continua ad appellarsi ai Governi europei per dare priorità alla sicurezza di rifugiati e migranti invece di rafforzare attivamente politiche di deterrenza e contenimento in Libia”. Germania. Il leader catalano Puigdemont dal carcere: “non mollo e non mi ritiro” La Stampa, 2 aprile 2018 Il leader indipendentista arrestato in Germania: “Non mi ritirerò davanti alle azioni illegittime di coloro che hanno perso alle urne”. “Non mollerò, non mi dimetterò, non mi ritirerò”. È il messaggio che compare sul profilo Twitter di Carles Puigdemont, ex presidente della Generalitat catalano arrestato domenica in Germania e attualmente detenuto nel carcere di Neumünster. “Sia chiaro a tutti: non mollerò, non mi dimetterò, non mi ritirerò davanti alle azioni illegittime di coloro che hanno perso alle urne o davanti all’arbitrio di chi è disposto pagare il prezzo di abbandonare lo stato di diritto e la giustizia per “l’unità della patria”, si legge nel tweet abbinato ad una foto del leader indipendentista. È la prima volta che Puigdemont invia un messaggio, sostanzialmente diretto, dal suo arresto. In carcere, il detenuto non ha accesso a internet sebbene sia consentito l’uso di Skype sotto il controllo del personale. È scontato, quindi, che a pubblicare il tweet sul profilo verificato sia stato un collaboratore. Berlino non porrà veto in caso via libera estradizione Puigdemont - Se la giustizia tedesca darà via libera all’estradizione in Spagna del leader catalano Carles Puigdemont, il governo di Angela Merkel non si opporrà. Lo scrive il magazine Der Spiegel, citando fonti vicine al governo tedesco. Arrestato domenica scorsa subito dopo il confine danese, Puigdemont si trova in carcere nel land settentrionale dello Schleswig-Holstein. La procura locale deciderà la settimana prossima se chiedere al tribunale regionale il via libera all’estradizione. Nei giorni scorsi, i difensori tedeschi di Puigdemont si sono appellati alla possibilità, prevista dalla legge, che il governo di Berlino ponga il veto all’estradizione. A quanto scrive Der Spiegel, la cancelleria tedesca non intende tuttavia fare un passo del genere, che verrebbe considerato come un affronto nei confronti della competente giustizia regionale. Il magazine riferisce che la linea del governo tedesco, ovvero che la politica non interferirà in alcun modo con le decisioni della giustizia, è stata concordata durante una conferenza telefonica avvenuta domenica notte fra i ministri della Giustizia, Katarina Barley, e degli Esteri, Heiko Maas, il capo dell’ufficio della Cancelleria, Helge Braun, e il segretario di Stato all’Interno, Hans-Georg Engelke. Messico. Rivolta dei detenuti nel carcere di La Toma, almeno sette poliziotti uccisi Ansa, 2 aprile 2018 Gli agenti erano entrati dentro la struttura nel corso di un’operazione per ripristinare l’ordine e trasferire un gruppo di prigionieri. Alcuni di loro però hanno reagito dando fuoco ai materassi. Almeno sette poliziotti sono stati uccisi in una rivolta dei detenuti scoppiata nel carcere di La Toma, nella città montagnosa di Amatlan de los Reyes. Siamo nello stato di Veracruz, zona orientale del Messico. Gli agenti erano entrati dentro la prigione nel corso di un’operazione per ripristinare l’ordine all’interno della struttura e trasferire un gruppo di detenuti. Alcuni prigionieri però hanno reagito dando fuoco ai materassi. I sette poliziotti, secondo una prima ricostruzione, sono morti per inalazione di fumo. La polizia sta provando a sedare la rivolta ma, spiega il governo di Veracruz, i detenuti hanno sequestrato l’area dove si tiene un workshop di falegnameria e utilizzano gli strumenti come armi. Secondo le autorità, alcuni di loro sono altamente pericolosi. Venezuela. Sulla rivolta nel carcere di Carabobo e sulla strage di detenuti radioblackout.org, 2 aprile 2018 Una strage annunciata quella avvenuta nello stato di Carabobo, in Venezuela dentro ad una caserma adibita a carcere dove, a seguito di una protesta dei detenuti per le condizioni di reclusione, è divampato un incendio che ha fatto almeno 68 morti tra prigionieri e parenti. Alla notizia dell’incidente amici e affetti dei detenuti sono accorsi fuori dal carcere per avere informazioni sui propri cari e sono stati accolti dai manganelli e dai lacrimogeni della polizia. Il Venezuela sta attraversando una crisi di sovraffollamento carcerario impressionante tanto che lo Stato si è dotato di mini strutture detentive ritagliate tra ex caserme e edifici pubblici per aumentare i posti di prigionia disponibili. Questi luoghi che dovrebbero essere di transito diventano invece l’ultima meta per i molti che, in attesa di giudizio, aspettano la prassi tribunalizia per sapere del proprio destino. Qui le condizioni di detenzione sono insostenibili dato che, non essendo carceri veri è propri, mancano completamente di ogni servizio necessario per la sopravvivenza, uno su tutti la somministrazione del vitto che costringe di fatto le famiglie a sobbarcarsi il peso economico della reclusione, recandosi dai propri parenti detenuti due volte al giorno per portare loro da mangiare. A ciò si aggiunge il sovraffollamento che rende la vita impossibile; si prenda ad esempio la struttura dove è divampato l’incendio in cui i posti disponibili sarebbero 40 e dove erano invece detenute oltre 200 persone, ammassate le une sulle altre. Una strage annunciata dunque, la peggiore da diversi anni a questa parte in termine di perdite umane, che va tristemente a sommarsi ai già numerosissimi episodi di morti collettive che avvengono più o meno con costanza nelle carceri venezuelane.